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La vocazione internazionale della Secessione romana e la “Sala degli Impressionisti Francesi” del 1913. Gli artisti, le opere e la ricezione critica (Secessione romana 1913-2013, 2013)

2013, Secessione romana 1913-2013. Temi e problemi, a cura di Manuel Carrera, Jolanda Nigro Covre, Bagatto Libri, Roma 2013, pp. 150-162.

Il saggio - attraverso l'analisi e l'incrocio delle fonti, anche inedite - ricostruisce la storia e la fisionomia della sezione francese della prima mostra della Secessione romana del 1913, al fine di riflettere su alcuni aspetti della ricezione critica dell'impressionismo e del postimpressionismo in Italia alla vigilia della Grande Guerra. The essay - through the analysis and the intersection of sources, some of which unpublished - traces the history and the aspect of French section of the first Roman Secession exhibition of 1913, in order to reflect on some aspects of the italian critical reception of Impressionism and Post-Impressionism in the eve of the Great War.

SECESSIONE ROMANA 1913-2013 Temi e problemi a cura di MANUEL CARRERA - JOLANDA NIGRO COVRE © B A G AT TO L I B R I 2013 VIA P AV I A , 38 - 00161 R O M A ISBN  Indice 7 Presentazione CONTRIBUTI DALLE ISTITUZIONI 11 MARIA VITTORIA MARINI CLARELLI, Arturo Martini alla Secessione romana 18 STEFANIA FREZZOTTI, Rodin e la scultura italiana al tempo della Secessione 27 MARIA CATALANO, La Galleria capitolina di arte moderna durante gli anni della Secessione. Uno sguardo alla scultura PRESENZE, INCONTRI, PROTAGONISTI 41 MANUEL CARRERA, Camillo Innocenti prima della Secessione. Incontri e scambi tra arte e letteratura 52 ILARIA SCHIAFFINI, I futuristi e la Secessione romana 65 JOLANDA NIGRO COVRE, Giacomo Balla: una “compenetrazione iridescente” alla Secessione 73 GIANCARLO BROCCA, Da Duilio Cambellotti a Angelo Zanelli: l’esperienza secessionista di Publio Morbiducci 82 PIER PAOLO PANCOTTO, Pasquarosa e le presenze femminili alle mostre della Secessione 93 LOREDANA FINICELLI, Continuità e discontinuità tra le mostre della Secessione e le Biennali romane. Dal “fenomeno” Pasquarosa al “caso” Spadini, paradigmi di un orientamento critico che cambia GRAFICA, ARTI APPLICATE, TENDENZE E TANGENZE 105 CLAUDIA MATERA, Novissima: il passaggio da rivista a casa editrice nella Roma liberty 112 EMANUELE BARDAZZI, Le sezioni di Bianco e Nero alla Secessione romana e altre vicende della grafica primo-novecentesca 137 EUGENIA QUERCI, La Prima Secessione e le arti decorative a Roma: presenze e orientamenti  150 MATTEO PICCIONI, La vocazione internazionale della Secessione romana e la “Sala degli Impressionisti Francesi” del 1913. Gli artisti, le opere e la ricezione critica 163 MANUEL BARRESE, La terza mostra della Secessione romana (1915). Aperture all’architettura e l’allestimento “viennese” di Marcello Piacentini 174 ROSALBA CILIONE, SIMONA PANDOLFI, Ricerche d’archivio a Roma: il progetto “Partage Plus Art Nouveau” 185 CAMILLA LUBRANI, La Secessione romana: un confronto sugli studi 188 BIBLIOGRAFIA 201 INDICE DEI NOMI Nei giorni 27 e 28 maggio 2013 si è tenuto un convegno in due giornate presso la Galleria Nazionale d’Arte Moderna e il Museo Laboratorio di Arte Contemporanea dell’Università “Sapienza” di Roma intitolato Secessione romana 1913-2013.Temi e problemi. In seguito, il gruppo di studiosi che opera intorno al Dipartimento di Storia dell’Arte ed alle istituzioni museali coinvolte ha affrontato alcuni nodi problematici legati allo stesso soggetto, realizzando i saggi qui presentati. Un vivo ringraziamento va alle dott. Maria Giuseppina Di Monte e Liliana Spadaro per aver coordinato il convegno, nonché alla dott. Maria Onori per la sua collaborazione; alla dott. Maria Vittoria Marini Clarelli, soprintendente, e al prof. Giuseppe Di Giacomo, direttore del MLAC, per la cortese ospitalità. Matteo Piccioni La vocazione internazionale della Secessione romana e la “Sala degli Impressionisti Francesi” del 1913. Gli artisti, le opere e la ricezione critica Il moto separatista che portò alla nascita della Secessione romana nel gennaio del 1912 si fondava, come noto, sul binomio rinnovamento-internazionalizzazione: se da un lato si sentiva il bisogno di ringiovanire e riformare l’ormai sclerotica società degli Amatori e Cultori di Belle Arti, dall’altro si imponeva la necessità di doversi confrontare con quanto di più aggiornato si produceva in Europa 1, cercando di ottenere, allo stesso tempo, un ruolo meno periferico per Roma a livello internazionale, superata in tal senso da Venezia con la sua ormai storica rassegna biennale 2. Questo secondo aspetto rappresenta uno dei capitoli peculiari dell’esperienza secessionista romana poiché permise, almeno per due anni e in anticipo sulle Biennali romane (1921-1925) 3, di fare della Capitale il centro di un dibattito critico e di una produzione artistica contemporanea fondati sulla ricezione di alcuni episodi della cultura europea più avanzata. L’occasione di tale risveglio culturale si ebbe alla Prima Esposizione della Secessione romana del 1913, grazie alla Sala degli Impressionisti