SAGGISTICA
“ANSCHLUSS. L’ANNESSIONE. L’UNIFICAZIONE DELLA GERMANIA E IL FUTURO
DELL’EUROPA” DI VLADIMIRO GIACCHÉ
Dott. Vladimiro Giacché, Lei è autore del libro Anschluss.
L’annessione. L’unificazione della Germania e il futuro
dell’Europa edito da Diarkos: a trent’anni dal crollo del Muro di
Berlino, la riunificazione tra le due parti della Germania può dirsi
compiuta?
No. Sussistono tuttora marcate differenze sotto il profilo economico
e sociale: basti pensare che un lavoratore dell’Est riceve uno
stipendio pari a poco più dell’80 per cento di un lavoratore dell’Ovest
e che la disoccupazione è tuttora superiore del 50 per cento a quella
dell’Ovest, nonostante un’emigrazione che ha interessato milioni di
cittadini della ex Germania Est. Molte città e paesi, soprattutto nelle
aree rurali, si sono spopolati. Una ricerca dell’istituto di ricerca
tedesco Ifo uscita nel luglio scorso ha reso noto che, mentre la parte
occidentale della Germania ha oggi più abitanti di quanti ne abbia
mai avuti, la parte orientale è tornata ad avere gli abitanti che aveva nel 1905. Queste differenze si
riflettono anche in un voto molto differente da quello espresso nei Länder dell’Ovest, e che
penalizza in particolare i partiti di governo.
Ancora di recente un sondaggio ha evidenziato che i cittadini dell’Est si sentono cittadini di serie B.
È difficile dar loro torto. Ma soprattutto, col passare del tempo, è sempre più difficile addebitare
quelle differenze a “quello che c’era prima”. Non soltanto perché dalla caduta del Muro sono ormai
passati 30 anni, e perché Kohl aveva promesso “paesaggi fiorenti” all’Est in due-tre anni. Ma per un
motivo più sostanziale: perché gran parte del fossato che non si chiude tra Est e Ovest è stato
scavato con l’unificazione, per il modo in cui essa è stata realizzata. L’unificazione politica è del 3
ottobre 1990. Essa era stata preceduta, il primo luglio 1990, da un’unione monetaria affrettata e
mal congegnata. Affrettata, perché avveniva in assenza di una convergenza economica (per questo
motivo gli stessi esperti economici del governo di Bonn l’avevano sconsigliata); all’obiettivo politico
di “fare presto”, di giungere quanto prima possibile all’unità politica tra le due Germanie, veniva di
fatto sacrificata la possibilità di un’unione economica più equilibrata e meno traumatica per le
regioni dell’Est. Ad aggravare le cose, l’unione monetaria è stata anche mal congegnata: infatti
essa stabiliva un cambio alla pari tra due monete tra le quali i rapporti di cambio a fine 1989 erano
regolati secondo un rapporto di 1 a 4,44 (ossia, 1 marco ovest equivaleva a 4,44 marchi dell’est).
Apparentemente, si trattava di un regalo ai consumatori dell’Est. In realtà rappresentò la rovina per
le imprese dell’Est, in cui prezzi conobbero automaticamente un aumento del 350 per cento circa. Il
risultato fu l’immediato crollo della produzione industriale dell’Est (-35 per cento nel solo mese di
luglio 1990), licenziamenti di massa e il fallimento di fatto di gran parte delle imprese della
Germania Est. Queste imprese furono poi tutte privatizzate nel giro di pochi anni a prezzi irrisori, o
semplicemente liquidate, da un organismo, la Treuhandanstalt, che operò in modo a dir poco
discutibile. Queste vicende sono raccontate con qualche dettaglio nel mio libro, e sorprenderanno
chi sia abituato ad associare la Germania all’etica degli affari e all’assenza di corruzione e di
pratiche commerciali scorrette. Il risultato fu in ogni caso un processo di deindustrializzazione senza
precedenti in Europa, le cui conseguenze si continuano a pagare oggi. Anche in termini politici.
NARRATIVA
EXTRA
CONT
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Cosa ha significato per la Germania e per l’Europa intera la riunificazione dei due paesi?
