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La noesis: oltre scrittura e oralità

2018

Testo scritto in occasione del ciclo di seminari proposti dall'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli dal titolo Platone: sulla forma dialogo, 29 gennaio-9 maggio 2018

La noesis: oltre scrittura e oralità Sebastian Schwibach (Roma) Ciò che è degli amici è comune Platone, Fedro, 279c Preambolo: nel labirinto Nel corso della lunga e tortuosa strada percorsa dal platonismo, molteplici sono stati i tentativi di fornire un’interpretazione che riuscisse a rendere coerente ed organica la pluridimensionalità del pensiero del filosofo ateniese1. Eppure, nonostante tutti gli sforzi ermeneutici, un velo enigmatico avvolge ancora i dialoghi2. Ogni filosofia o analisi critica che si sia confrontata con Platone ha dovuto, infatti, sciogliere il complesso intreccio tessuto nella trama dialogica, seguendo dei fili interpretativi che, seppur necessari, hanno fatto perdere di vista la ricchezza dell’insieme. Attraverso il ciclo di seminari “Platone: sulla forma dialogo”, organizzato dall’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, è stato possibile seguire alcune tra le vie intraprese dalla moderna interpretazione del corpus platonico, approfondendo, in particolare, il valore di una filosofia che si presenti nelle vesti della forma dialogica. Il presente contributo tenta di indagare ulteriormente alcuni snodi fondamentali, i quali potrebbero riaprire sentieri poco battuti nel labirinto platonico3. Nel primo paragrafo, si approfondirà l’ambiguo rapporto tra oralità e scrittura, come si viene delineando in particolare nel Fedro. 1 Per una panoramica generale, ma molto accurata, della storia del platonismo si rimanda ad Albanese L., La tradizione platonica. Aspetti del platonismo in Occidente, Bulzoni, Roma 1993. Per un approfondimento relativo alla storia della ricezione della Repubblica, cfr. Vegetti M., <<Un paradigma in cielo>>, Carocci, Roma, 2009. Da entrambe le trattazioni risultano evidenti sia le molteplici strade che può percorrere una “filosofia platonica”, sia la difficoltà di un’interpretazione, qualora non si vogliano proiettare i propri modelli di interpretazione della realtà sul filosofo ateniese. Di particolare interesse la trattazione svolta da Albanese riguardo la rivoluzione scientifica e il suo presunto rapporto con il platonismo. Sugli sviluppi del platonismo in epoca tardoantica cfr. Chiaradonna R., Filosofia tardoantica, Carocci, Roma, 2012. 2 Velo enigmatico che non può essere strappato, a meno di non travisare completamente il pensiero platonico, così stratificato e pieno di vicoli ciechi come solo un labirinto può essere. Sul rapporto tra filosofia ed enigma cfr. la magnifica trattazione in Colli G., La Nascita della Filosofia, Adelphi, Milano, 1975 (2009). 3 Nel parlare del “labirinto platonico” non si sta semplicemente metaforizzando o abbellendo il testo, ma si sta soprattutto dando un’indicazione ermeneutica: la filosofia è labirinto, ossia enigma indecifrabile eppur sempre alla ricerca di una sua decifrazione; essa è il sasso lanciato nello stagno della conoscenza per provare la profondità dell’interlocutore/lettore, sfidandolo ad un agone, da cui dipende la vita o la morte. Cfr. Colli, La Nascita della Filosofia, cit., pp. 25-36, 62, In seguito, anche grazie ad alcune riflessioni sul linguaggio presenti nel Cratilo, si prenderanno in esame la ricchezza e i limiti del discorso – sia esso scritto od orale – quale mezzo di attingimento della verità. Infine, si prenderà in considerazione la possibilità che lo stesso dialogo sia certo elemento necessario, ma non sufficiente, per la conoscenza, la