Francesi, frutto di quella vocazione internazionale che alimentava il nuovo sodalizio artistico romano e che rendeva omaggio a uno dei due poli stranieri intorno ai quali ruotava il rinnovamento culturale della Capitale. Stando a quanto si evince dalle fonti, in principio anche l’arte mitteleuropea – l’altro punto di riferimento culturale dell’arte capitolina 4 – avrebbe dovuto avere una sala dedicata, destinata alla Secessione viennese.Tuttavia, gli austriaci, impossibilitati a essere presenti alla prima rassegna 5, fecero il loro debutto alle mostre della Secessione romana nel 1914 con Klimt, che espose il Ritratto di Mäda Primavesi (1912, New York, Metropolitan Museum of Art), e gli artisti della Bund Österreichischer Künstler 6. Saltata dunque l’ipotesi di una sala austriaca, gli sforzi per l’organizzazione della sezione internazionale si concentrarono sulla Francia, sotto la responsabi- La vocazione internazionale della Secessione romana  lità del conte Enrico di San Martino e di Camillo Innocenti 7. Proprio quest’ultimo si recò a Parigi nel novembre del 1912 con lo scopo di recuperare opere per la mostra, forte soprattutto dei rapporti maturati con la capitale francese, sia come artista, sia come membro del comitato organizzativo dell’Esposizione Internazionale di Roma del 1911. Come il pittore rammenta nei ricordi autobiografici, il personaggio chiave nelle sue relazioni francesi in quel soggiorno fu lo scultore toscano Libero Andreotti, suo vicino di studio all’Avenue des Ternes, residente a Parigi dal 1909 8. Innocenti frequentò, tra altri, anche Gabriele D’Annunzio e il côté mondano a lui legato,permettendogli di avere importanti prestiti stranieri connessi a un’arte elegante e compiacente, di derivazione whistleriana, molto vicini alla sua produzione pittorica. Tra questi meritano menzione il dipinto di Jacques-Émile Blanche, Printemps, Jeune fille dans un jardin (1889, Dieppe, Château-Musée) e i ritratti della pittrice Romaine Brooks, in particolare quello celebre di D’Annunzio (Le Poète en exil, 1912, Parigi, Centre Pompidou) e una Fanciulla in rosa (La Debutante, 1910-11,Washington,The Smithsonian American Art Museum) che riscossero apprezzamento proprio per le armonie cromatiche, manifesto retaggio del pittore inglese 9. Entrando però nel vivo dell’organizzazione della Sala degli Impressionisti Francesi, l’avvenimento centrale della vicenda fu il contatto di Innocenti con la Galleria Bernheim-Jeune, prestatrice delle opere, che ebbe come esito finale, nel marzo del 1913 ed esattamente in contemporanea con l’inaugurazione della prima esposizione della Secessione, la personale dello stesso pittore, forse come contropartita per i prestiti ottenuti 10. Si è letto il rapporto di Innocenti con la galleria, e non completamente a torto, come conseguenza dell’amicizia del pittore con Andreotti, che vi aveva esposto nel 1911 11, un anno prima della celeberrima mostra futurista. Non è da escludere,tuttavia,che,nella tessitura delle trame di contatti parigini di Innocenti, un ruolo non marginale, se non proprio Capitale, sia stato giocato da Vittorio Pica, grande amico del pittore, col quale aveva collaborato per le mostre straniere all’Esposizione del 1911. Proprio in quell’occasione Pica aveva maturato l’idea di una grande esposizione impressionista a Roma,nel padiglione francese,esposizione – che,come noto,non fu realizzata per l’opposizione intransigente delle frange più conservatrici dell’arte francese 12 – a cui lavorava almeno dal 1909, come testimonia una sua lettera nell’Archivio Libero Andreotti a Pescia (PT) 13, evidentemente coadiuvato da Innocenti, col quale si recò a Parigi nel 1910, circostanza parimenti documentata nel medesimo archivio 14.Se i contatti con Durand-Ruel sono confermati dal primo dei documenti citati,è probabile che contemporaneamente anche Bernheim-Jeune fosse chiamato in causa allo scopo di  M. Piccioni reperire opere per la mancata mostra impressionista dell’’11. Del resto, va considerato che Pica aveva avuto contatti con i noti mercanti parigini, intorno al 1908, anche per la redazione del suo libro Gl’impressionisti francesi, in relazione alle foto dei dipinti, quasi tutte provenienti dalle due gallerie. A questo va aggiunto 1. Sala degli Impressionisti francesi, da “Vita d’Arte”, che Pica era legato da amicizia con 1913. Opere di Renoir,Van Rysselberge, Man- Félix Fénéon, il celebre critico del guyn, Morrice, Matisse, Sisley. neo-impressionismo, dal 1909 direttore artistico della Bernheim-Jeune 15, e soprattutto con Gabriel Mourey – critico sempre per la stessa galleria e redattore del saggio nel catalogo della mostra di Innocenti – per il quale Pica si era speso nella promozione delle opere in Italia 16.Tuttavia, è da credere che il critico napoletano avesse avuto solo un ruolo da intermediario per l’esposizione francese alla prima mostra della Secessione – forse a guisa di riscatto per l’occasione sfumata nel 1911 – le cui opere e artisti furono molto verosimilmente scelti da Bernheim-Jeune stesso o dai suoi collaboratori 17, vista la cattiva opinione che Pica aveva per gli ultimi esiti della