Studi sul Settecento Romano
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Quaderni diretti da Elisa Debenedetti
Sapienza Università di Roma
Dipartimento di Storia Antropologia Religioni Arte Spettacolo
2019
PROPRIETÀ LETTERARIA RISERVATA
Studi sul Settecento Romano
Rivista annuale, anvur classe A
Direttore: Elisa Debenedetti
Comitato editoriale:
Matteo Borchia – Sabina Carbonara Pompei – Maria Celeste Cola – Fabrizio Di Marco –
Maria Cristina Paoluzzi – Rita Randolfi – Simona Sperindei – Alessandro Spila – Marisa Tabarrini
Comitato scientifico:
Aloisio Antinori – Liliana Barroero – Anna Ottavi Cavina – Ursula Verena Fischer Pace –
Christoph Liutpold Frommel – Kristina Herrmann Fiore – Jörg Garms – Tommaso Manfredi –
Christian Michel – Jennifer Montagu – Martin Olin – Steffi Roettgen – Stella Rudolph –
Christina Strunck – Antonio Vannugli – Claudio Varagnoli
Comitato dei referees:
Maria Giulia Aurigemma – Mario Bevilacqua – Marco Buonocore – Annarosa Cerutti –
Paolo Coen – Gian Paolo Consoli – Giulia Fusconi – Daniela Gallavotti Cavallero – Daniela
Di Macco – Raffaella Morselli – Susanna Pasquali – Simonetta Prosperi Valenti Rodinò –
François Charles Uginet – Roberto Valeriani
In copertina: Segni del Zodiaco, suoi nomi et caratteri. Lisbona, Biblioteca Nacional de Portugal.
La rivista adotta il sistema del blind review: gli articoli presentati sono sottoposti al duplice vaglio prima
del Comitato Scientifico, e poi dei revisori anonimi designati dal Comitato Scientifico stesso. È inoltre
aperta a studiosi di qualsiasi livello di carriera, che possono inviare i loro contributi, anche in lingua
inglese, francese, spagnolo, tedesco, non superiori alle dodici cartelle di massima, a Edizioni Quasar, via
Ajaccio 41-43, 00198 Roma (redazione@edizioniquasar.it).
ISSN 1124-3910
ISBN 978-88-5491-005-8
Studi sui Settecento Romano
(Autoriz. Tribunale di Roma n. 403/86 del 18 agosto 1986)
Direttore responsabile: Stefano Marconi
Studi sul Settecento Romano
Quaderni a cura di Elisa Debenedetti
Temi e ricerche sulla cultura artistica, II
Antico, Città, Architettura, IV
Edizioni Quasar
2019
La presente pubblicazione è stata realizzata con il contributo di
Centro Studi per la cultura e l’immagine di Roma
© Roma 2019 by Sapienza Università di Roma e Edizioni Quasar
Edizioni Quasar di Severino Tognon srl
via Ajaccio 41-43 – I-00198 Roma, tel. (39)0685358444, fax (39)0685833591
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Finito di stampare nel mese di novembre 2019
presso Centro Stampa di Meucci R. – Città di Castello (PG)
Agli amici scomparsi
Ezia Gavazza
Antonio Giuliano
Gianni Carlo Sciolla
Sommario
Editoriale, Elisa Debenedetti. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
9
Il progetto di Richard Topham per Eton College, serial/portable classic nell’Inghilterra di primo Settecento, Paolo Coen . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
11
De España a Roma: La obra de palacio real en los orígenes de una cultura arquitectónica compartida, Adrián Almoguera . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
27
Due taccuini di Francesco Galli Bibiena nella Biblioteca Nacional de Portugal,
Francesco Ceccarelli. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
45
Ferdinando Fuga per Benedetto XIV. Alcuni nuovi disegni dalla collezione
Piancastelli: S. Maria dell’Orazione e Morte, S. Apollinare e S. Pietro a Bologna,
Alessandro Spila . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
67
Una committenza chigiana tra Roma e Siena: progetti per la chiesa di San Girolamo in Campansi, Bruno Mussari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
87
‘Naturalezza’ della ritrattistica romana della prima metà del Settecento: Francesco Trevisani, Marco Benefial, Sebastiano Ceccarini, Alessandro Agresti. . . . . . . . . .