quale trova il suo compimento in un’intuizione sovrarazionale4. Nel seguire un tale percorso ci si accosterà ad una serie di questioni che, per quanto importanti, potranno essere solo accennate. Tra queste, particolarmente significative sono le seguenti: il rapporto tra filosofia e politica, la filosofia come forma di vita, il significato ed il valore conoscitivo dei miti, l’importanza della dialettica e l’eventualità di un suo cambiamento di segno nel passaggio dai dialoghi della maturità a quelli della vecchiaia. Se non si potranno trarre tutte le conseguenze dall’interpretazione proposta, il tentativo perseguito è tuttavia quello di aprire ad una comprensione del filosofo ateniese capace di dare il giusto rilievo alla complessità, ricchezza e bellezza del suo pensiero, senza precludersi, a causa di un pregiudizio ermeneutico, nessuna delle vie tracciate dai dialoghi. Oralità e scrittura: la conoscenza è partecipabile? Il problema del rapporto tra oralità e scrittura ha guadagnato un’enorme risonanza a partire dalla seconda metà del Novecento, quando la scuola di Tubinga e, successivamente, quella di Milano hanno indirizzato l’attenzione degli studiosi sulle “dottrine non scritte”, intese come il vero nucleo della filosofia platonica che, seppur mai messo chiaramente su carta, scorrerebbe, come una corrente tellurica, sotto la superficie del testo dialogico5. Nonostante non sia certo possibile approfondire in questa sede tutti i termini del virulento dibattito tra le due opposte fazioni interne al mondo accademico, si può senz’altro affermare che, quand’anche la teoria ermeneutica della scuola di Milano fosse in parte o nel complesso da ripensare, proprio grazie all’accento posto da tali studiosi sull’evidente contraddizione di un Platone che scrive contro la L’unico filosofo e storico della filosofia moderno a me noto che abbia ridato il giusto valore alla noesi, in quanto intuizione intellettuale di carattere sovrarazionale, è Giorgio Colli. Gran parte delle riflessioni qui prospettate sono, dunque, per moltissimi aspetti debitrici degli attenti studi di Colli sull’origine della Sapienza e la nascita della filosofia. In particolare, si rimanda a: Colli G., Filosofi Sovrumani, Adelphi, Milano, 2009 (2010); Colli G., Platone Politico, Adelphi, Milano, 2007; Colli G., ΦΥΣΙΣ ΚΡΥΠΤΕΣΘΑΙ ΦΙΛΕΙ, Adelphi, Milano, 1988 (1998). 5 Cfr., per un’esauriente sintesi delle teorie della scuola di Tubinga-Milano, Reale G., Per una Nuova Interpretazione di Platone alla Luce delle “dottrine non Scritte”, Bompiani, Milano, 2010. Molti gli studiosi che si sono opposti con veemenza, e, a volte, con eccessivo accanimento, contro tale scuola. Tra di essi, di grande valore è stata la figura della Isnardi-Parente. Si veda a tal proposito Fronterotta F., Gli Agrapha Dogmata di Platone e il Dibattito con la Scuola di Tubinga, in: Giornale critico della filosofia italiana, XCIII, Le Lettere, Firenze, 2014, pp. 98-109. 4 scrittura è divenuto possibile andare oltre la lettera del testo, per cercare di cogliere l’inesprimibile vissutezza6 che esso, seppur come un opaco specchio incrostato dal trascorrere dei secoli, ancora riflette. È convinzione di chi scrive, infatti, che entrambe le correnti ermeneutiche, incitate dall’atmosfera polemica, si siano troppo irrigidite nelle rispettive posizioni, perdendo dunque la possibilità di sviluppare un discorso in comune che, nella migliore tradizione platonica, avrebbe forse potuto portare ad un risultato condiviso. Come non si può negare la tradizione che parla di dottrine non scritte e le frequenti asserzioni platoniche contro la scrittura, così non si dovrebbe cercare di trovare nel pensiero platonico una