Nothing Special   »   [go: up one dir, main page]

Academia.eduAcademia.edu
Atlante dell’immigrazione a Bergamo ATLANTE DELL’IMMIGRAZIONE A BERGAMO La diaspora cinese a cura di Emanuela Casti e Giuliano Bernini il lavoro editoriale / università L’apparato cartografico del presente volume è stato realizzato presso il Laboratorio di cartografia dell’Università di Bergamo: • ideazione e progettazione di Emanuela Casti • raccolta dati statistici e di terreno di Silvia Crotti, Alessandra Ghisalberti, Roberta Grassi, Ada Valentini e Qiyan Zhan • realizzazione di tutte le tavole e i grafici di Francesca Falzarano e Alessandra Ghisalberti • fotografie di Alessandra Ghisalberti e Qiyan Zhan © 2008, Università degli Studi di Bergamo Atlante dell’immigrazione a Bergamo La diaspora cinese a cura di Emanuela Casti e Giuliano Bernini ISBN 978 88 7663 424 6 Pubblicato con il contributo di: • Dipartimento di Scienze dei Linguaggi, della Comunicazione e degli Studi culturali, Università degli Studi di Bergamo • Presidenza della Provincia di Bergamo il lavoro editoriale / università, Ancona (Progetti editoriali srl - cp 297 - 60100 Ancona) www.illavoroeditoriale.it Sommario Introduzione Le tante migrazioni di Giuliano Bernini ed Emanuela Casti pag. 7 Capitolo 1. La diaspora cinese e il territorio in movimento di Emanuela Casti » 13 Capitolo 2. La lingua cinese e i suoi dialetti: una mappa linguistica di Giuliano Bernini » 33 Capitolo 3. Un gigante in movimento: la Cina fra tradizione e modernità di Silvia Crotti » 53 Capitolo 4. Cinesi d’Europa: territori in rete di Silvia Crotti » 75 Capitolo 5. Cinesi di Bergamo: il territorio urbano e il sistema abitativo di Alessandra Ghisalberti » 105 Capitolo 6. Alla conquista del mercato: un processo di territorializzazione economica di Alessandra Ghisalberti » 129 Capitolo 7. La scuola, una realtà multiculturale di Alessandra Ghisalberti » 159 » 185 SCENARI DI RIFERIMENTO LA DIASPORA IN TRASPARENZA Capitolo 8. Le lingue tra i Cinesi d’Italia di Ada Valentini Capitolo 9. Educazione interculturale: il progetto ALIS di Roberta Grassi pag. 205 Appendice di Qiyan Zhan » 219 Indice delle tavole, figure e grafici » 225 Bibliografia » 227 Gli autori » 239 7 INTRODUZIONE Le tante migrazioni di Giuliano Bernini ed Emanuela Casti Per le diverse provenienze, i diversi retroterra linguistici e culturali, le diverse motivazioni, i migranti non possono essere ricondotti a un insieme con presupposti e obiettivi comuni. La figura del migrante è per sua natura poliedrica e multiforme e non esiste un immigrato “tipo” le cui caratteristiche accomunino tutti gli stranieri che vivono in un dato Paese, come, nel caso qui trattato, l’Italia. Benché condividano la mobilità dal Paese di origine a quello di approdo, qui gli immigrati costituiscono gruppi caratterizzati da profonda diversità e varietà culturale. Ne consegue che le politiche migratorie devono sapersi dispiegare in questo panorama variegato, dotandosi di strumenti atti a coglierne la pluralità, evitando di imporre interventi basati su una conoscenza generica dell’immigrato. L’adeguatezza di politiche migratorie efficaci è funzione dell’impegno a conoscere i tratti culturali dei gruppi di immigrati, le logiche che ne sostengono il progetto migratorio, la propensione all’integrazione o al contrario il rifiuto di essa. L’approccio qui delineato va applicato con urgenza in relazione al panorama della mondializzazione in cui oggi si situano i processi migratori, che comportano territori senza frontiere, mobilità accelerata, informazione globale, con dinamismo che può essere colto nel suo significato pieno, solamente assumendo nuove ed adeguate categorie analitiche di interpretazione. Infatti non è più sufficiente considerare il luogo di partenza e quello di approdo come punti isolati senza contesto, ma è necessario individuare l’insieme dei territori che la mobilità mette in contatto. In tale prospettiva, si assume come categoria analitica il territorio in rete, privilegiando lo studio degli intrecci, dei nodi, delle interconnessioni nel segno della migrazione. Si delinea così la nuova frontiera geografica che contribuisce a specificare la portata sociale del cambiamento in atto a livello sia regionale sia locale. La migrazione non è più intesa in senso riduttivo come un movimento di popolazione che trasferisce o richiama individui in un determinato luogo; la migrazione è l’esito dell’incontro di soggetti che, al di là della loro origine, plasmano le forme di quel luogo e ne forniscono le rappresentazioni. Accanto al territorio in rete, la Geografia assume una seconda categoria analitica: la territorialità. Questa è intesa come lo studio dell’insieme delle pratiche che una comunità mette in atto per costruire il proprio luogo di vita in uno specifico contesto territoriale. Risultato di questo approccio è il presente volume, un Atlante che indaga l’immigrazione cinese a Bergamo, recuperando la territorialità come manifestazione dinamica delle radici culturali della diaspora, che si esprime tramite rappresentazioni multiscalari. Il territorio costruito dall’immigrazione cinese, infatti, esibisce la propria identità mediante simboli e artefatti che, pur nella loro aleatorietà, rimandano ai valori propri della diaspora. Quest’ultima, lungi dall’esaurirsi nell’ancoraggio a valori della tradizione cinese, recupera ciò che il cambiamento e l’esperienza della mobilità producono in un insieme di rappresentazioni che variano nel tempo e nello spazio. Così, le rappresentazioni attraverso cui l’identità si manifesta sono alimentate da un sistema circolare di valori che nel tempo si interseca a livello transcalare: valori prodotti a scala locale vanno ad ali- 8 Atlante della diaspora cinese mentare quelli tradizionali delle reti globali che, a loro volta, si riverberano sui primi dando luogo a nuove forme territoriali. Non c’è dubbio, infatti, che l’inserimento di nuove comunità nelle nostre città frammenti e rimodelli i territori e con essi moltiplichi le territorialità preesistenti. Si tratta di una ricomposizione dei territori preesistenti che, seppur coagulati attorno a un’idea di identità nazionale mediante un processo lungo e non senza lacerazioni, ha costituito nel tempo il luogo di riconoscimento e di appartenenza, per i Bergamaschi nel nostro caso, oggi messo in discussione dai migranti. Tale processo di ricomposizione, che spesso genera incertezza e spaesamento negli abitanti del luogo, tuttavia, più che minacciare la coesione identitaria ne arricchisce le forme e ne alimenta la consistenza. Difatti è stato dimostrato che le forme di contatto tra sistemi sociali differenti innescano reciproche spinte evolutive. Per esempio, contrariamente a quanto accade in altre città italiane dove la presenza della comunità cinese numericamente più rilevante ha dato luogo a veri quartieri etnici, a Bergamo gli immigrati cinesi si inseriscono nelle aree cittadine senza demarcare confini ma, piuttosto, creando forme di convivenza integrate. Ciò non esclude che gli ambienti privati dell’immigrazione cinese siano chiusi e gelosamente protetti: essi rappresentano un territorio del sé etnico entro cui si svolgono le molteplici funzioni riservate esclusivamente agli appartenenti al clan o alla comunità cinese più ampia. Tuttavia, la loro distribuzione omogenea nel tessuto urbano garantisce una presenza silenziosa che si fa accettare e induce a una consapevolezza dell’Altro che non richiede in cambio contropartite di assimilazione o integrazione. A questo proposito, va ricordato che l’integrazione non costituisce l’unica modalità che favorisce la creazione di territori multiculturali. Al contrario, essa prevede un insieme di azioni che devono essere compiute dalla società di accoglienza e che impongono una figura di immigrato debole, universalmente interessato a raggiungerla. Ciò non va necessariamente incontro alle finalità di tutte le realtà migratorie, o almeno non a quella cinese, dal momento che sono gli stessi presupposti della diaspora che escludono l’integrazione come meta da raggiungere. Il luogo in cui si è deciso di vivere e dove l’integrazione sarebbe conseguita è una posta in gioco meno importante rispetto al mantenimento di un territorio in rete che garantisce l’appartenenza alla diaspora e dunque a una società disseminata nel mondo, la cui forza risiede proprio nel ribadire l’identità di rete. La responsabilizzazione dell’immigrato cinese e il suo assurgere a interlocutore attivo nella società locale non passano dunque attraverso l’integrazione. Tenendo invece conto delle specificità di funzionamento del sistema della diaspora, il progetto di costituzione di una società multiculturale può essere perseguito mediante il raggiungimento di una condivisione dei valori che l’incontro ha creato e la capacità di dotarsi di strumenti idonei agli specifici contesti culturali che si sono prodotti. Una volta abbandonata l’idea che l’obiettivo da perseguire sia il mero ottenimento di una convivenza non conflittuale di gruppi culturalmente diversi, ma che sia invece la creazione di una società plurale e multiculturale, gli interventi vanno effettuati mediante modalità alternative come la governance. Questa prevede l’attuazione di una società multiculturale mediante un congiunto e paritetico ruolo di responsabilità delle comunità implicate che, pur ricoprendo differenti posizioni a seconda che appartengano alla società ospitante o alla comunità immigrata, partecipano ai tavoli di concertazione con uguale dignità e responsabilità. La governance tenta di coniugare una strategia di adattamento nella risoluzione di contese interetniche, favorendo la ricomposizione dei ruoli e dei contenuti dell’azione politica. In termini generali, la governance definisce una modalità di azione pubblica diversa rispetto a quella di tipo istituzionale nel governo della città e del territorio. Mentre il governo della città prefigura come centrale il ruolo dell’attore pubblico, la governance prefigura una modalità di intervento basato sulla flessibilità, sul partenariato e sulla volontarietà della partecipazione. Le tante migrazioni Naturalmente il processo della composizione di una società multiculturale è lungo e irto di difficoltà e deve trovare un complesso di regole sulle quali ancorare operativamente le azioni da intraprendere a partire dall’uno e dall’altro contesto culturale. Tra di esse risulta prioritaria l’individuazione degli interlocutori, la cui rappresentatività è conseguente all’autorevolezza che viene loro riconosciuta all’interno del gruppo immigrato. Sul fronte cinese, a questo proposito, esiste un organismo di particolare rilevanza: l’associazione tra connazionali, in cinese xié huì, che sa far rispettare sul territorio della diaspora le convenzioni sociali, giuridiche, economiche della tradizione cinese non antagonista rispetto alle norme italiane. Il coinvolgimento delle xié huì corrisponde all’adozione di una non ancora usuale strategia di politica dell’immigrazione che sfata eventuali allarmismi derivanti dalla non completa consapevolezza della complessità del problema. Nell’attuale contesto di accelerazione dei flussi di migrazione, una strategia di questo tipo può anche aiutare a prevenire le intrusioni di logiche clientelari, di tipo criminale, nell’organizzazione tradizionale cinese, che mettono a rischio la convivenza finora garantita dalla congiunta azione della comunità immigrata e delle istituzioni italiane. L’Atlante è aperto da due capitoli introduttivi. Il primo, di Emanuela Casti, imposta e specifica il nesso concettuale del territorio in rete, approfondendo le categorie di analisi da esso derivate nello specifico dell’immigrazione cinese in Italia. Il secondo, di Giuliano Bernini, introduce le caratteristiche della lingua cinese, essendo la lingua il sistema privilegiato di veicolo delle identità culturali. In seguito, il terzo capitolo di Silvia Crotti recupera le condizioni culturali e sociali che l’immigrato cinese affronta nel suo Paese di origine quale motore iniziale del progetto migratorio. Sempre Silvia Crotti, nel quarto capitolo, considera la rete di legami che gli immigrati cinesi nei Paesi d’Europa intessono tra loro e con la Madrepatria e il resto del mondo. Di particolare rilievo, in questo capitolo, è l’illustrazione del fatto che la diaspora è considerata in Cina una risorsa interna congruente con l’obiettivo di consolidare e promuovere la cultura cinese nel mondo e i migranti godono pertanto dell’appoggio politico del loro Paese. Osservando più da vicino la diaspora cinese nella realtà locale, Alessandra Ghisalberti ne delinea la distribuzione abitativa nel quinto capitolo, la presenza economica soprattutto in forme basate su rapporti di tipo familiare nel sesto, l’accesso alle istituzioni scolastiche come punto di partenza per la costituzione di una società multiculturale nel settimo. L’ottavo capitolo, di Ada Valentini, affronta il problema dell’acquisizione dell’italiano da parte dei Cinesi, fattore cruciale per l’instaurarsi di rapporti di fiducia con la società ospite, mostrandone difficoltà e percorsi caratteristici e dandone ragione. Infine, nel nono capitolo, Roberta Grassi approfondisce il tema della presenza di allievi cinesi nelle scuole bergamasche con dati statistici e considerazione dei programmi adottati negli ultimi anni per favorire l’apprendimento non solo linguistico, ma anche di discipline istituzionali. Il volume, corredato di figure, tabelle e carte tematiche, è chiuso da una bibliografia delle fonti bibliografiche e statistiche utilizzate, nella prospettiva di esplicitare la metodologia seguita e rendere trasparenti i risultati conseguiti. L’Atlante si confronta per forza di cose anche con la realtà linguistica degli immigrati cinesi, non solo nel capitolo introduttivo dedicato alla lingua, ma anche nella spiegazione e nell’utilizzo di parole chiave cariche di connotati culturali che spesso sono di difficile, e anche macchinosa, traduzione in termini di realtà culturale italiana. Ne è un esempio l’espressione relativa alle associazioni di connazionali qui utilizzata. Per permettere un contatto favorevole con i termini cinesi, questi sono stati trascritti secondo la normativa ufficiale della Repubblica Popolare Cinese nel sistema ortografico pīnyīn, che usa caratteri latini con diacritici che segnalano il tono su cui vanno pronunciate le singole sillabe. Ne è esempio l’espressione xié huì, che designa le associazioni di connazionali, e che potrà quindi essere letta (magari con più attenzione ai toni per chi avrà 9 10 Atlante della diaspora cinese avuto la pazienza di leggere il capitolo introduttivo sulla lingua), ricordata e riutilizzata, senza dover affrontare il duro e lungo percorso di studio e di identificazione dei caratteri ideografici in uso per scriverla, cioè , come già visto sopra. Infine, va ricordato che questo Atlante è il secondo volume della collana dedicata all’immigrazione nella bergamasca. Il primo, uscito nel 2004 a cura di Emanuela Casti, era dedicato all’Africa (E. Casti, a cura, Atlante dell’immigrazione a Bergamo. L’Africa di casa nostra, Bergamo University Press, Bergamo, 2004). La serie dell’Atlante dell’immigrazione, per le premesse teoriche su cui è basata e il rigore empirico con il quale sono analizzati i dati, statistici e non, costituisce uno strumento utile per la riflessione sulle politiche migratorie da parte di chi ha la funzione pubblica di elaborarle e, nello stesso tempo, un momento di concertazione – nel senso dell’incontro interculturale descritto qui sopra – tra il mondo della ricerca universitaria, nella fattispecie geografica e linguistica della Facoltà di Lingue e letterature straniere dell’Università di Bergamo, e la città di Bergamo nel suo intero complesso sociale. Testimonianza concreta dell’atteggiamento di concertazione qui auspicato è stata data dalla Provincia di Bergamo, che ha contribuito alla stampa di questo volume e al cui Presidente, Valerio Bettoni, i curatori sono particolarmente grati. Il volume ha avuto inoltre il contributo del Dipartimento di Scienze dei linguaggi, della comunicazione e degli studi culturali dell’Università degli Studi di Bergamo, a cui va pure la gratitudine dei curatori. SCENARI DI RIFERIMENTO 13 CAPITOLO 1 La diaspora cinese e il territorio in movimento di Emanuela Casti 1. Movimento e cambiamento Nel panorama della mondializzazione, la migrazione riveste un significato inedito che va decifrato in relazione all’attuale configurazione assunta dal territorio sia in senso spaziale sia temporale: territori senza frontiere, nuove distanze, mobilità accelerata, informazione globale scardinano alla base i vecchi schemi e metodi interpretativi. La polisemia di termini come movimento e mobilità rimanda a interrogativi che investono differenti problematiche ma si pongono, entrambi, al centro del dibattito sulle società contemporanee. È stato sottolineato come uno dei significati più importanti della mobilità è quello di essere diventata il fattore di stratificazione sociale più potente e più ricercato. Nella misura in cui gli individui possono agire o manifestarsi a distanza, con l’aiuto delle nuove tecnologie di comunicazione, la presenza fisica diretta e dunque la possibilità della mobilità diventa un criterio supremo per misurare il valore reale attribuito all’attività dell’incontro e alla creazione di società multietniche (Bauman, 2000, p. 102). In questo contesto lo spazio cessa di essere un limite imprescindibile all’azione e alla comunicazione: la co-presenza fisica, in un luogo la cui territorialità è espressa dall’azione di una pluralità di soggetti che appartengono a contesti culturali multipli, diventa il segno più evidente di riconoscimento sotto l’impresa della “mobilità generalizzata”. Come sottolinea Giuseppe Dematteis, la frammentazione e la riarticolazione operate dalle reti globali non hanno affatto eliminato la territorialità. Ne hanno cambiato i connotati differentemente in funzione scalare: esaltandola a livello locale, indebolendola a livello nazionale, generandola a scala macroregionale e continentale (Dematteis, 2001). Essa costituisce, comunque, il collante dei legami orizzontali fra i soggetti che interagiscono nelle reti locali e quelli verticali propri delle reti globali. Studiare il fenomeno dell’immigrazione che investe le nostre regioni comporta, in definitiva, recuperare la sua territorialità1. Occorre abbandonare l’idea di immigrazione intesa come un movimento di popolazione che trasferisce o richiama individui in un determinato territorio e assumere piuttosto quest’ultimo come l’esito dell’incontro di soggetti che, al di là della loro origine, ne plasmano le forme e ne forniscono le rappresentazioni. Queste ultime non riguardano esclusivamente il luogo di approdo ma la rete di territori che la stessa mobilità mette in contatto. In tale prospettiva, assumere il territorio in rete come categoria analitica ancorata ad un approccio sistemico, che privilegia lo studio degli intrecci, Raffestin, che per primo ne ha dato una definizione, sostiene che la territorialità è l’insieme di relazioni in grado di esprimere la multidimensionalità del vissuto territoriale dei membri di una collettività (Raffestin, 1981, pp. 163-167). Tale concetto, che sarà affrontato nelle pagine che seguono, è oggi al centro degli studi sullo sviluppo locale. Si vedano Bonora, 2001; Dematteis, Governa, 2005. 1 14 Atlante della diaspora cinese dei nodi, delle interconnessioni nel segno della territorialità, diventa la nuova frontiera geografica per contribuire a specificare la portata sociale di ciò che ci investe a livello locale (Dematteis, 1995). Qui, dunque, si prospetta l’immigrazione cinese recuperandone la territorialità come espressione delle radici culturali della diaspora, che si esprime mediante rappresentazioni multiscalari. La nuova realtà obbliga a interrogarsi su inedite forme di convivenza e di progettazione del territorio che, superato l’obiettivo dell’integrazione, limitato e inattuabile alla luce di numerose esperienze differenti per tempo e contesto, assuma quello di una convivenza basata su rinnovate forme partecipative come quelle della governance. 2. La diaspora ovvero la disseminazione identitaria Diaspora, dal greco classico διασπορα′ “dispersione”, è un derivato di διασπει′ρω “dissemino” che indicava nel suo uso iniziale (1892) “chi vive tra gente di religione diversa dalla sua” (Cortelazzo, Zolli, 1985, s.v. diaspora). L’idea di diaspora evoca un territorio d’origine, focolare di una cultura a partire dalla quale, e per effetto di una dispersione, si è determinata la costruzione di un insieme di comunità distanti l’una dall’altra. Tuttavia, la dispersione non è sufficiente per la creazione di una diaspora; il riferimento cruciale è la durata e ciò determina la differenza tra le diaspore tradizionali (ebraica, greca, armena, cinese, ...), che hanno dato prova di tenuta, e quelle più recenti (italiana, polacca, palestinese, ecc.), che devono ancora dimostrare la loro attitudine a resistere all’assimilazione (Prévélakis, 1996). La sopravvivenza di una diaspora è legata alla capacità dei suoi membri di preservare la propria cultura all’interno di un’altra cultura, quella del Paese di accoglimento. Tale capacità poggia sulle istituzioni comunitarie e sull’organizzazione in rete. Infatti, per iscriversi nella continuità temporale bisogna poter superare gli ostacoli della discontinuità spaziale. La comunicazione e gli scambi tra le comunità della diaspora sono elementi essenziali per la sopravvivenza della loro specificità culturale. È per questo motivo che le diaspore si appoggiano a un contesto di circolazione e che le si incontra organizzate in comunità in corrispondenza dei grandi nodi di tale circolazione costituiti dalle città2. La funzione di queste ultime è essenziale ed è per questa ragione che le città importanti costituiscono dei veri crocicchi delle diaspore, dei nodi dove si incontrano le differenti reti che tengono insieme i vari territori. Le diaspore intrattengono delle relazione simbiotiche con la mobilità: non solamente ne approfittano per rinforzare la coesione delle loro reti, ma favoriscono a loro volta l’unificazione degli spazi di scambio materiali e intellettuali. Infatti, l’organizzazione in rete delle diaspora permette di approfittare della diversità territoriale per svolgere il ruolo di intermediari economici tra le differenti parti del mondo. Il credito, in un senso generale, è più facile nel seno di una comunità di diaspora favorito dalla conoscenza dei codici e degli arbitraggi, formali e informali, inerenti le istituzioni comunitarie. I membri della diaspora approfittano dell’esistenza di una rete comunitaria di 2 I quartieri cinesi ossia le chinatown delle grandi città come New York, San Francisco, Londra, Parigi ma, come i recenti scontri hanno messo in risalto, anche Milano, sono espressione di ciò. Tale distribuzione sta assumendo negli ultimi anni una nuova configurazione che affianca ai nodi urbani una disseminazione in provincia o in città di medie e piccole dimensioni dove la presenza cinese risulta consistente seppur “silenziosa”. Per i movimenti diasporici si vedano Bruneau, 1995; Cohen, 1997. Sulla situazione italiana, cfr. Campani, Carchedi, Tassinari, 1994; Ceccagno, 1998. Per un inquadramento generale del fenomeno e uno studio nelle aree del Sud-est asiatico, dove si concentra il 76% dei Cinesi all’estero, ovvero 26.000.000 persone sul totale di 34.000.000 distribuiti nel mondo (fonte: www.library.ohiou.edu/subjects/shao/databases_popdis.htm), si veda l’ancor valido contributo di Coppola, 1969. La diaspora cinese e il territorio in movimento credito che copre grandi spazi per sviluppare le proprie attività. Contribuiscono così all’apertura e all’unificazione dei territori commerciali. A questo quadro storicizzato fanno eco le grandi mutazioni degli ultimi decenni, cui si accennava più sopra, che hanno condotto un rinnovamento spettacolare verso una imponente generalizzazione della diaspora. Ciò è dovuto a dinamiche tra le quali le più importanti sono individuate da uno studioso delle migrazioni, Georges Prévélakis (Prévélakis, 2003, pp. 256-257), nella sequenza qui proposta: I) le grandi ondate di migrazioni economiche e politiche che hanno introdotto in massa nelle città dei Paesi anticamente industrializzati delle popolazioni straniere; II) la diminuzione della capacità integratrice delle società nazionali; III) lo sviluppo delle telecomunicazioni e più in generale la circolazione dell’informazione; IV) le reazioni identitarie difensive a ciò che è vissuto come una unificazione culturale; V) le opportunità economiche create dalla mondializzazione per tutte le organizzazioni reticolari, ecc. Così, dopo la crisi delle diaspore legata alla “modernità”3, si assiste a un ritorno delle diaspore nel contesto della “post-modernità”. Questo fenomeno molto recente resta per ora caotico, assai diversificato e marcato da numerose contraddizioni. Se le diaspore antiche hanno conosciuto momenti di espansione, ma qualche volta hanno continuato anche per inerzia sull’orbita del declino, le nuove diaspore appaiono più dinamiche e pervasive sotto il profilo territoriale: alla predilezione dei nodi urbani oggi si è aggiunta una disseminazione incondizionata sul territorio la cui tenuta nel lungo periodo è tutta da verificare. Gli effetti di tale sviluppo si mostrano mediante forme diverse, di cui alcune negative. Le diaspore sono certamente molto presenti nelle società occidentali e partecipano allo sviluppo degli scambi nel senso più generale del termine contribuendo a ricostruire la ricchezza culturale delle città, ridotta dopo la fine degli imperi coloniali; nello stesso tempo, la criminalità organizzata si appoggia sulle loro reti per globalizzarsi. Tale fenomeno interessa principalmente le diaspore asiatiche (cinese, indiana) che occupano uno spazio sempre più grande sulla scena mondiale anche se rappresentano una minuscola porzione della popolazione del Paese d’origine. È per questo motivo che le diaspore costituiscono una delle sfide principali del mondo contemporaneo anche per gli esiti che possono avere nella nuova configurazione politica che gli Stati-nazione vanno assumendo. Scardinata la strutturazione territoriale attorno all’idea nazionale, gli Stati sono sottoposti a nuove dinamiche che sfrangiano gli antichi assetti prospettando nuove forme di aggregazione nazionale in cui le diaspore costituiscono un elemento importante. Dopo essere state favorite dalla rivoluzione dei trasporti, tali forme aggregative sono oggi ancor più incoraggiate dalla rivoluzione dell’informazione che elimina quasi totalmente il ruolo della distanza topografica in tema di comunicazioni. 3 Gli Stati moderni hanno rimpiazzato in parte il funzionamento delle diaspore introducendo delle forme istituzionali di credito all’interno dei territori “nazionali” e nel quadro delle relazioni internazionali. Nello stesso tempo, le élite “nazionali” hanno combattuto le élite “diasporiche” percepite come “apolidi”. Il XIX e il XX secolo hanno costituito un periodo di declino delle diaspore nel corso del quale il nazionalismo si imponeva: si registra la scomparsa completa delle diaspore attraverso l’assimilazione o a seguito delle persecuzioni, di cui la più tragica fu il genocidio degli Ebrei, accompagnato da quello dei Gitani. Tale declino è stato favorito anche dalla loro nazionalizzazione, ossia la creazione di Stati-nazioni di origine diasporica come, per esempio, Israele. Questi Stati hanno introdotto dialettiche geopolitiche grazie all’emergenza di nuove centralità all’interno dei sistemi policentrici, alle strategie di strumentalizzazione delle diaspore attraverso il governo dei “Paesi d’origine”, all’apparizione delle lobby di diaspora che difendono gli interessi delle “loro” nazioni, ecc. La politicizzazione delle diaspora ha contribuito anche all’emergenza di un nuovo tipo di attore internazionale (Prévélakis, 1996). 15 16 Atlante della diaspora cinese Tale modo di organizzarsi è certo molto più flessibile che il modello territoriale classico, e più adatto ai bisogni e alle aperture della mondializzazione; ma nello stesso tempo, è più instabile e contribuisce al carattere imprevedibile del nostro mondo. Se la spinta propulsiva alla diaspora è quella propria delle migrazioni e, dunque, il connubio tra l’esigenza di migliorare le proprie condizioni di vita e l’attrattività dei territori di accoglienza, le modalità attraverso cui essa si attua derivano, viceversa, da fattori specifici, promossi dalla società di origine. La diaspora cinese, per esempio, è collegabile sia alla mobilità interna, sia al carattere sociale che il progetto migratorio assume in tale Paese. La storia cinese, infatti, è cadenzata da ingenti ondate migratorie interne che prevedevano spostamenti di persone dalla campagna alla città. La principale direttrice è stata quella che, dalle regioni più interne del Paese (Cina settentrionale e centro-occidentale) conduce verso la costa e le grandi metropoli come Pechino e Shanghai. Tali migrazioni, sempre presenti nel tempo e favorite dalla vastità della Cina, si sono intensificate per questioni politiche soprattutto dagli anni Settanta: l’eccedenza di manodopera agricola legata alla soppressione del collettivismo maoista è oggi acuita dalla crescente meccanizzazione in agricoltura che, unita alla domanda di manodopera urbana, soprattutto nel settore edile, ha determinato un esodo massiccio interno di persone, attratte da prospettive di vita e salari migliori4. Deriva da ciò il formarsi di una logica culturale della migrazione, per cui il viaggio e la distanza spaziale corrispondono a una impresa economica finalizzata al riscatto sociale. Ciò che determina nell’individuo cinese la decisione a emigrare, ieri come oggi, soprattutto verso l’estero, è la catena migratoria familiare: si emigra per raggiungere dei parenti, partiti in precedenza. La famiglia riveste un ruolo di primo piano anche nel rendere operativo il progetto migratorio: essa individua la persona più adatta a partire, raccoglie il denaro e tutti i contatti necessari per l’espatrio, e a volte l’intero villaggio viene coinvolto in tale progetto creando aspettative collettive5. Una volta arrivato nel territorio di accoglienza, è sempre la famiglia – ma prima del ricongiungimento familiare anche i clan e le associazioni corporative – che permette all’immigrato di rimanere fedele ai propri valori culturali, prerogativa indispensabile per poter essere inglobato nella comunità cinese in terra straniera. Poco studiate dal punto di vista geopolitico, economico e culturale, le diaspore, in quanto oggetto di conoscenza, costituiscono una sfida per le scienze sociali. Come spiegare la loro capacità di superare gli ostacoli dello spazio e del tempo per riprodursi generazione dopo generazione? Qual è il segreto di un adattamento continuo, di un cambiamento diversificato secondo la specificità dei luoghi, che non conducono tuttavia mai a una frammentazione eccessiva, verso la dispersione? Le diaspore sembrano, per certi analisti, detenere la chiave del giusto posto tra continuità e cambiamento. Questi gli interrogativi che urgono una risposta, senza trascurare il fatto che una migliore comprensione delle diaspore contribuirà al superamento di un modello eurocentrico, sempre più insoddisfacente, per analizzare il complesso dei fenomeni di organizzazione del mondo. Per la Geografia, le reti della diaspora permettono, una volta abbandonata la visione restrittiva di un territorio conte- Su questo tema si veda il contributo di Crotti in questo volume nel Capitolo 3. I legami sociali di reciprocità, che costituiscono la base del tessuto sociale nella società cinese tradizionale, sono uno strumento atto alla ridistribuzione delle risorse all’interno della società, permettendo alla collettività tutta di prosperare. Il primato della collettività rispetto all’individuo, la solidarietà, il senso familiare di appartenenza derivano dalla cultura confuciana, che recupera la visione di un ordine sociale derivante dai principi immutabili della natura. Tale visione si riverbera in tutte le manifestazioni sociali comprese quelle della diaspora. Sugli aspetti socioculturali cinesi si veda, tra i lavori recenti, Eva, 2000. 4 5 TAVOLA 1 – La diaspora cinese nel mondo 18 Atlante della diaspora cinese nitore di fenomeni, di intravedere un nuovo modo di rapportarsi all’analisi territoriale. 3. Multiterritorialità e frammentazione: il territorio in movimento Il territorio costruito dall’immigrazione cinese viene qui analizzato come l’insieme delle pratiche che la nuova comunità mette in atto non solo per costruire il proprio luogo di vita in uno specifico contesto d’approdo, ma soprattutto per esibire la propria identità e le forme attraverso cui essa si alimenta e si rappresenta, a scala sia locale che globale. Spostando il focus dell’analisi dal territorio visto quale esito del processo di territorializzazione a quello di condizione attraverso cui la territorialità dell’immigrato si esprime, si assume una geografia della complessità rispetto alla quale globale e locale si intersecano in un sistema in cui i valori locali alimentano quelli che circolano nelle reti globali, che a loro volta trasformano quelli fondativi della diaspora in un insieme fluido e in divenire a livello locale. Così si esprime Giuseppe Dematteis “per una geografia della complessità l’identità locale può essere soltanto la capacità di auto-organizzazione dei soggetti locali, la loro capacità di interagire come sistemi in qualche misura autonomi con i sistemi a rete globali e quindi di trasformare valori specifici locali in valori riconoscibili e riconosciuti all’esterno, di usare significanti locali per esprimere significati globali” (Dematteis, 1995, p. 80). Pertanto l’identità di una comunità localizzata appartiene contemporaneamente a diverse reti che interagiscono a scale diverse. Di conseguenza, per rappresentare la diaspora cinese e le forme spaziali che ne derivano, all’idea classica di referenza geografica, quale dato esauriente del suo manifestarsi, bisogna sostituire quella di referenza relazionale che rimanda a un altro tipo di spazio, discontinuo e disomogeneo. Si tratta di un territorio basato non tanto su uno spazio euclideo, rigido perché impostato sulla geometria, quanto piuttosto su uno reticolare, flessibile con linee di flusso e punti di connessione6. All’interno di tale impostazione analitica, assume particolare importanza la territorialità, ossia l’insieme degli aspetti culturali che si depositano sul e si riverberano dal territorio che modellano il comportamento e stabiliscono il substrato sociale della continuità e dell’innovazione identitaria7. La frammentazione e la distribuzione operata dalla mondializzazione, come è stato già precisato, non hanno diminuito l’importanza della territorialità: l’hanno solo ri-articolata in nuove forme esaltandola o indebolendola. A scala locale essa è stata accresciuta assumendo la forma di appartenenza culturale come valore identitario condiviso dagli abitanti di uno stesso luogo che intrattengono rapporti con l’esterno. Nelle nostre regioni, la presenza di una comunità immigrata, come quella cinese, non solo incide fortemente sul territorio preesistente, modellandolo in nuove forme, ma interviene sulla stessa territorialità ridefinendo i principi su cui essa si costruisce e si rappresenta presso i suoi abitanti. Infatti, come afferma Claude Raffestin la territorialità può essere considerata l’“insieme di relazioni che nascono in un sistema tridimensionale società-spazio-tempo” (Raffestin, 1981, pp. 163-167), in presenza di un unico attore essa produce coesione e senso identitario. Tuttavia, in contesto di moltiplicazione delle appartenenze culturali dei soggetti che vivono il medesimo luogo, essa può divergere e seguire strade evoluti- 6 Lo spazio reticolare è adatto a rappresentare ciò che è complesso, contraddittorio, conflittuale: per esempio logiche locali diverse da quelle globali, incontro di relazioni “verticali”e “orizzontali”, ecc. 7 Alle riflessioni sulla territorialità di Raffestin (1977; 1986) hanno fatto seguito alcune specificazioni di tale concetto tra cui, per ciò che è qui più attinente, quella di Turco, 2003. La diaspora cinese e il territorio in movimento ve per le quali la vicinanza o l’appartenenza territoriale sono fattori meno importanti di quelli stabiliti con i territori lontani della società della diaspora. Si parla allora di multiterritorialità, ossia la presenza di soggetti che fanno interagire plurimi tipi di territorio simultaneamente gli uni con gli altri creandone uno nuovo (il territorio in rete, appunto) cui vale la pena rivolgersi per individuare le logiche sociali che lo innervano: il modo comune di pensare, di comunicare e di agire dei soggetti che lo compongono. Come afferma Rugerio Haesbaert da Costa la multiterritorialità è basata sul luogo in cui si vive e sui luoghi a cui si fa riferimento per vivere (Haesbaert da Costa, 2004b). All’interno del territorio globale la multiterritorialità si nutre delle reti urbane, dei trasporti, dei legami culturali ma s’appoggia anche sui territori delle grandi città, isole essenziali alla vita dell’arcipelago che mette in evidenza; nel territorio locale è data dal domicilio del migrante e da ogni sede in cui si ferma durante la giornata per lavorare, incontrarsi, usufruire di servizi, manifestarsi nel tessuto sociale8. Insomma, “multiterritorialità” non significa potersi installare in multipli tipi di territorio ma piuttosto articolare tra di essi dei territori-rete complessi e flessibili. Certamente, la multiterritorialità deriva dal movimento di popolazione nel suo complesso e non riguarda esclusivamente gli immigrati; comprende, viceversa, quello derivante dagli affari, dallo svago, dall’esodo o da altro; così come essa non può essere rubricata come nuovo fenomeno scaturito dalla mondializzazione. Va registrato, tuttavia, che essa, oggi, ha assunto connotazioni di esperienza culturale del tutto inedite in relazione all’aumento della mobilità, che favorisce un gioco infinitamente aperto nel mettere in contatto tutti i territori esistenti9. In questo contesto, coloro che sanno gestire meglio le possibilità date dalla multiterritorialità si dotano di grandi possibilità d’agire effettivamente sul mantenimento dei loro presupposti identitari. È chiaro che l’accelerazione del movimento e il rinforzamento dell’interconnettività, previsti dal mondo contemporaneo, influiscono in modo significativo anche sul modo attraverso cui controlliamo lo spazio, vale a dire sul processo funzionale e simbolico di appropriazione e di padroneggiamento dei nostri contesti geografici. Se nel territorio, tradizionalmente inteso, il controllo avveniva sulle frontiere, in quello reticolare è impostato nei punti di connessione. Cambiano i sistemi di controllo o i nodi nei quali monitorare il movimento, ma ciò non presuppone una deterritorializzazione ovvero una distruzione del territorio10. Negli ultimi tempi si è aperto un dibattito sul significato di deterritorializzazione e su come essa può essere ricompresa in quello della multiterritorialità, dal momento che quest’ultima presuppone la disgregazione del territorio preesistente ma anche la capacità di costruirne uno nuovo accedendo a o connettendo, nello stesso tempo e nello stesso luogo, differenti livelli di territorio, che diviene così in rete (Haesbaert da Costa, 2004b, p. 77). Conviene, viceversa, e lo vedremo tra poco, riservare il termine di deterritorializzazione all’insieme dei processi disgregativi della territorialità che producono emarginazione a livello locale. Non c’è dubbio, infatti, che l’inserimento degli immigrati ha ripercussioni negative sulle nostre città sotto il profilo materiale ma si esibisce in tutta la sua forza a livello delle patologie disgregative della territorialità. Risulta utile indagare tale fenomeno mobilitando una categoria analitica coniata proprio nello studio del 8 Anche in questo caso, secondo Haesbaert da Costa, la connessione di questi punti costituisce un territorio-rete dal momento che l’insieme esprime la territorialità del soggetto (Haesbaert da Costa, 2004, pp. 69-79). 9 Si veda su questo punto le significative raccolte di saggi in Bonnet, Desjeux, 2000 e Allemand, Ascher, Levy, 2004. 10 Questo termine, utilizzato, all’interno del processo di territorializzazione, da Raffestin per definire fenomeni disgregativi del territorio, è stato successivamente impiegato per indicare indifferentemente, al di là del loro esito, i processi evolutivi territoriali. Si vedano Haesbaert da Costa, 2002; Id., 2004a. 19 20 Atlante della diaspora cinese funzionamento del territorio in rete che è quella di sistema locale. Essa rende centrale e sottolinea, all’interno del processo di territorializzazione, l’importanza del ruolo degli attori e delle loro attitudini relazionali. Il sistema locale è stato definito un aggregato di soggetti che in varie circostanze si comportano come un soggetto collettivo, seppure non siano formalmente riconosciuti come tale; il sistema locale infatti non è un ente territoriale, né un’istituzione, né un’impresa (Dematteis, 1995, p. 99). Si tratta di un sistema che interagisce con l’esterno secondo regole proprie, largamente informali e tuttavia sufficienti a garantire la sua riproduzione nel tempo. La finalità costitutiva del sistema, infatti, è quella di stabilizzarsi e, per raggiungere tale stato, esso dispiega tutte le potenzialità derivanti dalla sua coesione interna. Il suo funzionamento è strettamente connesso all’autoproduzione e ai principi su cui si basa; così come le logiche che innervano la trasformazione territoriale, rispondono a tale esigenza vitale. In sintesi, il sistema locale è un corpo autoreferenziale fortemente interessato alla propria riproduzione mediante l’azione territoriale, poiché attraverso di essa rafforza la sua identità. Bisogna far attenzione, tuttavia, che, così inteso, il sistema locale non necessariamente coincide con quello territoriale. Infatti, esso non raggruppa tutti i soggetti presenti in un certo spazio continuo: così come la presenza di una base territoriale comune non è condizione necessaria per il funzionamento di un sistema locale, allo stesso modo una base territoriale può contenere soggetti che appartengono a sistemi locali differenti. La città multietnica è il caso più eclatante. Anche in una città di medie proporzioni come Bergamo, gli immigrati cinesi costituiscono una comunità che diviene sistema nel momento in cui esso pratica e mette in atto strategie di autoriproduzione finalizzate a mantenere e esibire la propria identità; tale sistema, tuttavia, non è avulso da ciò che lo circonda, ma intrattiene rapporti con la città nel suo complesso confrontandosi con ciò che è stato definito milieu11, ossia l’insieme di caratteri socio-culturali sedimentatisi sul territorio durante l’evoluzione storica nei rapporti intersoggettivi tra la popolazione bergamasca e il proprio ambiente naturale. Il sistema, anche solo per mimetizzarsi al suo interno o per ritagliarsi spazi di azione, deve confrontarsi con la diversa territorialità che lo circonda. In questo caso, per esempio, il sistema cinese è mimetizzato e attua delle strategie di sopravvivenza che non contemplano l’inserimento o l’integrazione. Esso non è interessato all’integrazione perché la sua sopravvivenza deriva proprio dal mantenimento della propria diversità rispetto al resto. Sarebbe insensato considerare tale attitudine un rifiuto della cultura bergamasca; si tratta, viceversa, del perseguimento di un obiettivo proprio della diaspora. L’assunzione della categoria analitica di sistema locale ha il vantaggio, dunque, di evidenziare la coesione di soggetti interessati a mettere a punto strategie per raggiungere obiettivi di interesse comune, ma esula dal proporsi quale categoria atta a specificare il tipo di rapporto che una comunità intrattiene con le altre presenti sul territorio, magari più forti e pervasive. Nel caso dell’immigrazione cinese, il modo comune di pensare, di comunicare e di agire dei soggetti che la compongono è espresso mediante apparati, come le associazioni, composte da interpreti autorevoli a rappresentare gli interessi della comunità in un dialogo interculturale. Non c’è dubbio d’altra parte che l’inserimento di nuove comunità nelle nostre città frammenti e rimodelli i territori e con essi moltiplichi le territorialità esistenti. Si tratta di una frammentazione in cui si determina la distruzione dell’identità e della coesione sociale, ma ciò non va considerato elemento forzatamente negativo. Anzi sembra proprio che all’interno di tale frammentazione siano rintraccia- 11 Proveniente dalla Geografia francese, il concetto di milieu viene oggi proposto per descrivere e rappresentare i flussi di relazione tra i soggetti che vivono in un territorio (Berque, 1990). La diaspora cinese e il territorio in movimento bili punti di intersezione e di contatto tra sistemi sociali differenti in grado di farli evolvere. Infatti, è stato messo in rilievo che tale frammentazione può ricomporsi in strategie efficaci di risposta e di resistenza alla omologazione di un sistema unico derivante dalla globalizzazione (Geertz, 1999). Si tratta di due facce della stessa medaglia in cui simultaneamente si sviluppano processi territoriali che, esprimendo identità sociali multiple, minacciano la coesione sociale ma, nello stesso tempo, dispiegano forme di aggregazione in grado di ribadirla. Non va sottaciuto, tuttavia, che tali processi possono produrre anche fenomeni di disgregazione, esclusione dei soggetti più deboli o degrado territoriale richiamando ciò che è stata definita deterritorializzazione. L’esclusione socio-spaziale o, come preferiscono certi sociologi, l’inclusione precaria (de Souza Martins, 1997) è probabilmente più drammatica e perversa poiché questa forma di deterritorializzazione è lenta e si produce spontaneamente, ossia senza che vi sia pressione per l’inserimento di persone in determinate aree. L’esclusione o l’inclusione precaria è data dall’impoverimento di certe zone urbane, il loro abbandono da parte della società locale che prospetta agli immigrati o ai meno abbienti luoghi in cui insediarsi. Le istituzioni locali, però, non offrono la possibilità di costruire delle territorialità alternative e, dunque, non concedono di far seguire al loro smantellamento che una mera occupazione e non una nuova territorializzazione. In realtà, questi territori-zone molto precari e queste agglomerazioni d’esclusione accentuano ancora di più il processo di territorializzazione egemone dal momento che esso è portato, da un lato, a intensificare le connessioni in altri territori-rete dominanti, dall’altro a estendere e rinforzare il controllo su determinati quartieri residenziali, turistici o su vasti territorizone socio-economici. Va ribadito, tuttavia, che tale categoria di esclusione non interessa l’immigrazione cinese se non in modo marginale. Nel caso bergamasco è emerso che gli immigrati cinesi non utilizzano questi spazi o tipi di soluzione né chiedono assistenza agli enti preposti a risolvere il problema della casa12. Diversamente da quanto accade per altri gruppi di immigrati, i Cinesi possono contare sul sostegno e sull’ospitalità da parte di parenti, così come sull’alloggio presso datori di lavoro che peraltro viene garantito già al momento della partenza dalla Cina. L’esclusione socio-spaziale legata alla deterritorializzazione non sembra quindi interessare la comunità cinese, seppure essa sia sottoposta a un’inclusione precaria di altro tipo. Infatti, a Bergamo, gli insediamenti della popolazione cinese sono discreti e mimetizzati: utilizzano spazi interstiziali, si disseminano sul tessuto urbano con lievi concentrazioni in corrispondenza delle attività e dei servizi rivolti alla collettività immigrata. Contrariamente a quanto accade in altre città italiane dove la presenza della comunità cinese numericamente più rilevante ha dato luogo a veri quartieri etnici13, a Bergamo gli immigrati cinesi condividono le aree di insediamento dei Bergamaschi e quelle degli immigrati di altre provenienze. Ciò non esclude che gli ambienti privati dell’immigrazione cinese siano chiusi e gelosamente protetti. Si tratta di case frequentate in modo esclusivo da appartenenti al clan o alla comunità cinese, impenetrabili agli estranei, in cui l’immigrato ricrea il proprio ambiente domestico. Lo spazio dell’abitare cinese rappresenta un territorio del sé etnico, entro cui si svolgono le multiple funzioni legate alla cura dei figli, alla vita familiare, al lavoro, alla gestione delle relazioni parentali e al mantenimento della rete di guānxì “relazioni”, la forma tradizionale di solidarietà e reciproco sostegno14. L’importanza dell’abitazione per la comunità Si veda a questo proposito il contributo in questo volume di Ghisalberti nel Capitolo 5. Un esempio delle dinamiche insediative ed economiche dei Cinesi nel volume del Comune di Milano, 1998. 14 Sulla forma solidaristica del guānxì e sulle sue implicazioni culturali e economiche nel quadro della diaspora cinese, oltre all’intervento di Crotti nel Capitolo 3 di questo volume, si veda Lun So, Walzer, 2006. 12 13 21 22 Atlante della diaspora cinese cinese è attestata dalla forte attitudine all’acquisto della casa, considerato un investimento a lungo termine e una capitalizzazione vantaggiosa e più sicura della locazione. Non va trascurato il fatto che molti immigrati cinesi possiedono una buona disponibilità finanziaria, anche di denaro contante, oltre a una spiccata propensione al risparmio. Ciò si manifesta anche quando, affittando un alloggio, prediligono appartamenti plurilocali dove poter vivere con altri nuclei famigliari condividendo gli spazi comuni (la cucina, il soggiorno, il bagno). Va pure accennata, a quest’ultimo proposito, la tendenza manifestatasi a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta, presso gli immigrati cinesi di prima generazione, a comprare interi stabili, dove far risiedere i nuovi immigrati o famiglie di origine cinese15. Tali costruzioni assunsero successivamente il ruolo di poli attrattivi di attività economiche, dando origine a aree polifunzionali con laboratori, servizi e negozi volti a soddisfare le esigenze della stessa comunità immigrata. Un cenno specifico va fatto alla sovrapposizione casa-laboratorio frequente soprattutto nei paesi della provincia bergamasca. Si tratta di una struttura residenzial-produttiva poco appariscente e dissimulata: situata in zone e in vie minori, non esibisce insegne se non nel caso si tratti di una commercializzazione diretta di prodotti, all’ingrosso o al dettaglio. Da quanto abbiamo esposto sulla presenza territoriale cinese nel bergamasco si potrebbe sostenere che essa è impercettibile e sotterranea se non fosse per un elemento paesaggistico emergente: il ristorante. Questo esercizio, nell’aspetto architettonico, richiama il Paese di provenienza nel nome (“Shanghai”, …) o nei suoi simboli (“Muraglia cinese”, “Drago Giallo”, …), nelle forme (la pagoda costruita con legno intarsiato e decorata con lanterne rosse, dragoni, raffigurazioni di paesaggi)16. Il ristorante cinese costituisce il vertice massimo del progetto migratorio: simbolizza il successo economico dello zú (clan) di appartenenza del proprietario e la sua riconoscibilità è affermazione identitaria presso i Bergamaschi ma anche presso i Cinesi. Infatti il ristorante funge da luogo di incontro e di ritrovo sia della vita privata sia di quella pubblica: luogo di formazione per i nuovi arrivati e d’incontro per le famiglie (con i bambini che, nell’orario di chiusura, fanno i compiti nella sala da pranzo). Inoltre è spesso sede di associazioni etniche che svolgono ruoli decisionali su questioni politiche, religiose, economiche, ecc. La comunità cinese, infatti, non è solita ritrovarsi in spazi pubblici della città, come accade presso altri gruppi nazionali di origine asiatica, se non in limitati casi e in ristrette fasce orarie consentite dagli intensi ritmi lavorativi17. La fruizione della città da parte dei Cinesi risponde a ciò che è proprio del territorio in rete, ossia la multiterritorialità: attraverso spostamenti tra i luoghi dell’abitare e del lavoro che in molti casi coincidono e a volte inglobano flussi tra il capoluogo, la provincia e altri nodi urbani come Milano e Brescia. Tale dinamismo riguarda coloro che hanno raggiunto il ruolo di datore di lavoro, ovvero di lăobăn. Essi, mediante la mobilità, si occupano di reperire dipendenti tra i nuovi immigrati connazionali cui garantiscono un collegamento con l’intera comunità immigrata. Non ci sono spazi pubblici in Bergamo che siano stati investiti da un processo intenso e peculiare di uso, appropriazione e significazione da parte della popo- Per quanto riguarda la città di Bergamo, un esempio di tale tipo di edificio si trova in Via Zanica, dove un intero stabile è stato comprato da un cittadino di nazionalità cinese e destinato ad ospitare popolazione immigrata di origine cinese. 16 Anche l’arredamento interno richiama la cinesità con paraventi, acquari, plafoni e decorazioni. Si veda l’esauriente descrizione fatta in questo volume nel contributo di Ghisalberti nel Capitolo 5. 17 Si sta facendo riferimento allo spazio pubblico non tanto nell’accezione di arena del confronto in cui emergono e si manifestano posizioni condivise (Magnaghi, 2000) ma, viceversa, nel suo significato più limitato di area dove gli immigrati stanno insieme. 15 La diaspora cinese e il territorio in movimento lazione cinese. Diversamente da quanto avviene nel Paese di provenienza, dove una parte rilevante della vita si svolge nelle strade e nelle piazze, le pratiche di socializzazione negli spazi pubblici costituiscono uno degli aspetti mancanti per i Cinesi residenti a Bergamo. La causa principale di tale anomalia è riconducibile al fatto che la popolazione cinese del bergamasco è di recente inserimento e rientra nell’ultima fase di quella disseminazione al di fuori dei nodi urbani delle grandi città. Milano è oggi circondata da un territorio regionale capillarmente colonizzato da Cinesi che continuano ad approdare nel capoluogo meneghino o più semplicemente arrivano direttamente nelle province limitrofe. Essa, tuttavia, ancor oggi, costituisce un punto di riferimento per tutti gli immigrati cinesi, compresi quelli che vivono a Bergamo18. Oltre ad aspetti più marginali come l’accesso ad alcuni servizi e l’approvvigionamento di prodotti (farmaceutici, soprattutto), tali città garantiscono l’appartenenza alla rete diasporica: assicurano gli incontri con i connazionali ma soprattutto permettono di accedere a quelle associazioni solidaristiche, di tipo tradizionale, cui abbiamo fatto cenno più sopra. Infatti a Milano sono attive istituzioni etniche che, una volta ottenuto il diritto d’accesso (per cui il successo economico è prioritario), sono garanzia di appoggio in caso di difficoltà, di conflitti familiari o clanici. Esse costituiscono delle istituzioni che, basate sul rispetto dei valori tradizionali e rette su norme gerarchiche condivise, esercitano un’autorità comunitaria e legittimano l’appartenenza al gruppo della diaspora. 4. Territori in rete e cittadinanza Come intervenire giuridicamente per regolamentare la realtà poliedrica e dinamica determinata dai territori in rete? Come si stabilisce la nuova appartenenza territoriale? La figura del migrante coniata dalla mondializzazione è difficilmente incasellabile nelle vecchie categorie di appartenenza ancorate alla geografia della popolazione. I mutamenti che hanno investito le migrazioni sono stati così radicali da implicare profondamente il piano giuridico e quello delle relazioni internazionali e da far scaturire la proposta di adottare una nuova forma di appartenenza, quella della cittadinanza della mobilità19. Catherine Withol de Wenden (2004) rubrica le componenti socio-territoriali che rendono impellente una riflessione sul nuovo significato assunto dalla cittadinanza. Afferma che la mondializzazione delle migrazioni ha determinato l’impossibilità di distinguere nettamente i Paesi di emigrazione da quelli di immigrazione dal momento che essi svolgono, contemporaneamente, il ruolo di Paesi d’installazione (o di transito) e di partenza20; che la generalizzazione progressiva del rilascio dei passaporti, compresi alcuni Paesi a regime autoritario21, da una ventina d’anni ha condotto alla generalizzazione del diritto di uscita, allorché il diritto d’entrata nei Paesi ricchi diventa sempre più controllato mediante il visto22; che l’esplosione della domanda d’asilo è ormai estesa a una scala mondializzata e non più circo- Insieme a Brescia che nel tempo ha aumentato la sua importanza. Lo status di cittadinanza è stato definito da Marshall, autore nel 1950 del fondamentale “Cittadinanza e classe sociale”, come la “forma di uguaglianza umana fondamentale connessa con il concetto di piena appartenenza ad una comunità”, il cui contenuto è dato da una serie di diritti (Marshall, 1976, p. 7). Per una ricostruzione delle tesi di Marshall e dell’approccio storico e sociologico allo studio della questione: Zolo, 2000. 20 I Paesi dell’Europa dell’Est, dell’Africa e dell’America latina, per esempio. 21 Ad eccezione dei Paesi che li distribuiscono ancora parsimoniosamente come Cina, Corea del Nord, Cuba. 22 Il fattore di mutamento è il processo di emersione di un ordinamento sovranazionale fondato sul diritto internazionale dei diritti umani. Il sistema internazionale di protezione e promozione dei diritti umani, che trova il proprio chiaro fondamento nella Carta delle Nazioni Unite, ha porta18 19 23 24 Atlante della diaspora cinese scritta a qualche punto caldo nella proporzione conosciuta finora23; che, all’origine delle catene migratorie24 si è formata una rete transnazionale di migrazioni clandestine, spesso controllata, presso le frontiere, dagli stessi Stati che ne ricavano risorse economiche; che si è di fronte a uno sviluppo delle migrazioni pendolari andata-ritorno dell’Est all’Ovest d’Europa, legate alla caduta del muro di Berlino, dove non si parte più definitivamente ma per corti periodi, per migliorare le proprie condizioni e ritornare al Paese d’origine; che la prossimità geografica è resa più facile dall’abbassamento dei costi di trasporto, soprattutto aereo; infine, che l’immagine dell’Europa e dell’Occidente veicolata dalla catena di televisioni o radio ricevute nei Paesi d’origine, dai mercati riforniti di manifatture occidentali e dal trasferimento delle rimesse dei migranti, costituisce un “invito all’Europa” soprattutto nelle regioni di partenza più remote. Conseguentemente, anche il profilo del migrante è profondamente cambiato. A parte i rifugiati politici, non si tratta più di diseredati che partono ma di soggetti che possiedono reti di conoscenze, la famiglia installata all’estero in grado di supportare un viaggio spesso clandestino. Così come non sono più la povertà e la pressione demografica a spingere all’esodo ma piuttosto l’attrazione di un immaginario migratorio costruito dai media, dalle notizie familiari riportanti l’idea di Paesi liberi e dei consumi. Infine, molti migranti provenienti dall’Est si inscrivono in una strategia di co-presenza (anche se questa aspirazione è fortemente contrastata dalla politica dei visti): più le frontiere sono chiuse, più le genti si installano, dal momento che non possono andare e venire, e più le frontiere sono aperte e più circolano e si installano meno (Withol de Wenden, 2003). È evidente che, in questo contesto, la cittadinanza cambia significato ed è recepita dalla stessa Giurisprudenza non più come un’appartenenza legata al territorio nazionale, ma derivante dalla partecipazione sociale25. Infatti, molti Paesi europei, tra cui l’Italia, hanno modificato il diritto della nazionalità – seppure continui ad essere formulato come una mediazione tra la logica del diritto del suolo e quello del sangue accordando più rilevanza al primo26. La dissociazione della cittadinanza dalla nazionalità, avvenuta di recente, sotto la pressione di associazioni civiche relative all’immigrazione, alla rivendicazione del diritto di voto locale per gli stranieri, ha legittimato la richiesta di una cittadinanza partecipativa radicata nel territorio locale dove si vive. La nuova cittadinanza non è quella europea o quella determinata dall’appartenenza a uno Stato ma è quella to ad un profondo cambiamento nella struttura dell’ordinamento e del diritto internazionale. Ciò profila l’espressione di un diritto alla mobilità e alla “democratizzazione delle frontiere” che s’iscrivono nell’agenda dei Diritti dell’uomo. Si vedano in proposito: Mascia, Papisca, 1997; Nascimbene, 1999. 23 Tra cui l’Africa dei grandi laghi, l’Asia di Sud-est, i Balcani, il Vicino e il Medio Oriente, l’America caraibica. 24 Soprattutto in Cina, Romania, Balcani e Africa dell’ovest. 25 Zolo afferma che si tratta di una nozione “strategica” per chi voglia studiare il funzionamento delle istituzioni democratiche poiché consente, unendo l’approccio giuridico a quello sociologico, di associare il tema dei diritti soggettivi a quello delle ragioni “pregiuridiche” dell’appartenenza o dell’esclusione dal contesto politico che li garantisce e nel quale si attuano (Zolo, 1994, p. IX). 26 Senza entrare nel merito del dibattito in corso presso i giuristi italiani sulla cittadinanzanationality che definirebbe l’appartenenza e la cittadinanza-citizenship che definirebbe le conseguenze che detta appartenenza porta con sé, va precisato che in ambito giurisdizionale la nazionalità è un concetto a priori, che collega un individuo ad uno Stato, sulla base di criteri che fanno capo per lo più alla discendenza da altri cittadini (ius sanguinis) od alla permanenza sul territorio (ius soli). Con la legge n. 91 del 5 febbraio 1992, l’Italia, aggiornando la legislazione in tema di cittadinanza, dimostra di aver recepito le nuove linee d’indirizzo promosse dall’Unione Europea. Infatti, seppure la cittadinanza europea abbia un percorso derivativo, perché il legame che unisce la Comunità e l’Unione ai suoi cittadini si stabilisce con l’intermediazione degli Stati, ossia sono considerati cittadini coloro che ciascuno Stato considera tali, rimarca l’importanza dell’appartenenza culturale espressa dal territorio in cui si vive. Sulla normativa italiana, tra i molti, si vedano D’agostino, Dalla Torre, 2000; Arena, 2004. Sulla politica dell’UE in materia di cittadinanza euro- TAVOLA 2 – L’immigrazione cinese a Bergamo 26 Atlante della diaspora cinese che si basa sui diritti dell’uomo, dello straniero e non sui principi di esclusione dati dalle cittadinanze nazionali. La garanzia del diritto alla cittadinanza parallelamente con la condizione giuridica dello straniero garantisce l’esercizio di certi diritti che mancavano all’inizio dello scorso secolo27. Si è venuta a determinare una partecipazione alla vita politica cha ha assunto un significato profondamente nuovo: quello di sancire l’esistenza di cittadini che non possono difendere i propri interessi solo con leggi e decreti, ma con specifiche azioni politiche che vengono ormai affrontate come un diritto fondamentale, universale, che conserva e pratica i costumi e gli usi di tutti i cittadini del mondo. Si profila così una cittadinanza plurale, combinante identità varie, dalle doppie alleanze, qualche volta dalle doppie nazionalità: la nuova cittadinanza, strumento che si giustifica come appartenenza all’Europa e alla nazione, anche se in modo differente, valorizza soprattutto lo spazio locale come luogo di espressione di una identità territorializzata. Si tratta di una cittadinanza iscritta nella mobilità: per coloro che sono istallati “nomadicamente” con delle forme di copresenza (essere qui e altrove), la cittadinanza è definita dallo stesso spazio migratorio. Si parla di cittadini delle due rive del Mediterraneo, di cittadini di due o più città, di un’economia mondo che rimpiazza quella degli Stati-nazione28. Molti dei migranti pendolari che fanno andata-ritorno si definiscono cittadini mediatori di un mondo senza frontiere o cercano di dimenticarle (Withol de Wenden, 2004, p. 86). La nuova configurazione del territorio, dunque, espressione dei valori multiculturali che fondano l’identità, si è imposta alla Giurisprudenza che ha dovuto ripensare i principi d’appartenenza dei cittadini. Il territorio in rete mediante le sue forme fluide e la complessità del suo funzionamento propone una mondializzazione dal significato poliedrico a cui ancorare anche quello di motore di avanzamento civile. 5. Progettare il territorio: dall’integrazione alla governance A livello locale, e tenendo conto delle specificità di funzionamento del sistema della diaspora, proporre l’integrazione mediante i normali canoni di apertura al dialogo e all’inserimento messi in atto dalla società di accoglimento, è un intervento destinato a fallire. È evidente che il progetto di costituzione di una società multiculturale non può essere perseguito mediante pratiche integranti, ma piuttosto attraverso il raggiungimento di una condivisione dei valori che l’incontro ha creato e la capacità di dotarsi di strumenti idonei agli specifici contesti culturali in cui si intende agire. Una volta abbandonata l’idea che l’obiettivo da perseguire sia l’ottenimento di una convivenza non conflittuale di gruppi culturalmente diversi, ma, piuttosto, la creazione di una società plurale e multiculturale, gli interventi devono essere effettuati da tutti gli attori coinvolti e mediante modalità proprie della governance. Nel passato, gli aspetti considerati ineludibili per l’ottenimento di una convivenza pacifica erano stati individuati ne: i) l’in- pea attiva si vedano i siti: www.europa.eu.int/youth/active_citizenship/index_eu_it.html; www.coe.int/T/F/Coop%E9ration%5Fculturelle/education/E.C.D/. 27 Su tale cittadinanza si fonda anche la legittimità al diritto di voto locale che, in questo modo, si dissocia dall’appartenenza nazionale. Per una sintesi della cittadinanza plurale, si veda Liakopoulos, in: www.immigrazionelavoro.it/public/im.pdf. 28 Jürgen Habermas sostiene che l’idea di nazione è stata il “catalizzatore” di una concezione puramente politica della cittadinanza. Quest’ultima infatti presuppone comunque un buon grado di integrazione sociale, un orizzonte culturale comune tale da alimentare la solidarietà tra persone reciprocamente estranee: perchè si realizzi la trasformazione “da sudditi a cittadini” è necessario un momento forte di integrazione e mobilitazione politica, e questa mobilitazione si è attuata, in Europa, intorno all’idea di nazione (Habermas, 1998). La diaspora cinese e il territorio in movimento vestimento che l’immigrato era disposto a effettuare per farsi accettare all’interno del Paese ospitante: ii) le possibilità che la società d’accoglienza gli offriva per convivere nel nuovo ambiente sociale. Viceversa, per il perseguimento di una società multiculturale mediante le strategie della governance attualmente, ci si rivolge soprattutto all’individuazione degli strumenti di dialogo e concertazione che gli attori implicati sono in grado di mobilitare. Entriamo nel merito di questi aspetti, evidenziando i limiti del significato di integrazione e, per contro, valutiamo le possibilità offerte della governance per conseguire una adesione attiva delle comunità locali ai processi decisionali concernenti questioni di carattere pubblico. Va ricordato che, nel contesto migratorio, il temine integrazione29 prevede un insieme di azioni che devono essere compiute dalla società di accoglienza considerando l’immigrato un soggetto debole e universalmente interessato a raggiungerla. Abbiamo visto, però, che ciò non corrisponde necessariamente alla realtà, o almeno non per la componente cinese. Va ribadito che alcuni presupposti della diaspora escludono che l’integrazione sia una meta da raggiungere. Il luogo in cui si è deciso di vivere, e dove l’integrazione sarebbe conseguita, è una posta meno importante rispetto al mantenimento di un territorio in rete che garantisce l’appartenenza alla diaspora. Dunque, non è mediante l’integrazione che si può aspirare a responsabilizzare l’immigrato e farlo diventare un interlocutore attivo. Sul secondo punto e, dunque, sul ruolo che la società ospitante svolge per attuare l’integrazione, è contemplato il recupero delle istanze culturali dell’immigrato, ribadendo l’importanza di alcuni aspetti dell’identità delle radici (appartenenza etnica, lingua, religione…). Ma se tale propensione è condivisibile sotto il profilo teorico, sul piano pratico risulta inattuabile. In primo luogo, essa implica un investimento molto oneroso che una società dominante difficilmente è disposta a fare; in secondo luogo, la società immigrata differisce da quella del Paese d’origine anche solo per il fatto di aver attuato un’esperienza di mobilità che ha condotto all’assunzione di un’altra identità, quella della diaspora, per esempio, e dunque, l’investimento risulterebbe incompleto già alle origini. Inoltre, tale investimento dovrebbe essere interpretato alla luce della situazione interetnica prodotta e, pertanto, della nuova territorialità espressa dal luogo d’accoglienza che non può essere imputata all’esclusiva azione della popolazione immigrata, ma al contatto tra questa e quella della popolazione già residente. Al contrario, la governance prevede l’attuazione di una società multiculturale mediante un congiunto e paritetico ruolo di responsabilità degli attori che, pur ricoprendo differenti posizioni a seconda che appartengano alla società ospitante o alla comunità immigrata, devono partecipare ai tavoli di concertazione con uguale dignità e responsabilità. Ritorneremo tra poco su questo punto e sulle strategie per tradurre tutto ciò in strumenti operativi di partecipazione e cogestione. Naturalmente il processo della creazione di una società multiculturale è lungo e irto di difficoltà ma soprattutto ha bisogno di regole su cui ancorare operativamente l’azione che vanno attinte dall’uno e dall’altro contesto culturale. Per quanto riguarda la società ospitante tali regole non riguardano esclusivamente il Diritto e dunque l’insieme di norme stabilite dalla Giurisprudenza vigente in un determinato Paese, ma anche l’insieme dei comportamenti sociali che permettono di raggiungere una convivenza. Si tratta di convenzioni ispirate ai valori sui quali la società si regge, che, come abbiamo avuto modo di considerare nelle pagine precedenti, sono stati depositati nel e si riverberano dal territorio, che diventa così l’arena del confronto tra attori implicati. Insomma, prima di arrivare ad atti conflittuali o a scontri che testimonino tensioni latenti, la nostra atten- 29 Si veda a tal proposito, a fronte di una sterminata bibliografia, la riflessione che, seppure non recentissima, costituisce tuttora un ancoraggio importante sull’integrazione in una prospettiva culturale: Abou, (1981) 2002. 27 28 Atlante della diaspora cinese zione dovrebbe essere rivolta a scrutare gli indizi di ciò che il territorio esibisce in modo a volte palese a volte dissimulato. Gli scontri del 2007 avvenuti nel quartiere cinese a Milano solo apparentemente hanno all’origine il mancato rispetto delle norme sul traffico imposte dalla società d’accoglienza; nella sostanza evidenziano il disagio e la difficoltà di gestire un territorio la cui funzionalità nel tempo è mutata. La dinamica evolutiva attivata dall’inserimento di una comunità immigrata prevede che, in un primo tempo, il territorio della società d’accoglienza costituisca il vincolo cui l’immigrato sottostà; successivamente, a causa delle trasformazioni che lo stesso immigrato contribuisce a creare, il territorio diventa l’arena del confronto tra comunità ospitante e immigrata per il riconoscimento della sua pluralità. Le nuove esigenze prodotte da tale cambiamento, esibite da molti indizi territoriali, non possono essere represse mediante una rigida applicazione dei regolamenti vigenti, ma piuttosto prese in carico mediante forme di interdizione dialogante. Si ricordi, a questo proposito, che nello stesso territorio italiano le leggi vengono applicate in modo differente a seconda del modello di comportamento regionale vigente. Infatti, il territorio non funziona in modo uguale dappertutto: si differenzia in base ai valori che la società di accoglienza vi ha immesso, dai quali si originano differenti modelli di comportamento. Questi comportamenti possono essere definiti “istituzionalizzati”, poiché si pongono quali regole sociali cui debbono adeguarsi anche coloro che provengono dall’esterno. Il rispetto o la loro negazione incidono in modo concreto presso l’immigrato, poiché determinano la buona riuscita o meno del suo inserimento. Non va dimenticato, infatti, che nel dispositivo di controllo di una società ospitante viene accolto tutto ciò che non mette a repentaglio l’esistenza dei suoi valori; questi ultimi possono essere implementati, modificati, ma non distrutti. Quindi, all’inserimento concorrono sia norme giuridiche, sia comportamenti istituzionalizzati30. Per esempio, se la società di accoglienza si regge sulla rigida osservanza delle leggi e delle disposizioni normative, il percorso d’inserimento differirà da quello raggiungibile in un contesto diverso, all’interno del quale, per esempio, siano previsti comportamenti flessibili che, seppure non sanciti giuridicamente, siano socialmente riconosciuti31. Nel Nord dell’Italia il sistema giuridico è funzionante, le leggi sono rispettate e i comportamenti istituzionalizzati ne ricalcano i principi. In questa regione l’integrazione “debole” fatica a farsi strada, poiché non esistono spazi liminari flessibili in cui “arrangiarsi”. Viceversa, è l’integrazione “forte”, di tipo istituzionale, che trova un favorevole terreno di coltura che, tuttavia, è sottoposta a una rigidità nell’applicazione delle norme e nel rifiuto di forme di flessibilità nel loro rispetto. Tale modo di interpretare la legge presenta aspetti negativi, quali l’esclusione dei dati contestuali in cui si sta applicando, ma anche aspetti positivi, quale il fatto che le istituzioni si dotano di specifici apparati per favorirne l’applicabilità. Nel bergamasco, per esempio, la piattaforma dell’incontro si presenta già codificata a livello istituzionale, e l’immigrato può trarre vantaggi e può aspirare a un percorso di integrazione. Non va sottovalutato, infatti, il vantaggio di poter aspirare sia a un percorso di inserimento, garantito dall’ottenimento dei presupposti per diventare un cittadino, sia al riconoscimento della propria diversità. Entrambi questi aspetti costituiscono una importante premessa perché si generino ambiti in cui perseguire la costituzione di una società multiculturale. Tuttavia, per consolidarla e renderla operativa, si devono adottare strumenti in grado di operare anche presso quelle comunità, come quella cinese, per le quali Il Diritto crea la differenza tra l’azione legale e quella illegale; il comportamento che, in quanto socialmente riconosciuto, viene definito istituzionalizzato, convenziona le azioni del vivere civile e quotidiano. 31 Sulle differenti situazioni riscontrabili in Italia, rimando al mio contributo: Casti, 2004. 30 La diaspora cinese e il territorio in movimento tali premesse non sembrerebbero sufficienti. Infatti, le porte d’accesso su cui gli enti pubblici si sono concentrati per favorire l’inserimento insistono sull’ottenimento di un lavoro stabile e di una abitazione che, abbiamo già visto, non costituiscono elementi di interesse prioritario per gli immigrati cinesi che accedono a tali sicurezze grazie alla rete familiare e associativa etnica. Le azioni portate avanti dai Bergamaschi, rivolte a garantire l’inserimento dell’altro si intrecciano con quelle finalizzate a preservare i tratti culturali del territorio che essi stessi hanno costruito. Vale a dire che la spinta al confronto si accompagna a una richiesta di rispetto delle regole promanate dal proprio territorio, secondo dinamiche che talvolta sembrano rivolte ad ottenere una forma di assimilazione piuttosto che la costituzione di una società multietnica. A giustificazione di tale atteggiamento, va ricordato che la comunità bergamasca si è trovata a far fronte a considerevoli implicazioni e ha affrontato aspettative degli immigrati difficilmente eludibili. Oltre ai problemi strutturali, quello del lavoro e quello abitativo, sono stati affrontati altri bisogni in ambito educativo e sanitario. Così come va sottolineato che le risposte delle istituzioni sembrano improntate a un dinamismo e a una flessibilità in grado di gestire adeguatamente l’integrazione, almeno per quanto riguarda certe sue componenti. Si pensi, per esempio, all’elasticità e all’efficacia che connotano l’attività di alcune istituzioni bergamasche, le quali si occupano di rilevare e aggiornare costantemente i dati relativi ai flussi migratori32, oppure ai numerosi progetti in ambito educativo, promossi dall’Ufficio Scolastico Provinciale di Bergamo al fine di favorire il dialogo tra la cultura locale e quella straniera. Per quanto riguarda i programmi educativi, la diversificazione dei percorsi offerti e il fatto che siano rivolti a tutte le fasce di età della popolazione esibiscono la filosofia di un intervento generalizzato e capillare33. Ma i cambiamenti che guidano le forme e le modalità di un’azione congiunta rimandano ai modelli d’azione che si riferiscono all’idea di governance urbana e territoriale. La governance è un cantiere di ricerca che tenta di coniugare una strategia di adattamento nella risoluzione di contese esterne, favorendo la ricomposizione dei ruoli e dei contenuti dell’azione politica34. La nozione di governance – che va precisato, non è un concetto ben definito ma una prescrizione, non tanto per l’ottenimento di risposte, ma piuttosto per permettere di enucleare i nodi problematici e formulare una rosa di soluzioni – non rimpiazza il governo istituzionale, ma mostra nuove forme di scelte collettive, di valori, di dibattiti contraddittori, di contrapposizione di interessi diversi, di legittimità, in sostanza di politica. In termini generali, la governance definisce una modalità di azione pubblica diversa rispetto a quella del governo della città e del territorio istituzionale. Mentre il governo della città prefigura come centrale il ruolo dell’attore pubblico, la governance prefigura una modalità di intervento basato sulla flessibilità, sul partenariato e sulla volontarietà della partecipazione35. Diversi soggetti, anche non istituzionali, hanno quindi la possibilità di svolgere un ruolo attivo nella definizione di scelte e di azioni di interesse collettivo36. È in questa pro32 Va precisato che i dati relativi alla situazione nel bergamasco, cui fanno riferimento le carte proposte in questo Atlante, sono in buona parte il risultato delle rilevazioni condotte da tali enti. Infatti gli istituti di rilevazione nazionali producono informazione sulla composizione e sul movimento demografico, ma non prevedono quella territoriale, che deve così essere recuperata in altro modo. 33 Sull’offerta formativa e sull’importanza attribuita alla lingua e alla scuola si vedano gli interventi in questo stesso volume. 34 Per una visione di sintesi, si veda Moreau Defarges, 2003. 35 Il contributo di altri attori è considerato imprescindibile dal momento che essi giocano un ruolo strategico nell’orientazione e nelle opzioni di politica territoriale: attori politici non governativi componenti della società civile, tra cui le imprese, i sindacati, le associazioni o gli attori individuali e naturalmente attori collettivi, costituiscono le componenti essenziali del tavolo di concertazione. 36 Tale esperienza, messa in pratica da alcuni decenni, ha prodotto strumenti attuativi molto importanti in vari ambiti territoriali. Si pensi a quelli contrattuali quali la charte paysagère in 29 30 Atlante della diaspora cinese spettiva che la governance si profila come modalità di azione adeguata anche nelle questioni sollevate dall’immigrazione dal momento che il suo obiettivo è la costituzione di tavoli di concertazione dove, più che la gerarchia delle competenze previste, conta la costruzione degli interessi in gioco, delle attese e delle intenzionalità espresse dai diversi soggetti37. In tale contesto l’individuazione degli attori per i tavoli di concertazione diventa determinante. Infatti, tra gli obiettivi di una governance urbana è considerata prioritaria la capacità di integrare i gruppi sociali, gli attori, e i diversi interessi per elaborare una strategia comune; giungere a proporre all’esterno, nei confronti degli attori istituzionali, una rappresentazione collettiva di tale strategia; infine, individuare gli aspetti territoriali nella loro funzione non tanto di localizzazione ma di territorialità. Ed è qui che diventa cruciale il riferimento al sistema territoriale e alla multiterritorialità che, come nel caso che stiamo analizzando, si esprimono attraverso ciò che è stato definito sistema locale38. Abbiamo detto che si tratta di un aggregato di soggetti che in varie circostanze si comportano come un soggetto collettivo seppure esso non sia formalmente riconosciuto come tale. Il suo modo di interagire con l’esterno prevede regole largamente informali, ma sufficienti a garantire la sua riproduzione nel tempo. Per raggiungere la sua stabilizzazione dispiega tutte le potenzialità che gli derivano dalla sua coesione interna, che sono individuabili nelle logiche interne, nel modo comune di pensare e di agire dei soggetti che lo compongono. Insomma la comunità immigrata non è un grumo uniforme di persone che ricoprono i medesimi ruoli e che assumono le medesime responsabilità nei confronti della società d’accoglienza. Essa è organizzata strutturalmente in un sistema gerarchico, in cui alcuni soggetti svolgono ruoli autorevoli perché espressione di una condivisione di valori collettivi. Nel quadro delle reti etniche tra Cinesi, per esempio, esiste un organismo di particolare rilievo: l’associazione (xié huì) tra connazionali39. Si tratta di un’organizzazione dotata di multiple funzioni, tra cui quella politica. Infatti, essa funge da ponte di relazione tra i “Cinesi d’oltremare”, la Cina e il Consolato cinese nel Paese d’approdo. Questi tre attori sono implicati a livelli complementari nella gestione delle relazioni della società diasporica: i Cinesi emigrati organizzano le proprie attività nel Paese d’approdo; la Cina supporta i propri emigrati quali propulsori di sviluppo del Paese di provenienza; infine, il Consolato cinese funge da trait d’union sia con il sistema politico-economico locale che con la Cina. Ma è la xié huì che costituisce il punto strategico di connessione tra gli immigrati presenti in un dato territorio e la funzione politica cinese interessata alla diaspora. Per esempio, tale associazione riceve i personaggi politici cinesi in visita in Italia, premurandosi di organizzare manifestazioni di benvenuto così come di far conoscere gli imprenditori cinesi che operano nel territorio italiano o quelli italiani interessati a instaurare o consolidare gli scambi con la Cina. Il suo ruolo, dunque, è autorevole dal momento che esprime esternamente un interesse comunitario di cui ha ampio mandato. Infatti i membri di tali associazioni appartengono alla categoria dei lăobăn, che, come abbiamo già precisato, sono Francia o la community conservation nelle aree protette sudafricane. Si veda sulla prima Gorgeu, Jenkins, 1995, sulla seconda Cencini, 2004. 37 Sulla gestione dei sistemi locali su base territoriale in ambito economico, si veda Governa, 2003. 38 La diffusione della nozione e il suo impiego a Bruxelles spiega il suo potenziale in termini di strumentalizzazione. Dei modi di governance sovranazionali europei sono ormai costituiti, strutturati attraverso dei sistemi di regole che si applicano all’insieme del territorio dell’Unione attraverso delle reti di attori transnazionali. Ciò facendo la commissione europea contribuisce all’organizzazione progressiva di un sistema politico transnazionale. Sull’importanza attribuita dall’Unione Europea a tale modalità di gestione si veda Unione Europea, Comitato Delle Regioni, 2003. 39 Sull’organizzazione interna di queste associazioni si veda, in questo volume il contributo di Ghisalberti nel Capitolo 6. La diaspora cinese e il territorio in movimento immigrati giunti alla fine della loro ascesa sociale del percorso migratorio che, svolgendo la funzione di datori di lavoro, costituiscono il tramite presso i connazionali giunti successivamente che da essi dipendono economicamente ma anche esistenzialmente. Inoltre, la xié huì, mediante i suoi membri, svolge un ruolo organizzativo e prescrittivo nei rapporti interni al gruppo cinese d’oltremare, assumendo varie funzioni tra cui quella giudiziaria in grado di dirimere controversie – di natura civile – legate, per esempio, a contratti matrimoniali o altro. Essa, in secondo luogo, sostiene i propri membri sotto il profilo finanziario qualora subentrino difficoltà economiche, ma contribuisce altresì allo sviluppo della Cina dal momento che, tra i suoi obiettivi, c’è anche quello di realizzare infrastrutture nelle aree di emigrazione, soprattutto quelle di provenienza dei suoi affiliati. Infine, favorisce le attività di socializzazione dei propri connazionali e promuove la conservazione di varie forme della cultura cinese in terra d’emigrazione consolidando l’azione di affermazione identitaria40. La situazione relazionale della comunità cinese nel bergamasco non differisce troppo da quella di altre medie città italiane, ossia manca di associazioni cinesi41 dal momento che essa fa riferimento a quelle presenti nelle città più grandi. Gli immigrati bergamaschi si relazionano alle associazioni di Milano e precisamente alla Yìdalì huáqiáo huárén gŌng shāng huì, ovvero “Associazione commerciale e industriale dei Cinesi d’oltremare in Italia” che annovera tra i suoi aderenti i personaggi più influenti presenti in tutto il territorio lombardo e del Nord d’Italia in generale. Tali associazioni, che hanno ben funzionato finora, sono minacciate attualmente dall’arrivo di nuovi connazionali che non riconoscono la legittimità delle loro logiche e tentano di imporre alla comunità quelle di tipo mafioso. È importante, dunque, conservare tali associazioni e agire per supportare il loro ruolo di attori autorevoli nell’attuazione della governance. Difatti, queste forme associative costituiscono una grande potenzialità nella partecipazione ai tavoli di concertazione, dal momento che il loro sistema di rappresentanza è composto da soggetti che, avendo terminato la scalata economica, attestano di aver contribuito al mantenimento dei valori diasporici e di aver acquisito l’autorevolezza necessaria a rappresentare tutta la comunità. Non si tratta di una generica rappresentanza democratica basata sulla condivisione di opinioni ma su quella molto più solida ancorata ai valori. Inoltre, sono organismi flessibili e non esclusivi, proprio perchè capaci di offrire sostegno, pur senza particolari obblighi e costrizioni, in grado di promuovere progetti di mobilità economica, sociale e territoriale, senza vincolare i percorsi soggettivi e senza produrre chiusure e segregazioni. Esse costituiscono, dunque, il luogo cui attingere per una rappresentanza ai tavoli di concertazione che, va precisato, non possono operare che in determinate e qualificate condizioni. Per attivare un processo di governance e, dunque, organizzare tavoli di concertazione, risulta prioritaria l’individuazione degli attori che non possono essere esclusivamente quelli istituzionali, ma devono comprendere coloro la cui autorevolezza viene riconosciuta all’interno del gruppo implicato. Anche per quanto riguarda la forma istituzionale, i tavoli di concertazione devono avere uno statuto e una denominazione che potrebbe essere “Comitati di gestione del territorio multiculturale”. Essi devono prevedere una rappresentanza ampia che comprenda sia Si pensi, per esempio, all’ormai tradizionale festeggiamento del capodanno cinese nel quartiere Sarpi del capoluogo lombardo, che costituisce un chiaro esempio di affermazione identitaria in un territorio d’emigrazione. 41 Tale dato proviene da una indagine di terreno condotta nel corso degli anni 2005-2006 da alcuni geografi dell’Università di Bergamo, i cui risultati sono raccolti all’interno di questo volume. Tale ricerca, basata su strumenti di terreno quali l’osservazione, le interviste (a campione e ad interlocutori privilegiati) e la cartografia partecipativa, ha avuto lo scopo di ricostruire l’organizzazione socio-territoriale di tale gruppo immigrato nel bergamasco. 40 31 32 Atlante della diaspora cinese gli esponenti dell’amministrazione pubblica, sia quelli provenienti dal piano di autorità immigrata, per un efficace coinvolgimento nella presa di decisioni, nella risoluzione dei conflitti, nella contrattazione delle misure da prendere. Tali Comitati, composti dai soggetti autorevoli appena citati, che costituirà il basamento permanente del loro funzionamento, inviteranno al tavolo di concertazione i rappresentanti delle categorie che di volta in volta saranno coinvolte nello specifico problema da risolvere: associazioni e istituzioni del governo cittadino da una parte, categorie e esponenti di autorità riconosciuta dall’altra. Ne consegue, dunque, che i partecipanti ai tavoli di concertazione dovranno cambiare a seconda della questione da risolvere e che tali comitati si prospetteranno come organi flessibili e pragmatici, che non raggruppano necessariamente tutta la comunità immigrata o i residenti dell’intero quartiere ma solamente quelli che sono implicati nel dirimere una controversia o un problema contingente. Il comitato tuttavia svolgerà anche un ruolo progettuale e di pianificazione e costituirà l’ente di riferimento non solo nei periodi di tensioni o conflitti ma nella partecipazione collettiva permanente42. Infine, va specificato che tali comitati potranno essere interrelati con altri organismi presenti nel territorio, che esprimono a loro volta l’esigenza di rafforzare i legami tra comunità locale e Amministrazione come, per esempio, le associazioni di quartiere cittadine o quelle che abbiano capacità di dialogare con la comunità immigrata. I comitati dovranno possedere uno statuto giuridico e una personalità morale per essere legittimate nell’azione, e nello stesso tempo intervenire a scala nazionale rappresentando le singole regioni, di cui devono essere promanazione nella presa in carico della convivenza multiculturale e nella creazione di una società plurale. 6. Conclusioni Tale proposta operativa, naturalmente, presenta tutti i limiti dovuti all’innovazione e al cambiamento e la sua validità potrà essere verificata solo sul campo. D’altra parte l’allarmismo con cui le istituzioni locali e nazionali stanno affrontando il tema della convivenza con le comunità della diaspora mostra l’esigenza di pensare nuove strategie operative. Ancor più essa risulta pressante tenuto conto dell’accelerazione dei flussi e dell’intrusione di logiche di tipo criminale nell’organizzazione tradizionale cinese, che mettono a rischio la convivenza finora garantita dalla congiunta azione della comunità immigrata e delle istituzioni italiane. L’intervento del Governo cinese sugli scontri di Milano e il ricatto economico soggiacente la dicono lunga sul cambiamento che la comunità della diaspora sta subendo in Italia. Tradizionalmente il nostro Paese non ha dovuto affrontare emergenze interne o interferenze politiche sulle modalità di gestione della convivenza, perché le dimensioni del fenomeno erano contenute e la ricaduta politica della loro azione trascurata. Ora si è aperta una nuova stagione a cui conviene guardare con attenzione ma anche con ottimismo, dal momento che intraprendere la via della conoscenza dell’Altro non può condurre che ad un arricchimento e dotarsi di strumenti di gestione per quanto la situazione possa apparire complessa, non può che garantire il buon esito della sfida in cui siamo immersi. Tale proposta è stata già accolta in un contesto molto differente, quello africano, anch’esso caratterizzato da comunità locali organizzate in base a valori tradizionali locali e i Comitati hanno dimostrato la loro attuabilità e tenuta (Casti, 2006). 42 33 CAPITOLO 2 La lingua cinese e i suoi dialetti: una mappa linguistica* di Giuliano Bernini 1. Introduzione Nel novero delle lingue del mondo il cinese si impone anzitutto per due ragioni: per il fatto di essere una delle poche lingue vive con una lunga tradizione ininterrotta le cui prime attestazioni risalgono alla metà del secondo millennio avanti Cristo; per il fatto di essere la lingua con il maggior numero di parlanti nativi, che, comprendendo tutte le varietà dialettali, arrivavano nel 1990 a 1.033.057.000 secondo i dati dell’Ethnologue (Gordon, 2005, s.v. Chinese), a 1.137.386.000 nel 2000 secondo Bradley, 2006, p. 3221. Per le comunità cinesi stanziate in Italia così come per tutti i cinesi della diaspora, la lingua — insieme alla cultura che tramite essa si trasmette da secoli — è uno degli elementi che contribuiscono alla coesione dei gruppi di espatriati e contemporaneamente alla loro segregazione dalle comunità ospiti. La ragione di ciò è insita nei principi che stanno alla base della costruzione della fonetica, del lessico e della grammatica del cinese. Questi principi divergono radicalmente da quelli che stanno alla base della costruzione della fonetica, del lessico e della grammatica dell’italiano e, in generale, delle lingue d’Europa, le cui costanti di organizzazione linguistica vengono ricondotte a un tipo “europeo medio standard” (in inglese “Standard Average European”)2. Tra le non infinite opzioni a cui le lingue possono ricorrere per dare forma al continuum della realtà cognitiva e per darne codificazione fonetica, cinese da una parte e italiano e lingue d’Europa dall’altra operano scelte diverse che si lasciano ricondurre a tipi di lingua diversi e distanti tra loro. Senza ancora entrare nei dettagli della descrizione del funzionamento del cinese, si può dire che le differenze tipologiche principali tra cinese e italiano siano le seguenti: a. A livello fonetico il cinese fa uso sistematico della modulazione della voce a diverse altezze per distinguere le parole: mā con tono costante alto significa ‘mamma’; mà con tono bruscamente discendente significa ‘insultare’, ‘sgridare’. In italiano i cambiamenti di tono esprimono invece gli atteggiamenti emozionali del parlante e non vengono utilizzati per distinguere le parole. * Questo contributo si inserisce nel progetto FAR 2006 “Analisi e sintesi nella costituzione di lessemi verbali” dell’Università degli Studi di Bergamo. Un caloroso ringraziamento va a Ada Valentini, Mireille Lemonier Degouville e Giorgio Francesco Arcodia per le preziose osservazioni da loro suggerite. Va senza dire che la responsabilità per ogni errore o travisamento contenuti nel testo è del solo autore. 