Nothing Special   »   [go: up one dir, main page]

Academia.eduAcademia.edu

La storiografia italiana e i documenti del processo a Giordano Bruno

2018, Tesi triennale in Lettere L-10 - Andrea Antonelli

Il tema centrale di questa tesi è il rapporto tra storiografia e conoscenza delle fonti nelle ricostruzioni della vicenda processuale di Giordano Bruno compiute da autori italiani. Nell’affrontare quest’argomento, si è operata una macro-divisione della tesi in due parti: la prima riassume la vita e le vicissitudini del filosofo nolano, la seconda si occupa prettamente dei documenti processuali bruniani. Alla base di questo testo vi è la curiosità ispirata dal mito di Giordano Bruno. Una figura che ha da sempre diviso in due posizioni fortemente antitetiche che chiunque, nell’affrontare questa personalità di non facile interpretazione, ha riscontrato. Da una parte troviamo gli storici filo-cattolici, che hanno sempre parlato del nolano come di un eretico, apostata, irreligioso e blasfemo, pronti a difendere l’operato dell’Inquisizione giustificato in chiave storicistica; essi, inoltre, hanno dato una valutazione negativa della filosofia bruniana, che hanno considerato caotica, confusa e di difficile comprensione. Dall’altra parte troviamo invece gli anticlericali, che hanno elevato Bruno sia a eroe della libertà del pensiero laico, sia a martire giustiziato da un’istituzione spietata che non aveva, al tempo, compreso e accettato lo sviluppo della società che avrebbe prodotto inevitabili cambiamenti culturali e (a partire dall’avanzamento scientifico e il progressivo sostituirsi della scienza con la religione come portatrice della verità). La tesi è nata da questa curiosità e si è basata su indagini più equilibrate condotte da studiosi, soprattutto storici e giuristi, che affrontarono, e tutt’oggi affrontano, il caso Bruno senza attribuire necessariamente al nolano delle caratteristiche etico-morali, politiche, religiose e culturali che non gli appartenevano e soffermandosi sul valore della sua personalità all’interno del contesto storico e culturale dell’epoca.

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI URBINO CARLO BO DIPARTIMENTO DI STUDI UMANISTICI CORSO DI LAUREA: SCIENZE UMANISTICHE. DISCIPLINE LETTERARIE, ARTISTICHE E FILOSOFICHE TITOLO: La storiografia italiana e i documenti del processo a Giordano Bruno Italian Historiography and the documents of the Inquisition trial against Giordano Bruno Relatore: Chiar.mo Prof. Tesi di laurea di: GUIDO DALL’OLIO ANDREA ANTONELLI ANNO ACCADEMICO 2018 - 2019 Pagina 1 Indice tesi 1 Introduzione 2 Parte prima 2.1 Capitolo n.1 – Biografia di Giordano Bruno: gli inizi 2.2 Capitolo n.2 – Il periodo europeo 2.3 Capitolo n.3 – La scelta del ritorno in Italia 2.4 Capitolo n.4 – Il processo veneziano 2.5 Capitolo n.5 – Trasferimento e processo a Roma 3 Parte seconda 3.1 Capitolo n.6 - L'indagine storico-documentaria sulla vicenda di Giordano Bruno: dal 1600 a Napoleone 3.2 Capitolo n.7 - L'indagine storico-documentaria sulla vicenda di Giordano Bruno: dall’oblio alla graduale riscoperta 3.3 Capitolo n.8 – Documenti ritrovati da Domenico Berti 3.4 Capitolo n.9 – Nuovi documenti processuali editi da Vincenzo Spampanato 3.5 Capitolo n.10 – Angelo Mercati e la scoperta del Sommario 3.6 Capitolo n.11 – Gli ultimi reperti: i documenti trovati da Luigi Firpo e Diego Quaglioni 3.7 Capitolo n.12 - Capitolo 12 – Germano Maifreda e la direzione delle nuove ricerche documentarie 4 Conclusione 5 Bibliografia conclusiva Pagina 2 Introduzione Il tema centrale di questa tesi è il rapporto tra storiografia e conoscenza delle fonti nelle ricostruzioni della vicenda processuale di Giordano Bruno compiute da autori italiani. Nell’affrontare quest’argomento, si è operata una macro-divisione della tesi in due parti: la prima riassume la vita e le vicissitudini del filosofo nolano, la seconda si occupa prettamente dei documenti processuali bruniani. Alla base di questo testo vi è la curiosità ispirata dal mito di Giordano Bruno. Una figura che ha da sempre diviso in due posizioni fortemente antitetiche che chiunque, nell’affrontare questa personalità di non facile interpretazione, ha riscontrato. Da una parte troviamo gli storici filo-cattolici, che hanno sempre parlato del nolano come di un eretico, apostata, irreligioso e blasfemo, pronti a difendere l’operato dell’Inquisizione giustificato in chiave storicistica; essi, inoltre, hanno dato una valutazione negativa della filosofia bruniana, che hanno considerato caotica, confusa e di difficile comprensione. Dall’altra parte troviamo invece gli anticlericali, che hanno elevato Bruno sia a eroe della libertà del pensiero laico, sia a martire giustiziato da un’istituzione spietata che non aveva, al tempo, compreso e accettato lo sviluppo della società che avrebbe prodotto inevitabili cambiamenti culturali e (a partire dall’avanzamento scientifico e il progressivo sostituirsi della scienza con la religione come portatrice della verità). La tesi è nata da questa curiosità e si è basata su indagini più equilibrate condotte da studiosi, soprattutto storici e giuristi, che affrontarono, e tutt’oggi affrontano, il caso Bruno senza attribuire necessariamente al nolano delle caratteristiche etico-morali, politiche, religiose e culturali che non gli appartenevano e soffermandosi sul valore della sua personalità all’interno del contesto storico e culturale dell’epoca. Con questa tesi si è cercato di vedere come la strumentalizzazione della figura di Bruno sia stata superata, per approdare alla ricerca delle fonti e a un giudizio, per