rigidità sistematica - magari costruita sull’Uno e sulla Diade – che molto probabilmente non gli appartiene e che comunque non ha voluto mettere in primo piano. Come questo contributo tenterà di mostrare, l’opposizione non riguarda in prima istanza oralità e scrittura, ma, in modo molto più ampio, dicibile e indicibile. Prima di giungere a questa conclusione è, in ogni caso, necessario battere la pista tracciata nel Fedro, prendendo in considerazione con grande serietà in particolare il mito di Thamus e Theuth. Chiunque voglia cercare di comprendere il filosofo ateniese non può infatti esimersi dal considerare i miti con la stessa, anzi con maggiore attenzione di quella portata alla logica dei ragionamenti sviluppati dai personaggi o alle diairesi dialettiche7. Per Platone il mito è infatti, nella maggior parte dei casi, la forma che più di tutte consente una conoscenza sintetica ed intuitiva. Il mito egiziano del Fedro, incastonato tra le riflessioni sulla deficienza “politica” della scrittura, presenta la motivazione principe – la motivazione interiore – della sua strutturale inadeguatezza. Il re Thamus risponde infatti al dio Theuth, orgoglioso dei doni da lui concessi all’uomo, che la scienza delle lettere avrebbe provocato non la memoria, ma l’oblio, non la conoscenza, ma l’ignoranza, in quanto l’uomo si sarebbe rapportato alla verità non grazie alla propria interiorità, ma mediante segni esterni. Un tale approccio avrebbe generato l’apparenza della conoscenza e, di Il termine viene usato nel senso datogli da Giorgio Colli: espressione di quell’intima esperienza dell’anima capace di superare la differenza e cogliere, nell’attimo, la verità che sta al fondo della vita, il dionisiaco che prorompe come sorgente e si cristallizza in plastiche individualità. Cfr.: Colli, Apollineo e Dionisiaco, cit., pp. 27 sgg.; G. Colli, Introduzione, in: Colli G. La Sapienza Greca, Adelphi, Milano, 1977 (2009), V. I, pp. 15 sgg. 7 Per l’importanza del mito in Platone si veda in particolare De Santillana G., Von Dechend H., Il Mulino di Amleto. Saggio sul Mito e sulla Struttura del Tempo, a cura di A. Passi, Adelphi, Milano 1983 (An Essay on Myth and the Frame of Time, 1969). Il saggio si concentra in particolare sull’importanza astronomica dei miti in generale e di quelli platonici in particolare, contribuendo notevolmente a porre in giusto rilievo il valore del linguaggio mitico, che, a mio parere, presenta una notevole rilevanza anche e soprattutto da un punto di vista strettamente filosofico. 6 conseguenza, la tracotanza di chi, credendosi onnisciente, non avrebbe, in realtà, attinto ad altro che ad ombre, schiavo dell’esteriore, piuttosto che libero amante dell’interiore attingimento della verità.8 Inoltre, come si evince dal discorso precedente e seguente il mito, lo scritto, in quanto caratterizzato dalla fissità e dall’impossibilità di difendersi, non avrebbe alcuna vera capacità persuasiva, alcuna valenza “politica”, in quanto ogni anima, a seconda della sua indole, ha bisogno di un particolare discorso9. Qualsiasi scritto deve dunque essere considerato come uno svago, al massimo come un supporto giocoso alla memoria di chi già sa, di chi ha vissuto quella conoscenza nel suo intimo e può godere del suo nebuloso riflesso10. Già da questa breve analisi di alcuni passi del Fedro è possibile ricavare alcune conclusioni relativamente al rapporto tra oralità e scrittura: il discrimine tra le due risiede nella maggiore capacità della prima di infiggersi profondamente nell’anima del discente, sia perché il discorso si può adeguare alla sua indole, sia perché egli è costretto, anche semplicemente per ricordarsene, a farlo proprio e a sentirlo