1 Anche Banfi, 2004, p. 128, riporta la cifra di circa 1.200.000.000 per la situazione demografica attuale. 2 Si vedano a questo proposito i volumi della collana EUROTYP pubblicati dall’editore Mouton de Gruyter di Berlino da Siewierska, 1998, a Bernini, Schwartz, 2006. In tutti questi volumi frequenti sono i confronti con il cinese. Riuscite sintesi delle caratteristiche delle lingue d’Europa sono anche Nocentini, 2002 e Banfi, Grandi, 2003. 34 Atlante della diaspora cinese b. Il lessico cinese è costituito di elementi prevalentemente monosillabici con significato proprio che si possono combinare tra loro: il nome della Cina è zhōngguó, composto dagli elementi monosillabici zhōng ‘centro’+ guó ‘paese’. In italiano le parole sono prevalentemente polisillabiche e formate con elementi diversi – i morfemi –, che non possono essere usati da soli p.es. cines- e -i in cinesi. c. Il cinese non esprime obbligatoriamente le categorie di numero e genere coi nomi e di tempo, modo e diatesi (cioè forma attiva e forma passiva) coi verbi. In italiano un nome può solo comparire accompagnato dal morfema che ne codifica genere e numero e ciascuna forma verbale deve essere coniugata almeno per modo, tempo e di solito persona (in accordo col soggetto): al cinese kàn possono quindi corrispondere tutte le diverse forme di leggere (leggo, leggevi, lesse, leggeremo, leggereste, leggessero ecc.). d. La rappresentazione grafica del cinese non ricorre a sequenze di caratteri che riproducono la sequenza di fonemi di una parola. In cinese a ciascun elemento monosillabico è associato un logogramma, cioè un carattere più o meno complesso che solo talvolta e in modo indiretto dà indizi circa la pronuncia della parola. Ne è esempio , il carattere che corrisponde a zhōng e che significa ‘centro’, o ancora il carattere che corrisponde a guó e significa ‘paese’. In italiano l’uso di logogrammi è marginale e si ritrova per lo più con i numeri: “5” non riproduce la fonetica della parola italiana a differenza della sequenza di caratteri alfabetici cinque. In questo capitolo le parole cinesi vengono date nella trascrizione fonetica della pronuncia secondo lo standard pechinese in uso nella Repubblica Popolare Cinese dal 1958. La trascrizione è detta pīnyīn (abbreviazione di pīnyīn zìmŭ ‘alfabeto fonetico’); utilizza caratteri alfabetici latini per la sequenza di fonemi e diacritici per segnalare i toni su cui si devono modulare le vocali delle parole. Le caratteristiche tipologiche del cinese hanno contribuito a formare nel corso dei secoli tradizioni e abitudini di interazione che richiedono molta cooperazione tra i partecipanti a una conversazione per costituire i riferimenti contestuali non obbligatoriamente espressi (numero degli oggetti e delle persone di cui si parla, tempo in cui si svolgono le azioni descritte ecc.). Tali tradizioni, che la Cina condivide con i Paesi dell’est e del sud-est asiatico appartenenti alla stessa cerchia culturale, costituiscono un punto critico del contatto con le lingue europee che si fa sentire ora in maniera sensibile nel campo delle relazioni commerciali. Le strategie comunicative che in questo settore caratterizzano le lingue asiatiche della cerchia culturale cinese sono oggetto di studio scientifico, p.es. in Bargiela-Chiappini, Gotti, 2005. In questo capitolo si disegna la mappa linguistica del cinese, approfondendo le sue caratteristiche ai diversi livelli di analisi. La sezione 2 è dedicata a una panoramica della Cina dal punto di vista linguistico, con particolare riguardo alla frammentazione dialettale del cinese. Le sezioni 3, 4, 5 toccano nell’ordine alcuni punti di fonologia, lessico e struttura della frase. La sezione 6, è dedicata alla scrittura cinese e la sezione 7, infine, contiene alcuni suggerimenti bibliografici. 2. La Cina, il cinese e i suoi dialetti In questa sezione si definisce il cinese da tre punti di vista: dal punto di vista storico per quanto attiene la sua filiazione genetica; dal punto di vista geografico per quanto attiene la sua diffusione nella Cina rispetto alle altre lingue parlate in questo Paese; dal punto di vista sociale per quanto attiene le varietà standard utilizzate da parlanti dialetti (e lingue) diverse. La lingua cinese e i suoi dialetti: una mappa linguistica 35 Figura 1 Diffusione dei parlanti cinese nel mondo 2.1. Dal punto di vista storico il cinese appartiene alla famiglia sino-tibetana, e precisamente al ramo sinitico, di cui rappresenta la continuazione, come illustrato nello Schema 1. Le lingue sino-tibetane sono parlate principalmente in Cina, Myanmar e Tailandia oltre che in Nepal, India (Assam), Bangla Desh. Nell’ambito della famiglia sino-tibetana, il cinese è lontanamente imparentato col tibetano, parlato nel Tibet all’interno dei confini della Repubblica Popolare Cinese, con lo yi, parlato nel Sìchuān S e nelle parti confinanti di Yúnnán e Guìzhōu (SW della Repubblica Popolare Cinese), nonché con il birmano, parlato nella vicina Myanmar. Queste lingue, insieme a molte altre, si collocano nelle diverse articolazioni del secondo ramo della famiglia sino-tibetana, che raggruppa le lingue dette tibeto-birmane, come illustrato sempre nello Schema 1. Schema 1 – La famiglia sino-tibetana SINO-TIBETANO SINITICO TIBETO-BIRMANO HIMALAYANO cinese (e suoi dialetti) tibetano, (altre lingue) LOLO-BIRMANO lolo birmano (ALTRI RAMI) yi, (altre lingue) birmano, (altre lingue) 2.2. Dal punto di vista geografico, il cinese nelle sue varietà dialettali è parlato nella Repubblica Popolare Cinese da circa il 93% della popolazione, di etnia Hàn. Al di fuori della Repubblica Popolare Cinese, la lingua cinese è parlata a Táiwān (= Repubblica di Cina), a Singapore, in Malesia, in Indonesia e in altre comunità di emigrazione, negli Stati Uniti e in Europa, Italia compresa, come indicato nella Figura 1. Nella Repubblica Popolare i parlanti cinese si ritrovano nella parte orientale e centrale del Paese, tra il mar Cinese a E, il confine con la Corea e la Russia a N, il confine con Vietnam, Laos e Myanmar a S. Verso W il territorio compatto di lingua cinese è limitato dalla Mongolia interna a NW, si allunga fino nella 36 Atlante della diaspora cinese parte più occidentale della provincia di Gānsù ed arriva infine ad occupare le parti orientali delle province di Sìchuān e Yúnnán. Intorno al territorio compatto di lingua cinese, procedendo da NE a SW, sono parlate3: – lingue altaiche (tunguse in Manciuria, mongolo nella Mongolia interna, turche come lo uigur nello Xīnjiāng); – lingue indoeuropee (tagico, nell’estremo occidente); – lingue sino-tibetane del ramo tibeto-birmano (v. qui sopra 2.1.); – lingue austriche (gruppi miáo-yáo, mon-khmer, tai, austronesiano).4 La distribuzione geografica delle famiglie linguistiche presenti sul territorio cinese, insieme al numero di abitanti di ciascuna delle entità amministrative della Repubblica Popolare Cinese (= RPC) è riportata nella Tavola 3. Il territorio di lingua cinese così delimitato è articolato al suo interno in una compagine di dialetti detti fāngyán (lingue regionali)5. La maggior parte della popolazione di stirpe Hàn (circa il 70%) parla una serie di dialetti strettamente imparentati tra loro e intercomprensibili che formano il gruppo delle “parlate del nord” (běifānghuà) o “mandarino”. Questi dialetti occupano la parte settentrionale e occidentale del territorio di lingua cinese descritto sopra, comprendendo la capitale Běijīng/Pechino a N e arrivando fino allo Yúnnán a S. Questi dialetti, e in particolare quello dell’area pechinese, sono alla base delle iniziative di creazione di varietà standard in tutta la storia del cinese (v. 2.3.). Su questa base si era anche formata la varietà guānhuà (lingua dei funzionari), usata come lingua franca dal 15° secolo e fino alla rivoluzione del 1911. Questa varietà è stata chiamata per metonimia Mandarin in inglese e poi in italiano mandarino. “Mandarino” indica infatti originariamente gli alti dignitari della corte imperiale (cfr. qui sopra guān nella forma guān+huà ‘mandarino/funzionario+lingua’) e si ritrova con questo significato in italiano già nel 1562 come prestito dal portoghese mandarim, a sua volta derivato dal malese măntărĭ e in ultima analisi dal sanscrito mantrín ‘consigliere’. Il restante 30% circa della popolazione di stirpe Hàn parla invece una serie di dialetti che si ritrovano a sud del fiume Yangtze (= Yángzi) tra Shànghăi e il Guănxī e sulle isole di Táiwān e Hăinán. Si tratta di dialetti non intercomprensibili tra di loro e con il mandarino, formatisi a partire dalla metà del primo millennio a.C. in seguito alla penetrazione Hàn dal N e all’assimilazione delle popolazioni non-Hàn (= Mán). La differenza tra dialetti mandarini e dialetti meridionali può essere illustrata dall’esempio (1), dove sono riportate le versioni mandarina standard e wú (il dialetto di Shànghăi e della provincia Zhèjiāng) della frase ‘sta mangiando’6. Le due versioni mostrano differenze a ogni livello: fonetico: il suono wú [H] non è presente in mandarino; tonale: il dialetto wú ha otto toni, indicati dai numeri in esponente, contro i quattro del mandarino indicati con segni diacritici sopra le vocali; morfo-sintattico: la progressività dell’azione è espressa facendo ricorso a strategie diverse; La realtà multietnica della Cina è rappresentata simbolicamente nella bandiera nazionale, dove la stella centrale è intesa rappresentare la maggioranza Hàn e le quattro stelle più piccole alla sua destra sono intese rappresentare i gruppi minoritari dei Mongoli, dei Manciù, dei Tibetani e degli Hui. Questi ultimi sono gruppi di religione mussulmana, parlanti varietà locali di cinese, di mongolo e, nell’isola di Hăinán, anche una lingua austronesiana. Al riguardo si veda Bradley, 2006. 4 Lingue del gruppo austronesiano sono presenti anche all’interno dell’isola di Táiwān. 5 Col termine “dialetto” si designano qui sistemi linguistici diversi e non intercomprensibili, come nel caso di molti dialetti italo-romanzi rispetto all’italiano. Il sentimento di stretta appartenenza alla stessa cerchia culturale e la presenza secolare della lingua scritta standard fanno da contrappeso unificante presso tutti i parlanti. 6 L’esempio è tratto da Ramsey, 1987, p. 94. 3 TAVOLA 3 – Distribuzione delle famiglie linguistiche sul territorio della Repubblica Popolare Cinese 38 Atlante della diaspora cinese Figura 2 Distribuzione dei dialetti Hàn in Cina lessicale: evidente nelle parole delle due versioni dell’esempio. (1) ‘Sta mangiando’ a. Mandarino tā lui b. Wú Hi2 lui zhèng-zài esattamente-stare ləq8-l əq8 stare-stare chī fàn mangiare pasto ch’yəq7 vε2 mangiare pasto I dialetti a SE dello Yangtze sono i seguenti7: wú, parlato, come si è già detto, nella regione intorno a Shànghăi e nella provincia di Zhèjiāng; è il dialetto con il maggior numero di parlanti dopo quelli dei dialetti mandarini: ca. 80.000.000, corrispondenti a 8,5% della popolazione di stirpe Hàn; yuè, parlato nella parte W della provincia di Guănzhōu (= Canton) e a Xiāngăng (= Hong Kong); ca. 50.000.000 di parlanti, corrispondenti al 5,1% della popolazione di stirpe Hàn; xiāng, parlato nello Húnán; ca. 48.000.000 di parlanti corrispondenti al 4,8% della popolazione di stirpe Hàn; mĭn, parlato nel Fújiàn, nella parte NE del Guăndōng, sulle isole di Táiwān e Hăinán; ca. 45.000.000 di parlanti corrispondenti al 4,1% della popolazione di stirpe Hàn; hàkka (o kèjiā), parlato nella parte CN del Guăndōng, nel Sìchuān e a Táiwān, ca. 30.000.000 di parlanti corrispondenti al 3,7% della popolazione di stirpe Hàn; gàn, parlato nello Jiāngxī e nello Húnán E; ca. 24.000.000 di parlanti, corrispondenti al 2,4% della popolazione di stirpe Hàn. Tra questi dialetti è particolarmente importante lo yuè (detto anche cantonese), che gode di un particolare prestigio nei confronti del mandarino in seguito alla posizione economica e commerciale delle città di Canton e Hong Kong ed è talvolta usato in forma scritta in generi paraletterari. Lo yuè è il dialetto parlato dalla maggior parte degli espatriati a Singapore, in Malesia, nell’America setten- 7 I dati sui numeri di parlanti sono tratti da Banfi, 2004, pp. 128-129. La lingua cinese e i suoi dialetti: una mappa linguistica trionale e in Australia8. Lo wú è invece importante, oltre che per la posizione economico-finanziaria di Shànghăi, per il fatto che la quasi totalità degli immigrati cinesi in Italia è costituita da parlanti questo dialetto. La distribuzione geografica dei dialetti Hàn in Cina è riportata nella Figura 2. 2.3. La frammentazione linguistica e dialettale della Cina è superata grazie all’uso di una varietà standard detta pŭtōnghuà o “lingua comune”. La pŭtōnghuà, basata in parte sulla varietà pechinese del mandarino, è stata ufficialmente introdotta nelle scuole della Repubblica Popolare nel febbraio del 1956. Essa continua, di fatto, le varietà comuni che si erano formate nella storia più e meno recente della Cina, in particolare la guóyŭ (lingua nazionale), assunta a standard dopo il 1911 e a sua volta basata sulla lingua franca dei funzionari imperiali detta guānhuà di cui si è già parlato in 2.2. Dopo avere descritto la variegata mappa della Cina linguistica, le sezioni che seguono presentano nei suoi tratti essenziali la struttura della fonetica, del lessico e della morfosintassi del cinese. La varietà di riferimento, cioè quella effettivamente descritta nelle tre sezioni seguenti, è la pŭtōnghuà. Come si è già detto in 1., gli esempi sono trascritti in pīnyīn, il sistema elaborato insieme alla pŭtōnghuà per renderla accessibile anche a parlanti dialetti non-mandarini. 3. La fonetica del cinese Per illustrare il componente fonetico della lingua cinese si selezionano qui alcuni aspetti caratteristici relativi all’inventario dei suoni, alla combinazione dei suoni nella formazione delle sillabe, ai toni. 3.1. L’inventario dei fonemi del cinese comprende anche consonanti occlusive, affricate e fricative come quello dell’italiano. L’italiano e le altre lingue europee differenziano queste consonanti in base al tratto “sonorità”, cioè a seconda che la loro pronuncia sia accompagnata o meno dalla vibrazione delle corde vocali. L’italiano oppone così consonanti sorde (non accompagnate dalla vibrazione delle corde vocali) e consonanti sonore (accompagnate dalla vibrazione delle corde vocali), come nel caso delle consonanti iniziali occlusive di pollo e bollo, delle consonanti iniziali affricate di cielo e gelo, delle consonanti iniziali fricative di fino e vino. Il cinese oppone queste consonanti in base al tratto “aspirazione”, cioè a seconda che la loro pronuncia sia accompagnata o meno da un’aspirazione, senza che le corde vocali entrino in gioco. Il cinese oppone così consonanti sorde aspirate e consonanti sorde non-aspirate, come le consonanti occlusive iniziali riportate nella tabella 1. La prima colonna della Tabella 1 riporta il valore fonetico delle consonanti secondo la trascrizione IPA (International Phonetic Alphabet). In pīnyīn i caratteri latini per le consonanti sorde indicano le consonanti sorde aspirate del cinese e i caratteri latini per le consonanti sonore indicano le consonanti sorde non-aspirate del cinese. 8 Lo yuè è anche il dialetto meglio descritto, cfr. per esempio Matthews, Yip, 1994. 39 40 Tabella 1 Le consonanti occlusive del cinese Atlante della diaspora cinese IPA pīnyīn Esempi [p’ p] [t’ t] [k’ k] pb td kg păo ‘correre’, băo ‘proteggere’ tòng ‘dolere’, dòng ‘muovere’ kōng ‘vuoto’, gōng ‘lavoro’ Il cinese ha un inventario di affricate e fricative più ricco dell’italiano: oltre che affricate e fricative dentali e palatali, il cinese ha anche affricate e fricative “retroflesse”, cioè articolate avvicinando la punta della lingua alla zona del palato che sta immediatamente dietro gli alveoli. A questa serie appartiene anche un approssimante, un’articolazione analoga a quella fricativa. Come indicato nella Tabella 2, le affricate si distinguono ulteriormente in base al tratto “aspirazione”. Nella tabella 2 per ciascuna di queste consonanti viene data la trascrizione pīnyīn e quella IPA (International Phonetic Alphabet) tra parentesi quadre. Tabella 2 Affricate e fricative del cinese Dentali Retroflesse (Pre)palatali Affricata aspirata c [ts’] ch [tß’] q [tç’] Affricata sorda z [ts] zh [tß] j [tç] Fricativa s [s] sh [ß] Approssimante x [ç] r [Ω] Non entriamo nel merito dell’inventario delle vocali, che hanno diverse varianti di pronuncia condizionate dalla qualità delle consonanti che le accompagnano, osservando solo che, rispetto all’italiano, il cinese ha la vocale alta anteriore arrotondata ü, come in yü ‘pesce’. Preceduto da consonanti e retroflesse, -i finale di sillaba è pronunciato come approssimante retroflessa [’], p.es. in zhí ‘diritto’ (aggettivo), pronunciata [tş’]. 3.2. In tutte le lingue si riscontrano restrizioni alla possibilità di combinare i fonemi in sillabe e poi in parole. Queste restrizioni sono particolarmente rigide in cinese, dove sono permesse solo 405 sillabe. L’ulteriore differenziazione permessa dai quattro toni con cui la stessa sillaba può essere pronunciata porta a 1200 le possibilità di differenziazioni sillabiche effettivamente realizzate. Le restrizioni sulla costituzione delle sillabe riguardano soprattutto la loro parte finale, detta tecnicamente “rima”: le sillabe possono chiudersi in vocale (o dittongo) o in vocale (o dittongo) seguita da nasale alveolare n o velare ng. Per fare un esempio, le sillabe effettivamente realizzate con b- iniziale sono le seguenti: ba, bo; bai, bei, bao; ban, ben, bang; bi; biao, bie; bian, bin, bing. Queste, come già detto, si possono poi ulteriormente differenziare grazie ai toni, come illustra, p.es. bān rispetto a bàn. Il numero limitato di sillabe effettivamente realizzate insieme alla natura prevalentemente monosillabica del cinese, già menzionata nella sezione 1. e che verrà approfondita in 4., fa sì che in cinese siano presenti numerosissimi omofoni. Ne sono esempio tra i tanti bān, che sta sia per ‘spostare’ che per ‘classe’, e bàn, che sta sia per ‘metà’ che per ‘fare’. Secondo una recente indagine statistica citata in Duanmu, 2006, in un corpus di testi scritti che conteneva un totale di 45 milioni di logogrammi si sono ritrovati 6000 tipi di logogrammi, la maggior parte dei quali corrisponde a parole monosillabiche. In altri termini, in media La lingua cinese e i suoi dialetti: una mappa linguistica 41 ogni logogramma rappresenta approssimativamente 15 parole se si considera solo la struttura sillabica senza la differenziazione permessa dai toni, e cinque parole se si considera anche questa. I valori medi qui riportati nascondono però una distribuzione non uniforme del carico di omofonia di ciascuna sillaba, senza considerare le distinzioni tonali: la maggior parte delle sillabe rappresenta ciascuna meno di 20 parole, ma dall’altra parte la sillaba ji rappresenta ben 106 parole diverse. L’evidente squilibrio fra il limitato insieme di possibili realizzazioni fonetiche rappresentate dalle sillabe e l’altissimo numero di significati diversi da decodificare è stato oggetto di riflessione da diversi punti di vista. Secondo Wendt, 1961, p. 55, l’omofonia ha potuto mantenersi e svilupparsi nel corso della storia del cinese grazie alla grafia fondata sull’uso di logogrammi. Non riproducendo la sequenza fonica delle parole e rappresentando solo il loro significato, i logogrammi hanno permesso di mantenere nello scritto il potenziale di differenziazione che si è via via perso nel parlato. D’altro canto è probabile che l’ampia gamma di conoscenze condivise e di argomenti attesi che caratterizza le interazioni quotidiane sia in ambito domestico che professionale riduca le occasioni di fraintendimento che la diffusa omofonia comporta. Agli aspetti disfunzionali dell’omofonia è anche posto rimedio tramite la possibilità di formare parole composte, illustrata nella sezione 4. 3.3. Le possibilità di modulare l’altezza della voce nella pronuncia delle vocali che costituiscono il centro delle sillabe si rifanno a quattro schemi tonali o, semplicemente, toni. La modulazione della voce si può ricondurre a una scala di 5 livelli, in base alla quale i quattro toni del cinese si dispiegano come illustrato nella Tabella 3. In questa tabella, per ciascun tono, nella seconda riga è data la descrizione della modulazione della voce, nella terza riga esempi per due strutture sillabiche diverse, nella quarta riga la notazione della modulazione della voce con serie di numeri che si riferiscono alla scala a cinque livelli convenzionalmente usata. Per esempio, il secondo tono comporta l’ascesa della modulazione della voce su livelli alti, come nelle parole per má ‘canapa’ e tóng ‘rame’; nella scala graduata lo schema tonale è indicato con “35”, cioè parte dal livello 3 per arrivare al livello 5. 1° tono 2° tono 3° tono 4° tono alto costante alto ascendente semibasso-bassomediano alto discendente mā ‘madre’ tŌng ‘aprire’ má ‘canapa’ tóng ‘rame’ mă ‘cavallo’ tŏng ‘tinozza’ mà ‘sgridare’ tòng ‘dolere’ [55] [35] [214] [51] Nella discriminazione dei toni sono linguisticamente rilevanti le variazioni relative nell’altezza della voce tra i cinque livelli della scala graduata e non la loro effettiva altezza misurata in Hertz. Questa dipende dalla frequenza media di base che caratterizza ciascun individuo e che varia, come è noto, per sesso (uomini con frequenza più bassa e donne con frequenza più alta) e per età (bambini con frequenza più alta e adulti con frequenza più bassa). Alcune sillabe non hanno tono distintivo. Si tratta di elementi che hanno funzione grammaticale, come la particella aspettuale perfettiva le e la particella interrogativa ma, o ancora secondi membri di composti, come -tou in shàngtou ‘cima’. Tabella 3 Toni 42 Atlante della diaspora cinese 4. Il lessico del cinese Più volte nelle sezioni precedenti è stata menzionata la prevalenza di elementi monosillabici nel lessico della lingua cinese. In questa sezione discuteremo dapprima della costituzione interna delle parole cinesi e in particolare del monosillabismo, che ne è una caratteristica prevalente ma non esclusiva. Osserveremo poi le possibilità di combinazione delle parole in composti, numerosissimi e pervasivi, che costituiscono un rimedio al numero limitato di sillabe e alla diffusa omofonia che ne consegue, come si è detto in 3.2. Infine tratteremo del diverso status che gli elementi monosillabici del cinese sembrano avere per quanto concerne la possibilità di costituire parola a sé. 4.1. Il monosillabismo caratterizza il vocabolario di base del cinese, come mostrano, p.es. wo˘ ‘io’ (pronome personale), mā ‘madre’ (nome), hăo ‘buono’ (aggettivo e predicato stativo, v. 5.2.), lái ‘venire’ (verbo), bù ‘non’ (avverbio). Accanto a questi elementi lessicali monosillabici esistono però in numero considerevole anche elementi lessicali polisillabici9. Ne sono esempi bòhe ‘menta’ e héshang ‘prete buddista’ composti di due sillabe, nonché hàshimă ‘tipo di rana manciù usata nella medicina cinese’ composto di 3 sillabe e āsīpĭlín ‘aspirina’ composto di quattro sillabe. Accanto a elementi monosillabici e plurisillabici esiste in cinese anche un elemento significativo la cui consistenza è inferiore alla sillaba. Si tratta di –r, che coi nomi può veicolare un significato diminutivo o leggermente peggiorativo, come in qiúr ‘globulo, pallina’ (cfr. qiú ‘palla’), guānr ‘funzionario (di poco conto)’ (cfr. guān ‘funzionario’). Questo elemento si trova anche con qualche verbo di natura prevalentemente colloquiale; di uso comune è wánr ‘giocare’10. 4.2. Gli elementi monosillabici possono combinarsi tra loro per formare parole nuove composte da due o più sillabe per designare oggetti, entità o azioni; in queste parole composte, però, ciascun elemento monosillabico mantiene un significato autonomo, come esemplificato in (2) per le parole ‘telefono’ e ‘repubblica’, costituite rispettivamente da due e tre elementi i cui significati autonomi sono indicati in glossa. In altri termini, a differenza di quelli menzionati in 4.1., questi polisillabi possono essere analizzati come sequenze di monosillabi11. (2) a. diàn+huà b. gòng+hé+guó elettricità+parola comune+concordia+stato ‘telefono’ ‘repubblica’ I processi di composizione coinvolgono elementi di diversa natura e permettono di elaborare in modo sofisticato significati diversi, contribuendo ad arricchire il lessico. I composti possono essere formati da elementi di funzione diversa, come nomi, verbi e aggettivi, come illustrato in (3)12. (3) a. Nome+Verbo: dì+zhèn ‘terremoto’ terra+tremare b. Verbo+Nome: chī+fàn ‘mangiare’ mangiare+pasto c. Agg+Nome: dà+rén ‘adulto’ grande+persona 9 Per la consistenza degli elementi polisillabici nella storia del cinese, si veda anche Norman, 1988, p. 154. 10 Si veda per tutto ciò Norman, 1988, pp. 154-155. 11 Per una classificazione dei composti cinesi si può consultare Biasco, Wen, Banfi, 2003, pp. 244-246. 12 Gli esempi seguenti di questa sottosezione sono tratti da Ramsey, 1987, p. 63. La lingua cinese e i suoi dialetti: una mappa linguistica 43 I composti possono essere formati anche da elementi con la stessa funzione di verbi o aggettivi sia sinonimi che antonimi, come in (4). Nel primo caso il significato della parola composta viene ad essere espresso in modo più accentuato che non dai singoli componenti; nel secondo caso la composizione di elementi antonimi rende un significato astratto e generale. (4) a. Sinonimi: bào+gào ‘riferire annunciare+riferire b. Antonimi: dà+xiăo ‘dimensione’ grande+piccolo Accanto ai processi di composizione è diffusa anche la reduplicazione, che comporta la ripetizione di uno stesso elemento per veicolare significati di diverso tipo che possono essere relativi allo svolgimento di un’azione, come in (5a) o anche distributivi, come in (5b). La reduplicazione è caratteristica con i termini di parentela, come in (5c). In questo tipo di composti il secondo elemento perde il tono. (5) a. děng+deng ‘aspettare un po’ aspettare+aspettare b. tiān+tian ‘ogni giorno’ giorno+giorno c. năi+nai ‘nonna’ nonna+nonna 4.3. L’osservazione dei composti permette di rilevare importanti differenziazioni all’interno del lessico cinese relativamente allo status degli elementi monosillabici13. Questi possono essere suddivisi in elementi liberi e elementi legati. Liberi sono quegli elementi che possono essere usati da soli, come gŏu ‘cane’ o ancora quelli elencati in 4.1. Legati sono invece quegli elementi che, pur avendo un significato lessicale autonomo, non compaiono mai da soli, ma sempre in composizione, come hóu ‘scimmia’, in hóuzi ‘scimmia’, hóuxì ‘gesto da scimmia’. Elemento legato è pure yŭ ‘lingua’, che si compone con un altro elemento legato in yŭ+yán per significare ‘lingua, linguaggio’ e si compone con nomi di paesi per indicarne la lingua, cfr. Yìdàlì+yŭ (Italia+lingua) ‘italiano’ (= ‘lingua italiana’) e Yīng+yŭ (Inghilterra+lingua) ‘inglese’ (= ‘lingua inglese’). Il grado di versatilità degli elementi monosillabici nei processi di composizione e le esigenze espressive hanno contribuito al sorgere di insiemi lessicali caratterizzati da elementi finali che per molti aspetti ricordano i suffissi delle lingue flessive. La parola xué ‘studiare’, per esempio, è utilizzata come secondo elemento di numerosi composti che indicano settori di studio scientifico; in questi essa corrisponde di fatto ai suffissi –ica e –ia e al suffissoide –logia dell’italiano, come illustrato in (6). (6) a. shù+xué ‘matematica’ numero+studiare b. jĭhé+xué ‘geometria’ quanto+studiare c. dòngwú+xué ‘zoologia’ animale+studiare Per i temi affrontati in questa sottosezione si vedano Biasco, Wen, Banfi, 2003, pp. 246-250 e Ramsey, 1987, pp. 63-65, da cui sono tratti gli esempi. A differenza della trattazione che di questi fenomeni si fa da parte di quegli autori, l’interpretazione che qui si propone nasce da una visione più lessicale della loro natura. 13 44 Atlante della diaspora cinese La versatilità composizionale permette ulteriori sviluppi come nel caso di yányŭ+xué+jiā, ovvero ‘lingua+studiare+esperto’, cioè ‘linguista’. In alcuni casi i secondi membri di certi composti si sono fissati perdendo l’originario significato e indebolendosi sul piano formale perdendo il tono. Ne sono esempio -zi, originariamente col significato di ‘bambino’, e -tou, che si ritrova in nomi di luogo ma non solo, come si può vedere in (7)14. (7) a. -zi érzi ‘figlio’; chúzi ‘cuoco’; bízi ‘naso’, fángzi ‘casa’ hóuzi ‘scimmia’ b. -tou shàngtou ‘cima’; qiántou ‘fronte’; shétou ‘lingua’ (= organo); shítou ‘pietra’ Tra gli elementi legati vanno infine annoverati quelli che hanno un valore puramente grammaticale e non sono portatori di tono. Questi sono poco versatili, in quanto selezionano gli elementi a cui si possono accompagnare in base alla loro categoria grammaticale o alla loro semantica. Esempio del primo tipo sono le marche aspettuali perfettiva le e progressiva zhe, che si accompagnano ai verbi specificando in che modo il parlante considera lo svolgimento delle azioni di cui parla. Di questi elementi si tratterà nella sezione relativa alla struttura della frase (5.2.). Esempi del secondo tipo sono dì- (con mantenimento di tono), che si premette ai numerali cardinali per formarne i corrispondenti ordinali (sān ‘tre’, dì+sān ‘terzo’) e -men, che si aggiunge ai pronomi personali e ad alcuni nomi indicanti esseri umani veicolando l’idea di pluralità/collettività: cfr. wŏ ‘io’, wŏmen ‘noi’; nĭ ‘tu’, nĭmen ‘voi’; tā ‘lui/lei’, tāmen ‘loro’; háizi ‘bambino/bambini’ ma (nèixiē) háizimen ‘(questi) bambini’ inteso nel senso di ‘(questo) gruppo di bambini’ (v. Ramsey, 1987, p. 64). Sull’interfaccia tra lessico e morfologia questi ultimi tipi di elementi legati si pongono più sul versante morfologico, rappresentando una sorta di avanguardia verso la formazione di una componente morfologica del cinese15. 5. La struttura della frase in cinese In questa sezione si discute di come si combinano a formare le frasi gli elementi lessicali (monosillabici liberi e legati, polisillabici e quegli elementi legati con valore grammaticale per cui cfr. 4.3.). Si presenteranno dapprima i principi generali che governano la struttura della frase cinese e si prenderanno poi in considerazione più nei dettagli i comportamenti di nomi e verbi. 5.1. Il cinese è classificato come lingua a prominenza di topic. Ciò significa che una frase cinese è anzitutto articolata in due parti: il topic e il resto della frase, detto comment, come illustrato in (8). L’articolazione della frase in soggetto e predicato è a questa subordinata. Tra le lingue d’Europa si possono trovare analogie in lessemi quali in tedesco Bergwerk ‘miniera’, Feuerwerk ‘fuochi d’artificio’, Uhrwerk ‘meccanismo dell’orologio’ o in inglese clockwork ‘meccanismo (di un orologio)’ e ‘(meccanismo a) orologeria’, framework ‘cornice’, network ‘rete’. In questi composti il secondo membro (Werk, work) non ha più il valore originario di ‘lavoro’. 15 Sono infatti trattati solitamente come elementi di formazione delle parole, cfr. p.es. Ramsey, 1987, pp. 62-65 e anche Biasco, Wen, Banfi, 2003, pp. 246-250, che dichiarano la propria cautela nell’equiparare categorie della grammatica di lingue europee e di quella del cinese. 14 La lingua cinese e i suoi dialetti: una mappa linguistica (8) TOPIC COMMENT Zhè xiāoxí questa notizia wŏ io zhīdao le sentire CS Soggetto Predicato ‘Ho già sentito questa notizia’16 Il topic in cinese è una parola o un sintagma il cui referente fissa la cornice spaziale, temporale o individuale rispetto alla quale vale la predicazione contenuta nel comment17. L’esempio (8) illustra il caso di un’entità (la notizia) assunta come topic, l’esempio (9) il caso di un topic che fa da cornice spaziale al comment. (9) TOPIC COMMENT Zhèi-ge dìfāng questo-CL posto kĕyĭ tiàowŭ potere ballare (Soggetto) Predicato ‘In questo posto si può ballare’18 L’articolazione della frase in topic e comment è un’opzione disponibile a tutte le lingue. In cinese (e nelle altre lingue a prominenza di topic) essa viene assunta come principio fondamentale di organizzazione della frase nella grammatica; in altre lingue, come in italiano, essa può essere utilizzata come espediente occasionale nell’organizzazione del discorso e si ritrova infatti per lo più nel parlato informale. Ne può essere esempio la frase italiana riportata in (10), colta in ambiente domestico, dove la frutta fa da cornice alla validità dell’invito contenuto nel comment. (10) TOPIC COMMENT La frutta (tu) t’arrangi Soggetto Predicato In un discorso, più frasi possono condividere lo stesso topic: in questo caso il topic non viene espresso neppure tramite pronomi, anche se le frasi vanno tutte interpretate nella stessa cornice topicale. Fermo restando che il topic occupa sempre la prima posizione della frase, come negli esempi (8) e (9), l’ordine dei costituenti maggiori nell’ambito del comment è SOGGETTO-VERBO-COMPLEMENTO OGGETTO (abbreviato in SVO), analogo a quello dell’italiano, come in (11)19. (11) Tā huà huàr lui/lei dipingere quadro S V O ‘Lui/lei dipinge quadri’ La possibilità di individuare ordini dei costituenti maggiori dipende dalla possibilità di distinguere nel lessico classi di parole diverse, come nomi e verbi. Data 16 “CS” è l’abbreviazione per “cambiamento di stato”. Indica la funzione della particella le in questa frase, dove corrisponde a già. L’esempio è tratto da Ramsey, 1987, p. 66. 17 La definizione è di Chafe, 1976, p. 50. Per una discussione della nozione di topic in chiave tipologica si veda ora Maslova, Bernini, 2006. 18 “CL” sta per “classificatore”. Cfr. sezione 5.3. L’esempio è tratto da Ramsey, 1987, p. 66. 19 Esempio tratto da Ramsey, 1987, p. 73. 45 46 Atlante della diaspora cinese la natura dei suoi elementi lessicali, tale distinzione in cinese non è immediata e il suo riconoscimento si basa sulle possibilità di combinazione degli elementi lessicali nelle frasi. I verbi, p.es., si distinguono dai nomi perché possono essere preceduti dalla negazione bù. D’altro canto gli aggettivi si distinguono dai verbi (e dai nomi) perché possono essere modificati da hĕn ‘molto’, ma come i verbi possono essere preceduti dalla negazione bù e andrebbero quindi meglio considerati come un tipo speciale di verbi di tipo stativo. In altri termini, una parola come hăo corrisponde più all’italiano ‘essere buono’ che all’italiano ‘buono’. In base a questi procedimenti si possono riconoscere sei classi di parole-contenuto: nomi, verbi, aggettivi, numerali, classificatori e pronomi20. Queste vengono illustrate nelle sezioni seguenti in relazione ai nomi e ai verbi. 5.2. In cinese la mancanza di espressione morfologica di numero (singolare e plurale, come in libro, libri) e genere (maschile e femminile, come in libro e penna) è probabilmente collegata al fatto che i nomi hanno un significato generico in riferimento non a singole entità (un libro, più libri ecc.) ma a insiemi indifferenziati di entità. In altri termini, i nomi in cinese sono paragonabili ai cosiddetti nomi di massa dell’italiano e di altre lingue europee, come p.es. acqua, vino, caffè, riso, verdura, carta, bestiame, bagaglio, abbigliamento ecc. Quando sono accompagnati da elementi che selezionano singole entità nella massa a cui i nomi si riferiscono, come i dimostrativi e i numerali, i nomi devono essere preceduti da elementi detti “classificatori”, esemplificati in (12), dove sono glossati con “CL”. A ogni nome è associato un particolare classificatore, a seconda della forma o della natura del referente che esso designa21. (12) a. zhèi questo săn-wăn fàn tre-CL riso b. liăng-bĕn shū due-CL libro c. yì-tiáo uno-CL d. nèi-tiáo quello-CL e. wŭ-bă cinque-CL hé ‘queste tre ciotole di riso’ ‘due libri’ ‘un fiume’ fiume hé ‘quel fiume’ fiume dāo ‘cinque coltelli’ coltello In (12a) la traduzione italiana obbliga a ricorrere alla parola ciotola col nome di massa riso: *questi tre risi è agrammaticale, a meno di non intendere ‘questi tre tipi di riso’ (p. es. questi tre risi sono prodotti a Pavia) o a meno che non si tratti di espressioni abbreviate prodotte in particolari condizioni comunicative (p.es. questi tre risi al tavolo quattro! per questi tre piatti di riso ecc., detto dal personale di un ristorante). Molti classificatori sono attribuiti a nomi con referenti diversi in modo non immediatamente trasparente. Il classificatore zhāng, col significato originario di ‘distendere’, p. es., si usa con nomi indicanti oggetti che hanno una superficie piatta, come quelli per letto, tavolo, immagine, carta, pellame ecc. (cfr. Newnham, 1971, p. 88)22. Dal punto di vista della sintassi, i modificatori precedono sempre i nomi a cui si riferiscono e sono uniti a questo dall’elemento de, come negli esempi riportati in (13), dove la glossa PS sta per “particella subordinante”. I modificatori possono essere aggettivi come in (13a), pronomi e nomi come in (13b) e in (13c), nonché avverbi (cfr. 13d) e intere frasi come la relativa in (13e)23. Si veda per tutto ciò Norman, 1988, pp. 157-159. Anche questi esempi sono tratti da Ramsey, 1987, p. 68. 22 Questo fenomeno è analogo a quello che si può riscontrare in italiano con capo, che si usa con nomi di massa che rimandano a referenti diversi: tre capi di bestiame e tre capi di abbigliamento. 23 Esempi tratti da Ramsey, 1987, pp. 69-70, tranne (13a), per cui cfr. Norman, 1988, p. 161. 20 21 La lingua cinese e i suoi dialetti: una mappa linguistica (13) a. yŏuyìsi 47 ‘un libro interessante’ de shū PS libro de shū io PS libro c. dìdi de gāngbǐ ‘la penna del fratello’ PS penna d. jīntian de bào oggi PS giornale zhèr lài de rén qui venire PS persona interessante b. wŏ fratello.minore e. Zuótian dào ieri arrivare ‘il mio libro’ ‘il giornale di oggi’ ‘La persona che è venuta qui ieri’ 5.3. Come i nomi, anche i verbi del cinese non presentano le caratteristiche comuni nelle lingue europee. I verbi possono designare azioni, come p.es. chiudere, ma anche processi, come p.es. scorrere, e stati, come giacere o anche essere biondo. In cinese i verbi che designano stati, detti stativi, hanno anche la funzione che nelle lingue europee è svolta da un altro tipo di parole, gli aggettivi. In altri termini, ‘biondo’ e ‘essere biondo’ sono espressi in cinese dalla stessa parola, che è un verbo. Nelle lingue europee i verbi mutano la loro forma per indicare: (a) in che modo si configura l’azione, il processo o lo stato che designano; (b) dove si colloca nel tempo l’azione, il processo o lo stato che designano rispetto al momento in cui si parla; (c) qual è il soggetto della frase. In italiano, p.es., nelle frasi Giovanni andava a scuola alle otto e Giovanni andò a scuola alle otto le forme verbali andava e andò segnalano che il soggetto non è né chi parla né chi ascolta (cfr. andavo, andavi) ed è singolare. Inoltre ambedue le forme verbali collocano l’azione di Giovanni in un tempo precedente il momento in cui si parla, cioè al passato (rispetto, p.es. a andrà). Infine la forma andava configura l’azione come abituale e quindi ripetuta, mentre andò configura l’azione come unica e conclusa al momento in cui si parla. In cinese l’interpretazione della situazione designata da un verbo dipende in parte dal contesto, come mostra l’esempio (14) per la differenziazione tra voce attiva e voce passiva dell’italiano e delle lingue europee24. (14) a. suŏ chiudere mén porta ‘Chiudi la porta’ b. mén suŏ porta chiudere le CS ‘La porta è chiusa’ Inoltre in cinese sul verbo non viene segnalato né il soggetto della frase, né come si configura l’azione, il processo, lo stato designato dal verbo né dove quelli si collocano nel tempo rispetto al momento in cui si parla. La specificazione di alcune caratteristiche delle situazioni designate dai verbi è demandata in cinese a delle particelle che vengono suffissate al verbo e a costruzioni peculiari che comportano la sequenza di più verbi, dette costruzioni seriali. Le particelle servono a specificare la configurazione dell’azione, del processo o dello stato indicato dal verbo, indicando se sono ormai concluse oppure se vanno intese ancora in corso al momento in cui si parla. Negli esempi riportati in (15), le indica azione conclusa (come indica la glossa “AC”) in (15a); in (15b) zhe indica uno stato che si mantiene e viene glossato “PROG” (per “progressivo”)25. 24 25 Si veda Ramsey, 1987, pp. 74-75. “CS” è la glossa per la particella di cambiamento di stato. (15a) è tratto da Ramsey, 1987, p. 76, (15b) da ibidem, p. 78. 48 Atlante della diaspora cinese (15) a. Tā bìyè-le lui/lei laurare-AC ‘Si è laureato’ b. Bié zhàn-zhe, non zuòxia ba! stare.in.piedi-PROG sedere ‘Non (continuare a) stare in piedi, siediti!’ Un’altra marca le, omofona a quella già trattata, ha la funzione di indicare il cambiamento di uno stato, come si è visto negli esempi (8) e (14b) e nell’esempio (16) qui sotto riportato. In questi casi, l’uso di le, che si colloca alla fine della frase, rende il significato che in italiano è codificato da avverbi quali già, (non) più e altri. In (16), come già in (8) e (14b), questa funzione di le è glossata con “CS” per “cambiamento di stato”. (16) Wŏ méi yŏu qián le io non avere denaro CS ‘Non ho più denaro’ (prima ne avevo) La specificazione delle azioni, dei processi e degli stati indicati dai verbi avviene inoltre tramite l’utilizzo di altri verbi, detti anche “coverbi”, che vengono messi in sequenza e formano insieme con i primi costruzioni dette seriali, come già è stato anticipato26. Queste costruzioni configurano i rapporti che si instaurano tra le componenti di una situazione, siano esse entità, oggetti, luoghi. Un esempio di costruzione di questo tipo è illustrata in (17)27. In questo esempio il coverbo zài ‘trovarsi’ “mette in scena” il verbo zuò ‘fare’ con il suo complemento oggetto, ponendo così in relazione il luogo Hong Kong e l’azione di svolgere un lavoro. Questa relazione è espressa in italiano da una preposizione, come a nell’esempio qui in esame. (17) Tā zài Xiānggăng zuò shēngyi lui/lei trovarsi Hong Kong fare lavoro ‘Lavora a Hong Kong’ Tra le numerose costruzioni di questo tipo possono essere messe qui in rilievo quelle che utilizzano come coverbi gĕi ‘dare’e dào ‘arrivare’. Il primo è usato per rendere il beneficiario di un’azione o di un processo, come nell’esempio (18)28, dove in italiano il beneficiario è espresso dal pronome personale ci al caso dativo (complemento di termine). (18) Guō Xiăojiě yào gěi wŏ-men zuò Guo signorina dare io-PLURALE fare Zhōngguo fàn cina pasto volere ‘La signorina Guo vuole prepararci un pasto cinese’ Dào si unisce a molti verbi attivi per indicare il raggiungimento di un certo punto nello spazio, nel tempo, o rispetto a un certo fine. Si veda a questo proposito l’esempio (19), dove dào indica nello spazio il punto finale del movimento di trasferimento del soggetto29. In questo esempio la costruzione seriale è arricchita in ultima posizione anche da qù ‘andare’, che indica qui allontanamento dal parlante (e si oppone a lái ‘venire’ che indica invece che l’azione avviene in direzione del parlante). Grazie alla presenza di qù si capisce che la frase non è prodotta a Pechino. Questo termine non è accolto da tutti. In questo contributo lo utilizziamo in appoggio all’uso che ne fa Ramsey, 1987, consapevoli che le parti del discorso in cinese non sono di facile definizione. 27 Fonte dell’esempio è sempre Ramsey, 1987, p. 80. 28 Ramsey, 1987, p. 81. 29 L’esempio (19) è tratto da Newnham, 1971. 26 La lingua cinese e i suoi dialetti: una mappa linguistica (19) wŏ-men io-PLURALE 49 bān-dao Běijīng qù spostare-arrivare Pechino andare ‘Ci trasferiamo a Pechino’ 6. La scrittura del cinese Come è stato anticipato nella sezione 1., la grafia del cinese è logografica: utilizza caratteri meno o più complessi, ciascuno dei quali rappresenta il significato degli elementi monosillabici di cui è costituito il lessico cinese30. Le parole polisillabiche discusse nella sezione 4.2. sono quindi scritte con sequenze di caratteri, ciascuno dei quali rappresenta i costituenti monosillabici che le compongono, come in (20). (20) zhōng guó (centro paese) ‘Cina’ zhōng wén (centro testo/lingua) ‘(lingua) cinese’ I caratteri del cinese sono in parte costituiti da un solo elemento. La formazione storica di molti di questi si lascia ricondurre a antichissime forme di pittografia o di disegno simbolico. Esempio del primo tipo è rì ‘sole’, originariamente un cerchio con un punto in mezzo; esempio del secondo tipo è shàng ‘sopra, salire’, originariamente costituito da due linee leggermente arcuate e sovrapposte, quella sopra più corta dell’altra. Altri caratteri sono costituiti dall’unione di due o più logogrammi per rappresentare in modo iconico il significato ad essi attribuito. Ne è esempio cóng ‘seguire’, composto da due rén ‘persona’ in successione. Altri caratteri sono arbitrari, come shí ‘dieci’. Alcuni caratteri sono esempio di “prestito fonetico”: il carattere lái ‘frumento’ è stato riutilizzato per il suo solo valore fonetico per ‘venire’, suo omofono. In seguito lái ‘frumento’ è decaduto e oggi quel carattere viene utilizzato per il solo verbo ‘venire’ con la fonetica presa a suo tempo a prestito da ‘frumento’. La maggior parte dei caratteri in uso (i 9/10 secondo Newnham, 1971, p. 38) sono costituiti da due elementi: uno dà indicazioni circa la fonetica della parola che il logogramma rappresenta, l’altro dà indicazioni circa il suo significato. Il logogramma zhōng ‘leale, onesto’ è composto da zhōng ‘centro’ sovrapposto a xīn ‘cuore’: il primo elemento dà indicazioni sulla fonetica della parola che il logogramma rappresenta, il secondo sul significato della parola, ancorché in senso molto indiretto, collegando una virtù al cuore, la sede in cui andrebbe posta secondo quella tradizione culturale. La costituzione di questo logogramma è illustrato nello Schema 2. Schema 2 – ‘leale’ ‘centro’ zhōng componente fonetico zhōng ‘leale’ componente semantico xīn ‘cuore’ Non entriamo qui nel merito dei problemi che comporta in cinese la definizione di parola e di morfema in relazione al sistema di scrittura, dove ogni carattere corrisponde a una sillaba dotata di significato proprio. Si veda a questo proposito la rassegna di problemi che fa Norman, 1988, pp. 154-156 e la discussione di Packard, 2000, che non considera il cinese una lingua dalla morfologia povera. 30 50 Atlante della diaspora cinese Gli elementi che danno indicazioni sul significato sono detti “radicali” e i caratteri complessi sono ordinati nei dizionari in base al radicale che in essi comè nell’elenco dei caratteri che contengono il radicale , che è il 61° pare31. radicale della lista. è invece elencato sotto il radicale wéi ‘recinzione’, 31° nella lista. Nei dizionari i radicali (e poi gli altri caratteri) sono ordinati in base al numero di tratti che richiede la loro composizione grafica: il primo è – (1 tratto) yī ‘uno’. Il sistema grafico del cinese si è sviluppato tra il 14° e l’11° secolo a.C.; i caratteri compresi nel Zhōnghuá dà zìdiăn, dizionario pubblicato nel 1916, sono 48.000. La logografia, di cui qui si sono illustrate le caratteristiche essenziali, ha permesso nei secoli l’intercomprensibilità tra le diverse varietà di cinese: non riflettendo la costituzione fonologica di una parola, a ogni carattere può essere attribuita la parola che ad esso corrisponde per significato in una qualsiasi lingua. Il numero “5”, p.es., è letto cinque in italiano, ma fünf in tedesco e wŭ in cinese. Analogamente, quando in Giappone si sono adottati i caratteri cinesi, è stato letto hito, la parola che in giapponese significa ‘persona’. L’arte calligrafica che nei secoli si è sviluppata in relazione alla grafia rappresenta una delle più importantti componenti culturali della Cina. 7. Suggerimenti bibliografici In questo contributo si è cercato di delineare la struttura della lingua cinese per permettere al lettore di apprezzarne l’organizzazione in contrasto con l’italiano ed essere così in grado di approfondire la cultura cinese anche negli aspetti che più sono distanti da quella della cerchia europea occidentale di cui l’Italia fa parte. Chi volesse ulteriormente approfondire le questioni qui trattate può utilizzare la rassegna di Banfi, 2004 e il più impegnativo Biasco, Wen, Banfi, 2003, che è un vero manuale introduttivo alla lingua cinese redatto in italiano. Per chi legge l’inglese è molto utile, a livello introduttivo, il libretto di Newnham, 1971, dove le questioni linguistiche sono riportate al contesto maoista degli anni di quell’edizione e che rappresenta quindi anche un’interessante finestra storica. Chi volesse invece approfondire in direzione più specialistica le conoscenze del cinese può utilizzare Sun, 2006, Norman, 1988 e Ramsey, 1987. Quest’ultimo lavoro tratta anche delle altre lingue parlate in Cina, di cui si è accennato in 2.2. Il lettore più avvezzo a trattare questioni di linguistica può approfondire la struttura del lessico cinese con la lettura di Yip, 2000. Nella prospettiva della geografia delle lingue, il lettore potrà consultare la carta 47 di Asher, Moseley, 1994, dove è riportata la diffusione territoriale delle lingue parlate in Cina, compresi i dialetti del cinese. Carte delle lingue della Cina e dei suoi dialetti sono riportate anche da Ramsey, 1987. Le carte 34 e 56 di Breton, 2003 mostrano anche il peso demografico del cinese rispetto alle altre lingue parlate in Cina oltre che la suddivisione dei dialetti cinesi. Infine chi volesse verificare la distribuzione delle caratteristiche del cinese tra le lingue del mondo, può rifarsi alle diverse carte tematiche di Haspelmath, Matthew, Gil, Comrie, 2005. 31 Si noti che il radicale può assumere diverse posizioni nella costituzione di un segno complesso. La posizione inferiore, come nell’esempio qui utilizzato, è una delle possibilità. LA DIASPORA IN TRASPARENZA 53 CAPITOLO 3 Un gigante in movimento: la Cina fra tradizione e modernità di Silvia Crotti 1. Società e territorio nella Cina di ieri e di oggi La Repubblica Popolare Cinese (RPC) si trova in quella parte dell’Asia denominata Estremo Oriente e, con una superficie di 9.571.300 kmq e circa 1.300.000.000 abitanti, è uno dei Paesi più vasti e popolosi del mondo. Il 93% della popolazione locale, che in totale si concentra sul 15% del territorio e di cui più di un terzo è urbanizzato, è di etnia hàn1, mentre il restante 7% è diviso tra cinquantacinque minoranze che vivono prevalentemente nelle aree periferiche. La Cina è suddivisa, da un punto di vista amministrativo, in ventitrè province (Taiwan è considerata almeno formalmente la ventitreesima)2, ciascuna della quali ha caratteristiche geofisiche e culturali estremamente diversificate e inoltre sono state istituite nel Paese cinque regioni autonome, quattro municipalità e due regioni amministrative speciali. La crescita demografica, alla media annua dell’1,1%, nonostante i progressi agricoli ed industriali, provoca una pressione costante sulle risorse territoriali e su tutte le strutture di servizio. Da un punto di vista fisico, la Cina si presenta come un Paese fortemente eterogeneo: montagnosa ad occidente e pianeggiante a oriente, Nord e Sud sono divisi dalla presenza di catene montuose e dalle valli dei grandi fiumi, in particolare la Valle del Fiume Giallo (Huánghé), che si estendono in senso orizzontale. La dicotomia Nord-Sud si riflette anche nell’organizzazione della società: la Cina settentrionale, gravitante intorno alla capitale Pechino, ha un’organizzazione prettamente burocratica e militare, mentre quella del Sud, che fa capo all’as- 1 La storia della Cina è strettamente connessa alle dinamiche demografiche caratterizzate da un cospicuo incremento naturale della popolazione e dalle migrazioni che hanno occupato particolari nicchie, trasformandole. Nel corso del tempo le popolazioni hàn che vivevano nel bacino del fiume Huánghé emigrarono in massa verso sud per sfuggire alle guerre e alle rivolte, ai nemici e alle catastrofi naturali, cercando di conservare in ogni modo la loro cultura e le loro tradizioni, arrivando persino ad inventare legami di discendenza quando, col passare del tempo, essi non potevano più essere verificati. Molte delle più piccole comunità non-hàn (o mán) della Cina meridionale cedettero al fascino di uno stile di vita più avanzato, trasformandosi in Cinesi hàn e negando successivamente e in maniera decisa le loro radici non-hàn. Cfr. Fu Tuan, 2003, pp. 48-49. 2 Il contenzioso per il controllo totale dell’isola di Taiwan è tuttora aperto. Infatti questa isola, colonizzata a partire dal settimo secolo dai Cinesi del Fújiàn e controllata poi dai Giapponesi fino agli anni Quaranta del Novecento, è stata sempre considerata possesso della Cina. Il leader nazionalista Chiang Kai-Shek, dopo la sua sconfitta nel 1949, vi si è rifugiato fondando una Repubblica di Cina, nazionalista e libera, che si dichiara fuori della sfera di influenza del regime comunista continentale. All’umiliazione di una conquista incompleta da parte del regime comunista, si è aggiunta quella della protezione americana e del trionfo economico di questa “isola rinnegata”. La Cina, il 14 marzo 2005, ha varato una legge “antisecessione”, che per la prima volta autorizza Pechino a “fare uso di mezzi non pacifici” se Taiwan oserà proclamare la propria indipendenza, cfr. Ramonet, 2005, p. 1. Per notizie più dettagliate riguardo ai rapporti storici tra Taiwan e Cina, si rinvia a Schmidt-Glintzer, 2002; per un ulteriore approfondimento si rinvia a Domenach, 2003, pp. 205-219. 54 Atlante della diaspora cinese se Shànghăi-Canton, di forte tradizione mercantile, è caratterizzata da una maggiore dinamicità sociale ed economica. Nonostante tali differenze, l’unicità della civiltà cinese sta nella sua continuità, dovuta sia alla coesione sociale, sia all’atteggiamento di difesa assunto contro gli attacchi esterni succedutisi nel corso dei secoli: infatti il processo di territorializzazione e di costruzione dell’identità cinese continua da almeno cinquemila anni, nonostante le numerose invasioni da parte di più popoli; ciò ha contribuito alla creazione di una società multicinese, formata da molte etnie di origine sinitica, che ha promosso i valori della cinesità3 anche nel resto del mondo. La cultura cinese è fortemente autoreferenziale, infatti, essa continua a svilupparsi e a rigenerarsi contando sui propri principi di tradizione e di apertura parziale allo straniero: la Cina è il prodotto culturale della tradizione millenaria confuciana, che concepisce un’organizzazione sociale gerarchicamente codificata, in cui la società, intesa come identità socio-culturale collettiva4, ha la priorità rispetto ai bisogni dell’individuo; nei rapporti sociali, il giovane deve portare rispetto all’anziano, il figlio al padre, il figlio minore al maggiore, la donna al marito (ciò prima della Rivoluzione Culturale5, quando venne riconosciuta, almeno formalmente, la parità dei sessi). Il concetto di rispetto dell’autorità ha trovato oggi la sua espressione moderna nella forma di un sistema politico comunista a partito unico: dopo l’affermarsi del regime comunista nel 1949, a seguito di una sanguinosa guerra civile tra nazionalisti e comunisti, e la Rivoluzione Culturale (1966-1970) di Mao Zedong, la Cina trova il suo punto di svolta nella politica di modernizzazione, riforma ed apertura di Deng Xiaoping (politica della porta aperta o găigé kāifàng), fra il 1978 e il 1979, continuata dal suo successore, Jiang Zemin. In questo panorama in continua evoluzione, l’economia svolge un ruolo determinante nel cambiamento del Paese e nel funzionamento del potere6. Sebbene il Paese sembri lacerato dalla apparente contraddizione “regime comunista e socialismo di mercato”, esso ha saputo rigenerarsi grazie ad una propria rielaborazione originale dell’ideologia comunista, senza lasciarsi travolgere dal crollo del regime sovietico. L’originalità del caso cinese sta nel fatto di avere capito che l’unica strada percorribile per la sopravvivenza è la modernizzazione (prima nel mercato interno, poi in quello estero) e si è quindi adottata una linea politica che salvasse lo status quo adattandolo alla situazione mondiale. Una significativa novità della Cina post-maoista è che il Partito-Stato7 non può più esercitare il suo potere senza l’appoggio del popolo, che è il motore della crescita, sebbene attualmente questo 3 Le specificità socio-culturali che caratterizzano la cinesità sono essenzialmente la compattezza dei nuclei familiari, la capacità di costruire reti di solidarietà locali e transnazionali, la pietà filiale, la fedeltà e l’obbedienza verso il gruppo di appartenenza. 4 Tale collettività è “utilitaria”, dal momento che è necessaria al funzionamento democratico della comunità. Cfr. Campani, Carchedi, Tassinari, 1994, p. 175. 5 La Rivoluzione Culturale fu la linea politica adottata da Mao, tra il 1966 e il 1970, al fine di rafforzare la propria posizione di potere all’interno del partito comunista cinese. Essa prevedeva: la radicalizzazione della vita politica e sociale; la nascita e lo sviluppo del movimento delle “guardie rosse”, formato in prevalenza da giovani; il ruolo dominante della figura di Mao e del suo vice Lin Biao che comportò una profonda frattura nella leadership cinese con l’emarginazione di gran parte dei dirigenti storici. Cfr. Samarani, 1998; Schmidt-Glintzer, 2002. 6 Tale situazione è così favorevole alla Cina in quanto il cosiddetto Pacific Rim (bordo del Pacifico) cinese sta ormai prendendo il sopravvento sull’Atlantic Rim (bordo dell’Atlantico) statunitense come baricentro economico e come punto di convergenza degli scontri di interesse tra le maggiori potenze. Da molto tempo infatti Washington scarica sull’Asia Orientale, e sulla Cina in particolar modo, la responsabilità della crisi economica degli USA. La critica attualmente mossa contro Pechino è motivata, in apparenza, dall’aumento del deficit commerciale americano, ma in realtà la vera ragione è l’emergere della Cina come grande attore politico-economico in questa parte del mondo e nel tormentato panorama internazionale. A tal proposito si veda l’interessante articolo di Golub, 2003. 7 Per un approfondimento riguardo alla struttura statale della Cina comunista si rinvia a Domenach, 2003, pp. 51-56. Un gigante in movimento: la Cina fra tradizione e modernità dialogo rimanga ineguale, in quanto non istituzionalizzato, e possa essere solo completato grazie ai rapporti che si vengono a stabilire tra la popolazione e i membri del potere, attraverso cioè quel sistema di rapporti sociali, mantenuto attraverso uno scambio di beni e servizi, detto guānxì8. L’apertura graduale del Paese verso l’esterno inizia dunque negli anni Ottanta, con l’istituzione delle ZES, ossia le cosiddette Zone Economiche Speciali (su modello delle economie dei “Quattro Dragoni” dell’Asia, ossia Singapore, Corea del Sud, Taiwan e Hong Kong), nel Guăngdōng e nel Fújiàn, province meridionali del Paese in cui la presenza straniera è più radicata, la vicinanza di Hong Kong gioca un ruolo di primo piano e le rimesse dei Cinesi d’Oltremare sono più consistenti. Tali caratteristiche hanno reso queste aree molto dinamiche dal punto di vista economico e sociale e quindi sono state loro concesse delle agevolazioni nei rapporti commerciali con l’estero. Successivamente questa “formula economica” di grande successo venne estesa anche a tutte le città costiere del Paese, mentre alle altre province vennero gradualmente concesse misure di decentramento finanziario per aprire banche ed istituti di credito. La Cina, oltre ad aver recuperato la sovranità di Hong Kong (1997) e di Macao (1999), ha saputo mantenersi stabile durante la crisi economica che ha colpito i Paesi dell’Asia nel biennio ’97-’99 e ha confermato il suo ruolo egemonico nell’area orientale grazie all’entrata nel 1991 nell’APEC9, nel 2001 nell’OMC (Organizzazione Mondiale del Commercio), e ha ottenuto l’organizzazione dei Giochi Olimpici che si terranno a Pechino nel 2008. Durante il quindicesimo Congresso del PCC (Partito Comunista Cinese), nell’autunno 2002, si è assistito inoltre all’ascesa del delfino di Jiang Zemin, Hu Jintao, attuale Presidente della Repubblica, Segretario del PCC e capo supremo delle Forze Armate, che ha accentrato tutti i poteri nelle sue mani10. Il fine ultimo della politica cinese, oltre alla difesa del regime e all’apertura economica, è quello di assurgere allo status di grande potenza regionale e mondiale e per raggiungere tale scopo il Paese ha intrapreso, a partire dal 1994, una politica estera d’apertura, volta ad assicurare rapporti economici e politici con l’Occidente, in particolar modo con gli Stati Uniti e con l’Europa, per proteggere la crescita interna ed assicurarsi un posto di primo piano nel mercato mondiale. Per quanto riguarda invece le relazioni economiche e politiche con la Russia, con la quale, per lungo tempo, i rapporti sono stati tesi e difficili, il governo di Pechino ha saputo ricostruire con essa una rete di rapporti cordiali, uniti da un’ostilità di principio verso gli Stati Uniti e i suoi progetti egemonici e un interesse per la stabilità dell’Asia centrale, al fine di garantire sicurezza lungo le frontiere settentrionali e rifornimenti militari ed energetici. 2. Un popolo di migranti: migrazioni interne… La storia contemporanea della Cina, legata ai cambiamenti politici verificatisi nel Paese alla fine degli anni Settanta, è caratterizzata da una dialettica costante tra rottura e continuità, frammentazione e unità che, oltre ad alternarsi ciclica- Guānxì è un rapporto tra individui basato principalmente su di un particolarismo condiviso: stesso luogo di origine, stesso insegnante, ecc. Tale rapporto, che poggia apparentemente su basi di uguaglianza, è tuttavia accompagnato dal riconoscimento di relazione tra superiore ed inferiore. 9 L’APEC (Asia Pacific Economic Cooperation) è un’associazione estremo-orientale, nata nel 1989, che riunisce Australia, Corea del Sud, Giappone, Nuova Zelanda, i paesi dell’ASEM (AsiaEurope Meeting), Stati Uniti, Canada, Cina e Taiwan. Essa persegue obiettivi principalmente economici, come la liberalizzazione del commercio e degli investimenti, e lo scambio tecnologico. 10 Per un approfondimento riguardo alla situazione cinese di ieri e di oggi, alle sfide del futuro e per una prospettiva storica dell’Asia nell’economia mondiale, si veda il dossier pubblicato da Le Monde Diplomatique in AA. VV., 2006. 8 55 56 Atlante della diaspora cinese mente, si compenetrano ed interagiscono strettamente tra loro. I grandi cambiamenti della società (alleggerimento del regime comunista, emergere dei localismi e di interessi personali) si riflettono in modo estremamente significativo sul territorio, in quanto esso è pregno di un grandissimo valore politico-ideologico: il controllo delle migrazioni dalla campagna alla città e verso l’estero, la costruzione d’impianti industriali in certe zone del Paese, la limitazione del commercio con alcuni Paesi considerati nemici, i nuovi processi di territorializzazione eterocentrati11 di stampo occidentale (di cui la città è divenuta emblema) devono essere letti sul territorio come simboli che rimandano a precise motivazioni politicoideologiche. Il rapporto città-campagna in Cina è estremamente significativo: infatti, soprattutto lungo tutto il Novecento, si sono alternate politiche territoriali contrastanti, che privilegiavano ora la campagna come serbatoio dei valori della cinesità, ora la città, come emblema di modernità e sviluppo di stampo occidentali, considerata “trampolino di lancio” per ambiziosi progetti migratori verso l’estero o per conseguire l’ascesa sociale. Nel corso della storia cinese, infatti, si sono succedute massicce ondate migratorie interne che prevedevano spostamenti di persone dalla campagna alla città, dove gli emigrati costituivano un serbatoio di manodopera a basso costo per le imprese locali. Tali migrazioni erano dovute in primis ad un surplus di manodopera agricola, in quanto la Cina soffre della mancanza di terre arabili e coltivabili, che vanno sempre più riducendosi a causa del loro odierno utilizzo industriale e commerciale12. Inoltre la crescente meccanizzazione in agricoltura e l’abolizione delle Comuni Popolari hanno reso disponibili e disoccupati milioni di contadini (nóngmín), che si sono riversati nelle città, e più precisamente verso le zone costiere, attratti da prospettive di vita e salari migliori, impiegandosi soprattutto nel campo dell’edilizia. I migranti sono infatti la maggiore fonte di forza-lavoro per gli impieghi a bassa qualifica nel settore dei servizi e soprattutto per i grandiosi progetti urbani, promossi in particolar modo da un crescente numero di società ed aziende private, specialmente nella costa sud-orientale13. In passato queste migrazioni interne furono soggette ad un drastico ridimensionamento (sebbene milioni di persone continuassero comunque ad emigrare), con la cosiddetta “campagna di ritorno ai villaggi” voluta da Mao (1962), che prevedeva una nuova valorizzazione delle aree rurali e della leadership contadina e l’istituzione di Comuni Popolari14. Le tre decadi “statiche”, che andarono essenzialmente dal 1949 al 1978, volte a limitare e a proibire le migrazioni, furono dettate dalla necessità di cancellare lo stigma della vergogna legato all’“esportazione” dei lavoratori a contratto cinesi, i coolies, verso le Americhe, considerata un’umiliazione per il regime comunista. Le migrazioni all’interno del Paese dovevano ricevere l’approvazione formale del regime ed erano di varia causa e natura. Esse erano percepite ideologicamente come forma di servizio alla causa del progresso socialista: in alcuni casi si trattava di migrazioni forzate che miravano alla ridistribuzione della popolazione nelle campagne, al rafforzamen11 Per territorializzazione eterocentrata si intende l’intrusione, nella forma territoriale dell’azione collettiva, di un gruppo sociale proveniente dall’esterno che possiede una logica “altra”, rispetto a quella della società residente. Cfr. Turco, 1988, p. 145. 12 È ormai pratica comune, nelle regioni costiere, la vendita o il leasing di terre coltivabili a cittadini privati, società commerciali interne o straniere. 13 Il settore privato si è sviluppato più velocemente lungo la costa sud-est del Paese, dove è localizzato circa il 70% delle imprese private, il 19% si trova nella Cina centrale e solo l’1% in quella occidentale. Cfr. Bakken, 1999, pp. 32-37. 14 La Comune Popolare è una sorta di circoscrizione amministrativa in cui i lavori agricoli sono collettivizzati e le macchine agricole sono di proprietà statale, anche se ogni contadino ha diritto ad un piccolo appezzamento personale, dei cui frutti è padrone. Con l’ascesa al potere di Deng Xiaoping (1978) e la riforma dell’economia queste comuni sono andate scomparendo. Un gigante in movimento: la Cina fra tradizione e modernità to delle frontiere o alla promozione delle regioni più interne con la costruzione di industrie15; in altri casi erano movimenti spontanei che dovevano comunque ricevere l’approvazione statale allo spostamento vietato a coloro che desideravano emigrare verso le città o ascendere nella gerarchia cittadina, trasferendosi verso i maggiori centri urbani. Due furono le motivazioni principali che condussero a tale politica restrittiva: la prima, di stampo ideologico, vedeva nel mondo rurale, in cui si concentrava la maggior parte della popolazione cinese, la base del processo di sviluppo rivoluzionario. L’agricoltura, scandita da riti secolari, svolgeva anche allora un ruolo di primo piano, nonostante l’esiguità dei terreni coltivabili ed una frammentazione del territorio in tanti appezzamenti. La seconda motivazione, più pratica, era data dal fatto che il regime non era in grado di fornire a breve termine tutte quelle infrastrutture necessarie allo sviluppo della popolazione urbana, uno sviluppo che stava assumendo dimensioni colossali16. Il fallimento della politica migratoria “proibizionista” durante le tre decadi statiche ha offerto un grosso stimolo alle migrazioni presenti e spiega in parte perché tanti Cinesi ancora oggi continuino ad emigrare. Infatti essi emigrano perché in questo momento lo Stato lo permette: più nello specifico, il sistema politico non è affatto cambiato e le politiche che permettono di emigrare potrebbero cambiare da un momento all’altro, senza preavviso, nonostante le rassicurazioni agli investitori stranieri in fatto di riforme. Inoltre, con il riattivarsi delle catene migratorie, la famiglia emigrata anzitempo verso le ricche zone costiere è divenuta il punto di riferimento inossidabile, capace di garantire una sicura sistemazione lavorativa ed abitativa ai migranti provenienti dai villaggi dell’entroterra, dislocati in zone periferiche. Le migrazioni interne cinesi sono tutt’oggi regolate da un sistema di registrazione della residenza (hùkŏu)17 gestito dallo Stato: coloro che desiderano cambiare residenza devono ricevere l’approvazione delle autorità locali e il loro trasferimento deve essere seguito da un cambio di residenza ufficiale, annotato su un apposito libro che indica il permesso per una famiglia di vivere in un’area urbana. Sebbene oggi gli spostamenti campagna-città non siano più proibiti e le migrazioni dentro e fuori il paese siano volontarie, diversamente da quanto accadeva in passato, solo le migrazioni secondo hùkŏu sono considerate legali e danno diritto a benefici finanziari ed educativi e alla cittadinanza urbana. I migranti hùkŏu sono in genere persone professionalmente qualificate, mentre i migranti “irregolari” vengono solitamente impiegati come operai, nell’ambito dell’edilizia o dell’assistenza domestica, e nel lavoro sommerso. Le migrazioni interne (hùkŏu e non-hùkŏu), oltre a seguire la principale direttrice campagnacittà, osservano un movimento essenzialmente centrifugo, ossia si dirigono dalle regioni più interne del Paese verso le sovrappopolate zone costiere meridionali18. Più nello specifico, dal punto di vista della mobilità geografica, il Guăngdōng ed il Sìchuān sono rispettivamente il maggior ricettore ed il maggior fornitore di Tale piano era motivato dalla volontà di spezzare il monopolio economico delle regioni costiere cinesi ed il bacino di reclutamento della forza lavoro divenne il Nord della Cina, a partire dagli anni Cinquanta. 16 Per ulteriori approfondimenti sulla struttura agricola ed urbana della Cina fino alla svolta degli anni Ottanta, cfr. Gourou, 1974; Turco, 1980. Si vedano anche i più recenti Eva, 2000, spec. pp. 99-118; Sanjuan, 2000, spec. pp. 47-72. Infine, rispettivamente per un profilo sintetico dell’evoluzione diacronica della Cina e per gli avvenimenti che hanno connotato il Novecento, si vedano altresì Samarani, 2004; Roberts, 2007. 17 Per un approfondimento riguardo al sistema migratorio interno alla Cina e la relativa regolamentazione si rimanda a Bakken, 1999; Malle, Pieke, 1999. Per ulteriori informazioni sulle migrazioni interne al Paese relativamente ai censimenti degli anni 1990 e 2000, si veda Fan, 2005, p. 176. 18 L’eccezione a questo andamento è rappresentata dalla provincia dello Xīnjiāng che è divenuto bacino ricettivo grazie alle possibilità economiche e lavorative offerte dalla propria industria del cotone e dai fiorenti commerci con le repubbliche dell’Asia Centrale. Cfr. Fan, 2005, p. 176. 15 57 58 Atlante della diaspora cinese migranti a livello di movimenti interni. La bassa mobilità interna alle regioni costiere è motivata dagli alti livelli di sviluppo delle imprese agricole in molti villaggi e municipalità che hanno così già assorbito la manodopera rurale locale. In particolare, tali movimenti interni di “popolazioni fluttuanti” (floating people) si differenziano in termini di approdo finale, a seconda che si tratti di migrazioni hùkŏu o non-hùkŏu. Infatti i flussi non-hùkŏu seguono principalmente l’andamento delle disparità economiche tra regioni e dunque muovono principalmente dalle zone della Cina settentrionale e centro-occidentale verso la costa e le municipalità (come Pechino e Shànghăi, ad esempio). In tali zone sono maggiori le possibilità di inserirsi più facilmente in un mercato del lavoro “sommerso”, a bassa specializzazione e ad alta intensità di lavoro, grazie anche alla presenza di collaudate reti sociali. Le migrazioni hùkŏu invece, più qualificate professionalmente, coprono distanze più brevi e privilegiano dunque l’approdo in quelle province in cui sia più facile adattarsi, in quanto zone affini da un punto di vista linguistico e socio-territoriale. Coloro che scelgono di emigrare verso le città sono soprattutto giovani, sia a causa della disoccupazione che caratterizza il settore agricolo, sia perché nelle città viene richiesta manodopera istruita, ma sulla quale è più semplice risparmiare negli stipendi. Dal punto di vista del gender, sono soprattutto gli uomini a migrare, in quanto il mercato del lavoro urbano, come già specificato in precedenza, offre soprattutto lavori di fatica nel settore delle costruzioni, dei trasporti e nelle industrie, sebbene negli anni più recenti sia andata crescendo la quota femminile di migranti. È dunque venuta a formarsi una logica culturale della migrazione, per cui il viaggio e la distanza spaziale corrispondono ad un movimento verso l’alto od il basso nella scala sociale, in quanto la possibilità di migrare è strettamente legata al concetto di potere. A questo proposito è importante sottolineare l’alta specializzazione raggiunta a livello di migrazioni interne ed esterne: infatti, specifici villaggi in Cina sono diventati di fatto “villaggi di migranti”, come ad esempio alcuni villaggi dello Zhèjiāng meridionale verso l’Europa, mentre altri si sono specializzati nelle migrazioni interne, verso le grandi città cinesi come Pechino, dove i grandi network sociali mantengono la loro caratteristica di vantaggio competitivo in un mercato di nuovi potenziali concorrenti. Le migrazioni di massa attuali sono dovute essenzialmente ad alcuni fattori, tra cui la decollettivizzazione rurale che ha prodotto un surplus di lavoratori prima legati alle campagne ed ora liberi di emigrare; la rapida espansione di un’economia urbana che richiede lavoro ad alta intensità e bassa specializzazione; il desiderio di raggiungere standard di vita più elevati e lo sviluppo ed espansione dei network familiari e sociali. L’omogeneità e la compattezza del mondo rurale derivate da tale politica sono diventate espressione di una civiltà comune e dei suoi valori, che, facendosi luogo19, hanno modificato e rimodellato il territorio cinese grazie all’alternarsi di processi di territorializzazione autocentrati20. Gli abitanti delle campagne sono organizzati tutt’oggi in clan21 (zú), strutture familiari che, ignorate durante gli anni centrali del maoismo, hanno recuperato la loro fondamentale importanza nel tessuto sociale cinese. Gli zú, i cui capifamiglia sono individui di sesso maschi- La procedura di simbolizzazione, in virtù della quale un valore sociale non solo si trasferisce al suolo, ma si trasla in quel luogo, è stata denominata topomorfosi in Turco, 2002, p. 135. 20 Per processo di territoralizzazione autocentrato si intende l’agire di attori territoriali che si riconoscono in un gruppo sociale unitario che vive e si riproduce in quel territorio e per suo mezzo. Si tratta di una società aperta in termini cognitivi ai flussi di informazioni provenienti dall’esterno, ma chiusa in termini normativi, in quanto contiene in sé i valori della propria esistenza ed è in grado di realizzarli autonomamente. Si veda Turco, 1988, pp. 144-145. 21 Il clan (zú) può arrivare fino al ventesimo grado di parentela; la famiglia estesa è invece più ristretta, comprende le cinque generazioni successive ad un antenato comune; la famiglia nucleare è in genere costituita da padre, madre, figli e, talvolta, un parente anziano. 19 Un gigante in movimento: la Cina fra tradizione e modernità le, legati fra loro da comune lignaggio patrilineare, comprendono a loro volta la cosiddetta famiglia estesa, il cui centro è costituito dalla famiglia nucleare. Queste strutture familiari, le cui radici in uno stesso territorio sono testimoniate dalle tombe e dal culto degli antenati, sono rigidamente organizzate per gerarchie d’importanza e risentono della struttura sociale confuciana. La struttura territoriale di base della società rurale cinese rimane il villaggio, i cui nomi22 rimandano principalmente a formule stereotipe e ad allusioni letterarie. I villaggi sono organizzati in leghe di villaggio e godono di una notevole autonomia, come i nostri comuni; inoltre, al loro interno, gli abitanti sono legati da un culto comune e da forti e complesse reti di solidarietà23. Con l’avvento del regime comunista si verificarono molti cambiamenti nel paesaggio contadino, tra i quali la soppressione delle divisioni nucleari, la creazione di un sistema di grandi campi e l’abolizione della proprietà privata. Con il processo di riforma dei settori economico-produttivi, avviato a partire dalla fine degli anni Settanta, si abbandonò il sistema collettivo e si ritornò al nucleo familiare quale unità produttiva centrale, che comportò anche l’abbandono e lo smantellamento delle Comuni Popolari, completato nei primi anni Ottanta. Le politiche agricole degli ultimissimi anni tendono a recuperare un sistema a “doppio binario”, sistema in cui il ruolo economico di queste unità familiari a livello decentrato si integra con quello sociale a base collettiva (Samarani, 1998). L’evento rivoluzionario a livello socio-territoriale, conseguente alla riforma economica e all’apertura verso Occidente, è stata comunque la crescita del fenomeno-città. In relazione alla spinta del “socialismo di mercato” infatti, i maggiori centri urbani si svilupparono in relazione alla rinnovata possibilità di migrare, considerata soprattutto un’occasione di ascesa sociale ed economica. Le aree urbane si espandono, inglobando le zone rurali, per rispondere alle ingenti richieste d’insediamenti abitativi, industrie e strutture adibite ai servizi, e ciò ha contribuito alla formazione di nuove configurazioni della società e dell’economia cinesi e ad una ridistribuzione della forza-lavoro. Il volgersi prepotentemente verso l’Occidente della Cina è stato determinato quale reazione alla barbarie causata dalla Rivoluzione Culturale: Mao aveva infatti cercato di eliminare ciò che veniva considerato un eccesso di territorializzazione24, in rapporto al nuovo progetto territoriale comunista. Infatti le strutture inglobavano e cambiavano progressivamente il territorio al loro esterno e le attività umane che in esso si svolgevano, determinando l’impoverimento del valore socio-ideologico rappresentato dalla campagna e dalle attività agricole. Oggi, viceversa, le città hanno ripreso un ruolo di struttura territoriale, si trasformano in continuazione con la costruzione di nuovi quartieri d’affari e di periferie di cemento; il traffico si è adattato all’automobile (considerato simbolo di prestigio, soprattutto presso i Cinesi residenti all’estero), le infrastrutture si sono conformate agli standard dell’Asia capitalista e sono i luoghi per eccellenza in cui si dispiegano i valori della Cina moderna. L’urbanizzazione è ormai una necessità, un segno tangibile dell’occidentalizzazione, così come lo sviluppo di metropoli con conseguenti agglomerati periferici sta diventando una realtà. La città rappresenta la struttura territoriale L’analisi della denominazione recupera la simbolizzazione del luogo e il ruolo che quest’ultimo svolge nel sancire le istanze identitarie della società che lo abita. Si veda Turco, 1988, pp. 177-178. 23 Espressione materiale di ciò è la casa rurale: un aggregato di tecniche costruttive, credenze e bisogni sociali, propri della civiltà cinese contadina, comprendente solitamente parecchi edifici, ciascuno con una propria funzione, che si fa marca territoriale mediante la quale leggere il paesaggio rurale. 24 Per eccesso di territorializzazione si intende il processo per cui l’agire territoriale determina una produzione di complessità maggiore di quella che la società realmente necessita per funzionare. Come nel caso cinese, il territorio diventa la totalità sistemica che ingloba la società come sottosistema. Ci si ritrova quindi davanti ad una geografia ipercomplessa vs. una società ipocomplessa. Per un ulteriore approfondimento, cfr. Turco, 1988. 22 59 60 Atlante della diaspora cinese in cui si svolgono le nuove dinamiche tra la Cina e il mondo, dove più forte è la presenza dello straniero, impostosi con la sua economia di mercato e la sua tecnologia. Molti Cinesi, inteso che non è permesso diventare “politicamente occidentali” (Domenach, 2003, p. 130), si sono adattati ai modelli stranieri per l’abbigliamento, l’alloggio o l’auto; l’influenza straniera viene però continuamente filtrata, rielaborata e adattata alle esigenze e al gusto cinese e ciò genera un numero infinito di ibridazioni, anche se esistono delle sacche di resistenza verso lo straniero (wàiguórén25), soprattutto nelle zone rurali e nelle persone più anziane. La cinesità infatti continua ad essere un valore forte, non solo nelle campagne, ma anche per gli emigrati, i Cinesi d’oltremare26. Negli ambienti accademici è rinato un nuovo interesse per la storia cinese e si tende a recuperare i valori antichi ed identitari propri della civiltà cinese tradizionale, mentre del passato più popolare, legato alla devastazione anticonfuciana portata dalla Rivoluzione Culturale di Mao tra il 1966 e il 1970, si cerca di fare tabula rasa. Un nuovo ceto privilegiato si va configurando, grazie alla formazione universitaria e all’esperienza tecnica, ma non si tratta comunque di una “nuova borghesia”: essa non è in grado di rendersi autonoma, è prigioniera del potere, in quanto dipende quasi esclusivamente da favori, agevolazioni e autorizzazioni concesse da una cerchia di privilegiati che ha in mano il potere reale e dai rappresentanti locali. Il territorio cinese riflette questo quadro complesso, ricco di cambiamenti e movimenti contraddittori: da un lato c’è la dilatazione dello spazio dovuta a ragioni economiche, dall’altra l’accentuarsi delle localizzazioni, del divario campagna-città. Tuttavia il regime comunista ha saputo proiettare il Paese in un’era di modernizzazione economica in cui il potere centrale assicura continuità e coesione. Lo Stato si fa garante ed arbitro di ogni opera pubblica necessaria per il popolo: ad esempio i grandi progetti idraulici27, la sistemazione e il potenziamento delle vie di comunicazione non sono altro che strumenti medianti i quali il regime veicola il proprio potere ed i propri valori. Salvo che nelle periferie urbane, la Cina rimane comunque un Paese di medio sviluppo largamente rurale (per il 70% circa della popolazione), dove la vita rimane piuttosto difficile e il peso dell’aumento demografico incide in modo negativo sulla ripartizione delle risorse. Lo sviluppo dell’agricoltura, in particolare, ha subito forti cambiamenti, dovuti al fatto che non si tratta più di un’agricoltura di sussistenza, in quanto essa deve rispondere alle esigenze di consumo, per essere competitiva sul mercato e rappresentare una potente arma economica per il Paese. A partire dal 1979 l’attenzione si è rivolta verso le zone costiere: Deng Xiaoping ha abbandonato “l’egualitarismo spaziale e sociale” (Domenach, 2003, p. 260) di Mao, conferendo il ruolo-guida alle province costiere sud-orientali, in particolare al Guăngdōng, al Fújiàn e allo Zhèjiāng, in cui l’urbanizzazione e l’industrializzazione hanno completamente trasformato quel paesaggio essenzialmente agricolo, ridotto a produzione orticola. Il concetto di esclusione espresso da tale vocabolo è fermamente incorporato anche nella concezione urbana contemporanea cinese ed assume spesso anche nei discorsi ufficiali un’accezione negativa. 26 I Cinesi d’oltremare sono coloro che posseggono il passaporto cinese e che vivono all’estero, in Paesi diversi da Taiwan. 27 La messa in opera di grandi lavori idraulici in Cina risale addirittura ai primordi della società cinese. Tali lavori, di altissimo valore simbolico, fornivano al produttore agricolo finale l’essenziale materiale ausiliario che è l’acqua; adempivano ad importanti funzioni protettive per il Paese nel suo complesso ed erano capaci di coprire aree molto ampie. L’efficace direzione di questi lavori richiedeva un tessuto organizzativo capace di raggiungere l’intera popolazione del Paese. Chi era in grado di riuscire in una tale impresa era considerato degno di detenere anche il supremo potere politico. In Cina si narra che il leggendario direttore del controllo governativo delle acque, il grande Yu, sia salito al rango di capo supremo fondando la prima dinastia ereditaria, quella degli Xia. Per un approfondimento sulle civiltà idrauliche del passato, sulle loro ripercussioni sulla società, l’economia, il territorio e la loro funzione politico-ideologica, cfr. Wittfoegel, 1980. 25 Un gigante in movimento: la Cina fra tradizione e modernità Per quanto riguarda altre zone “strategiche” del Paese, si considerino due aree. Vi è una zona centrale, costituita da province agricole densamente popolate, con un’industria solida, ma non particolarmente competitiva, e dove le metropoli vanno sviluppandosi lungo le vie di comunicazione. Sono proprio queste province centrali (Guănxī, Húnán, Jiāngxī, Húběi, Ānhuī, Hénán, Shănxī) che rappresentano il futuro dell’economia cinese, in quanto in esse attualmente confluisce la maggior parte degli investimenti stranieri, sono situate vicino alla costa e le loro metropoli stanno conoscendo uno sviluppo eccezionale. La seconda area, situata più ad Ovest e ricca di minoranze etniche e linguistiche, può essere suddivisa in altre due zone: la Cina marginale (Guìzhōu, Sìchuān, Níngxià e Gānsù) e le estremità della Cina (Yúnnán, Tibet, Xīnjiāng28, Qīnhāi e Mongolia interna). Sono aree in cui lo Stato investe numerose energie e risorse volte a promuovere lo sviluppo industriale (ad esempio il cosiddetto piano di valorizzazione dell’Ovest), ma il principale svantaggio è che queste iniziative non attirano molti investimenti, in particolare esteri, e quindi le industrie rimangono sostanzialmente in mano allo Stato. Inoltre qui il divario città-campagna è ancora molto forte ed è proprio nelle zone di periferia che si concentrano le sacche di maggior povertà del Paese29 e le differenze spaziali e sociali si fanno più forti: infatti le infrastrutture delle campagne che riguardano lo stato sociale stanno marcendo, in quanto gli enti locali delle zone più periferiche sono lasciati a loro stessi. L’unica maniera per sopravvivere rimangono le grandi reti di solidarietà rappresentate dalla famiglia estesa e dagli zú, la cui influenza è cresciuta parecchio soprattutto nelle zone della Cina meridionale. Il governo ha intenzione di varare un piano d’urbanizzazione di massa che prevede lo spostamento nelle città, per i prossimi anni, di ottantacinque milioni di contadini, per arrivare ad un tasso di urbanizzazione del 50%. Tale provvedimento, dovuto soprattutto a motivazioni di tipo economico, produrrebbe la maggior ondata migratoria della storia e dimostra quanto la gran- Come Taiwan, ma in maniera più grave, anche il Tibet e lo Xīnjiāng presentano una moltitudine di problemi con pesanti ripercussioni a livello internazionale. La provincia dello Xīnjiāng è una regione teoricamente autonoma, in essa vive una minoranza nazionale, gli Uiguri, turcofoni e islamizzati, che rivendica una forte identità a discapito della maggioranza hàn. Le rivendicazioni di autonomia, da parte della minoranza uigura e di altre, una volta moderate e non violente, si sono ora trasformate in violente proteste contro il potere che ha risposto con feroci repressioni. Anche nel Tibet l’etnia tibetana si identifica in modo forte con la propria religione lamaista e con il suo capo spirituale, il Dalai Lama. La questione è forse ancora più spinosa di quella dello Xīnjiāng, dato il grande prestigio di cui godono il Dalai Lama e la sua causa in Occidente. Per un approfondimento, si rimanda a Domenach, 2003, pp. 276-279. 29 La sfida presente e futura per il Paese è quella di essere in grado di soddisfare i bisogni crescenti del popolo cinese, abbracciando gradualmente una politica di sviluppo sostenibile. Una sfida ardua, considerate le numerose trasformazioni politiche, economiche e sociali che hanno un grande potenziale distruttivo. D’altra parte, il retaggio territoriale rappresenta un ostacolo ai processi di rinnovamento. Anzitutto in Cina la rete viaria e ferroviaria, salvo nelle regioni costiere a grande traffico commerciale, è poco sviluppata; le fonti energetiche, per sostenere un boom economico di dimensioni colossali, iniziano a scarseggiare. Dopo aver beneficiato dell’energia ricavata dal carbone e dalle centrali idroelettriche, la Cina è stata costretta ad utilizzare il petrolio, ormai esaurito nel bacino del Nord-Est; l’utilizzo sistematico del carbone, per l’industria e il riscaldamento, ha causato l’aumento esponenziale dell’inquinamento, che raggiunge persino le coste del Giappone; il degrado dell’ambiente, dovuto al disboscamento sistematico delle foreste, all’accelerazione dello sfruttamento delle risorse e alla crescita demografica sta danneggiando l’ecosistema. L’acqua appare un problema di prima grandezza: oltre a scarseggiare è spesso inquinata, a causa dei rifiuti urbani ed industriali e dell’utilizzo di fertilizzanti chimici. Solo recentemente le autorità cinesi hanno mostrato maggiore attenzione per l’ambiente, mediante la promulgazione di leggi e regolamenti e destinando circa l’1% del PIL ad interventi volti in favore dell’ambiente, anche se, per ora, questi interventi statali sono ancora troppo settoriali e poco incisivi. Queste misure di emergenza dovranno trovare una veloce applicazione, in quanto è previsto che, entro il 2010, la popolazione urbana crescerà di oltre seicento milioni di abitanti e ciò creerà ulteriori problemi. Per quanto riguarda i problemi ambientali della Cina, si veda Dell’Agnese, 2000, pp. 166-182. 28 61 62 Atlante della diaspora cinese dezza e l’ambizione cinesi influenzeranno anche per gli anni a venire le dinamiche planetarie30. 3. …e migrazioni internazionali 3.1. La diaspora cinese: un progetto di costruzione socio-territoriale La mobilità del mondo d’oggi, che si manifesta chiaramente nel fenomeno migratorio, non deve essere vista come antitesi all’esistenza dei luoghi, ma come forza che determina la loro costruzione nonostante i processi di globalizzazione31 territoriale in atto: il mondo odierno infatti è una grande rete che permette di moltiplicare i rapporti tra luoghi al di là della distanza metrica. L’immigrazione rappresenta una posta in gioco di notevole entità ed importanza, poiché comporta una grande mobilità di persone, culture, mezzi e capitali, coinvolgendo moltissimi Paesi. Il fenomeno migratorio genera numerosi cambiamenti nel progetto di vita dei migranti e anche nei Paesi di accoglienza, in quanto i migranti sono portatori di specifiche istanze culturali e di pratiche che inevitabilmente vanno ad incidere sulla società e sul territorio d’arrivo, dando luogo a nuovi processi di territorializzazione. Infatti, il territorio subisce delle consistenti modifiche nel momento in cui le comunità straniere se ne appropriano come territorio di approdo, esperendovi le proprie pratiche di vita e le proprie logiche sociali, alla ricerca della propria identità e di migliori possibilità di vita. Durante il processo di costruzione territoriale, l’intervento umano si ritaglia ambiti di complessità ridotta per poter meglio agire e, allo stesso tempo, complessifica il mondo grazie alla sua azione32. La geografia rappresenta e coglie queste nuove configurazioni, le differenze, le tendenze e le trasformazioni che tale fenomeno comporta, osservando la società umana, i suoi comportamenti nella costruzione del territorio e il rapporto che instaura con esso. Il contesto migratorio attuale appare caratterizzato da due spinte spesso contrapposte tra loro: la crisi dello Stato nazionale e la tendenza alla globalizzazione planetaria. L’esperienza migratoria nel nuovo millennio non è più riconducibile a pratiche di assorbimento degli immigrati nella società d’accoglienza, né all’adesione al modello etico-politico dello Stato-nazione: le comunità immigrate infatti cercano il riconoscimento della loro identità nel Paese di origine e in quello di accoglienza e sono strettamente collegate tra loro da reticoli transnazionali che producono nuove ed inedite relazioni economiche, sociali e culturali. Il reticolo sociale, in particolare, che indica la relazione fra soggetti, si presenta come un sistema aperto e in continua rielaborazione: si tratta di sistemi (individuali o collettivi) che si definiscono in relazione alle comunità etniche stesse, alle circostanze e al territorio, e costituiscono punti di connessione possibili con altri reticoli esterni. In questo modo si produce una doppia serie di percorsi: uno inter- Per quanto riguarda il trend dei movimenti migratori negli anni Novanta in Cina si rinvia a Hu, Wing Chan, 2003, pp. 49-71; per quanto riguarda invece le disparità regionali nella distribuzione dei flussi migratori emerse dal censimento del 2000, si veda Dewen, Fang, 2003, pp. 73-93. 31 I processi di globalizzazione hanno come effetto la banalizzazione dei luoghi, vale a dire oggetti geografici che poco si discostano da un modello comune, tanto da poterli definire “non-luoghi”. Questi luoghi a bassa individualità e fortemente ripetitivi non sono comunque una nuova realtà. Cfr. Levy, 2003, p. 61. 32 Si parla in questo caso di dialettica dell’autonomia: l’uomo, inteso come gruppo sociale, tenta di garantirsi un’autonomia rispetto a ciò che la natura gli impone, cercando di gestire la complessità del mondo. Per meglio gestirla, egli si crea delle nicchie di azione riducendo complessità, ma senza distruggerla e senza precludersi la possibilità di usufruirne nel futuro. Egli tenta dunque di neutralizzare la complessità in eccesso, per servirsene successivamente e, in tal modo, può mantenere un certo grado di complessità che gli permette di fare delle scelte future. Per un approfondimento sulla dialettica dell’autonomia, si veda Turco, 1988, pp. 42-49. 