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View metadata, citation and similar papers at core.ac.uk brought to you by CORE provided by Pensa MultiMedia Editore (E-Journals) Pasquale Moliterni Department of Movement, Human and Health Sciences – University of Rome “Foro Italico” – pasquale.moliterni@uniroma4.it Integration as a transdisciplinary attitude of Special Pedagogy L’Integrazione come attitudine transdisciplinare della Pedagogia Speciale Numero Monografico ABSTRACT Special pedagogy, starting from its attentive look at the educative care of the person as a special human, is called to do so in inclusive and institutional contexts. Where to enhance diversity and potential through fruitful and meaningful in‐ teractions (intrapersonal, interpersonal, intergenerational, interdisciplinary, intercultural). This requires the promotion of processes of interconnection and integration and the development of a transdisciplinary attitude. While special ped‐ agogy continuing to be an emendative and emancipatory pedagogy, therefore normative. Which, through the heuristic description and understanding of events and situations, is aimed at fostering the development of every person, valuing the uni‐diversal. Keywords: person, contexts, inclusion, integration, transdisciplinary attitude, uni‐diversal. Double blind peer review How to cite this article: Moliterni, P. (2021). Integration as a transdisciplinary attitude of Special Pedagogy. Italian Journal of Special Education for Inclusion, IX, 1, 35‐40 | https://doi10.7346/sipes-01-2021-05 Corresponding Author: Pasquale Moliterni| pasquale.moliterni@uniroma4.it Received: 01.05.2021 | Accepted: 04.06.2021 | Published: 28.06.2021 Italian Journal of Special Education for Inclusion | © Pensa MultiMedia Editore srl | ISSN 2282‐6041 (on line) | DOI: 10.7346/sipes‐01‐2021‐05 –––––– Italian Journal of Special Education for Inclusion –––––– anno IX | n. 1 | giugno 2021 1. TRA IDENTITÀ E DIFFERENZE: aspetti epistemologici Per cogliere i tratti identitari e le differenze tra la Pedagogia Speciale e la Pedagogia Inclusiva, a partire dalle posizioni di ciascuno di noi è opportuno cogliere nei contributi presenti in questo testo, utilizzando il metodo dell’analisi del contenuto di Bardin (1986), ciò che ci accomuna e ciò che ci differenzia, enucleando il sapere che ci caratterizza come comunità scientifica. Ciò è necessario per posizionare la nostra disciplina nelle dinamiche di potere tra le scienze e le relative profes‐ sioni, nell’apporto alla conoscenza e alla comprensione dei fenomeni e delle situazioni che ne costituiscono lo spe‐ cifico oggetto d’indagine. Come messo in evidenza da Foucault (1967), le scienze sono più o meno rilevanti in ragione della forza che riescono ad esprimere nel più ampio contesto scientifico e attraverso le professioni che ne sono espressione. Il sapere della nostra scienza si irrobustisce anche prendendoci cura delle professioni educative e formative che, nell’innervare il sapere scientifico nei contesti scolastici e sociali, contribuiscono ad incrementarlo, in un rapporto fecondo tra teoria e prassi. Nel delineare l’identità disciplinare è importante coglierne gli aspetti di confine, considerandoli non come steccati e barriere ma come ambiti di congiunzione verso uno stesso fine (cum‐fine), nella costruzione di comportamenti scientifici utili a meglio conoscere e, soprattutto, comprendere e orientare gli sviluppi dei fenomeni indagati. Si tratta, dunque, di evidenziare gli aspetti intersezionali della conoscenza, interdisciplinari se non, addirittura, tran‐ sdisciplinari per incrementare quel processo di umanizzazione che pertiene all’educazione. Sappiamo che la disciplina prende forma per mettere ordine nella realtà strutturando il pensiero (e viceversa). L’approfondimento conoscitivo del reale è, inevitabilmente, sempre più specifico. In tale direzione, ogni disciplina individua demarcazioni, confini e frontiere, costruendo propri metodi di indagine, teorie e sistemi concettuali. In‐ crementa il proprio patrimonio di conoscenze, che diventa sempre più autonomo rispetto alle altre discipline, in‐ sieme alle quali, invece, dovrebbe pervenire alla conoscenza quale com‐prensione della realtà nella sua