vivere dentro di sé; la scrittura, in quanto gioco e riflesso del parlato, non è da demonizzare, ma neanche da prendere troppo sul serio: essa è la sfida del filosofo al lettore, il quale, qualora riesca a far parlare le morte lettere dentro di sé e riesca ad instaurare un dialogo vivo con il testo, ha la possibilità di attingere la verità. A partire da tali considerazioni è possibile dunque sciogliere l’enigma di uno scrittore che polemizza contro la scrittura, ma si aprono nuove ineludibili questioni. In particolare, ci si potrebbe chiedere cosa significhi “scrivere nell’anima di chi apprende”11, cosa significhi “attingere all’interno di se stessi”12 la verità. Si pone cioè la domanda se la verità in sé e per sé sia in qualche modo partecipabile per mezzo della parola, sia essa scritta od orale. Esplorazioni intorno agli onomata e al logos Per poter affrontare tali quesiti, è bene avventurarsi nelle disquisizioni sulla natura del linguaggio prospettate nel Cratilo, dove Socrate si trova a mediare tra una tesi naturalistica ed una soggettivistica della sua origine. Se per Cratilo il nome è, infatti, originariamente ed intrinsecamente legato alla cosa che nomina, per Ermogene esso nasce da una convenzione che non ha nessun rapporto né con la cosa né con l’idea del nome. Per confutare la tesi di Ermogene, Socrate mostra il valore strumentale del 8 Platone, Fedro, a cura di R. Velardi, BUR, Milano, 2006 (2010), 274c-275b. Id., 270b-274b, 275b-277a. 10 Id., 277e-278d. 11 Id., 276a. 12 Id. 275a. 9 nome, il quale, se conforme alla propria idea, è un giusto mezzo per cogliere l’essenza di una cosa.13 Esistono, cioè, nomi veri e nomi falsi, a seconda che si avvicinino più o meno alla loro idea e alla loro funzione. Non qualsiasi uomo è dunque “misura” dell’atto del denominare, ma esclusivamente quel legislatore che sia in grado di creare un riflesso adeguato dell’idea. D’altra parte, essendo il nome immagine ed essendo, di conseguenza, sia strutturalmente deficitario sia sottoposto all’errore e al cambiamento, risulta confutata anche la tesi naturalistica di Cratilo, che pensa un’identità perfetta tra nome e cosa14. Dal momento che il nome e, di conseguenza, il discorso15, sono allo stesso tempo qualcosa di più che una convenzione e qualcosa di meno della realtà nominata, non è dunque possibile fare completo affidamento su di loro per conoscere, ma si deve, qualora sia possibile, rivolgersi agli enti stessi, rivolgersi, cioè, alla verità, la quale è misura di sé e della propria immagine16. In definitiva, il linguaggio, indipendentemente dal fatto che sia scritto o orale, presenta delle deficienze, in quanto strumento mediatore tra la realtà in sé e la conoscenza. Esso nasce sì a partire da un’intuizione pre-nominale del reale17, ma, una volta stabilito, può essere fuorviante in due sensi18: se il legislatore di nomi ha costruito il linguaggio sulla base di un’intuizione sbagliata, affidarsi ad esso per tentare di comprendere il reale, magari ricercando il senso delle cose nell’etimologia del loro nome, può portare ad una completa distorsione della verità e indurre a considerazioni fallaci 19 ; quand’anche il legislatore fosse stato bravo e il linguaggio riuscisse a rispecchiare nel modo più appropriato l’essenza delle cose, non si deve tuttavia dimenticare che i cambiamenti cui incorre necessariamente con il trascorrere del tempo e con l’uso portano ad un progressivo indebolimento della sua funzione. Dunque, nessuna persona desiderosa di conoscere potrebbe affidarsi con serietà ai nomi e ai discorsi, qualora avesse la possibilità di conoscere in maniera diretta ciò che il linguaggio opacamente riflette20. 