quanto possibile, oggettivo e imparziale. Per poterlo fare, la tesi si fonda sulle biografie, testi e documenti scritti da studiosi che si sono occupati di Giordano nel corso del tempo. La base della ricerca, dunque, è costituita dai testi di Domenico Berti, Angelo Mercati, Vincenzo Spampanato e Luigi Firpo, cioè dagli autori che, con le loro indagini documentarie, hanno dato un fondamento scientifico alle ricerche. A questi testi ho affiancato risorse da siti web, per avere un quadro generale più aggiornato e imparziale possibile della vicenda bruniana. Partendo da queste fondamenta, per prima cosa si è proceduto a stilare una biografia del personaggio cercando di delineare non solo le sue tantissime vicende (viaggi, opere, incontri, ecc.), ma anche, in parte, le sue idee filosofiche. Dopo aver concluso la parte biografica, si è infine proceduto a tracciare l'evoluzione degli studi, in relazione soprattutto alla scoperta di nuovi documenti relativi alla vicenda giudiziaria del Bruno. Pagina 3 Capitolo 1 – Biografia di Giordano Bruno: gli inizi “Io ho nome Giordano della famiglia di Bruni, della città de Nola vicina a Napoli dodeci miglia, nato et allevato in quella città, et la professione mia è stata et è di littere e d’ogni scientia; […] et nacqui, per quanto ho inteso dalli mei, dell’anno ’481”. Come afferma Domenico Berti nel Giordano Bruno da Nola, sua vita e sua dottrina, Torino, Paravia 1889 (prima ed. 1868), a 10 o 11 anni Giordano Bruno (al secolo Filippo) si trasferì da Nola a Napoli per studiare le humanae litterae, la logica e la dialettica sotto il maestro Giovan Vincenzo Colle detto “il Sarnese” (le cui lezioni frequentava pubblicamente e da cui apprese l’aristotelismo che, successivamente, rinnegò in gran parte) e in privato sotto la guida di fra Teofilo da Vairano. Raggiunti i 14 o 15 anni, il giovane decise di dedicarsi alla vita ecclesiastica, più precisamente entrò nell’ordine domenicano. Infatti, racconta lui stesso durante il processo veneziano a suo carico, di aver preso “l’habito de San Dominico nel monasterio o convento de San Dominico in Napoli; et fui vestito da un padre, che era all’hora prior de quel convento, nominato maestro Ambrosio Pasqua; et finito l’anno de probatione, fui admesso da lui medesimo alla professione2”. Come avvisa lo Spampanato3, tale affermazione non è da prendersi come verità assoluta; infatti, tradito dalla memoria o non ben compreso dall’Inquisizione, Giordano anticipò di alcuni anni il suo ingresso in convento. Ingresso che invece avvenne all’età di 17 anni, nell’anno 1565 come novizio e infine nel 1566 come frate professo, cambiando il suo nome di battesimo da Filippo a Giordano. Tra i domenicani, il nolano proseguì i suoi studi filosofici e letterari; infatti la motivazione che lo spinse a indossare l’abito dell’ordine fu probabilmente la possibilità di proseguire gli studi protetto dalle istituzioni ecclesiastiche. La città partenopea nella seconda metà del Cinquecento attraversava la fase tarda del Rinascimento4). Dal punto di vista filosofico, Bruno riprende le idee della generazione precedente di pensatori e filosofi, come il vitalismo cosmico (per cui l’intero universo e la stessa natura possiedono forza e vitalità spirituale intrinseca, dunque risultano vive agli occhi del filosofo). Egli raccolse in particolare gli insegnamenti e le dottrine di Niccolò Cusano e Marsilio Ficino. Dal primo riprese l’idea dell’infinità dell’universo, l’assenza di un centro fisso universale, la tolleranza nei confronti della diversità delle religioni, dal secondo soprattutto il neoplatonismo5. Come ricorda Ciliberto6, poi, attraverso gli scritti di Pietro Ravennate Bruno s’interessò all’arte della memoria. Il suo animo ribelle, curioso e antidogmatico non tardò a manifestarsi. Infatti, durante il periodo di studi domenicani, il ragazzo incontrò gli scritti e i pensieri di Erasmo da Rotterdam. Bruno ne riprese il gusto per il “rovesciamento” dei valori del mondo. Tali concetti furono poi rielaborati dal giovane frate, così all'esigenza del ritorno alle origini della Chiesa Cattolica espressa da Erasmo Bruno finì col contrapporre la necessità della totale distruzione della “religione asinina e pedantesca di Paolo e Cristo7”. Il punto di partenza erasmiano (e non già le sue conseguenze ultime) si rese evidente quando, nel 1576, Giordano fu al centro di ben due processi interni all’ordine Domenicano a Napoli; uno per “haver dato via certe figure et imagine de’ sancti et retenuto un crocifisso solo, essendo per questo imputato de sprezzar 1 Luigi Firpo (a cura di Diego Quaglioni), Il processo di Giordano Bruno, Salerno editrice, Roma 1998 (ristampa ed. 1949), pag.156 2 Firpo (a cura di Quaglioni), Processo, pag. 156 3 Vincenzo Spampanato, Vita di Giordano Bruno, Principato, 1921 (prima edizione), pag. 80-81 4 https://it.wikipedia.org/wiki/Regno_di_Napoli#Periodo_della_dinastia_aragonese 5 https://it.wikipedia.org/wiki/Filosofia_rinascimentale#Vitalismo_cosmico 6 Michele Ciliberto, Giordano Bruno, Gius, Editori Laterza, 1990 (prima edizione), pagg. 8-11 7 Ibid., pagg. 8-11 Pagina 4 le imagini de’ sancti” mentre l’altro fu causato dal suo “haver detto a un novitio che leggeva l’Historia delle sette allegrezze in versi, che cosa voleva far de quel libro, che lo gettasse via, et leggesse più presto qualche altro libro, come è la Vita de’ santi Padri8”. ricordiamo che al tempo del frate i testi erasmiani erano elencati tra le opere censurate dall’Inquisizione). Sempre in questo periodo il frate maturò i suoi dubbi religiosi sotto influenze filo-ariane e anti-trinitarie