30 Un gigante in movimento: la Cina fra tradizione e modernità no alla comunità, l’altro proiettato verso l’esterno, per cui si allargano i confini geografici, si allacciano relazioni con altre comunità, giungendo all’elaborazione di una cultura atipica rispetto a quella d’origine e in continua ridefinizione33. La diaspora cinese, più in particolare, diventa una nuova forma sociale, espressione delle nuove modalità di rapporti che la società mantiene con il territorio. Ciò che caratterizza una diaspora è lo sradicamento dal territorio di origine, cioè l’impossibilità di riprodursi in uno spazio fisico chiuso, circoscritto e tangibile, da cui essa ha tradizionalmente origine, soprattutto nel momento in cui la migrazione ha perso il suo carattere temporaneo. Per questa ragione, nella memoria della diaspora cinese, si è portati a concepire un territorio di rifacimento, il Paese di origine34, in cui si crede sia radicata l’identità35 e la cui natura è assolutamente peculiare e difficile da definire in quanto è allo stesso tempo materiale ed ideale, con il quale si crea un perpetuo legame territoriale (gùxiāng), ragione per cui esso viene mitizzato nell’immaginario diasporico. Tuttavia la memoria della diaspora sa che la sua identità non ha più origine laggiù, ma si costruisce, nel movimento stesso della dispersione, ovunque. Per cui l’identità nella diaspora è in parte legata al Paese d’origine, ma essa è soprattutto localizzata nel vasto spazio percorso: il processo identitario36, nel suo divenire, attinge ad una molteplicità di luoghi che si equivalgono, poiché nessuno viene percepito come luogo insostituibile dell’identità. Il territorio perde dunque il suo carattere di unicità, ma diventa uno spazio antropizzato che può entrare in confronto con altri equivalenti: da qui nasce la percezione di extra-territorialità e di autonomia dal territorio di accoglienza. L’extra-territorialità37 giunge a non tenere più conto delle frontiere, per cui si viene a creare un doppio ambito territoriale38 di riferimento, quello locale e quello internazionale, e la molteplicità delle reti permette una scelta più ampia dei luoghi di destinazione; tali reti39 sono costruite da persone che hanno un ruolo fondamentale nell’indirizzare l’insediamento degli individui e delle imprese in un luogo particolare (grazie alla forza delle catene migratorie e delle reti etniche). La posizione di extra-territorialità e la per- 33 Grazie alla formazione di reticoli sovranazionali, gli immigrati giungono a concepire un concetto di comunità più estensivo ed iniziano ad elaborare la propria esperienza diasporica, cioè ad avere una visione globale della dispersione che caratterizza la propria comunità all’estero. 34 Riguardo al rapporto tra immaginario territoriale e costruzione identitaria nella diaspora si veda Callari Galli, Ceruti, Pievani, 1998, pp. 206-208. 35 La radice da cui trae nutrimento il senso di identità cinese è il tŭ, “il suolo”, che identifica un luogo preciso: la casa e il podere, il focolare. L’attaccamento alla propria terra rimanda ai fondamenti della vita biologica, ai ricordi, alle tradizioni locali, all’unicità del luogo e delle sue caratteristiche. Tale spazio antropizzato è strutturato con un centro ed una rete di punti cardinali, ai quali sono collegati elementi quali i colori, gli animali, le stagioni, i cinque elementi fondamentali e le attività umane. Questa griglia spaziale si presenta come un orologio cosmico che segna le varie fasi del giorno e delle stagioni, mantenendo in questo modo il principio di armonia su cui si basa la cultura cinese. Cfr. Fu Tuan, 2003, pp. 30-31. 36 Benché l’identità venga considerata nella sua dimensione processuale, e quindi dinamica, nella sua elaborazione non bisogna dimenticare né cancellare il passato, che invece, con i suoi linguaggi e i suoi gesti, con le sue tecniche ed i suoi valori, con le sue norme e le sue manifestazioni estetiche, deve essere riconosciuto e considerato per costruire modelli culturali e percorsi educativi utili per instaurare un dialogo con le nuove generazioni, per condividere con esse la partecipazione alla vita del gruppo e della comunità più ampia, per promuovere la solidarietà. Nel passato possiamo trovare inoltre il modello dell’uomo nomade che apre i suoi interessi al mondo. Cfr. Fu Tuan, 2003, pp. 191-192. 37 Riguardo al processo di costituzione dell’extra-territorialità all’interno della diaspora cinese, si veda Fu Tuan, 2003, pp. 197-198. 38 Come l’identità anche il territorio viene oggi considerato come realtà dinamica ed attiva che reagendo attraverso risorse proprie agli stimoli che provengono dal rimodellarsi continuo delle reti di flusso globali, si definisce attraverso l’azione dei soggetti che in esso operano. Cfr. Governa, 2003, p. 143. 39 In processi di inserimento lavorativo e sociale dal basso, le reti etniche giocano un ruolo cruciale, mediando tra la propria comunità di appartenenza e le istituzioni pubbliche. 63 64 Atlante della diaspora cinese cezione di un non-luogo hanno un effetto utilitario poiché, da un lato, permettono di percepire i vantaggi dati dallo sviluppo di relazioni che valicano le frontiere e, dall’altro, permettono di far fronte alle ingiunzioni identitarie. L’attenzione al vissuto coinvolge spazi materialmente e virtualmente esperiti, perché è soprattutto attraverso questi ultimi che si esplica quella dilatazione del concetto di abitare verso i luoghi simbolici, portatori dell’identità collettiva. La mancanza di un territorio fisico dove poter proiettare i valori, i bisogni e le pratiche culturali di cui la comunità cinese si fa portatrice, proietta il radicamento dell’individuo nel gruppo etnico: ciò spiega i forti legami di solidarietà che si vengono a creare all’interno della comunità cinese e questa interdipendenza tra individui spiega le logiche di allontanamento e diffidenza che caratterizzano i rapporti del gruppo con l’esterno. Il corpo sociale si fa quindi territorio, poiché permette di fissare l’identità individuale e collettiva, da cui deriva l’importanza enorme che assume quella cultura40, una cultura della diaspora, attraverso l’incoraggiamento di valori condivisi in un’ottica transnazionale della migrazione cinese. Facendosi territorio, il problema identitario41 diventa un problema geografico: la ricomposizione territoriale è parallela a quella dell’identità, ma con un intervallo di latenza più lungo, non vi è sovrapposizione fra le fasi di costruzione, decostruzione, ricostruzione dell’identità e quelle di territorializzazione, deterritorializzazione e riterritorializzazione che si susseguono. La dispersione degli individui in una pluralità di luoghi geografici collegati tra loro, conduce all’elaborazione di un tipo di identità cinese, il transilient42, il nuovo Cinese d’Oltremare: il nuovo migrante cinese ha superato il desiderio di cercare le proprie radici in Cina e di ritornarvi, anche se una certa elementare coscienza dell’identità cinese nei suoi fondamenti persiste sotto la superficie. Rispetto ad altri gruppi di migranti asiatici, la diaspora cinese si distingue in quanto si colloca in una lunga tradizione di emigrazione e possiede una forte coerenza comunitaria nell’immigrazione che permette al gruppo di sopravvivere e rafforzarsi (Campani, Carchedi, Tassinari, 1994, pp. 195-196). Le nuove ondate migratorie cinesi non sono più prettamente urbano-centriche, dirette esclusivamente verso le grandi città, ma ora privilegiano come luoghi di destinazione centri medio-piccoli che rappresentano mercati abitativi e lavorativi ancora poco esplorati. Infatti, il processo di costruzione identitaria e territoriale del gruppo cinese è legato al lavoro43 e si esplica nel territorio del quotidiano: esso è caratterizzato dalla discontinuità, è un arcipelago di luoghi che, isolati gli uni dagli altri, sono spesso luoghi terminali che non rendono visibili gli spazi intercalari che si attraversano senza abitarli realmente. Esso è territorio della tensione e Il senso di superiorità di cui è pregno il gruppo cinese deriva anche dal fatto che la propria cultura millenaria, oltre ad essere sopravvissuta in modo omogeneo su un territorio vastissimo, è stata adottata anche dai popoli che conquistarono la Cina. Ciò generò la convinzione che, per quanto il Paese potesse essere militarmente debole, la sua cultura artistica e letteraria e le sue istituzioni erano indiscutibilmente superiori e di valore universale. 41 Non è d’altra parte pensabile che esistano delle culture “pure”, in grado di assicurare una riproduzione stabile e continuativa della cultura. Ciò può avvenire piuttosto all’interno di regimi totalitari in cui si impedisce che le costruzioni delle vite sociali dei cittadini si nutrano di uno scambio continuo ed immediato di immagini, idee ed opportunità. In tal caso è lo Stato che si assume il compito di creare l’immaginario sociale dei suoi sudditi, imponendo modelli autarchici ed aridi isolamenti. Cfr. Callari Galli, Ceruti, Pievani, 1998, pp. 156-158. 42 Il termine inglese deriva etimologicamente da trans e dal latino salire, e oltre a significare “che salta bruscamente da una posizione all’altra” ha pure il significato di “appoggiato indifferentemente sull’uno o sull’altro di due sostegni”. 43 La struttura di un’economia di diaspora assume una dimensione extra-territoriale e si concretizza grazie alla numerosa presenza di nodi e reti locali in ogni parte del mondo. In particolare, la predisposizione all’imprenditoria è uno dei tratti principali che contraddistinguono questo gruppo etnico, affermatosi nel campo della ristorazione, del commercio e della produzione manifatturiera e pellettiera. 40 TAVOLA 4 – Le migrazioni interne alla Repubblica Popolare Cinese 66 Atlante della diaspora cinese della distensione, di una territorialità immediata, banale, ma originale, prevedibile e imprevedibile allo stesso tempo, in quanto tutto vi è possibile, anche quando si ha la sensazione di un’eterna ripetizione; in esso vi sono tutte le produzioni territoriali, la cui funzione si riferisce ad attività specifiche, quelle che hanno un valore simbolico e il cui compito è comunicare l’immagine di una cultura e di un’ideologia: queste trasformazioni contribuiscono a creare e trasmettere nuovo significato a quei luoghi che entrano in rete ridefinendo il territorio e la società ospite. La compattezza socio-culturale derivante dalla struttura territoriale della Cina è probabilmente la spiegazione della superiore considerazione che i Cinesi hanno di sé, anche presso le comunità44 cinesi insediate in varie parti del mondo, spesso poco propense a forme di interazione con le popolazioni autoctone. Infatti, l’autostima cinese è fortemente connessa al concetto di continentalità della nazione-Cina. Come la Cina si espande sul continente, così i Cinesi si espandono nel mondo, l’espansione significa assimilazione agli Hàn (Eva, 2000). Forse a causa di ciò, il popolo cinese offre un’immagine di popolo orgoglioso, quasi arrogante, concentrato esclusivamente sul proprio gruppo familiare ed etnico. In particolare, il ruolo rilevante giocato dai legami di sangue e dall’identità geografica, fondamentale presso i Cinesi nella costruzione di network sociali, considerati più importanti del rispetto dell’autorità, delle relazioni di interesse e dell’affinità politica, ha condotto, nelle comunità più numerose e radicate, alla costituzione dei bāng, gruppi di interesse tramite i quali passano flussi d’investimento. L’identificazione con chi è nato nella stessa città o nello stesso villaggio è talmente forte da spingere molti Cinesi a contrarre un impegno reciproco molto simile a quello che esiste coi membri della propria famiglia, costituendo reti di solidarietà tra compaesani, i tóngxiăng. Una conseguenza di quanto queste distinzioni siano radicate ed acquistino un fortissimo valore identitario è data dal fatto che molti Cinesi, anche nella terra d’emigrazione, continuano a parlare i propri dialetti, in quanto molti non sanno, e la apprendono spesso solo dopo l’emigrazione, il pŭtōnghuà, la lingua nazionale ed ufficiale cinese, per cui è difficile comunicare anche tra connazionali; per questi motivi, i Cinesi, generalmente, tendono a stabilirsi dove altri tóngxiăng già vivono da tempo, in modo da poter ricevere aiuto nel Paese di accoglienza. Tali legami allargati fra famiglie cinesi, che hanno in parte permesso la straordinaria ascesa economica della Cina, costituiscono un elemento connettivo globale: le comunità cinesi sparse nel mondo hanno saputo infatti ricostituirsi, salvaguardando le proprie usanze, grazie a questi legami di consanguineità, e adattandosi e dimostrando una grandissima determinazione nel conseguire gli obiettivi che potessero portare ad un miglioramento economico della comunità, della famiglia e dei singoli. Esse si ricostituiscono come comunità autocentrate ed autosufficienti, in quanto il mantenimento forte della cinesità spinge verso una percezione di sé come entità comunitaria autonoma rispetto al territorio di insediamento45. L’indiscusso successo economico dei Cinesi Col termine comunità si intende un gruppo sociale che combina l’adesione a norme e valori con la condivisione dello stesso territorio e il mantenimento delle strutture di parentela. La distribuzione geografica, le possibilità di raggruppamento familiare, l’inserimento professionale, le risorse etniche sono fattori che permettono la costituzione di queste comunità, anche in relazione alla politica migratoria del Paese d’accoglienza, di tipo assimilazionista o più orientata verso forme di multiculturalismo, in Campani, Carchedi, Tassinari, 1994, p. 30. 45 Ma Mung, 1992, pp. 176 e 187, evidenzia come “il principio dinamico interno che regola le imprese cinesi sia un principio di autonomia. Autonomia di un dispositivo economico che, da una parte, sarebbe legato alla volontà del gruppo di riprodursi, attraverso attività imprenditoriali piuttosto che attraverso altre, e, d’altro canto, condurrebbe ad un’autonomia del gruppo stesso... si aggiunge poi il mantenimento di un’identità nazionale e lo sviluppo di un’identità comunitaria transnazionale potente, cioè la coscienza e il sentimento di appartenere ad uno stesso gruppo che si riferisce ad un territorio e ad una società d’origine, ma anche nel movimento stesso della dispersione 44 Un gigante in movimento: la Cina fra tradizione e modernità d’oltremare46 è stato oggi rivalutato anche dal regime comunista, che li corteggia in nome di una comune appartenenza storico-culturale47: il termine “Grande Cina”, spesso utilizzato nei discorsi di partito, vuole essere simbolo della volontà di unificare le realtà cinesi oggi divise, anche se tale interazione è intesa più in senso economico che culturale. Le migrazioni cinesi, conseguenza diretta della storia della Cina, costituiscono uno dei flussi più importanti dal punto di vista quantitativo e per l’ampio spettro dei Paesi di destinazione. La storia dei movimenti migratori cinesi, come visto precedentemente, è strettamente intrecciata alla storia della società e del territorio cinese, in particolare alle trasformazioni politiche ed economiche che hanno da sempre influito sulle modalità e lo sviluppo delle migrazioni a livello nazionale ed internazionale: i Cinesi d’oltremare, infatti, grazie alla loro intraprendenza e determinazione nel perseguimento degli obiettivi, hanno raggiunto un proficuo inserimento economico nelle società di accoglienza, con conseguenze positive anche per la madrepatria. Seppur le prime comunità cinesi di migranti costituitesi in varie parti del mondo risalgano all’antichità, è soprattutto a partire dal diciannovesimo secolo, con la nascita e l’espansione di diversi imperi coloniali europei nel continente asiatico, che la diaspora del popolo cinese acquista una certa visibilità ed importanza: l’impiego di lavoratori a contratto asiatici (i coolies)48 nelle piantagioni di cotone americane, poiché meno costosi e più redditizi degli schiavi, ha creato ulteriori flussi migratori, non più circoscritti alle aree del Sud-Est asiatico, ma diretti verso l’Africa, le Americhe e l’Europa, dando luogo al sovrapporsi di diverse generazioni di migranti e a processi di parziale o totale interazione con le popolazioni ospiti. A partire dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, l’immigrazione cinese in Europa subisce un forte incremento, soprattutto in Gran Bretagna e in Francia49, nonostante la chiusura c’è un sentimento di appartenenza ad una stessa entità sociale in qualche maniera a-territoriale” (Traduzione di Silvia Crotti). 46 Per definire i Cinesi migranti ci sono vari termini: “Chinese Overseas” è distinto dal più antico “Overseas Chinese” che traduce il termine cinese huáqiáo, cioè coloro che mantenevano la propria nazionalità e soggiornavano all’estero solo temporaneamente. Per indicare i migranti di nuova generazione, si utilizza il termine xīn yímín, che individua un gruppo con forti potenzialità di investimento, con risorse scientifiche e più legato alla Cina. I nuovi migranti hanno infatti ancora la cittadinanza cinese, sentono un maggior attaccamento culturale ed identitario con la Cina e possono quindi nutrire un livello di lealtà maggiore verso il proprio Paese d’origine rispetto ai migranti di vecchia generazione (Gungwu, 1993, trad. in Campani, Carchedi, Tassinari, 1994, p. 13). 47 I Cinesi d’oltremare forniscono consistenti finanziamenti alla madrepatria grazie alle rimesse, ossia l’invio di denaro o di beni di consumo destinati al finanziamento di attività nel proprio Paese d’origine. La collettività cinese tende a non utilizzare intermediari istituzionalizzati come le banche, ma preferisce fare ricorso a canali informali, provvedendo in prima persona o affidando il compito a parenti, amici, a sistemi di trasferimento non registrati come il sistema cinese chop o flying money. 48 Nonostante questi lavoratori fossero indispensabili per lo sviluppo industriale e infrastrutturale degli Stati Uniti, proprio in questo Paese, a partire dal 1849, furono introdotte limitazioni volte a discriminare i cittadini provenienti dall’Asia, in particolare la collettività cinese. Ciò generò delle contraddizioni interne: in un primo tempo fu liberalizzato l’accesso alle popolazioni cinesi, successivamente venne promulgato il Chinese Exclusion Act (1882) che giustificava le discriminazioni nei confronti della popolazione cinese per motivazioni di tipo sanitario (erano accusati di aver causato delle epidemie di tifo). Anche in Canada, nel 1885, si applicò la stessa politica discriminatoria verso il gruppo cinese e la situazione fu ancora peggiore in Australia, dove a partire nel 1901, fu promulgata una serie di leggi a carattere restrittivo non solo nei confronti dei Cinesi o delle popolazioni nere, ma anche contro tutti quei bianchi che non fossero di origine britannica. Per informazioni più dettagliate sulla storia delle migrazioni cinesi tra il diciannovesimo ed il ventesimo secolo si rimanda a Corti, 2003. 49 Nel periodo tra le due guerre, in Europa non si esitò a reclutare manodopera proveniente da Paesi extra-europei, da sfruttare prima nell’industria bellica e poi nella ricostruzione. Tuttavia anche nel nostro continente furono varati molti provvedimenti volti a bloccare i flussi migratori esterni. In Francia, nel 1932, fu approvata una legge che doveva tutelare la manodopera nazionale 67 68 Atlante della diaspora cinese delle frontiere e il blocco delle migrazioni interne campagna-città, voluti da Mao a partire dal 1949, sebbene sia solo dagli anni Settanta che questi flussi acquistano davvero significato: dopo la guerra di Indocina, per motivazioni politiche, molti Cinesi residenti in quei luoghi furono espulsi da Laos, Vietnam e Cambogia e dovettero quindi emigrare, acquisendo, soprattutto in Francia, lo status di rifugiati politici. Solo nel 1978 le frontiere vengono riaperte e anche le migrazioni interne campagna-città riprendono in modo considerevole, grazie alla “politica del nuovo corso” voluta dal leader Deng Xiaoping, che proietta la Cina sulla scena internazionale anche come Paese d’emigrazione. Un altro cambiamento estremamente significativo negli anni Ottanta è lo spostamento dell’asse delle migrazioni verso l’Europa meridionale, in quanto anche i Paesi dell’area mediterranea, come l’Italia, la Spagna e la Grecia, diventano nuovi poli d’attrazione migratoria. I motivi sono molteplici: in questi Paesi europei si registra un invecchiamento della popolazione che stimola enormemente l’afflusso di immigrati impiegati nel lavoro domestico e di cura degli anziani; le frontiere degli stati sud-europei sono maggiormente permeabili rispetto alla chiusura dei confini dei Paesi centro-settentrionali; in queste zone meridionali vi è una maggiore diffusione di un’economia informale e di condizioni più favorevoli ad accogliere manodopera dequalificata e irregolare (questi immigrati riempiono infatti quei vuoti lasciati dagli autoctoni nei settori meno qualificati dell’agricoltura, del terziario e del settore manifatturiero). 3.2. La famiglia e il progetto migratorio: una nuova età dell’oro Lo stimolo primo che spinge ad emigrare, ieri come oggi, soprattutto verso l’estero, è la catena migratoria familiare, ossia si emigra per raggiungere uno o più parenti partiti in precedenza. La famiglia ha un ruolo di primo piano nel progetto migratorio: essa infatti individua la persona più adatta a partire, raccoglie il denaro e tutti i contatti necessari per l’espatrio e a volte l’intero villaggio viene coinvolto in tale progetto. Trattandosi di un’emigrazione lavorativa, che, in quanto tale, dà vita a processi di territorializzazione economica, molti Cinesi vedono nell’estero il luogo della piena affermazione economica, da conseguire principalmente attraverso il modello dell’imprenditoria etnica e se ciò non si verifica, l’emigrato cerca comunque di mantenere viva l’illusione di essere un “migrante di successo” per la famiglia che è rimasta in Cina, anche di fronte al fallimento del proprio progetto migratorio, in quanto porta su di sé il pesante fardello delle aspettative familiari. Molti Cinesi sentono di essere debitori nei confronti dei loro parenti e di coloro che li hanno aiutati nel Paese di destinazione, tanto che a volte, per “ripagare il debito”, si giunge fino a situazioni estreme di subordinazione totale o di puro sfruttamento50. L’immigrato cinese inserito nell’economia etnica tenta, durante questo periodo, di apprendere tutto ciò che gli è possibile, acquisisce posizioni all’interno della gerarchia lavorativa51, con l’obiettivo di e stabiliva determinate proporzioni di lavoratori stranieri all’interno del settore industriale. Negli Stati Uniti, in Canada e in Australia si continuò a portare avanti la stessa “linea dura” nei confronti degli immigrati asiatici e neri, con la promulgazione di nuove leggi, come il Gentlemen’s Act, volto a bloccare le migrazioni dal Giappone. Si poté assistere ad una fase liberistica delle politiche migratorie solo al termine del secondo conflitto mondiale, grazie al rilancio dell’economia nel mondo occidentale. 50 La disponibilità al duro lavoro e all’autosfruttamento impliciti nel modello dell’imprenditoria etnica spesso non vengono percepiti come tali dai lavoratori dipendenti, ma come strumenti per una rapida affermazione economica e sociale, quindi come una fase transitoria, ma necessaria. In questo periodo vengono ripagati i debiti contratti per il viaggio dalla Cina e si acquisiscono competenze e contatti con il mondo della diaspora cinese e con la realtà d’accoglienza, utili poi per avviare con successo il proprio progetto imprenditoriale. 51 Nel campo della ristorazione cinese vi è una suddivisone gerarchica rigida, ma che permette comunque, dopo un’acquisizione di meriti e capacità, un’ascesa nella scala sociale e lavorativa: in principio c’è il lavapiatti, successivamente si può diventare aiuto-cuoco, vice-cuoco ed infine capocuoco. Un gigante in movimento: la Cina fra tradizione e modernità accrescere il proprio capitale umano, sociale ed economico, la propria rete di guānxì, per giungere poi a coronare il proprio progetto migratorio, diventando lăobăn, ossia capo della propria impresa (generalmente aprendo un proprio ristorante, o, più recentemente, avviando attività di import-export). Il termine guānxì indica legami sociali privilegiati di reciprocità, ovvero relazioni personali, accomunate da alcuni connotati identitari, che comportano intrinsecamente un mutuo beneficio e costituiscono la base del tessuto sociale nella società cinese. Ogni persona si colloca all’interno di categorie relazionali precise, che esprimono diversi gradi di gerarchia sociale e comportano obblighi differenti. Tali legami comportano sempre un certo grado di affettività (gănqíng), anche se ad essa non viene mai attribuito lo stesso valore che hanno i legami familiari52. Le guānxì appaiono come una risposta complessa alla necessità di far fronte alla crisi dello stato sociale e all’apertura di prospettive di mobilità socioeconomica in un contesto sociale destrutturato; inoltre rappresentano uno strumento atto alla redistribuzione delle risorse all’interno della società, permettendo alla collettività tutta di prosperare. In questo insieme di reti relazionali la comunità di accoglienza, i clan e le associazioni corporative, prima del ricongiungimento con la propria famiglia, diventano una specie di “surrogato” della famiglia originaria e permettono di rimanere fedeli ai propri valori tradizionali, per non cadere in situazioni o vizi che determinerebbero l’ostracismo e il ripudio da parte della comunità in terra straniera e della famiglia d’origine. Successivamente al ricongiungimento di una famiglia all’estero, avviene una ridistribuzione dei ruoli e delle gerarchie all’interno del gruppo etnico: le attività del gruppo e le gerarchie sociali si organizzano intorno a colui che, grazie al permesso di soggiorno per lavoro, può mettere in piedi un’attività imprenditoriale, il cosiddetto ethnic business. Egli, od ella, diventa il lăobăn, il capo, e quindi il centro del nucleo familiare o della famiglia estesa attorno al quale si organizza l’impresa. A questa nuova autorità sono sottoposti anche i dipendenti dell’impresa, in quanti essi spesso vivono nella casa del datore di lavoro e quindi devono sottostare alla sua autorità anche in situazioni non prettamente lavorative. Nel rimescolamento dei ruoli accade talvolta che le donne immigrate assumano un ruolo importante nella famiglia e nell’impresa lavorativa, diventando addirittura più importanti dei propri mariti, poiché le risorse dell’immigrazione (il permesso di soggiorno per lavoro e relativi capitali per avviare un’impresa, l’organizzazione familiare, la conoscenza della lingua, l’amministrazione del denaro…) sono nelle loro mani. Nelle prime fasi dell’immigrazione la presenza delle donne era quasi nulla; solo a partire dagli anni Settanta la loro presenza diventa significativa e sempre più importante: grazie al loro contributo economico all’interno dell’impresa etnica, esse possono rendere possibile l’arrivo nel Paese d’approdo dei figli o dei genitori, e nel momento in cui si verifica il ricongiungimento familiare e si pianifica la nascita di nuovi figli, tutto ciò sottintende un prolungamento del soggiorno, o, molto spesso, la volontà di fermarsi definitivamente. La struttura del potere e un’eventuale sua messa in discussione hanno comunque come fine ultimo il raggiungimento e il mantenimento dell’ordine e dell’armonia all’interno del gruppo, grazie a codici collettivi radicati nel tempo: i componenti del gruppo devono lealtà nei confronti dell’impresa e della sua gerarchia, ciò che viene fatto è nell’interesse della collettività, non del singolo individuo e anche per questi motivi si prevede l’assenza di mediatori esterni in caso di conflitti53. La fedeltà e la solidarietà sono valori di tipo utilitaristico, in quanto venI connotati identitari che identificano un legame di guānxì sono rubricati nella sfera delle cosiddette “cinque affinità”: tóngzōng, condividere lo stesso antenato; tóngzú, condividere lo stesso lignaggio (patrilineare); tóngxiōng, condividere lo stesso paese di provenienza; tóngxué, condividere gli stessi studi; tóngshī, condividere la stessa attività lavorativa. Per un maggiore approfondimento riguardo al concetto di guānxì, cfr. Cologna, 2003, pp. 212-215. 53 La cultura cinese limita l’adozione del principio di legalità nella soluzione di controversie, 52 69 70 Atlante della diaspora cinese gono considerati come capaci di portare vantaggi a tutti i membri di quella comunità: insieme alla pietà filiale, diventano valori fondamentali del serbatoio metafisico della società cinese, soprattutto in condizioni di diaspora54. Bisogna tuttavia sottolineare che la devozione del figlio verso il genitore non è così scontata: infatti spesso i figli assumono un ruolo di primo piano all’interno della famiglia e non raramente hanno la funzione di mediatori tra la famiglia e le istituzioni, in quanto i genitori conoscono poco o affatto la lingua del Paese ospitante, o semplicemente perché attraverso la scuola acquisiscono un patrimonio di conoscenze meglio spendibili nella società di cui inesorabilmente diventeranno parte. 3.3. I bacini di provenienza: la supremazia dello Zhèjiāng L’immigrazione cinese dallo Zhèjiāng meridionale è un fenomeno specifico, caratterizzato da una crescente istituzionalizzazione55, non omologabile ad altre correnti della diaspora cinese. La gente dello Zhèjiāng si distingue dal panorama dei gruppi provenienti da altre zone per il fatto di essere l’unica popolazione diasporica cinese, a partire dalla seconda metà dell’Ottocento, ad avere scelto deliberatamente l’Europa come meta di un progetto migratorio originale, prefiguratosi come una moderna versione dell’“età dell’oro”: esso consiste nel lavorare alacremente, guadagnare fiducia e capitali, creare nei Paesi di approdo una serie di attività da passare poi a figli e parenti per ritirarsi infine in Cina e godere dei frutti del proprio lavoro. In particolare, per le nuove generazioni di migranti, giovani Cinesi che hanno mantenuto la competenza della loro lingua-madre e al tempo stesso si sono inseriti in modo agevole nel contesto socio-economico occidentale, l’universo di riferimento è ad un tempo la società ospite e quello della diaspora cinese dello Zhèjiāng in tutta Europa. L’immigrazione più recente è ormai espressione di una cultura diasporica consolidata: i nuovi immigrati provengono per lo più da villaggi che sono qiáoxiāng (villaggi di migranti) da generazioni56. Nonostante si tenga molto a sottolineare le differenze tra villaggio e villaggio, quando devono descriversi come collettività, i Cinesi dello Zhèjiāng meridionale immigrati si autodefiniscono Wēnzhōurén, “gente di Wēnzhōu”. Infatti, il porto di Wēnzhōu è il centro politico, economico e culturale più importante dello Zhèjiāng meridionale, sebbene i flussi direttamente provenienti da Wēnzhōu-città non abbiano mai costituito una componente rilevante dell’immipreferendo un modello di giustizia informale e conciliativo espletato all’interno della comunità. La medesima tendenza verso una cultura della conciliazione dei conflitti fuori dalle aule dei tribunali viene mantenuta anche in Italia, in quanto ad ulteriori difficoltà concorrono la scarsa conoscenza della lingua e delle leggi giuridiche italiane, le lungaggini processuali e la convinzione che il tribunale non sia in grado di tenere conto delle concrete circostanze sociali in cui si è prodotta la controversia. 54 L’ordine, l’armonia, il primato della collettività rispetto all’individuo, la fedeltà, la solidarietà, la pietà filiale sono valori portanti del serbatoio metafisico della società cinese di cultura confuciana, come già esposto in precedenza. La dottrina confuciana offre una visione in cui l’ordine sociale e naturale sono in accordo con i principi immutabili della natura. Anche l’ordine socio-economico della diaspora e il controllo sulle relazioni sociali non sfugge a questi principi: solo mantenendo il controllo ed avendo delle certezze l’ordine collettivo può essere mantenuto. Per un maggiore approfondimento sui caratteri socioculturali asiatico-orientali di stampo confuciano in Cina e Giappone, si veda: Eva, 2000. 55 In particolare, agenti professionali facilitavano il viaggio dei migranti, che ricevevano finanziamenti dalle banche di Wēnzhōu e Shànghăi, dalla Cina all’Europa. Molti Cinesi, insediati nelle maggiori città europee, si specializzarono nel commercio all’ingrosso e mantennero stretti contatti con compagnie commerciali situate nello Zhèjiāng e a Shànghăi. Inoltre, nel corso degli anni, solo pochi specifici villaggi diventarono veri e propri bacini di migranti, ovvero alcuni di quelli situati nel distretto di Wēnzhōu. Cfr. Malle, Pieke, 1999, pp. 159-172. 56 Tali villaggi sono immediatamente riconoscibili nel paesaggio dal punto di vista reificativo e coloro che vi abitano o che da essi provengono costituiscono in Cina una rispettabile categoria sociale: a tali villaggi infatti sono destinate le rimesse dei migranti, che solitamente costruiscono case lussuose e imponenti tombe di famiglia, dove saranno sepolti in vecchiaia, dopo un ritorno definitivo in Cina. Un gigante in movimento: la Cina fra tradizione e modernità 71 Figura 3 Il bacino di provenienza degli immigrati cinesi grazione in Italia57. I movimenti migratori verso il Vecchio Continente nacquero nel momento in cui le tradizionali aree di destinazione, quali gli USA58, il SudEst asiatico ed il Giappone, chiusero le loro frontiere all’immigrazione cinese59, Per un approfondimento si rinvia a Farina, 1997, pp. 36-49. Si pensi alle grandi comunità cinesi che, a partire dal diciannovesimo secolo, sono andate stratificandosi nei grandi agglomerati urbani del Nord America: New York, che detiene il primato del quartiere cinese più grande dell’Occidente; San Francisco, i cui primi arrivi dalla Cina risalgono al 1848; Los Angeles, la cui “Chinatown” venne inaugurata con una cerimonia di gala nel 1938. Per quanto riguarda l’America meridionale, a Lima, in Perù, si è sviluppato un celebre “Barrio Chino”, conseguenza della migrazione cinese proveniente da Canton che, dalla seconda metà dell’Ottocento, si mosse inizialmente verso il Perù per sostituire il lavoro degli schiavi neri nelle piantagioni di cotone, per poi specializzarsi nel commercio. 59 Si ricordi che nel 1882 gli USA promulgarono il Chinese Exclusion Act; in Giappone, durante il terremoto del 1923, gli estremisti di destra massacrarono settecento Cinesi, accusati di aver provocato la catastrofe naturale; nel Sud-Est asiatico invece erano già ben radicate da diverso tempo comunità provenienti dal Guăngdōng e dal Fújiàn, per cui ai Wēnzhōurén fu pressoché 57 58 72 Atlante della diaspora cinese per cui l’Europa divenne nuova meta d’approdo privilegiata60, in quanto considerata territorio ancora virtualmente vergine. Dal punto di vista territoriale, la fascia costiera dello Zhèjiāng è quella che rappresenta una delle zone chiave dell’economia nazionale cinese, ed appare ben integrata economicamente con il resto del Paese. Tuttavia i migranti cinesi non provengono dalle zone costiere della provincia, ma in particolar modo dai distretti di Qīngtián (già a partire dalla fine dell’Ottocento), di Wénchéng (dal 1920 circa) e di Ruì’ān, facenti parte della prefettura di Wēnzhōu, nella parte sudorientale dello Zhèjiāng. Questi distretti, che fanno parte dell’entroterra di Wēnzhōu, presentano una certa omogeneità dialettale, anche se non mancano ulteriori suddivisioni relative alla parlata e alle specifiche tradizioni culturali61. Infatti, sebbene tali distretti siano contigui ed i piccoli villaggi di provenienza degli immigrati abbiano molte caratteristiche in comune, Qīngtián ha sempre goduto dei vantaggi connessi alla sua posizione sulle rive del fiume Ou, lungo la principale via di comunicazione che porta a Wēnzhōu-città62; Wénchéng invece si trova in una posizione più isolata, tra le montagne e in un contesto economico meno vivace. In generale i Cinesi di Wénchéng sono considerati da quelli di Qīngtián più rozzi e chiusi, perché portatori di un retaggio culturale molto tradizionale e rigido rispetto a quello di Qīngtián o del contesto urbano di Wēnzhōucittà63. La caratteristica che accomuna i migranti originari dello Zhèjiāng meridionale è la loro spiccata vocazione imprenditoriale, necessaria a compiere il personale progetto di ascesa sociale64. Alla base del successo di queste genti sta la tradizione della piccola impresa artigianale a conduzione familiare: si tratta di un modello di sviluppo produttivo che presuppone alta intensità di lavoro, ridotti capitali iniziali, manodopera a costo bassissimo o nullo (poiché “reclutata” tra i propri familiari), bassa specializzazione e accettazione di condizioni di duro lavoro, in quanto il lavoro all’interno dell’impresa familiare viene considerato come la prima tappa di un percorso destinato ad offrire a ciascun individuo capace la possibilità di emergere come lavoratore autonomo a capo della propria impossibile penetrare ed imporsi in un’economia dominata da tali comunità. Per un approfondimento sull’attuale contesto migratorio nei Paesi del Sud-Est asiatico, cfr. Castles, 1998; Horstmann, 2004. 60 Successivamente il fattore di spinta principale ad emigrare divenne la crescente povertà della provincia e l’ambizione a diventare ricchi; a partire dal 1949 il fattore di attrazione principale divenne il richiamo della famiglia insediata all’estero, a riunirsi e ad espandere ulteriormente il business familiare. Cfr. Malle, Pieke, 1999, p. 184. 61 Per un approfondimento riguardo lo Zhèjiăng e le sue caratteristiche territoriali, culturali, politiche, sociali ed economiche si rinvia a Campani, Carchedi, Tassinari, 1994, pp. 42-46; Ceccagno, 1998, pp. 16-44. Per un approfondimento riguardo i nuovi bacini migratori in Cina, cfr. Ceccagno, 2003, pp. 46-48; Tolu, 2003, pp. 137-153. 62 La città di Wēnzhōu deve la sua prosperità al fatto di essere uno dei quattordici porti che nel 1984 furono aperti agli investimenti stranieri e al commercio internazionale: gode perciò di uno statuto speciale che ha permesso di attirare dall’estero capitali e know-how senza dover sottostare a vincoli particolarmente severi. Cfr. Campani, Carchedi, Tassinari, 1994, pp. 47-48. 63 Queste differenze permangono anche all’estero, dove i Cinesi provenienti da Qīngtián ci tengono molto a differenziarsi da quelli di Wénchéng. 64 Nella pratica, è raro che tale vocazione corrisponda ad un reale sapere imprenditoriale già maturato in patria. I Cinesi originari delle aree rurali dell’entroterra della città di Wēnzhōu (diversamente da altri Cinesi della diaspora originari delle ex-colonie francesi, olandesi e britanniche) non hanno alle spalle esperienze in campo imprenditoriale e commerciale, ma piuttosto la vocazione al lavoro autonomo è espressione di un éthos come artigiani e commercianti. Infatti, negli anni Ottanta in Cina, per adeguarsi al rapido aumento del tenore di vita e per aumentare le entrate, molte famiglie fondarono piccole imprese (gè tĭ hù) artigianali e commerciali. In terra di emigrazione, il lavoro autonomo appare spesso come una strategia di sopravvivenza, una scelta obbligata, a causa della non-conoscenza della lingua e del contesto socio-culturale di approdo. Cfr. Cologna, 2003, pp. 65-67. Un gigante in movimento: la Cina fra tradizione e modernità impresa (lăobăn). È una meta per la quale si accetta di sacrificare molti anni della propria vita, lavorando sodo per poter poi “diventare padrone“ o “essere padrone di se stesso”65. Per l’imprenditore cinese, il lavoro dei propri connazionali, della famiglia e del clan di appartenenza costituisce un elemento fondante della lucrosità della propria impresa, ma è anche il modo per acquisire prestigio presso i propri connazionali, in quanto tale “sfruttamento” implica la creazione di posti di lavoro e di opportunità per altri immigrati, in virtù della propria abilità ed intraprendenza economica; inoltre, in questa maniera, si saldano quei legami di fiducia (xìnyòng), reciprocità (bào)66 e riconoscenza che possono tornare sempre utili67. Arricchirsi è ad ogni modo l’imperativo sociale condiviso da tutti ed inoltre la possibilità di emigrare in cerca di fortuna ha grandissima importanza, in quanto permette di migliorare la propria posizione nella scala sociale della comunità di appartenenza, conferisce prestigio e l’eventuale insuccesso in terra straniera non comporterebbe un “perdita della faccia”68 tanto grave quanto potrebbe invece accadere nel Paese di origine. La mobilità migratoria dei migranti provenienti dallo Zhèjiăng non riveste un ruolo importante solo in Europa, ma pure all’interno del Paese: infatti i migranti provenienti da questa zona sono sparsi in piccole o grandi comunità anche in diversi villaggi e città cinesi e testimoniano l’enorme successo economico del cosiddetto “modello Wēnzhōu” (Wēnzhōu móshì). Tale modello, esportato all’estero, si basa sul riemergere dello spirito imprenditoriale cinese, stimolato dagli alti tassi di privatizzazione degli anni Ottanta, che ha permesso allo Zhèjiăng di svilupparsi economicamente in maniera più veloce rispetto alle altre province. Gli ingredienti di successo del modello “Wēnzhōu” sono essenzialmente la famiglia come unità economica di base, le estese reti commerciali, l’alta intensità lavorativa, il basso investimento iniziale di capitali, la bassa meccanizzazione del lavoro e la “solidarietà competitiva”. 4. Conclusioni Popolo di antica tradizione migratoria, i Cinesi rivestono tutt’oggi un ruolo di rilievo nel panorama delle migrazioni. Tali movimenti di popolazioni sono strettamente connessi ai cambiamenti politici, economici, sociali, culturali e territoriali succedutisi nel corso della storia della Repubblica Popolare Cinese. I flussi migratori interni ed esterni al Paese attivano, specialmente nei territori di approdo, processi di costruzione socio-territoriali complessi, che rendono possibili percorsi di ascesa sociale ed economica originali rispetto a quelli intrapresi da altre collettività immigrate. Ciò è possibile grazie anche a determinanti caratteri- Sono espressioni che ricorrono presso i Cinesi che aspirano ad avviare una propria attività autonoma. 66 Il concetto espresso dalla parola bào può essere duplice: esso può avere una valenza positiva (bàoēn, “ricambiare una gentilezza ricevuta”) o negativa (bàochóu, “vendicarsi”). Cfr. Farina, 1997, p. 143. 67 In particolare, nonostante i bassi livelli di istruzione, gli appartenenti alla comunità cinese ritrovano nell’economia etnica le potenzialità per diventare imprenditori in poco tempo, al contrario di quanto avviene per molte altre nazionalità, che nonostante studi di livello elevato, svolgono attività ben al di sotto delle specializzazioni acquisite. Sono quindi bene evidenti le grandi opportunità offerte da un'economia che privilegia l'occupazione di connazionali. 68 “Avere o guadagnare faccia” (miànzi, “faccia”) sta a significare il prestigio sociale, lo status sociale acquisibile mediante l'apertura di un'attività economica di successo, un matrimonio vantaggioso, situazioni che implicano una progressiva espansione delle proprie reti di guānxì e quindi la possibilità di arricchirsi e di aprire altre attività. Tra i mezzi per guadagnare faccia vi sono quelle spese effettuate al momento della visita a parenti e amici in Cina per guadagnare ulteriore capitale relazionale nel proprio Paese e per consolidare i luoghi comuni della mitologia dell'immigrazione, stimolando la partenza di altri compaesani. Cfr. Farina, 1997, p. 136. 65 73 74 Atlante della diaspora cinese stiche socio-culturali della collettività, al modello imprenditoriale dell’ethnic business e al ruolo attivo svolto dai network parentali ed amicali. Nel capitolo successivo, si tenterà di analizzare la situazione migratoria cinese prima in Europa, che si prefigura come inedita “terra di conquista” della diaspora proveniente dallo Zhèjiăng meridionale, e successivamente, più nello specifico, in Italia, analizzandone le diverse scalarità (nazionale, regionale e provinciale). 75 CAPITOLO 4 Cinesi d’Europa: territori in rete di Silvia Crotti 1. Il Vecchio Continente, verso una nuova prosperità Fino a trent’anni fa1 gli Europei erano migranti, una scelta che alle famiglie e alle comunità di appartenenza pareva socialmente rispettabile, in quanto rappresentava un’occasione per migliorare le proprie condizioni socioeconomiche, e negli anni del boom economico (anni Cinquanta-Sessanta) furono i Paesi del Centro e Nord Europa a fungere da poli attrattori di lavoratori migranti, provenienti dalle zone periferiche del Vecchio Continente. Tale trend continuò fino alla prima crisi petrolifera del 1974, quando i Paesi dell’Europa del nord attuarono una politica di blocco delle migrazioni esterne ed incoraggiarono un’immigrazione qualificata che costituiva un ottimo vantaggio competitivo in un’economia sempre più globalizzata. Inoltre l’ingresso di alcuni Stati dell’Europa meridionale nell’Unione Europea (quali Spagna, Portogallo e Grecia) comportò il raggiungimento di condizioni di vita migliori, che ridussero di molto la necessità di emigrare, e quegli stessi Paesi iniziarono a fungere da poli attrattori per nuovi migranti. I Paesi del sud Europa, tra cui l’Italia, a partire dagli anni Ottanta entrarono dunque nel novero dei Paesi riceventi, arrivando però a riconoscere solo alla fine degli anni Novanta il loro nuovo status di Paesi di immigrazione nei confronti dell’immigrazione extra-UE, grazie alla revisione del proprio impianto normativo. La funzione stessa del fenomeno migratorio cambiò radicalmente: le migrazioni non miravano più ad un riequilibrio quantitativo nel mercato del lavoro, ma erano volte a colmare i vuoti di determinati comparti produttivi snobbati dalla popolazione locale (nel nostro Paese, in principio, il settore con maggiori richieste era quello domestico), a causa della crisi del modello industriale fordista (caratterizzato da grandi imprese e dalla produzione di massa). Gli Stati sudeuropei oggi hanno infatti un impianto economico fortemente post-fordista, caratterizzato dalla terziarizzazione e dalla flessibilità del mercato del lavoro. Tale mercato si articola nella dicotomia “negazione ufficiale di manodopera aggiuntiva e utilizzo di forza-lavoro immigrata” in numerose nicchie dell’economia informale, negli ambiti più sgraditi e precari dell’economia, che gli autoctoni spesso rifiutano nonostante la forte disoccupazione interna, sebbene i livelli di istruzione più alti di cui godono i migranti del nuovo millennio li abbia dotati di maggiori capacità e chance di trovare un lavoro adeguato alle proprie conoscenze e competenze, sfidando significativamente la struttura sociale ed economica dell’Europa2. 1 Per un approfondimento riguardo il trend delle migrazioni in Europa negli ultimi quarant’anni, si rinvia a AA. VV., 2004. 2 Per un breve quadro di riferimento sulle migrazioni in Europa e la loro evoluzione, in relazione al mercato del lavoro e al ruolo delle metropoli dal dopoguerra ad oggi, si rinvia a Abbatecola, Ambrosini, 2004. 76 Atlante della diaspora cinese Figura 4 Inserimento dei Paesi membri dell'Unione Europea Fonte: www.europa.eu In merito alle aree di provenienza, durante gli anni Novanta, si è assistito alla nascita di nuovi fenomeni migratori internazionali, caratterizzati dalle migrazioni provenienti dall’Est-Europa e dal Terzo Mondo, flussi che vanno inserendosi in interstizi metropolitani e periurbani indipendenti dalla funzione economica ricoperta dalla città ed organizzati su base etnica, caratterizzati da un crescente processo di “femminilizzazione delle migrazioni”. Più nello specifico, a livello di istituzioni comunitarie3, nella UE la preoccupazione principale per circa quindici anni è stata quella riguardante il controllo delle frontiere esterne come complemento alla libera circolazione dei cittadini dell’Unione. Tuttavia, a cavallo del ventunesimo secolo, la UE ha dimostrato volontà innovativa in materia di immigrazione, a partire dal Trattato di Amsterdam, superando la tradizionale concezione che la regolamentazione migratoria fosse prerogativa di ogni Stato-nazione: l’approccio delle nuove politiche migratorie comunitarie tende ad incoraggiare il parternariato con i Paesi di origine e a promuovere i rapporti con la madrepatria. Durante il Consiglio Europeo di Thessaloniki (2003), gli Stati membri hanno convenuto su una linea politica comune che riguardasse l’immigrazione irregolare, il controllo delle frontiere esterne e la cooperazione con i Paesi di origine (Abbatecola, Ambrosini, 2004, pp. 43-48). L’allargamento dell’Unione Europea da quindici a venticinque membri poi, avvenuta nel maggio del 2004, ha condotto all’integrazione di dieci nuovi Paesi4, incrementando le diversità economiche e socio-territoriali della UE. Ogni Paese europeo presenta infatti le proprie dinamiche territoriali ed insediative anche rispetto all’immigrazione: ad esempio, mentre le banlieu francesi tendono ad emarginare gli immigrati, costituendosi come una sorta di ghetti urbani periferici, nelle città dell’Europa Centrale e del Regno Unito essi tendono ad occupare i centri storici cittadini, abbandonati dai ceti medio-alti autoctoni, zone spazialmente centrali, ma socialmente marginali. Le capitali e le città come Parigi, Londra, Berlino, Amsterdam continuano ad esercitare il loro forte appeal a causa delle enormi possibilità abitative ed economiche capaci di attrarre molti migranti. I movimenti di popolazioPer un approfondimento riguardo la tutela degli aspetti giuridici dell’immigrazione a varie scalarità, cfr. Migliazza, Pocar, 2004. 4 Ricordiamo che tali paesi sono: Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Repubblica Ceca, Ungheria, Slovacchia, Slovenia, Cipro e Malta. 3 Cinesi d’Europa: territori in rete ne intra-UE, motivati essenzialmente da ragioni lavorative ed economiche, sono estremamente vivaci e rilevanti al fine di ridisegnare la geografia migratoria europea; in particolare è stato previsto che, per ragioni di prossimità geografica, migliori condizioni economiche e sociali e carenza di manodopera, inizialmente saranno soprattutto Germania, Austria ed Italia ad accogliere i flussi provenienti dai nuovi Stati membri, nonostante siano state previste numerose restrizioni alla libera circolazione dei lavoratori dipendenti per almeno due anni (European Foundation for the Improvement of Living and Working Conditions, 2004; Russo Krauss, 2005, pp. 50-53). I Venticinque sono destinati in futuro ad attrarre anche nuovi migranti extracomunitari provenienti specialmente dall’Asia centrale ed orientale, a causa delle nuove opportunità di miglioramento socio-economico che l’entrata e la permanenza nella UE offre loro, e la conseguente “appetibilità” che assumerano agli occhi dei migranti. Analizzando ora nello specifico il caso della diaspora cinese in Europa, con particolare attenzione verso i Paesi membri della UE, bisogna sottolineare che i Cinesi migranti provengono da zone diverse, con background sociali molto variegati, caratterizzati da percorsi migratori differenti, propensi ad una elevata mobilità sul territorio, sebbene, come già analizzato in precedenza, la supremazia come bacino di provenienza dei Cinesi in Europa appartenga allo Zhèjiāng. Negli anni successivi alla fondazione della RPC, la Cina divenne, a causa della politica migratoria maoista, un Paese virtualmente chiuso, in cui era difficile il contatto con i Cinesi emigrati; i flussi verso l’Europa furono alimentati da coloro che, dopo un breve ritorno nel Paese, furono costretti a riparare all’estero (Francia, Paesi Bassi…) per sfuggire alle persecuzioni del neonato regime comunista. Il passaggio dai Paesi del Nord Europa (Benelux, Paesi Scandinavi…) verso i Paesi dell’Europa mediterranea, attorno alla fine degli anni Settanta, fu motivato in gran parte dalla crisi della ristorazione etnica che spinse molti ristoratori dello Zhèjiāng a mettere in moto le proprie reti parentali per trasferirsi in Italia (dove la ristorazione etnica era praticamente inesistente). Inoltre negli anni Ottanta il cambiamento di asse delle migrazioni cinesi verso l’Europa comportò un ridisegno della geografia delle migrazioni internazionali: essa privilegiò i Paesi dell’Europa mediterranea (Italia e Spagna in particolare e in misura nettamente inferiore Portogallo e Grecia), a causa delle frequenti sanatorie, del consolidamento di un’economia di nicchia e della persistenza di un’ampia economia sommersa. Bisogna sottolineare altresì che i migranti cinesi percepiscono l’Europa come una singola entità, un unico territorio, senza considerarne la suddivisione in Stati nazionali, e ciò spiega l’elevata mobilità geografica fra Stati: tale mobilità è possibile grazie all’abbassamento delle barriere di ingresso, soprattutto tra i Paesi mebri della UE, e alle opportunità di ricongiungimento familiare. I cambiamenti più significativi relativi alla diaspora cinese in Europa si ebbero dunque a partire dagli anni Ottanta, quando le nuove correnti migratorie coinvolsero sia le aree di vecchia tradizione migratoria in Europa, come lo Zhèjiāng, sia aree senza alcuna tradizione migratoria, come ad esempio il Fújiàn. La migrazione cinese verso l’estero è spesso una conseguenza diretta dei movimenti migratori interni al Paese: infatti molti migranti, prima di muoversi verso l’Europa, emigrano spesso dalle aree più interne della RPC verso le ricche città costiere dello Zhèjiāng o verso Macao, Hong Kong o ancora verso Singapore. Considerando ora più nello specifico la situazione dei Paesi membri della UE al 31/12/2001, bisogna sottolineare che il caso del Regno Unito si discosta dalla tradizionale migrazione diretta dallo Zhèjiāng verso l’Europa: infatti la maggior parte dei migranti cinesi diretti in Gran Bretagna proviene dalla zona costiera meridionale del Fújiàn. È un’immigrazione quasi totalmente illegale, sebbene proveniente in gran parte dall’area di Fúzhōu, dove l’emigrazione interna è “professionale” e strettamente controllata. Sebbene i pioneri nel Paese, marinai e mozzi, divenuti lavoratori agricoli e poi ristoratori, fossero originari dell’ex- 77 78 Atlante della diaspora cinese Figura 5 Particolare della mappa di Londra con il quartiere cinese di Soho Fonte: immagine satellitare Google Earth 2007 colonia del Commonwealth Hong Kong e parlassero cantonese, tuttavia ora la loro supremazia si va affievolendo a causa delle ondate migratorie originarie del Fújiàn (March, Pieke, 2004). Oltre alla ristorazione e al commercio molti Cinesi, soprattutto coloro con bassi livelli di istruzione e scarso capitale migratorio, negli anni più recenti, hanno trovato impiego nel settore edile5. Il quartiere cinese londinese, il più grande d’Europa, sorge nel centro della City e si sviluppa attorno alla storica Gerrard Street, in quanto alla sua nascita, alla fine degli anni Cinquanta, i costi delle case nella zona compresa fra Shaftesbury Square e Leicester Square erano estremamente convenienti per gli immigrati6. In Irlanda ed in Irlanda del Nord, non esistono quartieri cinesi, ma la popolazione proveniente dalla RPC è numericamente e qualitativamente significativa: infatti, a Dublino si tiene l’annuale Chinatown Festival per festeggiare il Nuovo Anno cinese, mentre a Belfast l’area attorno a Donegall Pass e Dublin Road rispecchia le caratteristiche di molti quartieri etnicamente connotati. Si parla in tal caso di un nuovo capitale in mano all’immigrato, il cosiddetto “capitale migratorio”, ossia una particolare forma di capitale sociale costituita dalle reti relazionali delle famiglie che hanno parenti emigrati all’estero. Tali reti sono caratterizzate maggiormente da legami di natura parentale-amicale (basati sull’affinità geografica e su alcuni particolarismi) piuttosto che “etnica” in senso stretto. Cfr. Cologna, 2003, p. 51. 6 Altre importanti comunità cinesi nel Regno Unito sono insediate a Birmingham, Liverpool, Manchester e Newcastle. 5 Cinesi d’Europa: territori in rete In Germania, nonostante la consistente presenza cinese, si rileva un’immigrazione fortemente irregolare e controllata principalmente attraverso i ristoranti cinesi del Paese che reclutano manodopera connazionale a basso costo. In ogni caso la Germania è ancora oggi essenzialmente una zona di primo transito per gli immigrati cinesi, diretti poi verso altri Paesi europei o verso il Nord America. Amburgo possedeva una storica chinatown, nel quartiere a luci rosse di St. Pauli, tra gli anni Venti e Quaranta del Novecento, distrutta poi dai nazisti, cosicché i Cinesi rimasti decisero di emigrare verso il Regno Unito. Nella capitale, Berlino, non esiste un quartiere prettamente cinese (sebbene essi e gli immigrati in generale tendano ad insediarsi nelle aree centrali nella zona ovest della capitale), ma il comune sta pensando di favorire lo sviluppo di un quartiere specifico per il commercio e la cultura asiatica nella zona del vecchio mattatoio, al fine di togliere i commercianti asiatici (Cinesi e Vietnamiti in particolare) dal loro isolamento7. Uno spirito pan-asiatico, sebbene in misura nettamente inferiore rispetto alla Germania, si respira in Belgio, dove nel piccolo quartiere di Wallon, a Bruxelles, le diverse etnie asiatiche sono rappresentate dai numerosi commerci. Nonostante la Gran Bretagna e la Germania rappresentino numericamente con l’Italia8 i primi Paesi europei per residenti cinesi, la Francia si conferma ad oggi come quello maggiormente vivace e dinamico per lo sviluppo socioeconomico dell’immigrazione cinese. Diversamente dagli altri, la Francia si è sempre caratterizzata come un luogo di immigrazione, ed è l’unico in Europa che possa essere comparato a quelli transoceanici per l’importanza quantitativa dei flussi e soprattutto per l’impatto socioeconomico e culturale. Dal 1945 i modelli di reclutamento della forza-lavoro immigrata hanno visto un radicale spostamento da una migrazione di massa (fuori da ogni controllo) ad una selettiva nell’ambito di un mercato lavorativo segmentato: mentre le aree di ricezione degli immigrati sono rimaste le stesse (Parigi e le altre grandi città), i flussi si sono estremamente diversificati, per la varietà delle zone di provenienza, per la loro crescente femminilizzazione e per l’appartenenza dei migranti ai ceti medio-alti (Abbatecola, Ambrosini, 2004, p. 131). I Cinesi residenti in Francia erano originariamente commercianti provenienti dallo Zhèjiāng, dallo Jiāngsū e dalle province del Nord. La Prima Guerra Mondiale segnò un punto di svolta nella storia dell’immigrazione cinese in Francia, in quanto in tale periodo iniziarono a giungere Cinesi originari di Wēnzhōu e di Qīngtián, nello Zhèjiāng, impiegati come lavoratori nelle fabbriche. In Francia, Parigi conosce dagli anni Settanta lo sviluppo di quartieri etnici, a partire dal recupero di sobborghi poveri, in cui si vanno ad inserire le abitazioni e i luoghi del lavoro degli immigrati. Più nello specifico, gli immigrati asiatici sono radicati nel quartiere del Sentier (II arrondissement) in cui, grazie ad una rete di fornitori, sub-fornitori e lavoratori a domicilio, sono stati capaci di attivare attività altamente flessibili e a basso costo, oggi considerate modelli di nuova imprenditorialità (Abbiatecola, Ambrosini, 2004, p. 40). Tuttavia il quartiere cinese parigino per eccellenza è nel XIII arrondissement: tale area, denominata “Choisy”, è delimitata dalle due grandi Avenue d’Ivry e Avenue de Choisy, che convergono ad est della Rue de Tolbiac; lo sviluppo del quartiere iniziò attorno alla metà degli anni Settanta e si è poi evoluto arrivando a connotare fortemente tutta l’area. Altre zone della capitale a forte presenza cinese sono il quartiere di Belleville (XI arrondissement), nella zona nord-ovest di Parigi, territorio di lunga tradizione commerciale e per questo molto ambito dagli imprenditori cinesi9 provenienti sopratCfr. Taz, Die Tageszeitung in http://www.taz.de/pt/2002/02/01/a0193.1/text. In merito ai dati relativi ai cittadini di nazionalità cinese residenti in Italia, si veda l’analisi al paragrafo 2 di questo capitolo. 9 Per gli imprenditori cinesi in Francia oggi la gestione di servizi indirizzati esclusivamente alle comunità asiatiche sembra essere diventata, oltre che un’attività estremamente redditizia, una volontà manifesta e pressante. Ciò rappresenta un caso unico, dal momento che in Asia od in 7 8 79 80 Atlante della diaspora cinese Figura 6 Mappa di Parigi con le aree di concentrazione cinese tutto da Hong Kong10; la Rue du Temple (III arrondissement), che ospita uno dei più vecchi gruppi cinesi (quello di Wēnzhōu), mentre nel XVIII arrondissement si trovano i Cinesi di più recente immigrazione (Campani, Carchedi, Tassinari, 1994, pp. 154-159). Tra le categorie commerciali di spicco vi sono: gli importatori, che controllano soprattutto l’arrivo di prodotti alimentari e il rifornimento dei supermercati (si pensi al gruppo di supermercati cinesi Tang Frères in Francia); i gestori dei grandi ristoranti cinesi, la cui competitività si basa sulla varietà gastronomica, su un buon rapporto qualità-prezzo e sulla disponibilità al lavoro intenso di tutto il personale; gli addetti all’abbigliamento, anche per l’alta moda parigina. Nei Paesi Bassi la presenza cinese è cresciuta soprattutto a partire dagli inizi del Novecento, inglobando anche flussi provenienti dalle zone rurali di Hong Kong. In particolare, il quartiere cinese di Amsterdam, sviluppatosi negli anni più recenti, si situa in pieno centro storico, a ridosso del cosiddetto “quartiere a luci rosse” e va ora estendendosi verso la zona di Nieuwmarkt. Esso si è sviluppato soprattutto in seguito all’apertura di alcuni ristoranti, di imponenti supermarket orientali e di numerosissimi negozi di oggettistica e di servizi, “bonificando” così in parte il quartiere a luci rosse: fortemente connotato11, il processo di territorializzazione cinese si caratterizza per la compostezza, per la ricchezza e la varietà dei commerci e dei servizi offerti alla popolazione, per l’equilibrio tra stratificazione di processi territoriali e mantenimento della fisionomia del quartiere. Al suo interno sorge un imponente tempio buddista, il tempio Fo Kuang Shan che, oltre a simboleggiare la tolleranza religiosa dei Paesi Bassi, dal punto di vista materiale e strutturale, insieme al Sea Palace, l’enorme ristorante-pagoda del porto, connota fortemente il territorio urbano. America le comunità asiatiche hanno un proprio territorio autonomo. A Parigi, è prevedibile che il XIII arrondissement diventerà un luogo cruciale dell’immigrazione in relazione alle dinamiche solidaristiche e di mutua assistenza che le comunità asiatiche stanno sviluppando. Cfr. Campani, Carchedi, Tassinari, 1994, p. 177. 10 I gruppi di Hong Kong hanno un’enorme capacità finanziaria e di gestione economica e hanno acquisito un ruolo di primo piano nell’economia di mercato. 11 Oltre alle caratteristiche lanterne rosse, che simboleggiano il punto di ristorazione, un forte segno connotativo del ristorante cinese è la presenza di anatre appese nelle vetrine, simbolo che li distingue dai ristoranti indonesiani. Cinesi d’Europa: territori in rete Per quanto riguarda i Paesi dell’Europa meridionale, la situazione appare estremamente eterogenea. Mentre in Grecia la consistenza dei flussi migratori cinesi è poco significativa, nella penisola iberica ci troviamo in presenza di un panorama migratorio articolato e dinamico, soprattutto nel caso spagnolo. In Spagna, l’economia informale è uno dei primi canali d’ingresso al mercato del lavoro iberico, soprattutto in settori quali l’assistenza domestica, l’agricoltura e l’edilizia: in particolare, l’economia spagnola ha un bisogno strutturale di forzalavoro giovane e a basso costo per mantenere la propria crescita e quindi gli immigrati sono necessari. La composizione dei flussi per nazionalità è molto articolata. Negli anni più recenti vi è stato un incremento consistente di immigrati provenienti dal Maghreb e dal Sud America, in particolare dall’Ecuador; nel panorama dell’immigrazione asiatica, il gruppo cinese è quello più numeroso: i Cinesi giungono direttamente in Spagna dalla Cina oppure provengono da Francia e Paesi Bassi. Infatti, è nei due maggiori centri, Madrid (quartiere Lavapiés) e Barcellona (nel cosiddetto Barrio Chino, nella città vecchia, tra la Rambla e Parallelo), che si concentrano le attività economiche e i luoghi abitativi. I Cinesi sono generalmente impiegati nei tradizionali settori dei servizi alla persona (ristorazione, commercio al dettaglio e in parte nel settore delle confezioni per abbigliamento); in particolare i laboratori sono spesso situati nei ristoranti e l’immigrato si dedica talvolta al doppio lavoro (ristorante-sartoria) (Campani, Carchedi, Tassinari, 1994, pp. 154-159; Abbatecola, Ambrosini, 2004, pp. 155-159). In Portogallo, i Cinesi sono soprattutto commercianti e residenti a Lisbona: essi provengono soprattutto dal territorio di Macao e parlano una varietà di macaista, derivata da un creolo portoghese. Tra i Paesi dell’Europa orientale, nuovi membri UE dal 2004, molto significativo è il caso dell’Ungheria. La migrazione verso l’Ungheria è in gran parte legale, basata sugli affari, il lavoro e il ricongiungimento familiare. L’Ungheria è stato uno dei primi Paesi dell’Est Europa ad attrarre le migrazioni cinesi: le origini di queste migrazioni nascono alla fine degli anni Ottanta, con il crollo dell’URSS e la maggiore permeabilità delle frontiere. Diversamente da altri Paesi europei, forse a causa della mancanza di una tradizione migratoria e per il suo carattere recente, in Ungheria non c’è alcun gruppo cinese dominante. I Cinesi sono fortemente dispersi sul territorio, fatta eccezione per una certa concentrazione spaziale nel fatiscente quartiere Jozsefváros a Budapest. La maggior parte dei Cinesi ivi presenti commercia in attività di import-export, vendita all’ingrosso e al dettaglio di abbigliamento a basso costo12, settori molto popolari tra gli Ungheresi. Nei Paesi di più recente afferenza all’UE, in Bulgaria il gruppo cinese è uno tra i gruppi più numerosi ed omogenei, chiuso ed impermeabile all’esterno, ma con un forte spirito di adattamento e innovazione. Impiegati negli storici ambiti della ristorazione e nel commercio al dettaglio, sono concentrati spazialmente soprattutto a Sofia, nei quartieri popolari di Nadežda, Tolstoj e Svoboda. Al di fuori dell’Unione Europea, sono presenti altre importanti comunità cinesi in Serbia, a Belgrado, dove la comunità cinese è stanziata essenzialmente nella parte più nuova della città, nella zona commerciale del Blocco 70. Le più recenti migrazioni verso i Paesi dell’Est Europa, così come la crescita dell’impiego nel settore privato in Cina, sono espressione del nuovo “ceto medio” cinese, di estrazione urbana e di ottima istruzione, che si muove alla ricerca di percorsi di ascesa sociale (Mangalakova, 2004). 12 Per un ulteriore approfondimento sulla migrazione cinese in Europa, si rinvia a March, Pieke, 2004. 81 82 Atlante della diaspora cinese Grafico 1 Principali gruppi di residenti stranieri in Italia Dati: reali riferiti all’anno 2006 (ultimo aggiornamento: ottobre 2007) Fonte: ISTAT 2. Territorio ed identità: la diaspora cinese in Italia 2.1. Geografia dell’immigrazione in Italia. Lo scenario attuale13 L’Italia si conferma oggi come uno dei maggiori Paesi europei per numero di immigrati, trasformandosi da “storico“ bacino di manodopera per le Americhe e i Paesi del Nord Europa a ricettore di immigrati e ciò ha determinato profonde trasformazioni nella geografia e nella società italiane. Il territorio italiano si mostra come “fluttuante”, luogo in cui si verificano processi di appropriazione e di condivisione del territorio più o meno formalizzati in rapporto alla congiuntura internazionale, alle pressioni e alle aperture del mercato del lavoro, alle origini e alle tradizioni delle comunità che compongono i flussi, alle strutture economiche e sociali delle città e delle regioni di accoglienza (Coppola, 2003, p. 10). Fenomeno strutturale al funzionamento della società, l’immigrazione nel nostro Paese è di tipo policentrico, poiché non esiste un’etnia dominante da un punto di vista numerico e culturale, ma è venuto a costituirsi un mosaico attuale di circa centottanta etnie. Se consideriamo le nazionalità maggiormente presenti sul territorio alla fine del 2006 (Grafico 1) troviamo flussi di nuovo e di vecchio insediamento: il Paese maggiormente presente sul territorio italiano è l’Albania, seguita dal Marocco. Queste due comunità, incentivate anche dalla prossimità geografica, si sono progressivamente radicate sul territorio, diffondendosi in modo capillare e pervasivo, collocandosi rispettivamente nel campo dell’edilizia (come manovali) e del commercio (come ambulanti). Successivamente troviamo la Romania, che rappresenta una novità rispetto agli anni precedenti: infatti negli ultimi anni in Italia si è assistito ad una vera e propria ondata migratoria proveniente dai Paesi dell’Est europeo, in particolare dalla Romania e dalle Repubbliche ex-sovietiche, soprattutto donne, impiegate nel campo della collaborazione domestica e della cura degli anziani14. Il soggiorno di questi gruppi europei e nord-africani si caratterizza per essere di durata temporanea o addirittura stagionale. Oltre le 140.000 unità si colloca la maggiore collettività asiatica, la Cina, seguita dall’Ucraina che accresce ulteriormente il suo numero di presenze, superando la quota di 120.000 Per un quadro di riferimento aggiornato sulla situazione migratoria in Italia, si rinvia a Caritas Diocesana di Roma, 2007; Fondazione Ismu, 2007. 14 Per flussi di vecchio insediamento si intendono i gruppi “storici”, presenti quindi in Italia da parecchi anni come gli Africani (maghrebini, subsahariani, orientali), gli Asiatici (in testa Filippini, Cinesi ed Indiani), mentre negli ultimi anni si è verificata una crescita di immigrati provenienti dal Sud America (Peruviani, Brasiliani, Ecuadoriani) ed un boom di immigrati provenienti dai Paesi dell’Est Europa, in Caritas-Migrantes, 2004. 13 Cinesi d’Europa: territori in rete 83 Grafico 2 Residenti stranieri in Italia suddivisi per provenienza Dati: percentuali riferiti all’anno 2006 (ultimo aggiornamento: ottobre 2007) Fonte: ISTAT residenti sul territorio italiano. Successivamente troviamo le Filippine, seguite dalla Tunisia, presente soprattutto in Sicilia, dove, per le storiche relazioni e la vicinanza geografica, è molto forte la presenza ormai stabile di questo gruppo, specializzato nel settore della pesca. Negli ultimi anni Filippini e Tunisini sembrano aver attenuato le spinte migratorie, mentre la collettività cinese continua ad alimentare i propri arrivi a ritmi elevati. Alla luce di tali dati, si può affermare che la geografia degli arrivi in Italia nel nuovo millennio è profondamente mutata: rispetto al passato, infatti, a partire dagli anni Novanta, il gruppo continentale maggiormente presente è quello europeo, con quasi la metà delle presenze totali, mentre il gruppo africano è scalato al secondo posto. Per quanto riguarda la componente asiatica, in leggera flessione rispetto al 2005, essa si attesta attorno al 17% delle presenze, mentre gli Americani costituiscono una fetta consistente e in continua ascesa delle presenze, circa il 10% del totale (Grafico 2). 2.2. Dall’Asia all’Italia I fenomeni di mobilità della popolazione coinvolgono gran parte degli scenari geografici mondiali, attraversando differenti dimensioni scalari che vanno dal locale al globale, connettendo le realtà più disparate. Tali fenomeni devono essere letti in chiave interattiva, come incontro e reciproco richiamo tra la domanda e l’offerta in cui si dispiegano opportunità colte da coloro che sono disposti ad accettare condizioni lavorative precarie. I principali flussi migratori asiatici diretti verso l’Italia, realtà migratorie estremamente variegate tra loro, hanno ripreso la loro consistenza grazie anche alla funzione trainante della Cina soprattutto a partire dal nuovo millennio, con la ripresa economica dopo la crisi del ’97-’98, che ha colpito soprattutto l’Asia Orientale. La scelta dell’Italia come Paese d’approdo non è casuale e il fattore della distanza geografica diventa una variabile fondamentale del progetto migratorio: maggiore è la lontananza dal Paese d’origine, maggiore è la selezione alla partenza. Infatti, l’immigrato che viene scelto è colui che dispone di risorse considerevoli (umane, sociali e finanziarie), che sa di dover investire in un progetto migratorio a lungo termine, che acquista una grande consapevolezza dell’importanza della coesione di gruppo per trovare appoggio e reggere i costi materiali e psicologici della migrazione in un nuovo contesto sociale. Gli Asiatici appaiono capaci di attivare forme di solidarietà interna e di promuovere l’inserimento occupazionale dei connazionali rispetto a gruppi a noi più vicini dal punto di vista geografico (Maghrebini, Albanesi, ex-Yugoslavi) (Ambrosini, 2001, p. 108). Essi infatti possono contare sulla presenza di reti etniche15 molto forti, che 15 La rete di solidi legami sociali e simbolici, generalmente di tipo multistrato, viene oggi frequentemente definita come capitale sociale. TAVOLA 5 – L’immigrazione in Europa e la presenza cinese TAVOLA 6 – Principali Paesi di provenienza degli Asiatici in Italia 86 Atlante della diaspora cinese offrono loro gli strumenti necessari a raggiungere una certa integrazione sociale ed economica nel Paese d’approdo. In tale maniera, gli immigrati provenienti dal continente asiatico sviluppano un “transnazionalismo di base” che mantiene e ricostruisce legami con il territorio di origine, in maniera complementare al transnazionalismo delle città globali, basato su flussi di capitali, tecnologie ed informazioni (Abbatecola, Ambrosini, 2004, p. 49). La diaspora cinese si colloca nell’ambito dei flussi migratori provenienti dall’Asia, che rappresenta il terzo continente per numero di immigrati in Italia16, ma costituisce una realtà autonoma rispetto all’aggregato “Asiatici”, rappresentato da gruppi quali Filippini, Cingalesi e Pakistani. Il gruppo cinese agisce sullo spazio antropizzato italiano come nuova razionalità territorializzante, dando vita ad un processo di territorializzazione “forte”, che lascia sul territorio segni di sé visibili e duraturi, elaborando attivamente la propria identità. Fatta eccezione per i gruppi cinese e filippino, si tratta comunque di migrazioni di nuovo insediamento, il cui arrivo in Italia è iniziato solo a partire dagli anni Ottanta. Sono in generale flussi migratori portatori di istanze sociali e culturali profondamente diverse dalle nostre, fatta eccezione per il gruppo filippino, che trova un criterio di omogeneità con l’Italia grazie all’adesione pressoché unanime di questo popolo alla religione cattolica. Dal punto di vista lavorativo, il gruppo asiatico possiede una spiccata propensione per le attività del terziario, con una forte incidenza del lavoro dipendente nel settore del lavoro domestico17 e nell’attività autonoma, strettamente collegata al gruppo cinese, ma in crescita anche presso i Bengalesi, e, in misura minore, tra Indiani, Pakistani e Cingalesi18. L’attività imprenditoriale asiatica è legata essenzialmente all’offerta di servizi indirizzati sempre più verso una clientela multietnica: a partire dagli anni Ottanta, ristoranti e negozi di alimentari etnici, phone Secondo dati ISTAT riferiti al 2006, gli immigrati asiatici residenti in Italia sono 512.380. Secondo dati INPS, aggiornati all’anno 2004, l’Asia, pur avendo conosciuto un aumento più contenuto rispetto all’America, rimane al secondo posto per numero di addetti nel settore domestico: nel corso dell’anno 2004 sono stati registrati 81.214 lavoratori in questo settore, con un’incidenza del 16,4% sul totale. Alle persone già dichiarate nel 2002 (50.527) se ne sono quindi aggiunte altre 30.687 a seguito della regolarizzazione: Filippine con 10.709 domande, Sri Lanka (5.709), Cina (5.830), Bangladesh (3571), India (2.160), Pakistan (1.119), altri (1.589), tot. (29.098). Gli Asiatici, soprattutto il gruppo filippino, perdono il ruolo leader nel settore domestico: le domande presentate da Filippini sono nove volte di meno di quelle presentate da Ucraini e questo dà un’idea della portata dei cambiamenti avvenuti. Il quadro territoriale dei domestici assicurati all’INPS si discosta abbastanza da quello dei dipendenti dell’industria e vede il primato del Lazio e, in genere, una supremazia delle aree urbane. Per grandi aree territoriali si riscontra una diffusione differenziata rispetto a quella della generalità degli immigrati. Questi lavoratori si trovano per il 47% nel Nord (231.000), per il 34% nel Centro (169.000) e per il 19% nel Meridione (91.000); invece la generalità della popolazione straniera è così ripartita: Nord 59%, Centro 27% e Meridione 14%. Il Centro ed il Meridione presentano la capacità di assorbire una quota più elevata di addette straniere alla collaborazione familiare rispetto a quanto avviene per le altre categorie lavorative: ciò attesta che il bisogno (domanda) di collaborazione familiare è diffuso in maniera più equilibrata – rispetto alla generale domanda di manodopera – su tutto il territorio nazionale, incluse le regioni economicamente più povere. La minore concentrazione nel Nord desta, tuttavia, una certa sorpresa non solo perché in quell’area le donne italiane sono inserite nel mondo del lavoro in misura percentualmente più alta rispetto alla media della popolazione e quindi dovrebbero di per sé avere bisogno di maggiore sostegno, ma anche perché l’invecchiamento della popolazione fa sentire in termini più acuti i suoi effetti: del resto, prima della regolarizzazione, gli stranieri assicurati in questo settore sfioravano la metà del totale (49%). Nel Centro, invece, l’elevata concentrazione di colf è spiegabile non solo per motivi demografici e occupazionali ma anche perché è risaputo che una grande area urbana come quella romana attira in misura cospicua gli addetti alla collaborazione, in OASI, www.immigra.net/documenti/inps2004. 18 In particolare, i Bengalesi vanno specializzandosi nel commercio di bigiotteria, oggettistica ed abbigliamento, mentre Indiani, Pakistani e Cingalesi sono impiegati principalmente in attività di ristorazione, nelle imprese di pulizie e nei phone center. Tuttavia solo i Bengalesi vanno costituendo realmente un’economia d’enclave, sebbene ancora in una fase “embrionale”. Per un approfondimento riguardo ai percorsi migratori di alcune popolazioni asiatiche, si rinvia a Cologna, 2003. 16 17 Cinesi d’Europa: territori in rete center e centri per l’invio di denaro in patria, negozi di import-export, di abbigliamento ed oggettistica di vario tipo si sono moltiplicati sul nostro territorio e la loro espansione ha determinato un cambiamento nella geografia delle nostre città da un punto di vista pratico, simbolico e strutturale. In particolare, la propensione del migrante asiatico per il lavoro autonomo rappresenta la possibilità di “sfuggire” alla collocazione nel mercato “secondario” del lavoro (lavoro sommerso, irregolare) ed egli stesso può rendersi protagonista di processi di costruzione socio-territoriale del mercato del lavoro. Dal punto di vista delle aree di provenienza, l’immigrazione asiatica verso l’Italia coinvolge in particolar modo l’Asia sud-orientale e il cosiddetto Estremo Oriente; l’unico Paese del Medio Oriente che rappresenti, da un punto di vista quantitativo, un flusso significativo, è l’Iran, con più di 6.500 presenze sul nostro territorio. Col passare degli anni, questo gruppo, prima rappresentato massicciamente, si è ridotto a quote modeste, costituite prevalentemente dalla borghesia commerciale19, con l’eccezione di pochi esuli politici. Il gruppo cinese si conferma come il gruppo asiatico più numeroso residente nel nostro Paese. Più nello specifico, in Italia l’inserimento economico dei Cinesi si è sviluppato in principio lungo due direttrici fondamentali: la progressiva espansione della ristorazione etnica nei maggiori centri urbani del Centro-Nord ed il radicamento delle imprese contoterziste nelle aree dell’economia diffusa. La collettività cinese, infatti, si concentra principalmente al Centro-Nord come presenza ormai radicata e stabile sul nostro territorio, grazie al crescente numero di ricongiungimenti familiari e ad un inserimento di successo in svariate attività economiche (soprattutto nel terziario, grazie a spiccate capacità imprenditoriali), sebbene la mobilità geografica alla ricerca di migliori opportunità lavorative sia per essi una pratica comune. Troviamo poi il gruppo filippino, a migrazione prevalentemente femminile, collocato perlopiù nelle grandi città e che trova una propria specializzazione lavorativa nel settore terziario a bassa qualificazione (nell’ambito della collaborazione domestica e della cura agli anziani). Segue il gruppo indiano, presente soprattutto al Nord, nelle zone della Bassa Pianura Padana e nelle zone prealpine di Bergamo e Brescia, e di recente in alcune aree del Sud, dove ha trovato una stabile collocazione nel settore zootecnico. A poca distanza, quantitativamente, troviamo il gruppo cingalese (o srilankino)20, la cui presenza è molto forte in Campania e soprattutto in Sicilia: in particolare, nella città di Catania essi hanno saputo inserirsi con successo nel campo delle collaborazioni domestiche e dell’assistenza agli anziani e il fatto singolare, rispetto ad altri gruppi, è che si tratta di immigrati maschi (Avola, Cortese, Palidda, 2003). Nelle grandi città italiane inoltre nascono sempre più numerose piccole imprese familiari di servizi, diretti ad una clientela di connazionali, che denotano una crescente vocazione al commercio del gruppo cingalese. Due collettività asiatiche, piuttosto simili fra loro nel tipo di percorso migratorio, per contesti economici e sociali e vicinanza geografica, sono quella pakistana e bengalese: esse hanno saputo ritagliarsi un proprio spazio in settori lavorativi specifici, come quello zootecnico per gli immigrati pakistani e di imprenditoria etnica per la collettività bengalese. Di ridotta ma significativa consistenza, vi è pure il gruppo giapponese, presente nel nostro Paese soprattutto per ragioni di studio (nel campo della moda, del design, della musica), di affari (in attività legate al mondo della tecnologia e dell’econo- 19 Pur costituendo una componente minoritaria dal punto di vista quantitativo, il gruppo iraniano è molto intraprendente nel campo del lavoro autonomo e si concentra per lo più nel commercio dei tessuti, nell’import-export di tappeti e di oggettistica etnica. Cfr. Ambrosini, 2001, p. 157; Macioti, Pugliese, 2003, p. 31. 20 Il gruppo srilankino ha dato il via alle migrazioni innanzitutto per sfuggire alla guerra civile che imperversava durante gli anni Settanta-Ottanta. Gli immigrati giunti per primi nel nostro Paese provenivano generalmente dalle zone del nord-est ed erano di etnia Tamil. I “pionieri” furono proprio gli immigrati che giunsero nel 1983 a Catania. 87 88 Atlante della diaspora cinese mia in particolare), e per il boom legato al settore della ristorazione, dovuto alla diffusione di nuove pietanze esotiche, ma molto apprezzate dagli occidentali, come il sushi e il sashimi. 2.3. L’immigrazione asiatica in Italia La disomogeneità nella distribuzione del gruppo asiatico in Italia, più numeroso al Centro-Nord, con l’eccezione di Campania e Sicilia, sia a livello di macroaree che di singole regioni, è legata alle caratteristiche socio-territoriali ed economiche di ciascuna zona, che deve rispondere in maniera adeguata alle istanze culturali proprie del migrante o del gruppo etnico; la scelta del luogo dipende spesso dalla presenza o meno di reti amicali o parentali nelle diverse realtà regionali. Gli agglomerati urbani (Milano e Roma in testa, seguite poi dalle altre città capoluogo) rappresentano ancora i poli principali verso cui convergono i flussi migratori sia per la presenza di connazionali che offrono forme di reciproco aiuto e scambio con i nuovi arrivati, sia perché l’offerta lavorativa è più ampia e diversificata, soprattutto nell’economia informale. Tuttavia le tendenze più recenti del fenomeno migratorio nel nostro Paese vedono lo spostamento dell’asse di preferenza verso centri medio-piccoli, poiché esistono interstizi inesplorati in cui potersi inserire dal punto di vista economico ed è meno gravoso trovare un’abitazione a prezzi contenuti. I flussi migratori provenienti dall’Asia interessano in maniera consistente tutte le regioni, fatta eccezione per la Valle d’Aosta, il Molise e la Basilicata. Nel panorama nazionale, la Lombardia mantiene la sua leadership, grazie alla presenza di oltre 160.000 immigrati asiatici, tra i quali spicca la collettività filippina. La supremazia lombarda, la cui analisi verrà trattata in modo approfondito nel paragrafo 2.4., è legittimata dal fatto che ogni sua provincia rappresenta una realtà socio-territoriale ed economica tanto diversificata e specifica da poter attrarre i più disparati gruppi etnici in base alle loro caratteristiche socio-culturali21 e alle dinamiche di domanda-offerta del mercato lavorativo lombardo. Successivamente si collocano le regioni di Lazio, Emilia Romagna,Veneto e Toscana. Il Lazio (dove prevalgono le comunità provenienti da Filippine e Bangladesh) presenta una peculiarità: infatti, nel comune di Roma risiede più dell’80% degli immigrati asiatici presenti in questa regione22. La città di Roma da sola costituisce il polo catalizzatore degli immigrati in virtù del suo ruolo di capitale, per la presenza dello Stato del Vaticano, di numerose ambasciate e di istituzioni internazionali, sebbene rappresenti talvolta solo un punto d’appoggio iniziale per molti immigrati che intendono trasferirsi piuttosto in altre zone d’Italia. Essa tuttavia, con la sua funzione internazionale, offre opportunità lavorative estremamente diversificate, soprattutto nel campo del terziario (Ghisalberti, 2004, pp. 50-51); in particolare, nel quartiere multietnico dell’Esquilino23 vive la maggior parte dei Cinesi della capitale e tale comunità è ormai talmente radicata in quel territorio che, nel novembre 2005, vi è stato inaugurato il primo tempio buddista cinese d’Italia. In Emilia-Romagna, in particolare nella provincia di Bologna, il gruppo pakistano e quello bengalese hanno guadagnato un proprio spazio all’interno del mercato del lavoro provinciale e hanno contribuito al Si pensi alla forte presenza indiana specializzata nell’allevamento dei bovini nelle province meridionali della regione; al numeroso gruppo di Pakistani che risiedono nella provincia di Brescia come addetti nel settore zootecnico e nell’industria siderurgica; e ancora al collettivo cinese, che si è insediato stabilmente nelle province di Lecco e Varese, soppiantando le ditte italiane di abbigliamento e confezioni. 22 Dei 68.581 immigrati asiatici residenti nella regione Lazio, 63.347 risiedono nella Provincia di Roma e di questi ben 57.123 nel solo comune della Capitale. 23 L’Esquilino è il rione romano che comprende la stazione Termini, piazza Vittorio Emanuele, via Merulana fino a piazza San Giovanni, Santa Maria Maggiore, arrivando a confinare con il rione Monti; a tale quartiere fanno riferimento soprattutto gli imprenditori che gestiscono negozi con i quali riforniscono gli ambulanti cinesi. 21 Cinesi d’Europa: territori in rete forte sviluppo dell’imprenditoria etnica24, insieme al gruppo cinese. La situazione veneta appare estremamente diversificata dal punto di vista migratorio: infatti, a partire dal 2003, si è assistito ad un boom di arrivi provenienti dall’Est Europa, in particolare da Romania, Moldavia e Ucraina25; per quanto riguarda l’Asia, si afferma sopra tutti la Cina (presente in particolar modo nella provincia di Treviso), una delle nazionalità che ha maggiormente usufruito dell’ultima sanatoria26. Per quanto riguarda la Toscana, è ormai noto che in questa regione è stanziata la comunità di Cinesi più numerosa dopo quella lombarda: essi risiedono soprattutto nella provincia di Prato, un distretto industriale di lunga tradizione tessile, dove ormai sono entrati in aperta concorrenza con le ditte italiane di produzione e confezione di capi di abbigliamento27. I Cinesi sono infatti subentrati agli Italiani nel sistema economico già esistente, in cui vi sono nicchie di mercato vacanti caratterizzate da prodotti economici di bassa qualità, a basso livello tecnologico e con cicli di lavoro molto intensi. Il panorama migratorio appare assai articolato e complesso anche per quanto riguarda la situazione migratoria delle regioni Sicilia, Piemonte, Campania e Marche. Il Piemonte28 ha una realtà migratoria variegata, anche se dominano due gruppi asiatici: i Cinesi hanno sul territorio piemontese una distribuzione peculiare, vale a dire che, del tutto assenti in molte aree, si concentrano nelle città (ad esempio, nella zona di Cuneo29 si sono specializzati come scalpellini) e in alcuni comuni minori, con un effetto a pelle di leopardo; i Filippini sono poco presenti in provincia, ma in maniera rilevante a Torino, dove rappresentano la fascia più professionale e costosa del mercato dell’assistenza domestica. Nelle Marche la presenza asiatica è rappresentata da Cinesi e da immigrati impiegati prevalentemente nel settore della collaborazione domestica (filippini e cingalesi). La Campania30 e la Sicilia rappresentano le regioni del Sud maggiormente dinamiche dal punto di vista migratorio. In Sicilia è presente un consistente numero di immigrati cingalesi che insieme ai Tunisini, costituiscono il nucleo centrale di immigrazione nella regione; in Campania, soprattutto nel napoletano, si va affer24 Per un approfondimento sulla presenza di immigrati pakistani e bengalesi in provincia di Bologna, è interessante la ricerca effettuata a tal proposito in La Rosa, Zanfrini, 2003, pp. 120-140. 25 I Rumeni, in particolare uomini, vengono impiegati soprattutto del settore dell’edilizia come muratori o come operai generici nelle piccole e medie industrie, mentre Moldave ed Ucraine si collocano nel mercato dell’assistenza domestica. 26 Una ricerca compiuta sul Veneto ha sottolineato come su tutto il territorio regionale si stia assistendo ad un processo di “deislamizzazione”, nel senso che le componenti migratorie maggioritarie sono quelle che provengono da aree socio-territoriali a tradizione cristiana, come l’Europa dell’Est, e non musulmana, in Regione del Veneto http://www.venetoimmigrazione.it/Portals/0/pdf/pubblicazioni/SINTESI_RA2005.pdf. 27 Per un approfondimento sulla presenza cinese a Prato, si rinvia a Ceccagno, 2003. 28 La struttura industriale del Piemonte, a differenza di quella del Nord-est, ha una maggiore produttività ed una minore intensità di lavoro. La relativamente scarsa capacità di attirare immigrati e la maggiore difficoltà nell’inserirli nel mercato del lavoro non sono sintomi di crisi economica o di xenofobia, ma rimandano alla specificità del modello di sviluppo regionale piemontese. Le caratteristiche e la distribuzione spaziale dell’immigrazione (forte concentrazione a Torino, buona presenza in alcune aree subregionali, scarsa presenza relativa nella cintura metropolitana, diversi modelli di diffusione a seconda della nazionalità) sembrano largamente, seppur non esclusivamente, determinate dalla domanda di lavoro e dalle peculiarità dei sistemi produttivi locali, in OASI www.immigra.net/documenti/immigrati_ires2000. 29 In una di queste aree di concentrazione, la zona nord-occidentale della provincia di Cuneo, e più in particolare sui monti tra la Val Pellice e la Val Po, si trovano pietre utilizzate in edilizia per rivestimenti, note come pietre di Lucerna (gneiss) e bargioline (quarzite). Le cave a cielo aperto si trovano in quota sulle montagne: il materiale viene estratto in grossi blocchi, trasportato a valle in appositi laboratori, immagazzinato e tagliato in lastre a seconda delle esigenze. Si tratta di un’attività antica, tipica della zona, che fornisce materiale di qualità. Oggi nei due comuni di Barge e Bagnolo Piemonte è presente una piccola comunità di Cinesi, tutti provenienti dallo Zhèjiāng, molti dei quali si sono specializzati come scalpellini. 30 Per un maggior approfondimento riguardo la geografia dell’immigrazione in tale regione, si rinvia a Russo Krauss, 2005. 89 90 Atlante della diaspora cinese mando con forza il gruppo cinese che nel processo di costruzione territoriale ha dato vita ad un dispositivo economico che gravita attorno alla stazione centrale. La presenza cinese nell’area napoletana risale ai primi anni Ottanta, con l’apertura nel capoluogo di una rete di ristoranti cinesi e con la presenza di sparuti banchetti di ambulanti nel popolare mercato della Duchesca; negli anni Novanta si verificò una seconda ondata migratoria per cui si ebbe una forte concentrazione di Cinesi nella zona cittadina del Vasto e nei comuni di San Giuseppe Vesuviano, Terzino e Ottaviano, comuni di un distretto industriale del tessile di bassa fascia, ove la presenza cinese sembra radicarsi ulteriormente. In particolare, è San Giuseppe Vesuviano il principale centro commerciale dove è stato compiuto l’“outsourcing locale”, ossia il salto di qualità verso un pronto moda con manodopera a basso costo, materia prima importata e prodotto finale formalmente made in Italy31. Nella zona del Casertano invece, nella piana più prossima al mare, si segnala la presenza dell’attività zootecnica bufalina, per la quale circa un terzo degli addetti sono stranieri (molti i Pakistani e gli Indiani). Mentre in Abruzzo e Umbria la presenza asiatica è molto contenuta e discreta, grande importanza assumono invece le cosiddette “regioni di frontiera” come la Liguria, il Trentino, il Friuli e la Puglia, in quanto è da queste regioni che gli immigrati entrano in Italia e si dirigono poi verso altre destinazioni32. In Sardegna è presente un gruppo cinese storico a Cagliari, insediatosi nella zona dell’angiporto: i Cinesi si sono inseriti nelle reti del commercio urbano, ambulante e stabile, i Filippini nel lavoro domestico e i Pakistani nella vendita di bigiotteria (Coppola, 2003, p. 58). Considerando ora la distribuzione sul territorio delle tre principali nazionalità asiatiche in Italia (filippina, cinese ed indiana), si mostrerà chiaramente come il legame tra territorio e caratteristiche di tali gruppi etnici sia forte. Infatti, la collettività filippina, gruppo di vecchio insediamento, è maggiormente presente laddove è più forte la domanda di personale qualificato nel campo della collaborazione domestica e dell’assistenza agli anziani, ossia in presenza di grandi centri urbani, quali Milano, Roma, Torino, Firenze, Bologna, Napoli33. Si tratta per la maggior parte di donne, giunte in Italia grazie all’appoggio di associazioni di religione cattolica (molto diffuse nelle grandi città), per cui il progetto migratorio si presenta meno problematico di quello, ad esempio, delle donne appartenenti a società musulmane. Il gruppo indiano si caratterizza per una migrazione “maschile”, in cui le donne giocano un ruolo secondario, a causa della scarsa autonomia di cui godono all’interno del gruppo familiare. Gli Indiani, come altri gruppi stranieri34, sono subentrati agli italiani in mestieri di nicchia del primario, come ad esempio l’allevamento di bovini per ragioni religiose35, e sono considerati ormai specialisti in questo settore. Essi si sono stabiliti nelle malghe del Trentino, in Friuli (nel settore agricolo della raccolta stagionale) e nel Veneto, ma soprattutto nella Bassa Padana: essi appartengono nella quasi totalità all’etnia Cfr. Regione Campania, www.osservatorioimmigrazionesud.it. Nel corso degli anni Ottanta e Novanta, le zone di transito dei Cinesi, soprattutto clandestini, erano poste principalmente in Unione Sovietica, Romania e Ungheria; nel nuovo millennio, Cinesi, Filippini, Pakistani e Cingalesi entrano in Italia soprattutto attraversando, non sempre legalmente, i confini tra Slovenia e Friuli o utilizzando la frontiera adriatica pugliese, in Coppola, 2003, p. 28. 