13 Platone, Cratilo, a cura di E, Martini, C. Licciardi, BUR, Milano, 1989 (2006), 388c 14 Id., 429a sgg. 15 Id., 431c. 16 Id., 438a-439a. 17 Id., 438d. 18 Id., 436a-b. 19 Id., 436d, 437c. 20 Id., 440c. La noesi tra dialettica e mania amorosa Le considerazioni finora svolte hanno in prima istanza messo in luce la ragione della preferenza platonica per l’oralità, per poi mostrare che quella deficienza rimproverata alla scrittura si ripropone, in modo diverso, in qualsiasi forma il discorso si presenti. Come infatti un testo può difficilmente parlare all’anima del lettore e come esso, in quanto supporto esteriore, difficilmente consente una sua interiorizzazione, così, anche nell’ambito dell’oralità, la mediazione esteriorizzante del nome può inficiare la vera conoscenza, una conoscenza senza mediazioni, un’intuizione diretta della verità21. Una tale affermazione sembra però in qualche modo contraddetta dalla stessa forma in cui si presenta gran parte della filosofia platonica, caratterizzata in modo evidente dall’elemento dialogico. Qualora si volga lo sguardo agli scritti della vecchiaia, ed in particolar modo ai dialoghi dialettici, sembra evidente che il processo diairetico-sintetico portato avanti abbia un preponderante carattere logico. Eppure, nella Repubblica, il procedimento dialettico consiste nell’afferrare con lo stesso nous l’essenza di una cosa22: Il dialettico si puntella sulle ipotesi che costituivano i principi delle altre scienze e si lancia verso l’anipotetico, il principio del tutto, fino ad afferrarlo noeticamente, non più discorsivamente.23 Come lo schiavo liberato e giunto fuori della caverna tocca con la vista le realtà 21 Per il dibattito tra chi ritiene la noesi come un tipo di conoscenza diretto ed intuitivo (intuizionisti) e chi invece si mantiene su posizioni più conformi all’idea moderna di conoscenza quale processo razionale mediato e inevitabilmente strutturato all’interno di un orizzonte linguistico (proposizionalisti), si veda: Isnardi Parente M., Una breve risposta a Trabattoni, da parte di un’intuizionista, in: Rivista di storia della filosofia, 62, 2007, pp. 57-59; Trabattoni F., L’Intuizione intellettuale in Platone. In Margine ad alcune recenti Pubblicazioni, in: Rivista di Storia della Filosofia, FrancoAngeli, Milano 2006, pp. 701-719. La proposta di Trabattoni, che cerca di conciliare intuizionisti e proposizionalisti affermando che l’anima disincarnata intuisce le idee, mentre l’anima incarnata può solo accedervi attraverso il medium della proposizione (la quale permetterebbe una reminiscenza dell’intuizione extracorporea) non mi sembra del tutto convincente proprio alla luce dei passi di Repubblica, Fedro e Simposio presi in considerazione nell’articolo. Il carattere immediato della noesi rispetto alla dianoia è infatti evidente sia nel modello della linea, sia nel mito della caverna, sia nei passi finali del discorso di Diotima, sia nel mito della biga alata. Senza entrare qui nel dettaglio della discussione, basterebbe notare e dare la dovuta rilevanza al linguaggio misterico presente nei dialoghi sopra citati - ricordando che il carattere fondamentale dei misteri consisteva in una folgorazione noetico-intuitiva (cfr. Plutarco fr. 178, in: Colli, La Sapienza greca, cit., 3 [B4]) -, per indirizzarsi verso un’interpretazione “intuizionista” dell’apice conoscitivo platonico. Se si prendono i singoli passi in sé, senza considerare le relazioni tra i vari dialoghi, si può certo mettere in dubbio il carattere intuitivo della conoscenza noetica, ma, se si considerano i dialoghi nel loro insieme e si intrecciano gli snodi fondamentali delle opere della maturità e della lettera VII, è molto difficile negare tale carattere, a meno che non si voglia purificare Platone dalla taccia di misticismo per esigenze tutte moderne e per una mancata comprensione del sovrarazionale platonico. Un ulteriore approfondimento relativo alla tesi “intuizionista” si può trovare in Fronterotta F., ΔΙΑΝΟΙΑΝ...