che, sommate ai due processi, lo portarono a maturare la decisione di andarsene a Roma prima che un suo confratello lo denunciasse per eresia nel 15769. “Partitosi dunque occultamente da questa città, che più non doveva rivedere, ed alla quale portò ognora vivissimo affetto, prese la via di Roma, dove appena giunto si presentò al convento della Minerva, che apparteneva al suo ordine 10”. La fuga però aggravò i sospetti sul suo conto, tanto che, sempre secondo il Berti, pochi giorni dopo il suo arrivo nella Città Eterna egli venne informato dai suoi confratelli napoletani che le carte del processo a suo carico erano state spedite a Roma. La situazione inoltre si aggravò a causa sia del ritrovamento di alcuni libri proibiti che il frate aveva letto e poi gettato via prima della sua partenza, sia dell’accusa di aver ucciso e gettato nel Tevere un suo confratello11. Bruno dunque, temendo il peggio, fuggì nuovamente nel 1576 abbandonando anche il suo abito domenicano; così ritornò a essere semplicemente Filippo. Provvisoriamente "sfratato", egli iniziò le sue peregrinazioni nell’Italia Settentrionale alla ricerca di un sostegno economico che però non trovò mai. Come lui stesso dichiarò nel suo secondo costituto veneziano, si recò dapprima a Noli, dove insegnò grammatica come precettore per alcuni mesi. In seguito soggiornò brevemente a Savona e a Torino prima di recarsi a Venezia, dove fece stampare la sua prima opera dal titolo De’ segni de’ tempi (non giunta sino a noi) per cercare di guadagnare qualcosa. Poi andò a Padova dove alcuni suoi confratelli lo convinsero “a ripigliar l’habito, quando bene non havesse voluto tornar alla religione, parendoli che era più conveniente andar con l’habito che senza; et con questo pensiero continua il Bruno - andai a Bergamo (Secondo costituto , Venezia 30 maggio 1592)12”. Qui si fece cucire un nuovo saio in concomitanza con il ritorno nell’Ordine, infine decise di scavalcare le Alpi per arrivare a Lione e intanto fuggire dall’Italia, ormai un paese a lui ostile dove avrebbero potuto processarlo e metterlo in carcere. 8 Firpo (a cura di Quaglioni), Processo, pag. 156 https://it.wikipedia.org/wiki/Giordano_Bruno#In_convento 10 Berti, Giordano, pag 45 11 https://it.wikipedia.org/wiki/Giordano_Bruno#La_fuga_da_Napoli 12 Firpo (a cura di Quaglioni), Processo, pag.160 9 Pagina 5 Capitolo 2 – Il periodo europeo Intenzionato a lasciare il suolo italico come fuggiasco, Bruno intraprese la via oltralpe verso Lione. Viaggiando tra Francia, Svizzera, Inghilterra, Boemia e Germania, il frate domenicano attraversò uno dei periodi più produttivi della sua intera vita. Soggiornò, infatti, alle corti d’imperatori, principi e re, tenne letture e lezioni presso varie facoltà universitarie, incontrò molte personalità, accademiche e non, che lo stimolarono a elaborare in maniera più completa il suo pensiero filosofico e teologico. Scrisse la maggior parte delle sue opere proprio in questo periodo. Fu però spesso cacciato dai luoghi che frequentò a causa dei dissidi perlopiù causati dal suo carattere ribelle o dalle sue teorie innovative. Per esempio, nel periodo francese, Giordano avviò la ricerca dei principi cardine del suo pensiero. Essi verranno poi pienamente sviluppati, durante il periodo anglosassone, nella moltitudine di testi scritti tra il 1583 e il 1858; ad esempio la Cena delle ceneri, il De la Causa, principio et uno, il De infinito, universo e mondi, lo Spaccio de la bestia trionfante, la Cabala del cavallo pegaseo con l’aggiunta dell’Asino cillenico, gli Eroici Furori, etc1. Sempre secondo Michele Ciliberto in Giordano (pag.29), in Inghilterra Bruno riuscì a portare a “compimento quell’opera di dissolvimento del cristianesimo di cui aveva posto le basi fin dagli anni del convento, intrecciando, in modo originale, la lezione di Ario e quella di Erasmo”. Tra Parigi e Francoforte, il frate nolano introdusse nei suoi scritti innovamenti e mutamenti “che muovono dal nocciolo speculativo messo a fuoco tra il 1582 e il 18582”, in particolare introducendo e in seguito sviluppando la tematica di carattere magico. Il pensiero di Bruno dunque maturò e si definì proprio nel suo “pellegrinaggio” europeo; probabilmente grazie alle nuove culture, società e religioni con cui dovette confrontarsi, oltre alle personalità del tempo che incontrò lungo il suo cammino. Inoltre, una volta entrato in Savoia nel 1578, decise di soggiornare a Chambéry dove si fermò presso un convento domenicano. Lì un suo confratello, come rammenta Luigi Firpo, gli ricordò (quasi profeticamente potremmo dire) che “Avertite che non trovarete in queste parti amorevolezza de sorte alcuna, e come più andarete inanzi ne trovarete manco”3. Al che il nolano decise di dirigersi verso Ginevra e lì incontrò il marchese napoletano Gian Galeazzo Caracciolo che, interessatosi a lui, lo persuase nuovamente a “demetter quell'habito ch'io havevo, pigliai quei panni et me feci far un paro di calce et altre robbe; et esso Marchese con altri Italiani mi diedero spada, capello, cappa et altre cose necessarie per vestirme, et procurorno, acciò potesse intertenermi, de mettermi alla correttione delle prime stampe (Secondo costituto del Bruno, Venezia 30 maggio 15924)”. Qui entrò all'università ginevrina e dopo pochi mesi attaccò duramente il professore de la Faye. 1 Ciliberto, Giordano, pag. 29 2 Ibid., pag. 196 3 Firpo (a cura di Quaglioni), Processo, pag. 160 4 Ibid., Processo, pag.160 Pagina 6 Intanto aderì al calvinismo, per pura convenienza e così poi fece in tutte le nazioni dove soggiornò; infatti Bruno in realtà fu indifferente