33 Nelle grandi città italiane esistono ormai da tempo alcune zone storiche della presenza immigrata. Ad esempio a Milano le aree centrali e la zona orientale della città; a Torino, le zone di primo insediamento quali i quartieri di San Salvario e Porta Palazzo; a Roma, la Prima Circoscrizione (tutto il centro storico) e la Ventesima Circoscrizione (quartieri della Vittoria e Tor di Quinto); a Napoli alcune aree degradate del centro storico, l’ex zona industriale ad est della città, e la costa flegrea. Per un approfondimento riguardo i modi di vivere la città da parte degli immigrati, si rinvia alla rivista Urbanistica, n. 111, 1998. 34 I Macedoni sono specializzati in particolar modo come pastori di ovini o come boscaioli. 35 Gli Indiani, prevalentemente di religione induista, considerano i bovini animali sacri. 31 32 Cinesi d’Europa: territori in rete 91 Grafico 3 Residenti cinesi nelle principali città italiane Dati: reali riferiti all’anno 2006 (ultimo aggiornamento: ottobre 2007) Fonte: ISTAT Sikh, e nelle province di Brescia, Mantova, Cremona (il triangolo d’oro del latte) si sono stabilmente insediati con le loro famiglie, assunti con regolare contratto. Gli Indiani recentemente hanno iniziato a stabilirsi anche a Sud, nelle aree del Casertano, in Molise e Calabria, dove vanno specializzandosi nell’allevamento bufalino. Considerando ora nel dettaglio la presenza cinese, bisogna anzitutto ricordare che l’Italia fu il primo Paese dell’Europa meridionale ad accogliere immigrati cinesi e ancora oggi mantiene il primato numerico. I Cinesi provenienti dalla Repubblica Popolare Cinese regolarmente residenti in Italia al 31 dicembre 2006, sono 144.885, circa il 4%, sul totale degli stranieri residenti nel nostro Paese; la distribuzione per sesso è abbastanza equilibrata, gli uomini costituiscono il 53% e le donne il 47% del totale. La loro distribuzione sul territorio è direttamente collegata alla famiglia, alla catena migratoria, ma anche alle possibilità di essere accolti nei contesti di insediamento (opportunità lavorative, presenza di strutture, ecc…). Le aree di insediamento maggiormente interessate sono i grandi centri urbani (Grafico 3), crocevia di popolazioni in transito, e le zone immediatamente limitrofe, in relazione alle attività occupazionali un tempo tradizionalmente legate alla ristorazione. La nascita di queste attività economiche di stampo “etnico” ha condotto ad una profonda modificazione della struttura urbana, grazie a segni chiaramente leggibili36 sul territorio, come gli esercizi commerciali, segni “esogeni”37, espliciti dell’imprenditorialità etnica. Tuttavia le comunità cinesi oggi tendono sempre più a diffondersi nei medi e piccoli centri urbani, dove sono più numerose le possibilità di avviare attività artigianali, commerciali e tessili. In questo panorama emerge la netta preponderanza della presenza cinese nelle regioni del Nord (più della metà del totale), mentre il Sud e le Isole insieme ospitano solo il 14% di questa collettività (Grafico 4). Anche il Centro ospita una fetta consistente di immigrati cinesi, che, come detto precedentemente, si concentrano in prevalenza nella regione Toscana, 36 Si intende per leggibilità la presenza di segni e di simboli che forniscono informazioni su chi abita un certo luogo. Tali simboli, che sono sempre un prodotto sociale, possono essere espliciti od impliciti, risultando più facilmente comprensibili ai soggetti estranei a quel paesaggio e territorio, cfr. Lowenthal, 1962. 37 Segni esogeni, che fanno riferimento ai segni dell’etnicità sul territorio, sono quelli legati all’immaginario collettivo, per cui pochi segni di alta riconoscibilità (come nel caso cinese le lanterne rosse all’esterno dei ristoranti, l’utilizzo di ideogrammi, l’arredamento e gli oggetti standard presenti in qualunque ristorante cinese) bastano per ricomporre l’immagine di un’identità etnica (Papotti, 2002, pp. 156-157). 92 Atlante della diaspora cinese Grafico 4 Distribuzione dei residenti cinesi in Italia Dati: percentuali riferiti all’anno 2006 (ultimo aggiornamento: ottobre 2007) Fonte: ISTAT soprattutto nel distretto industriale di Prato38, dove i Cinesi hanno saputo sfruttare la crisi del settore italiano delle confezioni d’abbigliamento, ponendo le basi di un’industria in crescita grazie a costi di produzione e manodopera bassissimi e mettendo a frutto con successo le proprie conoscenze e competenze manageriali39. Lo scarto Nord-Sud è quindi evidente, ma anche alcune regioni settentrionali (le regioni montane, come Val d’Aosta e Trentino Alto Adige) sono zone scarsamente interessate dalla presenza di immigrati cinesi, in quanto non rappresentano poli d’attrazione lavorativa. Le zone del Sud che registrano sul territorio la presenza di cinque o più Cinesi ogni cento abitanti sono numericamente ridotte e localizzate presso i grandi centri urbani, come Roma e Napoli. Questo divario è senza dubbio dovuto al fatto che al Nord (e soprattutto nel Nord Est) si gioca gran parte della partita politico-economica dell’Italia: qui si concentrano le aziende artigianali e tessili del nostro Paese, settori del terziario in costante crescita per le comunità cinesi, capaci di attirare capitali, provenienti soprattutto dalla madre patria, e tutti quei nuovi servizi propriamente etnici (negozi di abbigliamento al dettaglio e all’ingrosso, confezione di articoli di abbigliamento, lavorazione delle pelli, banche, agenzie di viaggi, negozi di alimentari ed oggettistica importati direttamente dalla Cina, phone center riservati alla clientela cinese)40. Il tradizionale settore della ristorazione41, ampiamente presente e radi- 38 Bisogna sottolineare che tra gli anni Ottanta e Novanta si è assistito ad una crescente diversificazione nelle attività produttive dei Cinesi a Prato e non solo. Infatti all’inizio si trattava principalmente di ristorazione etnica, in seguito furono avviate attività di servizio prima rivolte alla comunità etnica, poi anche ad una clientela mista. In anni recenti i Cinesi si sono specializzati nel campo dell’abbigliamento, aprendo negozi di vendita all’ingrosso e al dettaglio che commercializzano prodotti fatti nei “pronto moda cinesi” o importati dalla Cina. Non risulta invece che i Cinesi abbiano avuto accesso al settore del tessile. È facile fare confusione, per la poca padronanza della lingua, al momento della registrazione delle licenze, tra ditte tessili e ditte che confezionano articoli d’abbigliamento. Si veda: Ceccagno, 2003. 39 Tra le attività produttive “innovative” per il gruppo cinese, di fronte alla crescente concorrenza, molti si stanno specializzando nel campo delle lavanderie industriali o nelle imprese di pulizie; inoltre nella zona tra Prato e Firenze sono state segnalate le prime imprese edili gestite da Cinesi. 40 Nell’ambito dei servizi etnici indirizzati alla comunità cinese bisogna sottolineare la singolare iniziativa delle pagine gialle cinesi, edite e distribuite dalla comunità orientale d’Italia ai Cinesi che possiedono un’attività commerciale nell’area romana. Nate cinque anni fa, esse sono scritte in ideogrammi e raccolgono dati su circa diecimila esercizi commerciali sparsi per l’Italia, suddivisi inoltre per provincia e per settori merceologici. 41 In tale settore è abbastanza improbabile che un immigrato trapianti delle abilità o consuetudini acquisite nella società d’origine attraverso il processo di socializzazione, ma piuttosto avviene una rielaborazione di usi alimentari e pratiche gastronomiche che si possono adattare ai gusti Cinesi d’Europa: territori in rete cato anche nei centri minori, è ormai saturo da tempo, ma ha saputo rinnovarsi grazie alla formula “take-away” (vivande da asporto), o specializzandosi in altri tipi di cucina (quella italiana o giapponese, ad esempio), che ha portato alla costituzione di imprese “mimetiche”, in quanto prive di specifiche connotazioni identitarie cinesi. A fronte della crisi del settore ristorazione e dei laboratori, negli ultimi anni si è assistito al ritorno dell’ambulantato – grazie al quale molti Cinesi, con permessi e licenze, sono entrati nel giro dei mercati rionali e delle maggiori fiere –, alla nascita di numerose società di importazione e commercio all’ingrosso e al boom dei servizi etnici. Il Lombardo-Veneto resta l’area con la maggiore densità di immigrati cinesi: la Lombardia conferma il proprio primato di presenze grazie all’attrazione esercitata soprattutto da Milano e dal suo hinterland, ma anche Veneto ed EmiliaRomagna42 giocano un ruolo centrale. Infatti, le realtà regionali del Nord-Est e del Centro hanno costituito la cosiddetta “Terza Italia”43, denominata in tal modo perché scardina la tradizionale dicotomia Nord-Sud ed offre molte possibilità lavorative, soprattutto nell’industria e nei servizi, ambiti privilegiati per le attività cinesi. Il principale e tradizionale bacino migratorio della diaspora cinese in Italia è costituito dalla provincia costiera sud-orientale dello Zhèjiāng44 (in particolare i primi Cinesi migranti, arrivati tra il 1920 e il 1930, erano cittadini di Wēnzhōu e, in un primo momento, di Qīngtián, quindi provenienti non dalle zone montagnose della regione, ma dall’altipiano e dalla pianura; successivamente vi fu un’emigrazione di massa dai distretti di Wénchéng e Rùi’ān) che rimase per lungo tempo il bacino centrale delle migrazioni, fino agli anni Settanta, quando iniziarono ad arrivare gruppi di Cinesi da Hong Kong e da Taiwan. A questi flussi poi, intorno agli anni Ottanta, si sommarono nuove ondate migratorie, dirette verso le maggiori città italiane, come Bologna, Firenze e Roma, oltre che a Milano, provenienti dal Fújiàn e dal Guăngdōng45. Queste due zone, insieme allo Zhèjiāng, rappresentano le tre province cinesi maggiormente dinamiche, da un punto di vista economico ed umano: infatti, si tratta di regioni costiere strategiche, dotate di amministrazioni a speciale autonomia, finalizzata a favorire le operazioni commerciali con l’estero46. Recentemente sono emersi della clientela autoctona, per cui il reale apprendimento culinario avviene in loco, cfr. Abbatecola, Ambrosini, 2004. 42 Nelle aree delle province di Modena e Reggio Emilia e soprattutto nel distretto industriale di Carpi, negli ultimi anni si sono andati diffondendo laboratori di subfornitura gestiti da Cinesi che si sono inseriti nel distretto produttivo locale ed hanno suscitato, per la concorrenza esercitata, numerose proteste da parte di imprese terziste italiane. 43 La cosiddetta “Terza Italia” è l’area esterna al contesto di industria pesante del Nord-Ovest. Tale zona, che dal Nord-Est si estende alle regioni centrali, è caratterizzata dallo sviluppo del modello della piccola impresa di industrializzazione leggera, a forte impiego di manodopera e a basso impiego di capitali, che produce principalmente beni di consumo. Tali aree e le imprese in esse poste hanno una forte vitalità imprenditoriale, stanno al di fuori delle agglomerazioni metropolitane e sono diffuse presso i centri medio-piccoli. Questa nuova configurazione territoriale è strettamente connessa ai cambiamenti avvenuti nell’economia italiana negli anni Settanta. Cfr. Coppola, 1997. 44 Spesso la provincia di appartenenza è l’unico dato indicato nei passaporti cinesi relativamente al luogo di nascita e quindi l’unico dato registrato dalle anagrafi dei comuni. Tuttavia tale dato è limitante e fuorviante, in quanto lo Zhèjiāng, pur essendo una provincia tra le più piccole del Paese, presenta un altissimo grado di differenziazione interna, da un punto di vista etnico-culturale e socioeconomico. 45 Nonostante abbiano fatto propri i modelli di insediamento produttivo dei connazionali dello Zhèjiāng, i gruppi provenienti da queste due regioni hanno un’ascesa economica meno rapida e vistosa, a causa della crescente concorrenza interna all’economia etnica; inoltre questi migranti mancano di reti di contatti e di legami familiari e amicali che possano costituire dei punti di riferimento in terra di emigrazione. 46 L’estrema concentrazione territoriale dei bacini migratori è una caratteristica intrinseca anche di altre migrazioni asiatiche. In India, il principale bacino migratorio è rappresentato dallo stato del Keral, a sud del Paese; nel Pakistan è il distretto del Kirpur, nel Kashmir; nel Bangladesh il 95% dei migranti proviene dal nord-est del Paese. 93 94 Atlante della diaspora cinese nuovi bacini migratori, quelli costituiti dalle province del Nord-Est del Paese, ossia Hēilóngjiāng, Jílín e Liáoníng, conosciuti nel loro insieme con il nome di Manciuria. Essi hanno un background piuttosto diverso dagli altri Cinesi e sono più propensi all’impiego in attività al di fuori dell’economia etnica47. A riprova della supremazia dello Zhèjiāng come bacino migratorio privilegiato dell’immigrazione cinese in Italia e del ruolo fondamentale che giocano le reti etniche nell’indirizzare i flussi migratori in determinati luoghi, vi è il fatto che nel nostro Paese la famiglia cinese più numerosa sono gli Hū (cognome tipico dello Zhèjiāng); anche il cognome Xū è piuttosto diffuso, pure in altri Paesi europei come ad esempio nei Paesi Bassi. Essendo anche XU un tipico cognome dello Zhèjiāng, possiamo quindi affermare che la diaspora dello Zhèjiāng si discosta dalle altre immigrazioni cinesi, in quanto ha scelto l’Europa, e quindi l’Italia, come approdi privilegiati per la realizzazione del proprio progetto migratorio. La visibilità sociale dei Cinesi nel nostro Paese diventa significativa soprattutto nei periodi a ridosso delle leggi in materia di immigrazione48 del 1986 (legge n. 943/86) e del 1990 (Legge n. 39/90, Martelli), che rappresenta il primo riconoscimento ufficiale dell’Italia come Paese di immigrazione; i Cinesi compiono poi il “salto di qualità” grazie alla possibilità di avviare un’attività autonoma, in virtù della legge n. 40/98 (Legge Turco-Napolitano)49, accettata come motivo valido per ottenere l’ingresso nel nostro Paese. Un ulteriore vantaggio, oltre a quello offerto dall’opportunità di regolarizzarsi attraverso le sanatorie, è rappresentato dal trattato italo-cinese del 1985, che ha facilitato la messa in regola delle imprese e ha funzionato da incentivo per le prime aziende autonome. Molti Cinesi irregolari, provenienti da Francia, Regno Unito e Paesi Bassi, giunsero in Italia grazie al “passaparola” delle reti etniche, in vista di tali sanatorie, dopo l’avvio delle politiche di impedimento all’immigrazione varate in tali Paesi. La possibilità di aprire un’attività in proprio e di poter usufruire di manodopera in regola col permesso di soggiorno ha stimolato ulteriormente lo sviluppo di un’economia a carattere etnico anche in Italia, dapprima nel settore della ristorazione, grazie alla crisi dei ristoranti etnici nell’Europa settentrionale e al gusto crescente per l’esotico da parte dei sud-Europei. Il gruppo cinese, che col tempo si è organizzato in comunità sempre più articolate e complesse, si caratterizza territorialmente per la tendenza alla concentrazione spaziale, contemplando la sovrapposizione di famiglia-unità produttiva e l’interconnessione tra tempo di vita e di lavoro, mediante una contiguità fisica tra casa e laboratorio: questo sistema organizzativo, che si autorafforza e autoriproduce nella diaspora, è proprio del gruppo cinese, senza equivalenti in altre comu- 47 Gli ultimi arrivati sono i più deboli dal punto di vista contrattuale e sono pure maggiormente restii ad inserirsi nell’economia etnica. Le differenze con i loro connazionali del Sud, venuti in Italia per arricchirsi, sono parecchie: i Mancesi, di estrazione operaia-urbana, emigrano a causa della mancanza di lavoro nelle grandi industrie statali del Nord della Cina; essi sono soliti migrare legalmente dal loro Paese; provengono essenzialmente dalle grandi aree urbane e sono in prevalenza persone istruite. L’istruzione ha un peso talmente rilevante che alcuni Mancesi emigrano per guadagnare denaro da investire non in attività economiche come quelli del Sud, ma nell’istruzione dei figli. Per un approfondimento preciso riguardo alle differenti caratteristiche tra migranti cinesi del Nord e del Sud, si rinvia a Tolu, 2003. 48 Per un inquadramento storico delle politiche migratorie dall’unità d’Italia ad oggi, si veda Colombo, Sciortino, 2004. 49 Con il precedente decreto-legge n. 489/95, il cosiddetto Decreto Dini, venivano negate alcune possibilità di lavoro autonomo, soprattutto ai cittadini cinesi, che già avevano incontrato difficoltà per quel che riguardava la regolarizzazione nel lavoro subordinato, a cui si aggiungeva l’obbligo piuttosto gravoso di dimostrare la propria presenza in territorio italiano. Con la cosiddetta legge Turco-Napolitano (n. 40/98), si cerca di riformare il sistema giuridico in materia di immigrazione: viene introdotto l’uso della carta di soggiorno per coloro che intendono stabilirsi in Italia, viene garantito a coloro che vivono in Italia da più di un anno il diritto al ricongiungimento familiare, il divieto d’espulsione e il diritto al voto amministrativo. Inoltre viene fissata una quota annuale di ingressi, sul modello americano. Cinesi d’Europa: territori in rete nità immigrate. La chiusura e l’apertura di questa comunità rispondono a strategie complesse, che permettono al tempo stesso di preservare la propria identità nell’extra-territorialità e la riuscita economica come garanzia del mantenimento dell’identità stessa in stretta interdipendenza con l’ambiente circostante (Campani, Carchedi, Tassinari, 1994). Nucleo centrale di ogni individuo è la famiglia-impresa che regola l’organizzazione economica della comunità. La famiglia esercita un ruolo centrale nel regolare le dinamiche socio-culturali ed economiche del gruppo: non si tratta di famiglie nucleari (padre, madre e figli), ma di famiglie estese, nuclei familiari allargati, uniti fra loro per diversi gradi da rapporti di parentela che fanno capo di solito al membro più anziano. La scelta di autonomia economica ed imprenditoriale sottolinea la volontà di mantenersi all’interno del gruppo etnico e dei suoi valori; in questo caso non si fa riferimento solo alla comunità presente in una città o in un Paese, ma alla comunità cinese sparsa per il mondo, con la quale si mantengono legami familiari ed economici grazie alle reti transnazionali che ricompongono la diaspora di questo popolo, legami che portano al rafforzamento identitario, i cui valori conducono ad una nuova produzione di territorio50. La Cina (insieme alle Filippine) è il Paese asiatico che ha maggiormente beneficiato della concessione dei permessi di soggiorno in l’Italia, circa 115.000 (di cui circa 80.000 solo per motivi di lavoro)51. Il fatto che molto più della metà, circa il 70%, dei permessi di soggiorno sia stato concesso per motivi di lavoro e meno del 30% per ricongiungimenti familiari dimostra che i Cinesi mirano a conseguire un inserimento stabile, un radicamento a lungo termine, nella società italiana. In questo contesto la Legge n. 189/2002, la cosiddetta legge “Bossi-Fini” (accompagnata da una sanatoria) ha introdotto numerose novità restrittive nel campo della legislazione sull’immigrazione52 e la subordinazione del soggiorno alla durata del contratto di lavoro. Infatti, la legge prevede che gli immigrati, per ricevere il permesso di soggiorno, debbano avere un’occupazione stabile e regolare, fatto che, in un mercato del lavoro sempre più precario, appare molto improbabile soprattutto per un immigrato che, alla scadenza del contratto di lavoro, potrebbe ricadere nell’irregolarità. Il gruppo cinese, grazie alle proprie imprese etniche e come dimostrato dai dati, non ha esitato ad usufruire di tali sanatorie. Ciò emerge dall’aumento del numero dei permessi di soggiorno concessi a tale collettività, soprattutto dall’anno successivo alla sanatoria (+ 60% circa, Grafico 5): infatti, le condizioni normative richieste, la capacità di avere un lavoro stabile ed un alloggio sicuro sono facilmente assolvibili e dunque permettono la permanenza regolare in Italia (sebbene l’immigrazione clandestina organizzata da gruppi malavitosi che organizzano vere e proprie “tratte“ di esseri umani, operanti nel nostro paese, sia un fenomeno molto radicato). Kotkin, che ha studiato le strategie insediative di alcune collettività (come gli Ebrei, archetipo della “tribù globale”) dal punto di vista produttivo, individua plurime somiglianze tra Ebrei e Cinesi. La forte identità di entrambi favorisce il lavoro autonomo, le reti di reciproca fiducia e solidarietà indispensabili per penetrare ed affermarsi con successo economicamente (Kotkin, 1992). 51 Dati ISTAT riferiti all’anno 2006 (ultimo aggiornamento: ottobre 2007). 52 Tra cui ricordiamo: obbligo di rilasciare le proprie impronte digitali quando si richiede il permesso di soggiorno e ad ogni rinnovo, aumento di un anno del periodo di permanenza necessario per il rilascio della carta di soggiorno, riduzione della durata dei permessi di soggiorno, richiesta del rinnovo di tale soggiorno almeno novanta giorni prima della scadenza. Trattandosi della quinta regolarizzazione in meno di vent’anni, appare chiaro che molti immigrati stanziati in Italia sono qui arrivati in maniera non legale, a causa anche delle quote troppe basse e di procedure burocratiche complesse. 50 95 TAVOLA 7 – Distribuzione dei tre principali gruppi asiatici in Italia Cinesi d’Europa: territori in rete 97 Grafico 5 Permessi di soggiorno concessi a cittadini di nazionalità cinese Dati: reali riferiti agli anni 2001-2006 (ultimo aggiornamento: ottobre 2007) Fonte: ISTAT 2.4. La Lombardia: una meta ambita La Lombardia, con 161.42953 immigrati asiatici residenti, rappresenta circa il 22% del totale dei migranti “lombardi”, tra i quali si distinguono quantitativamente Cinesi, Filippini e Indiani (Grafico 6). Questi tre gruppi hanno alle spalle un progetto migratorio che prevede l’insediamento stabile in un determinato luogo, vantano il segmento più ridotto di disoccupazione e d’irregolarità e costituiscono un’ampia fetta di lavoratori regolari, sotto forma di lavoro subordinato (Filippini e Indiani), sia in forma generalmente più autonoma (Cinesi). Queste caratteristiche sono intrinseche al tipo di progetto migratorio, attuabile grazie al capitale sociale che sta alle spalle di questi migranti: in particolare, sono di fondamentale importanza le reti etniche, l’esistenza di catene migratorie, soprattutto per Cinesi ed Indiani, e l’esistenza di istituzioni religiose nel caso della collettività filippina. La maggior parte di questi migranti, infatti, può solitamente contare, al proprio arrivo in Italia, su una qualche forma di conoscenza, soprattutto sulla presenza di parenti: questa caratteristica mette in luce che il fenomeno migratorio in Italia è un processo maturo, che si è ormai avviato ad un secondo stadio, quello della stabilizzazione, testimoniato dai sempre più numerosi processi di ricongiungimento familiare. Grafico 6 Immigrati residenti in Lombardia suddivisi per continente Dati: percentuali riferiti all’anno 2006 (ultimo aggiornamento: ottobre 2007) Fonte: ISTAT I dati, aggiornati al 31/12/2006 e forniti dall’ISTAT, fanno riferimento al numero reale dei residenti. Per un quadro di riferimento sull’immigrazione in Lombardia aggiornato al 2006 si rinvia a Blangiardo, 2007; Osservatorio regionale per l’integrazione e la multietnicità-Fondazione ISMU, 2007. 53 98 Atlante della diaspora cinese Grafico 7 Principali gruppi asiatici residenti in Italia suddivisi per genere e per Paese di provenienza Dati: reali riferiti all’anno 2006 (ultimo aggiornamento: ottobre 2007) Fonte: ISTAT Le differenze di genere giocano un ruolo importante, sia a livello quantitativo che a livello qualitativo dal momento che influiscono sul progetto migratorio. Per quel che riguarda il rapporto numerico uomini-donne, la componente cinese presenta una equa ripartizione; in quella filippina54, viceversa, c’è una netta prevalenza di donne, mentre in quella indiana sono più numerosi gli uomini55 (Grafico 7). Sotto il profilo qualitativo, le donne indiane, seguono percorsi già tracciati dai familiari, solitamente i coniugi, e sono in questo senso più avvantaggiate e protette, in quanto il lavoro per loro è considerato complementare alla cura della famiglia; le donne di provenienza cinese e filippina escono dal proprio Paese con un preciso mandato economico da parte dei familiari o del coniuge, e possono precedere i loro uomini che le seguono mediante il ricongiungimento familiare. Inoltre, le donne filippine sono più indipendenti, in quanto essendo per lo più impiegate come collaboratrici domestiche e in lavori d’assistenza e di cura domiciliare presso gli anziani, risiedono nel luogo di lavoro; viceversa, le donne cinesi hanno maggiori vincoli lavorativi lavorando all’interno dell’impresa etnica. Per quanto riguarda l’inserimento nel mercato del lavoro, gli immigrati spesso sono impiegati nelle occupazioni a più bassa qualificazione, a basso salario, con più scarso contenuto professionale o poco graditi alla manodopera autoctona, e ciò dà luogo ad una “segregazione” di tipo occupazionale e di genere: l’immigrato o l’immigrata, nella rappresentazione che gli autoctoni ne fanno, viene associato ad un certo tipo di lavoro dequalificato in quanto spesso non viene riconosciuto in Italia il titolo di studio conseguito nel Paese d’origine (fatta eccezione per i Cinesi, che registrano tra i migranti il maggior numero di riconoscimenti del titolo scolastico). Il rafforzamento di etnicizzazione del mercato del lavoro finisce dunque per creare un’etichettatura ad una serie di lavori, che possono condurre gli immigrati verso pericolose forme di “ghettizzazione” sociale, economica e territoriale. La situazione migratoria in Lombardia si è assestata attorno ad un relativo equilibrio fondato sullo scambio, reciprocamente conveniente, tra attese, disponibilità e flessibilità degli immigrati da una parte, e necessità professionali del nostro sistema sociale ed 54 Nel gruppo filippino si sviluppano modelli di ricongiungimento familiare atipici, in cui il capofamiglia è la moglie e il marito il coniuge a seguito. L’arrivo di numerose donne porta alla formazione di catene migratorie formate da sorelle, cugine, madri e figlie che si aiutano per ritrovarsi insieme in Italia e cercano sempre più spesso forme di coabitazione, per svincolarsi ed acquistare una certa autonomia dal proprio datore di lavoro (Ambrosini, 1999). 55 Infatti il rapporto numerico maschi-femmine nel gruppo cinese è abbastanza equilibrato, con rispettivamente 17.496 e 15.818 presenze sul territorio lombardo; nel gruppo filippino i maschi sono 16.247 contro 21.329 femmine; lo squilibrio maggiore si registra nella componente indiana, con 17.193 uomini e 10.467 donne. Dati reali sui residenti aggiornati al 31/12/2006; fonte: ISTAT. Cinesi d’Europa: territori in rete economico dall’altra (Osservatorio Regionale per l’Integrazione e la Multietnicità, 2007). In particolare, nel caso cinese lo sviluppo dell’ethnic business evidenzia il successo dell’interazione fra la struttura delle opportunità dell’economia ospite e le caratteristiche del gruppo immigrato (Besozzi, Colombo, 2007; Colasanto, Marcaletti, 2007). La distribuzione sul territorio di tali etnie appare diversificata ed eterogenea: la provincia di Milano (in particolare in Milano città gli Asiatici hanno il primato per numero di presenze) ospita 85.124 immigrati asiatici, divisi in moltissime comunità, anche se prevalgono Filippini e Cinesi, confermando così le capacità attrattive del capoluogo lombardo e del suo hinterland per attività che riguardano il settore terziario, il commercio e le piccole imprese di servizi56; segue la provincia di Brescia (dove è forte la presenza di una radicata comunità di Pakistani, addetti nel settore zootecnico e nell’industria siderurgica), anche se più distaccata rispetto a Milano, e poi Mantova, Bergamo, Varese, Cremona e Como. La disparità numerica tra province nella distribuzione della popolazione immigrata dipende da numerosi fattori: le province di cui sopra hanno saputo offrire nel corso degli ultimi anni possibilità abitative ed occupazionali diversificate e maggiori, ma soprattutto hanno saputo assicurare numerosi servizi adeguati alle necessità degli immigrati. In particolare, nei capoluoghi provinciali che rappresentano contesti urbani minori, la qualità della vita è migliore, in quanto gli interventi attuati sono maggiormente mirati a soddisfare i bisogni specifici delle singole comunità e le possibilità abitative e lavorative (come lavoratori sottoposti, come imprenditori e in minor misura per gli Asiatici, come operai nell’industria) sono più numerose e facili da trovare, in tempi brevi (Bellaviti, Granata, Novak, Tosi, 2002). Le province di Sondrio e Lecco, che registrano il minor numero di residenti asiatici, sono poco interessate dalla presenza di tali immigrati poiché rappresentano zone “di transito” verso altre regioni italiane o verso altri Paesi europei e hanno caratteristiche socio-territoriali meno adatte all’insediamento di tale gruppo. Per quanto riguarda la situazione di Lodi e Pavia, va precisato che Lodi è una provincia di recente costituzione che non ha ancora trovato una propria identità ed autonomia rispetto a Milano, mentre Pavia, sede di una prestigiosa università, accoglie un’alta percentuale di immigrati provenienti da Paesi europei ed extra-europei che si stabiliscono in modo quasi “stagionale” per ragioni prettamente di studio (Ghisalberti, 2004, pp. 64-65). La distribuzione in ciascuna provincia delle tre collettività asiatiche maggiormente presenti in Italia e in Lombardia (rispettivamente Filippine, Cina ed India) è legata alle specificità sociali, economiche, culturali e territoriali di ciascuna provincia. La comunità filippina è costituita in prevalenza da donne impiegate nel settore dell’assistenza domestica e della cura degli anziani, essendo le Filippine, con le Capoverdine e le Eritree, tra le prime a giungere nel capoluogo lombardo e a specializzarsi in questo settore. Consideriamo inoltre che soprattutto in questo tipo di occupazione, il mercato del lavoro privilegia immigrati provenienti da aree simili per cultura, tradizioni, formazione professionale, religione, come l’Europa centro-orientale e l’America Latina. L’Asia Orientale trova nelle Filippine quel Paese che rientra in tale criterio di omogeneità, in quanto il 90% della popolazione è di religione cattolica (Caritas-Migrantes, 2004, p. 267). La presenza filippina è particolarmente forte anche nelle province di Pavia e Como, zone in cui sono richiesti servizi nel campo domestico e assistenziale. Nelle altre province la situazione appare differente, quantitativamente e qualita- La comunità bengalese a Milano ha dato vita ad un “piccolo Bangladesh” che comprende alcune vie adiacenti all’ultimo tratto di via Settembrini, in zona Caiazzo. L’inserimento di attività commerciali, simili alle dinamiche proprie del gruppo cinese, in questa zona risponde ai bisogni di base di questa popolazione, quali incontrarsi e scambiarsi informazioni, comunicare con la madrepatria e rifornirsi in negozi etnici. Riguardo al “Piccolo Bangladesh” milanese, si rinvia a Cologna, 2003. 56 99 100 Atlante della diaspora cinese tivamente: nelle zone pedemontane di Brescia57 e Bergamo (in misura significativa, ma minore per la presenza di numerose industrie e di altre etnie, africane e slave) e ancora più in quelle meridionali di Lodi, Cremona e Mantova e in parte di Pavia, dove è preponderante la presenza della collettività indiana. Considerando ora la collettività cinese, essa è presente in misura significativa ovunque e ciò testimonia l’enorme peso sociale ed economico che questo gruppo va acquisendo nel nostro Paese; essa tende ad una forte concentrazione spaziale nel capoluogo lombardo e, più recentemente, in corrispondenza di centri medio-piccoli, anche debolmente urbanizzati, in prossimità di nuovi mercati, dove minore è la concorrenza. Tuttavia, la provincia di Milano conferma la sua leadership con una presenza cinese significativa determinatasi nel passato, quale primo fenomeno migratorio non-europeo che la città ha conosciuto e che attualmente si attesta nella città di Milano come la comunità cinese più importante e numerosa della Lombardia58. I primi immigrati cinesi (uomini giovani e soli), che giunsero nel capoluogo lombardo dalla Francia tra il 1920 ed il 1930, erano originari in gran parte della città costiera di Wēnzhōu, nello Zhèjiāng. Essi si stabiliscono lungo via Canonica, poiché il carattere popolare del quartiere, antico borgo commerciale ed artigianale, facilita il loro insediamento: in pochi anni, infatti, nascono qui i primi laboratori di pelletteria e di produzione di cravatte, i primi articoli venduti al dettaglio dagli immigrati cinesi. La situazione muta enormemente nel corso di un cinquantennio, fino a che negli anni Ottanta si assiste ad un processo di rivalutazione immobiliare che investe anche le vie Canonica e Sarpi, e ciò determina una crescita della presenza cinese. Tale comunità ha saputo creare nel tempo una vasta rete di servizi, specializzandosi nei settori della ristorazione, dell’abbigliamento, della pelletteria, dell’import-export di manufatti e prodotti alimentari provenienti direttamente dalla Cina. Nel corso degli anni Novanta la visibilità di questa collettività si rafforza, perciò la zona Canonica-Sarpi diventa un quartiere etnicamente connotato59, si fa luogo di riconoscimento identitario, che assolve sempre più ad una funzione di servizio per le comunità cinesi di tutta Italia, e i suoi negozi, le diverse forme dell’abitare, le associazioni, l’uso degli spazi pubblici sono espressione di un’organizzazione socioeconomica che, in una dimensione internazionale, va a riflettersi ed è leggibile direttamente sul territorio. Tuttavia negli ultimi anni il quartiere storico dell’immigrazione cinese sta soffrendo numerose trasformazioni (affitti altissimi, scontri con i residenti milanesi, progetti di riqualificazione urbana…), per questo molti immigrati, soprattutto gli ultimi arrivati, hanno cercato nuovi spazi da colonizzare nelle vie secondarie intorno al quartiere (via Montello, via Bramante, via Guercino…)60 e non solo: nuovi processi di “territorializzazione” della comunità cinese stanno nascendo in Il quartiere del Carmine a Brescia rappresenta per le popolazioni immigrate in senso lato un punto di riferimento per i servizi loro rivolti. Inoltre, negli ultimi anni, è diventato luogo di richiamo per molti Pakistani inseriti nelle industrie della Val Trompia (a nord di Brescia) e per molti Indiani della zona sud della provincia, occupati nel settore agricolo. 58 Notevole è la presenza d’immigrati Filippini e Cinesi rispetto a quella degli Indiani (1.594 individui, di cui solo 652 in città). 59 Ciò che caratterizza un quartiere etnicamente connotato è: la presenza consistente d’immigrati, la presenza caratterizzante di alcuni gruppi nazionali, che non si limitano al solo aspetto residenziale, ma allargano la presenza all’esercizio di attività economiche e alla presenza di luoghi di ritrovo e incontro; la presenza di negozi, laboratori, attività commerciali, che portano allo sviluppo di una vera e propria economia etnica, o di spazi aperti ed edifici che siano zone centrali e punti di riferimento per gli immigrati (Lanzani, 1998). 60 La connotazione più evidente della presenza cinese restano le vie più “nascoste” del quartiere, quali via Rosmini, via Bruno, via Messina e via Aleardi, o via Bramante, che costituisce l’asse commerciale delle attività di vendita all’ingrosso, le attività di trading che hanno soppiantato il ruolo del laboratorio di pelletteria negli anni Ottanta e Novanta. Per un approfondimento riguardo alla comunità cinese a Milano si rinvia a Farina, 1997; Cologna, 2002; Id., 2003. 57 TAVOLA 8 – Gli immigrati cinesi in Lombardia 102 Atlante della diaspora cinese zone quali Gorla e Crescenzago e nelle vie Monza-Padova; inoltre, la saturazione del mercato ha costretto ad orientarsi verso nuovi tipi di attività, per soddisfare una clientela multietnica, portatrice di nuove istanze culturali e di bisogni61. Un’eccezione, rispetto alla presenza consistente dei Cinesi nella regione, è rappresentata dalla provincia di Cremona, dove, come detto in precedenza, predomina quasi totalmente la componente indiana, organizzata in gruppi dispersi in nuclei cascinali. La presenza della collettività cinese, grazie alla sua forte vocazione imprenditoriale, alla presenza di forti e coese reti etniche e alla varietà di servizi offerti, è estremamente rilevante62: questa situazione è particolarmente visibile nelle province di Bergamo e Brescia, dove, oltre all’industria, va diffondendosi la piccola e media impresa a conduzione familiare (che è il modello produttivo adottato dai Cinesi all’estero), ma ancora maggiormente nelle aree di Varese e Como (e in misura minore nella provincia di Lecco)63, dove alta è la concentrazione d’imprese manifatturiere, settore in cui i Cinesi stanno soppiantando l’industria italiana locale, grazie a costi di manodopera e di produzione bassissimi; anche nella provincia di Sondrio, sebbene isolata e poco sviluppata nell’offerta di servizi alla popolazione extracomunitaria, il gruppo cinese trova la sua specificità nel campo della ristorazione. Per quanto riguarda la componente indiana va innanzitutto rilevato lo stretto legame che si è creato fra l’offerta lavorativa provinciale e le caratteristiche socio-culturali e religiose del gruppo indiano64. Come è già stato accennato, la collettività indiana è prevalentemente dedita ad attività agricole e zootecniche, soprattutto all’allevamento dei bovini (animale oggetto di venerazione nella religione induista da loro praticata) e va a sostituire in parte la manodopera locale; in particolare, nelle zone del cremonese e del lodigiano, sono molto presenti gli Indiani di religione Sikh, specializzati in questo genere di occupazione. 3. Conclusione Come è dunque emerso dall’analisi sin qui condotta, la stratificazione di flussi migratori e la crescente consistenza numerica hanno reso l’immigrazione cinese in Europa e in Italia un fenomeno complesso e articolato. In particolare, a livello comunitario, l’ingresso nella UE di nuovi Stati membri offre inedite opportunità di crescita socioeconomica per gli immigrati cinesi, 61 Si pensi, ad esempio, ai due supermarket New Continental Market in viale Monza e Katay International in via Clitumno, oltre a quelli di via Rosmini e via IV Novembre, che si stanno dimostrando “vincenti” sia dal punto di vista funzionale che commerciale, da esportare in altri contesti territoriali. 62 Con l’evoluzione del ciclo migratorio, mentre il gruppo etnico attua forme di stabilizzazione definitiva nel Paese di accoglienza, le esperienze micro-imprenditoriali vanno a soddisfare una specifica domanda di prodotti e servizi, come mercati per un’offerta imprenditoriale dedicata (si pensi alle macellerie islamiche, ai centri telefonici, ai negozi di alimentari direttamente importati dai Paesi di origine…). In questo modo le reti etniche alimentano forme imprenditoriali, consolidano socialmente il proprio gruppo etnico ed entrano in interazione con la società di accoglienza, la cui domanda sul mercato di prodotti e servizi etnicamente connotati va crescendo (La Rosa, Zanfrini, 2003). 63 Fatta eccezione per la componente cinese, la presenza di immigrati di origine asiatica è molto più ridotta rispetto a quella delle altre province e si limita alla presenza di operai specializzati Pakistani e Bengalesi in particolare, inseriti nelle industrie della Brianza centrale e del Varesotto, e dei Filippini, richiesti nelle città di medie dimensioni della zona come domestici. Riguardo l’inserimento e le dinamiche lavorative delle popolazioni asiatiche nel mercato del lavoro lombardo, cfr. Cologna, 2003. 64 Infatti queste cinque province, seppur in maniera differente, come è già stato accennato, propongono un’offerta lavorativa strettamente collegata alle attività agricole e ancora più all’allevamento, soprattutto nelle zone più meridionali della Pianura Padana (nel Mantovano, nel Cremonese, nel Lodigiano e pure nel Vigevanese e nella Lomellina). Cinesi d’Europa: territori in rete capaci di attivare processi di territorializzazione economica di successo in spazi antropizzati ancora poco esplorati. Per quanto riguarda la situazione dei migranti cinesi in Italia, l’analisi socioterritoriale ha tentato di mettere in evidenza l’importanza che il nostro Paese ha assunto come nuovo territorio di ricezione di migranti. A livello nazionale, così come in Lombardia, si coglie immediatamente la portata del fenomeno migratorio cinese nelle sue forme differenti, legate alle specificità proprie di ciascuna regione e provincia. Nel capitolo successivo si tenterà di illustrare la poliedricità di tale flusso migratorio nella Provincia e nel Comune di Bergamo che, pur rappresentando ancora un fenomeno quantitativamente contenuto ed essendo ancorato ad una dimensione socio-territoriale locale, va proiettandosi progressivamente in una dimensione sempre più dinamica e pervasiva. 103 105 CAPITOLO 5 Cinesi di Bergamo: il territorio urbano e il sistema abitativo di Alessandra Ghisalberti Il fenomeno migratorio nella città di Bergamo è entrato in una fase di espansione caratterizzata dall’inserimento di un consistente numero di nuove persone appartenenti a generi, fasce d’età e origini differenti. Risulta, dunque, importante osservare come oggi l’immigrazione dia luogo ad una realtà sociale estremamente eterogenea, frutto della commistione dei valori e delle usanze che plurimi attori hanno trasferito sul territorio d’approdo. Più precisamente, in questo capitolo, analizzando le trasformazioni cui è sottoposta l’area bergamasca, vengono prese in considerazione le modalità di accesso agli spazi urbani così come la situazione abitativa che si è venuta a determinare e le ripercussioni che tale nuova configurazione territoriale ha indotto presso i bergamaschi. L’attenzione è rivolta agli immigrati orientali – specialmente ai Cinesi – nella Provincia e nel Comune di Bergamo che, sebbene costituiscano una presenza storica, hanno assunto in tempi recenti nuovi connotati. In particolare, l’aumento considerevole della componente cinese – ma anche la sua disseminazione cittadina – ha inciso sulla percezione della sua presenza: ciò che fino a poco tempo fa era vissuto come un’esistenza “silenziosa”1 e numericamente trascurabile, oggi diviene un fenomeno radicato e non circoscrivibile territorialmente. 1. Gli immigrati in Provincia di Bergamo e la componente orientale: una distribuzione disomogenea Nel quindicennio appena trascorso la Provincia di Bergamo è diventata un polo attrattivo per l’immigrazione che ha interessato l’Italia, in ragione di multipli fattori riconducibili principalmente alla sua collocazione all’interno della Regione Lombardia, alla ricchezza del suo tessuto economico ed alla dinamicità dei servizi offerti. Durante questo periodo i cambiamenti socio-territoriali della Provincia sono stati parecchi e diversificati, in relazione alla presenza di un numero di stranieri in continua crescita che supera oggi i 78.000 residenti2. Essi Proprio tale definizione era stata impiegata in uno dei primi studi sui Cinesi in Italia, nella prospettiva di metterne in rilievo i connotati di discrezione a fronte di una intensa attività lavorativa in Campani, Carchedi, Tassinari, 1994, pp. 41-148. 2 I dati riferiti nel presente paragrafo sono relativi ai residenti stranieri iscritti alle anagrafi dei 244 comuni bergamaschi nell’anno 2006. Essi sono il prodotto della rilevazione annuale condotta dalla Prefettura di Bergamo in collaborazione con l’Amministrazione Provinciale di Bergamo e comunicati all’Istituto Nazionale di Statistica (ISTAT). Quest’ultimo li pubblica annualmente sul sito: www.demo.istat.it. Per un approfondimento, si veda il CD Rom realizzato nell’ambito del Progetto interprovinciale di attività a supporto dell’Osservatorio Regionale per l’integrazione e la multietnicità, finanziato dalla Regione Lombardia in Osservatorio Politiche Sociali Area Immigrazione, Provincia di Bergamo, Settore Politiche Sociali, 2006. Rispetto alla stima della consistenza straniera presente indipendentemente dalla residenza e dalla regolarità a Bergamo, si veda Osservatorio Provincia di Bergamo, Regione Lombardia, ISMU, 2006, pp. 10-14. Si tratta del risultato di una ricerca, svolta a livello regionale, che nel territorio bergamasco ha interessato 800 stranieri presenti nel comune capoluogo e in 48 comuni della provincia. 1 106 Atlante della diaspora cinese Grafico 8 Residenti stranieri nella Provincia di Bergamo suddivisi per continente di provenienza Dati: reali riferiti all’anno 2006 (ultimo aggiornamento: ottobre 2007) Fonte: Provincia di Bergamo sono suddivisi in più di cento gruppi nazionali provenienti da tutte le aree continentali, tra cui dominano l’Africa e l’Europa (Grafico 8) e seguono – seppur a distanza – l’Asia (con poco più di 10.000 residenti) e l’America (circa 6.800). In particolare, ad una prima fase migratoria essenzialmente legata al reperimento di un lavoro, se ne è gradualmente sostituita una di tipo familiare che esprime nuovi bisogni della popolazione immigrata, la cui conseguenza immediata è la crescita della popolazione femminile e minorenne. Tale dinamica risulta assai significativa in quanto rivela la tendenza alla stabilizzazione del progetto migratorio che induce necessariamente nuove esigenze da parte degli immigrati, cui la società locale deve far fronte3. Tra le novità rilevanti bisogna segnalare l’allargamento dell’Unione Europea a 25 stati membri avvenuto nel 2004 e l’ingresso della Romania e della Bulgaria all’inizio del 2007, che hanno indotto un significativo aumento delle componenti nazionali originarie dell’Est-europeo. Inoltre, sebbene a seguito della Legge n. 189/2002 – la cosiddetta “Bossi-Fini” – nel corso del biennio 2003-2004 si fosse rilevato un incremento assai consistente degli stranieri, durante quest’ultimo anno tale fenomeno ha subito una contrazione, mostrando una tendenza alla normalizzazione degli ingressi. Infatti, il numero degli irregolari permane circoscritto poiché tale legge e la sua sanatoria hanno determinato l’emersione di un ampio numero di clandestini, permettendo altresì a molti di essi di legalizzare la propria presenza sul territorio italiano4. Per quanto riguarda, più nel dettaglio, la presenza nazionale all’interno delle macroaree continentali, differente è la pressione migratoria esercitata dalle varie 3 Proprio tale ambito di indagine ha costituito oggetto di interesse per l’amministrazione locale, che ha recentemente pubblicato un contributo volto a fotografare la situazione dei minori stranieri nel bergamasco in Provincia di Bergamo, Settore Politiche Sociali, 2006. In particolare, Francesca Peano Cavatola vi cita quali segni della progressiva stabilizzazione degli immigrati l’aumento di due dati centrali: le richieste di carta di soggiorno presso la Questura di Bergamo, passate da 3.017 al 31/12/04 a 9.590 al 31/08/05; le nascite di stranieri, divenute da 407 nel 2001 a 851 nel 2004 (Peano Cavatola, 2006). 4 Per un approfondimento sul fenomeno dell’immigrazione irregolare in Italia si veda European Migration Network, 2005. Si tratta di uno studio pilota sull’immigrazione irregolare – comprendente dunque anche i flussi clandestini – vale a dire un ambito che genera preoccupazioni sia presso i politici che nell’opinione pubblica. Come avvertono gli autori, tale studio, partendo da un inquadramento normativo, prende in esame alcuni dati basati su fonti secondarie – relative, per esempio, agli esiti dei provvedimenti di regolarizzazione o a espulsioni, respingimenti e rimpatri – che, pur non fornendo un’analisi dettagliata ed esaustiva, paiono utili per inquadrare la consistenza di tale fenomeno, delineandone le principali tendenze. Infine, per un ulteriore approfondimento circa l’immigrazione irregolare in Italia, rispettivamente con le sue ripercussioni sul sistema economico e nel quadro del contesto europeo, si vedano Chiuri, Coniglio, Ferri, 2007; Laacher, 2007. Cinesi di Bergamo. Il territorio urbano e il sistema abitativo 107 Grafico 9 Residenti stranieri nella Provincia di Bergamo in base alle principali nazionalità Dati: reali riferiti all’anno 2006 (ultimo aggiornamento: ottobre 2007) Fonte: ISTAT componenti (Grafico 9). Si distinguono: l’Africa mediterranea – specialmente il Marocco, che è il gruppo nazionale più consistente nella provincia di Bergamo con oltre 15.000 residenti – e quella sub-sahariana (Senegal), l’Europa orientale (Albania, Romania ed Ucraina), l’America meridionale (Bolivia)5 e l’Asia meridionale (India)6. Tra i diversi Paesi, tuttavia, le progressioni percentuali a partire dalla citata regolarizzazione si sono rivelate molto squilibrate, producendo un aumento assai significativo tra Rumeni (288%) e Indiani (125,7%) e, viceversa, ben più contenuto tra Albanesi (77,5%), Marocchini (54,5%) e Senegalesi (47%)7. Tale fatto evidenzia un’attuale tendenza all’incremento di nuovi gruppi nazionali, rispetto a quanto avvenuto nel corso di tutti gli anni Novanta: gli Africani assistono ad una fase di assestamento della crescita, mentre emergono come aree privilegiate di attenzione le componenti migratorie dell’Europa dell’est, del sub-continente indiano e dell’America Latina. Se consideriamo la distribuzione degli stranieri, il dato più evidente è che essi privilegiano la permanenza nel comune di Bergamo, piuttosto che in quelli limitrofi, poiché il capoluogo offre maggiori possibilità abitative e lavorative, oltre che numerosi servizi e strutture. Tuttavia la popolazione immigrata è insediata capillarmente anche nel resto della provincia, laddove non mancano occasioni vantaggiose di residenza ed un’offerta occupazionale diversificata. La distribuzione interna al territorio provinciale vede emergere due dati significativi: per un verso, gli immigrati sono poco numerosi e addirittura assenti nell’area settentrionale, soprattutto nell’Alta Valle Brembana e nella Val di Scalve; per altro verso, essi raggiungono picchi quantitativi di presenza nella zona meridionale, specialmente nell’Area di Bergamo, nella Bassa Pianura Bergamasca e nella Val Calepio. Nel primo caso, il numero circoscritto di immigrati è legato alla distanza geografica dal capoluogo provinciale, alla scarsità dei collegamenti, alla minore presenza di servizi agli immigrati, all’atteggiamento più conservatore della popolazione, nonché alle limitate opportunità lavorative. Nel secondo caso, la distribuzione sul territorio segue logiche ricollegabili al sistema occupazionaLa crescita di questo gruppo nazionale è notevole, tant’è che i Boliviani costituiscono attualmente la prima componente per numero di presenze – quasi 1.500 – nel comune capoluogo e sono stati oggetto di una specifica indagine in Rota, Torrese, 2005. Tale presenza è, infatti, una delle “particolarità locali” di maggior interesse nella Regione Lombardia, ove i Boliviani sono presenti in quantità significative praticamente solo a Milano e a Bergamo. 6 I gruppi senegalese, albanese ed ex-yugoslavo disegnano nel territorio bergamasco aree omogenee di appartenenza nazionale: ad esempio, gli Albanesi prevalgono nella zona di Lovere, i Senegalesi in quelle di Grumello del Monte e di Treviglio, mentre gli ex-Jugoslavi in quella di Clusone. Tuttavia bisogna tener presente che tali concentrazioni non sono sinonimo di presenza esclusiva in una sola zona, poiché si assiste sempre ad una disseminazione etnica sul territorio. 7 Per un approfondimento su tali tendenze, si veda Torrese, 2006, pp. 4-5. 5 108 Atlante della diaspora cinese Grafico 10 Principali gruppi asiatici residenti nella Provincia di Bergamo suddivisi per genere e per Paese di provenienza Dati: reali riferiti all’anno 2006 (ultimo aggiornamento: ottobre 2007) Fonte: Provincia di Bergamo le, poiché l’area bergamasca meridionale, fungendo da ponte tra le vivaci realtà imprenditoriali milanese e bresciana, fornisce ampie possibilità d’impiego non senza il sostegno di opportune infrastrutture. Più specificatamente per quanto concerne la componente asiatica, siamo in presenza di poco più 10.000 residenti appartenenti a ben 36 gruppi nazionali. Le provenienze si distribuiscono in tutto il continente investendo sia l’area meridionale (India, Pakistan, Bangladesh, Sri Lanka, …) che quella centrale con il Medio Oriente (Iran, Iraq, Siria, Libano, Uzbekistan, Kazakhistan …), che quella orientale con l’Estremo Oriente (Cina, Thailandia, Giappone, Corea del Sud, …) e quelle insulare (Filippine, Indonesia, …) ed occidentale (Azerbaigian, Georgia, Turchia, …): una varietà estrema riconducibile al continente più vasto del mondo. Sotto il profilo quantitativo, non tutti i gruppi nazionali sono presenti in egual misura e, viceversa, a fronte di soli tre gruppi che superano i 1.500 residenti, ne troviamo circa una quindicina con meno di dieci residenti distribuiti nell’intero territorio provinciale. Gli Asiatici più numerosi (Grafico 10) provengono dal subcontinente indiano, con l’India in testa (4.709 residenti) seguita dal Pakistan (1.966) e, a distanza, dal Bangladesh (662). Rileviamo peraltro due presenze storiche nel territorio bergamasco, vale a dire Cinesi e Filippini, il cui ritmo di crescita si è diversificato a partire dal 2000 determinando l’attuale sbilanciamento di presenze rispettivamente con 1.959 e 491 residenti. La composizione di genere rivela, poi, che le presenze femminili negli ultimi anni sono cresciute notevolmente rispetto al passato, grazie sia ai ricongiungimenti familiari che alle maggiori possibilità lavorative nell’ambito domestico. Tuttavia, è riscontrabile una diversificazione tra gruppi nazionali dal momento che presso taluni – provenienti, per esempio, da India, Pakistan e Bangladesh – la presenza maschile prevale nettamente su quella femminile, per ragioni culturali e di ordine religioso8. Nel caso filippino, viceversa, spesso le donne sono le protagoniste del progetto migratorio, giacché possono contare sull’aiuto di istituzioni religiose che le appoggiano reperendo, per esempio, datori di lavoro9. Per 8 In particolare, bisogna ricordare che presso gli Indiani le donne rivestono un ruolo secondario all’interno del progetto migratorio. Solitamente, infatti, esse raggiungono il marito con i figli in un secondo momento, allorché si entra in una fase di stabilizzazione; cfr. Compiani, Galloni, 2005, pp. 156-158. Questo volume fornisce un approfondimento sui caratteri socio-culturali dell’immigrazione indiana mediante sia la ricostruzione del quadro storico-sociale dell’area di partenza – e in particolare dei fondamenti etico-dottrinali del Sikhismo – sia l’analisi di studi empirici riguardanti alcuni contesti di accoglienza in Italia (Lombardia, Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia e Veneto). 9 Nel gruppo filippino si sviluppano modelli di ricongiungimento familiare in cui il capofamiglia è la moglie e, viceversa, il marito è il coniuge a seguito. L’arrivo di numerose donne determina la costituzione di catene migratorie formate da sorelle, cugine, madri e figlie che si aiutano Cinesi di Bergamo. Il territorio urbano e il sistema abitativo il gruppo cinese, infine, il rapporto numerico uomini-donne è piuttosto equilibrato: sebbene il progetto migratorio sia perlopiù promosso dagli uomini, non di rado sono le donne a precedere il marito nel Paese di accoglienza, dove con caparbietà e spirito di adattamento, spesso mediante una rete solidaristica amicale o parentale, iniziano un’attività lavorativa. La molteplicità di origini determina la compresenza nella provincia bergamasca di attori portatori di specificità culturali che si riflettono nel nuovo territorio locale mediante la predilezione ad occupare talune aree piuttosto che altre. Oltre al capoluogo (che registra 1.560 residenti), i principali comuni a forte concentrazione asiatica sono Seriate (341), Trescore Balneario (328), Bolgare (286) e Cologno al Serio (190) dove, accanto ad una discreta presenza di Cinesi, i gruppi maggiormente numerosi sono pakistani ed indiani. Se i primi sono caratterizzati da una spiccata predisposizione per forme lavorative autonome di tipo imprenditoriale, questi ultimi sono attirati in tali zone da una diversificata offerta lavorativa nella piccola e media industria come operai generici. Essi, in particolare, prediligono l’insediamento nella Bassa Pianura Bergamasca – per esempio a Cologno al Serio – anche per le opportunità d’impiego presso aziende agricole locali in relazione alla loro specializzazione in ambito zootecnico10. Proprio in quest’area, peraltro, la componente asiatica è in evoluzione presso comuni centrali come Treviglio che, grazie alle sue due stazioni ferroviarie11, diventa punto nevralgico e costituisce per la popolazione immigrata una zona di transito privilegiata tra Milano, Bergamo, Cremona e Brescia. Un’altra area fortemente interessata dalla presenza di Asiatici è quella sudorientale attigua alla realtà bresciana, costituita da numerosi comuni – Telgate, Castelli Calepio, Chiuduno, Gorlago, Bolgare, Calcinate, … – che si estendono nella ricca Valle Calepio. Se, infatti, negli anni Novanta tale zona era appannaggio quasi esclusivo di immigrati africani, tra i quali si ricordano specialmente i Senegalesi nei comuni di Adrara San Rocco e Adrara San Martino, oggi essa attira consistenti flussi di Asiatici che vengono impiegati presso piccole imprese, laboratori artigianali ed allevamenti. Fra di essi è di particolare rilievo il gruppo di Indiani e Pakistani nei comuni di Albano S. Alessandro e San Paolo d’Argon, prevalentemente occupati in aziende agricole di produzione di fiori. Proprio da qui, peraltro, partono fitti collegamenti con alcuni connazionali presenti sul territorio cittadino, nel settore della distribuzione e della vendita al dettaglio di prodotti floreali, seppur sovente in circuiti di mercato nero. A sud-ovest del capoluogo, in direzione della provincia milanese, si registra una consistente presenza di immigrati filippini e, in misura ancor maggiore, cinesi, solitamente provenienti dal capoluogo lombardo. I primi sono impiegati nel lavoro domestico nei grossi comuni della Bergamasca, i secondi sono in cerca di nuovi mercati ancora inesplorati in cui poter spendere le proprie competenze come imprenditori nei diversi ambiti del lavoro autonomo (ristorazione, commercio, laboratori artigianali…). vicendevolmente, cercando talvolta forme di coabitazione che permettano di svincolarsi dai datori di lavoro. Per un approfondimento circa il sistema migratorio quale esito dei fabbisogni di lavoratori in Italia che interessa numerosi profili professionali dall’attività bracciantile nelle campagne, all’assistenza e alla cura delle abitazioni, dal lavoro operaio nelle fabbriche del Nord-Est, al commercio ambulante, si veda Ambrosini, 1999. 10 Tale tipologia di inserimento lavorativo, infatti, dopo un primo periodo di impiego itinerante in circhi e luna park, ha caratterizzato gli Indiani immigrati in Italia. Essi hanno privilegiato l’arrivo in Lombardia – e specialmente nella provincia cremonese – ove hanno trovato impiego in una nicchia professionale che, ormai abbandonata dagli Italiani, è connotata da ritmi produttivi assai elevati (Compiani, Galloni, 2005). 11 Si tratta delle stazioni di Treviglio Ovest e di Treviglio Centrale, nodi ferroviari di rilievo per lo smistamento del traffico regionale verso le province di Milano, Brescia, Bergamo e Cremona, così come inter-regionale verso i principali centri del Veneto. 109 110 Atlante della diaspora cinese E proprio quest’ultimo gruppo nazionale riveste particolare interesse in ragione di fattori differenti. Gli immigrati cinesi a Bergamo, infatti, nel corso di un decennio di aumento costante durante gli anni Novanta e di un quinquennio di impennata a partire dal 2000, hanno indotto un sensibile cambiamento territoriale investendo in maniera invasiva il tessuto economico locale. Tale processo, e passiamo al secondo fattore, è riconducibile al ruolo strategico assunto da questo Paese a livello internazionale nelle relazioni geo-politiche mondiali, che ha contribuito allo scardinamento delle logiche economiche degli anni Novanta con la conseguente imposizione di un ruolo centrale dell’Asia, in seguito alla battuta d’arresto inferta dalla crisi regionale del triennio 1997-1999. Infatti, proprio dopo tale evento la Cina, usurpando il ruolo detenuto a lungo dal Giappone, è venuta a rivestire a livello mondiale la funzione trainante del Sud-est asiatico grazie ad un processo di consolidamento interno partito all’inizio degli anni Ottanta, con la politica di apertura promossa da Deng Xiaoping. Vari fattori, dunque, mediante una stretta relazione tra eventi globali e conseguenze locali, hanno imposto la Cina al centro delle relazioni mondiali, i cui riflessi sono rintracciabili anche nell’insediamento cinese nel territorio di medie province italiane come Bergamo. Qui i 1.959 Cinesi costituiscono una componente cospicua dell’immigrazione asiatica e presentano peculiarità nella propria distribuzione (Tavola 9). Innanzitutto sono localizzati in maniera disomogenea dal momento che, tra i 244 comuni che compongono la Provincia di Bergamo, essi sono presenti in poco più di un centinaio. A fronte di paesi con totale assenza di Cinesi, prevalentemente localizzati nelle aree montane e collinari, infatti, esistono diversi comuni che, costituendo una cintura tra le aree settentrionali e pianeggianti della provincia, si distinguono per un buon numero d’immigrati di tale nazionalità. Più nel dettaglio, oltre al capoluogo provinciale presso il quale risiedono oltre 500 Cinesi – cui si aggiungono le aree limitrofe con significative presenze, per esempio a Valbrembo (23), Mozzo (20) e Curno12 (7) – i comuni con il maggior numero sono Dalmine (84), Ponte San Pietro (88) e Cologno al Serio (65). Il primo è tradizionalmente privilegiato dalla presenza cinese poiché fin dai primi flussi d’immigrazione ha offerto loro diverse opportunità lavorative. Oggi, dunque, oltre al numero elevato di residenti, vi si rileva una dozzina di esercizi, i primi dei quali – fondati nel 1996 – attestano la presenza di un’attività autonoma di una decina d’anni13. Dalmine, poi, è localizzato in un’area di particolare interesse insediativo dal momento che anche in alcuni comuni vicini – come Stezzano (32) o Osio Sotto (18) – i residenti cinesi sono numerosi. Anche Ponte San Pietro e Cologno al Serio, rispettivamente situati alle porte dell’“Isola Bergamasca” e nella Media Pianura, costituiscono due centri di aggregazione dei Cinesi presenti in ambedue le zone provinciali occupati in attività autonome o alle dipendenze di connazionali. Nelle aree che si estendono ad est e a sud-est del capoluogo, i Cinesi sono numerosi – seppur in misura minore – rispettivamente nei comuni di San Paolo d’Argon (36) e Albano S. Alessandro (20) e nei comuni di Azzano San Paolo (35) e Seriate (33). In tali zone le imprese cinesi sono finalizzate alla confezione o alla vendita al dettaglio d’abbigliamento. Nell’area meridionale i Cinesi prediligono i comuni di dimensioni consisten- Rispetto alla presenza asiatica, pare di particolare rilievo che presso questo comune siano numerosi anche gli immigrati provenienti dal sub-continente indiano che, peraltro, si riuniscono nei giorni festivi presso il parcheggio del Centro Commerciale di Curno. Essi, infatti, sono soliti praticarvi partite amatoriali di cricket, uno sport quasi sconosciuto in Italia e, viceversa, assai diffuso nei propri Paesi di provenienza quale eredità coloniale britannica. 13 Si fa riferimento ai dati sugli esercizi autonomi dei Cinesi in provincia di Bergamo registrati alla Camera di Commercio di Bergamo riferiti all’anno 2006, che verranno analizzati nel dettaglio nel Capitolo 6. 12 Cinesi di Bergamo. Il territorio urbano e il sistema abitativo ti che fungono altresì da centri nevralgici di vie di comunicazione, come per esempio Romano di Lombardia (33) e Treviglio (18), pur attestando una presenza significativa nella Bassa Pianura Bergamasca anche in comuni minori. A nord, al contrario, rileviamo una diffusa assenza di tale componente nazionale che caratterizza specialmente la Valle Brembana, poco vivace sotto il profilo produttivo. Tuttavia, spiccano alcuni comuni della Valle Seriana – come Vertova (32), Leffe (28), Albino (23), Ardesio (18) o Villa di Serio (15) – ad elevata presenza cinese in ragione della storica funzione economica di quest’area. Infatti, qui sono fiorite numerose attività tessili, talune – come nel caso del Gruppo Radici – a risonanza mondiale, la cui tipologia produttiva rimanda alla recente specializzazione cinese nell’ambito della confezione e della commercializzazione di capi d’abbigliamento. Infine, il territorio che emerge in maniera innovativa rispetto agli altri gruppi nazionali è la Valle Imagna, dove alcuni comuni quali Sant’Omobono (60), Corna Imagna (34), Locatello (17) e Capizzone (17) sono segnati dalla rilevante componente cinese a fronte di pochi residenti appartenenti ad altri gruppi nazionali. Tale area è stata, forse in modo inappropriato, da taluni denominata la piccola “Chinatown” bergamasca (AA. VV., 2006) – sul modello toscano di Prato – in ragione della sua particolare concentrazione di laboratori tessili. 2. Gli immigrati nel Comune di Bergamo e la componente cinese 2.1. La distribuzione degli immigrati in città L’immigrazione nel Comune di Bergamo, come nella provincia, è un fenomeno che ha subito un’evoluzione quantitativa e qualitativa consistente nel corso degli ultimi quindici anni. Oggi, infatti, la presenza di stranieri è considerevole, dal momento che la sua incidenza corrisponde al 10% della popolazione bergamasca14. Inoltre la componente femminile tende sempre più ad eguagliare quella maschile in relazione all’aumento sia dei permessi di soggiorno concessi per ricongiungimento familiare sia delle possibilità lavorative negli ambiti domestico e della cura della persona15. Tutte le fasce d’età, comprese quelle estreme tra gli ultra-sessantenni e tra i minori, poi, concorrono a determinare tale fenomeno. Le famiglie, infine, sono in continua crescita, confermando una tendenza alla stabilizzazione degli immigrati nella cui ottica il lavoro non costituisce più l’unico ambito di interesse ma, viceversa, le esigenze residenziali, scolastiche e di inserimento sociale divengono prioritarie come peraltro già riscontrato ad altri livelli territoriali. Sotto il profilo quantitativo, tuttavia, a fronte di un significativo incremento del numero di immigrati a partire dai primi anni Novanta con un’impennata di residenti stranieri nel corso degli anni 2003-2004 quale effetto della regolarizzazione seguita alla citata legge Bossi-Fini, è da rilevarsi una battuta di arresto nel 14 I residenti stranieri nel Comune di Bergamo nell’anno 2006 sono 11.654, a fronte di 105.418 bergamaschi per un totale di 117.072. I dati cui si fa riferimento nel presente paragrafo riguardano il numero di residenti stranieri registrati all’anagrafe del Comune di Bergamo e sono pubblicati in Boninelli, 2007. Si tratta di un annuario che prende in considerazione i dati sugli immigrati che, come sottolinea l’autore, pur presentando non pochi limiti (come i tempi tecnico-burocratici di registrazione dei movimenti e le inesattezze dovute alla scarsa avvertenza o alla non conoscenza da parte dei cittadini stranieri delle norme che regolano il trasferimento in altra sede anagrafica), sono i più significativi per la conoscenza del fenomeno migratorio a livello locale. 15 Le donne costituiscono il 49,9% della popolazione straniera. Tale fenomeno è riconducibile al processo di invecchiamento della popolazione, che ha investito la nostra società negli ultimi decenni determinando possibilità di impiego nella cura alla persona, cui si ricollega altresì l’aumento della qualità della vita che induce la tendenza a reperire collaborazioni domestiche all’esterno del nucleo familiare. Ciò ha comportato un incremento delle possibilità di impiego specialmente tra le donne provenienti da Bolivia, Ucraina, Moldavia ed Ecuador (Boninelli, 2006, pp. 4-5). 111 TAVOLA 9 – I Cinesi nella provincia di Bergamo (A) TAVOLA 9 – I Cinesi nella provincia di Bergamo (B) 114 Atlante della diaspora cinese Grafico 11 Residenti stranieri nel Comune di Bergamo, suddivisi per continente di provenienza Dati: percentuali riferiti all’anno 2006 (ultimo aggiornamento: ottobre 2007) Fonte: Provincia di Bergamo corso di quest’ultimo anno. Rispetto a quanto avvenuto nel biennio precedente, infatti, i ritmi di crescita paiono ora rientrare in un trend lineare16. Considerando le aree di provenienza, i continenti (Grafico 11) maggiormente rappresentati nel capoluogo bergamasco sono l’Europa e l’Africa, che presentano valori simili (rispettivamente 32,2% e 28,1% sul totale), seguiti dall’America e dall’Asia. Tuttavia, a fronte di una quantità di Africani che si mantiene nell’ultimo periodo pressoché stabile17, l’incremento più consistente nel corso dello scorso anno è dato dall’America meridionale (+ 10%), seguita dall’Asia e dai Paesi dell’Europa orientale. Se si analizza più dettagliatamente la presenza per nazionalità, emerge un primo fattore che da anni caratterizza il fenomeno nel territorio bergamasco, vale a dire la rappresentanza di multipli gruppi nazionali – attualmente oltre centoventi – appartenenti alle cinque aree continentali. La componente più numerosa (Grafico 12) è quella boliviana, che costituisce la nuova realtà migratoria sudamericana cui la società locale si trova a far fronte. Vi fa seguito il gruppo marocchino che, restato a lungo la componente immigrata più ragguardevole, alleggerisce ora la pressione migratoria, attestando la tendenza che caratterizza anche altri Paesi africani, dal Senegal al Ghana, dalla Tunisia alla Costa d’Avorio. Viceversa, cresce il peso dei Paesi dell’Europa dell’Est per i quali – come già rilevato agli altri livelli territoriali – si assiste ad un incremento esponenziale in relazione all’allargamento dell’Unione Europea e, dunque, alla maggior facilità di ingresso in Italia. Di parti- Grafico 12 Principali gruppi stranieri residenti nel Comune di Bergamo suddivisi per Paese di provenienza Dati: reali riferiti all’anno 2006 (ultimo aggiornamento: ottobre 2007) Fonte: Provincia di Bergamo 16 Se nel corso del 2003-2004 il peso percentuale della presenza straniera sulla popolazione complessiva ha subito un’impennata passando dal 5,93% del 2002 al 9,86% del 2004, nel corso del 2005 esso è discretamente aumentato giungendo al 10,55%. 17 L’Africa, infatti, ha costituito per oltre un decennio l’area di maggior attenzione in relazione all’elevato ritmo di incremento dei suoi migranti. I flussi in entrata hanno coinvolto persone provenienti da diverse regioni – da quella settentrionale (Marocco), a quella occidentale (Senegal), a quella orientale (Eritrea) – che hanno indotto mutazioni significative, specialmente nella fase emergenziale, del territorio bergamasco. Per un approfondimento, ci si permette di rinviare a Ghisalberti, 2004, pp. 77-84. Cinesi di Bergamo. Il territorio urbano e il sistema abitativo 115 Grafico 13 Andamento diacronico dei principali gruppi asiatici residenti nel Comune di Bergamo Dati: reali riferiti agli anni 1990-2005 Fonte: ISTAT colare rilievo rispetto a quest’area continentale, i tre gruppi nazionali albanese, rumeno e ucraino che si confermano tra i più cospicui a Bergamo. Rispetto all’immigrazione dall’area continentale asiatica, rileviamo innanzitutto che essa costituisce una presenza storica nel tessuto locale in particolare per specifiche componenti nazionali quali i Filippini e i Cinesi. Gli Asiatici, tuttavia, dopo una crescita moderata – seppur significativa – nel corso degli anni Novanta, assumono connotati di maggior rilevanza numerica a partire dal 2000. Sotto il profilo quantitativo, il primo Paese asiatico attualmente presente a Bergamo è la Cina con 572 residenti, cui fa seguito il Bangladesh (465) con ritmi di crescita assai serrati e, più distanziate, le Filippine (217). Dunque, in questi ultimi anni a fronte di un incremento delle tradizionali aree asiatiche d’immigrazione si affacciano nuovi Paesi di provenienza (Grafico 13). La Cina, caratterizzata da una presenza storica – seppur inizialmente esigua – legata alle prime attività imprenditoriali nell’ambito della ristorazione, si è consolidata nel corso degli ultimi quindici anni registrando un consistente aumento dopo gli anni Novanta. Una realtà inedita è costituita dal Bangladesh che, in seguito ad un balzo vertiginoso nel corso dell’ultimo quinquennio, sta raggiungendo la componente cinese. Infine, è noto il ruolo storico dei Grafico 14 Principali gruppi asiatici residenti nel Comune di Bergamo, suddivisi per genere Dati: reali riferiti all’anno 2006 (ultimo aggiornamento: ottobre 2007) Fonte: Provincia di Bergamo 116 Atlante della diaspora cinese Filippini impiegati nell’ambito domestico del tessuto urbano, che solitamente alloggiano presso i propri datori di lavoro. Prendendo in considerazione la suddivisione per genere (Grafico 14), si può notare che il rapporto numerico fra i due sessi è abbastanza equilibrato – con una leggera superiorità maschile – presso i Cinesi, a netta prevalenza maschile tra Bengalesi e Indiani e a preponderanza femminile tra i Filippini. Il primo caso attesta un processo migratorio in fase avanzata che può prevedere una permanenza a medio o lungo termine, poiché probabilmente ci troviamo di fronte a coppie sposate o comunque in convivenza, tra le quali sono avvenuti numerosi ricongiungimenti familiari. Nel secondo caso l’accentuato squilibrio tra uomini e donne è riconducibile ad un segmento di nuova immigrazione, per cui molti uomini single scelgono di emigrare da soli per reperire più facilmente un lavoro ed una sistemazione immediata minima onde richiamare eventualmente in seguito mogli e fidanzate. Nel terzo caso si è in presenza di una tipologia migratoria legata alla pratica di attività femminilizzate, quali la cura della persona o l’impiego domestico, favorite – specialmente nelle sue prime fasi – dall’appoggio di strutture caritative di matrice cattolica. Analizzando la distribuzione degli immigrati nel Comune di Bergamo, si nota una differenziazione nelle sette Circoscrizioni Comunali18, con un’elevata concentrazione nella Prima Circoscrizione che raggruppa circa un terzo degli stranieri residenti in città. Questa zona esercita un forte potere attrattivo sugli immigrati, in quanto fin dai loro primi consistenti flussi ha assunto il ruolo di quartiere residenziale, offrendo sia una gamma di servizi – non solo “etnici” – rivolti a queste popolazioni, sia possibilità di lavoro19. In particolare, oltre alla funzione aggregante di via Cenisio in relazione alla presenza di una moschea, rileviamo che a partire dall’area sud-occidentale della Prima Circoscrizione si trova il “quartiere degli immigrati”20. Tale zona, interessando principalmente via Quarenghi, via Moroni e via San Bernardino, si estende anche nelle aree settentrionali delle circoscrizioni limitrofe ed è connotata da un’elevata presenza di stranieri sia residenti che di passaggio oltre che da numerose attività gestite da immigrati. La forza attrattiva del centro urbano si dispiega, dunque, nelle adiacenti aree cittadine che ospitano un consistente numero di immigrati. La Sesta Circoscrizione, localizzata nella zona sud-orientale della città, offre poi un accesso veloce a servizi di trasporto (come alla vicina stazione dei treni sita nella Prima Circoscrizione) e di alloggio presso alcuni centri di accoglienza, mentre via Borgo Palazzo, che si estende nella parte nord-orientale, costituisce la seconda area attrattiva per gli stranieri a Bergamo in quanto, non solo vi ha sede il principale centro servizi per gli immigrati in città, vale a dire lo Sportello Unico per la 18 Il territorio cittadino è suddiviso in sette Circoscrizioni Comunali, così ripartite: Borgo Pignolo, Borgo Palazzo, Borgo San Lorenzo, S. Alessandro e Centro cittadino (Prima Circoscrizione); Longuelo, Loreto, San Paolo e S. Lucia (Seconda Circoscrizione); Città Alta e Colli (Terza Circoscrizione); Monterosso, Valtesse e Conca-Fiorita (Quarta Circoscrizione); Borgo S. Caterina e Redona (Quinta Circoscrizione); Celadina, Viale Venezia, Malpensata, Boccalone e Campagnola (Sesta Circoscrizione); Colognola, San Tomaso de’ Calvi, Villaggio degli Sposi, Grumello del Piano e Carnovali (Settima Circoscrizione). 19 Di particolare rilievo, in proposito, il piccolo commercio abusivo presso le principali vie cittadine che durante le prime fasi di inserimento degli immigrati – soprattutto di origine senegalese – costituisce una risorsa imprescindibile, benché venga percepito come sintomo di insicurezza sociale da parte dei cittadini. Cfr. Comune di Bergamo, 2006, p. 7. 20 Tale denominazione è stata coniata in relazione alla particolare concentrazione sia di residenti stranieri che di attività gestite da immigrati, che ha determinato una tendenza all’utilizzo dell’area anche come spazio pubblico di ritrovo e aggregazione per coloro che risiedono in altre zone della città e della provincia. Cfr. Burini, 2004, pp. 102-109. Cinesi di Bergamo. Il territorio urbano e il sistema abitativo prima accoglienza21, ma vi sorgono altresì numerosi esercizi alimentari e di vendita al dettaglio gestiti da immigrati. Vi si rileva, infine, la presenza dei Kosovari che alloggiavano nel campo nomadi in via di smantellamento di via Rovelli. Per quanto concerne la Settima Circoscrizione, emerge la funzione centrale delle vie San Bernardino e Moroni che, procedendo a partire dal “quartiere degli immigrati”, in prossimità del confine con la Prima Circoscrizione sono privilegiate dai gruppi immigrati nordafricani. Più a sud, nell’area di via Cerasoli – come attesta il frequente utilizzo del parco omonimo – sono presenti in quantità consistente i Sudamericani, specialmente di origine boliviana. Sempre in questa Circoscrizione, infine, nell’area di via Carnovali vivono numerosi Cinesi, mentre nella zona della Malpensata coloro che provengono dall’Europa dell’Est. In particolare, il piazzale omonimo oltre ad ospitare il mercato settimanale cittadino con vari banchi gestiti da stranieri, nel fine settimana costituisce – con l’adiacente parco – l’area di incontro di numerosi Est-europei che commerciano in nero prodotti dei loro Paesi di provenienza22. Nella contigua Seconda Circoscrizione, sebbene in misura inferiore, si rileva una fioritura di negozi stranieri, in gran parte cinesi, lungo il suo asse principale: via Broseta. Nella zona di Loreto, inoltre, sono molti i Boliviani che abitano nelle case popolari della “Zona 167”, come si evidenzia anche dalla loro costante presenza presso il parco Loreto e il Campo 11, ma sono altresì numerosi gli Africani che si incontrano regolarmente nel luogo di culto evangelico gestito da Ghanesi presso il Centro Sociale del quartiere. Viceversa, la situazione si mostra diversa per le Circoscrizioni settentrionali. In particolare, nella Terza Circoscrizione il basso numero di stranieri è da imputarsi al carattere prestigioso delle abitazioni che sorgono lungo i pendii del Parco dei Colli. Infatti, l’unico gruppo presente in maniera significativa è quello filippino che svolge attività di tipo domestico e risiede prevalentemente presso i datori di lavoro. Nella Quarta Circoscrizione la componente straniera è limitata e costituita prevalentemente da famiglie marocchine che perlopiù alloggiano presso le abitazioni ALER del quartiere Monterosso. All’interno della Quinta Circoscrizione, sebbene la presenza di immigrati non sia delle più elevate, pare significativo il ruolo assunto da via Borgo S. Caterina. ove sorgono vari negozi gestiti da stranieri, perlopiù Cinesi. Considerando nel dettaglio la presenza asiatica, e specialmente dei gruppi nazionali più significativi sul territorio provenienti da Cina, Bangladesh, Filippine e India (Tavola 10), si rileva che essi vivono sparsi in tutto il Comune, privilegiando comunque le zone più centrali nella Prima Circoscrizione. Gli Asiatici sono complessivamente numerosi anche nella Sesta Circoscrizione, cui seguono, più distanziate, la Settima, la Seconda e la Quinta, a fronte di una quantità assai limitata in quelle nord-occidentali (Terza e Quarta). Le caratteristiche (culturali, etniche, religiose, linguistiche, lavorative…) peculiari di ciascuno dei quattro principali gruppi ne influenza la distribuzione nel Comune di Bergamo. I Cinesi costituiscono il gruppo asiatico più consistente in città e tendono a stabilirsi nei pressi dei propri negozi e servizi, descrivendo una rete di presenze tra le zone cittadine centrali e quelle in prossimità di aree di passaggio decentralizzate. A fronte di una quasi totale assenza nella Terza Circoscrizione e di una comparsa contenuta nella Quarta, si rileva una notevole componente di Cinesi 21 Si tratta di uno sportello che, operando in rete con quelli localizzati in provincia (ad Arcene, Caravaggio, Ciserano, Terno d’Isola, Treviglio e nel Basso Sebino), funge da ente di coordinamento tra le diverse realtà istituzionali e locali che si occupano di immigrazione (Questura, Prefettura, ASL, etc.), fornendo indicazioni negli ambiti lavorativo, abitativo, scolastico e sociale in genere. 22 Tuttavia, l’intensità di tale pratica è tale da impedire ogni altro utilizzo del parco da parte della popolazione locale che, come risulta dalla seguente inchiesta, non manca occasione di lamentarsene; cfr. Comune di Bergamo, 2006, pp. 36-38. 117 118 Atlante della diaspora cinese nella Prima, ove risiede circa la metà di quelli presenti nel territorio cittadino. Complessivamente, essi mostrano una distribuzione in ampie parti del territorio urbano in relazione al processo di capillarizzazione delle proprie attività commerciali. Gli immigrati provenienti dal Bangladesh, attestando una tendenza diversa da quasi tutte le altre componenti nazionali, si concentrano innanzitutto nella Sesta Circoscrizione, sono presenti in quantità rilevante nella Prima Circoscrizione, sono completamente assenti nella Terza e presentano un discreto numero nelle altre. In particolare, è proprio la Sesta Circoscrizione – da essi privilegiata – che non solo offre strutture di accoglienza nel breve periodo, ma permette altresì, qualora venga scelta quale area di insediamento nel lungo periodo, un rapido accesso al territorio provinciale mediante la prossimità sia della stazione di Bergamo che dell’autostrada e dell’asse stradale interurbano. Il gruppo filippino mostra una distribuzione pressoché omogenea nel territorio cittadino, pur con una preponderanza nella Prima Circoscrizione. Ma a differenza di altri gruppi asiatici, esso compare anche nella Terza Circoscrizione, che, come detto in precedenza, comprende una zona elitaria23 in cui è assai forte la domanda d’immigrati (nel caso filippino specialmente donne) da impiegare nella cura degli anziani e, più in generale, nel campo della collaborazione domestica. Infine, il gruppo indiano, che risiede poco nelle aree settentrionali, si concentra nelle Circoscrizioni Prima, Sesta e Settima – ove hanno sede diversi esercizi commerciali etnici – da cui può facilmente raggiungere con i mezzi pubblici la provincia per lavorare nelle piccole industrie dei paesi limitrofi (Azzano San Paolo, Seriate, Grassobbio) e nelle stalle della Bassa Pianura. 2.2. Il territorio dell’immigrazione a Bergamo: la realtà cinese Nonostante la recente tendenza di molti gruppi immigrati, tra cui quello cinese, a stabilirsi in centri di piccole e medie dimensioni, dato il carattere spiccatamente urbano-centrico di molte collettività straniere, la città rimane territorio privilegiato in cui tessere le proprie reti sociali, costituire attività ed utilizzare risorse di vario tipo nella prospettiva di un completo inserimento urbano24. È la città, infatti, ad offrire gli spazi più ampi e flessibili per l’insediamento di gruppi migranti, consentendo la creazione del cosiddetto ethnic business e fornendo le possibilità di soluzioni abitative. Gli immigrati oggi arrivano in un assetto urbano che oscilla tra degrado e riconversioni, tra la ridefinizione di alcuni spazi cittadini e le tendenze verso l’omologazione che infonde sicurezza. Dunque, essi si trovano a contatto ed interagiscono con una realtà mutevole, basando le proprie strategie di inserimento e di aggiramento degli ostacoli sulla spendibilità del proprio “capitale sociale”, attraverso una continua e costante ridefinizione della propria identità, leggibile mediante i segni che delineano il nuovo territorio a funzione mista residenzial-produttiva. Si determina un’ibridazione culturale: non un semplice meticciato demografico di diversi gruppi nazionali, bensì un mescolamento di culture, di competenze e di modi di agire. Saper decodificare ed interpretare i simboli impliciti ed espliciti, vale a dire la pluralità di tracce sparse per la città (microtrasformazioni edilizie, usi temporanei di luoghi di incontro, reinterpretazione degli spazi, risi- 23 Il gruppo filippino rappresenta la fascia più professionale e “prestigiosa” del settore domestico-assistenziale, data la lunga tradizione e specializzazione in tale campo, mentre il gruppo latino-americano, che ha iniziato a stabilirsi nel nostro Paese solo da pochi anni, rappresenta il segmento meno qualificato. Per un approfondimento si rinvia a Ambrosini, 1999, pp. 171-177. 24 Sul concetto di città si vedano i seguenti contributi, rispettivamente finalizzati a tracciarne i principali connotati quale esito di un processo di urbanizzazione ricollegabile alla mondializzazione e a mostrarla quale area di incontro di gruppi sociali diversi che generano un complesso tessuto urbano in continua evoluzione, Tronquoy, 2005; Canevaro, Colombo, Genovese, 2006. Si veda, inoltre, nel presente volume il contributo di Casti. Cinesi di Bergamo. Il territorio urbano e il sistema abitativo gnificazione di aree a funzione consolidata…) diviene fondamentale per cogliere i cambiamenti indotti da nuove presenze nello spazio cittadino. Anche nelle altre città italiane è possibile cogliere segni di mutazione in direzione multietnica, allorché si indaga una nuova realtà quale esito di frammenti di altre culture riconoscibili e distribuiti sul territorio talvolta in modo evidente, più spesso mimetizzato. In particolare, in seguito al riutilizzo di settori urbani contigui ai centri storici che ha connotato il periodo a cavallo tra gli anni Novanta e i primi del 2000, mediante l’offerta di soluzioni abitative allettanti in relazione alla tendenza da parte dei ceti medio-alti a privilegiare l’insediamento in aree di residenza suburbane, si sono delineate aree urbane multietniche. L’inserimento di immigrati, infatti, è diventato cruciale, poiché essi hanno costituito una risorsa inedita per la città: pur con costi di locazione alti – ma sopportabili grazie ad un certo grado di affollamento all’interno del medesimo alloggio – sono stati attivati da parte di queste popolazioni processi, seppur minimali, di manutenzione di un patrimonio edilizio altrimenti destinato all’abbandono25. Inoltre, mediante l’appropriazione e la rivitalizzazione della città, gli immigrati hanno conferito nuova vita a taluni spazi urbani eleggendoli a propri luoghi di ritrovo ove organizzare altresì la propria attività lavorativa26. Dunque, sovente si assiste ad un riutilizzo di aree commerciali e artigianali dismesse mediante processi di uso, appropriazione e conferimento di nuovi significati agli spazi pubblici, sia tradizionali (mercati urbani, parchi, piazze) sia inediti nel territorio metropolitano (crocicchi stradali, centri commerciali). In alcuni casi, quando la presenza straniera è preponderante, si può parlare di quartieri etnicamente connotati27 (come nel quartiere cinese di Canonica-Sarpi a Milano o del Carmine a Brescia). In altri casi, sono semplicemente spazi particolarmente frequentati dagli immigrati perché prossimi a servizi quali le stazioni ferroviarie o i centri di accoglienza. In altri ancora si tratta di piccoli nuclei lungo assi stradali di penetrazione urbana che fungono da collegamento con i centri vicini. Nel caso di Bergamo siamo in presenza di un quartiere multietnico che si estende attorno a via Quarenghi, via Moroni e via San Bernardino, ma presenta problemi di dequalificazione del patrimonio immobiliare28. Qui, accanto a sistemazioni Sebbene su scala ridotta, il riutilizzo di zone abbandonate dagli autoctoni da parte di gruppi di immigrati per le proprie soluzioni abitative e lavorative, richiama alla mente casi italiani quali, per esempio, il quartiere di Porta Palazzo a Torino, l’area della stazione di S. Maria Novella a Firenze, l’area del centro storico a Genova, il quartiere del Carmine a Brescia. 26 Tuttavia bisogna riconoscere che esistono delle pratiche discriminatorie verso gli immigrati per quanto riguarda il problema abitativo: vi sono proprietari di case che si rifiutano di affittare appartamenti agli immigrati ed altri che invece sfruttano la situazione delicata dell’immigrato affittando case a prezzi esorbitanti (Bellaviti, Granata, Novak, Tosi, 2002, pp. 8-16). Sulla situazione abitativa degli immigrati, partendo dai testi di legge ad essa riferiti e mediante un caso di studio relativo ad un’area appenninica della dorsale romagnola (l’Alta Valle del Bidente), si veda Golinelli, 2005. Inoltre, per un approfondimento circa la situazione abitativa a livello nazionale con un focus sul continuo incremento dei canoni di affitto quale problema non solo per gli strati sociali svantaggiati ma anche per il ceto medio che non possiede una casa di proprietà, si vedano: ARES, 2002; ARES, 2005. 27 Ciò che individua un quartiere etnicamente connotato è la presenza consistente d’immigrati, la caratterizzazione mediante alcuni gruppi nazionali la cui attività non si limita al solo aspetto residenziale, ma si allarga all’esercizio di pratiche economiche e alla creazione di luoghi di ritrovo e incontro. Si delinea un territorio di negozi, laboratori e attività commerciali che portano allo sviluppo di una vera e propria economia etnica, o di spazi aperti ed edifici che, localizzati in zone centrali, fungono da punti di riferimento per gli immigrati (Lanzani, 1998). 28 Si fa riferimento alla citata zona compresa fra le vie Moroni, San Bernardino e Quarenghi, ove la presenza straniera è estremamente significativa e visibile, sia da un punto di vista abitativo, sia per la localizzazione in queste vie e nelle zone circostanti di servizi e negozi etnici. Tuttavia bisogna sottolineare che, nell’ultimo anno, si è assistito ad un cambio di tendenza nel campo abitativo: infatti, è in atto un nuovo processo di riqualificazione di immobili situati in vie centrali, quale ad esempio via Moroni, da parte di enti pubblici e privati, destinati alla vendita ai ceti medio-alti, che torneranno così a ripopolare i quartieri storici e centrali della città, a scapito di quelli immigrati che, non potendoseli permettere, verranno confinati altrove in prossimità di aree più popolari. 25 119 TAVOLA 10 – L’immigrazione asiatica nel comune di Bergamo Cinesi di Bergamo. Il territorio urbano e il sistema abitativo abitative nel patrimonio degradato, si rileva lo sviluppo di esercizi commerciali o di servizi offerti a e gestiti da popolazione straniera che costituiscono una rete di luoghi frequentati non solo dagli immigrati che vi vivono, ma pure da tanti che risiedono altrove. L’attiva presenza di stranieri, quindi, conferisce linfa vitale ad un inedito paesaggio urbano che contrasta i processi di omologazione, sterilizzazione e banalizzazione indotti dalle aree commerciali di nuova creazione29. Tuttavia, in assenza di una forma di aggregazione territoriale riconducibile alle chinatown, si rileva altresì un fenomeno distributivo che caratterizza specialmente la componente immigrata cinese nel territorio bergamasco. Di là della funzione cruciale esercitata dalle vie del cuore cittadino, infatti, vi è una presenza diffusa che investe ampie parti del territorio urbano conferendo funzioni rilevanti alle strade statali e alle circonvallazioni, immediatamente fruibili da una popolazione come quella cinese caratterizzata da un’elevata mobilità sul territorio. Dunque, i Cinesi scelgono di collocare la propria casa e i propri spazi lavorativi in numerose vie della città, spesso anche in aree periferiche, tentando una diversificazione della propria presenza. Il fenomeno di rapida diffusione di attività commerciali cinesi si innesta peraltro sia sulle esigenze del gruppo nazionale, che sulla evidente crisi degli esercizi commerciali italiani, incapaci di altrettanta competitività30. La città di Bergamo si afferma non solo come luogo di residenza abitativa, ma pure come area attrattiva per pratiche commerciali cinesi alternative a quelle precedentemente collocate in metropoli a solida tradizione migratoria che, viceversa, sono ormai sature. La popolazione cinese residente nel Comune di Bergamo, quindi, costituisce spesso un’immigrazione di rimbalzo da altre città, specialmente da Milano e Brescia, in seguito alla spinta31 verso centri urbani minori esercitata principalmente da motivi lavorativi e familiari. Infatti, non bisogna dimenticare che il richiamo della catena migratoria familiare, in relazione alla presenza di amici e parenti in un determinato luogo, può indirizzare elevate concentrazioni locali di immigrati. Si tratta allora di un movimento legato, nel contesto di approdo, alla soddisfazione di esigenze minime di economicità e convenienza commerciale32. Il territorio di Bergamo viene così percepito come un nuovo mercato in cui avviare attività economiche in tempi brevi soprattutto nel settore della ristorazione (ristoranti e, più recentemente, rosticcerie d’asporto) o del commercio (pelletteria, abbigliamento…) non avendo apparentemente raggiunto un limite di assorbimento. 