sperimentazione artistica francese,e dei fauves in particolare (come ben evidenzia la conclusione del suo libro del 1908 18), che della mostra furono i pezzi forti. La selezione di opere che varcò le Alpi nel tardo inverno del 1913 offriva una visione dell’Impressionismo tutt’affatto particolare, benché in linea con la ricezione critica europea del movimento. A tutta prima, dando uno sguardo al rispettabile numero di opere esposte e annotate in catalogo (cinquanta) 19, si nota subito come di “impressionista” in senso stretto non vi fosse quasi nulla e che anche gli artisti propriamente “impressionisti” presentavano opere di periodi successivi o comunque non particolarmente significative. Questo aspetto è confermato e, anzi, amplificato quando si tenta di ricostruire la fisionomia della mostra rintracciando alcune delle opere esposte, seguendo un filo cronologico ed “evolutivo” che da Manet arriva a Matisse 20. Se l’individuazione dell’opera di Manet, Fleurs dans un intérieur (32), si rivela invero piuttosto problematica 21, dei tre dipinti esposti da Monet, La pluie (29), Londres Waterloo Bridge (39,fig.2) e Nymphèas (26),i primi due sono chiaramente identificabili 22. Di Renoir, che presentava un ritratto e una bagnante che si asciuga (21),allo stato attuale delle ricerche può essere riconosciuta solo La dame au chapeau (16, 1889 ca., Gerusalemme,The Israel Museum) 23, anche grazie alla La vocazione internazionale della Secessione romana  foto pubblicata in “Vita d’Arte”(fig. 1) 24.Tra i due dipinti di Pissarro,Les Tuileries (28), oggi al Metropolitan Museum di New York, è l’unico facilmente identificabile, grazie anche alla riproduzione in catalogo 25, mentre il paesaggio di Sisley (15) è riconoscibile in quello oggi al Musée d’Art et d’Histoire di Gine2. Claude Monet, Waterloo Bridge, effet de soleil (W 26 1587), 1903. Hamilton, Art Gallery University. vra . La compagine impressionista propriamente detta si concludeva con opere di Berthe Morisot, Guillaumin e altri minori. Seguivano cronologicamente le opere neo-impressioniste, secondo alcuni il gruppo più compatto, anche se pesava l’assenza di Seurat. Le più importanti erano le tele di Signac, La Seine à Bellevue (37) e Les voiles latines (41), oggi in collezioni private 27. Se i quadri di Luce e Cross non sono per il momento identificabili, lo è quello di Théo 3. Théo van Rysselberghe, La lecture dans le parc (parvan Rysselberghe, il neoimpres- ticolare), 1902. Bruxelles, Hôtel Solvay. sionista belga, il cui Le parc (14), già riprodotto da Pica nel 1908 28, è quasi certamente il bozzetto per il grande dipinto La lecture dans le parc (fig. 3) che decora dal 1902 lo scalone d’onore dell’Hôtel Solvay di Victor Horta, a Bruxelles 29. Oltre alla selezione neo-impressionista, ben riuscita appare anche quella degli ex-Nabis, la cui linea intimista era rappresentata da Bonnard, con una Lampe verte (1) e una Salle à manger (34), «due effetti di lampade in interni casalinghi» 30;Vuillard che espose Chapeaux de paille (1906, collezione privata, fig. 4), apprezzato 4. Édouard Vuillard, Les chapeaux de paille, 1909. per il gioco cromatico di gialli e Collezione privata.  M. Piccioni grigi 31, e i Fleurs (42);Vallotton con l’enigmatico L’attente (2, 1899, coll. privata), piccolo intérieur della serie di tempere legate alle xilografie delle Intimités 32, e L’Anglaise (6,1906,Solothurn,Kunstmuseum,fig.5) 33, un ritratto che non mancò di riscuotere consensi come dimostra la precoce ricezione da parte del pittore rovigotto Mario Cavaglieri 34,di cui si avverte un’eco nel Ritratto di Noemi Baldin (collezione privata,fig. 6) dello stesso anno 35. L’ala neotradizionalista era rappresentata, invece, da una Suzanne au bain di Maurice Denis, forse quella riprodotta nel 1907 su “Art et Décoration 36 5. Félix Vallotton, L’Anglaise, 1906, olio (fig. 7). su tela. Solothurn, Kunstmuseum. I dipinti che, in ogni caso, più riscossero attenzione e scandalo da parte di critica e pubblico, punto di arrivo delle ricerche “impressioniste” secondo la concezione critica prebellica, erano i lavori di Van Dongen 37 – la sua Femme en blanc (3, 1911, fig. 8) fu donata da Bernheim-Jeune allo Stato italiano per la Galleria Nazionale d’Arte Moderna – e soprattutto le due tele di Matisse,che ne rappresenta6. Mario Cavaglieri, Ritratto di vano due di- Noemi Balin (particolare), 1913. verse fasi stili- Collezione privata. stiche, Place de Lyce (44, 1904) e il celebre Les poissons rouges (13, 1912, fig. 9), ora entrambe allo Statens Museum for Kunst di Copenhagen. Come evidente dalle opere esposte, dunque, la concezione di “Impressioni7. Maurice Denis,Suzanne au bain,1904,da smo” che si voleva presentare alla mostra “Art et Décoration”, vol. XXII, 1907, p. 7. poteva apparire del tutto vaga e arbitraria. La vocazione internazionale della Secessione romana  Tuttavia, questa idea di Impressionismo in senso allargato – vale a dire, nel senso di una storia del movimento e dei suoi esiti – ricalcava per certi versi la linea critica che accompagnava il più aggiornato dibattito italiano sull’arte moderna 38, benché, in questo quadro evolutivo, le