119
Indagini intorno la Morte di Camilla di Gaspare Landi: proposte iconologiche
e formali, Alessio Cerchi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
133
Nepoti – Mariani – Spinazzi Succession in a Roman eighteenth century silversmith’s workshop, Jennifer Montagu . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
141
Villa Lucidi del Collegio Clementino a Monte Porzio Catone nel XVIII secolo,
Maria Barbara Guerrieri Borsoi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
151
18 maggio 1789: una via triumphalis per Pio VI. Archi effimeri e permanenti
tra Roma a Subiaco, Marco Pistolesi. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
165
“Una sublime scuola d’arti”. Giuseppe Valadier e l’apparato funebre in onore
di Antonio Canova nella basilica dei Santi Apostoli a Roma, Tommaso Manfredi. . . .
185
Carlo Fontana e la “miscellanea di varia architettura” della Collezione Lanciani
di Roma, Iacopo Benincampi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
225
Ludovico Caracciolo, “distinto Pittor Paesista”: i disegni nei Manoscritti
Lanciani 6, 25 e 26 nella Biblioteca di Archeologia e Storia dell’Arte di Roma,
Alessandro Cremona . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
265
Luigi Canina nel Fondo Lanciani, Elisa Debenedetti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
317
Sommari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
355
Indice dei nomi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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Indagini intorno la Morte di Camilla di Gaspare Landi:
proposte iconologiche e formali
Alessio Cerchi
«La Rivoluzione ha fatto, dal punto di vista politico e morale, ciò che ha fatto il diluvio
dal punto di vista materiale, cambiando totalmente la faccia della terra»1. Con questa celebre
espressione di stampo aforistico e dal sapore biblico, il sempre lucido e lungimirante cardinale
Ercole Consalvi intendeva illuminare di luce abbagliante quanti con ostinazione reazionaria
continuassero a mostrarsi ciechi all’evidenza dei fatti. Lo Stato Pontificio, all’indomani delle
ingenti riforme e migliorie apportate da Napoleone e dai suoi fidati funzionari ad una macchina
amministrativo-burocratica farraginosa e datata, era destinato a non essere più lo stesso.
È bene ricordare che almeno per quanto riguardò il campo delle Belle Arti i funzionari francesi intrapresero una linea di rispetto nei confronti della passata gestione pontificia, adottando
una politica che sarebbe dovuta risultare vittoriosa facendo fede alla persuasione e non all’imposizione forzata. Come ha giustamente sottolineato la Palazzolo, «nel vasto disegno centralistico
di Napoleone tendente a controllare e dirigere ogni istituto di cultura (dagli Archivi ai Musei alle
Biblioteche etc.), non c’è spazio per l’innovazione; più che ricercare nuove figure di intellettuali, magari espressione del dibattito illuministico e giacobino e portatori di una concezione più dinamica
dell’attività culturale, si preferisce l’alleanza con le strutture accademiche già esistenti»2.
Artefice del vasto disegno napoleonico di fare di Roma il centro propagatore delle arti,
volto a rilanciarne il primato culturale come culla depositaria della tradizione classica e collocare su un’ideale linea di continuità l’avvento del nuovo Imperatore con l’impero romano,
fu il barone Joseph Marie de Gérando3, inviato nell’Urbe come membro della Consulta Straordinaria per gli Stati Romani e successivamente nominato Ministro per gli Affari Interni4.
Tra le prime iniziative in campo artistico promosse dal nuovo governo va registrata l’organizzazione di una mostra inaugurata nelle sale del Campidoglio il 19 novembre 1809. All’inaugurazione presiedette il Governatore di Napoli Gioacchino Murat, accompagnato da una
delegazione cui facevano parte, oltre allo stesso de Gérando, anche il prefetto Tournon e il
Governatore di Roma nonché Presidente della Consulta Sextus-Alexander François Miollis.5
Proprio in questa pomposa e propagandistica circostanza era stata esposta al pubblico
la Morte di Camilla del piacentino Gaspare Landi (Fig. 1), dipinto che andò poi a prendere
posto all’interno del programma decorativo che Pietro Gabrielli stava portando avanti proprio in quegli anni a Palazzo Taverna a Monte Giordano, nelle sale che erano state già di
proprietà degli Orsini di Pitigliano6. Non mi sento di condividere però quanto affermato da
Vittorio Sgarbi7, ovvero che le sale del palazzo erano destinate ciascuna ad un membro della
famiglia, e che quindi il dipinto landiano doveva celebrare la moglie del Gabrielli, Camilla
Riario Sforza (neanche giustificandolo con il fatto che la donna fosse morta da tempo, l’11
febbraio 1805).
