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RAELI, Matteo
di Giuseppe Speciale - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 86 (2016)
RAELI, Matteo. – Nacque a Noto il 23 dicembre 1812 (ma la data è
controversa) da Paolo, un benestante e stimato avvocato che fu anche
consigliere di Intendenza nell’amministrazione borbonica, e Marianna
Campisi. Studiò giurisprudenza a Catania, ove si laureò nel 1832 e si associò
alla neonata Accademia Gioenia (prima come allievo nel 1827; due anni dopo
come socio corrispondente). Nel 1835 sposò la siracusana Antonina
Campisi: a Siracusa si affermò subito nella professione di avvocato che gli
fruttò una cospicua rendita. A seguito dei moti del 1837, Raeli si trasferì a
Noto e iniziò un cursus honorum nell’amministrazione locale. Nel 1841
divenne decurione e fu subito proposto come ‘primo eletto’, una sorta di
vicesindaco con funzioni di pubblico ministero nei giudizi di competenza del
giudice di circondario e di giudice del contenzioso amministrativo nei casi
previsti dalla legge. Da amministratore dette impulso allo sviluppo della città
con piani di intervento sulle imposte, sulle acque pubbliche, sul decoro
urbano, sulla politica culturale, sull’assistenza pubblica. Più avanti, nel 1848,
segretario del comitato provinciale di Noto, si impegnò per l’organizzazione
della Guardia nazionale, per l’adeguamento della Costituzione siciliana del
1812 e per l’adesione della Sicilia a un’eventuale assemblea costituente
italiana. Nelle ultime settimane della rivoluzione fu nominato ministro
dell’Interno nel governo Torrearsa (gennaio 1849) e delle Finanze nel breve
governo del principe di Butera (marzo 1849).
Per sfuggire alla restaurazione, pur non essendo escluso dall’amnistia,
nonostante i ruoli importanti rivestiti durante i moti antiborbonici, riparò in
Francia e poi, per circa dieci anni, a Malta, ove ebbe contatti con il folto
gruppo di esuli che, al pari di lui, lì aveva trovato riparo: Francesco Crispi,
Giorgio Tamajo, Nicola Fabrizi, il sacerdote Gregorio Ugdulena e,
soprattutto, Ruggero Settimo di cui Raeli fu sempre fidatissimo
collaboratore, al punto tale da essere istituito erede universale. A Malta –
dove fu raggiunto dal figlio Paolo che nel 1852, dopo una breve malattia,
morì – Raeli seguì con attenzione la politica europea e valutò le posizioni
assunte via via dai patrioti esuli, anche quelle di chi aveva scelto di riparare
in Piemonte e in Toscana: i democratici radicali imputarono ai moderati il
fallimento della rivoluzione del 1848, ma Raeli si tenne fuori dalle polemiche
e riscosse la stima generale, avvantaggiato anche dal suo ruolo di segretario
e poi di eminenza grigia di Ruggero Settimo. L’affiliazione di Raeli alla
massoneria, da sempre nel netino considerata una certezza, ma non fondata
su fonti certe, sembra confermata da recenti ricerche che hanno portato al
ritrovamento, nella Biblioteca comunale Principe di Villadorata di Noto, del
brevetto di maestro datato «g. 17 del mese 11.esimo anno della vera luce
5848» (17 gennaio 1849), per la loggia significativamente intitolata ‘I
Rigeneratori del 12 gennaio 1848’, dell’Oriente di Palermo, guidata dal
maestro venerabile Andrea Mangeruva.
Da Malta, appena qualche settimana dopo lo sbarco dei garibaldini a Marsala,
con Nicola Fabrizi e altri esuli, alcuni dei quali massoni, preparò ai primi di
giugno del 1860 la spedizione e lo sbarco a Pozzallo di una trentina di
giovani.
Dall’estremo sud della Sicilia organizzò i ‘Cacciatori del Faro’ (circa 300
giovani siciliani) per liberare parte della Sicilia orientale dai soldati borbonici.