ΑΛΛ’ΟΥ ΝΟΥΝ. Su Resp. VI D 3-5, in: Elenchos, XXVII, 2, Bibliopolis, Napoli, 2006. 22 Platone, La Repubblica, a cura di M. Vegetti, BUR, Milano, 2006 (2014) 532e-533d. 23 Id., 511a-d. Si veda, per un’esaustiva analisi della noesi quale contatto diretto, quasi fisico, con il mondo ideale, Fronterotta F., ΜΕΘΕΞΙΣ, Scuola Normale Superiore, Pisa, 2001, pp. 74-75, 102-114. Cfr. anche Aronadio F., Procedure e verità in Platone (Menone Cratilo Repubblica), Bibliopolis, Napoli, 2002, pp. 217, 218, 250. Proprio le riflessioni di Aronadio sul carattere intuitivo dell’uso del verbo aptomai sono messe in questione da Trabattoni, op. cit., pp. 713-714. esistenti, illuminate dalla luce del sole, così il dialettico percorre la maglia dei principi, che lo indirizzano verso la fonte onto-gnoseo-logica24. Nel Sofista, poi, la dialettica si presenta sì nella forma discorsiva, ma presuppone una diretta contemplazione della composizione del reale nelle sue linee strutturali.25 Il reale si mostra, cioè, come una stretta maglia di relazioni eidetiche di cui il dialettico, a seconda del punto di partenza scelto, può cogliere degli aspetti, che sono senza dubbio ontologicamente – cioè assolutamente – fondati, ma anche dipendenti dalla scelta e dall’abilità del ricercatore26 - cioè contingentemente messi in luce. La concezione della realtà platonica aborre dunque da una chiusura sistematica sia nella forma della sua espressione che nella materia trattata, ed il dialettico, più che un sistematizzatore, appare un cacciatore alla ricerca delle tracce lasciate dalle connessioni ideali, un abile scopritore delle giunture e delle articolazioni in cui le idee si manifestano27. La dialettica può essere in questo senso pensata sia come un processo preliminare che consenta di cogliere, nell’attimo, il mondo ideale nella sua complessità, sia come il movimento di riflusso dell’intuizione, il suo concretizzarsi in forme esprimibili attraverso il logos. Il discente, per potere giungere all’intuizione immediata, deve sottoporsi ad un lungo apprendistato28, passando per le varie scienze e giungendo al loro fregio nella dialettica29, così come il maestro deve saper giustificare e mostrare attraverso il logos la verità intuita, indicando così la strada verso il mondo ideale30. 24 Resp., 507e-509d, 516a-517e. Platone, Sofista, a cura di F. Fronterotta, BUR, Milano, 2007 (2011), note 23, 36. Si veda anche l’appendice 1 in Fronterotta, ΜΕΘΕΞΙΣ, cit., pp. 333-340, dove viene presa in considerazione e respinta la tesi del carattere logico-linguistico delle idee da parte di Ackrill e, ancor prima, di Ryle. 26 Soph., nota. 42. 27 In questo senso, le relative posizioni di Fronterotta e Trabattoni non sono del tutto inconciliabili. Il piano gnoseologico è sì strutturalmente legato a quello ontologico, ma ciò non implica una forma di dogmatismo platonico, in quanto il percorso attraverso il mondo eidetico presenta una molteplicità di percorsi, di punti di partenza e di punti di arrivo. Non esiste, dunque, un sistema platonico, in quanto la realtà stessa non si presenta con una struttura gerarchica stabile, ma come una maglia a più dimensioni. 