133
Non solo non mi sembra quello di un’amazzone morta in battaglia tema appropriato a
celebrare una moglie defunta, ma sono altresì persuaso a credere che i quattro dipinti commissionati dal principe Gabrielli avessero una forte valenza politica, da intendersi in diretta
polemica contro l’occupazione francese. Ovviamente è un’affermazione questa che va giustificata, e che per farlo necessita di alcune considerazioni afferenti all’iconografia dell’opera e
alle vicende biografiche del committente8.
Occorre per chiarezza espositiva procedere con ordine.
Il dipinto, che trae il proprio soggetto dall’undicesimo libro dell’Eneide di Virgilio, rappresenta il momento in cui l’eroina, alleata di Turno nella lotta tra latini e troiani, viene ferita
a morte da Arunte, alleato di Enea. Assistita dalle compagne amazzoni, in un ultimo sforzo
disperato, mentre sente le forze scivolargli via, chiede ad una di esse, Acca, di correre ad avvisare Turno della sua morte per mano del nemico. Quest’ultimo si intravede sullo sfondo,
mentre fugge quasi terrorizzato dal proprio gesto. Ma andiamo a leggere il passo virgiliano
che narra la vicenda, se non altro per verificare con quanta esattezza il Landi abbia voluto
attenersi alla fonte. È noto infatti come il pittore si concedesse delle licenze nei confronti
delle fonti letterarie per meglio adattarle al proprio stile ed alla propria poetica9. Nel 1807
Giuseppe Antonio Guattani avvertiva sul suo periodico10 come nel dipinto raffigurante l’Edipo a Colono (ubicazione ignota)11 il Landi avesse sostituito il ratto di Antigone con quello di
Ismene, avvenuto senza la presenza di Edipo. Tornando a Virgilio: «Tosto che de le man l’asta
ronzando gli uscio; fur gli occhi, e gli animi, e le grida di Volsci tutti a la Regina intenti: ed ella
nè del telo, nè de l’aura moto, o fischio sentì: nè vide il colpo mentre giù discendea, finchè non
giunse, giunsele appunto ove divelta, e nuda era la poppa e del vergineo sangue, non già di latte
sitibonda scese sì, che ‘l petto le aprì. Le sue compagne le fur trepide intorno; e già che a terra
smorta cadea, la sostentaro. Arunte ratto si volge, di paura insieme turbato, e di letizia, che ne
l’asta più non confida, e più di star non osa incontro a lei. […] Ella morendo, di sua man fuor
del petto il crudo ferro tentò svelgersi indarno, che la punta s’era altamente ne le coste infissa;
onde languendo abbandonossi, e fredda giacque supina; e gli occhi, che pur dianzi scintillavano
ardor, grazia, e fierezza, si fer torbidi, e gravi. Il volto in prima di rose, e d’ostro, di pallor di
morte tutto si tinse. In tal guisa spirando Acca a se chiama, una tra l’altre sue la più fida di tutte, e la più cara, e dice: Acca sorella, i giorni miei son qui finiti; questa acerba piaga m’adduce
a morte, e già nero mi sembra tutto che veggio. Or vola, e da mia parte dì per ultimo a Turno,
che succeda a questa pugna, e la Città soccorra. E tu rimanti in pace. Appena detto ebbe così,
che abbandonando il freno, e l’arme, e se medesima a capo chino traboccò da cavallo. Allora il
freddo L’ occupò de la morte a poco a poco Le membra tutte, e dechinato il collo sopra un verde
cespuglio, al finn di vita sdegnosamente sospirando uscio».