2.3. Luoghi pubblici e luoghi privati Contrariamente a quanto accade nei grandi centri urbani ove la presenza della 29 La presenza di immigrati nelle strade o, riferendoci più precisamente alla materialità, la comparsa di insegne di attività commerciali in lingue diverse dall’italiano, le vetrine colorate, i cartelloni pubblicitari che denotano l’esistenza di un servizio etnico (ad esempio i cartelloni posti di fronte all’entrata dei chioschi di kebab) o, nel caso cinese, le due lanterne rosse appese all’esterno dei ristoranti, sono segni identificativi territoriali che, rimandando ai caratteri culturali di chi li ha costruiti, contribuiscono a denotare e connotare il territorio dell’Altro ed evitano l’omologazione dei luoghi. 30 In particolar modo dal punto di vista economico, serpeggia fra la popolazione italiana la sensazione di essere stata invasa e boicottata da quella cinese, che sa offrire una serie di beni di consumo e di servizi a prezzi troppo competitivi nel panorama nazionale. 31 Per fattori di spinta s’intendono le motivazioni che inducono le popolazioni a lasciare i propri Paesi di origine; per fattori di richiamo s’intendono invece le caratteristiche che attirano gli immigrati nel Paese di approdo; infine, fattori di scelta sono quelli che inducono il migrante a scegliere un Paese di destinazione al posto di un altro. 32 Pur privilegiando la città come contesto abitativo e lavorativo, recentemente gli immigrati cinesi tendono a stabilirsi anche in territori debolmente urbanizzati, come i paesi di medie dimensioni, ove tuttavia la soglia minima di interesse è di 10.000 abitanti (Bellaviti, Granata, Novak, Tosi, 2002, pp. 50-51). 121 122 Atlante della diaspora cinese comunità cinese è tanto forte da determinare la configurazione di intere aree etnicamente connotate, sovente denominate chinatown33, a Bergamo gli immigrati cinesi non possiedono un’area della città ad essi consacrata. Essi, peraltro, non sono soliti ritrovarsi in luoghi pubblici, come accade presso altri gruppi nazionali di origine asiatica, quali i Pakistani che si riuniscono in piccoli capannelli davanti a grandi magazzini come il Coin e all’incrocio tra via Spaventa e via Zambonate, o i Bengalesi che si ritrovano lungo i marciapiedi di via Quarenghi, nel cuore del quartiere degli immigrati. Dal punto di vista “pubblico” la città non viene vissuta dai Cinesi come luogo di incontro, poiché l’espressione sociale della loro presenza è discreta e limitata tutt’al più alle fasce orarie consentite dagli intensi ritmi lavorativi34. Viceversa, la visibilità della componente cinese dell’immigrazione a Bergamo è riconducibile alla pratica commerciale e si esplica mediante la connotazione di segni o simboli cinesi di varia natura – ideogrammi, lanterne rosse, legno intarsiato, rappresentazione di draghi – che segnalano attività di ristorazione e di commercio al dettaglio. La fruizione della città da parte dei Cinesi avviene in modo dinamico, attraverso spostamenti tra i luoghi di lavoro e quelli dell’abitazione che determinano percorsi tra il capoluogo e la provincia. Il dinamismo, infatti, caratterizza e privilegia alcune fasce di tale popolazione, vale a dire coloro che, mediante un processo di evoluzione gerarchica su base lavorativa, hanno raggiunto il ruolo di datore di lavoro, ovvero di lăobăn35. Essi, infatti, attraverso una stretta rete di relazioni diasporiche36 con la madrepatria si occupano di reperire dipendenti tra i nuovi immigrati connazionali cui garantiscono non solo un lavoro, ma anche vitto e alloggio presso la città d’immigrazione. I Cinesi d’oltremare, dunque, creano un’organizzazione sociale che tenta di riprodurre la strutturazione del Paese di provenienza e la fascia sociale più elevata è particolarmente visibile presso le aree a chiara concentrazione residenziale e lavorativa cinese. Nella città di Bergamo non vi sono spazi pubblici che siano stati investiti da un processo intenso e peculiare di uso, appropriazione e significazione da parte della popolazione cinese. Dal punto di vista della reificazione, tuttavia, il gruppo cinese tende ad una generale azione trasformativa dei luoghi di attività privata – specialmente dei ristoranti – non solo fisica, ma pure nella modalità d’uso. Dunque, tale trasformazione si esplica sia attraverso una minuta pratica di riuso e di reinterpretazione degli spazi, sia mediante l’introduzione di prodotti e specialità culinarie importati dal Paese di provenienza. I luoghi del ritrovo e della comunicazione sono prevalentemente interni alla comunità e, ad esempio, è frequente vedere piccoli gruppi di Cinesi dentro i negozi, oppure ritrovare membri delle medesime famiglie nei ristoranti alla fine della giornata lavorativa. Talvolta anche la casa viene vissuta come luogo d’incontro negli orari di riposo, sebbene, dati gli elevati ritmi di lavoro che scandiscono la vita di molti Cinesi residenti in città, essa non venga investita di particolari valenze simboliche ma utilizzata nelle sue funzioni pratiche elementari (mangiare, dormire). Infine, generalmente non vi sono previsti spazi per il singo- 33 Riguardo alle dinamiche insediative e commerciali dei Cinesi a Milano così come ai conflitti sorti con gli autoctoni si rinvia a Comune di Milano, 1998. 34 Si sta facendo riferimento al luogo pubblico non tanto nell’accezione di spazio in cui emergono e si manifestano posizioni condivise ma, viceversa come area ove gli immigrati si aggregano. Si veda su questo punto il contributo di Casti in questo stesso volume. 35 Sul ruolo del lăobăn presso il gruppo immigrato cinese quale punto di riferimento non solo per il reperimento di un lavoro, ma anche per l’espletamento di un insieme di pratiche burocratiche volte al primo inserimento del connazionale nel Paese di approdo, cfr. Ceccagno, 1999. 36 La bibliografia rispetto al concetto di diaspora è assai cospicua. Tuttavia, per un’introduzione in contesto anglofono si rinvia a Cohen, 1997 e Cohen, Vertovec, 1999; in contesto francofono a Bruneau, 2004. Cinesi di Bergamo. Il territorio urbano e il sistema abitativo lo individuo, ma luoghi collettivi in cui è sempre presente un televisore con un videoregistratore per assistere a programmi cinesi37. Diversamente da quanto avviene nel Paese di provenienza, ove una parte rilevante della vita si svolge nelle strade e nelle piazze, le pratiche di socializzazione negli spazi pubblici costituiscono una carenza per i Cinesi residenti a Bergamo. La causa principale di tale anomalia rispetto alle consuetudini di una vita sociale e culturale intensa in Cina è riconducibile al fatto che la popolazione cinese della diaspora mantiene relazioni in rete con le comunità disseminate nel mondo e dunque non ricerca spazi di incontro con quella residente nel medesimo territorio. Ciò non toglie che i Cinesi abitanti a Bergamo intessano tra loro rapporti che, tuttavia, avvengono più facilmente passando da un “nodo” urbano come Milano o Brescia38. È piuttosto all’interno di spazi chiusi e privati – come le case ad esempio – che il Cinese rinegozia e ridefinisce la propria identità, attraverso il contatto con i propri connazionali e l’utilizzo del proprio dialetto, o impiega il proprio tempo libero rendendo visita a parenti residenti in altre città. 3. I luoghi cinesi dell’abitare a Bergamo La casa – e più in generale la questione abitativa – è una delle condizioni urbane per l’integrazione all’interno della società d’accoglienza. Tale dimensione, infatti, risulta decisiva nei processi di esclusione/emarginazione che coinvolgono gli immigrati anche presso coloro che sono regolari e possiedono un lavoro. Inoltre essa è un diritto sociale ancora più centrale per coloro che ne devono attestare il possesso per ottenere il permesso di soggiorno e, quindi, mantenere una condizione di regolarità. In Italia, negli ultimi anni, si sta verificando un processo che induce una duplice conseguenza: da un lato, si manifesta una progressiva stabilizzazione del progetto migratorio, soprattutto tra coloro che hanno un’anzianità migratoria più elevata39; dall’altro lato, si determina una spinta verso la marginalità degli attori più deboli dell’immigrazione, soprattutto tra gli ultimi arrivati. Il problema è tanto più forte quanto maggiore è il numero degli immigrati, quindi la questione diventa particolarmente spinosa in città, ove la componente straniera tende a concentrarsi. Inoltre, per allestire un’accoglienza adeguata nei confronti di flussi migratori sempre più consistenti, sono necessarie strutture alloggiative temporanee – che rispondano a bisogni immediati seppur contingenti – supportate da misure di accompagnamento per il medio e lungo periodo. Nel caso di Bergamo, le strutture abitative per immigrati sono di due tipi: sistemazioni di breve periodo (gli alloggi gestiti dai centri di accoglienza provinciali40) e quelle di medio periodo, In particolare, oltre a cd e dvd vengono molto utilizzati i vcd , una sorta di dvd assai diffusi in Cina che, tuttavia, non esistono in Italia. Tale tipo di supporto tecnologico è molto in voga, soprattutto presso i giovani cinesi durante le prime fasi dell’immigrazione. 38 Si veda il contributo di Casti in questo volume. 39 La stabilizzazione del progetto migratorio in un determinato luogo produce spesso come naturale conseguenza il richiamo dei propri familiari (mogli, figli, parenti…) nel Paese di accoglienza. L’aumento dei ricongiungimenti familiari gioca un ruolo chiave nella crescita del fabbisogno abitativo, cui dovrebbe rispondere la disponibilità di appartamenti adatti ad ospitare interi nuclei familiari a costi accessibili, benché rimanga viva l’esigenza di alloggi per singoli lavoratori che, viceversa, spesso permangono sub-standard e vengono affittati a canoni di locazione elevati. L’assegnazione di case popolari a cittadini stranieri, d’altro canto, soddisfa solo una minima parte delle richieste presentate dagli immigrati ai Comuni e quindi il disagio abitativo permane. Si veda un approfondimento su tale disagio e sugli interventi di accoglienza attivati per gli immigrati nelle province di Bergamo, Lecco, Como, in Cologna, Mauri, 2003. Inoltre, un inquadramento sulla situazione abitativa degli immigrati nel contesto regionale lombardo in: Caria et al., 2007. 40 Le strutture di accoglienza in Provincia di Bergamo sono 43, offrono circa 730 posti-letto e si rivolgono a uomini, donne, madri con minori o nuclei famigliari. Cfr. Paterniti, 2007, p. 256. 37 123 124 Atlante della diaspora cinese garantite invece dall’associazione Casa Amica di Bergamo. Tuttavia dalle informazioni reperite presso Casa Amica e presso alcune comunità di prima accoglienza operanti a Bergamo, come la Comunità Ruah, così come dall’indagine sul campo, è emersa una specificità del gruppo cinese: tali immigrati non utilizzano questo tipo di strutture e non si indirizzano a questi enti per risolvere il problema della casa41. Essi vi si rivolgono solo raramente per quesiti di natura burocratica – riguardanti per esempio il reperimento del permesso di soggiorno – dal momento che la ricerca di uno spazio abitativo non è vissuta in maniera drammatica. Diversamente da quanto accade presso altri gruppi nazionali, i Cinesi possono contare sul sostegno e sull’ospitalità da parte di parenti ed amici, così come sull’alloggio presso datori di lavoro immigrati precedentemente42. L’area della precarietà estrema non sembra quindi interessare la comunità cinese e sottolinea ancora una volta la rilevanza delle reti etniche e familiari per la risoluzione immediata di problemi pratici, grazie non solo al supporto psicologico, ma pure all’aiuto economico da parte del clan di appartenenza. A Bergamo, come detto in precedenza, non esistono quartieri abitati esclusivamente da immigrati, tanto meno da soli Cinesi (Tavola 11): si possono identificare aree a forte concentrazione immigrata, tuttavia si tratta di variazioni territoriali contenute, ove la componente immigrata, seppur talvolta cospicua e visibile, convive perlopiù con gli autoctoni. Le consistenti dimensioni informali dell’immigrazione, la grande eterogeneità etnico-nazionale, il mercato abitativo meno segregativo che in altri Paesi, il mix sociale che si riscontra nel tessuto urbano, dunque, sono fattori che inibiscono la forte concentrazione spaziale o l’esclusiva presenza di specifiche componenti immigrate. Le vie di maggiore aggregazione sono via Borgo Palazzo43, che si estende tra 41 Si riferisce nel presente paragrafo e in altre parti dei capitoli successivi dell’indagine sul campo condotta – sotto la direzione di Emanuela Casti – dal gruppo di geografi della Facoltà di Lingue e Letterature Straniere dell’Università di Bergamo nel corso degli anni 2005-2006, con l’appoggio e la mediazione della studentessa Qiyan Zhan. La ricerca, mediante l’intervista ad alcuni interlocutori privilegiati e la compilazione di questionari da parte di un campione di Cinesi residenti a Bergamo, aveva lo scopo di approfondire l’organizzazione socio-territoriale di tale gruppo nazionale nella prospettiva di farne emergere le pratiche di fruizione degli spazi pubblici e privati, le modalità associative e le relazioni con la madrepatria. Essa, dunque, focalizzando aspetti qualitativi eminentemente di natura geografica, ha permesso di completare il quadro della situazione cinese nel territorio bergamasco fornito dai dati statistici prodotti dai diversi enti locali. 42 Bisogna tuttavia sottolineare che, negli ultimi anni, anche presso gruppi nazionali, specialmente asiatici – come Cinesi, Filippini, Cingalesi, ecc… – che generalmente non avevano problemi nella ricerca di un alloggio grazie all’aiuto delle reti etniche, il reperimento dell’abitazione (soprattutto nelle grandi città) è divenuto problematico, a causa della precaria situazione insediativa diffusa, tanto che anche questi gruppi hanno iniziato a ricorrere ai bandi di concorso per l’assegnazione di case di edilizia pubblica. Un altro fattore da non sottovalutare al riguardo è che tali immigrati sono persone dotate perlopiù di un reddito che permette loro di muoversi sul mercato. Il problema semmai è che esistono delle vere e proprie discriminazioni nei loro confronti, per cui i proprietari di case e pure alcune agenzie immobiliari o si rifiutano di affittare e vendere a stranieri (soprattutto ai gruppi nazionali maggiormente stigmatizzati, come Albanesi, Slavi o cittadini dell’Est-Europa) o, qualora lo facciano, approfittano della situazione chiedendo somme rilevanti, costi aggiuntivi, persino stipule di fideiussioni bancarie. Un approfondimento sul disagio abitativo degli immigrati in Italia in Bellaviti, Granata, Novak, Tosi, 2002; sul rilevamento e sullo studio del fenomeno, cfr. ARES, 2000. 43 La notevole concentrazione cinese in via Borgo Palazzo è probabilmente dovuta al richiamo delle reti etniche tra connazionali. In effetti, il fatto che diversi appartamenti sono di proprietà di cittadini di nazionalità cinese, ceduti in affitto a parenti e conoscenti, ha contribuito al formarsi in questa zona, che si va arricchendo di numerose attività etniche, di una piccola comunità sinica. Un altro elemento di forte appeal è la presenza della Questura in tale zona, in quanto spesso la contiguità di punti di riferimento importanti – anche istituzionali come in questo caso – gioca un ruolo non indifferente nell’orientare le dinamiche insediative del gruppo cinese. Quando, infatti, si chiede ad un Cinese che risiede a Bergamo dove si trovi la sua abitazione, egli suole citare un luogo noto come la stazione o una scuola frequentata dai figli, per situarsi e situare l’interlocutore nello spazio. TAVOLA 11 – I luoghi cinesi dell’abitare a Bergamo 126 Atlante della diaspora cinese la Prima e la Sesta Circoscrizione, via Carnovali e via Zanica localizzate nella Settima e via Maj nella Prima44. Tuttavia, gli insediamenti della popolazione cinese nel capoluogo bergamasco sono discreti, quasi mimetizzati, si situano negli interstizi dello spazio urbano, secondo una dispersione a “pioggia” e si concentrano maggiormente laddove sono presenti attività e servizi indirizzati a questa collettività immigrata. Siamo di fronte ad un paesaggio poco visibile, che parte da un radicamento silenzioso e molecolare, e si espande, trovando dei primitivi punti di attacco e conquistando nuovi spazi di vita e di produzione45. Gli ambienti più interni dell’immigrazione cinese sono protetti, frequentati quasi in modo esclusivo e impenetrabili agli altri, contesti in cui l’immigrato talvolta ricrea – anche su piccola scala – il milieu46 della propria popolazione, che può facilitare l’ambientamento degli ultimi arrivati. Sono ambienti strutturalmente multifunzionali, in cui la contiguità residenzaluogo di lavoro diventa una peculiarità per il gruppo nazionale. Lo spazio dell’abitare (e pure del lavorare) costruisce un territorio del sé, entro il quale si esplica un reticolo di fitte interazioni, legate alla cura dei figli, alla vita familiare, al lavoro, alla gestione delle relazioni parentali e alla creazione di una spessa rete di guānxì, forme di reciproco sostegno e scambio47. Siamo di fronte ad un “territorio nel territorio”, con confini non visibili e tuttavia netti. Tra le forme abitative privilegiate dalla comunità cinese, si registra una netta propensione verso l’acquisto, in quanto questo viene considerato un investimento a lungo termine, più vantaggioso e sicuro rispetto alla locazione di un appartamento. Molti Cinesi, inoltre, possiedono notevoli capacità di spesa e disponibilità di denaro contante, cosicché l’acquisto della casa avviene in maniera piuttosto rapida. In caso di locazione di un alloggio, comunque, si tende a preferire la tipologia del trilocale, che permette un’organizzazione delle stanze tale per cui diversi nuclei famigliari – solitamente appartenenti al medesimo clan – condividono spazi comuni (la cucina, il soggiorno, il bagno). Come già accennato, poi, sia l’acquisto che l’affitto della casa avviene secondo precisi criteri localizzativi riconducibili alla presenza di punti di riferimento, come la scuola per i figli e attività commerciali gestite da connazionali, o alla vicinanza di parenti e amici. Un dato singolare riguarda i “pionieri” cinesi, ossia coloro che arrivarono per primi in città, verso la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta: tra di essi si va affermando ormai la tendenza ad acquistare interi stabili, ove risiede poi una popolazione esclusivamente, o quasi, connazionale48. Negli immediati dintorni, poi, possono nascere e distribuirsi servizi e negozi cinesi, volti a soddisfare le esigenze della popolazione stabilitasi in quei luoghi. Si evidenzia così un’altra peculiarità abitativa del gruppo cinese, ossia la prossimità dell’abitazioPer i dati riguardanti la distribuzione degli immigrati cinesi in città si ringrazia l’Agenzia Sistemi Informativi del Comune di Bergamo ed in particolar modo il signor Tarcisio Rigoletto per la disponibilità e la competenza dimostrate nel fornirli. 45 Si può parlare allora di “conquista della città”, che contempla l’estensione e l’incremento delle relazioni familiari, di gruppo, sociali e che prevede comunicazione, connotazione del luogo di insediamento per attrezzarlo in maniera autonoma e completa, delineando un proprio micromondo. 46 Tale concetto è ripreso dalla geografia francese e identifica un territorio fortemente permeato da atteggiamenti, comportamenti, consuetudini, segni paesistici che risultano legati o esprimono una cultura particolare. Per un approfondimento riguardo a tale concetto applicato alla Cina e alla situazione migratoria a Milano, si vedano rispettivamente Gourou, 1974 e Farina, 1997. 47 Sulle implicazioni culturali e sulle ricadute economiche di tale forma solidaristica nel quadro della rete commerciale cinese, si veda Lun So, Walzer, 2006. 48 Si parla di “case di immigrazione”, diffuse sia in quartieri dove è più forte la presenza di popolazione immigrata, sia in casi isolati di concentrazione. Per quanto riguarda la città di Bergamo, un esempio si trova in via Zanica, dove un intero stabile è stato comprato da un cittadino di nazionalità cinese e destinato ad ospitare connazionali immigrati, anche se per ora non in presenza di un adeguato sviluppo di attività commerciali nei suoi dintorni. Per un approfondimento sul tema delle case di immigrazione, si rinvia a Bellaviti, Granata, Novak, Tosi, 2002, pp. 28-29. 44 Cinesi di Bergamo. Il territorio urbano e il sistema abitativo ne con il luogo di lavoro, che trova origine nelle esigenze di accedere all’economia etnica e informale, e di costruire reticoli di relazioni locali49. Per l’acquisto della casa i Cinesi ricorrono generalmente ad agenzie immobiliari gestite da autoctoni in Bergamo – chiedendo talvolta l’aiuto di un mediatore culturale per meglio condurre la trattativa, soprattutto dal punto di vista linguistico –, accedono a mutui bancari o richiedono prestiti ai propri connazionali50. Un’ultima tipologia abitativa propria di questo gruppo soprattutto nei paesi della provincia è la sovrapposizione casa-laboratorio: in essi, infatti, ne sono localizzati molti, poiché i luoghi abitativo-lavorativi paiono meno sacrificati alle esigenze di ottimizzazione dello spazio rispetto a quello urbano. Non si sa molto di tale struttura residenzial-produttiva, in quanto essa appare impermeabile e si cela agli occhi dell’osservatore esterno. I laboratori sono comunque situati in zone e in vie minori, poco centrali, e non esibiscono insegne, se non quando ci si trova di fronte ad una commercializzazione diretta di prodotti, all’ingrosso o al dettaglio. In genere tali laboratori-abitazioni sono organizzati in uno o più locali, con un piccolo retro con i servizi, uno spazio ridotto per la cucina e, talvolta, un soppalco soprastante adibito a letto. Quando si assiste ad un commercio diretto gli spazi del lavoro e dell’abitare sono ancora maggiormente occultati all’estraneo, segno della grande discrezione e della scarsa permeabilità socio-culturale che contraddistingue il popolo cinese. 49 Spesso nelle vicinanze dei ristoranti e dei negozi gestiti da Cinesi, quando non addirittura in diretto collegamento con essi, si situano le abitazioni dei gestori, il che costituisce un micronucleo residenziale riproducibile sul territorio. 50 L’utilizzo di forme di prestito è molto frequente e viene finalizzato anche all’avviamento di attività commerciali. Lo “sdebitamento” non avviene solamente attraverso la restituzione del denaro, ma anche mediante il sistema della guānxì, vale a dire con il successivo scambio reciproco di favori. 127 129 CAPITOLO 6 Alla conquista del mercato: un processo di territorializzazione economica di Alessandra Ghisalberti 1. Tra identità e solidarietà: reti etniche e associazionismo degli immigrati cinesi Nel quadro delle migrazioni da lavoro, i Cinesi si muovono prevalentemente per ragioni di tipo economico. Ne consegue che la loro distribuzione sul territorio italiano, lungi dall’essere uniforme, si concentra maggiormente nelle aree percepite come idonee ad attuare il proprio progetto di mobilità in tempi brevi1. In particolare, a differenza di quanto avviene presso altri gruppi nazionali, la distribuzione territoriale dei Cinesi dipende dalle opportunità di creare attività autonome in relazione sia al contesto economico delle società locali che alle occasioni lavorative offerte dal mercato occupazionale. Dunque, la finalità imprenditoriale è alla base del percorso migratorio, che non si caratterizza affatto come emigrazione di manodopera. Nelle società odierne post-fordiste2 la collettività asiatica è quella che presenta un inserimento lavorativo e sociale decisamente stabile, bassi tassi di irregolarità e di disoccupazione e una spiccata vocazione per il lavoro di tipo autonomoimprenditoriale3. Tale dato è il risultato di una serie di fattori che interagiscono fra loro, il più rilevante dei quali è il capitale sociale costituito dalle abbondanti risorse relazionali fornite dalle reti etniche4. Naturalmente ogni gruppo nazionale si distingue per quantità e qualità di risorse che possiede e che consentono ai 1 Infatti, i Cinesi adottano nel Paese di approdo strategie di evoluzione socio-economica nella prospettiva di accedere nel minor tempo possibile da una condizione di dipendenza ad una di autonomia professionale. Tale dato è stato osservato in primis a Prato, il principale contesto d’immigrazione cinese in Italia, come si rileva in Colombi, 2002, p. 5. 2 Il modello economico fordista era quello imperniato sulla centralità dell’industria con produzione di massa e lavoro a tempo pieno ed indeterminato; viceversa, quello post-fordista ha visto un’evoluzione in direzione della flessibilità sia degli orari che dei contratti lavorativi. Per un approfondimento sociologico, si veda Sforza, 2005. 3 Si deve considerare la marcata polarizzazione dei cittadini asiatici nei comparti della ristorazione, del commercio e del lavoro domestico. Nel caso specifico di Bergamo e della sua provincia, oltre ad una notevole presenza di negozi e servizi cinesi, si stanno affermando nel settore del lavoro autonomo gruppi asiatici di più recente immigrazione, quali Bengalesi e Pakistani (specializzati nella gestione di piccoli negozi di alimentari e di phone center), Siriani (occupati in special modo nel campo dell’edilizia e della tecnologia), Iraniani (impiegati nell’import-export e nella vendita di articoli di artigianato etnico, tessuti e tappeti). Al contrario, il gruppo latinoamericano rappresenta il segmento più debole del mercato del lavoro, sia per quanto riguarda gli alti livelli di disoccupazione, sia per la tendenza all’impiego nel lavoro irregolare, condivisa con il gruppo est-europeo. 4 Per un approfondimento sul ruolo-chiave delle reti di immigrati e sui loro legami con le politiche migratorie si veda La Rosa, Zanfrini, 2003; in particolare, sulle reti etniche di Jugoslavi, Albanesi e Ghanesi nel Friuli, cfr. Ibidem, pp. 98-113; su quelle di Bengalesi e Pakistani presenti in Emilia-Romagna cfr. Ibidem, pp. 120-132; sulle reti di ecuadoriani (uomini e donne) inseriti nel mercato del lavoro domestico a Genova, cfr. Ibidem, pp. 153-160; sull’inserimento di donne albanesi e marocchine nel mercato del lavoro a Milano, cfr. Ibidem, pp. 171-176 e 178-187; infine, sull’inserimento nel mercato delle collaborazioni domestiche a Napoli delle donne ucraine e polacche, cfr. Ibidem, pp. 196-223. 130 Atlante della diaspora cinese membri di sfruttare le opportunità economiche offerte. Lo stesso tasso di lavoro autonomo di un gruppo nazionale è indice della versatilità e della dovizia di mezzi di cui dispone. Dunque, le reti di connazionali, pur con fragilità e limiti, costituiscono la risorsa fondamentale – e non di rado l’unica – su cui gli immigrati possono contare, almeno per quanto concerne la prima fase di insediamento nel Paese di approdo. Le potenzialità sociali ed economiche del gruppo etnico rappresentano il punto di partenza per la risoluzione di imprevisti e problemi quotidiani. Le reti etniche occupano gli spazi lasciati vuoti da altri attori, a partire da quelli istituzionali, nella costruzione dei processi di integrazione dei nuovi arrivati e rispondono così ad un bisogno sociale che non trova altrove risposte più adeguate. Il mercato del lavoro italiano si presenta fortemente frammentato, scarsamente regolato e bisognoso di manodopera, pertanto nel settore occupazionale – specialmente nelle aree del lavoro dequalificato – le reti di immigrati sono diventate la base dell’incontro tra domanda ed offerta. Il capitale sociale viene messo in gioco sia nella sua dimensione cognitiva, vale a dire nella condivisione di informazioni e contatti necessari per accedere ad un impiego, sia nella sua dimensione normativa, che indica per i membri di un certo gruppo nazionale la possibilità di emulare i percorsi di adattamento di coloro che li hanno preceduti, godendo della buona reputazione conquistata agli occhi dei datori di lavoro. Sovente il lavoro è il fattore che influisce maggiormente sulla collocazione delle persone nella scala sociale: esso conferisce identità sociale, incidendo sull’autostima personale e collettiva, così come sulla considerazione da parte degli altri. Le reti – o network5 – di immigrati sono fondamentali per capire come le relazioni interpersonali intervengano a strutturare l’offerta economica e come il mercato del lavoro sia intriso di elementi premoderni, come il patrocinio e lo scambio di favori, dal momento che le reti influenzano le modalità di inserimento occupazionale e i percorsi di carriera nell’offerta di lavoro autoctona. A tal proposito, risulta centrale il concetto cinese di guānxì, già citato precedentemente, ossia l’abilità di costruire relazioni sociali vantaggiose (basate sulla fiducia e sul reciproco scambio di favori), di conservarle e di ricorrere ad esse per ottenere appoggi nelle proprie attività. In particolare, nel caso cinese le reti etniche sono riconducibili a zú, vale a dire all’insieme di relazioni di natura parentale di cui ogni Cinese gode per il solo fatto di appartenere ad un gruppo sociale. La presenza di reti etniche coese, forti e basate sulla fiducia6 è essenziale per la vita economica e lavorativa del nuovo arrivato. Si tratta di reti molto più concentrate ed esclusive di quanto non siano quelle della popolazione autoctona, ed in esse le diverse cerchie sociali (familiare, lavorativa, comunitaria) tendono a sovrapporsi e a coincidere, in virtù della posizione “svantaggiata” in cui si trova l’immigrato cinese al momento del proprio arrivo o durante la fase di reperimento di un lavoro. Tale obiettivo, infatti, diventa una sorta di ossessione ali- 5 La teoria dei network considera le migrazioni come incorporate in reti sociali che vanno al di là dello spazio e del tempo. Secondo tale approccio, le decisioni individuali si inseriscono all’interno dei gruppi sociali per cui gli spostamenti, compresi quelli per lavoro, non possono essere considerati come l’esito esclusivo di scelte economiche governate dalle leggi della domanda e dell’offerta, ma costituiscono fenomeni di natura primariamente sociale. Un’evoluzione di tale teoria è l’approccio “transnazionale”, che ben si adatta alla situazione diasporica cinese: l’attenzione qui cade sui processi mediante i quali gli immigrati intessono relazioni sociali composite che connettono le società di origine ed insediamento. Nasce così la figura del trasmigrante che, intrattenendo molteplici relazioni, crea campi sociali che vanno oltre le frontiere nazionali ed assumono diverse collocazioni, sia nel Paese di origine che in quello di approdo (Ambrosini, 2001, pp. 40-41). 6 “L’atto fiduciario attiva il meccanismo di riduzione dell’incertezza e della complessità sociale. Esso produce, inoltre, una forma di pressione e di controllo nei confronti del beneficiario, al fine di essere confermato. Spesso chiede pure la reciprocazione, alimentando una spirale che si autorafforza e stimola la cooperazione e la solidarietà” (Mutti, 1998, p. 50). Alla conquista del mercato: un processo di territorializzazione economica mentata dalla necessità economica e dall’esigenza di dare forma ai propri progetti emancipatori. In Italia, benché gli immigrati – almeno per ora – non abbiano saturato interi settori lavorativi, sono presenti inserimenti professionali su base etnica in cui provenienza ed occupazione tendono a legarsi in maniera molto stretta. Tale processo porta inevitabilmente alla creazione di stereotipi, talvolta negativi, talaltra rielaborati in termini positivi e di autopromozione7. Lo statuto di risorse portanti rende le reti indispensabili nella risoluzione di questioni cruciali, quali il reperimento di un alloggio, la ricerca di un lavoro, l’inserimento sociale nel Paese di approdo, la possibilità di una promozione professionale, che si identifica solitamente con il passaggio da un lavoro di tipo subordinato a quello autonomo. Inoltre, mediante il contatto con i propri connazionali, gli immigrati recuperano, riordinano e rafforzano la propria identità etnica, cercando di risituare le proprie categorie culturali e simboliche all’interno del contesto di approdo. Si delineano così identità fluide, incessantemente ridefinite nel rapporto con la società ricevente, in cui viene articolata una comune memoria culturale, collegata idealmente alle medesime origini, dunque ad un territorio di provenienza attraverso cui gli immigrati descrivono se stessi e comunicano con gli altri. Con l’evoluzione del ciclo migratorio si può giungere alla realizzazione di esperienze micro-imprenditoriali, rese possibili attingendo al serbatoio delle risorse etniche in termini economici e di capitale umano8. Ciò innesca un circolo virtuoso: le reti alimentano le imprese di immigrati che a loro volta contribuiscono alla riproduzione culturale e al consolidamento sociale della comunità. Generalmente le reti etniche cinesi sono molto forti seppur non concentrate territorialmente, pertanto la dispersione nella bergamasca non ne ha compromesso la pervasività: infatti, esse possono essere coese anche grazie alla sola concentrazione occupazionale, che cementa ulteriormente i vincoli di assistenza interni alla rete. Il capitale sociale di solidarietà, che produce un mutuo sostegno, è nel caso cinese spesso cospicuo, ma quello di reciprocità, vale a dire le risorse derivanti dai rapporti che si formano al di fuori del gruppo di appartenenza e utili a perseguire la mobilità sociale, è carente. Anche per tale ragione le reti sociali dei Cinesi si presentano come una combinazione di fragilità e di forza. Sono deboli, in quanto formate perlopiù da soggetti che occupano posizioni subalterne nelle gerarchie sociali e che possiedono risorse limitate. Dunque, la concentrazione di lavoratori in determinati settori di attività, pur costituendo il canale più veloce per inserirsi nel mercato del lavoro, preclude al migrante il processo di mobilità sociale e sbocchi alternativi a quelli pensati dal proprio gruppo di appartenenza9. Le reti sono nel contempo forti poiché i soggetti coinvolti sanno che il sostegno reciproco, la buona reputazione collettiva (miànzi10) e la netta percezione identitaria che ne derivano divengono risorse stabili per il proprio futuro. 7 Riguardo ancora alle reti etniche e alla loro rilevanza quale risorsa, si rinvia a Ambrosini, 2001, pp. 79-92. 8 Per capitale umano si intende la somma di conoscenze formative, competenze esperienziali e credenziali possedute da una persona. 9 Un gruppo nazionale fortemente inserito nel settore dell’impresa etnica quanto quello cinese è quello egiziano. Tuttavia, diversamente dalla comunità cinese, i percorsi di promozione sociale e lavorativa sono più individuali. Gli Egiziani sono infatti liberi da legami comunitari rigidi e vincolanti: più del senso di appartenenza alla comunità egiziana enfatizzano i rapporti familiari e di parentela e, talvolta, la propria identità religiosa (Ambrosini, 2001, pp. 88-92). Per un approfondimento sulle attività autonome svolte da immigrati egiziani nella città di Milano si rinvia a Id., 1999, pp. 189-194. 10 Il termine miànzi, letteralmente tradotto con “faccia”, fa riferimento ad un aspetto culturale cinese ampio che vede nella buona reputazione assunta dal singolo migrante un valore aggiunto acquisito dall’intera comunità. Essa, dunque, è un elemento fondante la collettività cinese e specialmente l’attività economica dei huáqiáo (Cinesi d’oltremare). Per un approfondimento si veda Buckley, Clegg, Tan, 2006. 131 132 Atlante della diaspora cinese Il ruolo delle reti etniche si è ulteriormente rafforzato a seguito della legge sull’immigrazione “Bossi-Fini”11 che, legando la permanenza dello straniero al proprio contratto lavorativo, riconosce il migrante in quanto forza-lavoro, contribuendo a precarizzarne la posizione nel mercato occupazionale. Dunque, con la flessibilizzazione dei tempi e dei contratti l’immigrato è scoraggiato nella ricerca di un altro impiego e preferisce restare all’interno del “mercato etnico”. La riduzione del periodo burocratico (da un anno a sei mesi) per trovare un nuovo lavoro – che necessita di un certo tipo di contratto, di determinate caratteristiche temporali, oltre che della dimostrazione di un domicilio – e regolarizzare la propria posizione comporta un aumento del senso di insicurezza e un percorso di integrazione limitato alla sfera lavorativa. Infatti tale legge, oltre ad imporre al datore di lavoro una serie di oneri discriminativi nei confronti degli stranieri, costringe l’immigrato ad una disponibilità che lo induce a vagare da un impiego all’altro, esponendolo dunque ai rischi congiunturali del fabbisogno di manodopera (Berti, 2003, p. 41). Nel caso dei Cinesi, la fruizione dei benefici di legge previsti dalle sanatorie che accompagnano le revisioni delle politiche migratorie, sono abbastanza usuali, in quanto le condizioni normative richieste (un regolare contratto di lavoro, un’abitazione adeguata e dignitosa, la titolarità del permesso di soggiorno), sono facilmente assolvibili, data la peculiare collocazione occupazionale e una certa stabilità lavorativa12. Va ricordato che le reti etniche cinesi all’origine sono attivate prevalentemente dal gruppo familiare poiché fanno capo allo zú – il clan o gruppo familiare di appartenenza13 – e, in situazioni più ampie, alla propria cerchia di amici e conoscenti che sovente appartengono ad aree omogenee dal punto di vista linguistico o persino al medesimo villaggio14. È il clan familiare che, mediante meccanismi di autoselezione sociale, vale a dire scegliendo la persona più capace e motivata a portare a termine il proprio progetto migratorio, prende in carico il viaggio d’emigrazione, mobilitando tutte le risorse economiche, sociali e relazionali a propria disposizione. Dunque, la fortuna del singolo è strettamente legata a quella collettiva espressa nel proprio clan parentale: la perdita o l’acquisizione di “faccia” (miànzi) determina conseguenze dirette presso la propria cerchia familiare. Inoltre, nonostante il livello di istruzione della popolazione cinese sia basso e non oltrepassi generalmente la scuola dell’obbligo, l’economia etnica offre risorse e potenzialità per diventare in breve tempo imprenditoriale, al contrario di quanto avviene per altri gruppi nazionali che, seppur maggiormente istruiti, svolgono attività inferiori alle specializzazioni acquisite. Da questo punto di vista emergono le molteplici opportunità offerte da un’economia che privilegia sotto il profilo occupazionale i propri connazionali15. 11 Si fa riferimento alla Legge n. 189/02 (Modifica alla normativa in materia di immigrazione ed asilo). 12 La regolarizzazione del proprio soggiorno in Italia viene effettuata dai Cinesi il prima possibile, in quanto la maggior parte di essi è solita entrare nel Paese di accoglienza in condizioni di clandestinità o semiclandestinità, a causa delle enormi difficoltà burocratiche per l’ottenimento di un visto per l’estero (Campani, Carchedi, Tassinari, 1994). 13 Come detto in precedenza, le donne cinesi sono parte attiva ed integrante dell’universo lavorativo della propria cerchia familiare e relazionale. In seguito alla regolarizzazione del 2002, esse compaiono al secondo posto all’interno del lavoro subordinato, dopo le Rumene. Rispetto a queste ultime, esse non si collocano nel campo del lavoro domestico e dell’assistenza agli anziani, ma la regolarizzazione delle loro posizioni lavorative riguarda il loro ruolo all’interno di piccole imprese di connazionali, come i laboratori di abbigliamento/pelletteria e i ristoranti (Zucchetti, 2004, p. 31). 14 Infatti, i “villaggi di migranti” (qiáoxiāng) sono piccoli paesi da cui la maggior parte degli abitanti è emigrata, la cui struttura territoriale è immediatamente riconoscibile. Essa, mediante investimenti da parte dei “Cinesi d’oltremare”, è disseminata di segni che rimandano al successo economico e al prestigio sociale che l’emigrazione porta con sé, quali per esempio le strade perfettamente asfaltate, i ponti, le costruzioni in cemento armato e i piccoli condomini a cinque piani rifiniti in marmo bianco (Farina, 1997, p. 52). 15 In virtù delle caratteristiche intrinseche di un’economia “etnica”, vale a dire che impiega pro- Alla conquista del mercato: un processo di territorializzazione economica 133 Figura 7 Funzionamento strutturale della xié huì, l’associazione tra connazionali cinesi Nel quadro delle relazioni che vengono intessute sulla base di reti etniche tra Cinesi, esiste in terra d’emigrazione una struttura di particolare rilievo: l’associazione (xié huì) tra connazionali16. Si tratta di un’organizzazione – creata spesso tra coloro che provengono dalla medesima area cinese – dotata di multiple funzioni, tra le quali una è costitutiva, ovvero è lo scopo primo della struttura medesima (Figura 7)17. Nel caso della xié huì, la funzione costitutiva consiste nel mantenimento della coesione identitaria diasporica tra “Cinesi d’oltremare” (huáqiáo), madrepatria e strutture politiche cinesi nel Paese d’emigrazione (consolato, ambasciata, …). Questi tre attori, infatti, si organizzano in forme associative transnazionali e divengono protagonisti delle relazioni della diaspora: i Cinesi emigrati si stabiliscono nel Paese d’approdo, ove tentano di creare attività imprenditoriali mantenendo relazioni commerciali con la madrepatria; la Cina mostra interessi sempre più evidenti nel supportare i propri emigrati che, una volta consolidate le proprie attività all’estero, diventano sovente propulsori di sviluppo nel Paese di provenienza; infine, la struttura politica cinese nel Paese di approdo funge da trait d’union sia con il sistema politico-economico locale che con la Cina18. La xié huì in quanto struttura è un sistema autoreferenziale, ossia capace di riferirsi a se stesso circolarmente, che trasforma le perturbazioni provenienti dall’ambiente esterno in fattori organizzativi al proprio interno. In particolare, mediante un meccanismo autopoietico, la xié huì è in grado di generare autonomamente le condizioni per la propria sopravvivenza ed il mantenimento della propria identità. Essa, infatti, a partire dalla propria funzione costitutiva, si organizza orizzontalmente mediante un insieme di istituzioni specifiche, vale a dire di apparati che s’incaricano di assolvere alla funzione costitutiva medesima. Specificamente si tratta, per esempio, delle cariche assunte da alcuni Cinesi membri dell’associazione che, diventando presidente, vice-presidente, segretario o consigliere, assumono ruoli di rilievo e coordinano le prese di decisione collettive. pri connazionali, i Cinesi rappresentano un esempio eclatante di imprenditori stranieri che hanno regolarizzato lavoratori stranieri. Infatti, nel 2002 le domande di regolarizzazione presentate sono state 22.942, di cui ben 21.388 nel solo lavoro subordinato (Fonte: Ministero dell’Interno, www.stranieriinitalia.it). 16 Per l’analisi delle reti etniche così come delle forme associazionistiche tra Cinesi, si fa riferimento ai dati desunti dall’indagine sul campo condotta nel corso degli anni 2005-2006 dal gruppo di ricerca dei geografi dell’Università di Bergamo, sotto la direzione di Emanuela Casti. Tale ricerca, basata su strumenti di terreno quali l’osservazione, le interviste (a campione e ad interlocutori privilegiati) e la cartografia partecipativa, ha avuto lo scopo di ricostruire l’organizzazione socio-territoriale del gruppo immigrato cinese nel bergamasco. 17 Il modello teorico di riferimento per l’analisi di una struttura è desunto dalla “Teoria geografica della complessità” elaborata da Turco, 1988, pp. 106-134. 18 Proprio un’associazione, per esempio, può contribuire al buon accoglimento di personaggi politici cinesi in visita in Italia, premurandosi di organizzare manifestazioni di benvenuto così come di introdurre imprenditori cinesi che operano nel territorio italiano o italiani in Cina. In questo secondo caso, è chiaro l’interesse ad instaurare ed ampliare rapporti economici internazionali che comportino altresì lo sviluppo del Paese di provenienza. 134 Atlante della diaspora cinese La xié huì, inoltre, si organizza verticalmente mediante alcune funzioni accessorie, vale a dire un insieme di finalità secondarie che concorrono ad assorbire gli effetti negativi delle perturbazioni esterne. Nella fattispecie, si delineano tre principali ambiti: politico, economico e sociale. La funzione politica è espletata dall’associazione mediante la gestione dei rapporti interni al gruppo cinese d’oltremare e delle eventuali situazioni conflittuali per casi – di natura esclusivamente civili – legati, per esempio, a problemi matrimoniali. La funzione economica si rivolge sia alla promozione dell’attività commerciale e produttiva dei connazionali che all’appoggio economico di membri che siano impossibilitati a onorare un pagamento, ma contribuisce altresì a migliorare le condizioni di sviluppo della Cina mediante la realizzazione di infrastrutture nelle aree di provenienza. La funzione sociale, infine, favorisce attività ricreative legate al tempo libero dei propri connazionali e promozionali della cultura cinese in terra d’emigrazione19, fungendo da strumento pervasivo di affermazione identitaria. Di particolare rilievo il fatto che i membri delle forme associazionistiche non possono essere Cinesi qualunque ma esclusivamente Cinesi lăobăn. Si tratta dei datori di lavoro, ovvero di coloro che nel quadro della società cinese d’oltremare hanno assunto un ruolo di rilievo sotto il profilo professionale, detenendone uno di altrettanto rilievo sotto il profilo sociale. L’appartenenza ad un’associazione di connazionali diventa, dunque, uno status symbol in grado di mostrare l’evoluzione socio-economica avvenuta presso un clan familiare. La situazione relazionale della comunità cinese nel bergamasco non differisce troppo da altre medie città italiane d’immigrazione cinese. L’organizzazione etnica favorisce lo sviluppo e la preferenza di taluni canali di inserimento nella società locale mediante l’acquisizione di un lavoro dipendente cui fa sempre seguito un tentativo – nella maggior parte dei casi riuscito – di accedere ad attività autonome. Tuttavia, a Bergamo non esistono associazioni cinesi20 dal momento che si fa riferimento a quelle milanesi, recandosi nel capoluogo lombardo per incontrare connazionali. La più nota tra di esse si chiama Yìdalì huáqiáo huárén gōng shāng huì, ovvero “Associazione commerciale e industriale dei Cinesi d’oltremare in Italia”21, e, trai suoi circa 3.000 membri22, annovera la partecipazione dei Cinesi più influenti presenti nell’Italia settentrionale provenienti principalmente da località cinesi quali Wénchéng, Rùi’ān o Wēnzhōu. Riguardo alle potenzialità e ai limiti che caratterizzano le reti e le forme associazionistiche, la vera sfida non consiste nel superarle, bensì nel considerarle come risorse flessibili e non esclusive, capaci di offrire sostegno, pur senza obblighi né costrizioni, promuovendo progetti di mobilità economica, sociale e territoriale che vincolino i percorsi soggettivi, efficaci nel contribuire alla costruzione dell’identità personale e collettiva, senza produrre chiusure e segregazioni. In particolare, facilitare percorsi di mobilità sociale agli immigrati non significa solo favorire i lavoratori di oggi, ma anche ridefinire le loro aspettative e il futuro dei loro figli. 19 Si pensi, per esempio, all’ormai tradizionale festeggiamento del capodanno cinese nel quartiere Sarpi del capoluogo milanese, che costituisce un chiaro esempio di affermazione identitaria in un territorio d’emigrazione. 20 Tale dato proviene dalla citata indagine di terreno sui Cinesi nel bergamasco. Esistono tuttavia numerose associazioni di Cinesi a Milano, tra le quali rammentiamo: Associazione Cinesi di Wencheng in Lombardia Onlus; Associazione di Imprenditori Cinesi in Milano; Associazione Cinesi di Ruian in Nord d’Italia; Associazione della Comunità Cinese di Wēnzhōu in Lombardia; Associazione Cinese della Provincia di Zhèjiāng in Milano. 21 La traduzione letterale è la seguente: yìdalì = Italia; huáqiáo = cinese d’oltremare; huárén = cinesi; gōng shāng = commercio; huì = associazione. 22 Si specifica che i membri di tale associazione sono quasi esclusivamente uomini. Esistono, infatti, altre associazioni di Cinesi in Italia cui partecipano quasi esclusivamente le donne quali, per esempio, le seguenti con sede a Milano: Associazione di Donne Cinesi in Milano; Associazione Generale di Donne Cinesi in Lombardia. Alla conquista del mercato: un processo di territorializzazione economica 2. I nuovi imprenditori La crescente tendenza ad intraprendere attività imprenditoriali e la rapidità evolutiva di questo panorama costituisce uno degli elementi caratterizzanti del rapporto immigrati-mondo del lavoro. L’imprenditoria immigrata rappresenta oggi il comparto più dinamico dell’attività autonoma nazionale, poiché si riferisce a progetti di microimprenditorialità che concernono principalmente le province di medie e piccole dimensioni, come Reggio Emilia, Brescia, Verona, Parma, Treviso o Cagliari23, a fronte di una saturazione delle aree metropolitane, tradizionalmente privilegiate. Infatti, dall’inizio del Terzo Millennio l’imprenditorialità immigrata, staccandosi dalle città di antica tradizione migratoria come Milano, Bologna, Firenze e Roma, ha subito un’espansione verso nuove aree del territorio italiano, con la contemporanea nascita di inedite tipologie occupazionali. Dunque, si rileva oggi la definizione di nuove attività autonome, spesso indirizzate ai gruppi immigrati, quali per esempio call center, internet point, agenzie di viaggio, saloni di bellezza o videoteche. Un dato di particolare rilievo è che circa il 95% dei titolari di impresa con cittadinanza straniera proviene da Paesi non appartenenti all’Unione Europea24. Le ragioni dello sviluppo tanto rapido quanto sorprendente dell’imprenditoria degli immigrati25 sono riconducibili a diversi fattori strettamente intrecciati fra loro. In primo luogo, nel quadro delle economie post-fordiste instabili, frammentate e orientate perlopiù verso i servizi, cresce la richiesta di lavoro dequalificato in posizioni subalterne. Laddove il mercato del lavoro si presenta fortemente segmentato26, cresce lo spazio per piccole imprese e per i lavoratori autonomi disposti ad intraprendere attività27 con modeste dotazioni tecnologiche e scarsi margini di profitto, in cui la competitività si basa sulla capacità di tenere bassi i costi, sui lunghi orari di lavoro così come su versatilità e disponibilità verso le esigenze dei clienti. Si tratta di una tipologia imprenditoriale rispondente alle esigenze 23 In particolare, per quest’ultima città si veda l’attenta analisi della distribuzione territoriale delle imprese cinesi condotta in Gentileschi, 2006. 24 Secondo i dati del CNA (Confederazione Nazionale Artigianato e della Piccola e Media Impresa), nel 2006 i titolari di imprese con cittadinanza extracomunitaria in Italia sono circa 97.000, cui si aggiungono i circa 41.000 titolari di aziende artigiane (www.cna.it). Permangono tuttavia non pochi ostacoli in ambito lavorativo autonomo per uno straniero, quali l’esame di abilitazione alla licenza commerciale per lo scoglio linguistico o le limitazioni di accesso al sistema creditizio. Si veda, in proposito, Ventriglia, 2003. 25 Riguardo l’imprenditoria degli immigrati, che viene più spesso definita imprenditoria “etnica”, si è soliti identificare cinque tipi di impresa che nascono dall’iniziativa economica degli stranieri: l’impresa tipicamente etnica, che risponde alle esigenze peculiari di una comunità immigrata sufficientemente insediata in terra d’approdo, fornendo prodotti e servizi non reperibili sul mercato autoctono, specialmente nell’ambito dell’alimentazione; l’impresa intermediaria, che offre alla popolazione immigrata prodotti e servizi non specificatamente etnici, ma che necessitano di rapporti fiduciari, come le attività svolte da professionisti immigrati a profitto dei connazionali (legali, mediche, di consulenza) e di servizio svolte all’interno del gruppo immigrato (agenzie di viaggi, servizi finanziari, vendita di libri, giornali, dvd in lingua originale); l’impresa esotica, che offre prodotti propri del Paese d’origine ad un gruppo di consumatori molto eterogeneo specialmente negli ambiti di ristorazione, alimentazione e spettacolo; l’impresa aperta, che meno si identifica con le radici etniche e compete sui mercati concorrenziali, per esempio nella produzione per conto terzi di abbigliamento e pelletteria, ed è gestita in piccoli laboratori dalla comunità cinese; l’impresa rifugio, di cui è esempio il commercio ambulante abusivo, ove trovano impiego temporaneo i segmenti più deboli degli immigrati (Ambrosini, 1999, pp. 125-126). Si può comunque in generale parlare di impresa etnica quando il titolare ed i dipendenti hanno origini comuni, e tale identità culturale è decisiva nella costruzione di particolari rapporti di lavoro, densi di obbligazioni reciproche, che contribuiscono a rendere competitive le imprese avviate da immigrati. 26 L’idea di segmentazione del mercato del lavoro si riferisce al fatto che non esiste un unico grande bacino in cui domanda e offerta si incontrano, ma una pluralità di nicchie, di sub-mercati, di interstizi tra loro distinti e spesso non comunicanti. 27 Tali attività portano alla formazione del cosiddetto “sottoproletariato dei servizi”, composto appunto da coloro che sono disposti a lavorare a basso costo, talvolta anche in nero. 135 136 Atlante della diaspora cinese di servizi personalizzati e ad alta intensità lavorativa, finalizzate, per esempio, alla manutenzione di infrastrutture e abitazioni, al piccolo commercio o alla sostituzione di occupazioni precedentemente svolte dai membri delle famiglie e, viceversa, ora acquistate sul mercato. Si tende a riprodurre nel settore autonomo la segmentazione del mercato del lavoro, per cui le attività più faticose e precarie, meno redditizie e collegate ad uno status sociale inferiore, tuttavia indispensabili, vengono affidate agli immigrati28. In secondo luogo, a causa della limitata competenza linguistica, del mancato riconoscimento dei titoli di studio o della scarsa conoscenza di leggi e norme si determinano discriminazioni di varia natura in presenza delle quali il lavoro in proprio costituisce per gli immigrati l’occasione occupazionale più prossima e migliorativa, una forma di auto-impiego in grado di generare un discreto reddito. In terzo luogo, aprire spazi all’imprenditoria immigrata dal punto di vista della società italiana comporta un ampliamento dell’offerta ed accresce la concorrenza, inducendo un maggiore dinamismo del mercato con il conseguente incremento delle possibilità di scelta per i consumatori. Nel caso cinese, infine, gioca un ruolo fondamentale la presenza di risorse finanziare29 ed economiche subito disponibili sia all’interno delle famiglie nucleari, che nel quadro di un complesso scambio di prestiti e favori nella cerchia del clan. Tuttavia permangono alcuni lati negativi: la microimprenditorialità immigrata può incrementare il lavoro nero e anche forme gravi di sfruttamento30. Tale mercato quindi rappresenta un dispositivo di opportunità, a patto però che venga regolato e controllato. In Italia lo strumento normativo che ha favorito l’aumento della quota di lavoratori stranieri autonomi è la Legge n. 40/98, che ha di fatto rimosso gli ostacoli alla costituzione di ditte individuali, permettendo la valorizzazione delle competenze degli immigrati. Essa ha consentito, quindi, agli immigrati regolari di aprire attività proprie o di diventare soci di imprese cooperative, conservando il vincolo della reciprocità solo per le società di capitali. Al boom delle imprese cinesi hanno concorso diversi fattori riconducibili alla situazione interna italiana (per esempio, la liberalizzazione dell’accesso al lavoro autonomo per gli immigrati31), alle specificità dell’immigrazione cinese che la 28 L’essere straniero costituisce di per sé un fattore di vulnerabilità e di rischio: la retribuzione non adeguata, ad esempio, è indice di una mentalità “coloniale”, in cui il concetto di diritto cede il posto all’aspettativa che lo straniero accetti qualsiasi tipo di scambio. Inoltre il mantenimento delle differenze etniche risulta funzionale ad una operazione di oscuramento delle nuove disuguaglianze che prendono forma all’interno delle economie post-fordiste, alimentandosi di un neo-liberismo che in nome della flessibilità, tenta di ridimensionare i diritti dei lavoratori” (Zanfrini, 2004, pp. 69-70). 29 Una parte dei proventi delle attività economiche cinesi viene inviata anche ai propri parenti in Cina per finanziare imprese in patria, per l’acquisto di proprietà immobiliari o per il proseguimento degli studi dei più giovani: si parla in questo caso di rimesse. Esse possono anche costituire una specie di assicurazione contro la disoccupazione, la vecchiaia e le cattive condizioni economiche dei parenti rimasti in patria o contribuire al finanziamento di altri familiari migranti. Nel caso cinese il canale privilegiato per il trasferimento di denaro è quello bancario, mentre non vengono molto utilizzati i sistemi money transfer, oppure ci si avvale di sistemi informali come l’invio di denaro tramite parenti o connazionali interni alla comunità e legati da rapporti di fiducia reciproca. La scelta di quest’ultimo canale è agevolata anche dalla barriera linguistica che inibisce il ricorso alle vie formali. Tuttavia, i Cinesi sono più propensi ad investire i proventi delle proprie attività per finanziarne altre nel Paese di emigrazione e ciò sta a significare anche una maggiore propensione al radicamento. Per quanto riguarda i rapporti che intercorrono fra immigrazione e flussi finanziari, si rinvia a Mansoor, Quillin, 2007. 30 Riguardo il coinvolgimento degli immigrati nelle pieghe del lavoro irregolare nei Paesi dell’Europa meridionale si invita a leggere Reyneri, 2001; per quanto riguarda invece più nello specifico il fenomeno dell’immigrazione clandestina verso l’Italia, nella quale non di rado sono coinvolti cittadini di nazionalità cinese, si rinvia a European Migration Network, 2005. 31 In particolare, l’entrata in vigore della Legge n. 40/98 ha sancito la riammissione del diritto al lavoro autonomo, così come ha favorito il ricongiungimento familiare, determinando maggiori possibilità di sviluppo del modello imprenditoriale cinese basato sulla famiglia. Alla conquista del mercato: un processo di territorializzazione economica differenziano dalle altre (le forti capacità imprenditoriali o l’elevata competitività interna al gruppo) e alle mutazioni del contesto geo-politico-economico (l’imposizione a livello mondiale della potenza economica cinese). Tuttavia, come già rilevato, al centro del successo imprenditoriale dei Cinesi d’oltremare si rileva la famiglia quale base del sistema di allocazione delle risorse comunitarie. Il nucleo familiare ristretto con il proprio sistema di valori (la pietas filiale, l’obbedienza dovuta ai genitori, …), posto in una complessa rete parentale, rappresenta l’unità di partenza del sistema economico diasporico all’interno del quale vengono costruite le strategie commerciali cinesi32. L’espansione progressiva delle proprie reti di guānxì e, quindi, l’affinamento delle proprie capacità relazionali e di interazione con la società circostante sono alla base del successo del lavoratore autonomo cinese33. Tuttavia, tale marcata presenza della famiglia nelle forme imprenditoriali si traduce non raramente in un’esclusione nei confronti dell’esterno che viene acuita da scarsi livelli di istruzione che limitano le capacità di innovazione nell’imprenditoria. Il carattere transnazionale ed extra-territoriale della diaspora cinese, consente inoltre agli imprenditori di operare non solo a livello locale, ma pure globale. I rapporti con la terra di approdo tuttavia rimangono blandi – perlopiù circoscritti all’ambito professionale – poiché la società ed il territorio ospiti vengono percepiti semplicemente come area di passaggio in cui spendere le proprie abilità e sviluppare la propria carriera migratoria. Quest’ultima caratterizza fortemente l’immigrato cinese – specialmente il Wēnzhōurén – poiché si presenta come un percorso a tappe che consente, a coloro che si dimostrano sufficientemente abili, di raggiungere lo stadio finale di imprenditori. L’evoluzione del proprio ruolo all’interno della gerarchia sociale corrisponde a un periodo preciso del progetto migratorio e a un cambiamento della localizzazione dell’esercizio in cui si lavora. Nel primo periodo si esercita il ruolo di gōng rén (lavoratore dipendente) presso il laboratorio artigianale ubicato generalmente in zone secondarie della provincia; nel secondo si intraprende l’attività indipendente e dunque si diventa gè tĭ hù (lavoratore autonomo) acquistando un negozio nei centri abitati; infine, nel terzo si raggiunge la meta, diventando lăobăn (datore di lavoro) di un ristorante, solitamente localizzato lungo strade importanti o presso centri nevralgici (Figura 8)34. Ma analizziamo nel dettaglio il caso bergamasco. 2.1. Tra casa e lavoro: il laboratorio artigianale Si comincia con lo statuto di gōng rén, vale a dire di lavoratore subordinato, che concerne solitamente la prima fase del percorso migratorio35. Il nuovo arrivato nel periodo immediatamente successivo all’ingresso nel Paese d’immigra- 32 Sul ruolo della famiglia all’interno dell’imprenditoria etnica si rinvia a Marsden, 2002, pp. 71-77. 33 Un esempio dell’imprenditore cinese di successo è rappresentato da Xu Qui Lin, il primo cinese entrato in Confindustria: 38 anni e in Italia da quindici, egli rappresenta il prototipo dell’imprenditore dello Zhèjiāng che, dopo una gavetta come cameriere in un ristorante di Firenze e come terzista per una piccola manifattura artigiana, ha fondato nel 1995 la “Giupel”, ditta che produce giubbotti di pelle e capi pronto-moda (“Io, un cinese in Confindustria. Il mio segreto: unire le forze”, in: Il Giorno, 16/10/2004). 34 La schematizzazione che presentiamo è risultata dall’analisi dei dati rilevati mediante l’indagine di terreno. Dunque, essa costituisce un riferimento di massima, cui tuttavia corrispondono eccezioni per esempio rispetto a Cinesi che non accedono ai tre livelli citati, passando direttamente dal primo al terzo oppure fermandosi al primo o al secondo. 35 La definizione di questo come primo step dell’evoluzione gerarchica non tiene conto di alcuni casi, perlopiù limitati nel territorio bergamasco, di coloro che prima di accedere ad un lavoro come dipendenti praticano la vendita ambulante in nero lungo le principali vie del passeggio cittadino. Si tratta di un’attività solitamente privilegiata da altri gruppi nazionali (per esempio Senegalesi) che, tuttavia implica marginalmente anche alcuni casi di Cinesi. 137 138 Atlante della diaspora cinese Figura 8 L’evoluzione della condizione socio-economica dell’immigrato cinese a Bergamo zione è alle dipendenze36 di un datore di lavoro per ripagare il debito contratto per emigrare all’estero. Secondo un accordo verbale stipulato prima della partenza dalla madrepatria, in cambio di denaro il datore di lavoro cinese in Italia si impegna con il proprio connazionale garantendogli non solamente la possibilità di ingresso nel Paese di arrivo, ma anche un appoggio nella prima fase insediativa. Il nuovo immigrato, infatti, non è sempre provvisto di documenti regolari e resta in balia di colui che gli ha permesso di intraprendere il proprio percorso migratorio. Più specificatamente, secondo l’accordo stipulato, il datore di lavoro preleva l’immigrato giunto nel bergamasco e lo conduce presso il proprio luogo di lavoro costituito solitamente da un laboratorio artigianale di pronto-moda37 localizzato in un’area secondaria della provincia. Il laboratorio non viene mostrato ma, raggruppato con altri in un medesimo stabile o in un capannone preesistente e riadattato alle nuove esigenze, si trova perlopiù in aree industriali o artigianali dei paesi, ovvero in zone periferiche38. L’espansione di laboratori nei piccoli centri deriva da un’immigrazione di insediamento molto recente, dal momento che, di là del datore di lavoro precedentemente inseritosi nel bergamasco, vi trova impiego una forza lavoro composta da Cinesi appena giunti nel nostro territorio. L’artigiano lavora sovente per conto terzi – per esempio, per ditte che commercializzano prodotti finiti di imprenditori locali o per quelle di connazionali che svolgono il ruolo di “prontista” – nel settore delle confezioni, della maglieria di fascia medio-bassa o, in misura minore, della pelletteria39. Dunque, il gōng rén, fornito di vitto e alloggio, lavora a ritmi intensi nella prospettiva di produrre il necessario per estinguere nel minor tempo possibile il debito contratto con il datore di lavoro. Contribuisce ad alimentare un’attività ad elevata flessibilità lavorativa che non di rado accetta commesse discontinue a carattere urgente, non offrendo servizi aggiuntivi di consulenza stilistica o di realizzazione di campiona- 36 In realtà il termine dipendente nella maggior parte dei casi ha valore improprio quando ci si riferisce dell’economia etnica cinese, in quanto il rapporto che lega il datore di lavoro al subordinato non si basa tanto su un contratto di assunzione, quanto su un “impegno di onore”. 37 La realizzazione di capi pronto-moda consiste in produzioni veloci, ideate e create a ridosso o durante la stagione di vendita, per rispondere ad esigenze non programmate del mercato. 38 Infatti, questo tipo di attività si differenzia da quelle presenti nei quartieri della città, in quanto non gode della medesima visibilità, non viene pubblicizzata con insegne o vetrine sfarzose e, al contrario, viene spesso mascherata. 39 Esempio classico dell’incontro tra tali caratteristiche culturali ed economiche dei Cinesi ed esigenze del mercato locale è costituito da Prato. Tale distretto, il settore dell’abbigliamento, necessitando di lavorazioni ad alta flessibilità produttiva e a costi competitivi, è gestito da immigrati cinesi che rappresentano gli ideali imprenditori conto terzi (Ceccagno, 1999). Alla conquista del mercato: un processo di territorializzazione economica ri e modelli40. Gli elementi alla base del successo sono il prezzo ridotto, la buona qualità delle lavorazioni e la tempestività della consegna, raggiunti non di rado mantenendo serrati ritmi di lavoro e, dunque, un certo margine di irregolarità41. Il luogo di lavoro, peraltro, funge anche da abitazione42 presso la quale le esigenze personali del lavoratore vengono ridotte al minimo in presenza di altri connazionali nella medesima condizione. Il datore di lavoro si incarica di tutto, compresi l’espletamento delle pratiche burocratiche che prevedono rapporti con l’esterno e l’apprendimento minimo della lingua italiana43. Dunque, il gōng rén ha il tempo di apprendere il mestiere, avvicinarsi – seppur marginalmente – alla lingua locale, allargando altresì la propria cerchia fiduciaria e relazionale: la mobilità è il perno della cooperazione tra lavoratore ed imprenditore che determina la competitività delle imprese cinesi. Una volta estinto il debito, il gōng rén comincia a fruire del proprio salario, investendo in attività imprenditoriali di parenti ed amici44: le risorse disponibili vengono impiegate per velocizzare il passaggio al lavoro autonomo. 2.2. Primi passi verso l’attività autonoma: il negozio Con la creazione di un negozio di vendita al dettaglio, l’immigrato investe i propri risparmi in un’attività che permette di massimizzare l’impiego di forza lavoro a costo praticamente nullo, limitando le spese accessorie. Egli dunque assume lo statuto di gè tĭ hù, vale a dire lavoratore autonomo titolare di un’impresa individuale, gestendo un punto vendita, per esempio, di prodotti d’abbigliamento. Tale ruolo viene acquisito da immigrati nella seconda fase del percorso migratorio all’interno di un processo di stabilizzazione. Il negozio, ubicato solitamente nell’area centrale di piccoli comuni, ove gli immobili sono più accessibili, può fungere anche da abitazione. 40 Bisogna tuttavia sottolineare che spesso tali condizioni lavorative sono sostenibili mediante l’impiego di immigrati irregolari o addirittura clandestini, ossia soggetti più deboli con una condizione precaria che non permette di accampare richieste in merito al rispetto dei propri diritti lavorativi. Non sono rari episodi di ricatto a danni di cittadini cinesi, ridotti quasi in condizioni di schiavitù per ripagare i debiti contratti per giungere in Italia. Anche la cronaca bergamasca ha portato all’attenzione l’esistenza di laboratori che impiegano immigrati clandestini, si veda: “Terno d’Isola, scoperto laboratorio con 6 clandestini”, in: L’Eco di Bergamo, 16/02/2007. 41 Nel caso italiano, il lavoro irregolare è essenzialmente di tipo subordinato, non denunciato nei Centri per l’Impiego, e di tipo indipendente, privo delle necessarie licenze ed iscrizioni. Anche nel territorio bergamasco, come rivela la stampa locale, vengono impiegati lavoratori in nero talvolta anche sprovvisti di permesso di soggiorno: “Blitz della finanza in capannone di Vertova. Lavorano 19 cinesi, molti clandestini”, in: L’Eco di Bergamo, 28/04/2005, www.ecodibergamo.it/ ecoonline/cronaca/2005/04/28_cinesi.shtml; “Lavoratori clandestini a Osio Sotto. Denunciato imprenditore cinese”, in: L’Eco di Bergamo, 23/05/2005, www.ecodibergamo.it/ecoonline/ cronaca/2005/05/23_clandestini.shtml; “Cinesi sfruttati in un laboratorio a Seriate”, in: L’Eco di Bergamo, 17/11/2005, www.ecodibergamo.it/ecoonline/cronaca/2005/11/17_cinesi.shtml; “Laboratorio clandestino ad Almenno S. Salvatore. Cinesi schiavizzati e nascosti in un buco nel muro”, in: L’Eco di Bergamo, 19/11/2005, www.ecodibergamo.it/ecoonline/cronaca/2005/11/19_cinesi. shtml; “Laboratori cinesi, blitz della GdF”, in: L’Eco di Bergamo, 16/03/2006, www.ecodibergamo.it/ecoonline/cronaca/2006/03/16_cinesi.shtml. 42 La promiscuità tra abitazione e luogo di lavoro è un altro elemento identitario che viene mantenuto nella società d’accoglienza: infatti riflette il modello di organizzazione sociale delle dānwèi (“unità”) della Repubblica Popolare Cinese, in cui la permanenza nel luogo di lavoro e la fornitura di servizi comuni, quali la mensa o la cura dei più piccoli, rispondono ad esigenze di produzione. 43 Proprio in relazione alla stretta dipendenza del lavoratore subordinato dal datore di lavoro, talvolta si rilevano rapporti densi di implicazioni sociali, in cui si mescolano protezione e sfruttamento, sottosalario e appoggio nella soluzione di problemi burocratici, sottomissione e speranza di promozione. 44 In realtà comunitarie abbastanza grandi, come ad esempio fra i Cinesi di Parigi, esistono tra i componenti di diversi clan forme di auto-tassazione per finanziare le attività nascenti di parenti ed amici. Esse prendono il nome di tontine chinoise e devono il proprio nome al banchiere lombardo Lorenzo Tonti (1630-1695), che per primo in Europa suggerì questo tipo di autofinanziamento comunitario tra imprenditori (Costa-Lascaux, Yu-Sion, 1995, p. 98). 139 140 Atlante della diaspora cinese Nel caso in cui il Cinese non possieda il capitale necessario all’apertura di un negozio, egli può praticare la vendita ambulante45 di accessori ed abbigliamento nei mercati settimanali della città o dei paesi46. Si tratta di un modo facile e relativamente veloce non solo per guadagnare, ma pure per spendere le proprie abilità imprenditoriali grazie ad una forma semplice di lavoro autonomo. Infatti, l’ambulantato offre la possibilità di dedicarsi ad un’attività che, non richiedendo particolari specializzazioni professionali e neanche una grande conoscenza della lingua italiana, permette di entrare in contatto con differenti piazze e mercati accrescendo la propria esperienza e capitalizzandola per il futuro. La vendita al dettaglio, costituendo uno dei settori trainanti dell’economia immigrata cinese, è alimentata dalla merce di intermediari quali i grossisti o gli importatori dalla Cina, così come dalla produzione dei numerosi laboratori, prevalentemente di confezioni di abbigliamento o capi di pelletteria. Dunque, anche in questo settore la connotazione etnica del ciclo produttivo è marcata, in quanto il prodotto venduto è di importazione cinese o proviene dai laboratori cinesi in Italia, mentre gli Italiani compaiono solo all’ultimo nodo della catena produttiva in qualità di acquirenti. Se gli affari vanno bene, l’immigrato si stabilizza definitivamente nel Paese di accoglienza e si dedica ad un’attività più complessa che prevede l’assunzione di dipendenti come il ristorante. 2.3. La metafora del successo: il ristorante cinese L’ingresso del gruppo cinese nel settore della ristorazione in Italia, iniziato verso la fine degli anni Settanta, è dovuto prevalentemente al fatto che fosse percepito come una forma di attività autonoma in grado di procurare notevoli guadagni in tempi brevi. Essa, infatti, per un verso richiedeva l’impiego di pochi capitali iniziali, per altro verso fruiva di manodopera a costo quasi nullo reperita prevalentemente nella larga cerchia dei familiari. Con la fine degli anni Novanta e la differenziazione dell’imprenditoria immigrata, la ristorazione cinese non costituisce più l’ambito lavorativo esclusivo dei Cinesi a Bergamo. Il ristorante, dunque, diventa il simbolo dell’immigrazione di vecchia data, quale esito di un progetto migratorio andato a buon fine e al tempo stesso mezzo per acquisire buona reputazione (miànzi) presso i connazionali appena giunti nella nostra terra. Tale attività, fonte di cospicui introiti, viene infatti localizzata lungo i principali assi commerciali, vale a dire in luoghi ben visibili e frequentati47. Rappresenta la tappa finale del progetto migratorio cinese e si colloca di preferenza in zone di forte attrazione che rendano tale investimento assai redditizio. Esso, poi, assume un ampio significato simbolico che rimanda al proprio Paese di provenienza, costituisce un’affermazione identitaria del gruppo nazio- 45 Esiste un’altra tipologia di vendita ambulante praticata dai Cinesi solitamente nella prima fase del percorso migratorio, che comporta il commercio illegale – in quanto praticato in nero – di cineserie nei punti più frequentati della città. In particolare, il vecchio business delle cravatte è stato sostituito oggi da foulard di seta, accendini, ninnoli, giocattoli, collanine, braccialetti e chincaglierie. Perlopiù si tratta di donne che, appostate nei giorni di maggiore affluenza nelle zone centrali, come via XX Settembre o l’area della stazione a Bergamo, offrono la propria merce alla popolazione autoctona. Tuttavia, tale attività viene vissuta come un’occupazione temporanea, in attesa di accedere ad uno statuto lavorativo legale. 46 Nel caso bergamasco, il mercato della Malpensata si propone ormai come luogo “multietnico” di incontro delle popolazioni immigrate, che rivestono il doppio ruolo di acquirenti e di venditori, in quanto, accanto ai banchi italiani, sono presenti quelli cinesi e quelli africani. Dunque, questo mercato funge sia da area di commercio che da punto di aggregazione e di scambi sociali. 47 Nelle fasi successive poi, quando il processo di stabilizzazione abitativa ed economica sarà consolidato, l’immigrato-imprenditore potrà considerare l’acquisto di una casa per sé in Italia o per i familiari rimasti in patria, potrà impiegare parte dei propri risparmi in attività di parenti ed amici in Cina, o vaglierà se aprire altri locali diversificando la proprie imprese (Farina, 1997, p. 136). Alla conquista del mercato: un processo di territorializzazione economica A B 141 Figura 9 Ristoranti cinesi sulla strada Briantea a Mozzo (A) e sulla Provinciale a Dalmine (B) 142 Atlante della diaspora cinese nale cinese in terra d’emigrazione ed incarna il successo economico del proprio zú (clan). Il sogno di tale successo, infatti, costituisce il principale obiettivo che accomuna i percorsi migratori dei Cinesi d’oltremare che, fin dall’apertura della Cina con l’ascesa al potere di Deng Xiaoping, attribuiscono valore determinante alla ricchezza. Il riferimento alla madrepatria emerge innanzitutto dalla denominazione, poiché sono assai numerosi i nomi – sovente scritti anche con gli ideogrammi – che recuperano designatori del Paese di provenienza (“Hong Kong”, …) o rimandano a elementi simbolici (“Muraglia”, “Huang Long”, …). L’appropriazione dei valori culturali della società cinese sottolinea l’importanza del richiamo alla propria identità. Anche la reificazione vi è strettamente collegata: il ristorante tenta di riprodurre forme di pagoda (Figura 9), impiegando materiali come il legno intarsiato o elementi etnici come le lanterne rosse48, oltre a vetrine addobbate con vasi, bottiglie di liquori, dragoni, raffigurazioni di paesaggi, esibiti con particolare cura nella facciata esterna del locale. Anche gli interni richiamano la cultura cinese con paraventi, acquari, plafoni e decorazioni che uniformano il ristorante cinese in molte parti del Mondo rendendolo immediatamente riconoscibile. Ricalcando fedelmente l’arredamento dei ristoranti del distretto di Wēnzhōu, rimandano ai valori propri di quella cultura: la presenza di un acquario e di quadri che rappresentano cascate e corsi d’acqua si ricollega alla centralità dell’acqua presso una “civiltà idraulica”; i dipinti a parete di paesaggi a tinte forti49 restituiscono la tradizionale rilevanza del rapporto uomo-natura, con la centralità di quest’ultima; il continuo ricorrere di alcuni animali come il drago o la tigre rinvia ad una precisa simbologia50; le decorazioni pittoriche, spesso accompagnate da ideogrammi esplicativi, non hanno valenza esclusivamente estetica, ma rimandano all’alto valore che la pittura assume nella cultura cinese quale arte di rappresentare la “perfezione del sapere”51. L’esecuzione dei vari lavori interni ed esterni è affidata a connazionali specializzati – per esempio un elettricista, un falegname e un decoratore – incaricati di ricreare un ambiente esotico ed invitante, utilizzando materiali reperiti in 48 Le lanterne rosse, che segnano la presenza di un luogo di ristoro in Cina, si riferiscono ad una della feste più importanti del calendario cinese, ossia la Festa delle Lanterne. Essa cade il quindicesimo giorno del primo mese lunare e le sue origini vanno ricercate in un’antica cerimonia che celebrava il ritorno del primo tepore del sole dopo il freddo invernale. Durante questa festa il momento del pasto ha particolare rilevanza, in quanto è usanza diffusa consumare polpette di riso ripiene di sesamo, arachidi, carne o verdure bollite in brodo di fagioli rossi. Riguardo le principali festività cinesi si rinvia al sito web progettato dal comune di Prato, http://babele.ponet.prato.it/it/htm/festivitac. 49 Secondo le pratiche taoiste e del Feng Shui, i colori rivestono un’importanza fondamentale nel contribuire all’armonia dell’universo. Il rosso, colore cardine nella cultura cinese, ha molti significati: è simbolo del calore, del maschile, dell’energia, della forza vitale. È quindi considerato come colore portafortuna. 50 Il drago, spesso presente nelle rappresentazioni pittoriche, nella simbologia cinese è un elemento fortemente significativo: esso rappresenta il maschile in natura, è una creatura benefica e beneaugurante, contrariamente alla visione medievale cristiana che lo considerava l’incarnazione del male. La sua natura essenzialmente acquatica non ha solo un significato culturale pregnante, ma pure politico-ideologico, in quanto rimanda alla Cina come “civiltà dei fiumi” e come società idraulica. La tigre bianca è simbolo invece del femminile. 51 In Cina la pittura ha sempre assunto un valore didattico, in quanto strumento capace di educare e sviluppare i valori che regolano i rapporti umani. Quattro sono le tematiche principali della pittura tradizionale: paesaggi, ritratti, uccelli ed animali, piante e fiori. La natura ha un fortissimo significato simbolico ed in essa ogni creatura è immagine di fenomeni o valori: ad esempio, il susino rappresenta la primavera, il crisantemo l’autunno, il bambù l’amicizia perenne e la longevità. Stretta è pure la connessione tra pittura e grafia, che si accompagnano sempre reciprocamente. Infatti il carattere è disegno di un elemento reale, pur avendo subito un processo di semplificazione e stilizzazione. Alla conquista del mercato: un processo di territorializzazione economica loco, o mediante grossisti ed importatori in Cina che forniscono altresì paraventi, stoviglie o abiti tradizionali per il personale del ristorante52. Tali elementi decorativi attraggono gli occidentali alla ricerca dell’esotico e contribuiscono a svelare alla popolazione autoctona un mondo sconosciuto, attraverso la presenza di segni “altri”53 che, ricorrenti in ogni ristorante, lo rendono familiare e rassicurante54. Tuttavia, esso ha esercitato altresì un’influenza positiva sui Cinesi che lo considerano il simbolo del successo, perché proprio la sua particolare riconoscibilità lo ha reso uno strumento di affermazione identitaria mediante il quale l’immigrato cinese è entrato a pieno titolo nella “cultura” e nel paesaggio della città moderna. Infatti la cucina è uno degli elementi più accessibili di contatto con una cultura “altra” e, nella fattispecie, la cucina cinese è una delle più diffuse poiché, insieme all’arte e alla lingua, è l’espressione della visione del mondo cinese. In essa pertanto si traducono i valori di una tradizione millenaria e di uno stretto rapporto con il territorio, il rispetto dell’ambiente, la ciclicità delle stagioni, la ricerca dell’armonia e l’osservanza delle regole. Dunque, riflettendo appieno una cultura antichissima squisitamente sinocentrica ed alimentata dalla propria autoreferenza, essa costituisce un veicolo di autorappresentazione e di comunicazione, ovvero uno strumento di identità culturale55. Infine, l’ampia diffusione del ristorante cinese testimonia che si tratta di un settore particolarmente ambito in quanto fonte di successo economico per il clan (zú) di appartenenza. Infatti, tale attività garantisce innanzitutto stabilità poiché il gusto crescente per l’esotico e l’etnico, i bassi costi dei pasti e l’estrema varietà dei menù spingono molti Italiani a frequentarlo regolarmente56. L’ alta visibilità di cui gode, poi, esercita un forte appeal non solo sugli avventori, ma pure su altri potenziali imprenditori cinesi, in quanto rappresenta una sorta di luogo di formazione ove in tempi brevi si imparano il mestiere e, seppur sommariamente, la lingua grazie al contatto continuo con la clientela. Colui che apre un ristorante è un Cinese “arrivato”, spesso un ex-cuoco che, dopo anni di esperienza e dopo aver attraversato gli altri stadi, decide di investire i capitali accumulati nel tempo per diventare lăobăn, padrone della propria impresa e datore di lavoro. Tale scelta costituisce il coronamento della carriera migratoria del Wēnzhōurén, il cui percorso tuttavia è spesso diverso dal “mito migratorio”. Infatti il passaggio dal lavoro subordinato a quello autonomo può durare anche anni ed è un passo che non tutti riescono a compiere, anche perché ultimamente, soprattutto tra i più giovani, si rileva la tendenza ad emanciparsi presto dai vincoli comunitari, cercando lavoro presso Italiani. Tuttavia molti percepiscono ancora il proprio clan di 52 Ristoranti, rosticcerie e negozi di alimentari cinesi vengono riforniti anche di cibo da grosse aziende di import-export, di cui una tra le più famose è la Tang Frères di Parigi, che fu tra le prime a rifornire i ristoranti cinesi in Italia. Anche nel nostro Paese sono poi nate aziende che hanno creato una rete di distribuzione favorendo lo sviluppo della ristorazione sul territorio nazionale. Importanti sono infine i supermercati cinesi, come la catena “Hao Mai” che possiede una sede anche a Curno. 53 Si tratta di segni “esogeni”, che fanno riferimento ai tratti dell’etnicità sul territorio, sono legati all’immaginario collettivo, per cui pochi di essi (come nel caso cinese le lanterne, gli ideogrammi, l’arredamento e gli oggetti presenti in qualunque ristorante cinese) di alta riconoscibilità bastano per ricomporre l’immagine di un’identità etnica (Papotti, 2002). 54 Si può dire che ci si trova di fronte ad un “esotico globalizzato”, realizzato con elementi prodotti in serie da artigiani e pure da industrie cinesi specializzate. 55 Il cibo viene considerato dunque nella sua accezione culturale ed è espressione dell’identità cinese. Il ristorante cinese, in questa visione, diventa punto di incontro fra il sé e l’identità collettiva, in quanto ricrea tramite oggetti e simbologie ricorrenti il luogo in cui ci si può sentire a casa. Esso è soggetto e oggetto dei cambiamenti culturali e delle relazioni tra individui in continuo evolversi, crea modificazioni profonde, che possono essere eclatanti o impercettibili. Per quanto riguarda la rilevanza del cibo come elemento identitario nel processo migratorio si rinvia a AA.VV., 2003. 56 Non sono rari i ristoranti cinesi che a Bergamo, accanto a specialità etniche, offrono menù a prezzi fissi per pranzo e cena proponendo anche cibo italiano. 143 144 Atlante della diaspora cinese appartenenza come una rete di supporto e non come un ostacolo ai propri progetti. L’organizzazione lavorativa e sociale all’interno della comunità57 tende spesso a favorire il mantenimento degli elementi identitari che possono condurre a percepirsi come entità comunitaria autonoma, indipendente dal luogo di insediamento58. Naturalmente, non ci troviamo di fronte ad un’identità monolitica, in quanto l’interazione con gli Italiani spinge verso una costante ridefinizione del sé, anche se sussiste il bisogno di punti di riferimento che esprimano un’autorevolezza riguardo i valori che gli immigrati portano con sé. Benché sia ancora un processo in fieri nel territorio bergamasco, gli immigrati cinesi paiono sempre più proiettati ad espandere gli orizzonti dell’imprenditoria etnica oltre i confini tradizionali e ciò comporterà comunque il rafforzarsi del carattere transnazionale e commerciale delle imprese cinesi. Comunque, il ristorante per la popolazione cinese è il luogo che infrange i confini spaziali, perché restituisce la quotidianità di semplici elementi culturali a chi lo gestisce. Esso è un territorio estremamente complesso ed articolato, in cui molte famiglie cinesi (con i bambini che nell’orario di chiusura svolgono i compiti nella sala da pranzo) trascorrono la maggior parte della giornata: funge da luogo di incontro e di ritrovo per i familiari e le due dimensioni, privata e pubblica, vi convivono assumendo una configurazione particolare ed inedita, per cui all’interno di un medesimo luogo si dispiegano modelli di comportamento, pratiche e linguaggi profondamente diversi tra loro. 3. Le attività autonome dei Cinesi in Provincia di Bergamo Fin dall’inizio del 2000 sul territorio bergamasco si sono diffuse numerose attività che fanno capo a piccoli imprenditori cinesi intraprendenti che aspirano ad occupazioni autonome che permettano di realizzarsi secondo percorsi di mobilità sociale ascendente (fāzhàn59). La presenza cinese vi è iniziata timidamente nel corso degli anni Novanta prevalentemente nel settore della ristorazione e con il nuovo millennio si è estesa sia in città che nei paesi della provincia mediante la creazione di numerosi punti vendita. Gli ambiti in cui tali abilità imprenditoriali vengono spese sono essenzialmente la ristorazione (ristoranti, pizzerie, rosticcerie da asporto, …), l’abbigliamento (produzione, distribuzione, vendita al dettaglio, …), la pelletteria (lavorazione e vendita)60 e l’arredamento, oltre che un insieme di piccole attività connesse quali lavanderie, sartorie e negozietti. Accanto a tali attività che caratterizzano tutta l’imprenditoria cinese d’oltremare si rilevano anche pratiche inedite, 57 I caratteri culturali che si traducono poi in specifici comportamenti all’interno non solo delle imprese, ma pure della comunità sono: jiē, che corrisponde al principio di legame armonioso; lún, inteso come gerarchia, e quindi come elemento qualificante la dimensione verticale delle relazioni sociali nella visione confuciana della società, per cui ciascuno deve mantenere determinati comportamenti sociali appropriati alla sua posizione nella scala gerarchica; miànzi, il rispetto, che attiene al riconoscimento dello status e della reputazione morale dell’interlocutore; rén qíng, sono i legami di benevolenza, in base al cui principio è legittimo per un uomo d’affari far donazioni all’interlocutore o alle istituzioni per manifestare il proprio rispetto e la propria considerazione, per riconoscere lo status della controparte e così sottolineare in modo implicito la propria posizione (Guercini, 2002, pp. 42-43). 58 Proprio il ristorante, fungendo da luogo di incontro per connazionali, contribuisce a garantire la solidità del proprio gruppo nazionale. 59 Il termine fāzhàn letteralmente significa “sviluppo” e in questo contesto fa, per l’appunto, riferimento al processo di evoluzione sociale – mediante successivi step di arricchimento e acquisizione di buona reputazione – cui aspirano i Cinesi d’oltremare. 60 Gli inizi dell’imprenditorialità cinese nel settore pellettiero vengono fatti risalire alle commesse di cinturoni di cuoio per i militari tedeschi e repubblichini che presidiavano Milano durante la Seconda Guerra Mondiale, mentre a Prato inizialmente i Cinesi si erano specializzati nella lavorazione e nella produzione di borse ed accessori di paglia. TAVOLA 12 – Le attività autonome dei Cinesi in provincia di Bergamo 146 Atlante della diaspora cinese mediante l’acquisizione di officine di meccanica che lavorano per conto terzi, caffetterie e servizi di consulenza commerciali, specialmente per la gestione di ristoranti e il commercio di medicinali. Tale compresenza tipologica testimonia che, pur in un’area di recente immigrazione qual è il territorio bergamasco, si assiste ad una diversificazione del lavoro, sia perché la rapida espansione commerciale dei Cinesi ha determinato una parziale saturazione dei settori trainanti (ristorazione, commercio, abbigliamento e pelletteria) sia perché la stabilizzazione di tale gruppo nazionale nel territorio locale introduce nuove possibilità. Tuttavia l’appropriazione di specifici settori produttivi ha permesso la creazione di una forma di ethnic business che, intrecciato con elementi dell’economia locale, costituisce il modello di promozione socio-economica che consente ai membri di un clan di mobilitare le proprie risorse per diventare lăobăn. La maggior parte dei negozi e dei servizi presenti in città e in provincia sono rivolti ad una clientela multietnica, mentre lo stesso non si può dire inversamente in quanto i Cinesi tendono ad usufruire di servizi “propri”, senza appoggiarsi a quelli di altri gruppi nazionali61. L’ingresso nel mondo imprenditoriale avviene in tempi molto brevi, dal momento che l’iscrizione al registro dell’imprese e l’inizio dell’attività distano solo pochi mesi, a volte addirittura pochi giorni. L’accresciuta presenza delle donne all’interno di esercizi commerciali denota un maggiore protagonismo femminile nello sviluppo imprenditoriale che, peraltro, non concerne solamente le coniugate. Infine, la ditta è solitamente intestata al capo-famiglia, benché la presenza di una vasta rete familiare permetta una graduale evoluzione mediante la moltiplicazione di attività tra loro collegate62. Considerando la distribuzione nella provincia bergamasca dei negozi e dei servizi che la popolazione cinese offre63, si rileva che il Comune di Bergamo costituisce il nucleo attorno al quale si espandono alcune zone di addensamento di tali attività. Oltre che nella corona delineata dal territorio adiacente al capoluogo, ne emerge una consistente presenza in numerose altre aree della provincia, ad eccezione della parte più settentrionale del territorio bergamasco ove peraltro risiedono pochi cinesi. Infatti, la maggior parte dei comuni interessati dal fenomeno corrisponde a quelli che annoverano più residenti cinesi, confermando una prossimità casa-lavoro in un tessuto a funzione mista residenzial-produttiva. Più precisamente, in Provincia di Bergamo risaltano talune aree di agglutinazione (Tavola 12). Quella centrale gravita attorno al capoluogo (comuni di Almè, Azzano San Paolo, Dalmine, Seriate, Stezzano, Torre Boldone, Valbrembo) ed ha determinato una distribuzione spaziale bipolare di imprese cinesi. Nei comuni a nord del capoluogo si concentrano principalmente i laboratori, mentre in quelli a sud le attività di ristorazione. Tale differenziazione si ricollega all’esigenza di localizzare i laboratori in comuni minori, tranquilli, dagli spazi più ampi ed accessibili sia per la merce che per la manodopera, economicamente meno onerosi e dalla presenza più discreta; viceversa i ristoranti sono distribuiti lungo assi stradali di rilievo, solitamente in zone assai frequentate. 61 Ad esempio, i Cinesi non sono soliti utilizzare phone center di altre popolazioni immigrate, in quanto praticamente la quasi totalità possiede un telefono cellulare. 62 Non sono rari a Bergamo i proprietari di ristoranti titolari anche di negozi di abbigliamento: gli introiti che ne derivano permettono poi l’acquisto di immobili (appartamenti), da affittare a connazionali o a parenti. 