UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI SCIENZE
GASTRONOMICHE
Una migrazione sui generis:
il caso dei gelatieri veneti in Germania
Elaborato finale di Storia dell’Alimentazione
Alice Pettenò
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Alice Pettenò
La montagna e le migrazioni: si spostano uomini, migrano mestieri
L’immagine braudeliana delle Alpi come un monde à l’écart ha fortemente caratterizzato i numerosi studi sulla
montagna alpina. Questa impronta ha contribuito a costruire l’immagine di un mondo appunto in disparte, nella quale la
montagna rappresenta un luogo periferico, desolato e senza alcun potere di mediazione a causa degli elementi geografici
che la caratterizzano.
Dopo gli anni Ottanta cominciano ad affermarsi nuovi studi, soprattutto negli ambiti storico-demografici ed
antropologici, che propongono una nuova prospettiva sul quadro generale della montagna.
Ritengo opportuno citare una di queste ricerche che si inseriscono in questo quadro critico proprio perché utile
all’inquadramento generale del caso studio dei gelatieri.
La ricerca in questione è quella svolta dall’antropologo ecologo americano Robert Netting; il suo lavoro va a
decostruire l’immagine esclusivamente passiva del fenomeno migratorio alpino che riconduce le cause migratorie ai
fattori di spinta1. I flussi di mobilità alpina vengono dunque rappresentati come dei fenomeni attivi proprio perché molte
volte erano innescati da ragioni professionali, o di mestiere per i quali si richiedeva un seppur minimo bagaglio di
competenze.
La migrazione alpina dunque era sicuramente l’espediente per sopperire ai problemi di tipo economici ma anche per
ottimizzare la propria forza lavoro. Ed è proprio all’interno di questo quadro che si sviluppa il caso preso in analisi.
I dati e le informazioni bibliografiche in nostro possesso relative agli spostamenti dei gelatieri mostrano la centralità del
Cadore e della Val di Zoldo, a partire dai quali il fenomeno migratorio ha cominciato a diffondersi a macchia d’olio
verso la fine dell’Ottocento2.
Questi due territori alpini basavano la propria struttura produttiva sull’agricoltura e traevano sostentamento dalle risorse
idriche ma soprattuto da quelle minerarie3. La popolazione era formata per la gran parte da contadini che, a causa delle
difficoltà soprattutto ambientali e territoriali, possedevano piccoli appezzamenti di terra.
Il lavoro agricolo e l’allevamento veniva svolto durante il periodo estivo e vedeva impiegati sia uomini che donne;
durante gli altri periodi dell’anno il clima della montagna si faceva rigido dunque i lavori agricoli diminuivano e parte
della manodopera famigliare, quella maschile, doveva trovare un’altra occupazione. Questa alternativa di occupazione
doveva avere la caratteristica di essere temporanea, la forza lavoro veniva dunque esternalizzata dalle unità produttive
familiari (Saraceno, Naldini 2001) per alcuni mesi dell’anno. Questa tipologia di esodo migratorio ha influenzato
1Le
scienze sociali nello studio dei fenomeni migratori si riferiscono ad uno schema basato su push factors (fattori
di spinta) e pull factors (fattori di attrazione); con il primo termine si identi9icano le condizioni che spingono un
singolo individuo o un gruppo sociale a migrare, mentre con secondo le condizioni che attraggono gli individui
portandoli così a spostarsi (Ambrosini 2005).
2Si
tratta del periodo della crisi agraria (1870‐1890 circa); in questo periodo comincia la prima grande
migrazione veneta verso soprattutto le Americhe.
3Nel
Cadore avevano sede le attività minerarie estrattive e di lavorazione del ferro; molti abitanti della zona era
costruttori di chiodi e oggi a Zoldo è presente un Museo del Chiodo che ricostruisce la storia di questa
produzione.
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diversi aspetti del ciclo di vita delle famiglie delle due vallate, soprattutto i matrimoni. Un’altra conseguenza del
numero sempre più frequente di capofamiglia maschi impiegati in forme di nomadismo stagionale si vede
nell’affidamento della conduzione agricola familiare alle donne.