Il Nostro si è quindi attenuto fedelmente al racconto, ad eccezione del cavallo sul quale
la vergine viene colpita a morte, che evidentemente strideva con l’equilibrio compositivo
velato di patetismo che voleva caratterizzasse il quadro.
L’iconografia della tela è un unicum che ha causato anche a studiosi eccellenti problemi
per una corretta identificazione del soggetto12 – non mi risulta difatti esistano altri dipinti
che illustrino l’episodio –, troppo preciso per essere casuale. Questa ed altre considerazioni
mi hanno portato a credere che Camilla, quantomeno agli occhi del committente, dovesse
incarnare la figura di una condottiera sacrificatasi nel tentativo di difendere la propria patria
dall’invasione straniera; una chiara allusione ai fatti contemporanei ed all’occupazione fran134
cese. Nel momento quindi in cui il Landi ha dovuto apprestarsi a realizzare il dipinto, non
aveva a disposizione alcun prototipo iconografico da cui prendere spunto per ambientare la
scena ed atteggiare le figure, dovendo quindi far ricorso unicamente alla propria immaginazione ed erudizione storica.
A rafforzare l’ipotesi di un rimando alla storia contemporanea accorrono gli altri dipinti
richiesti da Pietro Gabrielli per adornare il palazzo, ed in particolare quello realizzato da
Vincenzo Camuccini, Pompeo chiamato alla difesa della patria da L. Emilio Paolo e C. Claudio Marcello (Fig. 2). Questo è in effetti il soggetto rappresentato, e non la Dittatura di Silla,
come invece riferisce il Pecchiai, che per altro lo assegna erroneamente sempre al Coccetti.
Lo studioso probabilmente è stato fuorviato dall’erronea interpretazione della spada, con cui
Pompeo doveva combattere Cesare, e che identifica invece con il gladium imperii, simbolo
della dittatura13. Come ha già prontamente sottolineato Stefano Grandesso, il dipinto del
Camuccini si «caricava di allusioni alle vicende politiche contemporanee»14, e fosse quindi ab
antiquo da interpretarsi come un richiamo alla difesa della patria. In questo caso è fin troppo
evidente il richiamo alla situazione politica contingente, considerando che il figlio di Pietro
Gabrielli, Pompeo come il protagonista del quadro camucciniano (con il quale era chiamato
ad identificarsi), era stato arrestato dai francesi nel 1808 con l’obiettivo di costringere il padre
a collaborare con la nuova amministrazione, cosa che difatti avvenne15. Il Gabrielli doveva
quindi nutrire una forte avversione ed un vivo risentimento verso Napoleone e i suoi funzionari, se si considera altresì la sua posizione politica conservatrice fedele al Pontefice, che aveva fatto del fratello Giulio cardinale (per altro quest’ultimo era stato deportato in Francia ed
arrestato). Non sembra quindi una forzatura considerare anche gli altri due dipinti, il Mario
a Minturno di Agostino Tofanelli – per altro assai vicino al celebre dipinto di Jean-Germain
Drouais, che probabilmente ha visto (Fig. 3), e il Mito di Ocresia di Giacomo Conca, degli
exempla virtutis dalle forti valenze politiche. Il soggetto del primo potrebbe quindi alludere
alle conseguenze nefaste (l’esilio di Mario) di cui si può cadere vittima a causa dell’occupazione di Roma da parte di un usurpatore (Silla); mentre per il secondo risulta più difficile trovare
tangenze con i fatti contemporanei, visto che la favola si ricollegherebbe a Servio Tullio, sesto
re di Roma, con lo scopo di nobilitarne la nascita.