assenze fossero sentite più delle presenze. La mancanza di opere di Cézanne, Gauguin e Van Gogh era infatti evidente e lamentata da parte della critica più attenta, artisti che, viceversa, erano state al centro della Prima Mostra dell’Impressionismo al Lyceum Club di Firenze nel 1910, organizzata da Soffici e Prezzolini, che si poneva sulla stessa linea di evoluzione-reazione all’Impressionismo storico e che rappre- 8. Kees van Dongen, La femme en 1912. Roma, Galleria Nasentava il precedente più immediato all’esposi- blanc, zionale d’Arte Moderna. zione romana 39; anche l’assenza delle tendenze più moderne, ad esempio del cubismo, come contestato da Prampolini 40, era ugualmente sentita. Analogo disappunto fu espresso per la scarsa qualità delle opere, percepite come fondi di magazzino o come opere di seconda categoria, il cui motivo poteva risiedere quasi certamente nella limitatezza dei fondi a disposizione, ma, essenzialmente, dal fatto che la rassegna romana coincideva con quella più importante dell’Armory Show di New York che aveva concentrato su di sé tutte le opere migliori a disposizione 41. Tornando alla questione della ricezione critica dell’arte francese in Italia,nell’ambito della mostra della Secessione,ciò che più lascia perplessi è come un linguaggio che si trasformava da un naturalismo dell’impressione ad un idealismo della sintesi (per parafrasare il titolo della recensione di Goffredo Bellonci) continuasse ad essere etichettato genericamente come “Impressionismo” apparentemente ignorando la categoria di “post-impressionismo”, neologismo coniato appena tre anni 9. Henri Matisse, Les poissons rouges, 1912. Co- prima a Londra da Roger Fry in penhagen, Statens Museum for Kunst.  M. Piccioni occasione della mostra Manet andThe Post-Impressionists per identificare le reazioni ad esso.Nell’ottica di Fry,quest’ultimo era visto come un incidente di percorso realista in una evoluzione dell’arte in senso formalista, e la mostra tentava di ricucire lo iato che separava Manet,il primo dei moderni,dai grandi post-impressionisti fino ai cubisti 42. Nonostante la mission della rassegna romana fosse decisamente diversa e voleva dar conto, come più volte detto, dell’evoluzione, piuttosto che della reazione, del linguaggio impressionista fino agli esiti contemporanei “sintetisti”, non si può affermare che al tempo, in Italia, il termine e l’idea di post-impressionismo non fossero conosciuti e non avessero cominciato a diffondersi in alcune frange della critica. Le mostre della Secessione, del resto, offrendo uno spaccato sull’arte più aggiornata a contatto con le fonti francesi, in un certo senso, registravano delle somiglianze con la Second Post-Impressionist Exhibition tenuta solo qualche mese prima;inoltre,questa esposizione era nota a Roma grazie ad una recensione sulla “Rassegna Contemporanea” 43. Sulla stessa rivista, poi, alcuni intellettuali, come Giovanni Antonio Di Cesarò, dimostravano di aver recepito il concetto di postimpressionismo e di utilizzarlo con cognizione di causa nei propri scritti.Di Cesarò, appunto, in un articolo dedicato alla pittura futurista, osservava come «le scuole artistiche moderne» fossero «designate cumulativamente sotto il nome di post-impressionismo» 44;affermava poi che l’arte moderna fosse una lotta tra classici e innovatori, vale a dire tra un’arte che si fa portatrice di una realtà oggettiva e di una che ne esprime una soggettiva: in questi termini, considerando l’Impressionismo come espressione di una visione classica, il critico leggeva questa lotta tra classici e postimpressionisti» 45 come dialettica tra una pittura della luce e del colore, e una della spiritualizzazione delle forme, basata sulla linea e sulla composizione, riflettendo, oltre ai suoi interessi esoterici, echi della più aggiornata critica inglese. In questo quadro il Futurismo rappresentava una terza via, quella del movimento 46. Alla luce della mostra francese della Secessione,viceversa,Carlo Tridenti considerava gli esiti dell’Impressionismo – a differenza degli inglesi e di Di Cesarò, ma in linea con il resto dei recensori dell’esposizione – non come rifiuto/opposizione ma come evoluzione,che «lo continuano pur sembrando in apparenza reagire ad esso» 47. Sebbene giudicasse in maniera positiva questa trasformazione di linguaggi, tuttavia Tridenti stigmatizzava senza mezzi termini Les poissons rouges di Matisse,considerandolo un puro esercizio cromatico e non un’opera d’arte, contrariamente a Bellonci che, nell’articolo poc’anzi citato, ravvisava nella mostra la felice occasione di vedere finalmente in Italia l’arte dei sintetisti, «i quali ritornano, ricchi della esperienza impressionista, alla pura decorazione» 48. La vocazione internazionale della Secessione romana  In questo contesto, emerge lo scritto di Arnaldo Cantù su “Vita d’Arte” del giugno 1913, probabilmente il primo grande interprete italiano di Matisse 49, che apre il capitolo della ricezione critica del grande pittore francese nel nostro paese, argomento che in questa sede sarebbe troppo lungo dibattere e per il quale si rimanda alla bibliografia 50. Critica a