Alle donne spettava, oltre alla cura della famiglia e dei campi anche un terzo lavoro per poter contribuire al reddito
della famiglia e spesso trovano lavoro come cuoche4. Se le donne rimanevano nelle vallate a tirare avanti la casa e la
terra, dove migravano gli uomini e cosa facevano? Si nota che in queste zone, come anche in altre dell’arco alpino ci sia
una forte tradizione di commercio ambulante.
Fonti orali prese in esame in altri studi, fanno emergere che sia gli zoldini che i cadorini fossero specializzati nel
commercio di pere cotte, dolci e caldarroste; si tratta di prodotti agricoli locali che venivano venduti in zone diverse da
quella di origine dopo essere stati lavorati o trasformati in laboratori ad uso comune.
La dimensione collettiva si mantiene anche nell’organizzazione del lavoro: questi gruppi di ambulanti si organizzavano
al proprio interno in compagnie di 15-20 persone e diretti da uno o più capi di anziani o esperti del mestiere. Si partiva
in gruppo e guidati dal venditore ambulante più anziano5, si dava vita a vere e proprie “società di mutuo soccorso” in
miniatura: infatti, l’ordinamento interno era disposto in modo che tutti fossero sia lavoratori che soci, se non nel capitale
almeno nel guadagno che veniva diviso a fine stagione.
Il prossimo paragrafo cercherà di elaborare un’ipotesi riguardante l’incontro tra il gelato e gli abitanti di queste due valli
sviluppando così un particolare know-how che ha saputo resistere nel tempo.
4”Mia
bisnonna da parte di padre lavorava come cuoca a servizio delle imprese che venivano qua su a costruire le
ferrovie la gallerie per esempio.” (intervista gelatiere, n.1)
5L’anziano
del gruppo aveva il compito di riscuotere gli incassi della giornata e di gestirli: venivano divisi tra tutti
oppure indirizzarti per gli inconvenienti, come la riparazione del carretto o degli strumenti di lavoro.
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“Un buon gelatiere vien di sicuro dalla montagna”
Il dibattito riguardante le differenti ipotesi sulle origini del gelato e sulla sua maternità6 è abbastanza controverso, per
non dire confuso. Una delle ipotesi riguarda le tecniche di “refrigerazione delle sostanze dolci” che si sono sviluppate
durante l’epoca antica7.
In accordo con quanto scrivono Capatti e Montanari ne La cucina Italiana, durante il Seicento il sorbetto diventa un
prodotto venduto in apposite botteghe nelle città di Venezia e anche a Napoli: è proprio nella città di Venezia che
verosimilmente avviene il primo incontro tra zoldini e cadorini con il gelato. Insieme all’ipotesi che vede gli abitanti
delle vallate lavorare a servizio presso le case della borghesia veneziana e austroungarica, dove avrebbero appreso il
mestiere di confezionare creme e mantecarle c’è quella del ruolo della cultura del freddo che i contadini-montanari
possedevano.
La famiglia contadina gioca un ruolo fondamentale per lo sviluppo di questo particolare know-how poiché rappresenta il
luogo in cui si svolge una serie diversificata di attività produttive che ben si adattano al mestiere del gelatiere artigianali:
oltre alla già citata cultura del freddo, erano in grado di lavorare il latte e la panna e, avendo maturato esperienze come
falegnami o nel trattamento del ferro, erano in grado di produrre e affinare gli attrezzi volti alla realizzazione del gelato.
“Parlando dei tempi nostri, una cosa è fuori discussione: i primi gelatieri dell’era moderna furono i cadorini,
forse per l’abbondanza di ottime materie prime come il latte, la panna, le uova, i frutti di bosco, ma anche di
neve e ghiaccio naturali, e di luoghi naturalmente refrigerati anche d’estate come grotte ed acqua di torrente.”