unitarietà e complessità. La specializzazione, seppur necessaria, porta infatti a una frammentazione della rappresentazione della realtà che, invece, è sempre unitaria. Ciò si acuisce in particolare nell’organizzazione accademica di una uni‐ versità che, in virtù di processi endogeni ed esogeni, da Newman (1873) si sviluppa sempre più come pluriversitas pragmatica, anziché universitas. Nessuna disciplina può conoscere invece i problemi dall’interno della propria conformazione disciplinare. Il reale, infatti, non è disciplinare, ma eccede i punti di vista disciplinari e va colto nella sua complessità. Come evidenzia Bernstein (1971), ciò può avvenire secondo modelli cumulativi, in cui le conoscenze di una di‐ sciplina vengono giustapposte a quelle di altre (è il caso della cosiddetta multi e pluridisciplinarità che caratterizza la conoscenza in termini soprattutto quantitativi), oppure secondo modelli integrativi, in cui le discipline entrano in relazione tra loro e valorizzano in reciprocità conoscenze e metodologie accomunanti, in forma interdisciplinare, al fine di una migliore comprensione della realtà. L’interdisciplinarità valorizza e ibrida conoscenze e metodologie poste nelle intersezioni tra le discipline, le quali vengono così a costituire una nuova forma di organizzazione del sapere, più capace di risolvere i problemi (v. la mutualità e il lavoro di équipe tra medicina, chimica, fisica e tecnologia per affrontare varie malattie, ecc.), come cerca di fare il Centro di Ricerca dell’Epistemologia Genetica di Ginevra dal 1955, andando oltre la visione positivistica e neopositivistica di una classificazione frammentata delle scienze, in una direzione invece interdisciplinare e transdisciplinare, grazie a Piaget (1950) e all’impegno convergente di altri studiosi come Bruner (1964, 1967), Kuhn (1962), Zadeh (1965), Prigogine (1978), Ceruti (1986), von Foerster (1987), Morin (1990, 2001, 2015), Matte Blanco (2000), per non citarne che alcuni (per approfondimenti vedi Moliterni, 2013: 156‐192). In una logica sistemica e coevolutiva tra le scienze, per una cosmopedia in chiave transdisciplinare, dal 1956 si porrà anche von Foerster e il Biological Computer Laboratory dell’Università dell’Illinois, per una scienza sempre più poliedrica nella conoscenza e comprensione della realtà e nella efficace soluzione dei problemi, che dia signifi‐ cato al valore dell’umano nel valore dell’universo. I grandi problemi sono infatti trasversali, transdisciplinari e sempre più planetari, come evidenziato anche dalle recenti crisi pandemiche, economiche e sociali. Lungi dal divenire la costruzione di una nuova scienza, la transdisciplinarità tende dunque all’unitarietà delle scienze, perché ognuna, con il proprio sguardo, possa apportare il proprio contributo alla promozione dell’umano nei contesti locali e mondiale, in una visione ecosistemica ed integrata della realtà e del mondo, com‐prensiva dei vari apporti disciplinari. L’ottica transdisciplinare richiede una circolarità tra le scienze (Piaget, 1973), con lo sviluppo delle relazioni interdisciplinari in forma reticolare, verso uno stadio superiore che può essere indicato come “tran‐ sdisciplinare”. Questo non dovrà essere limitato a riconoscere le interazioni o le reciprocità attraverso le ricerche specializzate, ma dovrà individuare quei collegamenti all’interno di un sistema complessivo, senza confini stabili tra le discipline stesse. 36 Quella transdisciplinare costituisce un’attitudine che richiede la critica e il superamento della logica lineare di classificazione delle scienze per una concezione dinamica e reticolare della conoscenza: una epistemologia dell’epi‐ stemologia. È un’utopia? No, può divenire realtà, ma richiede lo sviluppo di processi educativi per tutti e per ciascuno, in ogni contesto sociale e culturale, e la promozione, dunque, di una diffusa onestà intellettuale, oltre che morale, protesa verso il bene di tutti. 