parte, il successo di Matisse fu tale che la sua presenza fu confermata anche l’anno dopo quando l’artista espose ben tredici opere a fianco di acquarelli di Cézanne che cercavano di colmare, in parte, la lacuna dell’edizione precedente 51. In relazione a questa seconda mostra, è da segnalare una notizia di Félix Fénéon sul “Bulletin de la vie artistique” del febbraio 1914 in cui annunciava che per la seconda esposizione della Secessione di Roma, Bernheim-Jeune voleva presentare, a differenza dell’anno passato, parte della collezione di Leo Stein, che avrebbe permesso di avere in Italia dipinti ben più importanti per comprendere l’evoluzione artistica contemporanea almeno fino al cubismo 52. Come la storia racconta, il progetto non andò in porto, ma, in ogni caso, la scelta di esporre solo opere di Cézanne e Matisse rappresentò una opzione per lo meno in linea con la temperie culturale capitolina, poiché la solidificazione del maestro di Aix e il Sintetismo di Matisse avrebbero rappresentato i poli entro cui si sarebbe mossa l’arte romana più avanzata alla vigilia della Prima Guerra Mondiale. NOTE 1 Per questi aspetti cfr. R. BOSSAGLIA, Secessione e avanguardia, in R. BOSSAGLIA, M. QUE- SADA, P. SPADINI (a cura di), Secessione romana 1913-1916, Roma 1987, p. 1. 2 In questo contesto, il successo dell’Esposizione Internazionale del Cinquantenario del 1911 riportò in primo piano la volontà di fare di Roma un centro internazionale d’arte in aperta competizione con Venezia. Cfr. G. PIANTONI, Nell’ideale città dell’arte…, in G. PIANTONI (a cura di), Roma 1911, Roma 1980, pp. 71-88, poi in S. FREZZOTTI, R. ROSAZZA-FERRARIS (a cura di), La Galleria Nazionale d’Arte Moderna: cronache e storia 1911-2011, Roma 2011, pp. 65-81. Complice di tale risveglio internazionale fu anche il clima politico liberale a Roma durante l’amministrazione Nathan, cfr. S. CECCHINI, Necessario e superfluo. Il ruolo delle arti nella Roma di Ernesto Nathan, Roma 2006. 3 Cfr. L. FINICELLI, Le Biennali Romane. Le esposizioni biennali d’arte a Roma, 1921-1925, Roma 2010, pp. 15-18. 4 La cultura mitteleuropea continuava a dettare in Italia le linee guida in materia d’arte e restava pertanto il punto di riferimento e il modello ideale con cui confrontarsi. Il riferimento alla Germania e all’Austria si rivelava implicito nella stessa scelta secessionista, maturata all’indomani della grande mostra del Cinquantenario del 1911, dove avevano trionfato Klimt e il gruppo austriaco in generale. Per questi aspetti, cfr. R. BOSSAGLIA, Secessione e avanguardia, cit.; G. PIANTONI, Nell’ideale città dell’arte…, cit. Fon-  M. Piccioni damentali a riguardo sono i ricordi di Gino Severini circa l’influenza di Otto Greiner e degli artisti di Monaco in genere nei primi anni del secolo, cfr. G. SEVERINI, Tutta la vita di un pittore, vol. I. Roma-Parigi, Milano 1946, pp. 24-25. Cfr. anche M. CARRERA, Otto Greiner pittore. Una fonte per Sartorio e Boccioni, in I. SCHIAFFINI, C. ZAMBIANCHI (a cura di), Contemporanea. Scritti di storia dell’arte per Jolanda Nigro Covre, Roma 2013, pp. 91-98. 5 Cfr. E. PRAMPOLINI, Secessione – Prima Esposizione Internazionale d’Arte – Roma 1913, in “L’Artista Moderno”, XXII (1913), p. 151. 6 Cfr. Catalogo della Seconda Esposizione Internazionale d’Arte della Secessione, Roma 1914. Il dipinto di Klimt è riprodotto a p. XX. 7 Le vicende legate all’organizzazione della sezione internazionale della prima mostra della Secessione sono state efficacemente esaminate in M. QUESADA, Storia della Secessione romana, in Secessione romana 1913-1916, cit. pp. 5-56, in particolare pp. 12-14. Su Camillo Innocenti, v. il contributo di Manuel Carrera in questo stesso volume. 8 Cfr. C. INNOCENTI, Ricordi d’arte e di vita, Roma 1959, p. 80. Questo aspetto è inoltre confermato da un biglietto di Innocenti a Ojetti, del novembre 1912, in cui il pittore, chiedendo all’amico di intercedere per lui con critici e giornalisti, dava notizie di sé affermando che frequentava assiduamente Andreotti e il suo amico Enrico Sacchetti, suoi vicini, cfr.Archivio Storico della Galleria Nazionale d’Arte Moderna (ASGNAM), Fondo Ojetti, Serie 1 Corrispondenti: artisti, UA 979 “Innocenti Camillo”, biglietto del 28 novembre 1912. 9 Secondo Carlo Tridenti, i dipinti si potrebbero «whistlerianamente intitolare: Sinfonia in rosa, Sinfonia in grigio». Cfr. C. TRIDENTI, Alla Secessione. Le esposizioni Prencipe e Festa, in “Rassegna Contemporanea”,VI (1913), 10, p. 670. Il rapporto con la Brooks fu uno dei più importanti nei soggiorni parigini di Innocenti, ospite fisso nella suggestiva abitazione della pittrice al Trocadero con vista sulla Tour Eiffel, dove incontrava spesso a cena D’Annunzio e Ida Rubinstein. Il pittore ricorda come la Brooks gli «permise di dipingere un grande quadro di figure nel suo Studio contro quello splendido sfondo del Trocadero di sera» cfr. INNOCENTI, Ricordi… cit., pp. 81-82. Si tratta del dipinto Soir de Paris, riprodotto nel catalogo della mostra di Innocenti da Bernheim-Jeune nel 1913, cfr. Exposition Camillo Innocenti, du 31 mars au 12 avril 1913, Paris, chez Bernheim-Jeune, Parigi 1913, n. 18, p. s. n. ristampato in M. FAGIOLO DELL’ARCO, Parigi 1913. Camillo Innocenti nella galleria degli Impressionisti, dei Fauves, dei Futuristi, in L. DJOTIC, M. FAGIOLO DELL’ARCO (a cura di), Camillo Innocenti 1871-1961, Roma 1993, p. 16. 