Passiamo ora ad esaminarne gli aspetti formali. La posa della vergine cacciatrice protagonista dell’opera, come ha giustamente messo in evidenza la critica, dovrebbe avere per
modello la Paolina Borghese che appena qualche anno prima (1804-1805) il suo amico e sodale Antonio Canova aveva licenziato, immortalando in eterno l’algida bellezza divina della
sorella di Napoleone. Riferimento comune dovette essere, è d’obbligo darne conto, la celebre
Cleopatra vaticana. Ma per chi scrive è da individuare in altro capo d’opera, appartenente ad
altro genere, contesto e periodo, il riferimento più cogente alla Camilla landiana. Nella collezione di Luciano Bonaparte16 era difatti presente un quadro che il nostro ha di certo potuto
vedere, se anche Grandesso individua nel già menzionato Edipo a Colono una diretta influenza, oltre che del bassorilievo canoviano con la Morte di Priamo (Possagno, Gipsoteca), anche
della Strage degli Innocenti di Poussin, in quegli anni proprio nella collezione del napoleonide
Principe di Canino17. Né appare superfluo ricordare come nel 1805 la collezione fosse stata
visitata da Vincenzo Pacetti, che vi aveva condotto con sé Giovanni Folo18 e i fratelli Camuccini, a conferma ciò della sua valenza “semi-pubblica”, aperta a quanti volessero ammirarne i
capolavori19. Il quadro a cui mi riferisco è la Vergine che disarma Amore di Alessandro Allori
135
(Fig. 4), che sebbene inizialmente dessi per scontato si trattasse del dipinto già appartenuto
alla collezione del duca d’Orléans, pare in realtà fosse un’altra versione (su tela e non su tavola), per la quale purtroppo non sono chiare le modalità con le quali Luciano ne entrò in possesso20. Dal dipinto dell’Allori il Nostro ha potuto riprendere, credo, non solamente la posa
generale di flessuoso abbandono, di una sensualità tutta carnale, il polpaccio sinistro che va
ad intersecarsi sotto la gamba destra distesa (assente nella Paolina); ma anche l’idea del panneggio sul quale la figura è distesa nonché l’impostazione generale dell’ambientazione, con
un anfratto boscoso che si dirada sulla sinistra aprendo quasi una finestra da cui far giungere
la fonte di luce. Simile è anche la presenza della figura sullo sfondo, che sembra fuggire via.
Oltretutto, sebbene sia questa una suggestione presa un po’ più alla lontana e reinterpretata
per assecondare la propria personale poetica espressiva, la figura della compagna sulla sinistra che si china su Camilla potrebbe leggersi come una libera interpretazione del gesto di
Cupido che si getta con veemenza verso la madre.
Rimane da chiarire, qualora vengano accettate le proposte iconologiche precedentemente suggerite, come mai Gaspare Landi avesse scelto di esporre una tela dalle valenze antifrancesi in un’occasione che proprio il nuovo governo aveva patrocinato; fatto questo a dir
poco curioso.
Certamente Roma, nonostante il cosmopolitismo ed il retaggio, non offriva molte occasioni
ai pittori di pubblicizzarsi esponendo le proprie opere – se si eccettuano le pale d’altare presentate
nelle chiese al giudizio di pubblico e critici, prima della loro partenza verso destinazioni lontane,
o delle esposizioni annuali delle corporazioni religiose – come lamenta l’organizzatore dell’esposizione del 1819 presso i Trinitari in via Condotti, Tommaso Rubino, in una missiva al Camerlengato: «Li possessori di oggetti antichi di belle arti, e gli autori moderni, non hanno a Roma un locale
dove esporre alla vendita, alla critica, ed alla ammirazione le preziose loro raccolte, e li loro lavori.
Manca per conseguenza una delle più comode occasioni per commerciare codesti oggetti, per far
conoscere li talenti di tanti valenti artisti, e per appagare la curiosità dell’apprezzatori del bello»21.
Per comprendere meglio questa scelta bizzarra e sfrontata, credo possa essere lecito pensare che il soggetto, se non proprio suggerito dal pittore stesso, fosse perlomeno congeniato
in stretto colloquio con Pietro Gabrielli. Gaspare Landi infatti, orgoglioso della sua vasta cultura – soprattutto della profonda conoscenza dei testi classici –, non di rado sceglieva i soggetti dei suoi dipinti in maniera autonoma per proporli successivamente ai vari committenti.