2. PEDAGOGIA SPECIALE: l’educabilità di ogni persona Come sappiamo, la pedagogia speciale non trae origine dalla pedagogia generale ma da alcuni medici che con sen‐ sibilità e sguardo pedagogico credevano nella educabilità dell’essere umano, al di là delle condizioni reali scoraggianti e disperate (Crispiani, 2016). Nasce a ridosso del 1800 in Francia, con l’esperienza del medico Jean Marc Gaspard Itard e il ragazzo abbando‐ nato nel bosco e scoperto anni dopo da alcuni cacciatori sul massiccio dell’Aveyron e da lui denominato Victor. Con‐ vinto dell’educabilità di ogni essere umano e che i deficit cognitivo‐linguistici, motori e socioaffettivi siano dovuti all’esperienza di deprivazione, Itard affianca la cura educativa alle cure mediche, in un approccio globale alla persona con deficit. La sua è una pedagogia emendativa, finalizzata a promuovere socialità, sensorialità e linguaggio attra‐ verso esperienze interessanti, a forte rilevanza cognitiva e affettiva. Tutto ciò con il supporto della governante Ma‐ dame Guérin che coinvolgerà Victor nelle attività di vita quotidiana e favorirà i processi di autonomia personale in modo concreto e indiretto, come teorizzato già da Rousseau (1762). Su tale strada proseguirà il medico Séguin. Convinto che l’idiozia non sia una malattia ma uno stato di depriva‐ zione e che, dunque, sia necessario prestare attenzione all’educazione globale della persona, egli abbandona il pa‐ radigma medico, favorendo forme di apprendimento attraverso la stimolazione sensoriale e attività imitative e analitiche volte a sviluppare il pensiero e la libertà della persona. Anche il medico Maria Montessori guarda alla rigenerazione umana attraverso la pedagogia. Dall’intreccio tra psichiatria e pedagogia, intuisce che l’educazione dei bambini “deficienti” sia questione più pedagogica che medica e che dunque bisogna lavorare per il diritto all’educazione per tutti i bambini, soprattutto poveri, abbandonati e malati. Convinta dell’azione modificatrice anziché misuratrice dell’educazione e della necessità di una pedagogia capace di modificare effettivamente la personalità degli allievi, elabora il metodo e il prezioso materiale didattico ormai diffuso nelle scuole di tutto il mondo. Ogni bambino e persona, anche con deficit, è educabile ma necessita di cura sul piano socio‐relazionale e pe‐ dagogico. È necessaria, pertanto, una pedagogia trasformatrice, emendativa ed emancipatoria: ciò costituisce la base scientifica della pedagogia speciale (Canevaro, 1974). La specialità della pedagogia viene a costituire una qualificazione, una qualità (Zavalloni, 1969), “una connota‐ zione trasversale che consente a questa disciplina di prevedere e di affrontare la “diversità” in continuità con quella che impropriamente viene definita la norma, che invece è una categoria statistica che esiste solo come realtà astratta” (Montuschi, 1993, p. 211). Sia biologicamente sia culturalmente, infatti, siamo tutti diversi. Si tratta, pertanto, di “trasformare la pedagogia generale in pedagogia speciale”, capace cioè di rispondere ai bisogni di tutti gli allievi, indipendentemente dalla loro specifica gravità (Zavalloni, apud Montuschi, 2009, p. 68) e di mettere in campo un pensare speciale (Montuschi, 2004, p. 513). La pedagogia speciale non può essere costruita dunque sull’handicap ma sui problemi della persona umana attraverso gli interventi educativi utilizzati di volta in volta, senza specialismi deformanti ma con irrinunciabili forme di integrazione (Montuschi, 1993, pp. 9‐10). E qui si intravvede già una forte proiezione della pedagogia speciale oltre il mero disciplinarismo, in direzione interdisciplinare e oltre (Fratini, 2020). La pedagogia speciale vedrà il suo sviluppo grazie alle sollecitazioni sociali e culturali che negli anni ’60‐70 por‐ teranno l’Italia, primo Paese al mondo, ad abolire con la legge 517 del 1977 le classi differenziali, sancendo il diritto di tutti i bambini con disabilità ad essere inseriti nelle classi comuni e a frequentare la scuola insieme ai compagni normotipici. Grazie agli impulsi dell’Università di Bologna (A. Canevaro) e della Sapienza di Roma (R. Zavalloni), e al coinvol‐ gimento di altri gruppi sociopolitici e di ricerca, la cultura dell’integrazione contribuirà a innovare e trasformare l’intero sistema scolastico, valorizzando le differenze delle persone e la loro unicità e peculiarità in un’ottica di non esclusione, attraverso un’azione pedagogica complessa, in una concezione istituente e non solo istituita dell’azione didattica