alle varie confessioni religiose e vi aderì effettivamente soltanto finché esse non erano in contrasto con le sue teorie filosofiche e con la possibilità di divulgarle.5 L'attacco al professore non rimase impunito; infatti, come riporta lo Spampanato6, la legge ginevrina condannava con la prigione e un'ammenda chiunque attaccasse un professore universitario o un magistrato. Bruno fu rimesso in libertà dopo pochi giorni pagando una piccola multa, date le ristrettezze economiche in cui si trovava . Dopo aver constatato l'intolleranza calvinista, il nolano decise di abbandonare Ginevra e il calvinismo per andare in Francia; siamo nel 1579. Egli decise di riprendere il suo viaggio verso Lione, abbandonato due anni prima dopo il soggiorno a Chambéry. Dopo pochi mesi se ne andò a Tolosa, causa la mancanza di entrate economiche per la sua sussistenza. In quella città, infatti, c'era , “uno Studio famoso; […] Et in questo mezo essendo vacato il luoco del lettor ordinario di filosofia di quella città, il quale si dà per concorso, […] mi presentai al detto concorso, et fui admesso et approbato; et lessi in quella città doppoi, doi anni continui, il testo de Aristotele De anima et altre lettioni de filosofia”.7 Nel 1581 abbandonò Tolosa (in tumulto a causa della guerra intestina tra cattolici e ugonotti) e approdò a Parigi, dove tenne delle lezioni sugli scritti di San Tommaso d'Aquino. Giunta voce al re Enrico III della mnemotecnica del nolano, ovvero l'insieme di regole e metodi adoperati per memorizzare rapidamente e più facilmente informazioni difficili da ricordare, lo chiamò a corte e venne istruito da quest'ultimo sulla scienza lulliana, ovvero la capacità di risolvere ogni problema con precisione matematica; partendo dal presupposto che ogni proposizione sia riducibile a termini e i termini complessi siano riducibili a più termini semplici o princìpi. Supposto di aver completato il numero di tutti i termini semplici possibili e combinandoli in tutti i modi possibili, alla fine si otterranno tutte le proposizioni vere possibili: nasce così l'arte combinatoria, anche come forma di mnemotecnica, in quanto facilita la memorizzazione delle nozioni di base8. “ Et dopo questo – ricorda Giordano nel Secondo costituto del processo veneziano9- feci stampar un libro sotto titolo De umbris idearum, il qual dedicai a Sua Maestà; et con questa occasione mi fece lettor straordinario et provisionato; et seguitai in quella città a legger, come ho detto, forsi cinqu'anni”. In questo periodo abbiamo le prime opere pervenuteci del filosofo e scrittore di Nola; ovvero l'Ars memoriae, il già citato De umbris idearum, il Cantus circaeus e la commedia in volgare dal titolo Candelaio10. Dopo il 5 https://it.wikipedia.org/wiki/Giordano_Bruno#In_Savoia_e_a_Ginevra 6 Spampanato, Vita, pag. 295 7 Ciliberto, Giordano, pag. 161 8 https://it.wikipedia.org/wiki/Raimondo_Lullo#La_filosofia_e_la_teologia 9 Ciliberto, Giordano, pag. 162 10 https://it.wikipedia.org/wiki/Giordano_Bruno#In_Francia Pagina 7 soggiorno parigino, infatti, ancora una volta a causa delle guerre civili , il filosofo nel 1583 si recò in Inghilterra, dove fu presentato all'ambasciata francese a Londra da una lettera dello stesso Enrico III. Qui scrisse il Sigillus Sigillorum e fa domanda come professore a Oxford. La sua richiesta fu accettata, così Giordano tenne alcune lezioni riguardo alla teoria copernicana (probabilmente studiata e approfondita nel suo trascorso francese). Le sue teorie furono però accolte malamente in uno dei centri accademici del tempo e così fu costretto a ritornare a Londra. Nel periodo compreso tra 1584 e 1585, vennero alla luce i più importanti testi bruniani, in concomitanza con il secondo soggiorno all'ambasciata francese e all'incontro con la stessa “diva” ovvero la regina Elisabetta I. Infatti questi sono i due anni in cui stampò La cena delle ceneri; De la causa, principio et uno; De l'infinito, universo et mondi; Spaccio de la bestia trionfante; Cabala del cavallo pegaseo con l'aggiunta dell'Asino cillenico e De gli eroici furori.11 Sempre nel 1585, il frate nolano ritornò in Francia poiché l'ambasciatore, presso il quale soggiornava, fu richiamato dallo stesso re francese. Alla corte parigina Bruno però rimase solo un anno; sempre a causa dei tumulti religiosi egli decise di trasferirsi in Germania. Prima visitò Magonza e Wiesbaden, ma non trovando nulla di interessante, si spostò a Wittenberg dove, grazie a un suo conoscente, entrò nell'università della città e vi rimase a insegnare per due anni. Poi nel 1588, a causa di cambiamenti della guida politico-religiosa della città, abbandonò la cattedra e si diresse a Praga, alla corte imperiale di Rodolfo II d'Asburgo. Qui cercò l'approvazione dell'imperatore intitolandogli pure un trattato di geometria, il Articuli centum et sexaginta adversus huius tempestatis mathematicos atque philosophos, ma senza successo. Infatti dopo appena sei mesi decise di allontanarsi dalla corte imperiale di Praga e si iscrisse all'Università chiamata “Academia Julia” a Helmstedt nel gennaio del 1589. Il suo soggiorno all'università durò solamente un anno; infatti venne scomunicato dalla Chiesa luterana della città e costretto ad abbandonarla. Bruno dunque nel corso di poco più di 40 anni di vita e con ben oltre 6000 km percorsi in Europa, viene scomunicato dalle maggiori confessioni cristiane; ovvero la cattolica, la calvinista e la luterana. Il frate , nel Secondo costituto veneziano (30 maggio 1952), afferma che “me ne partì [da Helmstedt] et andai a Francoforte a far stampare doi libri, uno De