Giunto dunque nella provincia bellunese, il gelato continua il suo viaggio verso l’estero8: avendo imparato “a fare il
gelato”, cadorini e zoldini si cimentano con la vendita al dettaglio di questo “nuovo” prodotto gastronomico che molto
presto diventerà il simbolo del mangiare italiano in paesi stranieri. Per quel che riguarda la cucina tedesca, questa
comincio un “processo di italianizzazione” (Bernhard 2006) alla fine del XIX secolo, proprio quando cominciarono ad
arrivare i primi gelatieri cadorini e zoldini; ad affermare ancora di più questo processo ha contribuito notevolmente il
miglioramento del trasporto su strada e rotaia insieme ad un aumento del benessere dei tedeschi, per cui molti prodotti
6Ho
scelto il termine maternità perché molto spesso, sia tra l’opinione pubblica che in alcuni libri, Caterina de
Medici viene identi9icata come la 9igura “mitica” che ha veicolato l’uso del gelato italiano nella forma moderna
diffondendolo oltralpe.
7Diversi
studi infatti dimostrano che nel periodo antico si usava refrigerare la frutta ed il latte con l’aggiunta di
miele, visto che lo zucchero prima dell’arrivo degli Arabi era sconosciuto. Come esempio di quanto riportato,
possiamo riportare l’ampio uso di neve e di ghiaccio miscelati insieme alla frutta e serviti come dolce freddo
durante i banchetti durante la Roma imperiale. Mescolare neve o ghiaccio con acqua, con il vino o con altre
bevande prende il nome di “bere fresco” ed è riconosciuta come una moda del tutto italiana che si diffonde in
Italia e poi negli altri paesi europei. Da questi mescolamenti nasce il sorbetto, oggetto di una mitologia che ne
attribuisce la diffusione a Caterina de Medici (Capatti, Montanari 1999 p.131).
8”Noi
non è che abbiamo inventato il gelato, siamo stati solo bravi a farlo conoscere in giro” (intervista gelatiere,
n.2)
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italiani cominciarono a venire importanti portando così la Germania ad essere il principale paese di importazioni di
prodotti italiani.
La migrazione dei gelatieri
E’ bene tenere a mente che il fenomeno migratorio preso in esame è un tipo di emigrazione di qualità che, secondo
Audenino rappresenta un carattere tipico del versante nord-orientale delle Alpi; gli zoldini e i cadorini quando si
spostano all’estero portano con sé un particolare di know-how che li va a qualificare come una migrazione di
professionisti artigianali.
I fattori che vanno a determinare la scelta di recarsi all’estero sono di due ordini: sicuramente i mercati stranieri
consentivano dei margini di guadagno più ampi ed in secondo luogo il mercato italiano era saturo, così da vedere in
quello straniero un terreno da conquistare (Storti 2007).
Per comodità, la periodizzazione dei percorsi migratori può essere suddivisa in tre grandi fasi: una prima fase che vede
l’inizio e l’espansione della mobilità stagionale verso le grandi città del Lombardo-Veneto9, verso Vienna e le altre città
dell’Impero Austro-Ungarico dagli anni Quaranta dell’Ottocento fino alla Grande Guerra e nella quale hanno giocato un
ruolo molto importante le reti parentali.
In questo arco temporale il gelato si diffonde e si afferma nella gastronomia straniera; viene infatti accolto nel mercato
austriaco10 con particolare interesse tanto che innanzi al successo del “carrettino dei gelati” i pasticceri autoctoni,
attraverso pressioni di tipo politico, cercarono di contenere il successo dei gelatieri.
“Nel 1894 l’amministrazione viennese negò la qualifica e la licenza di venditori ambulanti ai valligiani zoldini
e cadorini per evitare che soffocassero con la loro concorrenza i venditori di dolciumi austriaci. I gelatai
bellunesi pensarono allora di affittare dei piccoli negozi; li arredarono con panche e li illuminarono con una
lanterna… presero vita le prime gelaterie artigiane.”
Con questo divieto, l’amministrazione politica non fece altro che contribuire alla moderna diffusione delle gelaterie
italiane: la risposta, di una parte almeno dei gelatieri, è stata quella di rinunciare alla vendita ambulante, rilevando dei
locali da trasformare in gelaterie senza rinunciare alla stagionalità della loro presenza all’estero.
La seconda fase migratoria invece vede uno sviluppo dell’aria geografica della migrazione che porta ad una
concentrazione di gelatieri in Germania, nell’allora Repubblica Federale Tedesca specialmente nelle principale città
industriali o nelle vicinanze del bacino del Reno e della Ruhr. Questa fase comincia con la fine del secondo conflitto
9Sebbene
il mercato italiano fosse ritenuto saturo, una minoranza di gelatieri optò per migrare all’interno del
paese, sia al nord Italia (Lombardo Veneto, soprattutto Milano e Venezia) sia in zone centrali come la Toscana.