e pedagogica. Si fa leva sulla pedagogia istituzionale di Oury, introdotta da Canevaro e volta a creare con‐ 37 testi ed interventi personalizzati, per lo sviluppo di pratiche più efficaci in una nuova visione della disabilità e delle differenze, nella prospettiva dell’integrazione e dell’inclusione. La pedagogia speciale nasce, dunque, occupandosi della persona in quanto essere speciale, nelle sue peculiarità e diversità, in un processo emancipatorio frutto di significativi processi educativi, attraverso l’acquisizione di cono‐ scenze volte a favorire l’autonomia di ciascuno in modo competente. Ma ciò chiama in causa la didattica ovvero la scienza il cui contributo è proprio quello di individuare, attraverso processi mediatori didattici (Moliterni, 2013), forme e modalità di conoscenza accessibili ad ogni alunno e volte a promuoverne il processo di autonomia e di umanizzazione in modo responsabilmente competente. Ne discende, dunque, la necessità di costruire forme di intreccio anche con la didattica verso una didattica speciale. “La pedagogia speciale non deve essere separata ma ha bisogno di incontrare una sua specificità, deve tener conto della sua molteplicità, delle voci culturali, dell’identità plurale, dell’essere nel mondo di una persona” (Cane‐ varo, 2000, p. 191). 3. PEDAGOGIA INCLUSIVA: il valore dei contesti La pedagogia dell’inclusione si sviluppa con il Movimento “Education for All” dell’UNESCO, a partire dalla “Confe‐ renza Mondiale sull’Educazione per tutti” di Jomtien (Thailandia) nel 1990 e dalla Dichiarazione di Salamanca del 1994, ove si afferma il principio di una pedagogia volta a garantire l’educazione dei bambini, dei giovani e degli adulti che hanno bisogni educativi speciali nel sistema educativo normale. L’educazione per tutti mira a contrastare le disuguaglianze e a costruire una società più giusta, in cui valorizzare le differenze e garantire a ciascuno il diritto di partecipare ai processi educativi e formativi. Viene così spostata l’at‐ tenzione pedagogica dalla disabilità e dai bisogni speciali al complesso degli alunni di una scuola e alle loro differenti abilità, dando quindi rilevanza ai contesti sociali nella promozione dello sviluppo di ciascuno e garantendo il diritto alle pari opportunità, a prescindere da differenze etniche, di genere, evolutive e culturali (de Anna, 2014). Tra gli anni ’80 e ’90 dello scorso secolo, la presenza di flussi immigratori in Italia fa allargare il campo dei bisogni educativi sul piano multiculturale ed interculturale, con attenzione all’educazione dei bambini stranieri a rischio di esclusione. La pedagogia speciale allarga il suo interesse non solo alla disabilità ma alla marginalità e, più in generale, all’esclusione scolastica e sociale. Ciò andrà a convergere con lo sguardo della pedagogia generale e sociale, che, con attenzione alla giustizia sociale e all’accesso all’istruzione, si occuperà di inclusione, pur se con un focus centrato sulla multi e interculturalità. Con l’Index for inclusion (2000), Booth e Ainscow esplicitano le finalità verso cui tendere, insieme alle priorità di cambiamento, evidenziando resistenze e interconnessioni tra Culture, Politiche e Azioni, per una scuola e una società inclusive in un quadro sistemico. L’inclusione diventa pertanto una visione generale relativa alla qualità delle vite e delle biografie di tutti, non solo dei disabili e/o degli svantaggiati (Medeghini & Fornasa, 2011, p. 8). L’educazione per tutti risponde pertanto ad un’esigenza di ecologia sociale e la pedagogia dell’inclusione valorizza la dimensione sociale dell’educazione e, dunque, l’importanza del contesto e dei contesti. 