minimo etc., et l’altro De numero, monade et figura etc. Et in Francoforte son stato da sei mesi circa, alloggiando al convento de’ Carmelitani [i quali, per privilegio concesso da Carlo V nel 1531, non erano soggetti alla giurisdizione secolare12], luogo assignatomi dal stampator, il quale era obligato darmi stantia”. Bruno però, costantemente attirato dall’insegnamento universitario, decise di accettare l’invito da parte di un nobile di Zurigo e qui tenne lezioni per circa quattro o cinque mesi prima di ritornare nella città tedesca sul Meno.13 Le sue peregrinazioni extraitaliche finirono con l’incontro avvenuto proprio a Francoforte con 11 Spampanato, Vita, pag. 162 12 https://it.wikipedia.org/wiki/Giordano_Bruno#A_Francoforte 13 https://it.wikipedia.org/wiki/Giordano_Bruno#In_Svizzera_e_di_nuovo_a_Francoforte Pagina 8 l’editore Ciotti. Egli infatti portò la lettera del nobile veneziano Giovanni Mocenigo che, avendo letto il De minimo bruniano, lo invitava presso di lui per insegnargli l’arte della mnemotecnica. Questo fu il punto di svolta dell’intera vicenda di Giordano Bruno, il punto di non-ritorno della sua storia personale. Una vicenda che lo vide precipitare prima nell’arresto, poi nel processo veneziano a suo carico, infine nel processo romano e la sua esecuzione a Campo de’ Fiori. Infatti dal soggiorno presso casa Mocenigo in poi, Bruno affrontò per ben due volte l’Inquisizione (quella veneziana e quella centrale romana) dopo essere stato denunciato tre volte dal suo “protettore” e allievo. Nel periodo compreso tra 1592 e 1600 ci fu quindi la svolta discendente della parabola biografica bruniana tra cui vanno sicuramente ricordati anche i nove anni di prigionia prima, appunto, della sua morte. Pagina 9 Capitolo 3 – La scelta del ritorno in Italia Le motivazioni e le ipotesi redatte dagli studiosi riguardo al ritorno in Italia di Giordano Bruno nell’anno 1591 sono molteplici, ma non abbastanza esaurienti. Non si riesce, infatti, a comprendere quale sia la ragione principale per cui un fuggitivo scomunicato dalle maggiori chiese cristiane del tempo sia ritornato in Italia dopo molti anni passati in Europa proprio per sfuggire ai suoi detrattori cattolici (non credo sia un caso che il frate nolano non sia andato in Spagna, paese da sempre cattolico e con la presenza di una delle più rigide Inquisizioni di tutta Europa). Le ipotesi più verosimili sono state avanzate da Michele Ciliberto nell’opera Bruno; lo studioso ritiene che le cause siano da ricercare in primo luogo nell’idea propria bruniana di essere un riformatore della religione e Chiesa cattolica a lui contemporanea1. A sostegno di questa tesi si può addurre pure l’appellativo di “Mercurio” che Bruno stesso si autoassegna all’interno dell’opera parigina De umbris idearum, trattato filosofico del 1582 composto durante il soggiorno alla corte francese, in cui il filosofo s’identificava in un messaggero-profeta del Divino sceso in terra ad annunciare la “nova filosofia” e a riformare il cattolicesimo. Inoltre in quel preciso frangente storico abbiamo l’elezione del Papa Clemente VIII, su cui il nolano nutriva grandi speranze, tanto da definirlo così: “Questo papa è un galant’huomo perché favorisce i filosofi e posso ancora io sperare d’esser favorito, e so che il Patritio [sempre il papa] è filosofo2”. Ipotesi rinforzata dalla deposizione nel processo veneto di fra’ Domenico da Nocera, un suo confratello domenicano, il quale aveva sentito dal Bruno la sua intenzione di comporre un libro in onore di Clemente VIII per entrare nelle sue grazie, oltre a ottenere l'assoluzione dalla scomunica, e in seguito trasferirsi a Roma per mostrare e far impiego delle sue virtù intellettive presso la corte papale (Deposizione di fra’ Domenico da Nocera, Venezia 31 maggio 15923). Un’altra ipotesi, sempre sostenuta da Ciliberto (che riprende in parte quella precedente del Gentile4), è quella del Bruno che ritorna in Italia con la speranza di ottenere la cattedra di matematica all’università di Padova, cattedra che infine sarà assegnata a Galileo Galilei. Abbiamo poi l’ipotesi di stampo politico; in quel periodo, infatti, era in atto l’ascesa al potere francese di Enrico IV di Navarra (successore di Enrico III) alla quale corte Bruno fu introdotto. Nei confronti del re francese, Giordano riponeva una grande fiducia poiché credeva nel regnante come il simbolo e la speranza dell’aprirsi di nuovi tempi fecondi per una riforma generale in campo politico (e forse anche religioso, si veda l’Editto di Nantes del 15985). Dal punto di vista personale invece, la scelta di Bruno può essere spiegata come un tentativo di stabilirsi nell’ultima “roccaforte” in cui i suoi nemici non avrebbero potuto 1 Ciliberto, Giordano, pag. 259 Ibidem., pag. 261 (tratto da Angelo Mercati, Il sommario del processo di Giordano Bruno, con appendice di documenti sull’eresia e sull’Inquisizione a Modena nel secolo XVI, Città del Vaticano, 1942 (prima edizione), pagg. 56-57 3 Firpo (a cura di Quaglioni), Processo, pag.165 4 Ciliberto, Giordano, pag. 259 5 Ibidem, pag.262 (tratto da Mercati, Sommario, pag.55) 2 Pagina 10 seguirlo. Infatti, sul finire del Cinquecento, Venezia si presentava come una città autonoma e sicura dal punto di vista religioso (nonostante la presenza dell’Inquisizione) oltre ad essere ormai uno dei pochi luoghi in cui Bruno non sarebbe stato perseguitato (le tre scomuniche, rispettivamente cattolica, calvinista e luterana, non gli permettevano più di risiedere, in sostanza, nel 70% del territorio europeo; tutto questo senza contare le varie inimicizie che il frate