10 Cfr. Exposition Camillo Innocenti… cit. 11 Cfr. QUESADA, Storia… cit., p. 12 e p. 23 n.8. Quesada propone come tramiti per Bernheim-Jeune anche il cartellonista Leonetto Cappiello e il pittore livornese residente a Parigi,Alfredo Müller. 12 Cfr. G. PIANTONI, Nell’ideale città dell’arte, cit., p. 80. Pica parla poi della mancata mostra degli impressionisti in una lettera a Ojetti, cfr.ASGNAM, Fondo Ojetti, Serie 1 Corrispondenti: artisti, UA 1477 “Pica Vittorio”, n. 3 (1909-1929), lettera del 14 aprile 1911. Un riferimento è anche nella lettera del 12 maggio 1913. Pica esprime il suo rammarico per il fallimento della mostra anche nel testo uscito in occasione dell’Esposizione di Valle Giulia (V. PICA, L’arte mondiale a Roma nel 1911, Bergamo 1912, p. XC), osservando come solo una piccola sala fosse stata lasciata ai pittori più moderni in contrasto con gli ampi saloni dedicati all’arte ufficiale e mondana, chiarendo, tuttavia, che qualcosa di importante si poteva vedere: «Caliginose visioni di tramonto sul gran ponte di ferro La vocazione internazionale della Secessione romana  di Londra» di Monet; una fanciulla a pastello di Renoir; «la spiaggia di mare, popolata a bambini, del Denis»; di Vuillard «la coppia di giuocatori a scacchi di così bizzarra prospettiva e di così gustosa colorazione» (rip. p. 177); il «fiammeggiante mazzo di papaveri di Bonnard»; «l’efficace veduta serotina di Signac» (ibidem e p. XCI). 13 «Caro Andreotti, mercoledì scorso avevamo deciso con Mourey di farvi una visitina, ma, dopo essere rimasti più di tre ore in casa Durand-Ruel a guardare quadri ed a discutere sulla futura mostra degl’impressionisti a Roma, Mourey era così stanco che ha voluto che andassimo a casa sua a prendere il thè […]». Cfr. Cartolina postale n. 20 del 15 novembre 1909 di Vittorio Pica a Libero Andreotti, in C. PIZZORUSSO, S. LUCCHESI, Libero Andreotti, trent’anni di vita artistica. Lettere allo scultore, Firenze 1997, pp. 141-142. 14 «Cher Monsieur, nos amis Pica et Innocenti serons chez nous demain soir […]». Cfr. lettera n. 23 del 26 maggio 1910 di G. Mourey ad Andreotti, ivi, p. 143. 15 Cfr. M. M. LAMBERTI, Vittorio Pica e l’Impressionismo in Italia, in “Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa, Classe di Lettere e Filosofia”,V (1975), 3, p. 1159. 16 Cfr. a questo proposito le lettere di Pica a Ojetti scritte nel 1911, nel Fondo Ojetti dell’ASGNAM. Nella lettera del 19 maggio 1911, Pica, introducendo Mourey a Ojetti, lo definisce «l’ottimo amico mio». Nel Fondo Ojetti vi sono anche delle lettere di Mourey (Serie 1 Corrispondenti: artisti, UA 1318) del 1911, tutte legate a richieste di intercessione per l’organizzazione di conferenze. 17 Va notato che la selezione di opere scelte per la mostra italiana dava un saggio dell’intera scuderia di Bernheim-Jeune. Basta osservare come le mostre della galleria, precedenti e successive a quella di Andreotti nel ’13, fossero dedicate a quasi tutti gli artisti esposti nella Sala dell’Impressionismo Francese. Cfr. gli annunci nelle ultime pagine in Exposition Camillo Innocenti, cit. 18 Il critico parla di «repellenti cacocromie […] goffe inabilità di disegno dell’arte informe dei bambini e dei selvaggi” cfr.V. Pica, Gl’Impressionisti francesi, Bergamo 1908, p. 208. Cfr. anche LAMBERTI, Vittorio Pica…, cit., p. 1182. 19 cfr. Prima esposizione internazionale d’arte della Secessione. Catalogo Illustrato, Roma 1913, pp. 24-26. 20 Ho tentato di ricostruire la mostra individuando le opere esposte attraverso l’incrocio delle fonti primarie e secondarie (catalogo, recensioni, repertori e cataloghi ragionati degli artisti che in anni recenti si sono moltiplicati), limitandomi, in questa occasione, solo a quanto le disponibilità delle biblioteche romane permettevano.Trattandosi tuttavia di un work in progress, mi riservo di illustrare i risultati della ricerca in una prossima pubblicazione. I numeri tra parentesi a fianco dei titoli si riferiscono a quelli che compaiono nel catalogo dell’esposizione del 1913. 21 Il riferimento più chiaro nelle recensioni è di Goffredo Bellonci che parla di “fiori in un salotto” (G. BELLONCI, Dal naturalismo degli “impressionisti” all’idealismo dei “sintetici”, in “Il Giornale d’Italia”, 3 marzo 1913). Nel catalogo generale di Manet (D. ROUART, D. WILDENSTEIN, Édouard Manet. Catalogue raisonné, vol. I, Losanna 1975), escludendo i piccoli dipinti di fiori degli ultimi anni (di cui risultano appartenuti a Bernheim-Jeune solo Roses dans un verre à champagne, n. 419, p. 302, e Lilas et roses, n. 416, p. 300), di fiori in un interno identificabile come salotto ve ne sono due, ed entrambi appartenuti o legati alla galleria parigina: Vase de fleur (1877), n.266, p. 214 (rip. p. 215), posseduto da BernheimJeune negli anni dieci e Panier fleuri (1880), n. 342, p. 262 (rip. p. 263), appartenuto a George Bernheim. Per una disamina della ricezione italiana di Manet, cfr. F. FERGONZI,  M. Piccioni La fortuna italiana di Manet, 1865-1948, in S. GUÉGAN (a cura di), Manet. Ritorno a Venezia, Milano 2013, pp. 204-259.Alla nota 101, p. 256, anche Fergonzi propone di identificare le opere presenti alla Secessione con quelle da me suggerite e riproduce a p. 249, fig. 114, Panier fleuri (New York, Collezione privata), datandola 1878. 