A quella data quindi il Nostro non doveva soffrire molto il governo francese, e per questo
decise in qualche modo di farsene beffa. Sono consapevole del rischio che si corre nel voler
individuare negli artisti, e specificatamente nelle loro opere, dei segnali che possano svelarne
le loro convinzioni politiche; non dimenticando per altro che una grande fetta del loro lavoro
e dei loro ricavi proveniva dall’essere a disposizione dei potenti, chiunque essi fossero22. Però
va ricordato come già in conseguenza della prima invasione napoleonica dello Stato Pontificio (1797), Gaspare Landi preferì tornarsene a Piacenza, cercando riparo nella cerchia di
stimatori che vantava nell’alta società locale. Proprio nel torno d’anni di questo volontario
“esilio” il pittore realizzò un quadro senza commissione, forse proprio per dar voce ad un
sentimento antifrancese che gli ribolliva dentro: “Alessandro difende il padre in battaglia”,
un’altra probabile allusione alla difesa della patria.
Del resto, come ha con intelligenza postulato la Rossi Pinelli, «Per fare un buon quadro
di storia, quindi, il pittore doveva egli stesso vivere una forte tensione morale e intellettuale»23.
136
NOTE
1
La frase è riportata da M. Miele, Lo Stato Pontificio ai tempi di Bartolomeo Pacca, in C. Zaccagnini
(a cura di), Bartolomeo Pacca (1756-1844). Ruolo
pubblico e privato di un Cardinale di Santa Romana
Chiesa, Giornate di studio (Velletri, diocesi, 24-25
marzo 2000), Velletri 2001, p. 11. Sulla figura di Ercole
Consalvi si veda M. Naselli Rocca di Corneliano
(a cura di), Memorie del cardinale Ercole Consalvi,
Roma 1950; Pio VII e il card. Ercole Consalvi: un tentativo di riforma nello Stato Pontificio, atti del Convegno
Interregionale di Storia del Risorgimento (Viterbo,
Istituto per la storia del Risorgimento italiano, 22-23
settembre 1979), Viterbo 1981.
2
M.I. Palazzolo, L’Arcadia romana nel periodo napoleonico (1809-1814), in “Roma moderna e contemporanea”, anno I, nr. 3, 1993, p. 182. In questo interessante articolo la studiosa, nel tentativo di ricostruire
l’attività dell’illustre accademia, evidenzia come l’assenza di atti e verbali delle adunanze arcadiche in periodo napoleonico non sia dovuta ad una sua interruzione, bensì ad una damnatio memoriae auto inflitta
per eliminare, in età di Restaurazione, qualsiasi traccia
compromettente.
Nulla è più chiarificante per comprendere l’utilizzo
simbolico della tradizione classica dell’Urbe, dell’orazione recitata in Campidoglio dallo stesso de Gérando
il 16 agosto 1810, per la quale si veda G. Rebecchini,
Joseph Marie de Gérando e l’orazione in Campidoglio del 16 agosto 1810, in P. Picardi, P.P. Racioppi
(a cura di), Le “scuole mute” e le “scuole parlanti”. Studi
e documenti sull’Accademia di San Luca nell’Ottocento,
Roma 2002, pp. 233-250.
3
Uomo politico, filosofo ed intellettuale di vasta cultura,
de Gérando (Lione 1772 – Parigi 1842) riuscì ad inserirsi
negli ambienti culturali romani stringendo proficui rapporti con le più importanti istituzioni della città. Accolto
tra gli arcadi con il nome di Biante Ilisseo ed acclamato
accademico d’onore dall’Accademia di San Luca il 12
novembre 1809, si occupò anche della regolamentazione
degli scavi e dei finanziamenti per le Belle Arti. A lui si
deve per altro la riapertura dell’Accademia Romana di
Archeologia il 4 ottobre 1810, con la nomina di Guattani
a segretario e di Canova a presidente (ma quest’ultimo
solo dopo la partenza di de Gérando, nel gennaio 1811).
Si veda C. Pietrangeli, La Pontificia Accademia Romana di Archeologia. Note storiche a cura di Carlo Pietrangeli, in “Atti della Pontificia Accademia Romana di Archeologia”, III, “Memorie”, vol. 4, 1983, pp. 6-7.
4
5
Sulla mostra si veda il contributo di E. di Majo, Un
Parnaso capitolino: la mostra del Campidoglo del 1809,
in Maestà di Roma. Universale ed Eterna Capitale delle
Arti, catalogo della mostra (Roma, Accademia di Francia, 7 marzo – 29 giugno 2003), Martellago (Venezia)
2003, pp. 121-131.