28 Resp. 521c sgg. 29 Resp. 534e. 30 Resp. 532e sgg. E tuttavia, questa normalizzazione del percorso conoscitivo non riesce a nascondere, nonostante tutta la sclerotizzazione imposta da un pensatore politico come Platone, l’originario carattere distruttivo della ragione dialettica ed il suo originarsi da un’intuizione più intima. Valgono dunque anche per Platone, seppur in misura minore, le parole di Colli riguardo la dialettica zenoniana: “Nell’impianto stesso della discussione greca c’è un intento distruttivo (Colli, la nascita della filosofia, cit., p. 86) […]. La ragione era nata come qualcosa di complementare, come una ripercussione, la cui origine stava in alcunché di nascosto, fuori di essa, che non poteva essere totalmente restituito, ma soltanto accennato da quel <<discorso>>”(p.98). Si pensi, solo per fare l’esempio più evidente, alla rimessa in discussione della teoria delle idee da parte dell’ormai vecchio Platone nel Parmenide (cfr. su questo punto Colli, ΦΥΣΙΣ ΚΡΥΠΤΕΣΘΑΙ ΦΙΛΕΙ, cit., pp. 301 sgg. L’interpretazione di Colli, secondo cui il vecchio Platone, sempre più disilluso, si rassegna, dopo gli ardori passati, all’utilizzo del razionalismo imperante all’epoca, distaccandosi sempre più dalla sapienza presocratica, è certamente interessante e forse riesce ad entrare nel profondo della psiche del filosofo. Tuttavia, qualora sia possibile, è bene cercare ulteriori possibilità ermeneutiche per comprendere il corso del pensiero platonico così come si presenta nei dialoghi, tenendo conto che, per quanto la disillusione sia stata grande e per quanto la rigidità sia andata crescendo, ci troviamo di fronte sempre allo stesso filosofo). 25 In ogni caso, nonostante l’apparentemente arido procedere dei dialoghi della vecchiaia non lo renda evidente, bisogna sempre ricordare che la dialettica è l’apice di un percorso di risveglio sotto il segno della mania erotica indotta dal fulgore della Bellezza, unica manifestazione visibile del mondo ideale. In quanto amante che, preso da una divina follia, insegue il Bello, risalendo la scala del reale31, il dialettico, cacciatore inesausto della verità, percorre le venature del mondo ideale, fino a giungere, nell’attimo32, a cogliere noeticamente quel principio anipotetico, quella luce del bene, di cui qualsiasi discorso può esplorare solo i vestiboli33. Una tale conoscenza non risiede però in nozioni che possano essere assimilate, non richiede in prima istanza una buona memoria, in quanto essa non si esprime che in poche parole34. La parola, scritta o orale, è infatti un mediatore capace di risvegliare l’anima e portarla a rammemorare la propria divina contemplazione, così che essa possa divenire, per quanto possibile ad un uomo, simile al dio35. Risulta chiaro, dunque, che l’interiorizzazione presupposta nell’insegnamento e nell’apprendimento della filosofia consiste in un vivere a pieno nella contemplazione divina e nel farsi sempre più, seguendo la giustizia, simile al Bene. Se il soggetto non si trasfonde nell’oggetto, la conoscenza resterà sempre esteriore, rimarrà nell’ambito dei verba, non delle res36. Certo, il dialogo tra maestro e discepolo e tra discepoli può aiutare in questa continua pratica di vita filosofica, ma solo se il discente è pronto a superare il precetto delfico “niente di troppo” e si lascia sopraffare dalla mania erotica, capace di trasportarlo nel mondo iperuranio, al seguito degli altri dei37. Nel rapporto con l’amato attraverso le varie vite38 e nella compagnia divina diventerà finalmente possibile quella φιλία capace di rendere comune l’incomunicabile, visibile l’invisibile. Bibliografia Albanese L., La tradizione platonica. Aspetti del platonismo in Occidente, Bulzoni, Roma 1993 Aronadio F., Procedure e verità in Platone (Menone Cratilo Repubblica), Bibliopolis, Napoli, 2002 Attolini R., Ἒρως e χωρισμός. Giorgio Colli interprete di Platone, in: A. Muni (a cura di), Platone nel pensiero moderno e contemporaneo, Limina mentis, Villasanta, 2017, pp. 1-14 Platone, Simposio, a cura di G. Calogero, Laterza, Roma-Bari, 1996 (2003), 209a sgg. Per l’importanza dell’elemento erotico nella filosofia platonica e per una sua interpretazione da parte di Giorgio Colli, cfr. Attolini R., Ἒρως e χωρισμός. Giorgio Colli interprete di Platone, in: A. Muni (a cura di), Platone nel pensiero moderno e contemporaneo, Limina mentis, Villasanta, 2017, pp. 1-14. 