22 Cfr. D. WILDENSTEIN, Claude Monet. Biographie et catalogue raisonné, Losanna 19741991: La pluie (1886), tomo II,W 1121, p. 210, rip. p. 211; Londres Waterloo Bridge (1903), tomo IV,W 1587, p. 180, rip. p. 181, era di proprietà di Durand-Ruel. 23 G. P. e M. DAUBERVILLE, Renoir. Catalogue raisonné des tableaux, pastels, dessins et aquarelles, vol. II (1882-1894), Parigi 2009, n. 1085, p. 253. L’opera è stata data in deposito permanente all’Israel Museum da Ignace Hellenberg. Per quanto riguarda l’altro dipinto (Femme nue s’essuyant), da alcune fonti si deduce che si trattasse di una tornita bagnante che si asciugava su un fondo di fogliame verde (E. CECCHI, Esposizioni Romane, Amatori e cultori – Secessione, in “Il Marzocco”, 18 maggio 1913). Una bagnante siffatta fu esposta già in Italia alla V Biennale di Venezia del 1903 (cfr. Quinta Esposizione Internazionale d’Arte della Città di Venezia. Catalogo Illustrato,Venezia 1903, p. 50, n. 47, rip. n. 26) e riprodotta nel 1908 da Pica in Gl’Impressionisti francesi, cit., p. 90 (cfr. DAUBERVILLE, Renoir…, cit., n. 1305, p 386. del 1888), tuttavia non vi sono prove sufficienti per identificare il dipinto. 24 La foto è riprodotta in A. CANTÙ, La Secessione Romana, in “Vita d’Arte”,VI (1913), 67-68, pp. 44-60. 25 Cfr. Prima esposizione internazionale…, cit., fig. 68; L. RODO PISSARRO, L. VENTURI, Camille Pissarro, son art, son œuvre, Parigi 1939, n. 1098 (Le Jardin des Tuileries, après-midi d’Hiver, 1899). Per l’altro dipinto (Neige Soleil couchant, 10), Flavio Fergonzi proponeva nel 1991 l’identificazione con Avenue de l’Opera. Effet de neige (1898), ivi n. 1022: F. FERGONZI, Firenze 1910-Venezia 1920: Emilio Cecchi, i quadri francesi e le difficoltà dell’Impressionismo, in “Bollettino d’Arte”, LXXVIII (1993), 79, p. 19, n. 26. In realtà, le fonti sottolineano la presenza del sole che tramonta (mancante nell’opera indicata da Fergonzi), anche se non specificano se si tratti o meno di una veduta cittadina; ad esempio Cantù parla di “un sole moribondo al di là dei rami di un tronco scheletrico” (CANTÙ, La Secessione romana…, cit. p. 53). 26 Cfr. F. DAULTE, Alfred Sisley, Catalogue raisonné de l’œuvre peint, s. l. 1959, n. 547. 27 Cfr. F. CACHIN, Signac. Catalogue raisonné de l’œuvre peint, Parigi 2000, n. 326 (Bellevue, 1899), p. 237 e n. 423, p. 271 (Voiles latines. Saint-Tropez, 1905). Cantù descrive il primo come «un’azzurra riviera attraversata da un ponte giocattolesco» (CANTÙ, La Secessione romana…, cit., p. 54). 28 Cfr.V. PICA, Gl’Impressionisti francesi…, cit., p. 206. 29 Cfr.Y. OOSTENS-WITTAMER, Victor Horta, l’ Hôtel Solvay, Louvain-la-Neuve 1980, vol. I, p. 24, 212-215. 30 Cfr. E. CECCHI, Esposizioni Romane…, cit. 31 «…di Edouard Vuillard una giovine madre con una piccina tra le braccia, sorridente, sul fondo di una spiaggia assolata. Magnifici toni di grigio e argento, l’aspetto di una pittura murale», CANTÙ, La Secessione romana…, cit., p. 54. Cfr. A. SALOMON, G. COGEVAL, Vuillard. Le regard innombrable, Catalogue critique des peintures et pastels, Parigi 2003, vol. II, p. 986, n.VII-348. 32 «Del duro, legnoso Félix Vallotton un interno, di un verde cupo, pieno di suggestione, paragonabile ai famosi del danese Hammershoj (sic)», CANTÙ, La Secessione romana…, cit., La vocazione internazionale della Secessione romana  p. 55; cfr. M. DUCREY, Félix Vallotton. L’œuvre peint, Milano 2005, vol. II, CR257, pp. 156157, riprodotto in copertina. 33 Cfr. ivi, pp. 339-340, n. 551. Il ritratto è parzialmente visibile, in penombra, in una foto, conservata a Roma, nell’Archivio delle Arti Applicate, che riproduce le Sale internazionali e degli impressionisti, insieme alla Commode di Van Dongen e, probabilmente, a Eucalyptus et oliviers di Edmond Cross. 34 Il pittore visitò certamente la mostra della Secessione e forse vi aveva inviato anche un dipinto, Il bigliardo, cfr. M. FAGIOLO DELL’ARCO, Analisi psichica. Presenze romane (e altro) di Mario Cavaglieri, in R. MONTI (a cura di), Mario Cavaglieri, gli anni brillanti, dipinti 1912-1922, Milano 1993, pp. 58-60. Cavaglieri espose alla Secessione del 1915, cfr. ivi, pp. 63-64. 35 Cfr. MONTI, Mario Cavaglieri…, cit., n.7 pp. 126-127;V. VARIELLES, Mario Cavaglieri (1887-1969). Catalogo ragionato dei dipinti,Torino 2006, vol. II, n. 404, pp. 94-95. 36 Cfr.A. MITHOUARD, Maurice Denis, in “Art et Décoration”, XXII (1907), p. 7. 37 Van Dongen espose anche La commode (4), 1910 ca., Rotterdam, Museum Boijmans Van Beuningen («uno schematico interno – terribilmente giallo e turchino», CANTÙ, La Secessione romana…, cit., p. 55. Per BELLONCI, cit., «una gamma di colori gialli e turchini fatta per la sola gioia di avere quella gamma») e Nini, danseuse aux Folies Bergères (Saltimbanque au sein nu), 49, 1908-09, Parigi, Centre Pompidou. 