Tra giugno e luglio forse si recò a Genova per confermare definitivamente
la scelta politica annessionistica e il netto rifiuto dell’ipotesi indipendentista.
Assunse la carica di presidente del Comitato di azione di Noto; alla fine
dell’anno fu per circa un mese consigliere per la Giustizia di Massimo
Cordero di Montezemolo, luogotenente generale del re per la Sicilia. Il 27
gennaio 1861 fu eletto deputato nel collegio di Noto. Agli elettori che lo
votarono in massa (su un totale di 770 votanti ottenne 693 preferenze) così
presentò il suo programma politico, collegandosi ai risultati del plebiscito e
all’indizione delle elezioni: «Questi due atti formano il patto fondamentale
tra l’Italia e la dinastia dei Savoia; e la stretta osservanza di questo patto è, e
sarà, la mia norma […]. Abbiamo voluto l’Italia una e indivisibile […].
Abbiamo voluto Vittorio Emanuele Re costituzionale e suoi legittimi
discendenti: dobbiamo quindi consolidare la monarchia costituzionale,
perché si abbia forza sufficiente a combattere lo straniero nemico d’Italia, e
ad assicurare l’ordine interno, senza il quale non può godersi della libertà»
(M. Raeli, Ai cittadini del Collegio elettorale di Noto, in L’Italiano, a. II, n. 2, 19
gennaio 1861).
PUBBLICITÀ
Si dimise da deputato nel settembre del 1863 perché nominato procuratore
generale della corte d’appello di Trani. In Puglia si batté per il richiamo dei
magistrati ingiustamente destituiti a seguito dell’Unità.
Il 3 settembre 1865 fu nominato consigliere di Stato, ma assunse le funzioni
solo a dicembre perché nel frattempo (fino al 17 dicembre) fu chiamato dal
ministro Giuseppe Natoli a reggere la segreteria generale del ministero
dell’Interno. In questa veste si impegnò per la costituzione di una rete di
protezione civile in occasione dell’epidemia di colera, cercò di interrompere
e di ostacolare la prassi secondo cui le prefetture si attivavano in occasione
delle elezioni per i candidati ‘ministeriali’ e cominciò a conoscere da vicino i
problemi inerenti ai rapporti tra Stato e Chiesa, alla disciplina delle
corporazioni religiose e all’assetto dell’asse ecclesiastico. Nell’ambito delle
funzioni esercitate nella sezione I del Consiglio di Stato, Raeli fu chiamato a
occuparsi, tra l’altro, dello sfruttamento delle miniere di ferro dell’isola
d’Elba concesse dallo Stato alla società Bastogi.
Venne rieletto al Parlamento nelle elezioni suppletive del dicembre 1865 per
il collegio di Molfetta e poi, nel 1867, per il collegio di Caltagirone; ancora
nel 1870, per il collegio di Noto, e nel 1874 per quello di Agnone. Da
deputato, fu componente della commissione d’inchiesta sul brigantaggio.
Nel 1866 il ministro della Giustizia Giovanni De Falco gli affidò l’incarico
di presidente relatore nella commissione che aveva il compito di esaminare
il progetto di legge per la soppressione delle corporazioni religiose già
predisposto dai ministri Paolo Cortese (Giustizia) e Quintino Sella (Finanze)
e parzialmente modificato da De Falco, successore di Cortese: con il
progetto, approvato con r.d. 7 luglio 1866, tutte le corporazioni religiose
furono soppresse e i loro beni, a eccezione di parrocchie, chiese e annessi,
devoluti al demanio, con l’obbligo di iscrivere sul Gran Libro del Debito
pubblico una rendita a favore del fondo per il Culto, uguale al 5% della
somma ricavata dall’incameramento; un assegnamento annuo, secondo una
tabella contenuta nella legge che teneva conto dello status, dell’età e dello
stato di salute del religioso, era dovuto ai religiosi e alle religiose, anche degli
ordini mendicanti. Una legge avrebbe stabilito le modalità di alienazione dei
beni. Nel dibattito parlamentare, comprensibilmente scandito da toni aspri,
Raeli difese con fermezza le soluzioni adottate nella proposta: «L’Italia ha in
se stessa il genio del bello e del sublime sia nella religione, sia nella libertà,
sia nelle arti, sia nelle scienze […]. Si dice bisogna anche del romanticismo
per dare anima ai monumenti e questo romanticismo per Montecassino
consiste nei monaci che lo abitano […]. Ma questo non basta per legittimare
la conservazione di quei monaci; l’Italia ha bisogno far della storia e attendere
alla realtà, senza abbandonarsi all’entusiasmo di prime impressioni» (Regno
d’Italia, Camera dei deputati, IX legislatura, I sessione, tornata del 9 giugno
1866). Raeli ebbe inoltre costantemente presente il nesso tra la legge che si
stava approvando e la necessità che lo Stato assumesse la titolarità diretta
della funzione assistenziale, finora svolta dai circuiti di matrice cattolica.