Secondo la ricerca di Luca Storti chi ha optato per una migrazione interna ha rinunciato alla mobilità stagionale
così da favorire un inserimento a lunga durata, dato che le gelaterie in Italia sono aperte tutto l’anno.
10La
cucina austro ungarica ha una forte presenza di dolci.
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mondiale e continua fino agli anni Sessanta, quando la migrazione dei gelatieri si mescola con quella, sempre italiana,
proveniente dal Sud Italia11.
La scelta di giungere nella Repubblica Federale Tedesca non fu del tutto causale: lì c’erano già molti gelatieri che si
erano abbastanza affermati prima dello scoppio della conflitto, ma sono soprattutto le condizioni economiche e
burocratiche migliori che diventano determinanti. Il gelato diventa un prodotto molto presente nella cucina “mangiare
dei tedeschi” e i margini di guadagno per un’attività commerciale si allargavano.
Infine, la terza fase migratoria, che si sviluppa dagli anni Ottanta in poi, subisce due cambiamenti significativi in
relazione l’uno con l’altro: si nota un allargamento delle zone di provenienza dei gelatieri12 che porta ad una maggiore
diffusione dell’attività imprenditoriale, tanto da portare il nucleo originario a cercare manodopera “straniera”13.
Vivere la stagionalità
Dopo aver inquadrato a grandi linee il fenomeno migratorio, il focus di questo paper si sposta sulla tematiche del lavoro
autonomo: non stiamo parlando più delle prime forme di gelatieri che si organizzavano e spostavano in gruppo di
ambulanti, bensì dell’evoluzione della forma imprenditoriale: la gelateria.
Per cominciare un’analisi di questa forma di organizzazione del lavoro, il presente paragrafo si concentra sugli aspetti
particolari che hanno caratterizzato questa migrazione, sia sul piano dell’integrazione che in quello della
socializzazione. Come già accennato nel secondo paragrafo, la particolarità della stagionalità viene dettata da alcune
scadenze precise; il “fare la stagione” si traduce così in uno stato d’animo ed in un modo di essere che caratterizza
tradizionalmente la Val di Zoldo e il Cadore. Tradizionalmente perché molto spesso l’essere ambulanti stagionali si
tramandava di padre in figlio, di generazione in generazione e in qualsiasi zona ci si trovasse lo sguardo nostalgico
verso le proprie radici era molto forte.
Questa visione tradizionale dell’esperienza stagionale ha delle influenze sull’organizzazione del lavoro e sulle relazione
interpersonali da mantenere sia all’estero che in Italia: si tratta di ricadute molte forti che vanno anche a condizionare la
scelta del coniuge e l’educazione dei figli (Campanale 2006).
La scelta del coniuge ricade sempre tra le donne del paese d’origine, così da non smentire il detto popolare “mogli e
buoi dei paesi tuoi”, mentre l’educazione che doveva essere impartita ai figli doveva essere rigorosamente italiana. I
figli frequentano la scuola dell’obbligo in Italia:
11Terminato
il secondo con9litto mondiale, attraverso degli accordi tra diversi Stati il 9lusso migratorio viene
regolato e indirizzato verso alcuni paesi come il Belgio e la Francia poiché i tassi di disoccupazione sono più bassi
e la domanda di lavoro straniera è molto richiesta. E’ solo verso la seconda metà degli anni Cinquanta che la
Germania diventa il punto di arrivo dei 9lussi migratori italiani: la tragedia di Marcinelle interrompe
temporaneamente gli spostamenti verso il Belgio mentre la Francia non è più in grado di offrire condizioni
salariali adeguate rispetto al 9iorente mercato tedesco. Nel 1955 viene siglato il primo accordo bilaterale tra Italia
e Germania per lo scambio di manodopera (Mantelli 1993)
12Nuovi
gelatieri cominciano arrivare da altre zone d’origine, come Longarone o Vittorio Veneto.