63 I dati sono tratti dal Registro delle Imprese della Camera di Commercio di Bergamo, riferiti all’anno 2006. Le imprese sono state classificate partendo dal luogo di nascita del titolare, non considerando poi eventuali cittadini italiani nati in Cina. In tal modo, pur non avendo eliminato direttamente tutte le eventuali distorsioni, è possibile considerare più da vicino la realtà imprenditoriale cinese a Bergamo e in provincia. In particolare, si è scelto di utilizzare dati che riguardano una sola forma giuridica (ditte individuali), in quanto si tratta di quella prevalente in quasi tutte le esperienze di imprenditorialità immigrata. Alla conquista del mercato: un processo di territorializzazione economica Tra i comuni più significativi dell’area gravitante attorno a Bergamo si rilevano Dalmine, Seriate, Zanica e Stezzano. Il primo rappresenta una realtà molto vivace poiché, tra le dodici attività cinesi presenti, si passa dai ristoranti-pizzeria (“La nuova Cina”, “La pagoda” e “Settimo Cielo”) ai bar (“La caffetteria di Mariano”), dalla vendita al dettaglio – sia in negozio che ambulante – ai laboratori di abbigliamento e di pelletteria. Seriate costituisce uno dei comuni-chiave per l’immigrazione cinese in relazione alle numerose possibilità di avviare attività autonome nel quadro dei vari servizi in parte gestiti da Cinesi. Vi sono presenti: la rosticceria d’asporto “Oriente”, il negozio di abbigliamento “Happy Shopping”, alcuni venditori ambulanti e il ristorante cinese “Orchidea Bianca”. A Zanica si trovano diversi venditori ambulanti, il ristorante “Sunrise” e un laboratorio artigianale di abbigliamento e rivestimento divani. A Stezzano, infine, sono ubicati il negozio di abbigliamento “Gold star”, il ristorante “Il corallo” e tre venditori ambulanti. Emerge poi una seconda area ad occidente della città che comprende alcuni comuni della Valle Imagna – che, come abbiamo già detto, è stata denominata la Chinatown bergamasca – e dell’“Isola Bergamasca” che funge da collegamento con la Brianza e la Provincia di Milano. In particolare, nella parte più settentrionale (Valle Imagna) è consistente la presenza quasi esclusiva di laboratori di abbigliamento, specialmente nei comuni di Corna, Locatello e Sant’Omobono; viceversa, nella parte più meridionale (Isola) si concentrano negozi di abbigliamento ed accessori – a Almenno San Bartolomeo e Calusco d’Adda – mentre è operante un ristorante a Ponte San Pietro, luogo di residenza di molte famiglie cinesi. L’area orientale che ingloba i comuni della Val Calepio e, attraverso il Lago d’Iseo, si collega alla provincia di Brescia, ospita diversi laboratori di confezioni d’abbigliamento e di accessori. Nei suoi numerosi comuni sono diffusi sia i laboratori (Castelli Calepio, Grumello del Monte, Chiuduno e Trescore Balneario) sia i negozi (Gorlago) che vendono la merce in essi prodotta. Infine, vi sorgono tre ristoranti localizzati nell’area più frequentata del Lago d’Iseo e precisamente a Lovere (“Hong Kong” e “Drago d’oro”) e a Sarnico (“Al Veliero”). Il comune dalla situazione più vivace e variegata è San Paolo d’Argon, ove sono presenti ben sei laboratori che producono capi di abbigliamento e un ingrosso di import-export. D’altra parte questa zona, ed in particolare la Val Calepio, è caratterizzata dall’alta produttività di numerose piccole imprese, tra cui non mancano quelle gestite da immigrati di origine asiatica – in particolare la floricoltura di Indiani, Bengalesi e Pakistani – che compaiono meno in altre parti della provincia. A nord, a fronte di una quasi totale assenza di attività cinesi in Valle Brembana, se ne rileva qualcuna nella Bassa Val Seriana per la produzione e la vendita di abbigliamento, mentre a Vertova si privilegiano articoli di arredamento e casalinghi. Si è definita infine un’area meridionale che comprende i comuni della pianura bergamasca, solitamente dotati di buone infrastrutture, ben collegati da discrete vie di comunicazione, con un tessuto imprenditoriale autoctono operante da decenni e costituisce, quindi, la zona di maggior concentrazione anche per le attività del gruppo cinese creando un continuum col territorio milanese ad ovest, bresciano ad est e cremonese a sud. In particolare, in prossimità dei già nominati comuni di Azzano San Paolo, Dalmine e Stezzano, vi sono Osio Sotto, Osio Sopra, Boltiere, Levate e Verdello, contrassegnati dalla presenza di varie attività tra cui numerosi ristoranti cinesi. Più a sud-est, sono diffusi non solo i laboratori di abbigliamento (Bariano, Fontanella, Martinengo, Palosco, Ghisalba) ma anche ditte di confezioni di biancheria per la casa (Covo), ristoranti (Palosco) e punti vendita (Antegnate, Cividate al Piano, Comun Nuovo, Isso). Di particolare rilievo il comune di Romano di Lombardia – che funge da punto di riferimento per gli scambi commerciali sud-orientali della provincia bergamasca – ove tra 147 148 Atlante della diaspora cinese quasi una decina di attività cinesi è pure aperto un negozio polifunzionale che vende alimentari, pelletteria, casalinghi, abbigliamento e cineserie. La zona sud-ovest di questa vasta area è meno interessata dal fenomeno: gli unici comuni con attività cinesi sono Casirate d’Adda (laboratorio di pelletteria) e i due centri nevralgici di Caravaggio e Treviglio. Tuttavia, mentre il primo presenta un solo punto di vendita al dettaglio di abbigliamento, il secondo offre una maggiore varietà d’imprese con ristoranti, rosticcerie, ingrossi e venditori ambulanti. Emerge, dunque, che la spiccata propensione all’imprenditorialità di questo gruppo è esperita su gran parte del territorio provinciale, ove si è venuta a creare una fitta rete di attività spesso legate fra loro non solo da vincoli lavorativi, ma pure familiari ed amicali. All’ interno di questa trama si sta tentando una – seppur limitata – diversificazione funzionale in ognuna delle aree analizzate. Oltre alla diffusione di specifiche imprese legate alla struttura sociale ed economicoproduttiva e basate sui principali ambiti di competenza cinese (laboratori, ristoranti, commercio al dettaglio), assistiamo all’introduzione di settori inediti (consulenze commerciali, lavori di meccanica). Tale innovazione, se per un verso è riconducibile alla saturazione dell’offerta nei settori trainanti, per altro verso è imputabile ad una crescente domanda del mercato locale da parte sia di nuovi connazionali che necessitano di consulenze imprenditoriali sia della clientela italiana che richiede servizi diversificati in settori ancora poco esplorati, mantenendo la tradizionale competitività cinese. 4. Il territorio dell’immigrazione cinese a Bergamo Il processo di trasformazione territoriale indotto dalla popolazione cinese è collegato principalmente alla sfera economica, poiché sono gli esercizi commerciali – sedi di produzione, vendita o distribuzione di merci – che disegnano i tratti sinici di un paesaggio dell’immigrazione. Come abbiamo visto, non esistono nel territorio bergamasco associazioni fondate da gruppi di Cinesi né inedite forme d’uso degli spazi pubblici, dal momento che l’utilizzo delle aree urbane si riconduce in primis alla sfera lavorativa e, solo di conseguenza, alle altre64. Tutto poggia in modo pressoché esclusivo sul lavoro, sull’economia e sulla mobilità territoriale che è legata all’attrazione esercitata da possibili nuovi mercati. Tuttavia, la tipologia di pratiche che concernono il territorio cittadino si differenzia da quella della provincia, poiché nel primo vi è una prevalenza di attività di vendita al dettaglio e di ristorazione a fronte di una quasi totale assenza di laboratori di produzione che, viceversa, abbiamo visto prevalere in provincia. La tendenza cinese nel territorio cittadino, inoltre, è quella di dislocare le proprie imprese – rivolte anche alla clientela italiana – in zone di intenso passaggio e centrali per le pratiche commerciali. Infatti, se nel comune di Bergamo durante gli anni Novanta i Cinesi localizzavano le proprie attività in prossimità di quelle gestite da altri immigrati, per esempio asiatici e nordafricani, vale a dire in zone della città economicamente più accessibili, contribuendo al contempo a delineare il “quartiere degli immigrati”, viceversa dai primi anni del 2000 la situazione è mutata sensibilmente. Oggi non di rado i Cinesi acquistano direttamente sul mercato immobiliare, contribuendo a rinfoltire la fascia media delle attività commerciali nel territorio urbano e costituendo un’alternativa ai centri commerciali della periferia. Essi tendono ad aprire i propri punti vendita nelle vie non solo del 64 Anche la sfera religiosa determina mutazioni territoriali ma di scarso rilievo, in quanto la maggior parte delle pratiche ad essa correlate avviene nell’ambito familiare, per esempio presso l’angolo di culto creato nel ristorante; inoltre molti Cinesi, qualora non siano atei a causa del regime comunista, sono perlopiù cristiano-evangelici, buddisti o taoisti e partecipano ad eventuali cerimonie religiose negli appositi spazi già operanti presso le comunità di Milano o Brescia. TAVOLA 13 – Le attività autonome dei Cinesi in città 150 Atlante della diaspora cinese centro cittadino nella Prima Circoscrizione, ma anche degli altri quartieri, purché attigue a strade frequentate. Dunque, proprio la particolare vivacità di talune attività di Cinesi ha conferito nuova linfa vitale al tessuto commerciale urbano, contrastando al contempo la tendenza centrifuga indotta dagli ipermercati esterni. Considerando nel dettaglio la distribuzione di tali attività nel comune di Bergamo se ne percepiscono alcuni aspetti: sebbene siano presenti in quasi tutto il territorio cittadino, mancano totalmente nella Terza Circoscrizione, a fronte di un’elevata concentrazione nella Prima e, in misura minore, nella Quinta e nella Seconda, così come emerge una presenza discreta nella Sesta, nella Quarta e nella Settima (Tavola 13). Tale distribuzione si ricollega in modo stretto alle modalità dell’abitare cinese dal momento che, come sottolineato nel capitolo precedente, si tende a far coincidere o, quanto meno, a rendere prossimi il luogo in cui si lavora e quello in cui si abita. Dunque, la mancanza di abitazioni e attività cinesi nella Terza Circoscrizione si spiega principalmente per due motivi: è una zona di residenza elitaria in cui i pochi immigrati presenti sono prevalentemente Filippini impiegati nel settore domestico e domiciliati presso il proprio datore di lavoro; inoltre è un’area di poco passaggio e, di conseguenza, non presenta consistenti opportunità di domanda commerciale. All’interno di ogni circoscrizione esistono punti di agglutinazione ove si concentrano gli esercizi commerciali cinesi. Nella Prima, essi si dispiegano, partendo dalla stazione ferroviaria, verso est inglobando le vie Maffei, Casalino, Madonna della Neve e Verdi, mentre verso ovest si raccolgono attorno a via Quarenghi, come nel primo tratto di via Moroni e nelle vie San Bernardino e San Giorgio. Nella parte orientale della città rispetto alla stazione ferroviaria ne sorgono in via Borgo Palazzo – a cavallo tra la Prima e la Sesta Circoscrizione – e sono prevalentemente attività di ristorazione e vendita al dettaglio di abbigliamento. Nella Sesta Circoscrizione, prossima al centro, si trova la zona della Malpensata, dove ogni lunedì alcuni Cinesi espongono al mercato banchi con la propria merce, in special modo d’abbigliamento. La Quinta circoscrizione, invece, ha come area di riferimento via Borgo Santa Caterina – cui fanno capo via Pitentino, via Suardi e via Corridoni – che concentra quattro negozi di abbigliamento. Nella Seconda circoscrizione, le attività cinesi compaiono in toto lungo via Broseta, ove sono presenti due ristoranti (uno cinese ed uno sino-thailandese), una rosticceria e negozi di abbigliamento ed accessori. Nella Settima circoscrizione, in via Moroni e via Grumello hanno sede rispettivamente una rosticceria ed un piccolo bazar. Le altre attività sono maggiormente disperse verso la periferia, dove ritroviamo, ad esempio, nel Quartiere Celadina un’attività di import-export, un negozio di piante e fiori artificiali che vende pure calzature ed accessori nei pressi della Circonvallazione Paltriniano, un negozio di abbigliamento e uno di articoli per la casa in via Mangili. La Quarta circoscrizione, infine, ospita un ristorante cinese in via Baioni, con annesso un piccolo negozio di abbigliamento. Considerando le attività in base alla loro tipologia, emergono alcune specificità. In città sono presenti innanzitutto i negozi di vendita al dettaglio di merce varia, vale a dire dei “bazar” – che vanno dagli alimentari all’oggettistica e dall’abbigliamento alla profumeria – in grado di rispondere ad un ampio ventaglio di esigenze d’acquisto. Come risulta evidente dai designatori di tali esercizi, il rimando al Paese o all’area di provenienza dei gestori (Asia, Cina, Oriente) è molto frequente. Le insegne dei negozi, variopinte o semplici che siano, richiamano i valori culturali del gruppo cinese, divenendo strumento di riconoscimento per la popolazione immigrata65 e, nello stesso tempo, marche identificative di 65 Nelle grandi città o nei centri ove la presenza cinese è più diffusa e radicata nel tempo, come ad esempio a Prato o a Milano, esistono diverse attività rivolte solo alla popolazione cinese: esse sono connotate da insegne con la sola scritta cinese e servono una clientela esclusivamente di connazionali. L’ingresso talvolta non è marcato, in quanto i locali riservati ad una clientela abituale non sono pubblicizzati. Alla conquista del mercato: un processo di territorializzazione economica una cultura “altra” per i locali. Infatti, l’utilizzo di designatori che rimandano al mondo cinese ha una duplice valenza: non solo permette di individuare l’“altro” con immediatezza, ma attrae anche gli autoctoni per il particolare fascino del lontano, misterioso esotico; al contempo, tuttavia, esercita un richiamo per i connazionali, fungendo da elemento di affermazione identitaria di un gruppo nazionale e proponendosi altresì come servizio che offre prodotti non disponibili presso i negozi italiani. Le insegne di tali esercizi spesso presentano scritte bilingui: talvolta in italiano e cinese66, talaltra in cinese e inglese, o addirittura, come nel caso del China Market – Articoli Regalo Orientali – Specialità Alimentari Orientali di via Quarenghi, in ben tre lingue (cinese, inglese ed italiano). L’insegna di questo negozio, in riferimento alla merce venduta, si rivolge esplicitamente ad una clientela eterogenea con una vasta gamma di prodotti: dalle innumerevoli varietà di riso – che incontrano i gusti di Italiani, Cinesi, Indiani, Arabi… – al vino senza alcool per i musulmani, a tutto un insieme di prodotti di note marche italiane. La sua polifunzionalità – che vede la compresenza di alimentari, abbigliamento e oggettistica – lo rende un punto di riferimento essenziale per una clientela di nazionalità diversa, in relazione anche alla sua ubicazione nella via Quarenghi: la via più multietnica della città, ove convivono Italiani e stranieri, con una prevalenza di attività di immigrati. Infatti, il “China Market” funge da polo catalizzatore anche per altre attività cinesi della via: accanto ad esso, infatti, si vede un negozio di abbigliamento, senza alcuna insegna, oltre ad un negozietto di cineserie e bigiotteria e al “Muraglia”67, che commercia articoli di pelletteria e bigiotteria. In città sono presenti altri negozi polifunzionali cinesi, ad esempio in via Borgo Palazzo e in via Mangili, ma gli esempi più significativi sono costituiti dall’“Oriental African Market 2” nei pressi della stazione ferroviaria e dall’“Asia Store” di via Maffei. Il primo è un “bazar” sino-cambogiano68 che vende alimentari di varie tradizioni culinarie – non solo cinesi – ed articoli di profumeria ed è contrassegnato da lanterne rosse all’ingresso quale chiaro segno di “cinesità”69. Inoltre, è dotato di un’insegna particolarmente variopinta con una doppia scritta (inglese e cinese) e si indirizza non solo alla popolazione orientale, ma pure ad altre componenti immigrate, quella africana nella fattispecie. Il negozio di via Maffei, all’ingresso del quale ritroviamo le lanterne rosse, ha un’insegna piuttosto semplice e sobria e propone prodotti – dagli alimentari, agli accessori, alle cineserie varie – simili ad altri negozi. Tuttavia, vi si rileva una particolarità comune a diversi esercizi commerciali cinesi: la presenza di un tempietto votivo, con un Buddha, cui viene offerto dell’incenso in segno di devozione o, talvolta, del cibo70. Il significato di tale area di culto è ambivalente, dal momento che può costituire un segno religioso o semplicemente beneaugurante71. In generale, dicevamo, sono i designatori degli esercizi commerciali cinesi 66 Di solito, la scritta in cinese serve ad individuare la tipologia del servizio offerto, mentre la scritta nell’alfabeto occidentale (italiano od inglese che sia) permette di identificare il nome proprio dell’esercizio commerciale. 67 È evidente in questo caso il richiamo alla Muraglia Cinese, uno dei simboli culturali più importanti della Cina. 68 Insieme al “China Store” di via Quarenghi, rappresenta il più vecchio esercizio commerciale cinese in città. 69 Anche se il loro uso qui appare improprio, in quanto esse sono utilizzate all’esterno dei ristoranti, in Cina, per segnalare luoghi dove è possibile mangiare. 70 Un simile tempietto votivo è presente anche nel “China Store”. 71 Tra le religioni arrivate da oltre confine, il buddismo fu quella che ebbe maggior influenza. A differenza del confucianesimo o del taoismo, il buddismo si diffuse tra tutti gli strati della società. In Cina il buddismo subì nel corso dei secoli un’opera di “sinizzazione”, integrandosi con la tradizione confuciana dominante. Così in tutta la Cina andò affermandosi una religione, seguita ancora oggi da molti, che mescola confucianesimo, buddismo e taoismo (Tuan, 2003, pp. 45-47 e 57). 151 152 Atlante della diaspora cinese che ci permettono di individuarli immediatamente. Tuttavia ciò non accade sempre, come nel caso della lavanderia-sartoria di via Casalino, connotata semplicemente dalla scritta stampata sul vetro “Lavanderia”, o del negozio di abbigliamento, calzature, accessori e casalinghi72 “Bergamoda“ di via Borgo Palazzo e negli esercizi commerciali di via Suardi e via Longo, ove l’insegna è costituita semplicemente dalla scritta “Abbigliamento – Calzature – Casalinghi”. Data la loro localizzazione all’esterno del “quartiere degli immigrati”, si tratta di negozi che si rivolgono perlopiù ad una clientela autoctona, per cui non è necessaria una distinzione dagli esercizi commerciali italiani. Inoltre, vi sono negozi che non possiedono alcuna insegna propria ma sono individuabili grazie alla tipologia dei prodotti offerti: in tal caso si tratta di negozi molto piccoli, come quello accanto al ristorante cinese di via Baioni, di recente costituzione e contiguo all’altro esercizio commerciale, in cui la connotazione del maggiore serve anche il minore. Esistono poi sovrapposizioni di insegne commerciali vecchie e nuove, come nel caso del “Family Store”73 di via Borgo Palazzo ove l’attuale insegna impressa sul vetro si accompagna alla vecchia insegna del precedente negozio; oppure si mantiene l’insegna di prima, come nel negozio di abbigliamento all’inizio di via Corridoni che esibisce quella appartenuta ad un altro esercizio commerciale. In tal caso si attesta il riutilizzo di uno spazio precedentemente occupato da attività di Italiani, cui corrisponde un’azione essenzialmente conservativa, dove vecchia e nuova denominazione convivono, grazie allo scenario plurale di cui esse fanno parte74. Talvolta ancora si può verificare il semplice riutilizzo del designatore italiano precedente, come nel negozio di via Borgo S. Caterina “Abbigliamento Lina”, dove si è pure mantenuta pressoché invariata la struttura interna del vecchio negozio, apportandovi cambiamenti minimi. Per quanto riguarda i ristoranti cinesi, va precisato che costituiscono la seconda categoria di attività presenti nel territorio urbano. Essi si trovano principalmente nel centro della città, nelle zone più trafficate e spesso in prossimità di altri esercizi commerciali cinesi. Più precisamente, la maggior parte di essi è localizzato nella Prima circoscrizione, benché se ne incontrino: due nella Seconda circoscrizione, ovvero il “Huang Long” di via Broseta e, sempre nella medesima via, verso il fondo, uno sino-thailandese; uno nella Quinta in via Pitentino (“Bambù”); uno nella Quarta in via Roccolino (“Liping”). Alcuni di essi offrono anche il servizio di gastronomia da asporto, sebbene tale funzione venga espletata anche da due specifiche rosticcerie della città: “La Pagoda” di via Moroni e l’“Hong Kong” di via Corridoni. Anche le rosticcerie, pur essendo collocate in spazi molto ridotti, arredate solo da un bancone, un tavolo, alcune sedie e la cucina sul retro, connotano un’area di ristoro con le lanterne rosse all’esterno, utilizzano la doppia grafia (cinese e italiana) ed un designatore che in ambedue i casi rimanda alla geografia della Cina75, richiamando l’Oriente. I ristoranti cinesi di Bergamo, dunque, presentano le caratteristiche comuni già evidenziate, benché alcuni tra di essi, come il “Sinjah” di via Verdi, il “Liping” di via Roccolino e il “Huang Long” di via Broseta, completino la loro offerta concorrenziale con l’introduzione di pranzi di lavoro a mezzogiorno a prezzi fissi 72 Bisogna sottolineare che raramente gli esercizi commerciali cinesi offrono una sola tipologia di prodotti (ad esempio solo abbigliamento). Infatti accanto al prodotto principale, sono anche disponibili, in quantità differenti a seconda dei casi, anche casalinghi, articoli di profumeria, etc. 73 Il “Family Store” di via Borgo Palazzo e il “Gold Star” (negozio di abbigliamento all’ingrosso) di via Fantoni, vicino alla stazione, esibiscono designatori di lingua inglese: la mancanza di altri segni distintivi cinesi, quali le scritte in ideogrammi o la presenza di segni tipici, quali lanterne o draghi, denota l’intenzione di rivolgersi ad una clientela non di connazionali e molto eterogenea. 74 In questi due casi, nel vecchio impianto denominativo (le insegne dell’esercizio commerciale italiano), il ciclo dell’informazione è entrato in una fase regressiva, per cui i designatori sono scaduti al rango di referenti (Turco, 1988, pp. 166-167). 75 Infatti Hong Kong e Shànghăi sono due tra le città più importanti della Cina. Alla conquista del mercato: un processo di territorializzazione economica assai bassi e la scelta tra cucina cinese ed italiana. Altri, come il “Bambù” di via Pitentino, che occupa lo spazio di una vecchia osteria bergamasca, pur essendo connotati come ristoranti cinesi, ricercano nuove soluzioni per ottenere un contesto più ricercato e meno banale. Fatta eccezione per i ristoranti “Simpatico” di via Borgo Palazzo e “Paradiso” di via Maffei, che hanno adottato designatori italiani, vi è sempre un richiamo alla geografia del proprio Paese o ad elementi identificativi della cultura cinese, anche con l’utilizzo del doppio grafismo (alfabeto latino e ideogrammi cinesi). Ad esempio, “Huang Long” significa “Drago Giallo” che, come detto in precedenza, rimanda a significati simbolici e beneauguranti76; “Bambù” richiama invece uno dei materiali tradizionali della Cina. Dunque la denominazione gioca un ruolo determinante nel negoziare e ridefinire l’identità cinese. Per quanto riguarda i laboratori, come già rilevato, a Bergamo essi non sono numerosi, in quanto la città non offre spazi di dimensioni adatte ad ospitarli, se non quelli per la realizzazione di piccoli oggetti di bigiotteria e di chincaglierie presso le abitazioni. Gli unici presenti in città sono per la confezione di abbigliamento (via Daste Spalenga, via Cabrini, via Mangili, via Bianzana, via Rosa, via Giardini e via San Giovanni Bosco), articoli per la casa (via Mangili, via Piazzola e via Como) e pelletteria (via dell’Azzanella), ma anche per l’imballaggio di prodotti finiti (via Costantina) e per la produzione di componenti meccaniche (via per Curnasco). Essi si situano in zone poco trafficate, in quanto la commercializzazione della merce non avviene direttamente in loco, ma attraverso una rete di vendita al dettaglio. Mancano le attività volte a soddisfare i bisogni culturali, ricreativi o semplicemente di servizio della popolazione cinese del territorio bergamasco77. Per soddisfare tali bisogni ed acquistare libri o film in madrelingua, molti Cinesi residenti a Bergamo e provincia si recano a Milano, che rappresenta un mercato molto fornito da questo punto di vista. Lo è anche per altri servizi secondari quale, per esempio, il parrucchiere, o più importanti come la domanda sanitaria. I Cinesi, infatti, utilizzano il medico di base, ma assai spesso si dichiarano insoddisfatti del servizio ricevuto, poiché il medico italiano pare loro troppo sbrigativo e sovente la barriera linguistica costituisce un ostacolo alla comunicazione. 5. Tra reti etniche e Centri per l’Impiego: l’avviamento al lavoro In collaborazione con l’economia etnica, nuove opportunità lavorative per il gruppo cinese potrebbero proporsi mediante i Centri per l’Impiego (CPI) presso i quali vengono registrate tutte le assunzioni78 nel territorio bergamasco e nel76 In particolare, il lōng è il drago che vive nei cieli. A Milano, la popolazione cinese, nel quartiere delle vie Sarpi e Padova, ha sviluppato tutta una serie di servizi rivolti esclusivamente a tale comunità (trasferimento di denaro, farmacie, ambulatori, ginecologhe, chirurghi, medici, salumieri, …), attività svolte da specialisti che, nonostante si avvalgano di titoli di studio conseguiti in Cina, non sono riconosciuti in Italia e sono quindi privi di valore legale. Dunque, attorno a tali attività non di rado prospera un business che si nutre di pratiche illegali che vanno dal traffico dell’immigrazione clandestina, al contrabbando, alla commercializzazione di prodotti importati illegalmente, accanto a nuove attività redditizie come la prostituzione e il riciclaggio di denaro sporco (“Supermercato di farmaci cinesi. Dal viagra alle erbe miracolose”, in: Il Giorno, 20/03/2005; “Una grande comunità invisibile dai molti traffici”, in: Il Giorno, 20/03/2005). 78 Si tratta dell’assunzione lavorativa mediante il sistema economico privato registrata presso i seguenti Centri per l’Impiego in Provincia di Bergamo: Bergamo (n. 50), Albino (n. 41), Clusone (n. 43), Grumello del Monte (n. 44), Lovere (n. 49), Ponte San Pietro (n. 42), Romano di Lombardia (n. 46), Trescore Baleneario (n. 47), Treviglio (n. 48), Zogno (n. 50). Per un approfondimento circa il sistema lavorativo immigrato a Bergamo, nel quadro della situazione regionale si vedano i seguenti contributi che analizzano la domanda di lavoro espressa dalle aziende lombarde e il mercato del lavoro quale spia del processo integrativo attivato dagli immigrati, cfr. Colasanto, Marcaletti, 2007a; Id., 2007b; Zanfrini, 2007. 77 153 154 Atlante della diaspora cinese Grafico 15 Andamento delle assunzioni cinesi registrate presso i Centri per l’Impiego della Provincia di Bergamo Dati: reali riferiti agli anni 1990-2005 Fonte: Provincia di Bergamo l’ex-ufficio di collocamento avvengono le iscrizioni. Tali centri dovrebbero costituire oggi il punto di forza delle nuove politiche per l’impiego volte non solo a diminuire la disoccupazione e ad aumentare il tasso di attività, ma pure a migliorare la qualità del lavoro. Per quanto concerne il gruppo immigrato cinese emerge chiaramente un dato: i CPI fungono da punto di riferimento per la registrazione – obbligatoria – dei contratti lavorativi, tuttavia restano quasi totalmente inutilizzati quali strumenti per il reperimento di nuovi impieghi. Infatti, se le assunzioni registrate sono assai numerose, quale indice di una prospera attività dipendente presso questo gruppo nazionale, viceversa le iscrizioni sono piuttosto contenute in quanto i CPI sono ancora scarsamente percepiti come una concreta opportunità di evoluzione professionale79. Più specificatamente, le assunzioni di Cinesi nei primi tre trimestri dell’anno 2006 sono 51880. Sotto il profilo diacronico – riferendoci a quanto avvenuto fino al 200581 – emerge una continua progressione che ha rivelato un’impennata a partire dal 2000 (Grafico 15). Dunque, delle circa quattromila assunzioni di Cinesi registrate presso i Centri per l’Impiego bergamaschi fin dai primi anni Novanta, oltre l’85% è avvenuto a partire dal Terzo Millennio. Considerando le iscrizioni ai CPI82, come dicevamo, si rileva innanzitutto una presenza contenuta, pari a 31 Cinesi iscritti, e una leggera prevalenza femminile (17 sono donne e 14 sono uomini) in corrispondenza di una maggiore stabilità occupazionale presso la componente maschile. Colui che decide di iscriversi al collocamento è di solito un immigrato cinese privo o comunque poco dotato di quelle relazioni (familiari ed amicali) che favoriscono la costruzione di una car- 79 L’iscrizione agli uffici di collocamento dà diritto, tra l’altro, all’accesso ai servizi sociali in materia di alloggio e di assistenza sanitaria, in condizioni di parità coi cittadini italiani, come previsto dalla Legge n. 106/02 (rispettivamente art. 40, comma 6 e art. 34, comma 1). 80 Si tratta di dati sulle assunzioni di Cinesi registrate presso i CPI di Bergamo e riferiti ai primi tre trimestri del 2006 e sono stati forniti dall’Osservatorio Provinciale del Mercato del Lavoro della Provincia di Bergamo. 81 Al momento della messa in stampa del presente volume non sono, infatti, disponibili i dati riferiti all’ultimo trimestre del 2006. 82 Bisogna precisare che questi dati presentano alcuni limiti: infatti, non si è in grado di dimostrare con esattezza la situazione reale, in quanto parte dei disoccupati irregolari non si iscrive al collocamento poiché è inserito nell’economia sommersa. Inoltre, in non pochi casi l’iscrizione al collocamento viene fatta per obiettivi diversi dall’ottenimento di un lavoro (come ad esempio un alloggio o la copertura sanitaria), cosicché il dato risulta meno attendibile. Alla conquista del mercato: un processo di territorializzazione economica 155 Grafico 16 Cinesi assunti mediante i Centri per l’Impiego, suddivisi per mansione Dati: percentuali riferiti all’anno 2006 (ultimo aggiornamento: ottobre 2007) Fonte: Provincia di Bergamo riera all’interno del proprio gruppo etnico. Tuttavia, può anche trattarsi di coloro che usufruiscono dell’iscrizione per reperire un lavoro che esuli dal legame con la propria comunità d’appartenenza. Le ridotte possibilità di guadagno e di mobilità in seno al gruppo etnico determinano una forte concorrenza interna che, unita alla possibilità di apprendere meglio la lingua italiana e di ottenere fin dall’inizio un contratto regolare con un minor carico di lavoro, può indurre i nuovi arrivati a ricercare datori di lavoro italiani. Ciò quanto meno nella prima fase migratoria, poiché non pochi Cinesi considerano transitorio il lavoro dipendente, aspirando in futuro ad un’attività in proprio. Dal punto di vista distributivo (Tavola 14), si riscontra ancora la centralità della città e dei comuni limitrofi, poiché presso il Centro per l’Impiego di Bergamo risulta registrata la maggior parte dei Cinesi. Si rileva, poi, una presenza cospicua nell’area meridionale della Provincia così come in direzione di Brescia, rispettivamente nel Centro per l’Impiego di Romano di Lombardia e in quelli di Trescore Balneario e Grumello del Monte. Per contro, le aree pedemontane e montane, infine, confermano il proprio ruolo secondario rispetto all’attrazione migratoria cinese, poiché sia i Centri per l’Impiego di Clusone e Albino in Val Seriana che quello di Zogno registrano adesioni poco numerose. La consistenza nella Provincia di Bergamo di un tessuto produttivo basato sulla piccola e media impresa, fa sì che gli immigrati cinesi vi trovino facilmente impiego, soprattutto nei laboratori gestiti da connazionali che figurano nel settore del tessile artigianale ed assumono un’alta percentuale di occupati cinesi. Ciò non sorprende in quanto i settori delle confezioni d’abbigliamento e della lavorazione delle pelli sono, come è risaputo, ormai quasi “monopolio” di tale gruppo nazionale. Rispetto alle mansioni svolte, esse riguardano il cucito nell’abbigliamento e, in misura minore, la filatura nei tessili (Grafico 16). Nel settore terziario, ed in particolare negli ambiti della ristorazione e del commercio, i lavoratori cinesi sono commessi di negozi di abbigliamento ed oggettistica, camerieri di sala nei bar e nei ristoranti o lavapiatti, cuochi e aiuto-cuochi. La propensione del gruppo cinese verso attività del terziario contribuisce a recuperare delle quote occupazionali in una provincia che predilige essenzialmente l’inserimento nell’industria. Tra uomini e donne non si registrano sostanziali differenze, poiché entrambi figurano come addetti nell’industria e nel settore terziario (ristorazione, commercio, etc.). Tuttavia, le donne lavorano spesso come stiratrici in tintorie e lavanderie, mentre gli uomini sono maggiormente impiegati nei lavori più pesanti (muratore, magazziniere, piegaferro, saldatore, stampatore o altro). Si delinea così anche in provincia di Bergamo un modello di inserimento lavorativo che riguarda non solo la popolazione di cittadinanza cinese, ma più in generale tutta la popolazione immigrata. Esso, da un lato, vede l’impiego degli 156 Atlante della diaspora cinese immigrati nelle piccole e medie industrie, dall’altro una specializzazione in una serie di servizi di basso livello, ma necessari (ristorazione, pulizie, lavoro domestico, etc.), anche denominati “terziario povero”. Come per gli altri gruppi nazionali, il ruolo dell’immigrazione cinese si esaurisce nel sopperire alla carenza di personale autoctono in mestieri per cui non è richiesta che una bassa qualificazione. La maggior parte di questi lavoratori subordinati, infatti, non possiede alcun titolo di studio o solo quello elementare e, per oltre l’80%, viene assunta come operaio generico. Paradossalmente, infatti, coloro che sono poco qualificati hanno più facilità a trovare lavoro, in quanto rappresentano una manodopera altamente flessibile. La tipologia lavorativa degli immigrati inseriti nelle liste di collocamento segna comunque la persistenza dei caratteri di etnicizzazione del lavoro che garantisce il mantenimento dell’equilibrio del mercato occupazionale bergamasco. L’incontro tra domanda e offerta lavorativa si regge su reciproche convenienze: quelle del sistema produttivo e sociale con fabbisogno di manodopera dequalificata; quelle degli immigrati alla ricerca di fonti di guadagno facili e veloci83. Ciò che, tuttavia, conta maggiormente per i lavoratori cinesi non è tanto di ambire e giungere ad occupare ruoli di grande prestigio, quanto di esperire un periodo di formazione professionale come lavoratori subordinati, in vista di compiere un giorno il grande salto verso il lavoro autonomo e stabilizzare così il proprio progetto migratorio. 83 Il non-riconoscimento dei titoli di studio più elevati segna uno spreco del capitale culturale portato dagli immigrati nel nostro Paese. Se esso fosse riconosciuto, si ridurrebbe drasticamente la discriminazione nei confronti degli immigrati, espressa da una specie di predestinazione verso gli impieghi più dequalificati, a prescindere dalla formazione posseduta. La progressione lavorativa di un segmento di immigrati diplomati o laureati verso professioni intellettuali, mediche od impiegatizie, pur se ancora ridotto, indica la possibilità e la strada percorribile affinché si valorizzino le dotazioni formative e le potenzialità professionali rilevanti per il sistema economico-produttivo nazionale, che altrimenti andrebbero annullate. TAVOLA 14 – Centri per l’impiego (CPI) e reti etniche: iscrizioni e assunzioni di Cinesi in provincia di Bergamo 159 CAPITOLO 7 La scuola, una realtà multiculturale di Alessandra Ghisalberti La scuola è l’osservatorio privilegiato da cui monitorare la consistenza numerica degli studenti stranieri1, ma anche – e soprattutto – l’edificazione identitaria del minore immigrato2. Infatti, in tale ambito vengono quantificate le presenze e si avvia un rilevante processo di mutazione sociale mediante l’inserimento di culture “altre” presso la società ospitante. Il minore immigrato, dunque, apprende la lingua italiana, ma impara anche a comunicare con gli abitanti del Paese d’immigrazione, interiorizza comportamenti e condivide valori impliciti, modi d’essere e rappresentazioni del mondo. Al contempo, egli interagisce con il corpo docente, così come con gli alunni locali e le loro famiglie, contribuendo a modificarne l’approccio interculturale mediante il proprio contatto diretto. Il minore immigrato, pertanto, si trova “sospeso tra due mondi” e percepisce il peso della propria incerta appartenenza: per un verso, aderisce alla cultura dei genitori, riconducibile al Paese di provenienza; per altro verso, cerca una sintonia con la cultura dei compagni di scuola espressione del Paese ospitante. Sotto il profilo socio-culturale la condizione di “alterità”, determinata da tratti somatici e culturali, viene percepita come segno di diversità anche quando, seppur nato in Italia, il minore è “figlio di immigrati”. Ne deriva una precaria stabilità psicologica e sociale, accentuata da una scelta subita – in quanto effettuata dai genitori – che costituisce un vincolo per le scelte scolastiche e di vita3. Numerosi minori che vivono in Italia sono nati all’estero e vi sono approdati per riunirsi ai propri genitori tramite il ricongiungimento familiare, poiché l’Italia non si mostra particolarmente restrittiva nella concessione di tali permessi. Infatti, sebbene la Legge n. 189/2002 abbia modificato la Legge n. 40/1998 escludendo il ricongiungimento con i parenti entro il terzo grado ad eccezione dei figli maggiori di diciotto anni inabili al lavoro per invalidità totale, lo concede a 1 Si ricorda, infatti, che al momento dell’ingresso in Italia, i minori non possiedono un documento proprio e, viceversa, vengono inseriti sul permesso di soggiorno dei genitori. Ciò non permette, quindi, di disporre di dati disaggregati sui minori al loro arrivo in Italia che, invece, vengono registrati autonomamente presso le anagrafi comunali una volta acquisita la residenza. Dunque, nel tentativo di monitorare la componente minorile del fenomeno immigratorio in Italia, ci si riferisce principalmente a dati statistici sui residenti minori o sugli alunni stranieri. 2 Proprio il tema delle cosiddette “seconde generazioni” costituisce sempre più un’area d’attenzione anche nel contesto migratorio italiano, dal momento che i minori stranieri presenti nel territorio italiano sono sempre più numerosi. La bibliografia in merito è cospicua, tuttavia si ritengono di particolare rilievo i seguenti contributi rispettivamente per quanto riguarda il contesto italiano in generale, Ambrosini, Molina, 2004; il livello territoriale lombardo, Besozzi, Colombo, 2007; la componente nazionale cinese nell’area di Prato, Ceccagno, 2004; le migrazioni cinese, marocchina e rumena in Italia, Benadusi, Chiodi, 2006; e, infine, il territorio bergamasco, Provincia di Bergamo, Settore Politiche Sociali, 2006. 3 All’interno della tradizione francese per definire tali minori, si utilizzano termini quali immigrés issus de l’immigration (immigrati di seconda generazione) o enfants issus de l’immigration (minori di origine immigrata). Alcuni studiosi parlano anche dei minori immigrati come génération involontaire, in quanto essi non hanno scelto l’immigrazione. Per un approfondimento, si vedano Valtolina, 2004, pp. 124-125 e Marazzi, Valtolina, 2006. 160 Atlante della diaspora cinese Grafico 17 Alunni stranieri in Lombardia suddivisi per principali Paesi di provenienza Dati: reali riferiti all’anno scolastico 2005/2006 Fonte: Fondazione ISMU, Ufficio Scolastico Regionale per la Lombardia (ultimo aggiornamento: ottobre 2007) genitori, nonni, fratelli e sorelle. La nascita di bambini in Italia, in rapida e costante crescita, esprime la tendenza alla stabilizzazione del progetto migratorio, poiché avviene in genere dopo la ricostituzione del nucleo familiare immigrato. In Italia durante l’anno scolastico (a.s.) 2005/2006, il numero di alunni stranieri4 è stato stimato a circa 430.0005 e, nel quadro delle specificità regionali, la realtà scolastica lombarda6 si è distinta come una vera e propria fucina di conoscenza e scambio interculturale7. In tale regione, infatti, non solo è presente il numero maggiore di alunni stranieri – dal momento che, con oltre 100.000 studenti immigrati, la Lombardia assorbe quasi un quarto del fenomeno dell’intero territorio nazionale – ma è altresì in atto un insieme cospicuo di progetti finalizzati a valorizzare l’incontro fra culture differenti. Tali progetti sono considerati strategici per la formazione dei minori, sia italiani che stranieri, nella prospettiva di costruire una società in grado di gestire la convivenza multietnica. Sono, infatti, assai numerosi i Paesi di provenienza degli alunni stranieri e, se la nazionalità principale a livello regionale è quella marocchina, in alcune province prevalgono altri gruppi come gli Albanesi a Varese, Lodi e Pavia, gli Indiani a Cremona e gli Ecuadoriani a Milano. In particolare, tra le nazionalità rilevate, gli alunni cinesi costituiscono il quinto gruppo nazionale e compongono quasi il 5% di quelli stranieri presenti nella regione (Grafico 17). La distribuzione per provincia degli alunni cinesi rispecchia la presenza di residenti della medesima nazionalità in ciascuna di esse (Grafico 18). Milano si conferma anche rispetto a questo dato leader per numero di presenze, raccogliendo più del 60% dei Cinesi che frequentano scuole di ogni ordine e grado in Lombardia. Infatti, proprio il capoluogo lombardo, ove la comunità cinese è 4 In sede di rilevazione ministeriale ci si riferisce agli alunni stranieri mediante l’espressione “alunni con cittadinanza non italiana”. 5 Dati sugli alunni stranieri iscritti alle scuole italiane nell’a.s 2005/2006 pubblicati dal Ministero della Pubblica Istruzione (Direzione Generale Studi e Programmazione) sul sito internet http://www.pubblica.istruzione.it/dg_studieprogrammazione/stranieri_va.shtml. 6 I dati che seguono, riguardanti la situazione scolastica della Regione Lombardia in merito alla presenza di alunni stranieri, fanno riferimento all’a.s 2005/2006, sono raccolti dall’Ufficio Scolastico Regionale per la Lombardia in collaborazione con la Fondazione ISMU e sono pubblicati sul sito http://www.ismu.org/dbscuole06/. 7 Proprio oggi, infatti, uno degli argomenti di rilievo nella realtà lombarda concerne la presenza di giovani stranieri, in relazione sia al legame con la cultura del Paese di provenienza che alle prospettive offerte dal Paese d’immigrazione (Besozzi, Colombo, 2007). La scuola, una realtà multiculturale 161 Grafico 18 Distribuzione degli alunni cinesi in Lombardia Dati: percentuali riferiti all’anno scolastico 2005/2006 (ultimo aggiornamento: ottobre 2007) Fonte: Fondazione ISMU, Ufficio Scolastico Regionale per la Lombardia ormai ben radicata oltre che concentrata localmente nell’area Sarpi, costituisce il principale nodo regionale da cui si propaga la rete socio-economica sinica. Segue poi in misura più contenuta Brescia (14%), che mediante il cospicuo numero di alunni cinesi attesta il processo di stabilizzazione in atto presso tale gruppo nazionale. È discreta anche la percentuale di Bergamo (5%), mentre le province di Sondrio, Lecco e Lodi ne confermano una presenza assai ridotta (1%) in quanto marginalmente interessate dal fenomeno migratorio. 1. Gli alunni stranieri nel bergamasco e la componente cinese Focalizzando l’attenzione sulla Provincia di Bergamo, gli alunni stranieri sono 11.845 e costituiscono circa il 7,6% della popolazione scolastica totale, una presenza abbastanza elevata e in linea con la media regionale. Tale percentuale attesta ormai da diversi anni una tendenza alla crescita in relazione al processo di stabilizzazione dei diversi gruppi immigrati nel territorio bergamasco e, in particolare, all’incremento dei ricongiungimenti familiari. Le zone di provenienza (Grafico 19) sono assai numerose e le medesime presenti nella scuola lombarda, con un’eccezione. Infatti, un quarto degli alunni stranieri è di origine marocchina, tra gli Europei spiccano Albanesi e Rumeni, mentre rispetto al continente americano, la presenza più significativa è quella Grafico 19 Alunni stranieri in Provincia di Bergamo suddivisi per principali Paesi di provenienza Dati: reali riferiti all’anno scolastico 2005/2006 (ultimo aggiornamento: ottobre 2007) Fonte: Fondazione ISMU, Ufficio Scolastico Regionale per la Lombardia 162 Atlante della diaspora cinese boliviana, che costituisce una delle specificità del territorio bergamasco8. Infine, per quanto concerne la componente asiatica, rileviamo la preponderanza di alunni provenienti dal sub-continente indiano (soprattutto indiani e pakistani), pur accanto ad Asiatici di altre regioni (sud-est asiatico, area insulare, …). Tra di essi emergono i Cinesi che, pur essendo percentualmente ridotti (2,2%), costituiscono il nono gruppo nazionale più cospicuo. Analizzando la distribuzione degli alunni cinesi nella provincia (Tavola 15), emerge innanzitutto la loro presenza in un numero limitato di comuni, dal momento che più del 50% del territorio bergamasco non è toccato dal fenomeno. La maggior parte di essi si concentra nell’area di Bergamo, sia nel comune capoluogo, dove si raccoglie in assoluto la più consistente componente cinese (72 alunni), che in quelli circostanti. Nel resto della provincia diversi comuni accolgono pochi alunni cinesi e solo alcuni ne mostrano una presenza più importante in corrispondenza di attività economiche gestite da tale gruppo nazionale. In particolare, i due comuni con il maggior numero di alunni cinesi sono Dalmine (16) e Ponte San Pietro (12), in relazione alla già rilevata cospicua presenza di adulti immigrati, nel primo caso legata alle varie attività produttive e nel secondo al ruolo strategico della locale stazione ferroviaria. A partire da Dalmine si estende la fascia meridionale che giunge a Treviglio (5) e, a sud-est, a Romano di Lombardia (10), ove gli alunni cinesi sono poco più numerosi, a Cologno al Serio (6) e a Cortenuova (6). A nord-ovest del capoluogo emerge S. Omobono (7) in Valle Imagna, ove si concentrano imprese cinesi, e, ad est, San Paolo d’Argon (10) e Trescore Balneario (6) dove si trovano laboratori artigianali, prevalentemente di lavorazione di tessuti. Infine, alla situazione che caratterizza la pianura, si contrappone quella delle aree settentrionali, comprendenti sia la Valle Brembana che quella Seriana, ove il fenomeno è in gran parte assente. Gli alunni cinesi in provincia, dunque, non sono numerosi, dal momento che il processo di insediamento definitivo è relativamente recente e connota principalmente gli anni a partire dal 2000. È, infatti, da allora che la presenza cinese si fa cospicua e il territorio bergamasco comincia a costituire una valida alternativa alla realtà milanese e, seppur in misura minore, a quella bresciana, maggiormente sature sotto il profilo imprenditoriale. I minori cinesi, dunque, aumentano anche a Bergamo, benché durante le prime fasi del percorso migratorio sia ancora consuetudine lasciare i propri figli in Cina con i nonni che si occupano della loro formazione9. Solo in un secondo momento, allorché i figli hanno raggiunto un certo livello di autonomia e i genitori hanno consolidato il proprio insediamento, si realizza il ricongiungimento in terra d’emigrazione10. Ciò è evidente anche considerando la loro presenza nei livelli scolastici, poiché gli alunni cinesi, pur in quantità significativa ad ogni grado, mostrano una componente più rilevante nella scuola primaria e in quella secondaria di primo grado, a fronte di una presenza limitata – ma in costante aumento – sia in quella dell’infanzia che in quella secondaria di secondo grado (Grafico 20). Al contempo, si attesta una peculiare concezione della funzione della scuola in Italia da parte dei Cinesi. Ritenuta uno strumento utile all’apprendimento linguistico, dunque è maggiormente incentivata ai livelli primario e secondario di 8 La nutrita componente di immigrati boliviani si configura come una delle “particolarità locali” di maggior interesse nella Regione Lombardia: infatti essi sono presenti in quantità significative praticamente solo a Milano e a Bergamo, ove tra città e provincia ne risiede circa il 70%. 9 Il progetto migratorio cinese, infatti, nasce quale effetto di un processo diasporico su base familiare. Tale strutturazione collettiva garantisce, in prima istanza, un favorevole esito dei singoli percorsi in terra d’emigrazione e, in seguito, un impulso allo sviluppo economico del Paese di provenienza mediante le rimesse dei migranti (Cai, 2003). 10 Tale modalità è stata confermata da varie indagini presso il gruppo nazionale cinese, per il cui approfondimento si rinvia specialmente a Ceccagno, 2004; Benadusi, Chiodi, 2006, pp. 85-88. La scuola, una realtà multiculturale 163 Grafico 20 Alunni stranieri nel bergamasco suddivisi per livello scolastico Dati: reali riferiti all’anno scolastico 2005/2006 (ultimo aggiornamento: ottobre 2007) Fonte: Fondazione ISMU, Ufficio Scolastico Regionale per la Lombardia primo grado, mentre solitamente non è finalizzata all’apprendimento culturale tout court e non costituisce un percorso formativo a lungo termine che preveda un’istruzione universitaria, ma è in genere limitata all’età adolescenziale e, tutt’al più, tendente alla formazione professionale11. Infine, essa deve includere il minor numero possibile di ore di condivisione con alunni non connazionali, per salvaguardare la propria identità e garantire la riservatezza culturale che caratterizza la diaspora cinese. 2. Gli alunni cinesi nel comune capoluogo Se consideriamo più nello specifico il Comune di Bergamo12, la situazione non si mostra molto differente da quanto già osservato per la provincia, dal momento che su una popolazione scolastica di 33.914, benché gli stranieri rappresentino complessivamente il 7,43% del totale, gli alunni cinesi (Grafico 21) costituiscono solo l’ottavo gruppo nazionale – di gran lunga meno cospicuo rispetto ai primi – e si attestano al 3% degli alunni stranieri. In particolare, rispetto alla provenienza, nelle scuole del capoluogo si registra una netta preponderanza numerica della Bolivia (con quasi 650 alunni), seguita da Marocco, Albania e Romania, confermando il trend delle specificità territoriali lombarda e provinciale13. Le principali aree di provenienza degli alunni stranieri nelle scuole cittadine, dunque, sono in primis l’America Latina e l’Est-Europeo, che rappresentano 11 Bisogna sottolineare, tuttavia, che tale fenomeno si rileva nel territorio italiano, ove ampia parte dell’immigrazione cinese è recente, e, viceversa, non è presente in diverse altre realtà internazionali. È noto, per esempio, che gli Asiatici riescono ad eccellere nell’alta formazione negli Stati Uniti e in particolare i Cinesi accedono alle migliori università americane, ove confermano una tendenza alla buona riuscita dei propri progetti migratori. Per un approfondimento in proposito, si veda il seguente volume che mostra come la cultura della famiglia costituisca la solida base dell’immigrazione cinese, incidendo sui processi formativi assai di più dell’appartenenza di classe o di razza, Louie, 2004. 12 I dati che riguardano la presenza di alunni stranieri nelle scuole della città di Bergamo fanno riferimento all’anno scolastico 2005/2006 e sono stati reperiti sul sito creato in collaborazione tra Fondazione ISMU e Ufficio Scolastico Regionale per la Lombardia. 13 Nonostante i residenti boliviani siano il secondo gruppo, dal punto di vista quantitativo, dopo i Marocchini, il primato di alunni boliviani nelle scuole del Comune di Bergamo si giustifica col fatto che molti immigrati boliviani sono clandestini, dunque il loro numero effettivo è di gran lunga maggiore rispetto a quello ricavato dai dati statistici. TAVOLA 15 – Alunni cinesi in provincia di Bergamo (A) TAVOLA 15 – Alunni cinesi in provincia di Bergamo (B) 166 Atlante della diaspora cinese Grafico 21 Alunni stranieri nella città di Bergamo, suddivisi per provenienza Dati: reali riferiti all’anno scolastico 2005/2006 (ultimo aggiornamento: ottobre 2007) Fonte: Fondazione ISMU, Ufficio Scolastico Regionale per la Lombardia i flussi migratori più recenti e consistenti a Bergamo, a fronte di una certa flessione per i Paesi africani. Rispetto all’Asia, infine, si rileva che la Cina è l’unico Paese asiatico presente tra i primi sedici, con poco più di 70 alunni nel corso dell’ultimo anno scolastico. Se ne deduce che l’elevata componente di Indiani e Pakistani emersa a livello provinciale non è confermata nel capoluogo, poiché tali gruppi nazionali privilegiano la provincia, ove le possibilità di inserimento professionale sono buone, specialmente nell’ambito del commercio floreale e della zootecnia da essi prediletto14. Rispetto agli alunni cinesi, anche nelle scuole del Comune di Bergamo si è registrato un significativo incremento a partire dal 2000 per quanto concerne tutti i livelli di istruzione. Infatti, tale componente nazionale adulta ha cominciato ad essere consistente solo alla fine degli anni Novanta, ma come è già stato accennato nel paragrafo precedente, era consuetudine dei genitori migranti affidare i bambini appena nati alle cure dei nonni in Cina, sia perché le condizioni di vita e i ritmi di lavoro non permettevano loro di occuparsene in modo adeguato, sia perché, ricevendo l’educazione di base in patria, acquisissero le prime radici identitarie cinesi. In seguito, nell’evoluzione del progetto migratorio, molte famiglie hanno migliorato le proprie condizioni di vita ed hanno avviato pratiche di ricongiungimento coi figli in Cina o allevato direttamente i propri figli nati in Italia. La presenza di bambini cinesi nella scuola è quindi ormai anche per il territorio bergamasco un dato strutturale, segno inequivocabile di una volontà di stabilizzazione da parte degli immigrati e della connotazione sempre più plurilingue e pluriculturale dei servizi educativi e scolastici. Per questo si avverte l’urgente necessità di predisporre contesti aperti all’accoglienza, per rispondere ai bisogni linguistici e per aggiornare gli insegnanti fornendo loro strumenti adeguati alla nuova realtà. Attualmente l’elevata presenza di alunni cinesi nelle scuole primaria e secondaria di primo grado conferma la prevalenza di coloro che sono nati all’estero, quindi non italofoni, e sono arrivati in Italia grazie al ricongiungimento familiare, mentre è più contenuta nelle secondarie di primo grado e ancor minore, seppur in crescita, in quelle dell’infanzia (Grafico 22). Tali alunni si distribuiscono in maniera piuttosto eterogenea all’interno delle scuole cittadine, raggruppate in istituti comprensivi (IC) – di più plessi scolasti14 In riferimento all’immigrazione proveniente dal sub-continente indiano e, in particolare, sui caratteri del sikhismo si rinvia al seguente volume che, mediante casi di studio desunti da realtà regionali italiane diversificate (Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Lombardia e Veneto), illustra le specificità dell’inserimento occupazionale indiano, Denti, Ferrari, Perocco, 2005. La scuola, una realtà multiculturale 167 Grafico 22 Alunni cinesi nelle scuole urbane di Bergamo, suddivisi per livello scolastico Dati: reali riferiti all’anno scolastico 2005/2006 (ultimo aggiornamento: ottobre 2007) Fonte: Fondazione ISMU, Ufficio Scolastico Regionale per la Lombardia ci che solitamente abbracciano, in un numero variabile, la scuola dell’infanzia, quella primaria e quella secondaria di primo grado15 – e in scuole secondarie di secondo grado sia private che pubbliche. Benché tali istituti siano dislocati sull’intero territorio comunale16, i Cinesi sono presenti solamente in quasi una quarantina di essi, privilegiando di gran lunga quelli pubblici (Tavola 16). L’IC Mazzi è quello che ospita la percentuale più elevata di alunni cinesi (Grafico 23), con il 39% delle presenze rispetto all’insieme degli istituti scolastici cittadini. Infatti, esso comprende più scuole, due delle quali – la Mazzi e la Calvi – sono localizzate in prossimità del “quartiere degli immigrati” per il quale fungono da punto di riferimento formativo. Parecchi sono altresì gli alunni cinesi presenti nell’IC Donadoni, che contempla due scuole situate nel cuore della Prima Circoscrizione, in via Pradello, dunque di facile accesso per coloro che abitano nel centrocittà. Una discreta quantità di Cinesi, infine, frequenta le scuole dell’IC da Rosciate, di cui fanno parte quella di servizio sia per la zona di via Borgo Palazzo che per l’area di via Borgo Santa Caterina17. Viceversa, a mano a mano 15 L’IC Camozzi comprende due scuole dell’infanzia, tre primarie e una secondaria di primo grado; l’IC Codussi due primarie, una dell’infanzia e una secondaria di primo grado; l’IC De Amicis tre dell’infanzia, tre primarie e una secondaria di primo grado; l’IC Donadoni una secondaria di primo grado, due dell’infanzia e due primarie; l’IC Mazzi comprende due dell’infanzia, quattro primarie e due secondarie di primo grado; l’IC Muzio due dell’infanzia, tre primarie e una secondaria di primo grado; l’IC Nullo due dell’infanzia, una primaria e una secondaria di primo grado; l’IC Petteni e Savoia comprendono ciascuno una scuola dell’infanzia, una primaria e una secondaria di primo grado; l’IC S. Lucia due scuole dell’infanzia, tre primarie e una secondaria di primo grado. 16 Le uniche due scuole che fanno capo ad un IC cittadino, il Mazzi, ma sono localizzate al di fuori della città di Bergamo, nel comune di Orio al Serio, sono le scuole dell’infanzia e primaria Orio. 17 Proprio tale Istituto Comprensivo e specialmente la scuola primaria A. Rosciate, in ragione della sua localizzazione in un’area connotata dalla cospicua presenza di stranieri, Borgo S. Caterina, è stata oggetto di un’indagine sulle “seconde generazioni” nella prospettiva di rilevare i progetti di educazione interculturale. Ne è emerso che sono numerose le attività avviate in collaborazione tra la scuola medesima, l’oratorio di Borgo S. Caterina ed alcune associazioni di volontariato per promuovere percorsi di accoglienza, inserimento e intercultura. Permangono, tuttavia, diversi problemi aperti nel processo di integrazione che, secondo il dirigente scolastico, si possono sinteticamente raggruppare in tre ambiti. Innanzitutto talvolta gli alunni stranieri si chiudono al dialogo mettendo in atto meccanismi di autosegregazione rispetto agli altri alunni. In secondo luogo, la struttura organizzativa scolastica non è sufficientemente flessibile e offre solo sporadicamente strumenti alternativi all’insegnamento frontale quali laboratori, gruppi di lavoro e attività opzionali. Si rileva, infine, una certa difficoltà nel dialogo con i genitori stranieri che non vengono coinvolti in una strategia di inserimento scolastico di più ampio respiro (Brumana, 2006). 168 Atlante della diaspora cinese Grafico 23 Distribuzione degli alunni stranieri negli Istituti Comprensivi a Bergamo Dati: reali riferiti all’anno scolastico 2005/2006 (ultimo aggiornamento: ottobre 2007) Fonte: Fondazione ISMU, Ufficio Scolastico Regionale per la Lombardia che ci si allontana dal centro, gli alunni cinesi diminuiscono, come rilevabile presso l’IC Muzio, nella via per Azzano, o presso l’IC Nullo nel quartiere “Longuelo”. Se consideriamo la presenza di studenti cinesi presso le scuole superiori, emerge che, come per quelle di grado inferiore, essi sono inseriti quasi esclusivamente nelle strutture pubbliche. Tra di essi, il numero più cospicuo frequenta gli istituti tecnici sia commerciali – prevalentemente quello localizzato nel centro cittadino in prossimità della stazione ferroviaria (ITC Vittorio Emanuele II) – che industriali (ITIS Paleocapa), confermando la tendenza ad una formazione finalizzata all’inserimento lavorativo di questo gruppo nazionale che si caratterizza nella creazione di attività professionali autonome. La scarsità o talvolta l’assenza di alunni cinesi nelle scuole superiori è da attribuirsi non solo ad un basso numero di Cinesi nella fascia 14-18 anni, ma anche al mancato riconoscimento del titolo di studio della scuola media o alla scarsa competenza in L218, che nella scuola superiore costituisce un fattore limitativo e discriminante. Spesso inoltre ai giovani che vivono in famiglie dai ritmi lavorativi pressoché continui è concesso poco tempo libero in cui dedicarsi ad occasioni ludiche o conviviali con i loro coetanei italiani19. La solitudine che 18 La seconda lingua viene solitamente indicata con la sigla L2, mentre la lingua madre con la sigla L1. 19 L’interazione tra i giovani dei due gruppi non è facile perché talvolta gli Italiani non accettano ed emarginano i compagni stranieri. Inoltre i percorsi ed i progetti di vita divergenti tendono ad allontanarli ulteriormente, gli uni nella prospettiva del perseguimento degli studi fino al conseguimento della laurea, gli altri ben presto fagocitati nell’impresa familiare. TAVOLA 16 – Alunni cinesi nelle scuole del comune di Bergamo 170 Atlante della diaspora cinese spesso ne deriva contribuisce ad attribuire al proprio gruppo nazionale una rilevanza crescente come il solo accogliente, solidale, sicuro ed accentandone i connotati isolanti. Di fatto l’ancorché limitata presenza di alunni cinesi pone non pochi problemi di inserimento per diverse ragioni. Innanzitutto la profonda differenza linguistica (sia nel parlato che nello scritto) determina una certa difficoltà a reperire mediatori culturali e interpreti linguistici, pertanto il corpo docente, non riuscendo ad operare autonomamente, necessita di appoggio continuo da parte delle strutture scolastiche. Alla distanza linguistica si affianca una differenza culturale profonda rispetto alla società del Paese di approdo in relazione alle tradizioni, alla religione, al rapporto con il lavoro e, più in generale, allo stile di vita “altri” che connotano il gruppo nazionale cinese. L’interazione con le famiglie, poi, pare assai difficoltosa dal momento che sovente sono proprio i giovani in età scolare a fungere da interpreti con la società locale nell’espletamento delle pratiche quotidiane, penalizzando la comunicazione scuola/famiglia, che diventa solo apparente. Infine, la spiccata propensione dei Cinesi a finalizzare il processo formativo all’apprendimento linguistico e, tutt’al più, alla formazione professionale determina una visione utilitaristica della struttura scolastica atta principalmente a soddisfare le proprie necessità. 3. I progetti di educazione interculturale La crescente presenza straniera ha prodotto un impatto rilevante sulla natura dell’offerta formativa, sulle pratiche professionali ed educative e sui contesti che ospitano gli alunni stranieri nella scuola italiana. Abbandonando la situazione emergenziale che ha connotato gli anni Novanta, si tenta ora di organizzare gli interventi a favore di una più concreta integrazione dello studente immigrato all’interno sia della scuola che della società italiana, in un’ottica di educazione interculturale. È, infatti, nel corso degli anni Novanta che la pratica dell’educazione interculturale20 inizia a diffondersi in Italia, generando un’intensa progettazione finalizzata a realizzare nuove idee ed esperienze. Sotto l’etichetta di “educazione interculturale” confluiscono attività scolastiche sia formali, che si ispirano a principi pedagogico-didattici tradizionali, sia informali, ovvero tese allo sviluppo di relazioni interetniche in nome dell’equità e del pluralismo culturale21. Tali inizia- 20 Intercultura è intesa come discorsività, come processo dialogico in cui soggetti appartenenti a culture diverse si incontrano e si esprimono. Ciò implica una disponibilità all’incontro con ciò che è “altro” da sé, una modalità costitutiva dei soggetti e, allo stesso tempo, un segno distintivo di un contesto, di un clima, di un insieme di relazioni. Tale concezione dell’intercultura come dialogo è largamente recepita anche dalla normativa scolastica italiana ed approfondita in una serie di circolari ministeriali esplicative. La più importante resta la n. 73/94, “Dialogo interculturale e convivenza democratica: l’impegno progettuale della scuola”, un vero e proprio punto di riferimento normativo per la gestione della multiculturalità nella scuola. Infatti, in essa si sottolinea che l’educazione interculturale “non si esaurisce nei problemi posti dalla presenza di alunni stranieri, ma si estende alla complessità del confronto tra culture, nella dimensione europea e mondiale dell’insegnamento, e costituisce la risposta più alta e globale al razzismo e all’antisemitismo. Essa concerne la disponibilità a conoscere e a farsi conoscere, nel rispetto dell’identità di ciascuno, in un clima di dialogo e solidarietà”. Con queste implicazioni l’educazione interculturale assume il significato di un nuovo modo di insegnare ed apprendere: la presenza straniera perde i suoi connotati di eccezionalità, per definirsi come uno dei tanti modi possibili con cui si presenta la diversità e l’identità personale e culturale a scuola. Per un approfondimento, rispettivamente, sull’educazione interculturale promossa attraverso progetti scolastici in Lombardia e sull’intercultura quale modalità di relazione in una spazialità di incontro tra diversità, si vedano Besozzi, 2005, pp. 259-260; Marengo, 2007, pp. 8-10. 21 Infatti la scuola, come luogo multiculturale, vive un periodo di profonde trasformazioni, che non riguardano solo la sfera didattica, ma pure quella psicologica, sociale, antropologica e culturale. La scuola, una realtà multiculturale tive non sono disgiunte dalle risorse locali destinate agli immigrati, poiché gli alunni stranieri sono percepiti come un elemento di responsabilità sociale. Per tale ragione si tenta di attingere a quante più fonti possibili, sia a livello europeo, per esempio ai Fondi Sociali Europei, sia a livello nazionale mediante i fondi ministeriali, che a livello locale con i fondi di istituto e i fondi per l’autonomia (Legge n. 440/98), così come ai fondi degli enti locali per il diritto allo studio o quelli stanziati da istituti privati e fondazioni. In particolare, lo sviluppo di una logica di reti anche in ambito scolastico rende possibile una sistematizzazione degli interventi utilizzando strumenti differenti per promuovere progetti interculturali che vadano nella medesima direzione. La presenza di una molteplicità di attori – dagli Uffici Scolastici Provinciali alle scuole, dagli enti locali alle organizzazioni no profit, dalle associazioni di immigrati alla popolazione locale – che assumono ruoli diversi (promozionali, esecutivi, di supporto, di supplenza, di coordinamento), dipende dalla natura dei progetti e dalla dimensione dei finanziamenti. L’educazione interculturale si estende dalla prima accoglienza all’integrazione, all’apprendimento dell’italiano come seconda lingua, annoverando progetti in cui il fattore comunicativo è fondamentale per l’incontro tra culture, stili di vita, atteggiamenti e comportamenti svariati. Dunque, la comunicazione interculturale è una discorsività mai conclusa, è un processo in fieri finalizzato al superamento di una visione statica e monoculturale, che sovente legge la propria cultura come quella dominante. Tuttavia, l’educazione interculturale costituisce una sfida complessa tra due estremi opposti, ugualmente pericolosi: per un verso, una tendenza alla chiusura identitaria, localmente e culturalmente definita, con un utilizzo strategico della propria appartenenza culturale; per altro verso, un atteggiamento di relativismo culturale che afferma la pari dignità di tutte le culture senza introdurre alcun criterio di distinzione ed esasperando il diritto alla differenza culturale. Infatti, ai ragazzi stranieri si chiede talvolta di affermare la propria diversità culturale e di manifestarla quasi fosse un elemento esotico da ostentare, talaltra di adattarsi velocemente alla cultura d’approdo, focalizzando l’apprendimento linguistico, quale strumento principe di integrazione. In diversi casi emerge, infatti, una pratica assimilazionista che, seppur non esplicita, pare assai diffusa nelle realtà scolastiche: un processo di normalizzazione dell’alterità, mediante l’accelerata alfabetizzazione linguistica, indispensabile per il processo di apprendimento e di socializzazione attivato in classe. Ne deriva la necessità di riconsiderare la questione linguistica come strumento fondamentale per l’integrazione che, tuttavia, non può prescindere dal patrimonio culturale originario. Pertanto, l’incontro e la costruzione dell’acculturazione22 reciproca divengono un processo complesso di scambio tra persone portatrici di un patrimonio di esperienze che deve essere inteso quale dinamica in continua ridefinizione e aperta a modi diversi di considerare il mondo (Besozzi, 2005, pp. 265–267). Dal 2001 la Fondazione ISMU (Iniziative e Studi sulla Multietnicità) esegue una vasta ricognizione delle iniziative interculturali promosse in Lombardia, per conto dell’Osservatorio Regionale per l’Integrazione e la Multietnicità. I progetti sono analizzati e classificati in base a parametri comuni da cui si ricava un database ricco di informazioni che rende non solo visibile, ma anche fruibile un patrimonio di idee ed esperienze, costituendo un supporto prezioso per programmare le attività scolastiche ed educative23. 22 Per acculturazione si intende il processo di acquisizione di una cultura o, più precisamente, di alcuni dei tratti culturali di un altro gruppo sociale. Essa prevede quindi uno “scambio” e, magari, una “trasformazione” dei modelli di comportamento e dei valori, tra due società differenti; la natura di tale scambio è bidirezionale, ma spesso diseguale. 23 La fonte di tali dati, aggiornati al 2006, è la Banca Dati iniziative interculturali della Fondazione ISMU, Osservatorio Regionale per l’Integrazione e la Multietnicità, cui si può accedere attraverso il sito www.ismu.org. 171 172 Atlante della diaspora cinese Grafico 24 Progetti di educazione interculturale promossi nelle province lombarde Dati: percentuali riferiti all’anno 2006 (ultimo aggiornamento: ottobre 2007) Fonte: Banca Dati iniziative interculturali della Fondazione ISMU, Osservatorio Regionale per l’Integrazione e la Multietnicità Fino all’anno 2006, Bergamo si è distinta come realtà territoriale vivace in relazione ad una buona tradizione di lavoro nel campo delle iniziative interculturali. Con 110 progetti registrati nella banca-dati, Bergamo annovera il 12% dei progetti totali, preceduta solamente da Milano che, con 314 progetti, conferma la propria funzione trainante nel territorio regionale. Ad esse fanno seguito innanzitutto Brescia (103) e, più a distanza, Pavia con 71 progetti (Grafico 24). La provincia milanese rappresenta l’area più dinamica per quanto riguarda la progettazione, sia per il numero di progetti presentati, sia per la vasta gamma di operatori, destinatari e strumenti coinvolti24. Province quali Bergamo, Brescia, Pavia e Lodi stanno raggiungendo livelli medi regionali poiché, grazie ai costanti flussi migratori, possono contare sul supporto degli enti locali in termini di finanziamento ed interesse. Ma nel territorio bergamasco si rilevano alcune specificità. La localizzazione provinciale delle iniziative risulta disomogenea (Tavola 17) a causa della diversa distribuzione dei giovani immigrati in tale area, ma anche della loro presenza estremamente eterogenea nei diversi livelli scolastici. Come per altri dati, emerge una concentrazione di interventi nelle aree centro-meridionali, a fronte di una presenza circoscritta – e per vari comuni inesistente – nelle aree settentrionali. Dunque, si conferma una predominanza di servizi per gli immigrati nei comuni pianeggianti o pede-collinari cui, viceversa, si contrappone una quasi totale assenza in quelli montani. La maggior presenza di progetti si delinea innanzitutto nel comune capoluogo, cui seguono altri comuni con funzione di punto di riferimento nel settore scolastico per le aree provinciali: Zogno e Albino nelle zone settentrionali rispettivamente della Valle Brembana e della Valle Seriana; Trescore Balneario e Lovere nella zona orientale che si estende verso il Lago d’Iseo; Seriate nell’area periurbana orientale; Romano di Lombardia e Treviglio per i comuni meridionali; Bonate Sopra e Almeno San Bartolomeo in direzione occidentale, rispettivamente all’inizio dell’“Isola Bergamasca” e della Valle Imagna. Rispetto alla tipologia di interventi interculturali si evidenzia innanzitutto la compresenza nel territorio bergamasco di progetti indirizzati a diverse fasi dell’accesso degli alunni stranieri alla scuola, includendo più attori tra quelli implicati nel processo formativo. Numerosi di questi sono finalizzati all’inserimento e accompagnano l’alunno straniero nel proprio percorso scolastico sia nella prima fase, al momento dell’ingresso, che nella seconda fase. Ciò è riconducibi- 24 Ciò è senz’altro dovuto alla presenza di percorsi migratori di vecchia data e al processo di stabilizzazione degli immigrati sul territorio, per la domanda di lavoro e per la concentrazione urbana. TAVOLA 17 – I progetti di educazione interculturale 174 Atlante della diaspora cinese Grafico 25 Progetti di educazione interculturale nella provincia di Bergamo, suddivisi per enti promotori Dati: percentuali riferiti all’anno 2006 (ultimo aggiornamento: ottobre 2007) Fonte: Banca Dati iniziative interculturali della Fondazione ISMU, Osservatorio Regionale per l’Integrazione e la Multietnicità le ad un sistema scolastico che, lungi dall’esaurire gli interventi nell’immediato, tenta di costruire un percorso più articolato nella prospettiva di limitare gli abbandoni scolastici nel medio-lungo periodo25. In particolare, un ruolo cruciale è rivestito dallo Sportello Scuola che, dislocato in più comuni della provincia, funge da punto di riferimento per la popolazione scolastica straniera. Vi sono poi interventi destinati all’intercultura, che permettono innanzitutto l’apprendimento dell’italiano come L2, benché non manchino, seppur in misura assai più limitata e per ora in fase sperimentale, progetti per l’acquisizione della lingua del Paese di provenienza. In tal caso, così come negli altrettanto limitati progetti di scambio e gemellaggio con il Paese di origine, si tenta un percorso che considera cruciale la differenza tra i molteplici gruppi nazionali, valorizzando al contempo i singoli territori di provenienza. Numerosi sono quindi i progetti di promozione di un’educazione interculturale in senso ampio, nell’ottica di oltrepassare la fase emergenziale dell’ingresso nella scuola, che prevede sovente un maggiore sforzo nell’apprendimento di un apparato linguistico utile per la comunicazione con la popolazione del Paese di approdo. Abbiamo poi interventi indirizzati a più destinatari, tra i quali emerge la formazione ai docenti e ai genitori, quali attori diretti di un complesso processo che riguarda diverse sfere d’azione dell’alunno immigrato. Alcuni interventi, infine, possono presentare obiettivi multipli dal momento che sono finalizzati a realizzare diverse attività al contempo. I promotori di tali progetti sono in primis le scuole (Grafico 25), che ricorrono principalmente ai fondi di istituto, cui tuttavia si affiancano in maniera sempre più significativa sia gli enti locali – dalla Provincia ai Comuni, alle Comunità Montane, … – che le gli enti no profit e le fondazioni che, spesso in collaborazione con gli immigrati medesimi, forniscono modalità innovative di intervento, perché meno vincolate agli indirizzi nazionali forniti dal Ministero della Pubblica Istruzione. Infine, un ruolo ancora contenuto, seppur presente, è rivestito dagli enti privati. I destinatari dei progetti interculturali sono gli attori che intervengono nel processo educativo realizzato a scuola. Rileviamo innanzitutto gli studenti che, come è facilmente intuibile, necessitano di maggior investimento costituendo il perno dell’intero percorso formativo: sono i destinatari privilegiati il cui successo scolastico si pone come obiettivo primario dei progetti interculturali mirati 25 L’abbandono scolastico costituisce sovente un limite al percorso formativo intrapreso dagli stranieri che, in relazione a difficoltà comunicative e di comprensione, contemplano vari casi di non riuscita (Colombo, 2007, spec. pp. 121-129). La scuola, una realtà multiculturale 175 Grafico 26 Progetti di educazione interculturale promossi nella provincia bergamasca, suddivisi per ordine di scuola Dati: reali riferiti all’anno 2006 (ultimo aggiornamento: ottobre 2007) Fonte: Banca Dati iniziative interculturali della Fondazione ISMU, Osservatorio Regionale per l’Integrazione e la Multietnicità all’accoglienza e all’insegnamento della L2. Tuttavia, una quota non trascurabile di tali progetti è indirizzata anche ai genitori, che non di rado conoscono solo i rudimenti dell’italiano, nella prospettiva di coinvolgerli attivamente, mediante la maggior padronanza del mezzo linguistico, e di mettere in relazione i contesti formativi inscindibili della famiglia e della scuola. Non mancano i progetti di educazione interculturale per i docenti che, in una scuola espressione di una società multietnica, non possono esimersi dal perseguire un adeguato aggiornamento professionale in tal senso. Un ulteriore gruppo di destinatari è costituito dai mediatori culturali, il cui ruolo non si limita alla traduzione linguistica, ma contempla un insieme articolato di interventi finalizzati al dialogo tra culture diverse: quelle delle società dei numerosi Paesi di partenza e quella della società del Paese di approdo dell’alunno straniero. Infine, un’ultima categoria cui sono indirizzati tali progetti, seppur in maniera decisamente contenuta, è quella dei dirigenti scolatici, alla cui sensibilità ed attenzione sono affidati il controllo e il coordinamento delle concrete realtà educative così variegate e mutevoli. Tra i livelli scolastici (Grafico 26), come meglio illustrato nel capitolo successivo (Tavola 19), il più coinvolto è la scuola primaria sia in relazione alla maggiore presenza di alunni stranieri che alla sua centralità nel processo formativo dell’alunno. Infatti, è proprio in tale fascia d’età che il bambino necessita maggiormente di assistenza nelle prime fasi di apprendimento della lingua scritta, rendendo necessario intensificare le occasioni di sostegno. Al secondo posto si attesta la scuola secondaria di primo grado cui fa seguito, a distanza, la scuola dell’infanzia. Infine, presso la scuola secondaria di secondo grado, tradizionalmente non obbligatoria, dunque non reputata prioritaria nel quadro delle esigenze espresse in ambito formativo, i progetti interculturali sono assai ridotti. Non mancano altresì interventi, seppur contenuti, presso i Centri Territoriali Permanenti per l’istruzione e la formazione adulta, vale a dire i centri formativi per adulti istituiti con l’Ordinanza Ministeriale n. 455/97 del Ministero della Pubblica Istruzione. Nel territorio bergamasco vengono anche chiamati Centri EDA – ovvero Centri di Educazione per gli Adulti – e sono frequentati da una sempre più numerosa componente straniera che mira ad una maggior conoscenza della lingua italiana ed al conseguimento di un titolo di studio. Prendiamo ora in considerazione più nello specifico l’IC Mazzi di Bergamo che rappresenta un esempio di multiculturalità attraverso gli interventi attuati in favore degli studenti stranieri che frequentano i suoi plessi scolastici. 176 Atlante della diaspora cinese Grafico 27 Alunni stranieri nell’IC Mazzi Dati: percentuali riferiti agli anni scolastici 2001-2002 / 2005-2006 Fonte: IC Mazzi, Fondazione ISMU, Ufficio Scolastico Regionale per la Lombardia 4. Un esempio di multiculturalità: l’IC Mazzi L’IC Mazzi di Bergamo è una realtà significativa dal punto di vista multiculturale. Essendo un istituto comprensivo di tre livelli scolastici – dell’infanzia, primaria e secondaria di primo grado – è possibile testarvi la continuità e l’efficacia delle pratiche interculturali. Esso nasce nell’anno scolastico 2001/2002, unendo sotto un’unica dirigenza otto sedi di diverso ordine e grado, appartenenti allora a circoli didattici distinti, ed oggi è costituito dalle due scuole per l’infanzia San Tomaso e Cavour (Orio al Serio), dalle scuole primarie Calvi, Biffi, Don Bosco e Alighieri (Orio al Serio) e dalle scuole secondarie di primo grado Lotto e Mazzi. Queste realtà scolastiche, dunque, sono dislocate in un’area piuttosto ampia del territorio bergamasco, che comprende tre circoscrizioni, che si snodano dal centro storico di Città Bassa al “quartiere degli immigrati”, e il comune di Orio al Serio. 4.1. Aspetti quantitativi La percentuale degli alunni stranieri sul totale degli alunni presenti è passata dal 15,6% dell’a.s. 2001/2002, a quasi il 30% dell’a.s 2005/2006 (Grafico 27), per cui da alcuni anni la programmazione didattica fornisce un’attenzione specifica all’educazione interculturale. In particolare, il livello scolastico di maggiore interesse è quello delle scuole primarie, ove si registrano ben 203 alunni stranieri, a fronte di una presenza più contenuta nelle secondarie di primo grado (119) e ancor più ridotta in quelle dell’infanzia (54). All’interno di questo Istituto Comprensivo le scuole che mostrano una maggiore presenza di alunni stranieri sono la Mazzi e la Calvi26 – situate nel medesimo edificio – e la Biffi, localizzata in prossimità delle altre due, tutte collocate nel medesimo ambito territoriale, ossia nella Prima Circoscrizione della città (Grafico 28), e più precisamente nel già citato “quartiere degli immigrati”, ove vive e lavora una cospicua parte della popolazione straniera. Dunque, l’IC Mazzi funge da punto di riferimento sotto il profilo formativo per numerose famiglie immigrate. Per quanto riguarda le nazionalità (Grafico 29), gli alunni provengono maggiormente dalla Bolivia (116), vale a dire dal Paese sud-americano che costitui- 26 In particolare, tra di esse spicca la Calvi, all’interno della quale la componente straniera supera quella italiana con una percentuale di alunni stranieri pari al 70% del totale di alunni iscritti. La scuola, una realtà multiculturale 177 Grafico 28 Incidenza degli alunni stranieri sulla popolazione scolastica nei singoli plessi dell’IC Mazzi Dati: reali riferiti all’anno scolastico 2005/2006 (ultimo aggiornamento: ottobre 2007) Fonte: Fondazione ISMU, Ufficio Scolastico Regionale per la Lombardia sce la specificità migratoria del territorio bergamasco. Numerosi sono altresì gli alunni stranieri di origine est-europea, specialmente rumeni ( 41) e albanesi (39), che mostrano una tendenza in continua crescita al contrario di quanto avviene presso il gruppo nazionale storicamente più presente in città, i Marocchini (32). Infatti, questi ultimi, dopo aver primeggiato nel corso di gran parte degli anni Novanta, ora si collocano solamente al quarto posto, confermando la tendenza ad una contrazione della presenza che investe tutto il gruppo africano. Rispetto al continente asiatico, la componente più consistente è anche in questo caso quella cinese (17), che costituisce circa il 4,5% delle presenze straniere in questo IC, anche se non mancano alcuni alunni filippini, bengalesi e immigrati di altre nazionalità. Grafico 29 Alunni stranieri dell’IC Mazzi suddivisi per provenienza Dati: reali riferiti all’anno scolastico 2005/2006 (ultimo aggiornamento: ottobre 2007) Fonte: Fondazione ISMU, Ufficio Scolastico Regionale per la Lombardia 178 Atlante della diaspora cinese 4.2. Progetti di educazione interculturale all’IC Mazzi27 L’esigenza di lavorare in un’ottica interculturale all’interno dell’IC Mazzi nasce dal considerevole e costante incremento delle iscrizioni da parte di alunni stranieri, che induce la necessità di offrire un’accoglienza adeguata e progetti pedagogico-didattici che contemplino la presenza di culture “altre”. Infatti, subito dopo la formazione dell’IC nell’a.s. 2001/2002, allorché esisteva una commissione “intercultura” che tentava di prendere in carico i problemi e le esigenze emergenti in presenza di alunni stranieri sempre più numerosi, sono state costituite due commissioni, “scuola e agenzie del territorio” e “integrazione”, ognuna delle quali svolge un compito diverso. La prima ha come obiettivi la conoscenza della normativa che regolamenta i rapporti tra scuola e enti del territorio, la raccolta di documentazioni ed esperienze significative, l’organizzazione di momenti di formazione, l’aggiornamento dei rapporti con le agenzie esistenti, la realizzazione e lo studio di nuovi progetti. La seconda si occupa prevalentemente di attivare laboratori di italiano come L2 e di interventi di prima alfabetizzazione, di progettare collaborazioni con mediatori culturali, di sviluppare i rapporti con le famiglie e con le agenzie del territorio. L’IC Mazzi è composto, come è già stato sottolineato, da plessi con realtà diverse tra loro; di conseguenza vi sono scuole – soprattutto quelle con una componente straniera più rilevante – che possiedono un’esperienza maggiore nell’ambito interculturale. Ad esempio, le educatrici della scuola per l’infanzia non hanno riscontrato finora situazioni particolarmente problematiche, sia perché gli alunni stranieri di quella fascia d’età sono pochi, sia perché il linguaggio del corpo è il codice comunicativo da essi maggiormente utilizzato. Viceversa, nella scuola primaria i docenti rilevano numerose difficoltà con bambini non italofoni, soprattutto se nati all’estero. L’intervento formativo diventa ancora più delicato con i ragazzi delle scuole secondarie di primo grado, vale a dire nell’età preadolescenziale, momento in cui si costruisce la propria identità in relazione a sé e agli altri. Proprio in tale percorso è emerso che si possono manifestare due tipi di atteggiamento: un aperto rifiuto delle proprie origini28 o un’ostentazione del proprio statuto di migrante. Tuttavia l’IC Mazzi, partendo da una situazione emergenziale, è stato in grado in pochi anni di darsi una buona organizzazione: in principio l’alunno straniero veniva inserito nella classe e si cercava, attraverso un lavoro intenso, di indurlo ad imparare nel minor tempo possibile; oggi, viceversa, l’intervento è più moderato, poiché si comincia con un corso di prima alfabetizzazione e si accede gradualmente alle successive fasi di integrazione ed apprendimento. Particolarmente significativo è il progetto “Intercultura”29, che ha mostrato chiaramente il passaggio da una situazione di emergenza “alunni stranieri” cui far fronte, all’assunzione esplicita di una progettualità da parte dell’istituto. La multiculturalità, infatti, è la dimensione che qualifica tale realtà scolastica – con un’attenzione particolare verso i curricula e le unità didattiche – che diviene il contesto in cui si apprende, si produce e si riproduce cultura. Uno dei punti fondamentali del progetto è la promozione o il mantenimento della propria lingua così come della cultura di origine, includendo i bambini italiani in un processo di partecipazione alle culture “altre” così come gli adulti (genitori e docenti) nelle diverse fasi di 27 Le informazioni inserite nel presente paragrafo sono state fornite direttamente dall’IC Mazzi e sono state raccolte presso il sito della Fondazione ISMU, Ufficio Scolastico Regionale per la Lombardia. 28 La tendenza a rifiutare le proprie origini deriva non di rado dall’atteggiamento razzista di non pochi ragazzi italiani nei confronti di coetanei cinesi; altre volte, invece, è il desiderio di acquistare una propria autonomia ed indipendenza dal gruppo etnico e dalle aspettative della propria famiglia che genera il rifiuto della propria identità nazionale e porta ad un completo distacco da essa. Per altre informazioni al riguardo si rimanda a Ceccagno, 2004, pp. 68-74. 29 Per un approfondimento su tali iniziative si veda Ottaviano, 2005, pp. 165-192. La scuola, una realtà multiculturale apprendimento, per esempio, mediante corsi serali di lingua30. In particolare, poiché l’azione educativa dell’insegnante orienta l’incontro quotidiano tra culture differenti, vengono organizzati corsi di formazione per docenti che sviluppano l’idea di intercultura non solo come percorso di accoglienza e integrazione degli alunni stranieri ma anche come habitus che connota l’intero operato educativo. Oltre all’organizzazione interna alle scuole dell’IC, un elemento significativo è fornito dalla ricca collaborazione instaurata con enti del territorio bergamasco come, per esempio, lo Sportello Scuola per l’integrazione degli alunni stranieri e per l’educazione interculturale, la Fabbrica dei Sogni e la Comunità Ruah31. Il primo è un servizio rivolto alle scuole che, presentando situazioni difficoltose in relazione alla cospicua presenza di alunni stranieri, si organizzano in rete e vengono coordinate nella progettazione di interventi, nella formazione dei docenti, così come nell’istituzione di laboratori sui temi dell’accoglienza, dell’integrazione, dell’educazione e della pedagogia interculturale32. Per esempio, esso ha attivato non solo progetti di supporto all’apprendimento linguistico e allo studio per alunni stranieri con corsi intensivi anche durante il periodo estivo, ma pure corsi di formazione ed attività di consulenza rivolte a docenti. La “Fabbrica dei Sogni” (conosciuta pure con il nome di “Centro San Giorgio”)33, nata in maniera informale nel 2000 come gruppo di assistenza alle attività di studio individuali34 su iniziativa di alcuni laici, è un luogo di incontro e di ricreazione per i minori che la frequentano. Trattandosi ormai quasi esclusivamente di bambini stranieri, vi si privilegiano feste, tornei e incontri multietnici. Infine, la Comunità Ruah, nata nel 1990 come centro di accoglienza per immigrati grazie alla collaborazione tra San Vincenzo e Caritas Diocesana35, attualmente gestisce pure un laboratorio occupazionale, corsi di lingua italiana e di informatica per stranieri, così come progetti di educazione interculturale con oratori, biblioteche, associazioni e scuole di vario ordine e grado. In quest’ultima tipologia di attività si inscrivono le numerose collaborazioni con l’IC Mazzi36. 30 Nel caso degli immigrati cinesi, sintomo e causa forse di una mancata o parziale integrazione in Italia è la scarsa conoscenza della lingua italiana che spesso, inadeguata, costituisce un limite alla comunicazione così come allo scambio culturale con gli Italiani. Un’aggravante è peraltro l’impossibilità di comunicare talvolta con i connazionali, data la profonda diversità dei dialetti parlati in Cina. Si tratta di un problema che investe anche la sfera istituzionale, sia nei rapporti con la Repubblica Popolare Cinese, sia nei rapporti con gli apparati burocratici italiani, per mancanza di traduttori competenti (Galli, 1994, p. 95). Nel caso dell’IC Mazzi, per quanto riguarda gli studenti cinesi, è da segnalare un progetto di supporto linguistico per i bambini che frequentano le prime classi realizzato da specialisti che facilitano l’apprendimento dell’italiano. 31 Sui limiti e i vantaggi dei rapporti che le scuole lombarde intessono con gli altri organismi del territorio nella prospettiva di sopperire ad una carenza di risorse interne alle singole strutture, si veda Mentasti, 2005. 32 Tra le attività che esso promuove si ricorda il progetto ALIS (Avvio alla Lingua Italiana per Stranieri), attivato in collaborazione con il CIS (Centro di Italiano per Stranieri) della Facoltà di Lingue e Letterature Straniere dell’Università degli Studi di Bergamo, per il cui approfondimento si rinvia al contributo di Grassi nel presente volume. Tale progetto è rivolto ai docenti delle scuole primaria e secondaria (di primo e secondo grado), fornisce materiali e documentazione per i percorsi di alfabetizzazione e promuove la costruzione nelle scuole di laboratori di italiano L2 come luogo di accoglienza e di apprendimento. 33 Essa, costituitasi formalmente ONLUS nel 2003, è gestita da due operatori affiancati da una settantina di volontari ed è attualmente frequentata da un centinaio di ragazzi. Nello statuto si legge che lo scopo dell’associazione è “promuovere a livello individuale, sociale e spirituale la dignità umana dei minori in età scolare e delle loro famiglie (…) per prevenire la dispersione scolastica, la solitudine familiare, la devianza minorile e la vita di strada con le sue conseguenze”. 34 Un altro centro che collabora da alcuni anni con gli IC della città è l’Oratorio San Tomaso, con l’iniziativa denominata “Nonsolocompiti”. 35 Anche la Comunità Ruah nel 1998 si è costituita come ONLUS. 36 Occorre precisare che, mentre lo Sportello Scuola, essendo una struttura di rete e di coordinamento tra scuole, opera all’interno dell’ambito scolastico e da qui attiva i propri contatti sul ter- 179 180 Atlante della diaspora cinese L’introduzione degli alunni a tali realtà territoriali ha permesso loro di conoscere meglio enti finalizzati alla promozione dell’educazione interculturale, agevolando al contempo il processo di socializzazione esterno alla scuola. Tuttavia, la tendenza a delegare a strutture extrascolastiche il soddisfacimento dei numerosi bisogni posti dall’utenza straniera determina un limitato coinvolgimento degli insegnanti nella collaborazione con tali agenzie in orario non scolastico. Infatti, tra le difficoltà incontrate nel percorso per la formazione di una scuola multiculturale, sono emerse l’impossibilità di coinvolgere l’intero corpo docente e la mancata ottimizzazione di risorse e competenze; così come la precarietà dei progetti – la cui durata varia in base alle risorse disponibili – nonché l’inadeguato sviluppo dei processi di valutazione reale dei risultati ottenuti. Si rilevano, poi, scarse occasioni di promuovere i progetti sia all’interno delle singole scuole che presso altri istituti scolastici e, infine, esigue opportunità di formazione dei dirigenti all’educazione interculturale. Dunque, per diffondere una cultura del dialogo e dell’attenzione all’altro è necessario operare in diverse direzioni, ossia offrendo strumenti linguistici, educativi e sociali agli stranieri, formando il corpo docente e intervenendo sugli autoctoni, con momenti di ascolto e confronto. Per raggiungere tali obiettivi la scuola deve dotarsi di strumenti che le permettano di costituire l’elemento trainante di politiche territoriali volte a promuovere l’intercultura come momento di incontro, dialogo e scambio. La comunicazione, inoltre, non può essere limitata all’interno della scuola ma, viceversa, in una prospettiva di comunità allargata, deve coinvolgere i plurimi attori presenti nel territorio. La sinergia fra di essi deve puntare a mobilitare tutte le risorse disponibili sia nella singola struttura scolastica che nell’intero tessuto territoriale, per gestire, con ruoli e competenze diversificati, un’evoluzione della società in direzione sempre più multiculturale. 5. Bimbi cinesi a scuola Nel percorso di apprendimento della lingua italiana come L2, che rappresenta uno dei primi passi verso l’integrazione sociale e scolastica, si deve tenere conto di alcuni fattori rilevanti, come la tipologia della lingua d’origine, l’età dello studente, una precedente scolarizzazione nel Paese d’origine, le motivazioni e il progetto di vita dell’alunno e della sua famiglia. Per quanto riguarda, in particolare, la vicinanza linguistica rispetto all’italiano il percorso di apprendimento per gli alunni cinesi – così come per quelli arabi, indiani, cingalesi…– è più difficile rispetto a quanto lo sia, ad esempio, per gli alunni sudamericani. Tale dato, riconducibile evidentemente alle diverse famiglie linguistiche, determina l’utilizzo di metodi di apprendimento differenti per alunni appartenenti a diversi gruppi nazionali con il frequente ausilio di mediatori culturali37 che facilitino la comunicazione non solo con l’alunno, ma pure con la sua famiglia. Infatti, sebbene le competenze precedentemente acquisite in lingua cinese rappresentino saperi da valorizzare, le difficoltà nell’apprendimento dell’italiano come L2 da parte di alunni sinofoni non mancano. Il distacco dal Paese di origine, l’inserimento nel nuovo ambiente scolastico e l’apprendimento dell’italiano, la socialità che si sviluppa con i coetanei autoctoni e l’orientamento della ritorio, la Fabbrica dei Sogni e la Comunità Ruah sono agenzie del tutto esterne alla scuola, ma ugualmente centrali nel supporto alle attività di integrazione ed educazione culturale condotte dalla scuola. 