creò e poi si trascinò tra le università ). A quest’ultima congettura si potrebbe collegare quella (più fantasiosa che scientifica) avanzata da Guido del Giudice nell’opera letteraria Io dirò la verità: Intervista a Giordano Bruno, Di Renzo Editore, Roma, 2012 (prima edizione); supposizione che vede Giovanni Mocenigo come un’esca dell’Ordine domenicano per far attirare Bruno allo scoperto e, dopo aver annotato tutte le sue idee “eretiche” grazie alla testimonianza in prima persona del nobile veneziano, di processarlo. Qualunque sia, o siano state, le motivazioni alla base della scelta bruniana di tornare in Italia (più precisamente a Venezia) per insegnare l’arte mnemonica al nobile Giovanni Mocenigo, possiamo supporre che tale decisione sia stata il risultato di più fattori di partenza. Una risoluzione che, secondo Ciliberto, “alle radici […] continuerà a presentare elementi oscuri, insondabili, che nessuna indagine storica riuscirà mai a risolvere6”. 6 Ciliberto, Giordano, pag.263 Pagina 11 Capitolo 4 – Il processo veneziano La fine della vita avventurosa e perennemente in viaggio di Giordano Bruno è datata alla sera del 22 maggio 1592. Quella stessa sera, infatti, Giovanni Mocenigo (nobile veneziano presso il quale il frate era ospitato come maestro di arti mnemoniche) lo fece rinchiudere dai suoi servi in una stanza. Da qui in poi iniziò l’ultima fase della vita di Bruno, un periodo contrassegnato dai processi e dalla prigionia che dopo ben nove anni lo portarono a Campo dei fiori. Come un personaggio dell’inferno dantesco, egli fu costretto a una sorta di pena del contrappasso. Prima di Venezia, infatti, era solito dimorare presso potenti signori, principi e imperatori, insegnare nelle università europee, viaggiare e scoprire le magnifiche città della cultura del suo tempo e, non ultimo, confrontarsi con intellettuali di tutta Europa (anche aventi campi di studio diversi dal suo). Invece dal 1592 al 1600 la sua vita trascorse in una prigione con persone ben diverse dai nobili che era solito frequentare, a pensare e scrivere sia libri sia difese da attuare in tribunale; il confronto intellettuale, questa volta, sarebbe avvenuto non con colleghi filosofi, bensì con una giuria di teologi e canonisti, che aveva il potere di decidere della sua vita. Il giorno dopo, cioè il 23 maggio 1592, l'inquisizione di Venezia ricevette la prima denuncia scritta del nobile contro Giordano1. Come riportato da Luigi Firpo (Deposizione del capitano Matteo d’Avanzo del 26 maggio 1592, pag. 148), lo stesso giorno Bruno fu prelevato da casa Mocenigo e trasportato in carcere e tutto ciò fu testimoniato dal capitano dell’arma del Santo Uffizio che dichiarò come il 26 maggio “ho retenuto Giordan Bruno da Nola, qual ho trovato in una casa[...] nella qual habita il carissimo Zuane Mocenigo, et l’ho carcerato nelle carcere del Santo Offitio”. Denuncia seguita a breve da altre due; rispettivamente del 25 e del 29 dello stesso mese (Seconda e terza denuncia di Mocenigo)2. Le accuse del nobile veneziano possono essere riassunte come attacchi rivolti sia alle posizioni filosofiche di Bruno, sia alle sue posizioni in materia di etica. "Ma", scrive Michele Ciliberto, "non si tratta in genere di accuse gratuite. Tutt'altro. Per ognuna di esse, si potrebbero individuare testi di Bruno che, punto per punto, le confermano3”. Nel frattempo il processo era iniziato; sempre il 26 maggio, infatti, ci furono le deposizioni dei librai Giovan Battista Ciotti e Giacomo Brictano. Sempre lo stesso giorno si ebbe il primo costituto del Bruno, in cui il frate nolano inizia la sua narrazione autobiografica di fronte al Santo Uffizio. Discorso che proseguì anche nel Secondo costituto4 del 30. I costituti continuarono fino al settimo5 (datato 30 luglio dello stesso anno), e furono intercalati da deposizioni di vari testimoni; le deposizioni di fra' Domenico da Nocera (31 maggio6), di Andrea Morosini (23 giugno)7 e la seconda di Giovan Battista Ciotti (sempre 23 giugno8). Considerando le denunce mossegli da Giovanni Mocenigo, si 1 Firpo (a cura di Quaglioni), Processo, pag. 143 Ibid.,pagg. 145-147; pagg. 157-159 3 Ciliberto, Giordano, pag. 265 4 Firpo (a cura di Quaglioni), Processo, pagg. 159-164 5 Ibid, pagg. 195-199 6 Ibid, pagg. 164-165 7 Ibid, pagg. 193-194 8 Ibid, pag. 195 2 Pagina 12 può evincere come il nolano avesse sempre un modo di esprimersi diretto, con schiettezza, seguendo il suo gusto nel colpire e lasciare il segno nei suoi ascoltatori che lo contraddistinse nel corso della sua vita (nelle università, nei vari ordini e confessioni religiose, etc9.). Dal secondo costituto al settimo possiamo vedere come nel difendersi Bruno sia stato “efficace, abile e persuasivo: rivendicò il carattere schiettamente filosofico della sua ricerca; respinse le accuse più grevi del Mocenigo; su alcuni punti delicati sul piano teologico riconobbe di aver «dubitato»; in altri casi scelse, con massima consapevolezza, la “via della Dissimulazione”. Difesa che consisteva nel continuare a sostenere il nocciolo dei concetti-chiave del suo pensiero (come ad esempio l’infinità dell’universo o la cosmologia vitalistica) cercando, di volta in volta, di “smussarne gli angoli più superficiali” per essere adattata al cattolicesimo e dunque poter essere infine giudicato innocente. Giordano giustificò le differenze fra le concezioni da lui espresse e i dogmi cattolici con il fatto che un filosofo, ragionando secondo «il lume naturale», può giungere a conclusioni discordanti con le materie di fede, senza dover per questo essere considerato un eretico10. Egli dunque si