L’unificazione tedesca è stata un elemento fondamentale del crollo dei regimi comunisti dell’Est
europeo e quindi del ridisegno dell’assetto geopolitico in Europa rispetto all’ordine postbellico. In un
certo senso, è l’evento che chiude simbolicamente il Novecento, e comunque uno spartiacque
decisivo al suo interno. La stessa nascita dell’Unione Europea col trattato di Maastricht, come pure
il suo allargamento a Est, sarebbero assolutamente inconcepibili senza questo evento. Lo stesso si
può dire dell’espansione della Nato a Est nel continente europeo. In un certo senso, è stata la
vittoria dell’Europa Occidentale e del suo sistema sociale sul suo antagonista storico, il comunismo
sovietico, che si era imposto a Est. Al tempo stesso, paradossalmente, proprio questa vittoria ha
alterato profondamente gli equilibri all’interno della stessa Europa Occidentale, trasformandola in
qualcosa di molto diverso da quello che era in precedenza.
Quali conseguenze ha prodotto la riunificazione tedesca in Europa?
Per quanto riguarda l’Europa Occidentale, l’unificazione della Germania ha
significato in primis una sostanziale alterazione dei rapporti di forza. La Germania
si è ritrovata con 16 milioni di abitanti in più ed è diventata il paese europeo con
la popolazione di gran lunga più numerosa. Dal punto di vista economico, ha
potuto realizzare quello che non era mai riuscito alla sola Germania Ovest:
assumere una centralità nel continente e riprendere l’espansione economica verso
Anschluss.
L'annessione....
Est delle proprie imprese e dei propri capitali che si era interrotta nel 1945. In
EUR 15,30
effetti, in pochissimi anni l’export della Germania Est verso gli altri paesi del Patto
di Varsavia è stato pressoché interamente sostituito dall’export da parte di
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aziende dell’Ovest. Ma – cosa ancora più importante – la Germania ha potuto
acquisire all’Est non soltanto clienti, ma anche subfornitori per i suoi prodotti. Questa
riconfigurazione delle filiere produttive nell’Europa Centro-Orientale attorno alla Germania ha dato
senz’altro un contributo significativo ai successi della Germania come paese esportatore, ma ha
anche spostato verso Est il baricentro economico e della produzione manifatturiera in Europa.
Questo ha tra l’altro accresciuto le difficoltà dell’Italia, da sempre subfornitore privilegiato della
Germania. Dal punto di vista geopolitico, l’alterazione dei rapporti di forza in Europa, in particolare
rispetto alla Francia, ha indotto quest’ultima a tentare di “ingabbiare” la Germania attraverso la
moneta unica europea. Questa operazione ha condotto al trattato di Maastricht, in cui però la
Germania ha ottenuto che le regole della banca centrale europea fossero esemplificate su quelle
della Bundesbank. Il risultato è stato il contrario di quanto i francesi si ripromettevano
dall’operazione: anziché una “Germania europeizzata”, un’“Europa germanizzata”, ossia un’Europa
egemonizzata dal modello economico e istituzionale tedesco.
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In che modo la storia della riunificazione tedesca parla direttamente al nostro presente?
Credo che purtroppo la riunificazione tedesca parli al nostro presente soprattutto per quanto
riguarda la sua parte meno riuscita, ossia l’unione monetaria. In effetti anche l’unione monetaria
europea, così come quella tedesca, è stata un’unione mossa da un obiettivo politico (incorporare
per così dire la Germania e al tempo stesso accelerare e rendere irreversibile l’integrazione
europea); e anche in questo caso è stato compiuto l’errore di osare tale passo in assenza di una
sufficiente convergenza delle economie. Il risultato è che la convergenza delle economie non si è
prodotta neppure dopo. Si è avuta per un certo periodo l’impressione che essa stesse verificandosi.
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Ma si trattava di un’illusione. Alcuni paesi periferici effettivamente crescevano, ma indebitandosi
nei confronti di altri paesi dell’eurozona, e in particolare di Germania e Francia: questi flussi di
capitale in entrata occultarono di fatto gli squilibri che si stavano creando. Poi con la crisi del
2008/2009 tutto il meccanismo è saltato.
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Quale ruolo ha svolto la moneta unica europea nella crisi dell’ultimo decennio?