37 La figura del mediatore culturale riveste un ruolo cruciale nell’integrazione del bambino immigrato, ma pure degli adulti. Egli, infatti, introduce l’alunno e la sua famiglia nell’organizzazione della scuola e dei servizi da essa offerti, cura gli incontri dei docenti per la formazione dell’alunno, favorisce la comunicazione con le famiglie e collabora con gli insegnanti nell’organizzazione delle attività culturali. La scuola, una realtà multiculturale famiglia contribuiscono ad aprire o chiudere orizzonti educativi e prospettive di successo scolastico. Gli ostacoli che i bambini cinesi incontrano sono anzitutto di natura linguistica: il percorso di apprendimento dell’italiano si presenta più complesso, in quanto italiano e cinese38 sono due lingue totalmente diverse, per cui l’alunno necessita di un riorientamento simbolico cui la lingua madre non può fornire alcun supporto. Per quanto riguarda l’uso quotidiano di italiano e cinese, inoltre, la maggior parte dei minori cinesi vive una situazione di plurilinguismo, in quanto apprende a padroneggiare l’italiano nelle interazioni con gli autoctoni, ma ci si aspetta che parli il dialetto della terra d’origine in famiglia così come il pŭtōnghuà nelle occasioni istituzionali. Tuttavia, sebbene i bimbi cinesi manifestino una certa propensione verso l’italiano – dovuta al contatto con i coetanei frequentati a scuola, ma anche al fatto che le nuove generazioni arrivano in Italia sempre più precocemente, o addirittura vi nascono – la lingua utilizzata in casa con gli adulti permane il dialetto d’origine e talvolta il pŭtōnghuà, creando una certa confusione identitaria39. Nel contatto linguistico sorgono poi interferenze culturali, in quanto lingua e cultura vivono una relazione inscindibile, essendo la prima mezzo comunicativo della seconda. I bambini, dunque, si trovano schiacciati tra l’eredità di un tradizionalismo antico e gli stimoli di una modernità che vorrebbe vedere riconosciuta un’equa opportunità di autodeterminazione alle nuove generazioni40. In particolare, la tendenza alla chiusura all’interno del proprio gruppo nazionale da parte degli immigrati cinesi e il mantenimento di una cultura “diversa” dipende in gran parte dai limiti comunicativi e dalla struttura socioeconomica di questa collettività. Il bisogno umano di identificarsi con un gruppo induce gli immigrati, che non trovano un canale aperto verso gli autoctoni, a dipendere completamente dalla comunità di appartenenza, che, unica, provvede alle esigenze primarie e secondarie dei suoi componenti. La popolazione cinese lavora in un sistema produttivo in cui lăobăn (datore di lavoro) e gōng rén (lavoratore dipendente) sono connazionali, cosa che favorisce una coesione sociale ambivalente: da un lato si accresce la costrittività del gruppo sull’individuo, dall’altro si rafforza il senso di appartenenza ad una comunità, rendendo più difficile la comunicazione con l’esterno. Ci si trova di fronte ad un progetto di autoaffermazione centrato su valori economici ai quali ci si dedica totalmente. La competenza linguistica può quindi rappresentare una risorsa o un problema nel Paese ospitante, e non solo nell’ambito della scuola, ma soprattutto in quello più ampio delle relazioni sociali. Strettamente collegata ad essa e non sempre facile è la conservazione della propria identità linguistica e culturale, risorsa sia per l’immigrato che per la società ospite. Fondare politiche di istruzione e di integrazione economica, linguistica e culturale su una conoscenza della cultura “altra” pare, infatti, ancora un obiettivo irraggiungibile. La scarsità di luoghi di incontro, l’impossibilità di comprendersi di fronte ad un bisogno di cure, la mancanza di una rappresentanza alimentano la tendenza alla discriminazione. Pertanto la scuola diviene uno spazio di incontro centrale, se è integrata a politiche sociali adeguate. La presenza di bambini cinesi che frequentano la scuola italiana viene perce- 38 Quando si parla delle lingua cinese ci si riferisce alla lingua nazionale cinese, il pŭtōnghuà. Il cinese è presentato nel contributo di Bernini in questo volume. In prospettiva didattica è utile Omodeo, 2000. 39 Sull’utilizzo della lingua cinese e italiana nei differenti ambiti della vita quotidiana e su alcune testimonianze rilasciate al riguardo da alcuni giovani cinesi residenti a Prato, si veda Ceccagno, 2004, p. 61-68. 40 Riguardo la situazione dei minori cinesi residenti a Milano, il ruolo da essi ricoperto all’interno della comunità cinese milanese e il rapporto con la scuola e i coetanei italiani, si rinvia a Farina, 1997, pp. 78-83. 181 182 Atlante della diaspora cinese pita, per un verso, come una vera e propria risorsa per la famiglia, poiché essi fungono da interpreti grazie all’apprendimento della L241: il minore rappresenta quindi un tramite importante di comunicazione con l’ambiente sociale esterno42. Tuttavia, per altro verso, l’uso di una lingua differente risulta una sorta di tradimento delle aspettative derivanti dall’inserimento scolastico: la distanza fra i modelli di vita offerti dalla famiglia e quelli appresi all’esterno della propria comunità costituisce un vincolo pesante, riconducibile ad esperienze migratorie iniziate in giovane età. Un ulteriore aspetto che penalizza molti minori (sia da un punto di vista didattico che relazionale) è l’alta mobilità sul territorio degli immigrati cinesi. Spesso, infatti, nel corso dell’anno scolastico alunni cinesi abbandonano la scuola perché la propria famiglia si trasferisce in un’altra città. Tale spostamento, tuttavia, non stupisce, dal momento che nella prospettiva del Cinese d’oltremare l’Italia, ma talvolta anche l’Europa, costituisce un territorio unitario all’interno del quale ricercare continue opportunità per legalizzare, consolidare e migliorare le proprie condizioni socio-economiche, mediante la valorizzazione delle proprie reti relazionali, delle conoscenze acquisite e della dimensione transnazionale della diaspora cinese. Viceversa, solitamente presso i migranti la mobilità a vasto raggio tende a decrescere con il passare degli anni o l’arrivo dei figli. Tuttavia, i Cinesi mantengono una relazione dinamica con il territorio, spinti dal desiderio di accrescere la propria ricchezza in tempi brevi e determinati a contrastare la concorrenza interna indotta dall’arrivo di nuovi immigrati. Quindi essi si spostano con frequenza da una città all’altra e tale mobilità diventa quasi un modus vivendi (Ceccagno, 2004, pp. 129-135). I frequenti spostamenti inibiscono senza dubbio le possibilità di socializzazione dei figli, dal momento che i rapporti di conoscenza o amicizia vengono interrotti. Anche il radicamento nel nuovo luogo di residenza è difficile e i riferimenti stabili finiscono per essere solamente legati al gruppo nazionale e ai luoghi di ritrovo della comunità di appartenenza. Tale situazione di disagio si manifesta spesso in un basso successo scolastico, che penalizza i ragazzi e le loro aspirazioni future. A soffrirne maggiormente sono sia i figli degli operai che lavorano nei laboratori43, spesso costretti a spostarsi da un luogo ad un altro inseguendo le commesse, sia i figli di coloro che hanno avviato un’attività poco fortunata e di conseguenza cercano altrove possibilità lavorative migliori. Viceversa, alcune famiglie di microimprenditori vedono nel figlio, spinto ad entrare precocemente in ambito lavorativo per badare ai fratelli più piccoli, il vantaggio competitivo per espandere la propria attività, che viene dunque caricato di aspettative di affermazione anche al di fuori del modello etnico di riferimento. In tale prospettiva, la scuola è talvolta percepita non come un’importante occasione di formazione, bensì come negazione del lavoro, un limbo di persone oziose in un’economia etnica che vede il proprio futuro lavorativo. Ne consegue che la tendenza dei Cinesi in Italia per l’educazione scolastica dei figli è modesta, poiché vi accedono prevalentemente cittadini cinesi con bassi livelli culturali. Pare prioritario, dunque, offrire sostegno a quei ragazzi che non hanno elabo41 Bisogna dire che tale apprendimento in alcuni bambini non è molto facilitato. Tra i numerosi fattori che rallentano l’accesso alla lingua italiana, oltre alla diversità tra l’alfabeto cinese e quello italiano, vi sono anche i continui spostamenti che alcune famiglie cinesi sono costrette a compiere, in cerca di occasioni lavorative migliori. Ciò determina molta confusione nel bambino, ostacolando una continuità didattica e l’instaurarsi di rapporti di amicizia stabili con gli altri bambini. 42 Tale “attività” di traduttori-interpreti, cui vengono destinati i minori non ancora avviati al lavoro, non di rado genera un sentimento di inadeguatezza linguistica, soprattutto nel rapporto con le istituzioni o con persone che utilizzano un linguaggio specialistico, a loro ignoto ed incomprensibile. 43 Non è raro che questi ragazzi vivano con le famiglie in laboratori privi di spazi e orari propri e che tale condizione incida negativamente anche sul rendimento scolastico. La scuola, una realtà multiculturale rato a sufficienza la loro esperienza migratoria e che incontrano difficoltà nella costruzione di un’identità complessa, qual è quella di coloro che vivono tra più culture. Anzitutto bisogna fornire loro competenze linguistiche in maniera efficace, poi aiutarli nella socializzazione con i coetanei italiani e nel loro percorso di crescita generale. Infatti, ci si trova di fronte ad una popolazione in continuo aumento in una società multietnica com’è quella bergamasca, che dalle generazioni adulte può ereditare un forte senso di responsabilità, la capacità di sfruttare le risorse a disposizione ed un notevole pragmatismo operoso. Se li si aiuta ad uscire da una condizione difficile, di isolamento, i giovani Cinesi di oggi potranno diventare gli Italiani di origine cinese cosmopoliti di domani. 183 185 CAPITOLO 8 Le lingue tra i Cinesi d’Italia* di Ada Valentini 1. Introduzione In Italia la ricerca linguistica che si è occupata di immigrazione si è sviluppata intorno a due filoni principali: la linguistica acquisizionale – l’italiano di stranieri – e la sociologia del linguaggio – le lingue straniere (o immigrate) in Italia –, la prima linea di ricerca intrapresa negli anni Ottanta e ormai giunta alla maturità, la seconda al suo esordio. Questo susseguirsi di oggetti diversi di indagine rispecchia le fasi della storia dell’immigrazione in Italia: quando il fenomeno è ancora circoscritto, l’interesse dei linguisti si concentra sull’acquisizione dell’italiano, sul divenire di un sistema linguistico osservato individualmente, in singoli apprendenti osservati nello sviluppo graduale, nel corso del tempo; quando più tardi il fenomeno migratorio si dilata, l’interesse si allarga dal livello individuale a quello comunitario (il primo lavoro in questa direzione è Mioni, 2000) e ci si orienta a scoprire l’apporto linguistico dell’immigrato nello spazio linguistico italiano. Intorno a questi due ambiti di indagine si sono sviluppati alcuni progetti di ricerca di rilevanza nazionale: i più noti o importanti sono il “Progetto di Pavia” dedicato al côté acquisizionale del binomio “lingua e immigrazione” e il progetto CNR Agenzia 2000 “Le lingue straniere immigrate in Italia” rivolto al versante sociolinguistico in senso più stretto1. Nei paragrafi che seguono vengono illustrati alcuni dei principali risultati degli studi in queste due aree di indagine per quanto riguarda la comunità cinese residente in Italia o, più in dettaglio, sul territorio locale. Invertendo la cronologia della ricerca, osserviamo dapprima il quadro che si è delineato riguardo al repertorio linguistico della comunità cinese (cfr. il par. 2) e, in seguito (cfr. il par. 3), tenendo come sfondo ciò che è emerso sopra, adottiamo una prospettiva più microlinguistica, soffermandoci sulla sua acquisizione dell’italiano. 2. Le lingue immigrate in Italia: il caso dei Cinesi Nell’ambito del recente progetto “Le lingue straniere immigrate in Italia” è stata tracciata la presenza di lingue immigrate su diversi punti del territorio nazionale (nelle province o città di Torino, Pavia e Verona al Nord e Siena al Centro) e tramite strumenti d’indagine differenziati (da una parte, ricerche docu- * Il presente lavoro rientra nel Progetto CNR Agenzia 2000 intitolato “Le lingue straniere immigrate in Italia” finanziato dal CNR (coordinatore nazionale: Massimo Vedovelli e coordinatore dell’Unità locale di Bergamo: Giuliano Bernini) e nel PRIN 2006 dal titolo “Struttura del lessico e competenza testuale in lingua seconda: prospettiva acquisizionale e prospettiva interazionale” (coordinatore nazionale e dell’Unità locale di Bergamo: Giuliano Bernini). 1 Si ricorda che nel 2001 presso l’Università per Stranieri di Siena è stato istituito il Centro di Eccellenza della Ricerca Osservatorio Linguistico Permanente dell’Italiano Diffuso fra Stranieri e delle Lingue Immigrate in Italia. 186 Atlante della diaspora cinese mentate sul campo e dall’altra, proiezioni del dato linguistico sulla base delle informazioni relative alla nazionalità); anche la realtà bergamasca ha preso parte a questo progetto e nel 20032 sono state effettuate alcune interviste con minori stranieri per disegnare la presenza di lingue immigrate nel territorio locale (si veda per i risultati generali Valentini, in c.s.). Tali interviste, basate su un questionario ideato da chi scrive, sono state condotte oralmente e individualmente con gli allievi di quattro scuole cittadine, due situate nel centro della città, di pertinenza della Prima Circoscrizione amministrativa, e le altre due ubicate nei quartieri più periferici di Monterosso e di Conca Fiorita che cadono sotto la Quarta Circoscrizione (a nord della città)3. La Prima Circoscrizione è, tra le sette del Comune, quella tuttora più interessata dal fenomeno migratorio con poco più di un quarto degli immigrati della città in essa residente4. Anche alla fine del 2002 (ossia due mesi prima dell’inizio della nostra indagine sul campo) tale circoscrizione era caratterizzata da una forte incidenza straniera: in essa alcuni Paesi di provenienza quali il Marocco, l’Albania, il Senegal e la Cina erano i più rappresentati e, in particolare, i Cinesi erano ivi concentrati, raggiungendo circa la metà delle presenze sui 270 Cinesi dell’intero Comune (AMiCI, 2004, p. 21)5. La Quarta Circoscrizione invece presentava (e presenta) una densità di popolazione straniera decisamente inferiore a quella della prima6, ma la scelta è caduta su di essa per motivi essenzialmente pratici7; inoltre, l’Istituto Comprensivo in essa situato presenta un numero assoluto elevato di alunni stranieri. I soggetti contattati sono centoventitré (si tratta di un campione rappresentativo – il 13% ca. – dell’intera popolazione cittadina straniera iscritta all’epoca del rilevamento a scuole dell’obbligo), distribuiti equamente per appartenenza ai due Istituti Comprensivi coinvolti8. Gli studenti delle scuole secondarie sono più 2 Si potrebbe obiettare che i dati qui presentati non siano aggiornati; tuttavia va detto che i pattern di shift e di mantenimento della lingua materna (o L1) rilevati per la comunità cinese sui quali ci soffermiamo in questo paragrafo si sono dimostrati validi in tempi (e luoghi) diversi. 3 Le quattro scuole cittadine sono: la scuola primaria “F.lli Calvi” e la scuola secondaria di primo grado “A. Mazzi”, plessi dell’Istituto Comprensivo omonimo “Mazzi”; la scuola primaria “Papa Giovanni XXIII” e la scuola secondaria di primo grado “G. Camozzi” dell’Istituto Comprensivo omonimo “G. Camozzi”. 4 La Prima Circoscrizione detiene tale primato dal 1992; al primo gennaio 2007 essa ospita il 27% (pari a 3.252 su 11.654) degli stranieri del Comune (Comune di Bergamo, 2007, p. 158). 5 È per coerenza con il periodo di rilevazione che i dati demografici appena riportati si riferiscono alla fine del 2002. Ad ogni modo, anche i dati più recenti, relativi alla distribuzione delle diverse nazionalità degli stranieri nel Comune al primo gennaio 2007, confermano la maggiore concentrazione dei Cinesi nella Prima Circoscrizione dove ne risiedono 216 (pari al 40% circa) su un totale di 572 presenti nell’intero Comune; in tale circoscrizione i Cinesi rappresentano il terzo gruppo di immigrati per consistenza numerica, dopo Boliviani e Rumeni. Va detto però che nel periodo più recente si assiste a un irradiamento della comunità cinese nella Settima e, soprattutto, nella Sesta Circoscrizione: in quest’ultima ad es. l’incremento dei Cinesi dalla fine del 2005 alla fine del 2006 è stata del 55% (da 82 soggetti a 127) contro un aumento del solo 11% nella Prima Circoscrizione (da 195 unità a 216). Tale irradiamento non contraddice la tendenza all’aggregazione e la conseguente monoetnicità del reticolo sociale, favorita dalla buona e crescente dimensione della comunità, dai forti legami interni nonché dall’attiguità territoriale delle tre circoscrizioni in oggetto. 6 La Prima Circoscrizione presentava un’incidenza straniera sull’intera popolazione residente del 7% circa, mentre nella quarta la popolazione straniera residente vi incideva per meno del 3% (alla fine del 2006 l’incidenza è raddoppiata; AMiCI, 2004, pp. 19-20; Comune di Bergamo, 2007, pp. 3 e 158). 7 In particolare, il reperimento dei dati ha avuto inizio nella scuola primaria “Papa Giovanni XXIII” (dove le prime interviste sono state condotte nel 2002 con una versione pilota del questionario poiché alcuni alunni avevano già una certa familiarità con uno degli intervistatori). Anche la conoscenza diretta di alcune docenti (Nadia Foglieni e Maria Grazia Nicoli, che qui cogliamo l’occasione di ringraziare vivamente) che si occupavano di alunni stranieri ha facilitato l’ingresso nella scuola. 8 Le interviste sono state condotte, in un’aula messa a disposizione dalle rispettive scuole, prevalentemente da Lorenzo Spreafico e in parte, per circa un quinto del totale, da chi scrive nel periodo compreso tra febbraio e maggio 2003. Le lingue tra i Cinesi d’Italia numerosi degli alunni delle primarie (il 58% contro il 42%); l’età degli intervistati varia dai sei ai diciotto anni, la lunghezza del soggiorno in Italia va da un minimo di un mese a un massimo di dodici anni e la distribuzione per sesso è equilibrata. La nazione d’origine più rappresentata (Tavola 189) è la Bolivia con 24 allievi (il 20% ca. del campione), seguita da Marocco (11%), Albania e Serbia/exJugoslavia (con il 9% ciascuna), Cina con il 7% e, infine, Ecuador e Romania (il 6,5% ciascuna): tale distribuzione rispecchia abbastanza fedelmente la situazione cittadina in cui la maggior parte dei Paesi di provenienza citati sopra occupava (e occupa) le prime posizioni nella graduatoria relativa alle presenze (fa eccezione l’Ecuador che a livello comunale occupava solo la sedicesima posizione)10. Nel dettaglio, agli otto soggetti cinesi nati nella Repubblica Popolare (e in particolare – là dove dichiarato – nella provincia dello Zhèjiāng) possiamo aggiungere un altro alunno, nato in Italia da genitori cinesi giunti nel nostro Paese due anni prima della sua nascita11. Il questionario sul quale si basa l’intervista, composto di poco più di cinquanta domande, è suddiviso in tre parti: la prima serve a raccogliere dati anagrafici relativi al soggetto intervistato e alla sua famiglia, quali ad es. l’età dell’allievo, la composizione del nucleo familiare residente in Italia o l’eventuale coabitazione con persone estranee al nucleo stesso; in questa prima parte si reperiscono anche informazioni riguardo alla durata del soggiorno e della scolarizzazione in Italia e all’eventuale scolarizzazione nel Paese d’origine. La seconda parte è finalizzata a delineare il repertorio linguistico dell’intervistato secondo il suo giudizio, anche qualitativo, in riferimento alle quattro abilità della comprensione e produzione orali e scritte. La terza parte, infine, ha lo scopo di tracciare l’uso delle lingue note in domini diversi, come ad es. quello familiare, amicale e scolastico. Quest’ultima parte è quella più importante ai fini della ricerca poiché permette di fare ipotesi sulle tendenze di conservazione della lingua materna (o L1) o, viceversa, di adozione o shift verso la lingua del Paese ospite nelle comunità immigrate. Il quadro generale che si ottiene da un primo spoglio dei dati rivela anzitutto una notevole diversità o ricchezza linguistica e un elevato grado di plurilinguismo: ben trentanove lingue differenti12 sono conosciute e padroneggiate in diver9 I valori assoluti, riportati anche nella Tavola 18, e i dati percentuali che seguono includono gli alunni stranieri nati in Italia da genitori non italiani: in tale caso è stata tenuta in considerazione la nazione d’origine dei genitori. 10 L’ordinamento interno del nostro campione in termini di presenze da un determinato Paese d’origine confrontato con la omologa graduatoria comunale presenta però qualche differenza: per es. in città il Senegal era al terzo posto (alla fine del 2006 è sceso al settimo; Comune di Bergamo, 2007, p. 159), mentre nel nostro campione non vi è nemmeno un alunno di origine senegalese. La discrepanza va fatta risalire al fatto che l’immigrazione senegalese era preponderantemente maschile (310 maschi contro 67 femmine), ad indicare un progetto migratorio temporaneo. Al contrario, la presenza ecuadoregna era soprattutto femminile (75 femmine contro 28 maschi) e poiché la donna è più propensa a portare con sé i figli, ciò spiega la buona presenza di alunni di origine ecuadoriana nelle scuole. 11 Se è vero che i nostri dati riferiti ai Cinesi non sono particolarmente ampi da un punto di vista quantitativo, è pur vero che il numero di Cinesi intervistati è proporzionalmente superiore alla loro presenza media sul territorio comunale. Per ovviare al problema quantitativo abbiamo sempre cercato conferma delle tendenze che emergono dal nostro campione nei risultati della più ampia ricerca di Antonella Ceccagno (2003), che in un’indagine sociolinguistica simile alla nostra per strumento di rilevazione e tipologia dell’intervistato, ha contattato esclusivamente studenti di nazionalità cinese (96 in tutto), residenti prevalentemente a Prato. Un ulteriore confronto è stato fatto con i dati di Chini (2004a) che riferisce di interviste simili alla nostra effettuate con 404 minori immigrati residenti nelle province di Pavia e Torino: nel campione di Chini gli alunni di nazionalità cinese risultano essere ventuno (cfr. Chini, 2004b, p. 116). 12 Va detto che in alcuni casi il glottonimo indicato dagli allievi non è preciso: ad es. uno studente afferma di aver imparato dal padre “l’afgano” e in tal caso non siamo in grado di stabilire se 187 TAVOLA 18 – Paese d’origine degli alunni intervistati nelle scuole “F.lli Calvi”, “A. Mazzi”, “Papa Giovanni XXIII” e “G. Camozzi” di Bergamo TAVOLA 19 – L’intercultura a scuola 190 Atlante della diaspora cinese Grafico 30 Studio della L1 in Italia Dati: reali sul numero degli alunni stranieri intervistati nel 2003 Fonte: indagine sul campo, Università di Bergamo sa misura nel campione. Mentre solo due soggetti – entrambi nati in Italia13 – si dichiarano monolingui in italiano, cinquanta intervistati circa hanno competenze, oltre che in italiano, in altre due lingue e due alunni – entrambi provenienti dall’Africa – affermano di conoscere, oltre alla L2, almeno altre tre o quattro lingue14. I soggetti cinesi dichiarano tutti di sapere almeno il cinese e la metà di essi fa esplicito riferimento tanto al “dialetto” quanto alla varietà del mandarino o pŭtōnghuà (“lingua comune”)15: è soprattutto nella varietà scritta di quest’ultimo che gli intervistati manifestano le maggiori incertezze; il fenomeno sembra correlato alla breve o, in altri casi, remota scolarizzazione nei Paesi d’origine e, insieme, alla notoriamente impegnativa acquisizione dei logogrammi cinesi. Si profila quindi già, come è consueto nel caso di figli di immigrati, una situazione di bilinguismo non equilibrato (o non fluente), in cui una lingua – quella del Paese ospite – è dominante, soprattutto per determinate funzioni. Al proposito, per quanto riguarda lo studio della L1 in Italia, solo due fratelli tra i nove Cinesi affermano di averla studiata, a casa e con l’aiuto della madre: se l’iniziativa familiare è in sé lodevole, sappiamo però che essa è con ogni probabilità destinata al fallimento (perché non sorretta da istituzioni), come testimonierebbe già la brevissima durata dell’esperienza (solo un mese). Il Grafico 30 illustra la frequenza dello studio della L1 in Italia nell’intero campione: a livello generale, nella nostra indagine sono soprattutto gli studenti di religione musulmana nei cui Paesi di origine si parla diffusamente arabo a (continuare a) studiare la lingua imparata nel Paese d’origine, frequentando per due/tre ore la settimana la “scuola araba” in alcuni paesi della provincia16. A proposito dello studio della lingua materna, aggiungiamo qui che tra i progetti di intercultura attivati sino al 2006 nelle scuole della provincia (si vedano la Tavola 19 e il Capitolo 7, paragrafo 3) sono molto pochi quelli dedicati alla L1, il soggetto abbia appreso una delle due lingue ufficiali dell’Afghanistan (il pashto o il dari) oppure una delle altre 45 lingue non ufficiali ivi parlate. 13 Uno dei due soggetti si dichiara però incerto riguardo al luogo di nascita (Italia o Serbia). 14 Una ragazza undicenne proveniente dal Ghana dice di conoscere, oltre all’inglese anche letto e scritto, le due varietà akan del fante e del twi (una delle lingue della scolarizzazione in Ghana), “poco ga” e “qualcosa” di hausa. 15 La buona consapevolezza metalinguistica delle varietà del repertorio della comunità cinese era già emersa anche nell’indagine di Ceccagno, 2003, p. 144. 16 Tra i ventuno soggetti che studiano una delle lingue imparate nei Paesi d’origine, vi sono anche sei allievi delle scuole secondarie che si riferiscono allo studio curricolare dell’inglese o del francese. Le lingue tra i Cinesi d’Italia 191 Grafico 31 Lingua usata dall’intervistato con la madre e il padre17 Dati: percentuali sul numero di alunni intervistati nel 2003 che rispondono alla domanda18 Fonte: indagine sul campo, Università di Bergamo seppure in aumento nel periodo più recente: ad es. nell’a.s. 2006/2007, nell’ambito di un progetto di collaborazione tra il Consolato Generale del Regno del Marocco a Milano e l’Ufficio scolastico regionale per la Lombardia con gli Uffici Scolastici Provinciali delle quattro province lombarde – tra cui Bergamo – sono attivi corsi di lingua araba in orario extrascolastico per due/quattro ore la settimana. Entrambi gli istituti comprensivi dove ha avuto luogo l’indagine sono coinvolti in tale progetto e hanno accolto nei suddetti corsi 45 bambini della scuola primaria. Per quanto riguarda la scelta della lingua nelle interazioni con i genitori a livello generale (Grafico 31), la lingua materna è utilizzata esclusivamente o preferibilmente dal 56% del campione, mentre la scelta dell’italiano è esclusiva o preferita nel 23% dei casi (il restante 8% utilizza i diversi sistemi linguistici in egual misura); in confronto, i nove Cinesi mostrano una maggiore fedeltà alla L1 nelle interazioni coi genitori dato che la quasi totalità afferma di usare con madre e padre (prevalentemente) il cinese o il “dialetto” del Paese d’origine (Grafico 32); solo un adolescente quindicenne residente in Italia da cinque anni afferma di usare con i genitori in equal misura il dialetto d’origine, il pŭtōnghuà e l’italiano, passando a una scelta secca dell’italiano con il fratello cinquenne, nato in Italia. In lui emerge anche un acuto desiderio di imparare l’italiano: per motiva- Grafico 32 Lingua usata dall’intervistato cinese rivolta alla madre e al padre Dati: reali sul numero di alunni cinesi intervistati nel 2003 che rispondono alla domanda Fonte: indagine sul campo, Università di Bergamo 17 La risposta “altro” include diverse configurazioni di lingue scelte (per es. L1 usata con la madre e L2 con il padre). 18 Un soggetto non risponde alla domanda poiché i suoi genitori non sono in Italia. 192 Atlante della diaspora cinese Grafico 33 Lingua usata dall’intervistato rivolta ai fratelli20 Dati: reali sul numero di alunni intervistati nel 2003 che rispondono alla domanda21 Fonte: indagine sul campo, Università di Bergamo re l’assai sporadica visione di programmi televisivi in cinese dice “non li guardo molto perché ho paura di incasinarmi”. La maggiore fedeltà linguistica alla L1 all’interno della famiglia cinese è confermata dal fatto che, secondo le dichiarazioni degli intervistati, all’interno della coppia parentale l’italiano non emerge mai, là dove nei dati generali dell’intero campione la lingua autoctona ‘spunta’, talora come scelta secca talora come opzione (ma dispreferita), nella misura complessiva del 18% (per un simile comportamento testimoniato anche dalla seconda generazione di Cinesi immigrati nei Paesi Bassi cfr. van der Avoird, 2001, pp. 223-224). Coi fratelli, invece, il gruppo sinofono si conforma pienamente alle tendenze generali del campione (Grafico 33 e Tabella 4), ad indicare probabilmente che la maggiore fedeltà linguistica alla L1 di cui sopra è, più che conseguenza di una consapevole politica linguistica familiare, effetto della scarsa competenza dei genitori nella lingua autoctona19. Va detto comunque che nel campione complessivo una chiara politica linguistica familiare emerge solo in qualche raro caso: dietro all’alternanza, attestata in due casi, tra la L1 usata coi fratelli in casa e l’italiano usato sempre coi fratelli, ma fuori casa (cfr. la nota 20), si cela forse un atteggiamento censorio dei genitori verso la L2, ma altrettanto basso è il numero delle famiglie dove la scelta cade consapevolmente sull’italiano con il fine dichiarato di incrementarne la competenza. 19 È in questa direzione che vanno i dati raccolti da Ceccagno nelle interviste a quasi un centinaio di Cinesi (cfr. la nota 11): dalle risposte alla domanda relativa alla competenza dei genitori in L2 una buona competenza in italiano emerge solo nell’11% dei padri e nell’1% delle madri (Ceccagno, 2003, p. 130). 20 Con “scelta variabile” ci riferiamo a un comportamento linguistico che varia in funzione dell’interlocutore (di età maggiore o minore dell’intervistato) o del luogo dell’interazione: ad es. un alunno albanese e un’alunna marocchina dichiarano di usare con i fratelli l’albanese e l’arabo marocchino in casa e l’italiano fuori casa. 21 Alcuni intervistati (18 soggetti) sono figli unici o i loro fratelli sono troppo piccoli per interagire verbalmente con gli intervistati e quindi non hanno risposto alla domanda. Le lingue tra i Cinesi d’Italia Lingua (prevalentemente) usata dai soggetti cinesi con i fratelli L1 Italiano Totale non risponde* 193 Numero 4 4 8 1 * Uno dei soggetti cinesi ha un fratello troppo piccolo per l’interazione verbale. Sempre tra i Cinesi, infine, nel dominio scolastico prevale quasi sempre come unica scelta la lingua autoctona, come nel resto del campione: l’unica eccezione è rappresentata da un soggetto arrivato in Italia da tre/quattro mesi che alterna per necessità le due lingue; nel dominio amicale, invece, la presenza della L1 si fa un po’ più forte, presentandosi come scelta secca in un caso e come opzione più o meno preferita in altri quattro casi, se l’interazione avviene con amici di origine cinese. Significativo ci pare il fatto che dei quattro alunni dell’intero campione che non rispondono alla richiesta di specificare la lingua maggiormente impiegata nelle interazioni con amici italiani o stranieri, ma non della loro stessa nazionalità, tre siano cinesi a indicare probabilmente l’autoreferenzialità e l’isolamento della comunità23. In conclusione, complessivamente il comportamento sociolinguistico dei giovani sinofoni intervistati conferma l’effetto di taluni fattori che determinano la diversa misura del mantenimento della lingua d’origine e dello shift verso la lingua autoctona, come ad es. la durata della permanenza in Italia, gli anni di scolarizzazione sia nel Paese d’origine sia in Italia e – secondo quanto dichiarato a proposito della coppia parentale – la generazione24; tuttavia, in essi, a differenza del campione complessivo, si attesta una maggiore fedeltà alla lingua materna nelle interazioni coi genitori (ma non con i fratelli), dovuta con ogni probabilità alla scarsa competenza in italiano degli adulti25. Si intuisce inoltre una tendenza all’isolamento della comunità, attestata anche in ricerche precedenti (Ceccagno, 2003 e 2004). 3. L’acquisizione dell’italiano lingua seconda Chiarito lo sfondo linguistico in cui si muove la comunità cinese, passiamo ora ad osservare la seconda linea di studio: la ricerca sull’italiano come lingua seconda (o L2), ossia l’italiano di stranieri, inizia nel 1986, quando – a fronte di presenze straniere ancora sporadiche nel nostro Paese (400.000 circa) – un consorzio di università italiane, guidato dall’Ateneo pavese, dà il via al primo, lungimirante, progetto di ricerca sull’italiano di immigrati, cofinanziato dal Ministero dell’Istruzione e dalle Università di Bergamo, Torino, Trento e Udine, oltre che di Pavia26. Il progetto, preceduto in Europa da altre ricerche rivolte 22 Uno dei soggetti cinesi ha un fratello troppo piccolo per l’interazione verbale. Il quarto è un alunno rumeno arrivato da soli cinque mesi in Italia. 24 A rigore, la seconda generazione di immigrati è quella nata in Italia; tuttavia, poiché i minori immigrati condividono esperienze con quanti appartengono alla seconda generazione, essi vengono generalmente assimilati a questi ultimi (cfr. anche Ceccagno, 2004 per l’uso del termine “seconda generazione”). 25 Il dato trova conferma indiretta anche nell’indagine di Chini, 2004c, p. 319, che individua una maggiore propensione dei Cinesi adulti (e insieme dei Nordafricani adulti) al mantenimento della L1 nelle interazioni coi figli. 26 Il progetto ha conosciuto diverse edizioni (l’ultima è quella del biennio 2007-2008) e, dopo un coordinamento di durata più che decennale di Anna Giacalone Ramat, è attualmente coordinato a livello nazionale da Giuliano Bernini. 23 Tabella 4 Lingua usata dall’intervistato cinese rivolta ai fratelli Dati: reali sul numero di alunni intervistati nel 2003 che rispondono alla domanda22 Fonte: indagine sul campo, Università di Bergamo 194 Atlante della diaspora cinese all’acquisizione di diverse lingue seconde (il tedesco soprattutto), si dedica subito all’acquisizione spontanea dell’italiano, ossia quella di chi impara la lingua del Paese ospite senza riceverne un’istruzione specifica (tipicamente, l’immigrato adulto). Le indagini si sono basate su una banca dati, nota come Banca Dati di Pavia27, costituita dalle registrazioni, sotto forma di interviste su temi non specifici (in genere, la storia dell’immigrazione e questioni connesse al soggiorno in Italia), di ventidue apprendenti di italiano L2, seguiti longitudinalmente (ossia per un periodo prolungato e a cadenza regolare) fino a un massimo di un anno e due mesi; i soggetti sono giovani (solo tre hanno più di trent’anni) e parlano undici diverse lingue materne appartenenti a cinque famiglie linguistiche: oltre all’indoeuropeo, rappresentato da albanese, francese, inglese e tedesco, hanno voce per es. anche il semitico con l’arabo marocchino e il tigrino o il sinotibetano con il cinese. Tale varietà di L1 è stata intesa per facilitare l’individuazione di quei tratti che sono dovuti all’influenza della lingua materna e per contro di quelli comuni a tutti gli apprendenti e quindi imputabili ad una più generale capacità linguistica umana o alle caratteristiche della lingua che si sta imparando. L’idea fondamentale – ed europea – che soggiace al progetto è che gli apprendenti nel corso del loro progressivo avvicinamento alla lingua obiettivo, all’italiano, sviluppino ciò che viene chiamata varietà di apprendimento. Si tratta di un sistema linguistico autonomo, del quale, pur nella marcata variabilità, possono essere rintracciate le regolarità. Gli apprendenti sviluppano i principi costitutivi delle varietà di apprendimento in base alle conoscenze linguistiche precedenti (quindi la lingua materna o anche altre lingue prime o seconde conosciute, oltre a quanto già si sa a proposito della L2), in base alle proprietà dell’input28 che ricevono (quindi, in base a come è strutturata la L2) e in base alla capacità linguistica umana (cfr. Giacalone Ramat, 2003b per una sintesi del progetto). In tale quadro teorico, detto funzionalista29, sono stati indagati diversi livelli linguistici (la morfologia – del nome e del verbo –, la sintassi – della frase e del periodo –, la testualità – le anafore, i connettivi con la loro funzione di collegamento di frasi o di capoversi e via dicendo): tra essi uno dei più proficui è risultato essere quello della morfologia del verbo. In questo specifico ambito uno dei maggiori risultati delle ricerche è rappresentato dalla sequenza di acquisizione relativa ai tempi verbali dell’italiano e all’espressione della nozione di temporalità. In altre parole, è stato individuato l’ordine con cui i tempi verbali o i diversi significati legati alla nozione di temporalità vengono acquisiti o espressi dagli apprendenti. Tale sequenza ha validità generale, ossia è seguita da tutti gli apprendenti, indipendentemente dalla lingua materna; questi ultimi possono tuttavia seguire ritmi diversi: è facile intuire ad es. come un soggetto di lingua materna spagnola che impara l’italiano impieghi meno tempo a raggiungere un certo livello di competenza rispetto a quello di cui ha bisogno un apprendente che, ceteris paribus, impara una lingua non imparentata alla propria. Il percorso seguito, le tappe attraverso cui si passa restano però le stesse, solo la velocità può variare ed eventualmente può essere diverso il livello finale di competenza raggiunto, lo stadio nel quale ci si fossilizza, oltre il quale non si procede più30. 27 La Banca Dati è a disposizione della comunità scientifica e può essere richiesta al seguente indirizzo: http://dobc.unipv.it/linguistica/ index.php?page=dati. 28 Con input si intende tutto ciò che della L2 l’apprendente ha a disposizione, in forma orale o scritta. 29 Detto in modo assai sintetico, adottare un modello funzionalista significa ritenere che la funzione linguistica guidi e determini, almeno in parte, la forma (Giacalone Ramat, 2003c, pp. 17-20). 30 Ciò vale solo per alcuni fenomeni; altri, invece, non sono condizionati dalla capacità linguistica umana. Le lingue tra i Cinesi d’Italia Per entrare già nel vivo dell’argomento, la prima fase31 che è stata individuata a proposito della nozione di temporalità (fase detta della varietà basica) è quella in cui le forme usate dagli apprendenti con funzione verbale hanno in realtà solo un valore lessicale, non sono portatrici di alcun valore temporale e quindi possono apparire in ogni contesto. (1) HG: poi - eh: ala mobìle eh finisci - eh p(u)lito - io - faccia(mo)32 ‘poi, quando abbiamo finito di pulire i mobili, io faccio (da mangiare)’ (Bernini, 1995, p. 26) Si osservi in (1) che non vi è corrispondenza tra forme verbali diverse (il presente finisci e facciamo e il participio pulito) e significati temporali/aspettuali diversi. A tale prima fase ne segue un’altra, detta della varietà post-basica, in cui invece si fa strada la prima opposizione morfologica espressa dalla coppia presente indicativo e participio passato (o, eventualmente, passato prossimo; si veda più avanti per qualche dettaglio). Compaiono poi, nell’ordine, l’imperfetto e il futuro, seguiti dal condizionale e, infine, dal congiuntivo. Ma al di là della sequenza in cui vengono acquisite le diverse forme verbali, di stretta pertinenza del linguista acquisizionale, il punto più rilevante qui è che il rapporto tra le diverse fasi è di tipo tendenzialmente implicazionale (cfr. Banfi, Bernini, 2003, pp. 90-91): ciò significa che se un apprendente ha sviluppato il condizionale, allora avrà sviluppato anche il futuro; se ha il futuro, avrà anche l’imperfetto e via dicendo. Se ciò vale, allora è chiaro che tutti gli apprendenti hanno in comune le tappe di sviluppo, le fasi percorse, indipendentemente dalla lingua materna. È ora possibile affrontare più nel dettaglio il caso specifico dei parlanti cinesi, o sinofoni, apprendenti di italiano per osservarne, pur nel rispetto delle sequenze acquisizionali, le peculiarità. 3.1. Introduzione La presenza in classe di alunni cinesi arrivati solo di recente in Italia è vissuta spesso con particolare disagio, se non con ‘drammaticità’, da parte dell’insegnante: dell’alunno cinese, infatti, al quale si riconoscono certo attenzione, disciplina e accuratezza, si percepiscono tuttavia le “non-competenze, i silenzi protratti nel tempo, gli impacci comunicativi” (Favaro, 2003, p. 152). Tale percezione si correla almeno in parte ai dati che riguardano il cosiddetto ‘ritardo scolastico’, ossia lo scarto tra l’età anagrafica degli alunni e la classe frequentata; questo scarto è di norma presente per una pratica discutibile, ma talora adottata a beneficio dell’allievo33, sin dal primo inserimento degli studenti stranieri nella scuola, ma per gli alunni cinesi esso è significativamente superiore a quello medio dei primi (Favaro, 2003, pp. 154-155); la situazione si aggrava poi nel corso degli studi, come lasciano inferire i dati riferiti alle due province di Prato e Firenze – le due province più ‘cinesi’ d’Italia – che per l’a.s. 2003-2004 hanno fatto registrare il più alto divario34 tra i tassi di promozione di alunni italiani e 31 In realtà è stato individuato uno stadio ancora più precoce (detto della varietà prebasica) nel quale le parole non vengono assegnate a parti del discorso, ma qui possiamo sorvolare su questo punto. 32 Le norme di trascrizione seguite, utilizzate nella Banca Dati del Progetto di Pavia, sono le seguenti: per le pause, a seconda della lunghezza, si usano i simboli +, ++, +++; i due punti : indicano allungamento del fono che precede; tra parentesi tonde sono riportati foni poco udibili; tra asterischi * sono trascritte parole non italiane. L’andata a capo con rientro segnala un nuovo contorno intonativo. Il segno di / indica un’interruzione o un cambiamento di programma. Tra parentesi quadre sono riportate indicazioni del trascrittore utili a capire l’interazione (le norme sono state qui talora semplificate). 33 Essa garantisce ad es. che gli studenti che arrivano in Italia meno precocemente (ad es. a dodici/tredici anni) possano permanere più a lungo a scuola per adempiere all’obbligo scolastico. 34 In tale classifica Prato è al primo posto e Firenze è al quinto. 195 196 Atlante della diaspora cinese stranieri al termine della scuola secondaria di primo grado (con una differenza di circa 12-14 punti percentuali; MIUR, 2005, p. 43). A favorire l’insuccesso scolastico contribuisce senz’altro la mancata frequenza della scuola dell’infanzia: i minori cinesi ricongiunti, infatti, arrivano in Italia generalmente in età di obbligo scolastico e spesso anche i minori nati in Italia vengono affidati a pochi mesi di vita ai nonni residenti nel Paese d’origine affinché i genitori possano ottemperare agli impegni lavorativi; la loro presenza del resto mal si concilierebbe con l’aggregazione di più nuclei familiari nella stessa abitazione (Favaro, 2003, p. 153); faranno poi rientro in Italia nuovamente dopo cinque/sei anni. Ma di certo non è solo la ‘diserzione’ della scuola dell’infanzia alla base degli “impacci comunicativi” di cui sopra: anzi, tutto sommato i giovani cinesi riescono ad acquisire livelli di competenza ragionevoli35, seppure in tempi più dilatati rispetto ad altri coetanei con lingue materne di tipo diverso. Sono invece gli adulti a permanere molto spesso in uno stadio di stasi, senza più progredire, almeno in riferimento alla grammatica, nell’acquisizione dell’italiano, pur avendo raggiunto solo un livello minimo di competenza (quello che in termini più precisi i linguisti acquisizionali definiscono varietà basica; cfr. sopra). Gli adulti, quindi, rallentati – come gli apprendenti più giovani – dalla forte differenza (o meglio distanza tipologica, come vedremo tra poco) delle due lingue in contatto, risentono sia della minore plasticità cerebrale dovuta al superamento dell’età puberale sia della riduzione dell’input dei parlanti nativi, gli italiani. La struttura piramidale della comunità cinese immigrata permette soprattutto ai suoi membri meno giovani (quelli che non frequentano la scuola) di non entrare in forte contatto con la comunità ospite, privandoli così di un apporto (quello dell’input) che costituisce – come è noto – un fattore senza il quale non si può innescare e alimentare il processo di acquisizione. Il lăobăn cinese, ossia il datore di lavoro, o più di recente il kuàijìshī italiano, il commercialista che amministra fiscalmente la piccola impresa cinese, offrono assistenza ai dipendenti, l’uno nei piccoli problemi della vita quotidiana e l’altro nelle incombenze imposte dalla burocrazia. Tutti questi fattori (il superamento dell’età puberale, l’input ridotto e la forte distanza tra italiano e cinese) ritardano certamente, come è facile immaginare, il processo di acquisizione (Valentini, 1992, p. 74; cfr. per la situazione più recente Ceccagno, 2003, pp. 129-134). Date le premesse di cui sopra è senza dubbio chiaro che l’apprendimento dell’italiano da parte di sinofoni rappresenta un caso di particolare interesse linguistico. Ne è testimonianza il fatto che la Banca Dati di Pavia, che costituisce il più ampio corpus di varietà di apprendimento d’italiano sinora pubblicato (cfr. Andorno, 2001), annoveri tra i suoi ventidue apprendenti ben sette soggetti sinofoni: da qui le numerose pubblicazioni che vertono sul tema, tra cui anche alcuni lavori monografici (come ad es. Valentini, 1992; Banfi, 2003) e l’interesse non è solo italiano (per il panorama internazionale si vedano ad es. Yip, 1995 in una prospettiva generativista o Hendriks, 2003)36. Nel paragrafo che segue vengono illustrate le maggiori difficoltà incontrate dal gruppo e le spiegazioni linguistiche relative. Considerazioni ed esempi riportati sotto si basano su dati riferiti a tre giovani apprendenti di dodici, sedici e diciassette anni e a quattro Cinesi adulti (di età compresa tra i ventuno e i qua- 35 Ci riferiamo in particolare ai cosiddetti BICS, i Basic Interpersonal Communicative Skills, che permettono un’interazione quotidiana, informale (ma che non garantiscono lo studio proficuo delle materie del curriculum). 36 A testimonianza di tale interesse a livello internazionale si pensi che tra il 2002 e il 2005 sono stati pubblicati ben tre corpora sull’inglese parlato dai Cinesi il Chinese Learner English Corpus (CLEC), lo Spoken and Written English Corpus of Chinese Learners (SWECCL) e il College Learners’ Spoken English Corpus (CLOSEC). Le lingue tra i Cinesi d’Italia rantacinque anni)37. Tutti i soggetti sono stati seguiti nel loro sviluppo longitudinale, ossia prolungato nel tempo (da un minimo di quattro a un massimo di sedici mesi). 3.2. La grammatica dell’italiano dei Cinesi “[in cinese] verbo no cambia niente […] no come qua cambiare tropo + de l’ultima sempre cambiare + […] invece in Cina no cambiato niente” ‘il verbo cinese non cambia, non come in italiano, in italiano cambia troppo, l’ultima parte cambia sempre, invece in cinese non cambia niente’ (Tughiascin, apprendente cinese, da Banfi, Giacalone Ramat, 2003, p. 51, con adattamenti) Nel Capitolo 2 è già stata chiarita la nozione di distanza tipologica tra le due lingue, nozione che qui riprendiamo brevemente: in italiano la forma della parola cambia a seconda di alcuni particolari significati (i significati granmmaticali) che essa esprime (per es. ragazzo, ragazzi, ragazza, ragazze); una forma verbale come cantava o un nome come ragazze veicolano, oltre al significato lessicale (‘modulare la voce secondo uno schema musicale’ e, rispettivamente, ‘essere umano giovane, di età compresa tra l’adolescenza e la giovinezza’), anche altri significati grammaticali che nei casi specifici sono ‘azione svolta nel passato, da un soggetto di terza persona e di numero singolare, vista come non compiuta’ e ‘genere femminile, numero plurale’. Tali significati plurimi sono espressi in modo compatto, ‘cumulativo’ nei pezzi o segmenti (meglio: morfi) di cui la parola è composta (per es. il morfo -e in ragazz-e esprime sia il genere sia il numero, senza che sia possibile distinguere quale parte di esso veicoli il significato di femminile e quale quello di plurale). L’acquisizione del sistema ora descritto risulta piuttosto intricata per un apprendente di lingua materna cinese che ha invece dimestichezza con una struttura della parola sostanzialmente invariata, come l’informante Tughiascin ha ben descritto sopra; egli deve anzitutto imparare a riconoscere che la forma della parola muta non casualmente e che tali cambiamenti sono associati a significati diversi (il genere, il numero, il tempo, l’aspetto ecc); successivamente, deve anche imparare ad associare ciascun singolo significato (o gruppo di significati) ai singoli segmenti o morfi e, infine, a rendere automatico il processo per cui a un singolo morfo legato a un data parola corrispondono più significati (come detto sopra, il morfo -e di ragazz-e esprime in modo cumulativo sia il genere sia il numero). A rendere ancora più tortuoso il percorso di acquisizione contribuisce poi il fatto che in italiano i morfi sono spesso omonimici: la -a di ragazz-a ad es. indica il femminile e il singolare, ma il morfo finale formalmente identico di cantav-a indica accordo con un soggetto di terza persona, pur singolare, mentre non vi è alcuna traccia di genere. Per riassumere, la differenza tra italiano e cinese è prima di tutto a livello nozionale: in cinese alcuni tratti come quelli di genere o numero, che in italiano sono espressi obbligatoriamente su (quasi) ogni nome (e anche sugli elementi che lo determinano, come gli articoli o gli aggettivi), non vengono codificati obbligatoriamente. Vi è poi un’ulteriore differenza a livello più superficiale, ossia di forma: quando tali tratti vengono espressi, l’italiano lo fa variando la forma della parola, spesso in modo compatto, cumulativo, cioè aggregando diversi significati in un unico segmento, processo sconosciuto a un parlante cinese. Quest’ultimo, invece, se decide di esprimere quel tipo di significato che in italiano è codificato attraverso la forma della parola, lo fa attraverso parole diver- 37 Le ricerche condotte sui minori sono state effettuate soprattutto da chi scrive, mentre degli adulti si sono occupati principalmente Anna Giacalone Ramat e Emanuele Banfi; per i loro contributi si vedano i numerosi riferimenti bibliografici citati. 197 198 Atlante della diaspora cinese se, quindi in forma analitica: ad es. per esprimere il numero plurale al nome che indica ‘libro’ si antepone un numerale o un quantificatore che esprime la pluralità e la parola ‘libro’ resta invariata. In termini linguistici, tale situazione viene descritta come un caso di forte distanza tipologica a livello morfologico. Gli studi empirici che hanno confermato l’ipotesi derivabile da quanto descritto sopra sulla non predisposizione dei sinofoni all’acquisizione della morfologia italiana sono numerosi: la loro ‘resistenza morfologica’ è emersa sia nell’ambito del nome (ad es. Berretta, Crotta, 1991) sia in quello del verbo (cfr., tra gli altri, Banfi, Giacalone Ramat 2003 o Giacalone Ramat, 2003a; cfr. anche Valentini, 1992). In questi studi è risultata evidente la lentezza con cui i sinofoni si muovono nell’ambito della morfologia. Basti un unico esempio puntuale: secondo Bernini, 1990, p. 159, l’imperfetto, tempo verbale ‘difficile’ da acquisire38, fa la sua prima comparsa mediamente tra il secondo e il terzo mese di soggiorno in Italia; tuttavia l’apprendente sinofono diciassettenne Chu, uno degli apprendenti più dinamici tra i Cinesi indagati, alla fine del periodo di registrazione, a ventisette mesi di permanenza in Italia, non l’ha ancora sviluppato nel suo sistema verbale39. Tale lentezza non impedisce tuttavia che l’ordine di acquisizione sia rispettato: i Cinesi che superano la fase in cui Chu si trova al momento della fine delle registrazioni acquisiranno prima l’imperfetto, poi il futuro, per passare in seguito al condizionale e via dicendo. Illustrativi a chiarire la scarsa propensione dei sinofoni alla morfologia sono anche gli esempi che seguono (da Berretta, 1990a, p. 184), in cui sono confrontati due casi della stessa situazione comunicativa originata da una lacuna lessicale, una parola non nota: gli apprendenti – in (2) un sinofono e in (3) un anglofono – chiedono aiuto all’intervistatore italiano, appoggiandosi all’inglese. In entrambi i casi, l’intervistatore italiano fornisce la forma di citazione (quella che costituisce la voce, o lemma, nei dizionari), ossia l’infinito (cantare e riuscire): (2) PE: io + *how do you say sing*? Int: cantare PE: io cantare ‘cantavo’ (3) JA: *he succeeds* […]*he succeeds*? Int.: riuscire JA: riuscire + lui riusce + no riuscia L’aiuto fornito dall’intervistatore italiano viene recepito e trattato in modo diverso dai due apprendenti: nel caso dell’apprendente sinofono, Peter, l’infinito è riprodotto senza alcuna rielaborazione; esso è solo preceduto dal pronome di prima persona singolare (io) che sostituisce l’accordo di persona e numero che l’italiano dei nativi vorrebbe espresso tramite la morfologia del verbo (il morfo –o di cant-av-o)40. Jack, invece, l’apprendente anglofono, manipola ripetutamente la forma offerta, regolarizzandola: in altri termini, inconsapevole della eccezionalità del presente di riuscire, lo tratta dapprima come un verbo regolare sul modello di partire, poi preferisce assegnarlo alla classe più cospicua dell’italiano dei verbi in –are, producendo così due formazioni analogiche, costruite cioè in analogia ad altri modelli. Si noti quindi che Jack elabora creativamente l’input che riceve, laddove Peter invece si limita a memorizzare passivamente la forma 38 Come già detto sopra, l’imperfetto compare generalmente dopo il presente e il passato pros- simo. 39 Anche i dati di Calleri, 1992, riferiti a bambini cinesi, che pur sviluppano in tempi più brevi di Chu l’acquisizione dell’imperfetto, ne testimoniano la lentezza. 40 Il riferimento al passato e il significato imperfettivo sono espressi nella forma nativa dal morfo -av-. Nell’intervista questi ultimi sono espressi solo implicitamente, tramite appoggio al contesto. Le lingue tra i Cinesi d’Italia offerta (sull’importanza del processo di memorizzazione di radice nella cultura cinese si veda ad es. Tong, 1996-7). Da tale atteggiamento linguistico, con tutta probabilità inconsapevole, sebbene culturalmente indotto (cfr. sopra), consegue che l’italiano dei Cinesi è generalmente privo di formazioni analogiche41, ossia di sovraestensioni di formazioni regolarizzanti: mancano ad es. anche quelle particolarmente comuni, come i participi passati che assai facilmente si incontrano nelle varietà in formazione di bambini in età dell’infanzia che imparano l’italiano come lingua materna (ad es. scegliuto per ‘scelto’ o apparito per ‘apparso’). Alle formazioni analogiche si preferiscono invece rese analitiche, che esprimono ciascun significato in singole parole, permettendo così una corrispondenza biunivoca tra forma e significato: tipica è ad es. la resa del numero plurale attraverso un quantificatore (come molti o tanti) o un numerale seguiti dal nome nella sua forma invariata: la quarantacinquenne Tughiascin, a quasi cinque anni di soggiorno in Italia, ricordando la prima impressione della metropoli milanese, dice: (4) TU: tanti otomobile + macchina + pieno de macchina + sì In lei, come in altri, si riscontrano facilmente anche casi apparentemente opposti, ma indicativi della stessa tendenza alla memorizzazione di radice: (5) Int: Senti, sei sempre stata qui a Milano? TU: tanti ani sempre milano ++ u ani andato liuorno ‘un anno sono stata a Livorno’ Qui l’apprendente ha memorizzato la forma al plurale, poiché nell’input il sostantivo anni (così come ad es. chilometri o piedi) appare più spesso al plurale. Si attesta quindi nell’apprendente cinese una preferenza protratta per la parola non flessa; superata tale fase resta una preferenza per la parola semplice, cioè non derivata, come è emerso in apprendenti pur esposti a input quantitativamente e qualitativamente rilevanti (Valentini, 2005). Ne è complice di certo anche la prevalente monosillabicità (o, al più, bisillabicità) della parola cinese (cfr. anche Banfi, 2005 e Capitolo 2); per converso una parola derivata italiana è tendenzialmente almeno trisillabica. Un altro fenomeno che va ascritto al ruolo profondo, tipologico, della lingua materna consiste nella mancata distinzione tra le parti del discorso, in particolare tra nome e verbo: ne sono testimonianza casi come quelli degli esempi che seguono: (6) CH: quelo padrone dire no si può passaggio ‘il padrone dice che non si può passare’ (7) PE: noi partenza da eh aeroporto Malpensa in Milano in mattina ‘siamo partiti dall’aeroporto di Malpensa…’ (da Berretta, Crotta 1991, p. 302) (8) TU: ho due lvorare +++ adeso lasciato + sera non venire più ++ no vengo più ‘avevo due lavori, adesso ne ho lasciato uno, la sera non vado più’ In (6) e in (7) i due soggetti utilizzano i nomi passaggio, derivato da passare, e partenza, derivato da partire, in luogo dei verbi suddetti, mentre in (8) la forma infinita del verbo è usata al posto del nome. 41 Per la morfologia flessiva si veda Berretta, Crotta, 1991, p. 314 e per quella derivazionale Valentini, 2005, pp. 148-149. Fanno eccezione però gli apprendenti più giovani (Chu e Xiao nella Banca Dati di Pavia). 199 200 Atlante della diaspora cinese Tale fenomeno testimonia la scarsa sensibilità degli apprendenti alla categoria grammaticale delle parole, alla loro appartenenza a parti del discorso e anch’esso va ascritto a un’interferenza profonda dalla lingua materna: il cinese, infatti, presenta frequentemente parole che possono valere come diverse parti del discorso42: ad es. huà vale sia come verbo (‘disegnare’) sia come nome (‘disegno’; cfr. Packard, 2000, pp. 34-6). È vero che tutti gli apprendenti, indipendentemente dalla lingua materna, nei più precoci stadi di acquisizione, manifestano incertezze nell’assegnare uno statuto categoriale alle parole (cfr. Klein, Perdue, 1997), ma presso i sinofoni la riluttanza a classificare le parole in categorie morfosintattiche perdura oltre i primi stadi di acquisizione e va con tutta probabilità ascritto – come già detto – all’influenza della L1. Vi è poi un’altra caratteristica che contraddistingue l’italiano dei sinofoni, soprattutto quello di apprendenti adulti che – come abbiamo visto sopra – vivono spesso in condizioni sociolinguistiche particolarmente sfavorevoli: si tratta dell’uso dell’infinito come forma base43 (cfr. Banfi, 1990). Prima di chiarire la questione è indispensabile una premessa su quanto avviene di norma in questo particolare settore presso apprendenti di lingue materne diverse. Quando nel sistema verbale cominciano ad apparire le prime opposizioni morfologiche o, in altre parole, quando gli apprendenti cominciano a manipolare le radici verbali dotandole di morfi, ciò avviene tramite la contrapposizione, la differenziazione di due forme, il presente indicativo e il participio passato (ad es. lava vs. lavato). Quest’ultimo va a esprimere il valore della perfettività, ossia della compiutezza, spesso connessa con il riferimento temporale al passato. Si osservi il seguente esempio, nel quale la ventunenne Fongdan è impegnata nella descrizione di alcune vignette: (9) FD: studia un libblo +++ […] a casa studiato un libblo ++ mh + mangia un mela In (9) l’apprendente impiega dapprima la forma del presente indicativo per indicare un’azione al presente in corso di svolgimento e subito dopo, per descrivere la compiutezza dell’azione (grosso modo: ‘dopo aver studiato il libro/compiuta l’azione di studiare il libro’), passa alla forma del participio passato. Il presente indicativo, invece, è una forma polifunzionale che compare in diversi contesti, una forma passepartout che copre svariate funzioni: esso vale in contesti di presente (progressivo o abituale), di futuro o di passato imperfettivo (il contesto nel quale troviamo l’imperfetto indicativo italiano). In tale microsistema costruito sull’alternanza di presente indicativo vs. participio passato (o, eventualmente, passato prossimo) l’infinito gioca generalmente un ruolo marginale, coprendo valori precisi e delimitati che hanno a che vedere con il tratto della modalità. L’italiano dei sinofoni è caratterizzato invece da una presenza più robusta dell’infinito che appare in più stretta concorrenza con l’indicativo presente nel ruolo di forma passepartout: tale concorrenza è evidente soprattutto in una delle apprendenti indagate, la quarantacinquenne Tughiascin, indagata da Banfi. Riportiamo di seguito alcuni esempi tratti dalle sue registrazioni: 42 Ciò avviene in realtà anche in italiano (per es. il lavoro e (io) lavoro o la revoca e (lui) revoca), ma in cinese il fenomeno è sensibilmente più esteso. 43 Ci riferiamo ad es. a Tughiascin che, sebbene fosse al momento delle registrazioni in Italia da quasi cinque anni, è in contatto continuo con l’italiano solo da un anno, da quando è uscita dalla ‘protezione’ della comunità cinese trasferendosi da Livorno a Milano. Nella sua varietà di apprendimento le forme di infinito superano quelle di presente indicativo (Banfi, 1990, p. 45). Sebbene non tutti i sinofoni rappresentino casi estremi come quello di Tughiascin, va detto però che una presenza più abbondante dell’infinito rispetto ad apprendenti di altre L1 è emersa anche in apprendenti non adulti, come i tre bambini studiati da Calleri, 1992. Le lingue tra i Cinesi d’Italia (10) Int: Senti, tu in Cina leggevi molti libri? TU: [fraintende ‘libri’ per ‘libero’] libri? sì, io molto libre + pechè io lavorare comodo + ogni setimana lavorare sei giorni + domenica, riposo + poi + prima io lavorare pechino, grande personale ++ molto fa/ famoso + anche c’è vacanza Int: Sì. TU: però lavorare più picolo pesonale, no c’è vacanza Int: Ho capito. TU: questo più speciale Int: E durante le vacanze tu leggevi molti libri? TU: sì + io fatto un settimana vacanza + anche, lavorare tutti i giorno, sera sempre libero + sentire musica, vedere televisione, escere, mp(a)rare danza Int: Ho capito. TU: con amici + stare insieme + mangiare fuori + vedere film + molto libere + non come italia qua lavorare sempre Nel lungo frammento riportato in (10) Tughiascin impiega una serie ben nutrita di infiniti, tutti – eccetto uno – con il valore aspettuale imperfettivo e temporale passato – si tratta di passati abituali (‘in Cina lavoravo sei giorni la settimana, la sera ero sempre libera, sentivo la musica, vedevo la televisione, uscivo ecc.’); la tredicesima e ultima occorrenza di infinito (lavorare) copre un valore di nuovo abituale, ma con riferimento al presente (‘non come in Italia, qua lavoro sempre’). Dall’indagine condotta da Banfi risulta che il contesto di maggiore attrazione per le forme di infinito sia proprio quest’ultimo: il presente abituale (Banfi, 1990, pp. 46-47). Occasionalmente poi l’infinito appare anche in contesti passati e chiaramente perfettivi, in alternanza a forme di participio passato – come nell’esempio seguente – mostrando quindi l’instabilità del microsistema: (11) TU: i(o) visto due ragazz(e) uscita porta + prendere macchina + poi, messo busta + tutte, dietro ‘ho visto due ragazzi, sono usciti dalla porta, hanno preso la macchina, poi hanno messo tutte le borse dietro’ In sostanza, l’infinito, pur non essendo sempre predominante dal punto di vista quantitativo44, non solo si sovrappone al presente indicativo, ma sconfina talvolta in un’area generalmente riservata alla forma del participio passato. A spiegare il fenomeno, oltre alla generale chiusura della comunità cinese e alla conseguente riduzione quantitativa dell’input, è stata chiamata in causa anche la qualità stessa dell’input: è plausibile che il parlante nativo italofono di fronte a non nativi con scarsa competenza in L2 modifichi spontaneamente il proprio modo di parlare, utilizzando quello che viene chiamato foreigner talk, uno speciale registro semplificato caratterizzato, tra altri tratti, dalla presenza marcata di infiniti45. Si ricorda infine anche il ruolo della consultazione autonoma di vocabolari e grammatiche nei quali ricorre la forma di citazione dell’infinito (Berretta, 1990b, pp. 56-57 e p. 74). Dopo aver argomentato, come abbiamo fatto sin qui, la scarsa sensibilità dei Cinesi verso il componente morfologico dell’italiano, può essere interessante ora gettare un rapido sguardo anche al livello sintattico: per quanto riguarda il sintagma nominale, sono stati sporadicamente attestati alcuni casi di ordine aggettivo / modificatore + Nome (come avviene, senza eccezioni, in cinese) là dove l’italiano prescrive un ordine inverso (per es. cinese vino ‘vino cinese’ o banana di 44 Fa eccezione Tughiascin. Riportiamo qui di seguito un esempio citato in Berretta, 1990b, p. 56: domani andare via, partire per vacanze per ‘andiamo via, partiamo’. 45 201 202 Atlante della diaspora cinese pele ‘(pelle)/buccia di banana’)46; a livello di periodo sono stati indagati diversi tipi di frasi subordinate (le finali, le causali e le relative; Valentini, 1992, pp. 209250; 1997; 1998a e b; 2003), ma nell’ottica qui adottata riteniamo più interessanti i risultati riguardanti le frasi relative. Di nuovo è la differenza tipologica a spiegare i dati. In cinese, come già detto (cfr. Bernini, in questo volume, in particolare l’es. 13e), le relative, come altri modificatori, si trovano in posizione prenominale, diversamente da quanto avviene in italiano. Inoltre, in italiano il pronome relativo varia a seconda della funzione sintattica che esso riveste nella relativa stessa (per es. che per il soggetto e l’oggetto, a cui/al quale per l’oggetto indiretto ecc.), mentre in cinese la marca che viene posta prima del nome a cui la relativa si riferisce è invariata. Tali differenze rendono difficoltosa la processazione delle relative in italiano e così esse sono del tutto assenti o compaiono con poche occorrenze nelle varietà di apprendimento di sinofoni: questo è il caso ad es. dei due apprendenti sinofoni della Banca Dati di Pavia (Peter e Chu) che sono stati indagati in tale ambito. Il quadro che abbiamo sinora delineato ha messo in rilievo anzitutto le maggiori difficoltà esibite dai Cinesi nell’acquisizione dell’italiano47; vi sono tuttavia anche taluni tratti del sistema della lingua d’arrivo che non rappresentano un ostacolo per l’apprendente cinese che, per contro, è avvantaggiato nella loro acquisizione rispetto ad apprendenti di altre lingue materne: è il caso per es. dell’ordine delle parole che in italiano – così come in cinese o, per es., in spagnolo – è libero (o, meglio, pragmaticamente condizionato), diversamente da quanto succede in altre lingue come l’inglese. In base a tale libertà, in italiano è possibile imbattersi in costrutti con il Verbo in prima posizione seguito dal suo Soggetto (ad es. è arrivato Paolo48) o, ancora, in strutture con l’oggetto diretto anteposto (ad es. il giornale l’ho già comprato io, con l’oggetto il giornale in prima posizione) e tale possibilità di variare l’ordine delle parole corrisponde a fini comunicativi diversi. Dal punto di vista dell’acquisizione, la facilità con cui l’apprendente cinese gestisce per esempio l’ordine delle parole in italiano lo accomuna all’apprendente di lingua materna spagnola49 e lo allontana invece da quello inglese o, in parte, tedesco: se i primi (Cinesi e Spagnoli) sanno presto, anche in varietà meno progredite, variare l’ordine delle parole in modo non casuale, i secondi al contrario si mostrano più restii ad abbandonare un ordine rigido che vuole nelle frasi dichiarative il Soggetto in prima posizione seguito dal Verbo ed eventualmente da un Oggetto (cfr. Chini, 2003, pp. 208-218). Si confrontino le produzioni di Fongdan e di Chu, riportate in (11) e (12), con quella di AN, una germanofona che, pur avendo già raggiunto un livello di competenza generale superiore a quello dei primi due, si mostra resistente a piegarsi all’ordine preferito in italiano: (12) FD: no/ non è ancora + non è ancola + fa/ + fini/ + fini/ + non è ancola finisce + manca un anno (13) CH: quando dormi eh eh come eh ++ viene quelo un + un vento ‘mentre dormiva ha cominciato a soffiare il vento’ 46 Il fenomeno è favorito dal fatto che in alcuni casi ordini del tipo Aggettivo + Nome sono possibili anche in italiano. 47 Nella stessa direzione vanno alcuni studi, come ad es. Schachter (1974), ormai classici sull’argomento. 48 Per contro una frase come *arrived Paul è agrammaticale in inglese – come segnala l’asterisco –; l’inglese infatti è – come detto sopra – una lingua a ordine rigido, e non libero, dei costituenti di frase. 49 Tale facilità non riguarda tutti i costrutti con ordine non canonico delle parole, ma solo quelli che non richiedono un alto grado di integrazione morfosintattica. Le lingue tra i Cinesi d’Italia (14) AN:ma era non possibile andare da sola +5+ in giro (per) sempre qualcuno è venuto: e ha chiesto hm (boh) cosa fai oggi? 4. Conclusioni In conclusione, nel paragrafo precedente è stato descritto il lento e faticoso sviluppo dell’italiano lingua seconda presso gli apprendenti sinofoni: dal punto di vista linguistico, all’origine di tale lentezza abbiamo individuato senza dubbio la forte distanza tipologica tra i sistemi in contatto che rende dunque a ragione tortuoso il processo di acquisizione; dal punto di vista sociolinguistico, è emerso un atteggiamento linguistico conservativo, dunque a preservazione della lingua d’origine, da parte degli adulti all’interno della famiglia; da un punto di vista sociale, ciò pare anche correlato alla forte tendenza della comunità cinese all’autoisolamento. La tendenza all’aggregazione residenziale50 dei Cinesi testimonia, infatti, a favore di tale autoreferenzialità nel senso che il reticolo sociale è tanto più monoetnico quanto più si è uniti e vicini territorialmente. Ci pare che l’interpretazione più corretta del rapporto di questi tre fatti (la lentezza nell’apprendimento della L2, l’atteggiamento linguistico conservativo e l’autoisolamento sociale) sia quella dell’interdipendenza reciproca. 50 Si veda quanto già osservato nel paragrafo 2 e alla nota 5. 203 205 CAPITOLO 9 Educazione interculturale: il progetto ALIS di Roberta Grassi 1. Immigrazione e scuola: dalla parte degli insegnanti La presenza di allievi stranieri nelle classi bergamasche è ormai diffusa ad ogni livello del percorso educativo: se per la scuola elementare e media questo dato è ormai acquisito, è notizia più recente il ritmo accelerato di crescita nella scuola superiore (più che quadruplicate le cifre dal 2004/05 al 2005/06)1. Quanto alle presenze di non nativi iscritti ai corsi di laurea dell’Ateneo bergamasco, seppure per ora quantitativamente ridotte (344 persone nell’a.a. 2005/06), appaiono anch’esse in continuo aumento2. Tra i molteplici fenomeni a ciò correlati si evidenzia la vera e propria mobilitazione degli insegnanti sul fronte dell’aggiornamento delle proprie competenze teoriche e pratiche, perseguito con la finalità di contrastare le difficoltà incontrate nel gestire una classe plurilingue, ovvero, una classe in cui coesistono e compartecipano al percorso educativo alunni nativi – per i quali l’insegnamento impartito è in lingua materna – con allievi dalle più diverse provenienze linguistiche, accomunati dal fatto che l’apprendimento loro richiesto viene a svolgersi in una lingua diversa da quella per loro materna. La risposta data dalla scuola bergamasca a questo mutamento nel panorama dei soggetti a cui essa si rivolge può venire distinta in due macrofasi. La prima di esse, spesso definita dell’“emergenza” e rivolta a dotarsi di risorse e strumenti per l’accoglienza ed il primo inserimento dei neo-arrivati nella comunità linguistica, ci pare oggi (con un po’ d’ottimismo) in buona parte superata, nel senso che la generalità delle scuole interessate dal fenomeno migratorio3 si sono almeno minimamente orientate sulle azioni da attuare all’arrivo dell’allievo non nativo4. La fase attuale, che – significativamente – non si riesce a denominare se non come “oltre l’emergenza” (Jafrancesco, 2001) ad indicare quanto si sia lontani dalla risoluzione del ‘puzzle’ interculturale che ha complicato – ma, noi crediamo, al contempo arricchito e “svecchiato” – la scuola italiana, si sta confrontando con le (ancor più) complesse problematiche legate alla funzione educativa e 1 Dati MIUR per la Lombardia, in www.istruzione.lombardia.it/costampa/com_stampa_ stran_05_06.htm. 2 Dal 2000 al 2006 la percentuale è passata dall’1,1% al 2,4% (Osservatorio Politiche Sociali Area Immigrazione, Provincia di Bergamo, Settore Politiche Sociali, 2006). In merito in particolare all’afflusso di studenti cinesi (limitato a quattro individui nel 2005/06), si segnala che con l’attuazione del Progetto nazionale Marco Polo (http://www.crui.it/Internazionalizzazione/link/?ID=2874) si è verificato l’arrivo a Bergamo di un folto gruppo (63 presenze effettive) di studenti cinesi che frequenteranno l’Università nell’a.a. 2007/08. 3 Ovvero, la totalità o quasi degli Istituti pubblici della bergamasca (cfr. i dati in Ghisalberti, Capitolo 7). Fa eccezione la situazione nelle scuole superiori di secondo grado, investite in tempi più recenti dall’ondata migratoria e tuttora maggiormente in difficoltà anche nelle azioni di prima accoglienza. 4 Per esempio: l’intervento del mediatore culturale per il primo contatto tra il bambino e la scuola (nonché tra la famiglia e la scuola), la ricognizione delle competenze acquisite nella scolarizzazione precedente, l’attivazione di percorsi di primo aiuto e rinforzo linguistico. 206 Atlante della diaspora cinese formativa a cui l’istituzione scolastica è deputata, ovvero con le difficoltà connesse allo studio in lingua non materna e alle modalità di adeguamento metodologico, ovvero nelle pratiche didattiche d’insegnamento in classe, e docimologico, cioè relativo specificamente alle procedure ed ai criteri di valutazione, che inevitabilmente si rendono necessarie. Per accennare soltanto alla complessità del fenomeno, si consideri che in una classe plurilingue si registrano asimmetrie plurime e compare un “uditorio duale” per una parte del quale si verifica una esperienza di apprendimento con caratteristiche del tutto peculiari, detta di “apprendimento in lingua veicolare”5. Nel reagire alle esigenze della mutata situazione si sono finora, a livello nazionale come pure locale, elaborate risposte che oggi paiono già più strutturate rispetto alla fase precedente, ma che restano largamente parziali e a corta gittata: si va dalle integrazioni normative per la regolamentazione dell’inserimento degli allievi non nativi6 alla creazione sul territorio di “sportelli” ed uffici che operano con consulenze per docenti ed istituti, con monitoraggi e coordinamenti degli interventi, allo stanziamento di fondi, alla destinazione di personale interno ed esterno a vario titolo – e con vari titoli7 – per attività di rinforzo linguistico tuttora prevalentemente dedicate all’“alfabetizzazione”8 dei neo-arrivati. Se è vero che le azioni ora evocate, i citati adeguamenti metodologici, l’ideazione di percorsi e l’implementazione di materiali adeguati al mutato contesto didattico, sia per la classe che per i “laboratori” plurilingui, si realizzano grazie al contributo di tutti i soggetti sopra evocati, è anche da riconoscere che la concretizzazione di tali interventi è in ultima istanza affidata agli insegnanti. Dall’elenco ora citato pesa pertanto in modo particolare l’assenza del richiamo ad un punto ulteriore di fondamentale importanza: si tratta di quello legato alla formazione del personale docente (e non, a ben guardare), che in questa campagna di rinnovamento ed adeguamento della scuola costituisce certamente il reparto schierato in prima linea. È esattamente in tale aspetto della questione che si intende addentrarsi nel prosieguo della nostra discussione. Limitandoci alla realtà bergamasca, il progetto di formazione ed aggiornamento docenti più ampio sinora attivato è certamente il progetto ALIS9, che partì per volontà e accordo tra l’Ufficio Scolastico Provinciale e la Sezione di Linguistica della Facoltà di Lingue dell’Università degli Studi di Bergamo nell’anno scolastico 2000/01 e che da allora continua, rimodulandosi, ad essere annualmente riproposto, nonostante le perenni incertezze circa i fondi disponibili; questo proprio grazie alla forte pressione esercitata dalla base, ovvero dagli insegnanti, che ripetutamente segnalano attraverso gli Sportelli Scuola distribui- 5 Sulle diverse modalità di attuazione e sulle differenti caratteristiche dell’apprendimento in lingua veicolare la bibliografia è immensa. Un’introduzione ampia e chiara al tema può trovarsi in Baker, 1996. 6 Ultime in ordine di tempo, le “Linee guida per l’accoglienza e l’integrazione degli alunni stranieri”, del febbraio 2006, elaborate dall’Ufficio per l’integrazione degli alunni stranieri, istituito nel giugno 2004 presso la Direzione generale per lo studente del MIUR (http://www.pubblica.istruzione.it/normativa/2006/cm24_06.shtml). Per una panoramica mirata sui riferimenti normativi in relazione agli allievi stranieri una fonte attendibile ed aggiornata, oltre ovviamente ai siti ministeriali, è il Centro Come: www.centrocome.it. 7 La questione della formazione e del bagaglio di competenze dell’insegnante di italiano L2 è di grande attualità. Istruttivi in tal senso gli interventi al Convegno Nazionale ILSA (Insegnanti Lingua Seconda Associati) a ciò dedicato, tenutosi a Firenze nel novembre 2006 (Jafrancesco, in c.s.). Sulla formazione dell’insegnante di classe plurilingue si veda anche Balboni, 2000a e, più in generale sull’insegnante di lingue, Bosisio, 2007. 8 La denominazione corrente, che si riferisce a tali corsi come “prima alfabetizzazione”, è fuorviante. Infatti, tali corsi non riguardano propriamente la familiarizzazione alla letto-scrittura, bensì quella con la lingua italiana della comunicazione orale quotidiana (cfr. oltre, paragrafo 3). 9 Avvio alla Lingua Italiana per Stranieri. Educazione interculturale: il progetto ALIS ti sul territorio le molteplici sfide a cui sono chiamati e l’impreparazione che sentono al riguardo10. È da dire che la situazione attualmente presente è inedita a livello italiano e comunque peculiare rispetto ad altre realtà europee ed extraeuropee in atto da più tempo11; proprio per questo non esistono, neppure a livello universitario, figure dotate di soluzioni e risposte pronte. Ciò che serve per avanzare in questo territorio inesplorato è pensarsi tutti come portatori di punti di vista e conoscenze sempre parziali, sempre sperimentali. Questo atteggiamento, crediamo, ha fatto dell’ALIS un esempio di riuscita sinergia tra il mondo della scuola e quello della ricerca universitaria, troppo spesso lontani quando non su posizioni addirittura contrapposte. In tal senso l’ALIS, laboratorio di integrazione sull’integrazione, testimonia di come l’incontro tra diverse “culture” – quella universitaria e quella scolastica – possa rivelarsi reciprocamente arricchente. Quel che segue traccia la storia e l’evoluzione ad oggi di questo fruttuoso progetto di “ricerca-formazione”. 2. Diffusione del Progetto ALIS Sin dalla sua prima edizione, il Progetto ALIS fu attivato in vari comuni della Provincia12, corrispondenti alle sedi degli Sportelli Scuola13. La partecipazione al Progetto è stata in questi anni costantemente elevata, come si evince dalla Tabella 5). Se si esclude il 2001/02, si può vedere una ripartizione piuttosto equilibrata tra le presenze nella scuola dell’obbligo, mentre i docenti della scuola superiore partecipano in misura inferiore ma con un’incidenza sul totale che diviene sempre maggiore. Un tentativo sperimentale di coinvolgere nel percorso insegnanti della scuola d’infanzia è avvenuto nel 2002/03 e non è stato da allora ripetuto. Possiamo solo ipotizzare che la focalizzazione di buona parte della formazione verso le problematiche legate allo studio abbia allontanato gli operatori di quel settore; d’altra parte, si può pure presumere che l’inserimento tanto precoce di non nativi nel gruppo dei pari non porti con sé difficoltà tanto macroscopiche quanto quelle avvertite negli ordini di scuola successivi. Nel complesso, pur con oscillazioni, le cifre relative al numero di insegnanti in servizio nella bergamasca che dal 2000 ad oggi hanno deciso di aderire all’offerta formativa ALIS sono ragguardevoli, avvicinandosi attualmente al migliaio di docenti partecipanti. 10 Il bisogno di formazione e aggiornamento dell’insegnante di classe plurilingue, percepito e raccolto da numerosi studiosi e gruppi di ricerca, ha dato luogo in molte parti d’Italia ad esperienze di formazione che a loro volta sono sfociate in pubblicazioni teorico-pratiche di notevole spessore ed utilità. Oltre allo “storico” Favaro (2002), tra le più recenti pubblicazioni frutto di collaborazioni scuola-università nella formazione docenti di classi plurilingui ricordiamo qui (l’elenco è necessariamente incompleto) almeno i volumi ALIAS – Approccio Lingua Italiana Allievi Stranieri (Balboni, 2000b; Luise, 2003; Caon, 2006), il progetto piemontese di cui in Bosc, 2006, le esperienze GISCEL (Gruppo d’Impegno nella Scuola per l’Educazione Linguistica) in Tempesta, Maggio, 2006, la raccolta di Zorzi, Leone, 2003 e la monografia di Luise, 2006. 11 Una rassegna in merito in Tosi, 1995. 12 Le sedi ‘storiche’ degli incontri ALIS restano Bergamo, Ponte San Pietro e Ponte NossaAlbino; negli altri comuni del territorio gli sportelli si sono negli anni variamente aggregati per l’organizzazione degli incontri in loco. 13 Gli Sportelli-Scuola per l’integrazione degli alunni stranieri e per l’educazione interculturale attualmente dislocati sul territorio bergamasco sono undici, le cui sedi si trovano, precisamente: a Bergamo, Chiuduno, Ponte Nossa, Albino, Romano di Lombardia, Bariano, Verdellino-Zingonia, Borgo di Terzo, Costa Volpino, Ponte San Pietro, Treviglio. Essi si avvalgono di docenti appositamente destinati e di consulenti e collaboratori anche esterni alla scuola. Nei loro obiettivi statutari proprio la “formazione degli insegnanti” risulta al primo posto, seguita da consulenza, diffusione di strumenti e orientamento. 207 208 Tabella 5 Serie storica dei docenti iscritti ai corsi ALIS dall’a.s. 2000/2001 all’a.s. 2006/2007 Dati: reali sul numero di docenti Fonte: Sportelli Stranieri Provincia di Bergamo Atlante della diaspora cinese Scuola dell’infanzia Scuola primaria Secondaria Secondaria Totale I grado II grado partecipanti a.s. 2000/01 Non disponibile Non disponibile Non disponibile Non disponibile 203 Percorso unico di 30 ore a.s. 0 148 71 24 243 I parte – 10 ore 2001/02 0 76 52 10 139 II parte (con laboratori) – 30 ore a.s. 8 65 54 20 147 I parte – 10 ore 2002/03 0 51 35 18 104 II parte (con laboratori) – 30 ore a.s. 0 11* 15* 2* 28* I parte – 10 ore 2003/04 0 44 23 0 67 II parte (con laboratori) – 30 ore a.s. 0 76 76 24 176 I parte – 10 ore 2004/05 0 67 61 19 147 II parte (con laboratori) – 30 ore a.s. 0 53 50 29 132 I parte – 10 ore 2005/06 0 47 50 26 123 II parte (con laboratori) – 30 ore a.s. 2006/07 0 83 65 28 176 I e II parte *I dati 2003/04 per il I livello sono incompleti: mancano le cifre relative alla zona del Comune di Bergamo, purtroppo impossibili da reperire14. Dopo aver rapidamente visionato questa panoramica storica complessiva, possiamo dirigere la nostra attenzione sui dati di frequenza più recenti a nostra disposizione, relativi all’anno scolastico 2006/07. Per tale periodo è infatti disponibile il dato sull’Istituto di provenienza e l’ordine di scuola di appartenenza di ogni singolo insegnante iscritto al corso ALIS; tali informazioni sono raffigurate nella Tavola 20 che segue, che mostra un’evidente prevalenza di docenti della scuola dell’obbligo e un maggiore peso degli insegnanti operanti in istituti cittadini. Dati che non ci sorprendono, visto quanto già osservato sia in apertura del presente contributo che, con maggiori dettagli, al Capitolo 7. È più che probabile che i docenti che hanno in questi anni avvertito l’esigenza di formarsi provengano da scuole con presenze straniere di non soli sinofoni. Con riferimento specifico al solo comune capoluogo, la correlazione ora richiamata tra adesione dei docenti dell’Istituto e presenza nello stesso di allievi cinesi è stata oggetto di elaborazione specifica, visibile nella Tavola 21. Come si evince dalla tavola, non vi è un rispecchiamento immediato nelle presenze di alunni cinesi in ciascuna scuola e la partecipazione formativa degli insegnanti dello stesso Istituto. Rispetto a questa (mancata) correlazione, tuttavia, è da ribadire il fatto che la formazione ALIS si propone ogni anno come introduzione rivolta a docenti che ancora non hanno svolto il percorso di aggiornamento che essa offre. È pertanto ben possibile che altri docenti, in altri anni (entrambe le tavole riferiscono la situa14 Nonostante la generosa collaborazione, nel reperimento dati, sia degli operatori degli Sportelli Scuola sia del personale amministrativo dell’Ufficio Scolastico Provinciale, Area 2, Sostegno alla Persona – Interventi Educativi –, che ringraziamo. Educazione interculturale: il progetto ALIS zione dell’a.s. 2006/07) abbiano seguito l’ALIS. In altre parole, un raffronto davvero indicativo tra numero di alunni stranieri e numero di docenti “formati” in ciascun comune o addirittura in ciascun Istituto lo si potrebbe avere solo disponendo del dato disaggregato della serie storica alla Tabella 5 (dato che purtroppo non è ugualmente disponibile per ciascun anno di attivazione del Progetto), a confronto con le serie storiche di presenze straniere nelle scuole bergamasche. 3. Insegnanti e percezione delle difficoltà degli allievi cinesi: un’indagine esplorativa L’assenza di correlazioni macroscopicamente evidenti tra presenza di allievi cinesi ed esigenze di formazione specifica coinvolgenti il percorso ALIS è solo uno dei motivi che ci hanno spinto a voler indagare un po’ più da vicino il livello di consapevolezza degli insegnanti rispetto alle difficoltà degli allievi sinofoni in particolare. Se il ritardo scolastico degli allievi stranieri in generale è significativamente superiore a quello degli italofoni15 e risulta costruito a partire dalla pratica di primo inserimento in classi di età inferiore, a cui si accompagna spesso la successiva bocciatura16, i dati sull’esito degli allievi cinesi, ricordati già da Ghisalberti e Valentini (rispettivamente ai Capitoli 7 e 8), sono ancor più preoccupanti rispetto a quelli della generalità dei non nativi a scuola. Infatti, sebbene “l’appartenenza ad una comunità da tempo integrata in Italia faciliti in qualche modo l’inserimento scolastico dei nuovi arrivati”, e “la lunga permanenza in Italia riduc[a] di molto l’influenza della provenienza sulla riuscita” (Tiana, 2005, p. 87), la Cina si distingue tra i Paesi a lunga tradizione di immigrazione come l’unico con alta percentuale di alunni in ritardo17. A partire da questo dato, ci si chiede come venga percepita, nel variegato panorama linguistico della scuola moderna, la situazione di apprendimento dell’alunno di provenienza cinese. Ha un profilo definito, questo allievo, nella percezione dei suoi insegnanti? Se sì, come lo si giudica? Viene considerato in special modo bisognoso di attenzione, o prevale piuttosto l’immagine di spiccata autonomia che contraddistingue le comunità cinesi immigrate nel mondo? Degli allievi cinesi vengono spesso riferiti la serietà e l’impegno nello studio, che contribuiscono a dare di questo gruppo di alunni non nativi un’immagine ‘poco problematica’ agli occhi degli insegnanti. Interessanti in tal senso risultano sia l’indagine condotta tra insegnanti milanesi e riportata in Favaro, 2000, dalla quale emerge una visione dell’allievo cinese come “attento” “silenzioso” e “determinato”, sia il contributo di Wei, 2003, p. 94, che, dando voce ad un punto di vista ‘interno’, da mediatrice culturale di lunga esperienza, riferisce di alcuni atteggiamenti scolastici dei bambini cinesi che contribuiscono a farli apprezzare dagli insegnanti: “[i] minori cinesi hanno già l’abitudine di essere caricati di tanti compiti e studiare tantissimo. Gli viene insegnato da piccoli a rispettare gli insegnanti, gli adulti, a stare calmi, tranquilli e disciplinati nella scuola, a subire e sopportare senza piangere la propria difficoltà”. 15 Così quantificato per l’anno 2003/04: il 21% nella scuola primaria, il 53,2% nella secondaria di primo grado, il 65,3% in quella di secondo grado (Tiana, 2005, p. 81). Una ricerca di Queirolo Palmas, 2002, sulla riuscita di italiani e stranieri a confronto evidenzia la variabile “capitale culturale e sociale complessivo delle famiglie” come fattore decisivo per orientare le scelte formative e come elemento ampiamente influente anche nel successo scolastico. 16 Le predizioni di (in)successo scolastico degli alunni stranieri, stando alle statistiche ed alle serie storiche, vedono almeno una bocciatura in ogni ciclo (Tiana, 2005) soprattutto per i nati all’estero e per alcuni gruppi nazionali, tra cui proprio i cinesi. 17 Come discusso da Ghisalberti (Capitolo 7) è però vero che molte famiglie immigrate dalla Cina mantengono la consuetudine di chiamare a sé i figli solo dopo che la prima scolarizzazione – e inculturazione – sarà compiuta in madrepatria. 209 TAVOLA 20 – Il progetto ALIS in provincia di Bergamo TAVOLA 21 – Il progetto ALIS: la situazione del comune capoluogo 212 Atlante della diaspora cinese Se questi elementi culturali possono da un lato rendere meno problematici gli allievi cinesi18, sono d’altro canto innegabili le lentezze e le difficoltà dovute alla distanza tra la lingua di partenza e quella obiettivo19. Ci è parso pertanto interessante saggiare gli atteggiamenti prevalenti tra gli insegnanti20, e abbiamo proceduto ad un tentativo in tal senso attraverso la somministrazione di un apposito questionario, a cui hanno risposto quarantanove insegnanti partecipanti al primo incontro ALIS 2006/07 tenuto da chi scrive nel dicembre scorso per i docenti della zona del comune di Bergamo. I dati da noi raccolti sembrano indicare l’assenza di qualsiasi chiara consapevolezza in merito a difficoltà particolari nell’insegnamento ad allievi cinesi (rispetto all’insegnamento a stranieri in generale). Prima di commentare tale riscontro complessivo, presentiamo i dati nel dettaglio. Sui ventisei docenti di scuola primaria, solo dodici riferiscono esperienze con allievi cinesi, undici dei quali per soli uno o due casi; una sola docente – proveniente dall’Istituto “A. Da Rosciate” – riferisce di avere molta esperienza. Nessuno ha i cinesi come allievi stranieri prevalenti nella propria “storia” d’insegnamento. I dodici maestri che hanno esperienza con allievi cinesi si dividono piuttosto equamente tra coloro i quali ritengono le difficoltà dei bambini sinofoni maggiori (quattro docenti), minori (tre docenti) e uguali (cinque docenti, la maggioranza dunque) rispetto a quelle di altri apprendenti stranieri. Inoltre, i quattro insegnanti per i quali i cinesi hanno maggiori difficoltà indicano queste difficoltà nella lingua orale (tre su quattro) piuttosto che nella lingua scritta. Infine, l’ultima richiesta del questionario riguardava l’uso di ausili didattici (materiali, strumenti o accorgimenti) particolari per gli allievi stranieri. Otto tra i docenti minimamente “esperti” di insegnamento a sinofoni segnalano di avere a disposizione degli ausili, ma non chiariscono, nelle loro risposte, se si tratti di risorse specifiche per allievi cinesi. Ancora meno diffusa risulta essere l’esperienza con sinofoni nella scuola media: solo quattro docenti su quindici ne hanno avuta (comunque poca: uno o due casi soltanto). Analoga ai colleghi della scuola primaria la risposta sulla difficoltà relativa del gruppo cinese rispetto ad altri stranieri: un insegnante la ritiene maggiore, uno minore, gli altri due la reputano non dissimile a quella degli altri non nativi. Anche la distribuzione di queste difficoltà è omogenea tra chi la convoglia verso la lingua orale, la lingua scritta, o entrambi i canali comunicativi. Una sola insegnante di scuola media fa cenno ad ausili, riferendo del suo uso di testi bilingui “costruiti da un’amica che parla cinese”. Infine, gli sparuti dati sulla scuola superiore: solo due degli otto docenti di 18 Ma sempre Wei, 2003, p. 94, prosegue avvertendo che tali alunni “[n]on parlano tanto perché sono vergognosi e hanno paura di sbagliare. Non guardano la faccia degli adulti quando gli parlano, per rispetto e timidezza. Quando un bambino cinese dice sì e annuisce, non necessariamente vuol dire che ha realmente capito, spesso è solo una forma di rispetto verso l’insegnante [...]: difficile che un bambino cinese prenda l’iniziativa per chiedere la spiegazione di una cosa che non ha capito”. 19 Cfr. il preciso resoconto di Valentini in questo volume; indicazioni sul tema, ad uso specifico degli insegnanti, anche in D’Annunzio, 2000; Omodeo, 2000; Banfi, 2004; Ceccagno, Scalise, 2006; Squartini, 2006. 