38 Soprattutto a partire da V. PICA, Impressionisti, divisionisti, sintetisti, in Id., L’Arte Europea a Venezia, Napoli 1895, pp. 112-135. Nei primi del Novecento la critica all’Impressionismo e alle sue conseguenze ruota intorno allo stesso Pica e, soprattutto, ad Ardengo Soffici e ai suoi contributi su “La Voce” che tentano di distaccarsi dal critico napoletano e superarlo. Per questo ultimo aspetto cfr.V. TRIONE, Dentro le cose.Ardengo Soffici critico d’arte, Torino 2001, A. MARTINI, Scoperte e massacri. Storia di un libro, Firenze 2000 e M. RICHTER, La formazione francese di Ardengo Soffici, 1900-1914, Prato 2000 (I ed. Milano 1969). 39 Sulla mostra fiorentina del 1910 – dove fu esposto per la prima volta in Italia un quadro di Matisse, Arbres à Melun (1901, Belgrado, Narodni Muzej), di proprietà di Berenson – cfr. M. M. LAMBERTI, 1870-1915. I mutamenti del mercato e le ricerche degli artisti, in F. ZERI (a cura di), Storia dell’arte italiana, 7, III,Torino 1982, pp. 131-133; FERGONZI, Firenze 1910…, cit.; F. BARDAZZI (a cura di), Cézanne a Firenze. Due collezionisti e la mostra dell’Impressionismo del 1910, Milano 2007. 40 Cfr. PRAMPOLINI, Secessione…, cit., p. 151; tra coloro che criticavano la mancanza della grande triade post-impressionista, cfr. CECCHI, Esposizioni Romane…, cit.; BELLONCI, Dal naturalismo…, cit.; L. CALLARI, Passeggiata al “Salon” romano (Amatori e Cultori, e Secessionisti), in “Noi e il Mondo”, III (1913), 6, pp. 557-568. 41 La mostra, tenuta al 69th Regiment Armory di Lexington Avenue, fu aperta dal 17 febbraio al 15 marzo 1913, per trasferirsi poi a Chicago e Boston. Proprio BernheimJeune, inoltre, fu uno dei principali prestatori di opere alla grande rassegna americana. 42 Su Fry e le mostre post-impressioniste, cfr. B. NICOLSON, Post-Impressionism and Roger Fry, in “The Burlington Magazine”, 93 (1951), pp. 11-15; A. P. BRUNEAU, Aux sources du post-impressionnisme: les expositions de 1910 et 1912 aux Grafton Galleries de Londres, in “Revue de l’art”, 113 (1996), pp. 7-18; E. TARTAGLIA, Roger Fry and Post-Impressionism, the First and the Second Post-Impressionist Exhibition. London, 1910, 1912, in “Atti e memorie dell’Accademia Galileiana di Scienze, Lettere ed Arti in Padova. Parte 3, Me-  M. Piccioni morie della Classe di Scienze Morali, Lettere ed Arti”, 119, 2006-07 (2008), pp. 165-194; Sulla ricezione del post-impressionismo in Europa, cfr. J. HOUSE, M.A. STEVENS (a cura di), Post-Impressionism. Cross-Currents in European Painting, Londra 1979; per una panoramica sulla critica dell’arte inglese negli anni 1910-1914, cfr. C. ZAMBIANCHI, Presentazione, in C. BELL, L’Arte, a cura di C. ZAMBIANCHI, Palermo 2012, pp. 7-29. 43 L’esposizione si era tenuta alla Grafton Gallery tra il 5 ottobre e il 31 dicembre del 2012, cfr.A. DEL RE, Cronaca d’arte inglese, in “Rassegna Contemporanea”,VI (1913), 1, pp. 132-138. 44 Cfr. G.A. DI CESARÒ, La pittura futurista, in “Rassegna Contemporanea”,VI (1913), 6, p. 997. Il corsivo nella citazione è mio. 45 Ivi, p. 998. 46 Per le notizie riguardo al Futurismo a Roma in quegli anni e al legame con le Secessioni, rimando al testo di Ilaria Schiaffini in questo stesso volume. 47 Cfr. TRIDENTI, Alla Secessione, cit., p. 671. 48 Cfr. BELLONCI, Dal naturalismo…, cit. 49 Cfr. CANTÙ, La Secessione romana…, cit.; il ruolo storico di Cantù – che affrontava un’analisi critica dell’opera matissiana di impronta formalista inedita nel panorama culturale italiano, segnandone il definitivo allontanamento dalle retoriche decadenti di cui ancora portava gli strascichi – fu riconosciuto anche da Carlo Ludovico Ragghianti, che nel 1986 fece ristampare il suo pezzo su Matisse, auspicando un approfondimento critico sulla sua figura. Cfr. A. CANTÙ, Henri Matisse, in “Critica d’Arte”, LI (1986), 8, pp. 65-74. 50 Cfr. FERGONZI, Firenze 1910…, cit. e G. DI NATALE, La ricezione critica di Henri Matisse in Italia, 1920-1944: il dibattito intellettuale e l’incomprensione, in “Arte musica spettacolo.Annali del Dipartimento di storia delle arti e dello spettacolo, Università di Firenze”, V (2004), pp. 283-326. 51 L’identificazione delle opere esposte nella Sala Francese della Seconda esposizione della Secessione romana è stata compiuta da Fergonzi in Id., Firenze 1910…, cit., Appendice II, pp. 25-26. 52 Cfr. F. FÉNÉON, Bulletin de la vie artistique, 29 gennaio 1914, ora in F. FÉNÉON, Œuvres plus que completes, a cura di J. U. HALPERIN, Ginevra 1970, vol. I, p. 269. L’idea di Bernheim-Jeune era quella di far conoscere all’Italia un collezionista oltre che degli artisti; il critico indicava tra i pittori che sarebbero stati inclusi nella mostra, Cézanne, Renoir, Matisse,Vallotton e Picasso. Per Leo Stein, cfr. I. GORDON, A World beyond the World. The Discovery of Leo Stein, in Four Americans in Paris:The Collections of Gertrude Stein and Her Family, New York 1970, pp. 13-33. Nel 1913 Leo e Gertrude, che avevano vissuto insieme, si separarono e divisero la loro collezione. In seguito, Leo si trasferì a Settignano nell’aprile del 1914, (cfr. ivi, pp. 28-29).