La moneta unica non è stata la causa della crisi europea. Però in sua assenza gli squilibri
commerciali tra i paesi membri – una delle cause principali della crisi – sarebbero stati corretti
attraverso aggiustamenti del cambio prima di diventare esplosivi. Inoltre, dopo lo scoppio della
crisi, l’impossibilità per i paesi membri di effettuare politiche monetarie autonome hanno reso
l’uscita dalla crisi più lunga e dolorosa in termini sociali, in particolare per i più deboli tra essi. In
effetti c’è uno studio dell’economista De Grauwe che, confrontando le reazioni alla crisi da parte di
Spagna e Regno Unito (in entrambi i paesi la crisi fu legata allo scoppio di una bolla immobiliare,
quindi si tratta di un confronto sensato), evidenzia come la possibilità di effettuare una politica
monetaria autonoma da parte del Regno Unito, che non fa parte della moneta unica, abbia
contribuito a una sua uscita più rapida dalla crisi.
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La rigidità rappresentata dalla moneta unica costituisce tuttora uno dei principali fattori di
vulnerabilità dell’eurozona nel suo complesso. Essa va posta in relazione con l’insufficiente
convergenza delle economie dell’eurozona: se le economie vanno a velocità diverse, se alcune
sono in espansione mentre altre annaspano intorno alla crescita zero o sono addirittura in
recessione, è evidente che il tasso d’interesse stabilito dalla BCE (che ovviamente è unico) non
potrà essere adatto alle condizioni dell’economia di tutti i paesi che fanno parte dell’area
monetaria.
Quale futuro a Suo avviso per la Germania e l’Unione Europea?
La Germania appare sempre più chiaramente come vittima della sua stessa strategia. È il grande
beneficiario della moneta unica. L’ha utilizzata per fare una politica mercantilistica aggressiva, che
le ha consentito di espandere in misura notevole le esportazioni nell’eurozona a scapito dei
competitori. A questo fine ha tenuto bassi i salari e quindi compresso la domanda interna; non ha
fatto sufficienti investimenti. In una parola: ha puntato tutto sulle esportazioni. Ha imposto
politiche di austerity ai paesi europei in crisi verso i quali esportava, e al conseguente
indebolimento della loro domanda di prodotti tedeschi ha reagito spostando le proprie esportazioni
verso altri paesi (Cina e Stati Uniti). Adesso però il primo di questi mercati è interessato da una
guerra commerciale con gli Stati Uniti, e questi ultimi stanno cominciando a rispondere al surplus
della bilancia commerciale tedesca nei loro confronti con dazi alle importazioni. La Germania così si
trova in un vicolo cieco e vede profilarsi ormai chiaramente lo spettro di una recessione. Ci
vorrebbe un cambiamento di politiche, ma non è scontato che ci sarà.
Lo stesso, in fondo, vale per l’Unione Europea. I segnali che indicano la necessità di un
cambiamento delle politiche sono molteplici: dalla Brexit a un voto europeo che non ha davvero
premiato i partiti “tradizionali”, da una crescente ostilità di larghe fette dell’opinione pubblica nei
confronti delle istituzioni europee all’approssimarsi di una recessione alla quale con gli strumenti di
cui l’Unione si è dotata appare impossibile reagire efficacemente. Ma non si avverte una reazione
all’altezza dei problemi. Neppure sugli strumenti più sbagliati messi in campo durante la crisi, e in
particolare il cosiddetto fiscal compact, si registra alcun ripensamento. È un grave errore. Il maggior
problema per l’Unione europea è il fatto che essa non è stata in grado di mantenere la promessa di
una maggiore prosperità per i suoi cittadini. Al contrario, in particolare l’eurozona, ha evidenziato
una crescita deludente rispetto al resto del mondo. Se non si saprà invertire questa tendenza, non
vi sono troppi motivi per essere ottimisti sul futuro dell’Unione.
Vladimiro Giacché è nato a La Spezia nel 1963. È stato allievo della Scuola Normale di Pisa, dove si
è laureato e perfezionato in Filosofia. Da venticinque anni nel settore finanziario, è presidente del
Centro Europa Ricerche e consigliere di amministrazione di Banca Profilo. Negli ultimi anni ha
pubblicato Titanic Europa (2012; ed. tedesca 2013), Costituzione italiana contro trattati europei
(2015), La fabbrica del falso (2016). Ha curato edizioni degli scritti economici di Karl Marx (Il
storia romana
studi classici
trama
web
capitalismo e la crisi, 2009) e Lenin (Economia della rivoluzione, 2017).
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Tags: geopolitica, Germania, Unione Europea, Vladimiro Giacché
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