32 Platone, Lettera VII, in: Platone, Lettere, a cura di P. Innocenti, Rizzoli, Milano, 1986 (1993), 341d. 33 Platone, Filebo, a cura di M. Migliori, Bompiani, Milano, 2000 (2011), 64c. 34 Lett. VII, 344e. 35 Platone, Teeteto, a cura di M. Valgimigli, Laterza, Roma-Bari, 2002 (2010), 176a-c. 36 Cfr. Fronterotta, ΜΕΘΕΞΙΣ, cit., nota 42, p. 73: deve esistere una “contemporaneità” logica ed ontologica fra soggetto conoscente ed oggetto conosciuto. In sostanza, il soggetto deve essere l’oggetto, l’episteme, la conoscenza, deve essere il pragma, la cosa stessa, affinché si dia piena conoscenza. 37 Phaedrus, 246a sgg. 38 Phaedrus, 248a sgg. 31 Chiaradonna R., Filosofia tardoantica, Carocci, Roma, 2012 Colli G., Platone Politico, Adelphi, Milano, 2007 Colli G., Filosofi Sovrumani, Adelphi, Milano, 2009 (2010) Colli G., La Nascita della Filosofia, Adelphi, Milano, 1975 (2009) Colli G., La Sapienza Greca, Adelphi, Milano, 1977 (2009). Colli G., ΦΥΣΙΣ ΚΡΥΠΤΕΣΘΑΙ ΦΙΛΕΙ, Adelphi, Milano, 1988 (1998) De Santillana G., Von Dechend H., Il Mulino di Amleto. Saggio sul Mito e sulla Struttura del Tempo, a cura di A. Passi, Adelphi, Milano 1983 (Hamlet’s Mill. An Essay on Myth and the Frame of Time, 1969) Erler M., Platone Un’Introduzione, Einaudi, Torino, 2008, (Platon, 2006) Fronterotta F., Gli Agrapha Dogmata di Platone e il Dibattito con la Scuola di Tubinga, in: Giornale critico della filosofia italiana, XCIII, Le Lettere, Firenze, 2014, pp. 98-109 Fronterotta F., Plato’s Republic in the Recent Debate, in: Journal of the History of Philosophy, vol. 48, no. 2, 2010 Fronterotta F., ΔΙΑΝΟΙΑΝ...ΑΛΛ’ΟΥ ΝΟΥΝ. Su Resp. VI D 3-5, in: Elenchos, XXVII, 2, Bibliopolis, Napoli, 2006, pp. 441-458 Fronterotta F., ΜΕΘΕΞΙΣ, Scuola Normale Superiore, Pisa, 2001 Hadot P., Che cos’è la filosofia antica?, Einaudi, Torino, 1998 (2010), (Qu’est-ce que la philosophie antique? 1995) Isnardi Parente M., Una breve risposta a Trabattoni, da parte di un’intuizionista, in: Rivista di storia della filosofia, 62, 2007, pp. 57-59 Platone, Cratilo, a cura di E, Martini, C. Licciardi, BUR, Milano, 1989 (2006) Platone, Fedro, a cura di R. Velardi, BUR, Milano, 2006 (2010) Platone, Filebo, a cura di M. Migliori, Bompiani, Milano, 2000 (2011) Platone, La Repubblica, a cura di M. Vegetti, BUR, Milano, 2006 (2014) Platone, Lettere, a cura di P. Innocenti, Rizzoli, Milano, 1986 (1993) Platone, Politico, a cura di G. Giorgini, BUR, Milano, 2005 Platone, Simposio, a cura di G. Calogero, Laterza, Roma-Bari, 1996 (2003) Platone, Sofista, a cura di F. Fronterotta, BUR, Milano, 2007 (2011) Platone, Teeteto, a cura di M. Valgimigli, Laterza, Roma-Bari, 2002 (2010) Reale G., Per una Nuova Interpretazione di Platone alla Luce delle “dottrine non Scritte”, Bompiani, Milano, 2010 Trabattoni F., L’Intuizione intellettuale in Platone. In Margine ad alcune recenti Pubblicazioni, in: Rivista di Storia della Filosofia, FrancoAngeli, Milano 2006, pp. 701-719 Trabattoni F., La Metafisica di Platone: Scienza dell’Essere o Filosofia dei Valori? In margine alle interpretazioni di Lotze, Heidegger e Gadamer, in: S. Bacin (a cura di), Etiche antiche etiche moderne. Temi di discussione, il Mulino, Bologna 2010, pp. 121-143 Vegetti M., <<Un paradigma in cielo>>, Carocci, Roma, 2009.