6
Sulla formazione di Monte Giordano e sui vari palazzi in esso contenuti, tra i quali per l’appunto Palazzo
Taverna, si veda P. Pecchiai, Palazzo Taverna a Monte Giordano, Istituto di Studi Romani 1963.
7
V. Sgarbi (a cura di), Gaspare Landi, catalogo della
mostra (Piacenza, Palazzo Galli, 5 dicembre 2004-30
gennaio 2005), Milano 2004, p. 19.
8
Per le quali si rimanda a P. Pecchiai, Famiglie romane estinte. I Gabrielli principi di Prossedi, in “Archivi: Archivi d’Italia e Rassegna internazionale degli
archivi”, XXVIII (1961), pp. 43-87.
9
Pratica, questa, che può aver assorbito dal pur breve apprendistato presso Domenico Corvi. Il maestro
viterbese infatti, nel dipinto rappresentante il Compianto sul corpo di Ettore, come viene ricordato nel
periodico Memorie per le Belle Arti (giugno 1785), «si
è allontanato però in parte l’autore dalla descrizione del
Greco poeta ad oggetto di trattare con maggior copia il
suo argomento».
10
G.A. Guattani, Memorie Enciclopediche Romane
sulle Belle Arti, Antichità… 6 voll., Roma 1806-1819,
II, pp. 4-5.
11
Stefano Grandesso riporta come il dipinto sia a lui
noto grazie ad una fotografia del catalogo dell’asta
Messinger di Monaco di Baviera del 1916. Si veda
S. Grandesso, Gaspare Landi e la riforma del gusto
nella pittura storica, in G. Capitelli, C. Mazzarelli
(a cura di), La pittura di storia in Italia (1785-1870).
Ricerche, quesiti, proposte, Milano 2008, p. 21.
12
Steffi Röttgen ad esempio, che per prima riconobbe il dipinto come opera del Landi, non riuscì ad indicarne il soggetto. Si veda S. Röttgen, The Age of
Neoclassicism, Royal Academy, London, settembre-novembre 1972. I dipinti e disegni (recensione), in “Arte
Illustrata”, 52, 1973, pp. 56-68. Pio Pecchiai (1963, cit.)
individua invece correttamente il soggetto, ma assegna
tutti i dipinti nei riquadri centrali dei soffitti allo stesso
Liborio Coccetti, a cui erano stati affidati solamente gli
affreschi con i partiti decorativi e prospettici. Stefano
Grandesso riporta come sui soffitti vennero collocate
delle tempere ad opera di Andrea Giorgini, copie dei
quattro grandi dipinti poi appesi alle pareti (si veda
la scheda nr. IV.3 in Maestà di Roma…, 2003, cit., p.
141). A giudicare dalla foto del soffitto della sala in cui
è presente la Morte di Camilla nel libricino di Pecchiai
(sfortunatamente in bianco e nero, tav. XXXI) sembra
però che ancora a quella data gli originali fossero sui
soffitti, e che quindi quella doveva essere la loro destinazione originaria. Nella suddetta foto non sembra
difatti essere presente la scritta apposta dallo stesso
Giorgini sulla copia, così come viene pubblicata in
V. Sgarbi, 2004, cit., p. 154.
13
Pecchiai, 1963, cit., p. 68.
137
14
Maestà di Roma…, 2003, cit., p. 141. Lo studioso però
non sembra andare oltre queste stimolanti considerazioni, tant’è che nella successiva scheda, dedicata al dipinto del Landi, non accenna ad ipotetiche correlazioni
politiche.
Pietro accettò di far parte del Consiglio della Municipalità, mentre Pompeo entrò nell’esercito napoleonico. Si veda P. Pecchiai, Famiglie…, 1961,
cit., p. 69.
15
16
Per quanto riguarda le collezioni di Luciano Bonaparte, il loro formarsi, la loro sistemazione e la loro
dispersione si veda il fondamentale volume, puntuale
e ricco di notizie, a cura di M. Natoli, Luciano Bonaparte: le sue collezioni d’arte, le sue residenze a Roma,
nel Lazio, in Italia (1804-1840), Roma 1995.
17
Si veda R. Bartoli Contini, La Galleria Bonaparte. Catalogo, in Ivi, 1995, cit., p. 345, nr. 146.