13Con
il termine straniero si vuole indicare la manodopera che proviene da zone diverse da quelle d’origine dei
gelatieri.
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Nelle fonti orali della Campanale si legge che:
“E’ giusto fare le scuole in Italia per la propria identità. Se sai dove hai le proprie radici, sai sempre da dove
sei partito e chi sei.”
Gli stagionali attribuiscono una importanza elevata al sistema scolastico italiana, non tanto riferendosi al suo
funzionamento bensì alla costruzione dell’identità italiana così da non sentirsi degli stranieri qualunque all’estero
(Campanale 2006)
Mantenere una propria italianità, ma ci sono altre ragioni che vanno ad influenzare la scelta dell’istruzione italiana come
l’estrema rigidità del sistema scolastico tedesco e una decisione legata al carattere stagionale: la frequenza infatti delle
scuole tedesche avrebbe senso in un caso di migrazione stabile e permanente, oltre che di tutto il nucleo familiare.
I figli rimangono in Italia, accuditi dagli zii o dai nonni a tempo pieno; presa la licenza media i figli si trovano a dover
decidere se lasciare la scuola, inserendosi così nella forza lavoro della gelateria e proseguire l’attività oppure procedere
negli studi.
Rappresenta un altro tratto particolare quello della scelta dei dipendenti durante il periodo della stagione. I primi
gelatieri mantengono il bacino di riferimento della loro manodopera nella zona di origine: assunti da quali che possiamo
definire gli iniziatori, una volta diventati loto imprenditori riproducono questo meccanismo di reclutamento. L’aver
mantenuto le catene di reclutamento del personale radicate a Zoldo o in Cadore, porta a delle conseguenze sulla
trasmissione della professione.
La comune provenienza di chi lavora nelle gelaterie è il risultato di una deliberata scelta imprenditoriale, tesa a
evidenziare la connotazione etnica del prodotto oltre ad essere un altro degli strumenti adoperati dai gelatieri per
mantenere il gruppo chiuso di fronte all’invasione di altri attori economici concorrenti.
Quando i nuovi dipendenti arrivano in Germania c’è bisogno di una sistemazione abitativa; questa viene rimediata dai
gelatieri titolari che si prendono la responsabilità dell’alloggio, ed in alcuni casi del vitto.
Nella maggioranza dei casi le gelaterie hanno come titolare il capofamiglia maschio e necessitano di una manodopera
flessibile e poco costosa. Il periodo della stagione non è stabile ed è solo nei periodi centrali dell’estate che la domanda
di gelato si fa più insistente, in questo periodo dunque c’è maggior bisogno di forza lavoro.
Una ricerca cade anche tra le mogli dei titolari; si cerca manodopera femminile perché poco costosa, interna alla
famiglia e flessibile perché in grado di coniugare i tempi del lavoro con il tempo da dedicare alla gestione famigliare e
al lavoro domestico.
La moglie del gelatiere rappresenta dunque l’elemento maggiormente flessibile poiché passa dalle mansioni in gelateria
alla casa: è pronta a far ritorno in Italia anche durante la stagione a fronte delle necessità specifiche dei figli.
Per esempio se c’è da parlare con i professori, alla consegna della pagella o in caso di emergenze. La ricerca di Storti
evidenzia una situazione particolare, quella nella quale i titolari dell’attività sono più fratelli: qui l’unità di riferimento
non è più la famiglia nucleare bensì quella estesa. I nonni si mantengono il punto fermo per accudire i figli mentre le
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mogli organizzano un turn over con il quale ognuna di loro riesce ad essere sempre presente per i figli o i nipoti (Storti
2007).
Da lavoro dipendente a lavoro autonomo
Questo paragrafo sposta l’attenzione sui gelatieri che, nel corso della loro carriera, decidono di avviare la propria
attività imprenditoriale.