avvaleva del doppio livello, cioè quello filosofico e quello teologico, per potersi sottrarre ad alcune accuse mossegli in campo teologico mentre per quelle più gravi (fu accusato <<di disprezzare le religioni, di negare la Trinità, di avere opinioni blasfeme sul Cristo, di non credere alla transustanziazione>>) tentò di chiedere perdono per aver dubitato. Tale difesa fu possibile solo grazie ai pochi libri in mano agli Inquisitori veneziani (solo i De la causa, De minimo e De monade e il manoscritto delle lezioni zurighesi di Bruno allegati alla denuncia di Mocenigo11); mentre, per quanto riguarda il nucleo del suo pensiero, il nolano cercò sempre di difenderlo razionalmente e non lo rinnegò mai (seppur alcuni punti filosofici contrastassero quei dogmi religiosi che invece l’Inquisizione voleva fargli accettare “pro fide”). Nel giorno dell’ultimo costituto veneziano (30 luglio 1592) Ciliberto racconta come Giordano, in ginocchio davanti all’Inquisizione veneziana, chiedesse «umilmente perdono de tutti li errori [...] commessi» al tribunale e a Dio, supplicando i giudici, che gli «fosse dato castigo, che ecceda più tosto nella gravità del castigo, che in far dimostrazione tale pubblica, dalla quale potesse ridondare alcun disonore al sacro abito della religione che ho portato». E s’impegnò, se gli fosse stata concessa la vita, a far <<riforma notabile>> di sé, <<ché – disse- ricompenserò il scandalo che ho dato con altr’e tanta edificazione12>>. A Bruno, non essendo un eretico relapso, sarebbe toccata in sorte una conclusione del processo in un certo senso “positiva”; infatti, all’eretico, dopo la lettura pubblica della sentenza, sarebbe stato sufficiente abiurare le sue tesi eterodosse per commutare la pena capitale (inflitta dall’Inquisizione, ma effettivamente applicata dal braccio secolare) perlopiù in pene economiche o attestanti l’avvicinamento del reo all’ortodossia cattolica (es. pellegrinaggi). 9 Ciliberto, Giordano, pag. 265 10 https://it.wikipedia.org/wiki/Giordano_Bruno#Il_processo_e_la_condanna 11 http://www.treccani.it/enciclopedia/giovanni-francesco-mocenigo_(Dizionario-Biografico)/ 12 Firpo (a cura di Quaglioni), Processo, pag.267 Pagina 13 Giordano quindi era conscio della sua posizione “favorevole” rispetto alle accuse riversategli contro: era riuscito innanzitutto a non far pervenire testi in cui attaccava la Chiesa in modo diretto (es. Spaccio della bestia trionfante); poi era anche riuscito a distinguere la sua ricerca filosofica (divergente dal credo cattolico) dalla teologia cosicché i suoi risultati fossero considerati non in contrasto con quelli ufficiali del cattolicesimo; inoltre era riuscito a minimizzare le sue divergenze teologiche più gravi (es. sulla Trinità, sulla natura di Cristo, ecc.) chiedendo perdono per i suoi dubbi sui dogmi cattolici; ma soprattutto era riuscito a usare l’arte della Dissimulazione per non abiurare i punti fondamentali delle sue posizioni filosofiche e allo stesso tempo farsi discolpare (o comunque terminare il processo con esito a lui positivo). Bruno chiese infine che gli fosse risparmiata l'umiliazione dell'abiura pubblica e, il fatto che cercò di giustificare questa richiesta col disonore che ricadrebbe sull'abito domenicano, fu un pretesto per evitare una pena infamante13. Purtroppo però Bruno non fece i conti con l’Inquisizione centrale romana che, nel settembre del 1592, fece pressioni al collegio senatorio veneto per la sua estradizione a Roma dopo aver ricevuto notizia e fascicoli a suo carico riguardo la fase inquisitoria veneziana. 13 http://www.mondimedievali.net/medioevoereticale/inquisizione.html Pagina 14 Capitolo 5 – Trasferimento e processo a Roma Luigi Firpo nella sua edizione del processo di Giordano Bruno, ristampata a cura di Diego Quaglioni, riporta il decreto dell’Inquisizione di Venezia del 17 settembre 1592 dove si diceva che il frate, per volere del Cardinale di Santa Severina, doveva essere trasferito a Roma per essere processato dall’Inquisizione romana, cioè l'organismo centrale da cui dipendevano i tribunali esistenti nei vari stati italiani, inclusa la Repubblica di Venezia, e che, almeno in teoria, aveva competenza su tutto il mondo cattolico 1. Il viaggio prevedeva una tappa ad Ancona, poi Bruno sarebbe stato trasferito a Roma. Dopo poco più di dieci giorni, abbiamo un verbale2 in cui risulta la grande “premura” romana nel completare l’ordine di Santa Severina: infatti, al cospetto dell’Inquisizione veneta e del Doge, si presentò due volte nello stesso giorno un ambasciatore romano per richiedere l’estradizione del prigioniero, ma gli fu risposto di aspettare la decisione di Venezia a riguardo. Il 3 ottobre però la risposta fu negativa3. Il Senato e il Padre inquisitore, infatti, rivendicando l’autonomia giudiziaria e istituzionale veneziana, vedevano la richiesta romana come un'ingerenza nel processo condotto a Venezia e come un possibile precedente per future estradizioni. La loro decisione può essere riassunta con le seguenti parole: “Questa introduttione di mandar di là [a Roma] li retenuti de qui, che devono esser espediti per ogni ragione da questo istesso Tribunale dove si ritengono et si formano li processi, apporterebbe molto pregiudicio all’autorità del medesimo Tribunale, con un cattivo essempio di dover continuar nell’istesso in tutti li casi del tempo a venire, et con danno grande de’ sudditi nostri4”. La questione, insomma, da prettamente giudiziaria era diventata soprattutto politica. La querelle durò per ben tre mesi e si esaurì con la decisione attestata da un verbale di seduta del Senato di