4. PEDAGOGIA DELL’INTEGRAZIONE: complessità e transdisciplinarità La pedagogia speciale in questo nuovo quadro raccoglie la sfida di prendersi cura della persona, nelle sue peculiarità, ma promuovendo contesti volti a valorizzarne diversità e potenzialità e a favorirne lo sviluppo attraverso fruttuose e significative inter‐azioni (intrapersonali, interpersonali, intergenerazionali, interdisciplinari, interculturali…). La Pedagogia speciale viene chiamata dunque a produrre intrecci tra le pedagogie e le scienze dell’educazione, della salute e del territorio, tra scienza, politica e organizzazioni sociali e formative. Nel muoversi tra identità e differenze, tra forze centripete e forze centrifughe, tra universale e particolare, credo, quindi, si debba utilizzare la logica dell’et‐et, concependo lo sviluppo umano e la conoscenza come frutto di inter‐ azioni e interconnessioni, nel quadro dell’ecosistema educativo e nelle interrelazioni tra formale, non formale e in‐ formale. Va recuperata, nell’esperienza umana e scientifica, la logica fuzzy, chiaroscurale, che tiene conto delle molteplici intersezioni e sfumature che compongono la vita e che nella diversificazione dei punti di vista e dei modi di essere di ciascuno ci pongono sempre e comunque in un legame di reciprocità. Se con l’inclusione si dà la possibilità alle persone di esser dentro ogni contesto e di partecipare alle attività, la vera sfida diviene, quindi, quella di valorizzare l’interrelazione dei comportamenti e dei modi di essere tra le persone e, di conseguenza, tra le scienze nella loro diversità, nell’ambito di una terza dimensione e prospettiva: l’integrazione. Se dal 2000 abbiamo accolto il concetto di inclusione e di inclusive education, ribaditi nella Convenzione inter‐ 38 nazionale dei diritti delle persone con disabilità del 2006, è necessario, dunque, creare situazioni e ambienti in cui ogni persona, nessuna esclusa, possa coltivare le proprie opzioni e capacità, possa vivere situazioni meno disabili‐ tanti, a qualsiasi età e in qualsiasi condizione, in contesti accessibili, accoglienti e valorizzanti, di riconoscimento ed apprezzamento reciproco. È questo ciò che rende civile ed umana una società! La pedagogia speciale deve pertanto promuovere inclusione in vista di processi di integrazione a ogni livello e dimensione, per ridare senso e significato all’esperienza umana, nel riconoscimento e nel rispetto reciproco, senza perdenti. La pedagogia speciale è chiamata a fare inclusione per l’integrazione: inclusion for integration! Mentre l’inclusione rischia di rispondere alla logica cumulativa, l’integrazione invece comporta una modificazione reciproca tra il sé e l’altro da sé, tra l’ego alter e l’alter ego, attraverso l’interscambio e l’appropriazione di parte del‐ l’altrui punto di vista, in reciprocità. La logica dell’integrazione, come già detto, risponde al paradigma dell’et‐et (Moliterni, 2013, p. 186), in una concezione co‐costruttiva ed ecosistemica. Come pedagogia speciale dobbiamo pertanto dare valore alla persona non solo nella concezione latina del Per se unum, ciò che ha valore di per sé, ma anche nella concezione greca di Pròsouros (πρόσουρος), colui/colei che mi sta a fianco e di fronte, l’alter, nella logica dell’et‐et per l’appunto, promuovendo contesti e situazioni significative, valorizzanti e proattive, in cui la persona, il sé, si evolve in interazione con l’altro da sé. L’impegno è quello di tendere alla Unitas multiplex del sistema (Angial, apud Moliterni 2013, p. 190). Credo sia questa la sfida per la pedagogia speciale, in quanto scienza dinamica e alla ricerca di nuove sintesi, in un pluralismo della spiegazione/comprensione oltre le discipline, verso la transdisciplinarità (Nicolescu, Morin & de Freitas, 1994), come processo che all’interno di un sistema omnicomprensivo non si accontenta di attingere le interazioni o le reciprocità tra ricerche specializzate, ma situa questi legami all’interno di un sistema totale senza confini stabili tra discipline, in una assiomatica comune tra esse (Scurati, 1974). La transdisciplinarità attraversa e oltrepassa le discipline con l’obiettivo di comprendere la complessità del mondo con un approccio che restituisca al sapere unitarietà nella diversità, integrazione tra i saperi e le competenze, per pervenire ad un umanesimo “uni‐diversale”, in cui “l’unità è il tesoro della diversità umana, così come la diversità è il tesoro dell’unità umana” (Morin, 2015, p. 80). Costituisce dunque una nuova “attitudine” scientifica, un nuovo approccio intellettuale, culturale e operativo, per la promozione della conoscenza sempre più unitaria della realtà. Ciò include anche una dimensione etica, per‐ ché, in un’epoca di grandi progressi della conoscenza, la mancanza di dialogo e di circolazione dei saperi accresce la