Il lavoro sulle interviste che ho potuto svolgere, insieme ad una disamina di quelle effettuate da Luca Storti nella sua già
citata ricerca ed esaminando anche altri materiali sui gelatieri cadorini e zoldini mi sento di ipotizzare che i soggetti
erano mossi da uno spirito imprenditoriale di tipo autonomo quando migravano:
“E’ stata mia madre, mia madre aveva l’idea che ciascuno dovesse avere la sua gelateria. Aveva già lavorato
in gelateria e aveva l’idea di mettersi in proprio. Poi noi avevamo uno zio che aveva già la gelateria a
Stoccarda. (…) Poi mia madre dopo un tira e molla ha deciso per il sì e lo ha mandato, dicendo che poi un
domani aveva la possibilità di mettersi in proprio. Poi si vedeva che il mercato tedesco prometteva
bene.” (Storti 2007)
In alcuni casi i progetti imprenditoriali autonomi vengono sviluppati addirittura prima della messa in atto del processo
migratorio.
Il passaggio al lavoro autonomo non si presenta come una semplice frattura nel corso della vita, bensì rappresenta
l’apice di un percorso coerente che avviene all’interno di una carriera lavorativa sviluppatasi in maniera lineare.
L’idea di svolgere un lavoro stagionalmente come semplice dipendente diventa insufficiente davanti alle ambizioni dei
soggetti, quindi comincia a prende forma un’alternativa: si rientra definitivamente in Italia oppure si prosegue ancora
una carriera come lavoratori dipendenti con il fine ultimo però di poter aprire una propria gelateria.
L’idea di mettersi in proprio nasce nel momento in cui si entra in contatto con il lavoro in gelateria, quindi si tasta di
prima mano l’artigianalità della professione, trovando così un terreno adeguato in cui far esprimere il desiderio
preesistente di lavoro autonomo.
Per realizzare le proprie idee ed avviare la propria gelateria c’è bisogno di investimenti concreti; dunque una delle
questioni da affrontare è quella relativa ai costi di avviamento della propria attività imprenditoriale.
Una buona fetta del capitale economico di partenza viene destinata all’allestimento del laboratorio e all’arredamento del
locale che rappresentano due “comparti” molto importanti per l’immagine del gelatiere e del gelato italiani all’estero:
Preso atto dell’origine del prodotto insieme alla tradizione che si porta dietro, tutte le componenti e gli strumenti
necessari a realizzare il gelato sono italiani. Così facendo, le gelaterie italiane in Germania riescono a mantenere un
legame con alcune delle realtà produttive del Veneto creando un distretto transnazionale del gelato.
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Il settore si presenta con alcune barriere d’accesso di carattere economico relativamente elevate, portando i gelatieri a
ricorrere a dei prestiti, che insieme ai risparmi e al denaro della famiglia di origine forma il capitale di partenza.
E’ ancora una volta la famiglia che riveste il ruolo più importante, facendosi ancora l’unità di riferimento nella
creazione del processo imprenditoriale: se ha preso il via un’emigrazione sui generis con un forte carattere sia
imprenditoriale che artigianale è proprio grazie al supporto delle relazioni sociali delle zone d’origine delle famiglie.
Infatti, si tratta di rapporti definiti dall’attività contadina autonoma, dalla piccola impresa e dal lavoro nel commercio
(Bagnasco 1988); l’affermazione può far riferimento alle realtà economiche del Veneto che, sempre per Bagnasco,
individuano la mezzadria e la realtà familiare come motore di sviluppo dell’attuale piccola impresa.
Nella transizione da lavoro dipendente al lavoro autonomo, la famiglia di provenienza offre risorse riconducibili sia a
forme di capitale economico ma soprattutto a forme di capitale umano: questo perché all’interno della dimensione
familiare si sono formate delle personalità dotate di una ben precisa etica del lavoro.
Anche l’organizzazione della famiglia ha aiutato la formazione delle carriere: c’è una gestione unitaria delle riscorse
economiche con la costruzione d’imprese di famiglia oppure c’è una gestione maggiormente articolata, nella quale le
iniziative imprenditoriali vengono pianificate a livello familiare.
Conclusioni
Da questa analisi i gelatieri tradizionali possono venire considerati come un gruppo imprenditoriale che ha saputo dare
il via a un modello longevo che si è caratterizzato in maniera specifica.
Una prima caratterizzazione è quella della provenienza geografica: emerge che l’emigrazione dei gelatieri italiani verso
la Germania è essenzialmente un’emigrazione maschile di provenienza localizzata in una fascia montana del Veneto. I
flussi migratori della Val di Zoldo e del Cadore non solo corrispondono ai meccanismi di espulsione dalle zone di
provenienza ma corrisponde anche ad una strategia imprenditoriale ben precisa.