20 Un interessante spunto di analisi sugli atteggiamenti e le convinzioni dei neoinsegnanti in Romanello, 2006. L’Autrice mette in evidenza l’apertura verso la reciprocità implicata nel concetto di intercultura ed integrazione e il valore positivo della costituzione di classi miste (l’orientamento italiano, diversamente da ciò che è attuato in altri Paesi europei), che favorisce la “ricategorizzazione”, il vedersi come parte di uno stesso gruppo, impegnato in obiettivi comuni, e non come “italiani o non italiani” (Romanello, 2006, p. 97). Sulle opinioni e i convincimenti delle insegnanti rispetto ai loro alunni non nativi, e la correlazione di tali convinzioni e le pratiche didattiche attuate cfr. anche l’interessante De Ruiter, 2006. Una rassegna delle opinioni degli insegnanti circa le maggiori difficoltà degli allievi sinofoni nel già citato Favaro, 2000, ripreso anche in Favaro, 2003; si trattava in quel caso però di facilitatori linguistici, la cui esperienza, formazione e consapevolezza in merito alle specificità dell’italiano L2 è notoriamente diversa da quella dei docenti di classe plurilingue. Educazione interculturale: il progetto ALIS scuola secondaria di secondo grado presenti ha qualche (comunque minima) esperienza con allievi cinesi; entrambi avvertono la situazione dei sinofoni come più problematica, ed entrambi imputano tali difficoltà soprattutto alla lingua orale. Una delle due indica, quali ausili, “l’uso del verbo all’infinito, omissioni di articoli, plurale / singolare, maschile / femminile”, facendoci pensare di ricorrere ad un foreigner talk sgrammaticato, un registro semplificato la cui presenza in ambito educativo sarebbe alquanto notevole (il registro semplificato impiegato a scuola o teacher talk non è di norma agrammaticale; cfr. Grassi, 2007 e bibliografia relativa). In effetti, l’autore della dichiarazione non è insegnante di classe, ma un facilitatore, figura preposta all’insegnamento specifico a gruppi di non nativi, svolto al di fuori del gruppo classe21. Consapevolezze precise delle specificità dell’italiano L2 di sinofoni non sembrano pertanto essere diffuse. Questo dato non ci ha affatto stupito, vista la poliedricità delle provenienze linguistiche e osservate in questi anni le difficoltà che incontrano gli insegnanti non solo nel far fronte, ma prima ancora nell’identificare, le problematiche specifiche dell’apprendimento in italiano L2. Parimenti, la pressoché completa assenza di rimandi a materiali didattici mirati nelle risposte dei questionari riflette la situazione editoriale odierna22. Ma quali sono allora, o quali dovrebbero essere, i punti di maggiore difficoltà incontrati nell’insegnamento a stranieri in generale? L’ALIS, nato e sviluppatosi come progetto per la formazione all’insegnamento in classi plurilingui, ha sì fornito nei suoi incontri plenari approfondimenti sulle lingue di principale immigrazione in Italia; tuttavia, il Progetto non ha mai dedicato, nei suoi laboratori didattici, attenzione esclusiva all’uno o all’altro gruppo etnico, avendo optato per il tentativo di rispondere ad una richiesta impellente di strumenti didattici che, come ben dimostra la gamma di risposte al nostro questionario, non pare concentrarsi su un gruppo etnico specifico. Oltre a ciò, riteniamo che il lavoro tuttora da fare di fronte alla complessità della situazione non permetta ancora di destinare risorse all’approntamento di metodologie glottodidattiche specifiche per L1 particolari, per quanto attraente una tale direzione possa apparire allo studioso. Gli stessi insegnanti, infine, sono ben consapevoli di necessitare di una formazione a largo raggio, poiché le loro classi sono e continueranno ad essere imprevedibilmente eterogenee. Se una (in)formazione basilare sulle caratteristiche tipologiche delle singole lingue immigrate pare bagaglio indispensabile per l’insegnante oggi in servizio (Ghezzi et al., 2004), una didattica eminentemente “contrastiva”, più adatta a gruppi monolingui di apprendenti che non alle nostre classi plurilingui non pare al momento la soluzione più rispondente ai bisogni prioritari della scuola italiana. Dopo aver menzionato una direzione che la formazione da noi curata non ha seguito, nei paragrafi che seguono daremo invece conto delle linee guida seguite dai percorsi formativi ALIS, soprattutto nella parte più direttamente pertinente questioni didattiche. 4. Storia e contenuti del Progetto ALIS L’ALIS, come detto, è un progetto attivato per la prima volta nell’anno scolastico 2000/01 e articolato da sempre attraverso appuntamenti plenari e teorici 21 Una definizione del “facilitatore” e delle altre figure che intervengono sull’allievo straniero a scuola in Luise, 2006, p. 40. 22 Se la produzione editoriale per l’apprendimento dell’italiano da parte di stranieri è in grande fermento da circa una decina d’anni, sono tuttavia ancora scarsissimi i materiali dedicati all’apprendimento dell’italiano L2 da parte dell’allievo sinofono in quanto tale. Citiamo in proposito le preziose rassegne sitografiche e bibliografiche dedicate da Barbera, 2006 e D’Annunzio, 2003, alle risorse didattiche per gli apprendenti sinofoni (e per i loro insegnanti). 213 214 Atlante della diaspora cinese inframmezzati da serie di incontri di laboratorio a piccoli gruppi, condotti da insegnanti più esperti e supervisionati da formatori universitari, con lo scopo di far seguire all’istruzione teorica ricevuta in prima battuta una riflessione ed un’applicazione didattica pratica, arrivando infine alla creazione di strumenti di lavoro sfruttabili in situazione didattica plurilingue23. La sinergia di cui si parlava poc’anzi si esplica anche in questo snodarsi del percorso formativo tra momenti plenari, di ampio respiro, teorici e generali, e di lavoro in piccoli gruppi organizzato e monitorato congiuntamente dai docenti referenti dei gruppi e dai formatori, con un ritorno critico finale compartecipato da formatori, supervisori e docenti tutti. La parte di impronta linguistica più teorica ha affrontato nelle sue diverse edizioni tematiche basilari per l’aggiornamento dell’insegnante di classe plurilingue. A concretizzare un fondamento “interculturale” a cui troppo spesso si sentono richiami solo fumosi e vaghi sono state nel corso degli anni presentate, nei loro tratti costitutivi essenziali e caratterizzanti, le principali lingue di immigrazione nella bergamasca, con approfondimenti specificamente dedicati all’arabo, al cinese, ma anche ad esempio alla lingua romanés delle comunità zingare. Per aiutare concretamente l’insegnante a comprendere la difficoltà di apprendimento linguistico dei non nativi si sono delineate le fasi attraverso le quali si sviluppa la competenza in una lingua seconda e gli ordini attraverso cui le diverse strutture si apprendono24, favorendo la consapevolezza degli insegnanti rispetto a concetti quali quello di interlingua e permettendo così una prima apertura ad una mentalità non meramente sanzionatoria dell’errore, che a sua volta permetta il passaggio ad una valutazione formativa più rispettosa dei tempi e degli sforzi compiuti da chi deve apprendere ad usare un sistema linguistico nuovo. Quanto invece alla parte del percorso più glottodidattica e calata nel contesto di classe, essa ha affrontato, affinandosi e rimodulandosi negli anni grazie al feedback fornito dagli insegnanti stessi, essenzialmente due grandi tematiche. Innanzitutto, sono tuttora oggetto di grande interesse e costituiscono un bisogno degli insegnanti di classe plurilingue le buone pratiche di prima accoglienza degli allievi e l’elaborazione di sillabi e percorsi didattici per la fase iniziale di “prima alfabetizzazione”. Rispetto a tale argomento, lo sforzo caratterizzante l’ALIS è stato quello di tentare di rispondere alle (legittime) preoccupazioni dei docenti che in classe si sono trovati a dover far coesistere l’avanzamento della normale programmazione didattica disciplinare con la presenza, non ignorabile, di allievi impossibilitati a parteciparvi pienamente, anzi, nel periodo d’inserimento iniziale incapaci di comprendere finanche le attività che si svolgevano attorno a loro. La seconda grande problematica affrontata riguarda invece la cosiddetta que- 23 Nei suoi ormai sette anni di attivazione l’ALIS ha prodotto dispense annuali teorico-pratiche di ampia diffusione sul territorio provinciale (e non solo), numerosi materiali e strumenti didattici (unità didattiche per la “prima alfabetizzazione” e per l’avvio alla lingua dello studio, schede per la rilevazione delle competenze linguistiche in ingresso, batterie di prove calibrate su diversi profili di competenza, dispense sull’analisi e la correzione dell’errore, ecc.) Il lavoro partito dai laboratori ALIS è sfociato sinora in quattro pubblicazioni didattiche: Alfabetouno (AA.VV., 2006), manuale per la prima alfabetizzazione, e i tre volumi di Raccontare la Storia (AA.VV., 2004, 2005, 2006) contenenti invece unità didattiche semplificate e facilitate per lo studio della storia nella scuola dell’obbligo. Al Progetto sono poi dedicate ampie parti del sito www.sportellostranieri.bergamo.it/ a sua volta collegato al Centro di Italiano per Stranieri dell’Università di Bergamo. Sul versante accademico, l’esperienza maturata nella formazione ALIS ha costituito lo spunto per l’avvio, avvenuto nel 2004/05 presso il Centro di Italiano per Stranieri, di un corso di formazione di 30 ore dedicato all’insegnamento in classi plurilingui; ha dato slancio a riflessioni e studi sulla complessità dei testi di studio e sulle modalità con cui ovviare a ciò (Grassi, 2002; Id., 2003a; Id., 2003b; Bozzone Costa, 2003) e sull’interazione in classi plurilingui (Ghezzi, Grassi, 2003; Grassi, 2007). 24 I principali relatori su questi temi sono stati Giuliano Bernini e Ada Valentini. Un’idea dei temi trattati nei loro incontri, fatte le debite differenze, la si può avere anche dai Capitoli 2 e 8. Educazione interculturale: il progetto ALIS stione dell’“italiano per lo studio”. Rispetto a tale tematica, della quale nell’ALIS chi scrive si è occupata in modo particolare25, si dedicherà qui un approfondimento ulteriore, con specifico riguardo alle necessità degli allievi cinesi. Al percorso di acquisizione linguistica degli apprendenti cinesi è interamente dedicato, in questo volume, il saggio di Valentini al Capitolo 8. Lo stesso sfondo acquisizionale ravvisabile nel contributo di Valentini ha costituito nel percorso formativo ALIS la base e il fondamento di partenza; è infatti proprio a partire soprattutto dalle ipotesi di Krashen, che sfociano nell’approccio glottodidattico detto “naturale” (o Natural Approach; per un’introduzione cfr. Serra Borneto, 1998) che nell’ALIS si è sviluppata una riflessione metodologica specificamente applicata a quanto via via è emerso in merito agli specifici bisogni linguisticocomunicativi degli apprendenti stranieri inseriti nel contesto educativo scolastico. Un progetto di formazione in servizio, come ALIS, cerca infatti di andare incontro ai bisogni degli allievi attraverso l’attenzione ai bisogni degli insegnanti, che in questi anni si sono configurati come figure caricate di responsabilità e bisognose di mezzi che li aiutassero a districarsi minimamente in una situazione quale quella della scuola plurilingue26. Come rilevato già nel commento ai risultati del nostro questionario, è ora nuovamente da ribadire che la consapevolezza degli insegnanti rispetto alle peculiarità dell’insegnamento/apprendimento in lingua veicolare è tuttora veramente minima. D’altra parte, va riconosciuto che non è un cambiamento da poco quello di rivolgere la propria attività didattica a chi della lingua usata per veicolare i contenuti disciplinari non è parlante (pienamente) competente, se si è stati professionalmente formati a presumere piena padronanza del mezzo linguistico nell’interlocutore27. Occorre innanzitutto sensibilizzarsi alla calibrazione dell’input che si propone ai propri allievi, partendo dal presupposto, unanimemente condiviso, che primo requisito dell’apprendimento sia la comprensione. Rispetto a tale tema, nell’ALIS ci si è occupati sia di riflettere sul parlato dell’insegnante che sulla lingua dei manuali di studio, cercando di trovare modalità ed accorgimenti che rendessero entrambi (più) accessibili all’allievo non nativo. Punto di partenza per rispondere alla domanda di calibrazione dell’input è stato il reperire strumenti e descrittori per indagare il livello di comprensione, e più in generale di competenza, di tale allievo straniero. I principali riferimenti in tal senso sono due: il Quadro Comune Europeo di Riferimento (da qui QCER; Consiglio d’Europa, 2002) e gli studi sulle sequenze di acquisizione. Due strumenti che, bisogna ammettere, dialogano poco l’uno con l’altro28, dato che uno si concentra sulle abilità – anzi sulle “attività”, ovvero le abilità linguisticocomunicative calate in specifiche, concrete situazioni29 – e l’altro è basato sul- 25 La parte più nettamente glottodidattica degli incontri ALIS è stata sin dall’inizio gestita a quattro mani tra chi scrive e Chiara Ghezzi, collega docente e formatrice del CIS. Nel tempo ci si è orientate principalmente rispettivamente sulle tematiche della prima accoglienza e della lingua per lo studio, pur continuando a collaborare strettamente nell’articolazione del percorso nel suo insieme. 26 Tiana, 2005, p. 93, parla di “sovraccarico funzionale” dell’insegnante, che “deve fare da etnografo, mediatore, interprete, operatore sociale…”. 27 Evidentemente utopistico questo stesso presupposto, sia perché ci si rivolge comunque a parlanti di giovane età, sia perché a scuola si usa una varietà di italiano non presente altrove, detta appunto “varietà scolastica” (cfr. una rassegna degli studi in merito in Lo Duca, 2003, e nel per molti versi complementare Lavinio, 2004; una prospettiva ‘decentrata’ sull’italiano L1, visto da uno studioso di didattica delle lingue seconde, in Balboni, 2006. 28 Un tentativo di ‘traduzione’ dall’uno all’altro sistema diagnostico in Vedovelli, 2002. 29 L’abilità della “lettura”, o meglio della “comprensione scritta” si esplica concretamente in attività quali ad esempio il “leggere per orientarsi”, “leggere per seguire istruzioni” o “leggere per informarsi ed argomentare”. 215 216 Atlante della diaspora cinese l’apprendimento di strutture prevalentemente morfosintattiche, oltre che sul riconoscimento di strategie e principi cognitivi generali di (ri)costruzione del sistema lingua. Se dunque la linguistica acquisizionale ha chiaramente delineato le caratteristiche distintive delle tre varietà di apprendimento fondamentali nell’evoluzione dell’interlingua, per le esigenze didattiche di diagnosi, programmazione, valutazione sono attualmente molto diffusi i profili delineati dal succitato, autorevole Quadro Comune Europeo di Riferimento, che descrivono le competenze di apprendenti dal livello iniziale sino all’avanzato e le declinano rispetto a molti parametri, tra cui si distinguono, come detto, le diverse abilità ed attività linguistiche30. Oltre a questi due riferimenti essenziali, particolarmente utile per dotare gli insegnanti di strumenti interpretativi dei bisogni dei loro allievi è risultato inoltre il modello elaborato da Jim Cummins, 1979, che distingue da un lato i bisogni comunicativi di prima emergenza, legati alla quotidianità dell’interazione orale, concreta e contestualizzata, e dall’altro i bisogni e le competenze legati invece alle esigenze comunicative della lingua per lo studio31, astratta e concettualmente impegnativa. Tale dicotomia, senz’altro forzata nella sua rigidità, è tuttavia alquanto efficace nel mettere in luce lo scarto che separa la lingua dell’interazione quotidiana dalla lingua scolastica disciplinare. Il vantaggio di sovrapporre alle scale del QCER la matrice di Cummins è che in tale modo si evidenzia la grande distanza che separa un apprendente di livello “B1” o “soglia”, in grado di sopravvivere linguisticamente in un Paese straniero, da un “B2”, livello a partire dal quale il QCER comincia a riferire di abilità legate all’uso di linguaggi specialistici e all’espressione di concetti astratti e complessi, come avviene durante le lezioni scolastiche. Una parte consistente delle attività approntate dall’ALIS in risposta alle pressanti necessità del corpo docente ha riguardato quindi innanzitutto l’elaborazione di strumenti per la diagnosi in ingresso e in itinere del livello di competenza dell’allievo, e si è avvalsa in modo integrato dei tre riferimenti succitati. A tutt’oggi, lo strumento più efficace di diagnosi linguistica pare a chi scrive una solida analisi dell’errore in ottica diagnostica e prognostico-terapeutica (Bozzone Costa, Grassi, c.s.), e l’attività dell’ALIS in questo senso si è rivolta da un lato verso la pratica dell’analisi dell’errore per la rilevazione del livello di interlingua, per la riflessione sulle concause d’errore, per la selezione di obiettivi di rinforzo linguistico prioritari e adeguati al livello raggiunto, dall’altro all’approntamento di test d’ingresso utili ed adeguati alle diverse fasce d’età. Nell’affrontare tematiche quali l’analisi dell’errore non può non emergere il dato relativo all’influenza della prima lingua; e infatti, nel caso specifico dei cinesi si è osservata una serie di errori “tipici” non tanto imputabili ad interferenze di superficie, quanto piuttosto alla profonda distanza tipologica tra i due sistemi linguistici32. Dell’inevitabilità di tali errori è stato reputato importante infor- 30 Lacune e vaghezze emergono comunque anche in questo importante documento, come sottolineano Bagna, 2006, p. 45: “Le griglie e i descrittori, soprattutto quelli che contengono le descrizioni globali della competenza linguistico-comunicativa, sono parti certamente di grande effetto e di forte impatto sull’azione didattica, ma costituiscono uno degli aspetti più deboli del documento, se si pensa di poterli utilizzare per tutte le lingue europee, per tutti gli apprendenti e per tutti i contesti di apprendimento”. Notiamo infatti tentativi, come quello compiuto in Barki, 2003, di disegnare, a partire dalle possibilità di apertura ed adattamento esplicitamente citate dal QCER stesso, “i profili di competenza in italiano di bambini stranieri inseriti all’interno del sistema scolastico”, considerando a tal fine anche gli studi acquisizionali. 31 Detti rispettivamente BICS – Basic Interpersonal Communicative Skills – e CALP, Cognitive Academic Language Proficiency. 32 Uno studio applicato al contesto scolastico (Cocciolo, 2006) sulle produzioni orali e (soprattutto) scritte di otto alunni stranieri (tra cui tre Cinesi) inseriti in classi plurilingui della Educazione interculturale: il progetto ALIS mare il docente, che spesso ha preoccupazioni quasi ossessive rispetto alla correttezza (un esempio eclatante di ciò è la soverchia importanza attribuita dai docenti all’ortografia, in linea con il prestigio che la varietà scolastica da sempre attribuisce in particolare alla lingua scritta). In questo senso, si sono affrontate e dibattute questioni che vedono da un lato le oggettive difficoltà degli allievi non nativi e dall’altro le pressioni della scuola che, lungi dal meravigliarsi dei tempi rapidissimi con cui gli allievi giungono a livelli lusinghieri – se confrontati con gli studi sugli adulti per esempio – si lamenta per il permanere di imperfezioni e sembra considerare aspetti parziali (come, appunto, la correttezza ortografica) quali indicatori globali della competenza, nonché, con un ulteriore indebito allargamento interpretativo, dell’impegno profuso da parte dell’alunno. La questione dell’accessibilità dell’input è stata nei laboratori ALIS di questi anni ampiamente trattata soprattutto in relazione alle difficoltà dello studio in L2. Chi scrive ha compiuto osservazioni in classi diverse, ricavandone l’impressione che nella generalità dei casi la spiegazione in classe si affidi al discorso orale, più o meno compartecipato dagli alunni – alla spiegazione, insomma. A ciò fa seguito la consegna di studiare a casa un certo numero di pagine scritte. Didatticamente è immediatamente visibile lo stacco tra le due attività, comprensione orale e comprensione scritta, la prima con tutte le facilitazioni del caso – notabilmente la possibilità di adeguare l’input in itinere, negoziando con l’interlocutore compresente – la seconda che assomma la difficoltà tecnica di leggere (abilità che i ragazzini stranieri padroneggiano in media meno bene rispetto alla ricezione orale) con le complessità di un testo che il canale scritto vuole informativamente più denso, strutturalmente più complicato, lessicalmente più diversificato rispetto alla versione ascoltata in classe. A ciò va assommata la solitudine non facilitata, non guidata, con cui tale testo da comprendere viene affrontato. Se la complessità linguistica dei manuali scolastici è quantitativamente facilmente dimostrabile (si pensi a strumenti quali gli indicatori di leggibilità; Grassi, 2003b) e qualitativamente altrettanto agevolmente rilevata dagli stessi insegnanti, l’attenzione da porre alla facilitazione alla lettura, ovvero alla predisposizione e all’attuazione in classe di percorsi di didattica della lettura, è purtroppo risultata pratica negletta33 che ha necessitato di approfondimenti ulteriori. Negli anni ALIS ha pertanto prodotto percorsi didattici di facilitazione alla comprensione del testo scritto disciplinare, previamente semplificato secondo criteri esplicitati e condivisi (rielaborati a partire dai fondamentali Moretti, 1988; Berruto, 1990; Piemontese, 1996; Pallotti, 2000) a cui i partecipanti ai laboratori di semplificazione sono stati addestrati34. Nel complesso, si può senz’altro affermare che anche nell’aggiornamento insegnanti si toccano con mano problematiche che sfidano la stessa ricerca teorica, quali – per esempio – la correlazione tra i tempi rispettivi di sviluppo della morfologia nominale e verbale o la differenza tra la prima comparsa di una strut- scuola dell’obbligo (terza elementare – prima media) evidenzia comunque per i sinofoni – nell’acquisizione di tratti morfologici soprattutto nominali – errori, strategie e percorsi comuni ad apprendenti di L1 diverse, seppure con ritmi differenti. Ciò conferma, anche per questa categoria di apprendenti la cui lingua materna è tanto distante dalla nostra, quanto affermano gli studi acquisizionali più noti (Giacalone Ramat, 2003). Inoltre si vedano gli interventi di Bernini e Valentini in questo volume. 33 Lo stesso si può dire per la costruzione dell’abilità di monologare, richiesta tipicamente nella restituzione dello studio – ovvero l’interrogazione –; non sono palesi agli insegnanti le difficoltà di imparare a gestire un monologo con forma e contenuti controllati e lontani dalle competenze BICS dei ragazzini, anche italiani. 34 L’esperienza condivisa con i docenti nei laboratori di semplificazione offrirebbe molti spunti sulle difficoltà e i rischi della semplificazione; mancando lo spazio di approfondire il tema, rimandiamo alla bibliografia citata nel testo; in particolare, per lo specifico riferimento al contesto scolastico, a Pallotti, 2000. 217 218 Atlante della diaspora cinese tura e la possibilità di giudicare quella stessa struttura come effettivamente padroneggiata. Per la ricerca si tratta, evidentemente, di questioni teorico-metodologiche fondamentali; per l’insegnante, la richiesta in merito è pragmaticamente legata al tempo che può intercorrere tra questi due momenti, nonché ai modi in cui poterlo abbreviare. 5. Qualche riflessione ‘conclusiva’ Si è dato conto qui sinteticamente delle principali direzioni in cui si è diretto in questi anni l’impegno dei soggetti coinvolti nel Progetto ALIS; crediamo che sia evidente come un dato centrale dell’attività del Progetto sia l’aver costantemente cercato, insieme con i partecipanti, di investigare prima e rispondere poi a necessità sempre pressanti e molto concrete provenienti dalla scuola. È presto colto l’aspetto finalistico e pragmatico dell’attenzione dedicata dagli insegnanti alle problematiche della lingua per lo studio: preoccupazione e smarrimento del docente davanti all’alunno “straniero” si assommano e intensificano fino al massimo grado al momento di dover valutare questi allievi. Nell’enorme incertezza, o vera e propria impossibilità, di attribuire i giudizi di rendimento sono infatti racchiusi tutta la frustrazione, il senso d’impotenza e lo smarrimento in cui si trovano oggi moltissimi docenti. Proviamo a spiegarci meglio. Non sempre la metodologia adottata per l’insegnamento è la più efficace, e l’insegnante che voglia rendersene conto può farlo verificando i risultati ottenuti dagli allievi. Se questi risultati sono inferiori alle aspettative, è certo ancora possibile attribuire il fallimento a contingenze esterne o a ‘manchevolezze’ attribuibili ad altri da sé: allo studente e al suo impegno, tipicamente. Quando però non si tratta di dover dare un voto negativo, ma ci si trova a non avere idea di quale voto attribuire ad una performance che, in termini assoluti, sarebbe insufficiente o inadeguata, ma che relativamente al singolo soggetto ed al suo percorso personale di apprendimento può anche risultare eccezionale, il docente deve uscire allo scoperto e proclamare il proprio bisogno d’aiuto. Un giudizio affrettato sull’egocentrismo e sul finalismo di una tale preoccupazione “valutativa” degli insegnanti sarebbe comunque a nostro avviso ingeneroso. È invece al contrario da sottolineare come l’aver ritrovato gli insegnanti messi in massa, e in tal modo, all’angolo è l’occasione dai metodologi a lungo attesa di poter provare a svecchiare davvero, e non solo a parole, molte vetuste pratiche didattiche. Solo attraverso una tanto palese manifestazione dell’inefficacia dei propri metodi e strumenti è stato ed è possibile raggiungere la grande maggioranza degli insegnanti, e far sì che molti di coloro che da tempo erano adagiati su certe comode certezze se ne smuovessero, nella improcrastinabile ricerca di strade nuove. Considerato ciò, un parallelismo forse facile ma certo non inappropriato è allora a nostro avviso ravvisabile tra ciò che sta attraversando come impellenza non più rinviabile il corpo docente italiano e la necessità di adeguamenti e cambiamenti nella società plurilingue e multiculturale dell’intero Paese. 219 APPENDICE di Qiyan Zhan La crescita dell’immigrazione in Italia ha acuito l’interesse per la raccolta di dati sul fenomeno, eseguita attraverso rilevamenti statistici e ricerche di terreno; tali dati sono interpretati nella prospettiva di meglio cogliere la portata sociale dell’evento. Le principali istituzioni implicate nel monitoraggio dell’immigrazione sono gli enti statistici, le amministrazioni pubbliche, i centri di ricerca e gli organismi di cooperazione. I dati disponibili, che riguardano gli aspetti sia quantitativi che qualitativi del fenomeno, sono raccolti con metodologie differenti secondo il tipo di rilevamento statistico, censuario ed esplorativo, e si riferiscono a componenti migratorie sia regolari che clandestine. Per la stesura del presente volume sono stati utilizzati dati aggregati per unità territoriali multiple (a scale differenti: da quella internazionale a quella nazionale, da quella regionale a quella locale) in grado di contestualizzare e comparare la situazione bergamasca. Sono di seguito specificate le caratteristiche di tali dati, il loro grado di aggregazione e gli enti che li hanno prodotti. Viene, poi, mostrata la metodologia seguita nelle indagini di terreno svolte dall’équipe dell’Università di Bergamo con l’obbiettivo di approfondire le modalità abitative, i luoghi di ritrovo e gli spazi pubblici utilizzati dalla comunità immigrata cinese. Infine, rispetto alla presenza di minori stranieri, vengono integrati i casi di studio sulla scuola e sul ruolo della lingua come strumento di comunicazione e di integrazione. 1. Livello internazionale I dati utilizzati per l’analisi delle migrazioni a scala mondiale sono quelli prodotti da enti internazionali che studiano non solo gli spostamenti di popolazione ma anche le ricadute demografiche, sociali e linguistiche che essi determinano. In particolare, il dato sulla distribuzione dei Cinesi d’oltremare è stato reperito presso il centro studi e ricerche SHAO Center dell’OHIO University Libraries in: www.library.ohiou.edu/subjects/shao/ch_databases_popdis.html. Si tratta di un sito che raccoglie dati quantitativi sulla diaspora cinese nel mondo reperiti attraverso le principali fonti ministeriali della Repubblica Popolare Cinese1. Per quanto riguarda la situazione demografica interna alla Cina, le informazioni statistiche sono state ricavate dall’ultimo censimento nazionale del 20002. 1 Più precisamente: The International Community Brief Introduction and Government Chiefs Role, The Department of Protocol, Ministry of Foreign Affairs, R.O.C. 2001; Department of overseas Chinese affairs Statistics, Overseas Chinese Affairs Commission, R.O.C. 2003, in: http://www.ocac.gov.tw/stat/chinese/cstat.htm; The Ministry of Foreign Affairs, R.O.C. 2004, in: http://www.mofa.gov.tw/webapp/lp.asp?ctNode=272&CtUnit=30&BaseDSD=30; Overseas Chinese’s affairs information resource database CDROM; Overseas Chinese’s cultural heritage information center, Ji Nan University library, The People’s Republic of China, 1997. 2 In particolare: National Bureau of Statistics, Tabulation on the 2000 Population Census of the People’s Republic of China, v. III, China Statistics Press, Pechino, 2002. 220 Atlante della diaspora cinese Esso ha permesso di estrapolare dati inerenti: i residenti cinesi in ogni struttura amministrativa cinese (province, regioni autonome, municipalità e regioni amministrative speciali); l’entità del movimento migratorio interno alla Cina, ricavato intrecciando i dati dei movimenti interprovinciali in ingresso e in uscita, il saldo migratorio degli ingressi in ogni entità amministrativa e la direzione dei principali percorsi. Sulla distribuzione linguistica cinese il sito internet di riferimento è stato: www.ethnologue.com3. Si tratta di una banca dati on line contenente informazioni dettagliate e dati generali su tutte le lingue parlate nel mondo – quasi 7.000 – che quantifica altresì la distribuzione dei parlanti cinesi secondo il ceppo linguistico di appartenenza. Per l’analisi statistica a livello europeo ci si è avvalsi dei dati prodotti dall’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE)4, la principale istituzione che pubblica periodicamente – nei rapporti SOPEMI “Système d’Observation Permanent des Migrations” – la quantificazione della popolazione migrante (con informazioni relative a: mobilità, nazionalità, luogo di nascita, durata e scopo della migrazione) sia all’interno dell’UE sia tra i Paesi OCSE. I rapporti SOPEMI vengono redatti mediante l’integrazione di plurime fonti nazionali, e precisamente: • i registri sulla popolazione, che forniscono un’informazione dettagliata dei residenti in ogni singolo Paese; • i permessi di soggiorno e di lavoro, che monitorano i flussi in entrata e le autorizzazioni concesse per il lavoro; • i censimenti, che producono, a cadenza quinquennale o decennale, informazioni sulle dinamiche demografiche. 2. Livello nazionale A scala nazionale l’informazione sull’immigrazione concerne dati inerenti sia gli immigrati che sono presenti regolarmente nel territorio italiano sia coloro che vi soggiornano in maniera irregolare. Rispetto ai primi ci si riferisce principalmente alle seguenti fonti: • gli stranieri iscritti presso le anagrafi comunali: si tratta di dati sui residenti raccolti presso ogni comune italiano e forniti all’ISTAT5, che si occupa della loro pubblicazione annuale sul sito internet: www.demo.istat.it. Tali dati permettono un’analisi dettagliata del fenomeno che, tuttavia, riguarda esclusivamente la componente stabile – oltre che regolare – degli immigrati. • i permessi di soggiorno: sono dati raccolti dalle Questure con il coordinamento del Ministero degli Interni e concernono i flussi in entrata nel territorio italiano. • il censimento: si tratta di dati che vengono prodotti ogni dieci anni dall’ISTAT6, avvalendosi di un questionario plurilingue. La qualità di tali dati 3 È la versione in internet del seguente volume che ha pubblicato i risultati di un progetto di ricerca durato una cinquantina di anni cui ha preso parte un numero elevato di linguisti di tutto i mondo: R. Gordon Jr. (a cura), Ethnologue: Languages of the World, Quinta edizione, SIL International, Dallas, 2005. 4 Conosciuto a livello internazionale come Organisation for Economic Co-operation and Development (OECD), si tratta di un organismo cui partecipano attualmente trenta Paesi, con il fine di coordinare le proprie politiche economiche e sociali stringendo rapporti di cooperazione permanente. 5 Fondato a Roma nel 1926 col compito di provvedere all’organizzazione, all’elaborazione e alla pubblicazione delle statistiche elaborate in occasione di censimenti o sulla base di dati provenienti dall’amministrazione dello stato o da fonti diverse. Strutturalmente alle dipendenze della presidenza del Consiglio dei Ministri, pubblica tra l’altro Annali di Statistica, Annuario statistico italiano, Annuario di statistiche demografiche e Bollettino nazionale di statistica. 6 Il primo censimento della presenza di stranieri in Italia risale al 1981. Appendice sta nell’elevato livello di approfondimento dell’informazione che, tuttavia, si riferisce a una bassa frequenza di rilevamento. In riferimento alla presenza irregolare nel territorio italiano, non essendo disponibili dati ufficiali a scala nazionale, ci si avvale di specifici studi che prendono in considerazione aree a campione. Di particolare rilievo lo studio svolto a livello nazionale dall’European Migration Network che ha prodotto il volume: Immigrazione irregolare in Italia, Idos, Roma, 2005. Si tratta di una pubblicazione che, oltre a tracciare un quadro della normativa attualmente vigente in materia d’immigrazione, fornisce dati quantitativi – basati su fonti secondarie quali i risultati dei procedimenti di regolarizzazione o le espulsioni, i respingimenti e i rimpatri rilevati dal Ministero dell’Interno – interpretando gli aspetti inerenti le misure di controllo e le ricadute sociali dell’immigrazione irregolare. Esiste poi uno svariato insieme di fonti che, quantificando la presenza immigrata nel territorio nazionale, fungono da contesto rispetto a specifiche analisi a scala locale. Ricordiamo al proposito: • le assunzioni e le cessazioni del rapporto di lavoro pervenute all’Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro (INAIL), da cui è possibile estrapolare quelle relative ai lavoratori stranieri, reperibili sul sito: www.osservatorio.inail.it; • i soggetti nati all’estero che nel nostro Paese sono titolari o soci di un’attività imprenditoriale, secondo le rilevazioni di Infocamere pubblicate in: www.infocamere.it; • i ricoveri annui di pazienti non italiani in strutture ospedaliere pubbliche o in regime di convenzione, quantificati mediante le schede di dimissione ospedaliere (SDO) e pubblicati dal Ministero della Salute in: www.ministerosalute.it; • gli alunni stranieri iscritti ai diversi livelli scolastici, rilevati annualmente dal Ministero della Pubblica Istruzione e consultabili sul sito: www.pubblica.istruzione.it. Va sottolineato a proposito di questi ultimi che si tratta di uno dei pochi strumenti per il monitoraggio della presenza di minori stranieri nel territorio italiano. 3. Livello regionale La Regione Lombardia fornisce le medesime informazioni disponibili a livello nazionale avvalendosi tuttavia del coordinamento dell’Istituto di Studi sulla Multietnicitià (ISMU) che raccoglie dati statistici inerenti gli ambiti demografico, scolastico, lavorativo, sanitario e giudiziario, e li pubblica sul sito: www.ismu.org. In particolare, l’Osservatorio Regionale per l’Integrazione e la Multietnicità dell’ISMU procura dati relativi alla Lombardia (reperibili in: www.ismu.org/ORIM), ma si occupa altresì di svolgere indagini su specifiche aree di intervento, mettendo in relazione e comparando le diverse realtà provinciali. Queste ultime, infatti, partecipano all’Osservatorio Regionale mediante singoli Osservatori Provinciali sull’Immigrazione che, a loro volta, gestiscono dati prodotti a livello locale. Di particolare rilievo, l’interesse riposto nell’ambito scolastico dall’ISMU che, in collaborazione con l’Ufficio Scolastico Regionale per la Lombardia, si occupa della pubblicazione di dati sulla presenza di alunni stranieri nelle scuole lombarde fornendo un alto dettaglio informativo (www.istruzione.lombardia.it). L’ISMU, inoltre, raccoglie informazioni sugli interventi di educazione interculturale attivati nella regione in un database ricco di dati qualitativi pubblicato nel proprio sito internet. 221 222 Atlante della diaspora cinese 4. Livello locale Il territorio locale, nella fattispecie la provincia e il comune di Bergamo, è stato indagato mediante l’utilizzo di due tipologie di informazioni: i dati statistici e le indagini di terreno. I primi hanno fatto emergere gli aspetti eminentemente quantitativi del fenomeno, mentre i secondi hanno permesso di rilevare le specificità territoriali e linguistiche dell’immigrazione cinese. Rispetto ai dati statistici, ci si è avvalsi di informazioni fornite da: • Centro Studi della Provincia di Bergamo, che mette a disposizione i dati riguardanti i residenti stranieri nei 244 comuni bergamaschi (aggiornati al 31/12/2006). • Agenzia Sistemi Informativi del Comune di Bergamo, che fornisce i dati anagrafici concernenti i residenti stranieri suddivisi per le vie e per le Circoscrizioni comunali della città (aggiornati al 31/12/2006). • Osservatorio Provinciale del Mercato del Lavoro della Provincia di Bergamo, che offre dati riferiti a iscrizioni, assunzioni e cessazioni degli immigrati (aggiornati al 30/09/20067). • Ufficio Attività Complementari del Registro Imprese della Camera di Commercio di Bergamo, che produce dati riguardanti le attività autonome gestite da stranieri nei comuni della Provincia di Bergamo (aggiornati al 31/12/2006); • Ufficio Statistica, Studi e Prezzi della Camera di Commercio di Bergamo, che rileva informazioni relative all’interscambio commerciale (Import/Export) tra Bergamo e i Paesi stranieri; • Area Sostegno dell’Ufficio Scolastico Provinciale di Bergamo, che procura dati sugli alunni stranieri nelle scuole bergamasche, pubblicati altresì nel citato sito dell’Ufficio Scolastico Regionale per la Lombardia (aggiornati all’anno scolastico 2005/2006). Per quanto riguarda le informazioni raccolte mediante indagini di terreno volte a far emergere le specificità locali, con particolare riguardo al gruppo nazionale cinese, ci si è riferiti a: • Sportello Stranieri dell’Ufficio Scolastico Provinciale di Bergamo, che ha prodotto dati relativi ai docenti iscritti al progetto di Avvio alla Lingua Italiana per Stranieri – ALIS (aggiornati all’anno scolastico 2006/2007). • Laboratorio di cartografia dell’Università di Bergamo che, sotto la direzione di Emanuela Casti, nel corso degli anni accademici 2005/2006 e 2006/2007 ha svolto un’indagine di terreno sulle dinamiche territoriali innescate dagli immigrati cinesi nel bergamasco, avvalendosi di strumenti di analisi quali le interviste ad interlocutori privilegiati (mediatori culturali cinesi e italiani), la cartografia partecipativa e i questionari somministrati a un campione di Cinesi8. 7 Solitamente la Provincia di Bergamo fornisce annualmente tali informazioni, tuttavia al momento della pubblicazione del presente volume i dati riferiti all’anno 2006 non erano ancora stati completati. 8 Tali indagini sono state condotte da Silvia Crotti, Alessandra Ghisalberti e Qiyan Zhan. Più in generale, presso il Laboratorio di cartografia della Facoltà di Lingue e Letterature Straniere dell’Università di Bergamo, si svolgono ricerche basate su indagini di terreno supportate da ancoraggi teorici e approcci metodologici elaborati in ambito geografico. I principali temi di interesse nel contesto nazionale vertono sulle dinamiche territoriali indotte dai processi migratori nel territorio bergamasco, con particolare riguardo alla presenza africana (2002/2004) e a quella cinese (2005/2007). Nel contesto internazionale, le indagini riguardano gli aspetti socio-territoriali delle periferie delle aree protette in Africa Occidentale (Riserva di Biosfera Transfrontaliera “W”: Benin, Burkina Faso, Niger - 200l/2005; Unità di Protezione e di Conservazione di Arly: Burkina Faso 2006/2007) e nel Nordafrica (Progetto PGAP/GEF: Marocco - 2005/2006). In tali contesti, mediante l’utilizzo sperimentale di Sistemi Informativi Geografici (GIS) bi-tridimensionali, si producono Appendice • Sezione di Linguistica dell’Università di Bergamo che, con l’ausilio di questionari, ha svolto un corpus di interviste (123) riguardanti aspetti anagrafici e linguistici (sulle lingue parlate in famiglia, nel dominio amicale e scolastico) degli alunni stranieri frequentanti due Istituti Comprensivi di Bergamo (anno accademico 2002/2003)9. elaborazioni cartografiche multimediali, per il cui approfondimento si rinvia a: www.unibg.it/geografia; www.multimap-parcw.org. 9 I dati sono stati raccolti da Ada Valentini e da Lorenzo Spreafico nel quadro di un progetto di ricerca CNR Agenzia 2000 intitolato “Le lingue straniere immigrate in Italia” (coordinatore nazionale: Massimo Vedovelli; coordinatore dell’Unità locale di Bergamo: Giuliano Bernini), per il cui approfondimento si rinvia al Capitolo 8 del presente volume. 223 225 Indice delle tavole, figure e grafici Indice delle tavole TAVOLA 1 TAVOLA 2 TAVOLA 3 TAVOLA 4 TAVOLA 5 TAVOLA 6 TAVOLA 7 TAVOLA 8 TAVOLA 9 TAVOLA 10 TAVOLA 11 TAVOLA 12 TAVOLA 13 TAVOLA 14 TAVOLA 15 TAVOLA 16 TAVOLA 17 TAVOLA 18 TAVOLA 19 TAVOLA 20 TAVOLA 21 – La diaspora cinese nel mondo, 17 – L’immigrazione cinese a Bergamo, 25 – Distribuzione delle famiglie linguistiche sul territorio della Repubblica Popolare Cinese, 37 – Le migrazioni interne alla Repubblica Popolare Cinese, 65 – L’immigrazione in Europa e la presenza cinese, 84 – Principali Paesi di provenienza degli Asiatici in Italia, 85 – Distribuzione dei tre principali gruppi asiatici in Italia, 96 – Gli immigrati cinesi in Lombardia, 101 – I Cinesi nella provincia di Bergamo (A-B), 112-113 – L’immigrazione asiatica nel comune di Bergamo, 120 – I luoghi cinesi dell’abitare a Bergamo, 125 – Le attività autonome dei Cinesi in provincia di Bergamo, 145 – Le attività autonome dei Cinesi in città, 149 – Centri per l’Impiego (CPI) e reti etniche: iscrizioni e assunzioni di Cinesi in provincia di Bergamo, 157 – Alunni cinesi in provincia di Bergamo (A-B), 164-165 – Alunni cinesi nelle scuole del comune di Bergamo, 169 – I progetti di educazione interculturale, 173 – Paese d’origine degli alunni intervistati nelle scuole “F.lli Calvi”, “A. Mazzi”, “Papa Giovanni XXIII” e “G. Camozzi” di Bergamo, 188 – L’intercultura a scuola, 189 – Il progetto ALIS in provincia di Bergamo, 210 – Il progetto ALIS: la situazione del comune capoluogo, 211 Indice delle figure Figura 1 Figura 2 Figura 3 Figura 4 Figura 5 Figura 6 Figura 7 Figura 8 Figura 9 Diffusione dei parlanti cinese nel mondo, 35 Distribuzione dei dialetti Hàn in Cina, 38 Il bacino di provenienza degli immigrati cinesi, 71 Inserimento dei Paesi membri dell’Unione Europea, 76 Particolare della mappa di Londra con il quartiere cinese di Soho, 78 Mappa di Parigi con le aree di concentrazione cinese, 80 Funzionamento strutturale della Xié huì, l’associazione tra connazionali cinesi, 133 – L’evoluzione della condizione socio-economica dell’immigrato cinese a Bergamo, 138 – Ristoranti cinesi sulla strada Briantea a Mozzo (A) e sulla Provinciale a Dalmine (B), 141 – – – – – – – Indice dei grafici Grafico 1 Grafico 2 Grafico 3 Grafico 4 – – – – Principali gruppi di residenti stranieri in Italia, 82 Residenti stranieri in Italia suddivisi per provenienza, 83 Residenti cinesi nelle principali città italiane, 91 Distribuzione dei residenti cinesi in Italia, 92 226 Atlante della diaspora cinese Grafico 5 Grafico 6 Grafico 7 Grafico 8 Grafico 9 Grafico 10 Grafico 11 Grafico 12 Grafico 13 Grafico 14 Grafico 15 Grafico 16 Grafico 17 Grafico 18 Grafico 19 Grafico 20 Grafico 21 Grafico 22 Grafico 23 Grafico 24 Grafico 25 Grafico 26 Grafico 27 Grafico 28 Grafico 29 Grafico 30 Grafico 31 Grafico 32 Grafico 33 – Permessi di soggiorno concessi a cittadini di nazionalità cinese, 97 – Immigrati residenti in Lombardia suddivisi per continente, 97 – Principali gruppi asiatici residenti in Italia suddivisi per genere e per Paese di provenienza, 98 – Residenti stranieri nella Provincia di Bergamo suddivisi per continente di provenienza, 106 – Residenti stranieri nella Provincia di Bergamo in base alle principali nazionalità, 107 – Principali gruppi asiatici residenti nella Provincia di Bergamo suddivisi per genere e per Paese di provenienza, 108 – Residenti stranieri nel Comune di Bergamo, suddivisi per continente di provenienza, 114 – Principali gruppi stranieri residenti nel Comune di Bergamo suddivisi per Paese di provenienza, 114 – Andamento diacronico dei principali gruppi asiatici residenti nel Comune di Bergamo, 115 – Principali gruppi asiatici residenti nel Comune di Bergamo, suddivisi per genere, 115 – Andamento delle assunzioni cinesi registrate presso i Centri per l’Impiego della Provincia di Bergamo, 154 – Cinesi assunti mediante i Centri per l’Impiego, suddivisi per mansione, 155 – Alunni stranieri in Lombardia suddivisi per principali Paesi di provenienza, 160 – Distribuzione degli alunni cinesi in Lombardia, 161 – Alunni stranieri in Provincia di Bergamo suddivisi per principali Paesi di provenienza, 161 – Alunni stranieri nel bergamasco suddivisi per livello scolastico, 163 – Alunni stranieri nella città di Bergamo, suddivisi per provenienza, 166 – Alunni cinesi nelle scuole urbane di Bergamo, suddivisi per livello scolastico, 167 – Distribuzione degli alunni stranieri negli Istituti Comprensivi a Bergamo, 168 – Progetti di educazione interculturale promossi nelle province lombarde, 172 – Progetti di educazione interculturale nella provincia di Bergamo, suddivisi per enti promotori, 174 – Progetti di educazione interculturale promossi nella provincia bergamasca, suddivisi per ordine di scuola, 175 – Alunni stranieri nell’IC Mazzi, 176 – Incidenza degli alunni stranieri sulla popolazione scolastica nei singoli plessi dell’IC Mazzi, 177 – Alunni stranieri dell’IC Mazzi suddivisi per provenienza, 177 – Studio della L1 in Italia, 190 – Lingua usata dall’intervistato con la madre e il padre, 191 – Lingua usata dall’intervistato cinese rivolta alla madre e al padre, 191 – Lingua usata dall’intervistato rivolta ai fratelli, 192 Indice delle tabelle Tabella 1 Tabella 2 Tabella 3 Tabella 4 Tabella 5 – – – – – Le consonanti occlusive del cinese, 40 Affricate e fricative del cinese, 40 Toni, 41 Lingua usata dall’intervistato cinese rivolta ai fratelli, 193 Serie storica dei docenti iscritti ai corsi ALIS dall’a.s. 2000/2001 all’a.s. 2006/2007, 208 Indice degli schemi Schema 1 Schema 2 – La famiglia sino-tibetana, 35 – ’leale’, 49 227 Bibliografia Capitolo 1 S. Abou, L’identité culturelle, Anthropos, Parigi, 1981, 1986; ri-ed. presso Perrin, Parigi, 2002. S. Allemand, F. Ascher, J. Levy (a cura), Les sens du mouvement. Modernité et mobilités dans les sociétés urbaines contemporaines, Belin, Parigi, 2004. S. Arena, La cittadinanza secondo la normativa italiana, Editrice S.E.P.E.L., Minerbio (Bologna), 2004. Z. Bauman, Liquid modernity, Polity Press, Cambridge, 2000. A. Berque, Mèdiance. De milieu en paysages, Reclus, Montpellier, 1990. M. Bonnet, D. Desjeux (a cura), Les territoires de la mobilité, PUF, Parigi, 2000. P. Bonora (a cura), SLoT Quaderno 1, Baskerville, Bologna, 2001. M. Bruneau, Diasporas, La documentation française/RECLUS, Parigi/Montpellier, 1995. G. Campani, F. Carchedi, A. Tassinari (a cura), L’immigrazione silenziosa. Le comunità cinesi in Italia, Edizioni della Fondazione Giovanni Agnelli, Torino, 1994. E. Casti, “Il territorio dell’immigrazione: banco di prova per un’etica cartografica”, in: Id. (a cura), Atlante dell’immigrazione a Bergamo: l’Africa di casa nostra, Bergamo University Press, Bergamo, 2004, pp. 9-29. Id., “Geografia e partecipazione: la strategia SIGAP nella RBT W (Africa Occidentale)”, in: Bollettino della Società Geografica Italiana, s. XII, v. XI, 2006, pp. 949-975. A. Ceccagno (a cura), Cinesi d’Italia. Storie in bilico tra due culture, Manifestolibri, Roma, 1998. C. Cencini, Vivere con la natura, Conservazione e comunità locali in Africa subsahariana, Patron, Bologna, 2004. R. Cohen, Global diasporas, University college London Press, Londra, 1997. Comune di Milano, La Cina sotto casa. Convivenza e conflitti tra Cinesi e Italiani in due quartieri di Milano, Franco Angeli, Milano, 1998. P. Coppola, “I Cinesi nel mondo”, in: La Geografia nelle scuole, a.XIV, n. 1, 1969, pp.1-16. M. Cortelazzo, P. Zolli, Dizionario etimologico della lingua italiana, Zanichelli, Bologna, 1985. F. D’Agostino, G. Dalla Torre, La cittadinanza. Problemi e dinamiche in una società pluralistica, Giappichelli, Torino, 2000. J. de Souza Martins, Exclusão social e a nova desigualdade, Ed. Paulus, San Paolo, 1997. G. Dematteis, Progetto implicito. Il contributo della geografia umana alle scienze sociali, Franco Angeli, Milano, 1995. Id., “Per una geografia della territorialità attiva e dei valori territoriali”, in: P. Bonora (a cura), SLoT Quaderno 1, Baskerville, Bologna, 2001, pp. 11-30. G. Dematteis, F. Governa (a cura), Territorialità, sviluppo locale, sostenibilità. Il modello SLoT, Franco Angeli, Milano, 2005. F. Eva, Cina e Giappone. Due modelli per il futuro dell’Asia, UTET Libreria, Torino, 2000. C. Geertz, Mondo globale, mondi locali. Cultura e politica alla fine del ventesimo secolo, Il Mulino, Bologna, 1999. Y. Gorgeu, C. Jenkins, La charte paysagère: outil d’aménagement de l’espace intercommunal, Programme Développement rural, Fédération des parcs naturels de France, la Documentation française, Parigi, 1995. F. Governa, “I sistemi locali territoriali fra cambiamento delle forme di territorialità e territorializzazione dell’azione collettiva”, in: G. Dematteis, F. Ferlaino (a cura), Il Mondo e i Luoghi: geografie delle identità e del cambiamento, IRES, Torino, 2003, pp. 143-150. J. Habermas, L’inclusione dell’altro. Studi di teoria politica, Feltrinelli, Milano, 1998. R. Haesbaert da Costa, “Le mythe de la déterritorialisation”, in: Géographie et cultures, L’Harmattan, n. 40, 2002, pp. 53-75. Id., O Mito da Desterritorialização, Ed. Bertrand Brasil, Rio de Janeiro, 2004a. Id., “De la déterritorialisation à la multiterritorialité”, in: S. Allemand, F. Ascher, J. Levy (a cura), 2004, pp. 69-79. 228 Atlante della diaspora cinese D. Liakopoulos, “La condizione giuridica dello straniero: evoluzione del concetto di cittadinanza alla luce delle norme internazionali”, in: www.immigrazionelavoro.it/public/im.pdf. Y. Lun So, A. Walzer, Explaining guanxi: the Chinese business network, Routledge, NY, 2006. A. Magnaghi, Il progetto locale, Bollati Boringhieri, Torino, 2000. T.H. Marshall, Cittadinanza e classe sociale, UTET, Torino, 1976. M. Mascia, A. Papisca, Le relazioni internazionali nell’era dell’interdipendenza e dei diritti umani, Cedam, Padova, 1997. P. Moreau Defarges, La gouvernance, PUF, Parigi, 2003. B. Nascimbene, Voce “Straniero nel diritto intenazionale”, in: Dig. Disc. Pubblicistiche, UTET, Torino, 1999. G. Prévélakis (a cura), Les réseaux des diasporas, L’Harmattan/KYKEM, Parigi/Nicosia, 1996. Id., Voce “Diaspora”, in: J. Lévy, M. Lussault (a cura), Dictionnaire de la Géographie, Belin, Parigi, 2003, pp. 256-257. C. Raffestin, “Paysage et territorialité”, in: Cahiers de Géographie du Québec, v. 21, nn. 5354, 1977, pp. 123-134. Id., Per una geografia del potere, Unicopli, Milano, 1981. Id., “Territorialité: concept ou paradigme de la géographie sociale”, in: Geographica Helvetica, n. 2, 1986, pp. 91-96. A. Turco, “Abitare l’avvenire: configurazioni territoriali e dinamiche identitarie nell’età della globalizzazione”, in: Bollettino della Società Geografica Italiana, s. XII, v. VIII, 2003, pp. 3-20. Unione Europea, Comitato Delle Regioni, La dimensione regionale e locale nella creazione di nuove forme di governance in Europa, Ufficio delle pubblicazioni ufficiali delle comunità europee, Lussemburgo, 2003. C. Wihtol de Wenden, “Penser la mobilité”, in: Esprit, Dossier “L’Europe face aux migrations”, n. 300, 2003, pp. 78-79. Id., “La citoyenneté face aux nouveaux visages du migrant”, in: S. Allemand, F. Ascher, J. Levy (a cura), 2004, pp. 80-87. D. Zolo, “Introduzione”, in: Id. (a cura), La cittadinanza. Appartenenza, identità, diritti, Laterza, Roma-Bari, 1994, pp. Id., “Cittadinanza: storia di un concetto teorico-politico”, in: Filosofia politica, n. 1, 2000. Capitolo 2 R. E. Asher, C. Moseley (a cura), Atlas of the World’s Languages, Routledge, London, 1994. E. Banfi, “Note storico- e tipologico-linguistiche sull’ambiente linguistico cinese”, in: C. Ghezzi, F. Guerini, P. Molinelli (a cura), Italiano e lingue immigrate a confronto: riflessioni per la pratica didattica. Atti del Convegno-Seminario CIS. Bergamo, 23-25 giugno 2003, Guerra, Perugia, 2004, pp. 127-150. E. Banfi, N. Grandi, Lingue d’Europa. Elementi di storia e di tipologia linguistica, Carocci, Roma, 2003. F. Bargiela-Chiappini, M. Gotti (a cura), Asian business discourse(s), Peter Lang, Bern, 2005. G. Bernini, M. L. Schwartz, (a cura), Pragmatic organization of discourse in the languages of Europe, Mouton de Gruyter (EALT-EUROTYP 20-8), Berlin, 2006. M. Biasco, M. Wen, E. Banfi, Introduzione allo studio della lingua cinese, Carocci, Roma, 2003. D. Bradley, “China: Language situation”, in: R. E. Asher, J. M. Y. Simpson (a cura), Encyclopedia of language and linguistics, Pergamon Press, Oxford, 2006. R. Breton, Atlas des langues du monde. Une pluralité fragile, Éditions Autrement, Paris, 2003 W. L. Chafe, “Givenness, contrastiveness, definiteness, subjects and topics”, in: C. N. Li, (a cura), Subject and topic, Academic Press, New York, 1976, pp. 27-55. S. Duanmu, “Chinese (Mandarin): Phonology”, in: R. E. Asher, J. M. Y. Simpson (a cura), Encyclopedia of language and linguistics, Pergamon Press, Oxford, 2006. R. G. Jr. Gordon (a cura), Ethnologue: Languages of the World, Fifteenth edition, SIL, Dallas, Tex. [Summer Institute of Linguistics], 2005 (Versione telematica: http://www.ethnologue.com/). M. Haspelmath, M. S. Dryer, D. Gil, B. Comrie (a cura), The World’s Atlas of Language Structures, Oxford University Press, Oxford, 2005. E. Maslova, G. Bernini, “Sentence topics in the languages of Europe and beyond”, in: Bernini, Schwartz (a cura) 2006, pp. 67-120. S. Matthews, V. Yip, Cantonese. A comprehensive grammar, Routledge, London, 1994. R. Newnham, About Chinese, Penguin Books, Harmondsworth, 1971. A. Nocentini, L’Europa linguistica: profilo storico e tipologico, Le Monnier, Firenze, 2002. J. Norman, Chinese, Cambridge University Press, Cambridge, 1988. J. L. Packard, The morphology of Chinese. A linguistic and cognitive approach, Cambridge University Press, Cambridge, 2000. R. S. Ramsey, The languages of China, Princeton University Press, Princeton, 1987. Bibliografia citata A. Siewierska (a cura), Constituent order in the languages of Europe, Mouton de Gruyter (EALT-EUROTYP 20-1), Berlin, 1998. C. Sun, Chinese. A Linguistic Introduction, Cambridge University Press, Cambridge, 2006. H. F. Wendt (a cura), Sprachen, Fischer, Frankfurt am Main, 1961 (Das Fischer Lexikon) [s.v. Chinesisch, pp. 45-64). P-C. Yip, The Chinese lexicon. A comprehensive survey, Routledge, London/New York, 2000. Capitolo 3 AA. VV., Jusqu’où ira la Chine?, Manière de voir, n. 85, 2006. B. Bakken, Migration in China, Nordic Institute of Asian Studies, Copenhagen, 1999. M. Callari Galli, M. Ceruti, T. Pievani (a cura), Pensare la diversità: per un’educazione alla complessità umana, Meltemi, Roma, 1998. G. Campani, F. Carchedi, A. Tassinari (a cura), L’immigrazione silenziosa. Le comunità cinesi in Italia, Edizioni della Fondazione Giovanni Agnelli, Torino, 1994. S. Castles, New Migrations, Ethnicity and Nationalism in Southeast and East Asia, Oxford University, Oxford, 1998. A. Ceccagno (a cura), Cinesi d’Italia. Storie in bilico tra due culture, Manifestolibri, Roma, 1998. Id. (a cura), Migranti a Prato. Il distretto tessile multietnico, Franco Angeli, Milano, 2003. D. Cologna (a cura), Asia a Milano: famiglie, ambienti e lavori delle popolazioni asiatiche a Milano, Abitare Segesta, Milano, 2003. P. Corti, Storia delle migrazioni internazionali, Editori Laterza, Bari, 2003. E. Dell’Agnese (a cura), Geografia e geopolitica dell’Estremo Oriente, Libreria Utet, Torino, 2000. W. Dewen, C. Fang, “Migration as Marketization: what can we learn from China’s 2000 census data?”, in: The China Review, v. 3, n. 2, 2003, pp. 73-93. J.L. Domenach, Dove va la Cina?, Carocci, Roma, 2003. F. Eva, Cina e Giappone. Due modelli per il futuro dell’Asia, Utet Libreria, Torino, 2000. C.C. Fan, “Modeling Interprovincial Migration in China, 1985-2000”, in: Eurasian Geography and Economics, n. 3, vol. 46, 2005, pp.165-184. P. Farina (a cura), Cina a Milano. Famiglie, ambienti e lavori della popolazione cinese a Milano, Abitare Segesta Cataloghi, Milano, 1997. Y. Fu Tuan, Il cosmo e il focolare. Opinioni di un cosmopolita, Elèuthera, Milano, 2003. P. Golub, “Pechino si impone in un’Asia in fase di ripresa”, in: Le Monde Diplomatique, anno X, n. 10, 2003, pp. 8-9. W. Gungwu, “Greater China and the Chinese Overseas”, in: The China Quarterly, n. 136, 1993, pp. 926-948. P. Gourou, La terra e l’uomo in Estremo Oriente, Franco Angeli, Milano, 1974. F. Governa, “I sistemi locali territoriali fra cambiamento delle forme di territorialità e territorializzazione dell’azione collettiva”, in: G. Dematteis (a cura), Il mondo e i luoghi. Geografie delle identità e del cambiamento, IRES Piemonte, Torino, 2003, pp. 143-150. A. Horstmann, Incorporation and Resistance; Borderlands, Transnational Communities and Social Change in Southeast Asia, Tokyo University of Foreign Studies, Tokyo, 2004. Y. Hu, K. Wing Chan, “Urbanization in China in the 1990s: new definition, different series and revised trends”, in: The China Review, v. 3, n. 2, 2003, pp. 49-71. J. Levy, “Il y a du monde ici”, in: G. Dematteis (a cura), Il mondo e i luoghi. Geografie delle identità e del cambiamento, IRES Piemonte, Torino, 2003, pp. 59-63. E. Ma Mung, “Dispositif économique et ressources spatiales: éléments d’une économie de diaspora”, in: Revue Européenne des Migrations Internationales, v. 8, n. 3, 1992, pp. 175-193. H. Malle, F.N. Pieke, Internal and international migration: Chinese perspectives, Richmond, Curzon, 1999. I. Ramonet, “Cina contro Cina”, in: Le Monde Diplomatique, anno XII, n. 4, aprile 2005, p. 1. J.A.G. Roberts, La storia della Cina, Il Mulino, Bologna, 2007. G. Samarani, La pagoda e il grattacielo. La Cina tra eredità storica e modernizzazione, Edizioni Paravia, Torino, 1998. Id., Storia della Cina del Novecento. Dalla fine dell’Impero a oggi, Einaudi, Torino, 2004. T. Sanjuan, La Chine. Territoire et société, Hachette, Parigi, 2000. H. Schmidt-Glintzer, La Cina contemporanea: dalle guerre dell’oppio ad oggi, Carocci, Roma, 2002. C. Tolu, “Diversificazione nei luoghi di origine dei migranti cinesi”, in: A. Ceccagno (a cura), 2003, pp. 137-153. A. Turco, Città e territorio in Giappone e Cina, Patron, Bologna, 1980. Id., Verso una teoria geografica della complessità, Unicopli, Milano, 1988. Id., Terra eburnea, il mito, il luogo, la storia in Africa, Unicopli, Milano, 1999. Id., Africa Subsahariana: cultura, società, territorio, Unicopli, Milano, 2002. K. Wittfoegel, Il dispotismo orientale, Sugarco, Milano, 1980. 229 230 Atlante della diaspora cinese Siti Internet Center for Comparative Immigration Studies: www.ccis-ucsd.org Cestim: www.cestim.it Chinatown Italia – Il portale per la Cina in Italia: www.chinatownitalia.it The Chinese University Press: www.chineseupress.com CSER – Centro Studi Emigrazione Roma: www.cser.it Eurofound – European Foundation for the Improvement of Living and Working Conditions: www.eurofound.eu.int European Union on-line: www.europa.eu.int Geography Department at UCLA: www.geog.ucla.edu ISMU – Iniziative e Studi sulla Multietnicità: www.ismu.org ISPI – Istituto per gli Studi di Politica Internazionale: www.ispionline.it Migration Information Source: www.migrationinformation.org OECD – Organization for Economic Co-operation and Development: www.oecd.org Tutto Cina – Il Portale Italiano sulla Cina: www.tuttocina.it Capitolo 4 AA. VV., Migrations in Europe. The four last decades, Società Geografica Italiana, Roma, 2004. E. Abbatecola, M. Ambrosini (a cura), Immigrazione e metropoli. Un confronto europeo, Franco Angeli, Milano, 2004. M. Ambrosini, Utili invasori. L’inserimento degli immigrati nel mercato del lavoro italiano, Franco Angeli, Milano, 1999. Id., La fatica di integrarsi. Immigrati e lavoro in Italia, Il Mulino, Bologna, 2001. M. Avola, A. Cortese, R. Palidda, “Risorse, reti e progetti. Percorsi di inserimento nel mercato del lavoro catanese di mauriziani e srylankesi”, in: M. La Rosa, L. Zanfrini (a cura), Percorsi migratori tra reti etniche, istituzioni e mercato del lavoro, Franco Angeli, Milano, 2003, pp. 25-57. P. Bellaviti, E. Granata, C. Novak, A. Tosi (a cura), Le condizioni abitative e l’inserimento territoriale degli immigrati in Lombardia, Fondazione Ismu, Regione Lombardia, Osservatorio Regionale per l’integrazione e la multietnicità, Milano, 2002. E. Besozzi, M. Colombo, Giovani stranieri in Lombardia tra presente e futuro: motivazioni, esperienze ed aspettative nell’istruzione e nella formazione professionale, Osservatorio Regionale per l’Integrazione e la Multietnicità-Fondazione ISMU, Milano, 2007. G.C. Blangiardo (a cura), L’immigrazione straniera in Lombardia: la sesta indagine regionale. Rapporto 2006, Osservatorio Regionale per l’Integrazione e la Multietnicità, Fondazione ISMU, Milano, 2007. G. Campani, F. Carchedi, A. Tassinari (a cura), L’immigrazione silenziosa. Le comunità cinesi in Italia, Edizioni della Fondazione Giovanni Agnelli, Torino, 1994. Caritas-Migrantes (a cura), Immigrazione Dossier Statistico 2004 - XIV rapporto, Roma, 2004. Caritas Diocesana di Roma (a cura), Dossier Statistico Immigrazione 2006, Caritas Italiana e Fondazione Migrantes, Roma, 2007. A. Ceccagno (a cura), Migranti a Prato. Il distretto tessile multietnico, Franco Angeli, Milano, 2003. M. Colasanto, F. Marcaletti (a cura), La domanda di lavoro immigrato: problemi e prospettive, Osservatorio Regionale per l’Integrazione e la Multietnicità-Fondazione ISMU, Milano, 2007. D. Cologna (a cura), La Cina sotto casa. Convivenza e conflitti tra cinesi e italiani in due quartieri di Milano, Franco Angeli, Milano, 2002. Id. (a cura), Asia a Milano: famiglie, ambienti e lavori delle popolazioni asiatiche a Milano, Abitare Segesta, Milano, 2003. A. Colombo, G. Sciortino, Gli immigrati in Italia, Il Mulino, Bologna, 2004. P. Coppola (a cura), Geografia politica delle regioni italiane, ed. Einaudi, Torino, 1997. Id. (a cura), L’altrove fra noi. Rapporto annuale 2003, Società Geografica Italiana, Roma, 2003. European Foundation for the Improvement of Living and Working Conditions, Migration trends in an enlarged Europe, Office for Official Publications of European Community, 2004. P. Farina (a cura), Cina a Milano. Famiglie, ambienti e lavori della popolazione cinese a Milano, Abitare Segesta Cataloghi, Milano, 1997. Fondazione ISMU, Dodicesimo rapporto sulle migrazioni 2006, Franco Angeli, Milano, 2007. A. Ghisalberti, “Il quadro di riferimento: due continenti si avvicinano”, in: E. Casti (a cura), Atlante dell’immigrazione a Bergamo. L’Africa di casa nostra, Bergamo University Press, Bergamo, 2004, pp. 31-68. J. Kotkin, Tribes: how race, religion, and identity determine success in the new global economy, Random House, New York, 1992. M. La Rosa, L. Zanfrini (a cura), Percorsi migratori tra reti etniche, istituzioni e mercato del lavoro, Franco Angeli, Milano, 2003. A. Lanzani, “Modelli insediativi, forme di coabitazione e mutamento dei luoghi urbani”, in: Urbanistica, n. 111, 1998, pp. 32-40. Bibliografia citata D. Lowenthal, “Not every prospect pleases”, in: Landscape, n. 12, 1962, pp. 19-23. M. Macioti, E. Pugliese, L’esperienza migratoria. Immigrati e rifugiati in Italia, Editori Laterza, Bari, 2003. T. Mangalakova, Bulgaria, terra d’immigrazione, 2004, in: www.osservatoriobalcani.org. March, F. Pieke, Chinese Globalization and Migration to Europe, Center for Comparative Immigration Studies, Working Paper 94, 2004. M. Migliazza, F. Pocar, Aspetti giuridici dell’immigrazione in ambito internazionale, comunitario e nazionale, Unicopli, Milano, 2004. Osservatorio Regionale per l’Integrazione e la Multietnicità-Fondazione ISMU, Gli immigrati in Lombardia: rapporto 2007, Fondazione ISMU, Milano, 2007. D. Papotti, “Paesaggi dell’immigrazione straniera in Italia”, in: Scritti in ricordo di Giovanna Brunetta, Dipartimento di Geografia dell’Università, Padova, 2002, pp. 139-148. D. Russo Krauss, Geografie dell’immigrazione: spazi multietnici nelle città. In Italia, Campania, Napoli, Liguori, Napoli, 2005. C. Tolu, “Diversificazione nei luoghi di origine dei migranti cinesi”, in: A. Ceccagno (a cura), 2003, pp. 137-153. Siti Internet Po-Net Rete Civica di Prato: www.babele.po-net.prato.it Casa & Consumi: www.casaeconsumi.it Center for Comparative Immigration Studies: www.ccis-ucsd.org Cestim: www.cestim.it Chinatown Italia – Il portale per la Cina in Italia: www.chinatownitalia.it The Chinese University Press: www.chineseupress.com Comune di Prato: www.comune.prato.it CSER – Centro Studi Emigrazione Roma: www.cser.it Mappe, Popolazione, Statistiche Demografiche dell’ISTAT: www.demo.istat.it European Union on-line: www.europa.eu.int Geography Department at UCLA: www.geog.ucla.edu OASI – Osservatori Associati sulle Immigrazioni: www.immigra.net ISMU – Iniziative e Studi sulla Multietnicità: www.ismu.org ISPI – Istituto per gli Studi di Politica Internazionale: www.ispionline.it ISTAT – Istituto Nazionale di Statistica: www.istat.it Progetto Melting Pot Europa: www.meltingpot.org Migration Information Source: www.migrationinformation.org OECD – Organization for Economic Co-operation and Development: www.oecd.org Osservatorio Balcani: www.osservatoriobalcani.org Regione Campania – Immigrazione Sud: www.osservatorioimmigrazionesud.it Tag, Die Tageszeitung: www.taz.de Tutto Cina – Il Portale Italiano sulla Cina: www.tuttocina.it Regione del Veneto – Veneto Immigrazione: www.venetoimmigrazione.it Capitolo 5 AA. VV., “In tre mesi passati al setaccio 12 comuni della Bergamasca”, 2006, in: www.romanoonline.it/news/eco/setaccio_laboratori_clandestini.asp. M. Ambrosini, Utili invasori. L’inserimento degli immigrati nel mercato del lavoro italiano, Franco Angeli, Milano, 1999. ARES, Il colore delle case. 1° rapporto sulla condizione abitativa degli immigrati in Italia, 2000, in: www.casaeconsumi.com. Id., “Affitti fuori controllo. Rapporto sul mercato delle locazioni a più di tre anni dalla riforma (legge n. 431 del 1998). I risultati dell’indagine”, 2002, in: www.ares2000.net/ricerche/affitti.htm. Id., “Canoni liberi, concordati o … sociali?”, 2005, in: www.ares2000.net/ricerche/ dossieraffitti.htm. P. Bellaviti, E. Granata, C. Novak, A. Tosi (a cura), Le condizioni abitative e l’inserimento territoriale degli immigrati in Lombardia, Fondazione Ismu, Regione Lombardia, Osservatorio Regionale per l’integrazione e la multietnicità, Milano, 2002. G.M. Boninelli (a cura), Gli stranieri nel Comune di Bergamo. Rapporto 2005, Comune di Bergamo, Assessorato alle Migrazioni, Bergamo, 2006. Id., Gli stranieri nel Comune di Bergamo. Rapporto 2006, Comune di Bergamo, Assessorato alle Migrazioni, Bergamo, 2007. M. Bruneau, Diaporas et espaces transnationaux, Anthropos, Parigi, 2004. F. Burini, “Negozi e servizi: ‘il paesaggio dell’immigrazione’”, in: E. Casti (a cura), Atlante dell’immigrazione a Bergamo. L’Africa di casa nostra, Bergamo University Press, Bergamo, 2004, pp. 91-109. 231 232 Atlante della diaspora cinese G. Campani, F. Carchedi, A. Tassinari (a cura), L’immigrazione silenziosa. Le comunità cinesi in Italia, Edizioni Fondazione Giovanni Agnelli, Torino, 1994. A. Canevaro, A. Colombo, A. Genovese, Immigrazione e nuove identità urbane. La città come luogo di incontro e scambio culturale, Centro Studi Erickson, Trento, 2006. M.P. Caria et al., in: G.C. Blangiardo (a cura), L’immigrazione straniera in Lombardia. La sesta indagine regionale, ISMU, Milano, 2007, pp. 113-187, in: www.ismu.org/default.php?url= http%3A//www.ismu.org/. A. Ceccagno, “Nei-Wai: interazioni con il tessuto socioeconomico e autoreferenzialità etnica nelle comunità cinesi in Italia”, in: Mondo cinese, n. 101, 1999, in: www.tuttocina.it/Mondo_cinese/101/101_cecc.htm. M.C. Chiuri, N. Coniglio, G. Ferri, L’esercito degli invisibili. Aspetti economici dell’immigrazione clandestina, Il Mulino, Bologna, 2007. R. Cohen, Global Diasporas. An Introduction, UCL Press, Londra 1997. R. Cohen, S. Vertovec, Migration, Diasporas and Transnationalism, Edward Elgar, Cheltenham & Northampton (MA), 1999. D. Cologna, L. Mauri, Gli interventi di accoglienza per gli immigrati. L’indagine nelle province di Bergamo, Lecco e Como, Fondazione ISMU, Milano, 2003. M.J. Compiani, F. Galloni, “I sikh in Lombardia”, in: D. Denti, M. Ferrari, F. Perocco, I Sikh. Storia e immigrazione, Franco Angeli, Milano, 2005, pp. 143-162. Comune di Bergamo, Analisi e linee di indirizzo per la definizione di un programma di interventi integrati per la sicurezza urbana per il Comune di Bergamo, Parte II. La sicurezza nella percezione di Stakeholders e Circoscrizioni, Poleis Consulting Bergamo, 2006, in: www.comune.bergamo.it/servizi/gestionedocumentale/visualizzadocumento.aspx?ID=3830. Comune di Milano, La Cina sotto casa. Convivenza e conflitti tra cinesi e italiani in due quartieri di Milano, Franco Angeli, Milano, 1998. D. Denti, M. Ferrari, F. Perocco, I Sikh. Storia e immigrazione, Franco Angeli, Milano, 2005. European Migration Network, Immigrazione irregolare in Italia, Idos, Roma, 2005. P. Farina (a cura), Cina a Milano. Famiglie, ambienti e lavori della popolazione cinese a Milano, Abitare Segesta Cataloghi, Milano, 1997. A. Ghisalberti, “I nuovi ‘bergamaschi’: strutture di accoglienza e sistema abitativo”, in: E. Casti (a cura), Atlante dell’immigrazione a Bergamo. L’Africa di casa nostra, Bergamo University Press, Bergamo, 2004, pp. 69-90. M. Golinelli, “La casa degli immigrati: significati, diritti, problemi e prospettive nei territori della diffusione”, in: Studi Emigrazione, n. 158, 2005, pp. 395-421. P. Gourou, La terra e l’uomo in Estremo Oriente, Franco Angeli, Milano, 1974. S. Laacher, Le peuple des clandestins, Calmann-Lévy, Parigi, 2007. A. Lanzani, “Modelli insediativi, forme di coabitazione e mutamento dei luoghi urbani”, in: Urbanistica, n. 111, 1998, pp. 32-40. Y. Lun So, A. Walzer, Explaining guanxi: the Chinese business network, Routledge, NY, 2006. Osservatorio Politiche Sociali Area Immigrazione, Provincia di Bergamo, Settore Politiche Sociali, Rapporto immigrazione 2006, Regione Lombardia, Famiglia e Solidarietà Sociale, Osservatorio Regionale per l’Integrazione e la multietnicità, CD Rom, 2006. Osservatorio Provincia di Bergamo, Regione Lombardia, ISMU, Quarto rapporto sull’immigrazione straniera nella provincia di Bergamo, Annuario statistico, Anno 2005, Provincia di Bergamo, 2006. G. Paterniti, “Ricognizione delle strutture di accoglienza per immigrati in Lombardia”, in: Osservatorio Regionale Immigrazione, Rapporto 2006. Gli immigrati in Lombardia, ISMU, Milano, 2007, pp. 255-271, in: www.ismu.org/files/2007-1-11.doc. F. Peano Cavatola, “Una fotografia di gruppo. Alcuni dati quantitativi sui minori stranieri in provincia di Bergamo”, in: Provincia di Bergamo, Settore Politiche Sociali, Figli di immigrati. Conoscenza ed azione per favorire l’integrazione, I quaderni di risorse, Bergamo, 2006, pp. 15-54. Provincia di Bergamo, Settore Politiche Sociali, Figli di immigrati. Conoscenza ed azione per favorire l’integrazione, I quaderni di risorse, Bergamo, 2006. D. Rota, E. Torrese (a cura), Le rondini non emigrano mai da Cochabamba, i suoi cittadini sì. Indagine sull’immigrazione boliviana a Bergamo, Report della ricerca realizzata nel gennaio 2005 dall’Agenzia per l’integrazione nell’ambito del progetto Filo diretto Bergamo – Cochabamba, Agenzia per l’Integrazione, Bergamo, 2005. E. Torrese (a cura), “Uno sguardo d’insieme”, in: Osservatorio Politiche Sociali Area Immigrazione, Provincia di Bergamo, Settore Politiche Sociali, 2006. P. Tronquoy (a cura), Villes et territoires, Cahiers français, n. 328, La documentation française, Parigi, 2005. Bibliografia citata Siti internet ARES 2000: www.ares2000.net ISMU: www.ismu.org ISTAT: www.demo.istat.it Comune di Bergamo: www.comune.bergamo.it Provincia di Bergamo: www.provincia.bergamo.it Capitolo 6 AA. VV., Il cibo come elemento di identità culturale nel processo migratorio, 2003, in: www.globalgeografia.it/temi/pravettoni. M. Ambrosini, Utili invasori. L’inserimento degli immigrati nel mercato del lavoro italiano, Franco Angeli, Milano, 1999. Id., La fatica di integrarsi. Immigrati e lavoro in Italia, Il Mulino, Bologna, 2001. F. Berti, “Mercato del lavoro e immigrazione: considerazioni critiche sulle nuove politiche migratorie”, in: M. Ambrosini, F. Berti (a cura), Immigrazione e lavoro, Franco Angeli, Milano, 2003, pp. 27-46. P.J. Buckley, J. Clegg, H. Tan, “Cultural awareness in knowledge transfer to China. The role of guanxi and mianzi”, in: Journal of World Business, v. 41, n. 3, 2006, pp. 275-288. G. Campani, F. Carchedi, A. Tassinari, L’immigrazione silenziosa. Le comunità cinesi in Italia, Edizioni Fondazione Giovanni Agnelli, Torino, 1994. A. Ceccagno, “Nei-Wai: interazioni con il tessuto socioeconomico e autoreferenzialità etnica nelle comunità cinesi in Italia”, in: Mondo cinese, n. 101, 1999, in: www.tuttocina.it/Mondo_ cinese/101/101_cecc.htm. M. Colasanto, F. Marcaletti (a cura), La domanda di lavoro immigrato, ISMU, Milano, 2007a, in: www.ismu.org/default.php?url=http%3A//www.ismu.org/. Id., “La domanda di lavoro immigrato. Esperienze e problemi”, in: Rapporto 2006. Gli immigrati in Lombardia, ISMU, Milano, 2007b, pp. 139-164, in: www.ismu.org/default.php?url= http%3A//www.ismu.org/. M. Colombi, “Migranti e imprenditori: una ricerca sull’imprenditoria cinese a Prato”, in: Id. (a cura), L’imprenditoria cinese nel distretto industriale di Prato, L.S. Olschki, Firenze, 2002, pp. 1-17. J. Costa-Lascaux, L. Yu-Sion, Paris XIIIe, lumières d’Asie, Autrement, Parigi, 1995. European Migration Network, Immigrazione irregolare in Italia, Idos, Roma, 2005. P. Farina (a cura), Cina a Milano. Famiglie, ambienti e lavori della popolazione cinese a Milano, Abitare Segesta Cataloghi, Milano, 1997. M.L. Gentileschi, “Flessibili, mobili, attente al mercato. Il modello dinamico delle imprese cinesi”, in: Sardegna economica, n. 6, 2006, pp. 23-33. S. Guercini, “Profilo del vertice, processi di sviluppo e politiche di mercato dell’impresa cinese a Prato”, in: M. Colombi (a cura), 2002, pp. 35-69. M. La Rosa, L. Zanfrini (a cura), Percorsi migratori tra reti etniche, istituzioni e mercato del lavoro, Franco Angeli, Milano, 2003. A. Mansoor, B. Quillin (a cura), Migration and Remittances, The World Bank, Washington, 2007, in: www.siteresources.worldbank.org/INTECA/Resources/257896-1167856389505/ Migration_FullReport.pdf A. Marsden, “Il ruolo della famiglia nello sviluppo dell’imprenditoria cinese a Prato”, in: M. Colombi (a cura), 2002, pp. 71-103. A. Mutti, Capitale sociale e sviluppo. La fiducia come risorsa, Il Mulino, Bologna, 1998. D. Papotti, “Paesaggi dell’immigrazione straniera in Italia”, in: Scritti in ricordo di Giovanna Brunetta, Padova, Dipartimento di Geografia dell’Università, 2002, pp. 139-148. E. Reyneri (a cura), Migrants’ involvement in irregular employment in the Mediterranean countries of the European Union, 2001, in: www.immmigra.net-documenti/reyneri.pdf. G. Sforza, Il male di lavorare tra isolamento e solitudine: ... ragionando di fordismo e postfordismo, Franco Angeli, Milano, 2005. Y. Fu Tuan, Il cosmo e il focolare. Opinioni di un cosmopolita, Elèuthera, Milano, 2003. A. Turco, Verso una teoria geografica della complessità, Unicopli, Milano, 1988. S. Ventriglia, “L’avanzata dell’imprenditoria etnica”, in: P. Coppola (a cura), L’altrove fra noi. Rapporto annuale 2003, Società Geografica Italiana, Roma, 2003, pp. 49-52. L. Zanfrini, “Il lavoro degli immigrati nell’economia lombarda e l’emergere di un ‘mercato parallelo’”, in: M. Colasanto (a cura), L’occupazione possibile. Percorsi tra lavoro e non lavoro e servizi per l’inserimento lavorativo dei cittadini non comunitari, Fondazione ISMU, Milano, 2004, pp. 49-95. Id., “La partecipazione al mercato del lavoro”, in: G.C. Blangiardo (a cura), L’immigrazione straniera in Lombardia. La sesta indagine regionale, ISMU, Milano, 2007, pp. 73-111, in: www.ismu.org/default.php?url=http%3A//www.ismu.org/. 233 234 Atlante della diaspora cinese E. Zucchetti, “I caratteri salienti della regolarizzazione in Italia”, in: Id. (a cura), La regolarizzazione degli stranieri. Nuovi attori nel mercato del lavoro italiano, Franco Angeli, Milano, 2004, pp. 15-58. Siti internet Banca Mondiale: www.worldbank.org CNA (Confederazione Nazionale dell’Artigianato e della Piccola e Media Impresa): www.cna.it Comune di Prato: www.babele.po-net.prato.it/it/htm/festivitac Globalgeografia: www.globalgeografia.it Immigra: www.immmigra.net ISMU: www.ismu.org L’Eco di Bergamo (quotidiano): www.eco.bg.it Ministero dell’Interno: www.stranieriinitalia.it Mondo Cinese (rivista): www.tuttocina.it Capitolo 7 M. Ambrosini, S. Molina (a cura), Seconde generazioni: un’introduzione al futuro dell’immigrazione in Italia, Fondazione Agnelli, Torino, 2004. M. Benadusi, F.M. Chiodi, Seconde generazioni e località. Giovani volti delle migrazioni cinese, marocchina e romena in Italia, Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Fondazione Labos, CISP, Roma, 2006. E. Besozzi (a cura), I progetti di educazione interculturale in Lombardia. Dal monitoraggio alle buone pratiche, Fondazione ISMU, Milano, 2005. E. Besozzi, M. Colombo (a cura), Giovani stranieri in Lombardia tra presente e futuro. Motivazioni, esperienza ed aspettative nell’istruzione e nella formazione professionale, Rapporto 2006, Osservatorio Regionale per l’Integrazione e la Multietnicità, Fondazione ISMU, Milano, 2007. E. Brumana, “Scuola primaria ‘A. Rosciate’ – Bergamo”, in: Provincia di Bergamo, Settore Politiche Sociali, Figli di immigrati. Conoscenza ed azione per favorire l’integrazione, “I quaderni di risorse”, Bergamo, 2006, pp. 103-122. Q. Cai, “Migrant remittances and family ties: a case study in China”, in: International Journal of Population Geography, n. 9, 2003, pp. 471-483. G. Campani, F. Carchedi, A. Tassinari (a cura), L’immigrazione silenziosa. Le comunità cinesi in Italia, Edizioni Fondazione Giovanni Agnelli, Torino, 1994. A. Ceccagno (a cura), Giovani migranti cinesi. La seconda generazione a Prato, Centro di Ricerca e Servizi per l’Immigrazione, Comune di Prato, Franco Angeli, Milano, 2004. M. Colombo, Guida ai progetti di educazione interculturale. Come costruire buone pratiche, Fondazione ISMU, Milano, 2007. D. Denti, M. Ferrari, F. Perocco, I Sikh. Storia e immigrazione, Franco Angeli, Milano, 2005. P. Farina (a cura), Cina a Milano. Famiglie, ambienti e lavori della popolazione cinese a Milano, Abitare Segesta Cataloghi, Milano, 1997. S. Galli, “Le comunità cinesi in Italia: caratteristiche organizzative e culturali”, in: G. Campani, F. Carchedi, A. Tassinari (a cura), 1994, pp. 75-104. V.S. Louie, Compelled to Excel. Immigration, Education, and Opportunity among Chinese Americans, Stanford University Press, Stanford, 2004. M. Marazzi, G. Valtolina (a cura), Appartenenze multiple. L’esperienza dell’immigrazione nelle nuove generazioni, Franco Angeli, Milano, 2006. M. Marengo, Geografie dell’intercultura, Pacini, Pisa, 2007. Capitolo 8 C. Andorno (a cura), Banca Dati di Italiano L2, Dipartimento di Linguistica, Università degli Studi di Pavia, Pavia, 2001. AMiCI – Assessorato Migrazioni e Cooperazione Internazionale, “Gli stranieri nel Comune di Bergamo. Rapporto 2002”, in: Osservatorio Politiche Sociali della Provincia di Bergamo (a cura), Rapporto immigrazione 2003, Bergamo, Provincia di Bergamo (su CD-Rom), 2004. T. van der Avoird et al., “Immigrant minority languages in the Netherlands”, in: G. Extra, D. Gorter (a cura), The Other Languages of Europe. Demographic, Sociolinguistic and Educational Perspectives, Cromwell Press, Clevedon, 2001, pp. 215-242. E. Banfi, “Infinito (ed altro) quale forma basica del verbo in micro-sistemi di apprendimento spontaneo di italiano-L2: osservazioni da materiali di sinofoni”, in: G. Bernini, A. Giacalone Ramat (a cura), La temporalità nell’acquisizione di lingue seconde, Franco Angeli, Milano, 1990, pp. 39-50. Id. (a cura), Italiano/L2 di cinesi. Percorsi acquisizionali, Franco Angeli, Milano, 2003. Id., “Morfologia, forma e percezione della parola. Osservazioni su dati di lessico italiano/L2 di Bibliografia citata apprendenti sinofoni: il caso di T.”, in: N. Grandi (a cura), Morfologia e dintorni. Studi di linguistica tipologica e acquisizionale (Atti della Giornata di Studio, Milano Bicocca, 30 maggio 2003), Franco Angeli, Milano, 2005, pp. 105-125. E. Banfi, G. Bernini, “Il verbo”, in: A. Giacalone Ramat (a cura), Verso l’italiano. Percorsi e strategie di acquisizione, Carocci, Roma, 2003, pp. 70-115. E. Banfi, A. Giacalone Ramat, “Verbi italiano e cinese a confronto e questioni di acquisizione del verbo italiano da parte di sinofoni”, in: E. Banfi (a cura), 2003, pp. 25-56. G. Bernini, “L’acquisizione dell’imperfetto nell’italiano lingua seconda”, in: E. Banfi, P. Cordin (a cura), Storia dell’italiano e forme dell’italianizzazione (Atti del XXIII Congresso Internazionale di Studi della Società di Linguistica Italiana, Trento - Rovereto, 18-20 maggio 1989), Bulzoni, Roma, 1990, pp. 156-180. Id., “Au début de l’apprentissage de l’italien. L’énoncé dans une variété prébasique”, in: Aile, v. 5, 1995, pp. 15-45. M. Berretta, “Morfologia in italiano lingua seconda”, in: E. Banfi, P. Cordin (a cura), 1990a, pp. 181-202. Id., “Il ruolo dell’infinito nel sistema verbale di apprendenti di italiano come L2”, in: G. Bernini, A. Giacalone Ramat (a cura), La temporalità nell’acquisizione di lingue seconde, Franco Angeli, Milano, 1990b, pp. 51-80. M. Berretta, G. Crotta, “Italiano L2 in un soggetto plurilingue (cantonese-malese-inglese): sviluppo della morfologia”, in: SILTA, v. 20, n. 2, 1991, pp. 285-331. D. Calleri, “Italiano come L2: l’acquisizione della temporalità in bambini cinesi”, in: B. Moretti et al. (a cura), Linee di tendenza dell’italiano contemporaneo (Atti del XXV Congresso Internazionale di Studi della Società di Linguistica Italiana, Lugano, 19-21 settembre 1991), Bulzoni, Roma, 1992, pp. 431-443. A. Ceccagno, “Lingue e dialetti dei cinesi in Italia: percezioni, aspirazioni, ostacoli”, in: E. Banfi (a cura), 2003, pp. 123-150. Id., Giovani migranti cinesi. La seconda generazione a Prato, Centro di ricerca e servizi per l’immigrazione di Prato, Prato, 2004. M. Chini (a cura), Plurilinguismo e immigrazione in Italia. Un’indagine sociolinguistica a Pavia e Torino, Franco Angeli, Milano, 2004a. Id., “I repertori linguistici”, in: M. Chini (a cura), Plurilinguismo e immigrazione in Italia. Un’indagine sociolinguistica a Pavia e Torino, Franco Angeli, Milano, 2004b, pp. 115-143. Id., “Sintesi e discussione”, in: M. Chini (a cura), 2004c, pp. 299-337. M. Chini et al., “Aspetti della testualità”, in: A. Giacalone Ramat (a cura), 2003, pp. 179-219. Comune di Bergamo, Annuario demografico, 2007, in: www.comune.bergamo.it/ servizi/notizie/notizie_fase02.aspx?ID=3156. G. Favaro, “Alunni cinesi a scuola. Accoglienza, inserimento e progetti didattici”, in: E. Banfi (a cura), 2003, pp. 151-162. A. Giacalone Ramat, “L’acquisizione della morfologia di italiano/L2: difficoltà e strategie di sinofoni”, in: E. Banfi (a cura), 2003a, pp. 11-24. Id. (a cura), Verso l’italiano. Percorsi e strategie di acquisizione, Carocci, Roma, 2003b. Id., “Il quadro teorico”, in: A. Giacalone Ramat (a cura), 2003c, pp. 17-26. H. Hendriks, “How to acquire anaphoric linkage in European languages: A look at evidence from Chinese learners”, in: E. Banfi (a cura), 2003, pp. 57-66. W. Klein, C. Perdue, “The Basic Variety (or: Couldn’t natural languages be much simpler?)”, in: Second Language Research, v. 13, n. 4, 1997, pp. 301-347. A. Mioni “Le macrocause dei mutamenti linguistici e i loro effetti”, in: P. Cipriano et al. (a cura), Linguistica storica e sociolinguistica (Atti del Convegno della Società Italiana di Glottologia, Roma, 22-24 ottobre 1998), Il Calamo, Roma, 2000, pp. 123-162. MIUR, Indagine sugli esiti degli alunni con cittadinanza non italiana. Anno scolastico 20032004, 2005, in: www.pubblica.istruzione.it/mpi/pubblicazioni/2005/esiti_stranieri.shtml. J. Packard, The Morphology of Chinese. A Linguistic and Cognitive Approach, Cambridge University Press, Cambridge, 2000. J. Schachter, “An error in error analysis”, in: Language Learning, v. 24, n. 2, 1974, pp. 205-214. J.W. Tong, “Hong Kong Chinese students’ approach towards English language learning revisited”, in: Working papers in ELT & Applied Linguistics, v. 2, n. 1, 1996-7, pp. 73-88. V. Yip, Interlanguage and Learnability: From Chinese to English, Benjamins, Amsterdam, 1995. A. Valentini, L’italiano dei cinesi. Questioni di sintassi, Milano, Guerini Studio, 1992. Id., “Frasi relative in italiano L2”, in: Linguistica e Filologia, v. 5, 1997, pp. 195-221. Id., “Le frasi causali e l’emergere della subordinazione in italiano L2: il caso di due apprendenti cinesi”, in: Linguistica e Filologia, v. 8, 1998a, pp. 113-148. Id., “La frase finale in italiano L2”, in: Vox Romanica, v. 60, 1998b, pp. 69-88. Id., “L’apprendimento della subordinazione avverbiale nell’italiano di sinofoni e le varietà di apprendimento”, in: E. Banfi (a cura), 2003, pp. 66-78. Id., “Da giardino vacanza a campeggio? Il ruolo delle parole composte nell’italiano L2”, in: N. Grandi, (a cura), Morfologia e dintorni. Studi di linguistica tipologica e acquisizionale (Atti della 235 236 Atlante della diaspora cinese Giornata di Studio, Milano Bicocca, 30 maggio 2003), Franco Angeli, Milano, 2005, pp. 141-157. Id., “La vitalità delle Lingue Immigrate: un’indagine a campione tra minori stranieri a Bergamo”, in: M. Chini (a cura), n.ro monografico di SILTA (Atti della giornata di Studi Plurilinguismo e immigrazione nella società italiana, Università di Pavia, 30 novembre 2006), in c.s. Capitolo 9 AA. VV., Raccontare la Storia, Edizioni Sestante, Bergamo, 2004, 2005, 2006. AA. VV., Alfabetouno, Edizioni Sestante, Bergamo, 2006. C. Bagna et al., “La certificazione per bambini nelle fasi iniziali del processo di apprendimento dell’italiano L2”, in: I. Tempesta, M. Maggio (a cura), Lingue in contatto a scuola. Tra italiano, dialetto e italiano L2, Franco Angeli, Milano, 2006, pp. 43-63. C. Baker, Foundations of Bilingual Education and Bilingualism, 2nd edition, Multilingual Matters, Clevedon, Eng., 1996. P.E. Balboni, “La formazione dei docenti: i contenuti e gli strumenti di base”, in: P.E. Balboni (a cura), Approccio alla Lingua Italiana per Allievi Stranieri, Petrini, Torino, 2000a, pp. 181-184. Id. (a cura), Approccio alla Lingua Italiana per Allievi Stranieri, Petrini, Torino, 2000b. Id., Italiano lingua materna, De Agostini, Novara, 2006. E. Banfi, “Note storico- e tipologico-linguistiche sull’ambiente linguistico cinese”, in: C. Ghezzi et al. (a cura), Italiano e lingue immigrate a confronto: riflessioni per la pratica didattica. Atti del Convegno-Seminario CIS. Bergamo, 23-25 giugno 2003, Guerra Edizioni, Perugia, 2004, pp. 127-150. M. Barbera, “Informatica per la didattica: cinese ed arabo”, in: F. Bosc et al. (a cura), Saperi per insegnare. Formare insegnanti di italiano per stranieri. Un’esperienza di collaborazione fra università e scuola, Loescher, Torino, 2006, pp. 187-204. C. Bargellini (a cura), Nĭhăo e salam. Lingue e culture a scuola, Quaderni ISMU/3, Milano, 2000. P. Barki et al., Valutare e certificare l’italiano di stranieri. I livelli iniziali, Guerra Edizioni, Perugia, 2003. G. Berruto “Semplificazione linguistica e varietà substandard”, in: G. Holtus, E. Radke (a cura), Sprachlicher Substandard III, Max Niemeyer Verlag, Tübingen, 1990, pp. 17-43. F. Bosc et al. (a cura), Saperi per insegnare. Formare insegnanti di italiano per stranieri. Un’esperienza di collaborazione fra università e scuola, Loescher, Torino, 2006. C. Bosisio, “Insegnare oggi una lingua ‘altra’ ”, in: M. Chini et al. (a cura), Imparare una lingua: recenti sviluppi teorici e proposte applicative. Atti del 6° Congresso internazionale A.It.L.A., Napoli, 9-10 febbraio 2006, Guerra Edizioni, Perugia, 2007, pp. 375-410. R. Bozzone Costa, “Come lavorare in classe sulle caratteristiche linguistiche dei testi disciplinari”, in: R. Grassi et al. (a cura), L’italiano per lo studio nella scuola plurilingue: tra semplificazione e facilitazione, Guerra Edizioni, Perugia, 2003, pp. 161-178. R. Bozzone Costa, R. Grassi (a cura), Dalle sequenze di acquisizione alla classe di italiano L2. Atti del Convegno-Seminario CIS. Bergamo, 19-21 giugno 2006, Guerra Edizioni, Perugia, c.s. F. Caon (a cura), Insegnare italiano nella classe ad abilità differenziate. Risorse per docenti di italiano come L2 e LS, Guerra Edizioni, Perugia, 2006. A. Ceccagno, S. Scalise, “Facile o difficile? Alcune riflessioni su italiano e cinese”, in: F. Bosc et al. (a cura), 2006, pp. 153-177. F. Cocciolo et al., “Apprendimento dell’italiano in classi multietniche: alcune difficoltà trasversali”, in: M. Maggio, I. Tempesta (a cura), Lingue in contatto a scuola. Tra italiano, dialetto e italiano L2, Franco Angeli, Milano, 2006, pp. 70-79. Consiglio d’Europa, Quadro comune europeo di riferimento per le lingue: apprendimento, insegnamento, valutazione, La Nuova Italia – Oxford, Milano, 2002. J. Cummins, “Linguistic Interdependence and the Educational Development of Bilingual Children”, in: Review of Educational Research, v. 49, n. 2, 1979, pp. 222-251. B. D’Annunzio, “L’allievo di origine cinese” in: P.E. Balboni (a cura), 2000, pp. 124-138. Id., “Bibliografia ragionata per insegnanti di allievi cinesi”, in: M.C. Luise (a cura), Italiano Lingua Seconda: fondamenti e metodi. Volume 3 – Strumenti didattici, Guerra Edizioni, Perugia, 2003, pp. 97-104. D. De Ruiter, “Teachers’ opinions about ethnic minority pupils”, in: C. Baraldi, (a cura), Education and intercultural narratives in multicultural classrooms, Officina Edizioni, Roma, 2006, pp. 83-104. G. Favaro, “Tra analogie e differenze: immagini e rappresentazioni degli alunni stranieri”, in: C. Bargellini (a cura), 2000, pp. 121-134. Id., Insegnare l’italiano agli alunni stranieri, La Nuova Italia, Milano, 2002. Id., “Alunni cinesi a scuola. Accoglienza, inserimento e progetti didattici”, in: E. Banfi (a cura), Italiano/L2 di cinesi. Percorsi acquisizionali, Franco Angeli, Milano, 2003, pp. 11-24. C. Ghezzi, R. Grassi, “Interazione e plurilinguismo in classe”, in: S. Dal Negro, P. Molinelli (a cura), Comunicare nella torre di Babele, Carocci, Roma, 2003, pp. 95-122. Bibliografia citata C. Ghezzi et al., Italiano e lingue immigrate a confronto: riflessioni per la pratica didattica. Atti del Convegno-Seminario CIS. Bergamo, 23-25 giugno 2003, Guerra Edizioni, Perugia, 2004. A. Giacalone Ramat (a cura), Verso l’italiano, Carocci, Roma, 2003. R. Grassi, “Educazione linguistica nella scuola plurilingue: la microlingua della storia nei libri di testo per la scuola media”, in: Linguistica e Filologia, v. 14, 2002, pp. 195-212. Id., “Compiti dell’insegnante disciplinare di classi plurilingui: la facilitazione dei testi scritti”, in: M.C. Luise (a cura), 2003a, pp. 121-142. Id., Parlare all’allievo straniero. Strategie di adattamento linguistico nella classe plurilingue, Guerra Edizioni, Perugia, 2007. R. Grassi et al. (a cura), L’italiano per lo studio nella scuola plurilingue: tra semplificazione e facilitazione, Guerra Edizioni, Perugia, 2003b. E. Jafrancesco (a cura), Intercultura e insegnamento dell’Italiano a immigrati: oltre l’emergenza, Atti del IX Convegno ILSA, Tipografia Comunale, Firenze, 2001. Id. (a cura), La formazione degli insegnanti di italiano L2: ruolo e competenze nella classe di lingua. XV Convegno Nazionale I.L.S.A. Firenze, 10-11 novembre 2006, Edilingua, Atene, c.s. C. Lavinio, Comunicazione e linguaggi disciplinari, Carocci, Roma, 2004. M.G. Lo Duca, Lingua italiana ed educazione linguistica. Tra storia, ricerca e didattica, Carocci, Roma, 2003. M.C. Luise (a cura), Italiano lingua seconda: Fondamenti e metodi. Vol. 1, 2, 3, Guerra Edizioni, Perugia, 2003. Id., Italiano come lingua seconda. Elementi di didattica, UTET Università, Torino, 2006. M. Maggio, I. Tempesta, (a cura), Lingue in contatto a scuola. Tra italiano, dialetto e italiano L2, Franco Angeli, Milano, 2006. B. Moretti, “Un caso concreto di semplificazione linguistica: le ‘letture semplificate’ ”, in: Studi italiani di linguistica teorica ed applicata, v. XVII, n. 2-3, 1988, pp. 219-255. M. Omodeo, “La lingua cinese”, in: C. Bargellini (a cura), 2000, pp. 23-48. Osservatorio Politiche Sociali Area Immigrazione, Provincia di Bergamo, Settore Politiche Sociali, Rapporto immigrazione 2006, Regione Lombardia, Famiglia e Solidarietà Sociale, Osservatorio Regionale per l’Integrazione e la multietnicità, CD Rom, 2006. G. Pallotti, “Favorire la comprensione dei testi scritti”, in: P.E. Balboni (a cura), Approccio alla Lingua Italiana per Allievi Stranieri, Petrini, Torino, 2000, pp. 159-171. M.E. Piemontese, Capire e farsi capire, Tecnodid, Napoli, 1996. L. Queirolo Palmas, “Etnicamente diversi? Alunni di origine straniera e scelte scolastiche”, in: Studi di sociologia, v. XL, n. 2, 2002, pp. 199-214. M.T. Romanello, “Educazione linguistica in classi multietniche”, in: M. Maggio, I. Tempesta (a cura), 2006, pp. 91-101. C. Serra Borneto (a cura), C’era una volta il metodo, Carocci, Roma,1998. M. Squartini, “L’insegnante di fronte alle “lingue” degli allievi”, in: F. Bosc et al. (a cura), Saperi per insegnare. Formare insegnanti di italiano per stranieri. Un’esperienza di collaborazione fra università e scuola, Loescher, Torino, 2006, pp. 70-85. M.T. Tiana, “I percorsi e la riuscita scolastica”, in: E. Besozzi, M.T. Tiana (a cura), Insieme a scuola 3. La terza indagine regionale, Fondazione Cariplo – ISMU, Regione Lombardia, Milano, 2005, pp. 73-94. A. Tosi, Dalla madrelingua all’italiano: lingue ed educazione linguistica nell’Italia multietnica, La Nuova Italia, Firenze, 1995. M. Vedovelli, Guida all’italiano per stranieri. La prospettiva del ‘Quadro comune europeo per le lingue, 237 239 Gli autori Giuliano Bernini è professore di Linguistica generale presso la Facoltà di Lingue e Letterature Straniere dell’Università degli Studi di Bergamo (giuliano.bernini@unibg.it). Emanuela Casti è professore di Geografia presso la Facoltà di Lingue e Letterature Straniere dell’Università degli Studi di Bergamo (emanuela.casti@unibg.it). Silvia Crotti ha conseguito la laurea in Lingue e Letterature Straniere presso l’Università degli Studi di Bergamo (silviacrotti@hotmail.it). Alessandra Ghisalberti è borsista post-dottorale in Geografia presso la Facoltà di Lingue e Letterature Straniere dell’Università degli Studi di Bergamo (alessandra.ghisalberti@unibg.it). Roberta Grassi è ricercatore in Didattica della Lingua Italiana presso la Facoltà di Lingue e Letterature Straniere dell’Università degli Studi di Bergamo (roberta.grassi@unibg.it). Ada Valentini è professore di Linguistica generale presso la Facoltà di Lingue e Letterature Straniere dell’Università degli Studi di Bergamo (ada.valentini@unibg.it). Printed in Italy c/o Arti Grafiche Stibu, Urbania Aprile 2008