La stessa fermezza e risolutezza Raeli mostrò quando, dopo la breccia di
Porta Pia – ormai da ministro guardasigilli nel ministero Lanza dal dicembre
del 1869 – fu con Emilio Visconti Venosta, Quintino Sella e Ruggero
Bonghi, un protagonista del complesso processo che si concluse con
l’approvazione della legge delle Guarentigie (13 maggio 1871, n. 214) per
regolare unilateralmente i rapporti tra Stato e Chiesa. Qui va ricordato che
Raeli, come testimoniano le lettere spedite durante l’esilio maltese alla figlia
Peppinella, era animato da una forte e radicata fede cristiana; il suo credo
religioso non gli impediva, però, da legislatore, di assumere posizioni nette,
improntate a realismo e concretezza: «io credo che dopo la legge del 30
dicembre 1870, come non è il caso di poter discutere se si debba ovvero no,
trasferire a Roma la capitale, così non si possa né si debba discutere sulle basi
sulle quali il progetto attuale poggia, cioè di conservarsi al pontefice
l’inviolabilità, la dignità e le prerogative di sovrano, di garantire la sua
indipendenza e il libero esercizio del potere spirituale della Santa Sede […].
Io sarei certo imprudente, direi quasi ridicolo se venissi a ricordarvi che le
nazioni non vivono nell’isolamento, che l’isolamento è proprio delle nazioni
selvagge, le quali non hanno rapporti fra esse […]. Ora signori, siccome noi
non possiamo imporre ai cattolici […] una credenza diversa da quella che
essi hanno, voi comprenderete che noi non possiamo supporre che essi
potessero accettare […] il principio, l’idea che si vuole da alcuni mettere
avanti, che, quando noi abbiamo fatto cessare il potere temporale, avremmo
anche dovuto far cessare le istituzioni del Papato […]. Noi dobbiamo ed
abbiamo a buona ragione promesso di guarentire al Sommo Pontefice quella
dignità ed indipendenza delle sue funzioni nell’ordine religioso per
riassicurare le coscienze, non solo dei nostri connazionali cattolici, ma
ancora degli stranieri, che saran condotti, diretti, nell’insegnamento della
fede da un uomo che possa essere indipendente da ogni soggezione verso
un potentato straniero, qualunque si sia» (Regno d’Italia, Camera dei
deputati, XI legislatura, I sessione, tornata del 27 gennaio 1871).
Morì a Noto il 26 novembre 1875.
Fonti e Bibl.: C. Ivaldi, R., M., in Il Consiglio di Stato nella storia d’Italia. Le
biografie dei magistrati (1861-1948), a cura di G. Melis, I, Milano 2006, pp. 230239;
S.A.
Granata, La
voce
della
Nazione.
M.
R.
in
Parlamento, in M. Raeli, Discorsi parlamentari (1861-1874), Acireale-Roma
2013, pp. 7-54; M. R., L’uomo, il patriota, lo statista, a cura di G. Barone,
Acireale-Roma 2014.