Guardando da vicino la strategia imprenditoriale messa in atto dai gelatieri, sia quelli che possiamo identificare come i
pionieri del gelato italiano all’estero che quelli più recenti, possiamo trovare alcune specificità, come ad esempio la
stagionalità.
Aver dato vita ad una tradizione di lavoro autonomo stagionale ha portato i gelatieri ad avere una doppia dimora e di
scindere a livello spazio-temporale la propria vita sociale e lavorativa. La Germania viene vista come il luogo di lavoro
così da rendere l’inserimento relativo alla vita professionale mentre nei mesi invernali, che vengono trascorsi in Veneto,
si ha una vita sociale più attiva. La natura dello stagionale è dunque di per sé duplice: è legata ai ritmi della stagione e
alla condizione costante di di uno sdoppiamento che con il tempo diventa assai profondo da non rendersene conto. Si
rimane italiani ma la Germania comincia a diventare l’altro sé, il luogo in cui per anni si fa ritorno; immagine del
continuo migrare che va a caratterizzare le popolazioni montane di confine.
L’integrazione nella società ospitante si può definire parziale ed ha dei costi sociali: il prezzo più alto è sicuramente la
difficoltà di conciliare la vita lavorativa con la famiglia. Spesso però l’integrazione viene confusa con il successo
lavorativo: si tende a pensare infatti che il successo economico favorisca l’integrazione sociale, l’accettazione e il
rispetto della comunità locale creando un rapporto di fedeltà con la clientela tedesca. Nel caso dei gelatieri però avviene
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il contrario: chi raggiunge una buona posizione economica può permettersi di mantenere anche i legami con la terra
d’origine grazie alla forza e alla coesione del gruppo (Bovenkerk e Ruland 1992).
Per quel che riguarda il progetto imprenditoriale emerge che il percorso di carriera che si vuole intraprendere è ben
delineato al momento di lasciare le zone di origine. Emigrare diventa un’esperienza di formazione della propria
professionalità; si cerca un lavoro come gelatiere all’interno delle gelaterie già avviate da connazionali perché
intenzionati a migliorare il proprio know how con l’obiettivo di mettersi in proprio.
Il punto di partenza di questo percorso intrapreso dei gelatieri è l’individuo, l’individuo non da solo bensì assieme al
suo sistema di relazioni sociali e culturali. Esistono delle forme di fiducia reciproca e delle pratiche cooperative che si
mantengono nel tempo, che giocano un ruolo fondamentale in almeno due ambiti.
Il primo riguarda l’operazione culturale con la quale si creano le basi dell’ordinamento professionale dei gelatieri: il
saper fare e il suo apprendimento è molto legato alla trasmissione che avviene sia per via generazionale sia all’interno
del gruppo dei gelatieri. Questa forte vitalità associativa e tra connazionali porta a considerare il gruppo come chiuso: la
chiusura però va intesa non in modo negativo. Infatti, si è potuto notare una forte tendenza al cooperativismo e al senso
di comunità in tutti gli ambiti: dalla vita all’estero fino ad arrivare alla condivisione dei laboratori e degli strumenti di
lavoro, tanto da far pensare ad una forma antesignana degli attuali co-working.
Il secondo ambito fa riferimento alla famiglia d’origine dei gelatieri. E’ emerso che questa migrazione ha preso il via
grazie al supporto delle relazioni sociali delle famiglie delle zone di origine. Infatti, non solo la famiglia ha fatto da
serbatoio di capitale sociale per raggiungere gli obiettivi economici ma ha avuto anche un ruolo fondamentale nella
costruzione dell’identità. Pur avendo un approccio positivo con la Germania, i gelatieri hanno una forte conoscenza
etnica trasmessa dal modello familiare. Per concludere, tutti gli sforzi, sia individuali che collettivi sono indirizzati
verso la realizzazione del gelato; questo dolce diventa il simbolo del mangiare Italienisch-Essen ma anche l’approdo al
lavoro autonomo, frutto di una motivazione personale socializzata a livello familiare e comunitario.
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Carocci
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