disuguaglianza fra quelli che posseggono tali conoscenze e coloro che ne sono esclusi. Il concetto di competenza specialistica, con conseguente ed inevitabile frammentazione della conoscenza, è ormai superato. L’Unesco (1998) definisce la transdisciplinarità come spazio intellettuale dove le connessioni tra diversi argomenti isolati possono essere esplorate e svelate. Ma bisogna costruire nuovi habitus comportamentali e mentali, nuovi modi di intendere la scienza – oltre le lo‐ giche di potere, istintuali per l’essere umano – attraverso una formazione che guardi alla soluzione dei problemi mettendo in gioco intrecci di competenze, culture e sguardi umani e umanizzanti. È questa la sfida educativa e l’impegno, nel più vasto quadro delle scienze pedagogiche e delle altre scienze, di una pedagogia speciale che evidenzi i legami tra le discipline che si occupano dell’umano in un’ottica ecosistemica e che sappia sostenere, altresì, le professioni che si prendono cura (nella logica del caring) di ogni persona. Dobbiamo operare come comunità, esprimendo quelle inevitabili ma utili divergenze che ci vedano, però, protesi ad individuare le convergenze che caratterizzano il sapere della pedagogia speciale quale scienza che valorizza l’umano in ogni contesto di vita, senza esclusione alcuna. Dobbiamo promuovere il dialogo con i colleghi delle altre discipline, sviluppando forme di cooperazione con uno sguardo transdisciplinare, ma nell’onestà ed autenticità dei comportamenti scientifici e professionali, nell’in‐ treccio tra cultura scientifica – che genera dati e conoscenze specifiche‐ e cultura umanistica – che suscita com‐ prensione, attribuzione di senso e di significato –, tenendo conto che esse insieme costruiscono la visione dell’uomo‐mondo e possono favorire partecipazione consapevole e responsabile da parte di tutti. Ma attenzione! Entrare in un’ottica transdisciplinare non deve significare che la pedagogia speciale venga fago‐ citata, di volta in volta, dalla medicina o dalla psicologia, dalla sociologia, dal diritto e dalla stessa pedagogia generale. Dobbiamo certamente essere aperti, accoglienti, dialogici, accettanti, collaborativi, ma attenti all’equità e, dun‐ que, vigilanti al fine di tutelare il bene per cui questa scienza è nata. Ciò dovrebbe costituire un vero e proprio “modo di essere” (Rogers, 1983) di noi pedagogisti speciali. In conclusione, la pedagogia speciale è chiamata ad essere pertanto proattiva rispetto ad ogni rischio di assimi‐ lazione e/o esclusione sociale e culturale, manifestando il suo impegno nel promuovere contesti accessibili ed in‐ clusivi per ogni persona, nella valorizzazione delle specifiche caratteristiche e potenzialità, ma altresì facendo 39 riscoprire il valore dell’intreccio tra persone e culture e la consapevolezza che si è abitanti del medesimo mondo in cui nessuno dovrebbe essere perdente. Se l’educazione inclusiva non produce interazione e integrazione attiva e valorizzante tra i diversi punti di vista diventa un mero inserimento con il rischio di produrre adattamento e/o assi‐ milazione culturale, e conseguenti inevitabili reazioni e controreazioni, come dimostrano le diverse forme di ghettiz‐ zazione presenti nel mondo. L’attitudine transdisciplinare che la pedagogia speciale può mettere in campo è quella di continuare ad essere una pedagogia emendativa ed emancipatoria, quindi normativa, che, a partire da una descrizione e comprensione euristica di eventi e situazioni, grazie all’apporto delle scienze postpositivistiche, è protesa a favorire lo sviluppo di ogni persona come essere speciale, prendendosene cura in modo co‐costruttivo al fine di valorizzare in forma com‐ plementare e integrata l’uni‐diversale, con attenzione dunque ai valori del vero, del bello e del bene di tutti nessuno escluso: principi‐valori che esplicitano il vero senso e significato dell’educazione. Riferimenti bibliografici Bardin, L. (1986). L’analyse de contenu. Paris: PUF. Bernstein, B. (1971). Classe e pedagogie. In E. Becchi, Il Bambino sociale. Milano: Feltrinelli. Booth, T. & Ainscow, M. (2000). Index for inclusion. Bristol: CSIE. Bruner, J. (1964). Dopo Dewey. Roma: Armando. Bruner, J. (1967). 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