18
L’incisore, che aveva raggiunto Roma dalla natia
Bassano per entrare nella bottega del concittadino
Giovanni Volpato, ha tratto dai dipinti della collezione
una serie di incisioni. Del Folo sono anche le incisioni,
sempre della Strage degli Innocenti, nel catalogo del
Guattani del 1808 e di quello pubblicato a Londra nel
1812. È d’obbligo precisare che le incisioni di entrambi
i cataloghi non sono in controparte. Ipotizzabile che
durante la visita ricordata da Pacetti fosse presente
anche Stefano Tofanelli, che per quelle incisioni fornì
alcuni dei disegni. Sembra quindi lecito poter affermare che lo stesso Landi, all’epoca già gratificato da una
fama internazionale, ben introdotto da Canova e dal
De Rossi nei circoli intellettuali e politici dell’Urbe,
avesse accesso a Palazzo Lancellotti, facendovi visita
forse proprio a partire dal 1805, anno in cui eseguì il
menzionato Edipo a Colono.
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È noto difatti come lo stesso Luciano, per valorizzare la propria collezione, permettesse delle vere e
proprie visite guidate. Si veda R. Carloni, Per una
ricostruzione della collezione dei dipinti di Luciano:
acquisti, vendite, e qualche nota sul mercato antiquario
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romano del primo Ottocento, in M. Natoli, 1995, cit.,
p. 17.
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Che un dipinto praticamente identico fosse presente nella collezione del duca d’Orléans è confermato anche dall’incisione trattane e presente nel catalogo curato da J. Couche, La Galerie du Palais Royal, lavoro
iniziato prima della dispersione della raccolta ma che
andò protraendosi per molti anni. La mia convinzione nasceva dal fatto che Luciano Bonaparte era stato
tra gli acquirenti della vendita della collezione, e fu in
tale circostanza che riuscì ad aggiudicarsi ad esempio
la Sacra Famiglia di Andrea del Sarto. In effetti Mina
Gregori (La collezione dei dipinti antichi, in M. Natoli, 1995, cit.) prima dice che il dipinto proveniva
dal Palais Royal (p. 272), per poi contraddirsi ed affermare che era una replica su tela del quadro su tavola
già nella collezione Orléans (p. 290). Non credo sia comunque necessario, ai fini di questo studio, sciogliere
la questione.
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L’esposizione causò un certo interesse e scompiglio,
di cui si occupò proprio lo stesso Landi, al tempo Principe dell’Accademia di San Luca. Si veda D. Tamblé,
Un caso di politica culturale in età della Restaurazione:
l’esposizione di oggetti d’arte ai Trinitari in via Condotti, in “Strenna dei Romanisti”, LXI, 2000, pp. 571-590.
Per le esposizioni nei portici delle chiese in occasione
delle feste religiose valga F. Haskell, La nascita delle
mostre. I dipinti degli antichi maestri e l’origine delle
esposizioni d’arte, Milano 2008.
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Fin troppo noto è il caso dell’Ercole e Lica di Antonio Canova, così commentato da G. Pavanello, in
Antonio Canova. Il segno della bellezza, Milano 2018,
p. 114: “un’opera di Canova [come questa] poteva diventare oggetto di una interpretazione politica, e poteva tranquillamente prestarsi a significati opposti”. Pare
però che lo stesso Landi si professasse conservatore: la
notizia è presa da G. Fiori, La vita (1756-1840), in V.
Sgarbi, 2004, cit., p. 30.
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O. Rossi Pinelli, Le arti nel Settecento Europeo,
Torino 2009, p. 234.
Fig. 1. Gaspare Landi, La morte di Camilla, olio su tela, 1809. Roma, Palazzo Taverna.
Fig. 2. Vincenzo Camuccini, Pompeo chiamato alla difesa della patria, versione autografa del 1831
ca., olio su tela. Rouen, Musée des Beaux Arts.
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Fig. 3. Agostino Tofanelli, Mario a Minturno, olio su tela, 1809. Roma, Palazzo Taverna.
Fig. 4. Girolamo Carattoni (da Alessandro Allori), Venere disarma Amore, incisione dal
catalogo del 1812 della collezione di Luciano Bonaparte.
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