Venezia datato 7 gennaio 15935. Verbale in cui la Serenissima, visti i precedenti processi a carico del frate prima a Napoli e poi a Roma (elencati da Santa Severina in una lettera al Padre inquisitore veneziano e taciute dai verbali, probabilmente per non farsi vedere soggiogati alle decisioni romane agli occhi dei sudditi e delle altre città6), decise che “[Giordano Bruno fosse] mandato a Roma, acciò quel santo Tribunale possa proseguire a far la debita giustitia contra di lui; et essendo conveniente, et massime in un caso sì estraordinario, dar satisfatione a Sua Beatitudine: l’anderà parte che in gratificazione del Pontefice il detto fra Giordano Bruno sia rimesso al tribunale della Inquisizione di Roma7”. Questa decisione fu presa dopo un voto collegiale a dir poco favorevole alla sua estradizione (142 contro 30 tra astenuti e voti negativi). Non sapremo mai come sarebbe finito il processo veneziano e come forse sarebbe proseguita la vita di Giordano nel caso in cui Venezia fosse rimasta ferma sulla sua decisione iniziale. Magari l’Inquisizione veneziana avrebbe trovato le opere bruniane più dissacranti contro il cattolicesimo (per esempio lo Spaccio) e dunque su questi nuovi testi avrebbe deciso ed eseguito la relativa condanna, o forse Giordano sarebbe rimasto per sempre a Venezia per non essere più perseguitato. Conoscendo però il suo forte legame con Nola, credo fosse più probabile l’ipotesi di un suo ritorno in terra natia che da molto tempo ormai aveva abbandonato, e verso cui provava un grande senso di attaccamento. In 1 Firpo (a cura di Quaglioni), Processo, pag. 201 Ibid, pagg. 202-203 3 Ibid, pagg. 203-204 4 Ibid, pag. 204 5 Ibid, pagg. 211-212 6 Ibid, pagg. 205-206 7 Ibid, pagg. 211-212 2 Pagina 15 quella terra aveva conosciuto la maestosità della Natura (poi approfondita in senso filosofico) avendo come suoi primi maestri, secondo la poetica espressione di uno scrittore contemporaneo, “due giganti sorridenti: si chiamano Cicala e Vesuvio! Il primo, avvolto d’edera, profumato d’alloro, di mirto e di rosmarino, circondato da castagni, querce, pioppi, e da viti feconde” mentre il secondo “[…] io mi ritraevo, impaurito dal suo truce aspetto, […] ci andai e, con sorpresa, mi trovai immerso in una superba vegetazione, circondato da rami carichi di uva squisita. Altrettanto benevolo, il gigante Vesuvio mi accolse tra le sue braccia, vezzeggiandomi con i frutti della sua terra8”. Purtroppo, una mente a dir poco curiosa, geniale, che partorì idee innovative e rivoluzionarie, per colpa della Chiesa romana finì invece in una spirale ingloriosa e buia che durò dal 1593 fino al 1600; precisamente fino al 17 febbraio 1600 in Campo dei Fiori. Una fase della vita seguita dalla condanna ed esecuzione che una personalità di grande ingegno come Bruno non avrebbe di certo meritato, ma che gli fu imposta dalla Chiesa cattolica romana; la stessa che poco meno di trenta anni prima lo aveva prima accolto, e in seguito istruito, nell’ordine domenicano. A 400 anni dalla morte di Bruno, l’istituzione religiosa ritornò sull’esecuzione del sacerdote con la lettera di Papa Giovanni Paolo II; scritta dal segretario vaticano Angelo Sodano e inviata al summit degli storici e teologi tenutosi a Napoli in quel periodo. Uno scritto in cui la Chiesa definì la condanna ed esecuzione del filosofo nolano come “un triste episodio della storia cristiana che provoca profondo rammarico9” pur prendendone le distanze perché, secondo l’autore e il Papa, gli ecclesiastici dell’Inquisizione “lo processarono con i metodi di coazione allora comuni, pronunciando un verdetto che, in conformità al diritto dell'epoca, fu inevitabilmente foriero di una morte atroce” e anche negando la propria responsabilità. La responsabilità della vicenda, continua la lettera, fu colpa delle “barbarie dei tempi” e del potere civile che ne eseguì la sentenza; infatti si sottolinea come i giudici della Congregazione “fossero animati dal desiderio di servire la verità e promuovere il bene comune, facendo anche il possibile per salvargli la vita10”. Iniziò così il viaggio del frate verso Roma, l’ultimo dei tanti compiuti durante la sua esistenza. Il 19 febbraio Giordano sbarca ad Ancona in nave, in pieno Stato della Chiesa, e di qui è trasportato a Roma dove il 27 febbraio è incarcerato nel palazzo del Sant'Uffizio11. Del processo romano possiamo notare come, dall’incarcerazione a Roma del febbraio 1593 fino alla sentenza del 1600, non si abbiano più, a oggi, gli atti del processo. L’unica fonte disponibile è il Sommario del processo (Roma, primi di marzo 159812). Di altri documenti attinenti al processo romano giunti sino a noi, abbiamo solo le visite dei carcerati nel Sant’Uffizio romano che si susseguirono dal dicembre 1953 al gennaio 1600, il tutto intervallato da alcuni decreti della congregazione del Sant’Uffizio in cui affiorava il nome di Bruno (perlopiù vi si parla dei memoriali che il frate scrisse al Pontefice e dei provvedimenti dell’Inquisizione sul suo caso, come ad esempio l'acquisizione di nuovi libri di Bruno) e altri documenti in cui si notificavano le spese sostenute per i carcerati 13. Il 24 marzo 1597, davanti alla Congregazione dei cardinali e altri commissari, fra i quali Roberto Bellarmino (che sarà nominato cardinale due anni dopo) Giordano Bruno venne interrogato, e al termine gli furono consegnate le censure, le contestazioni scritte alle sue tesi considerate eretiche. 8 Del Giudice, Io dirò la verità, pag.59 http://www.instoria.it/home/giordano_bruno.htm 10 https://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2000/02/17/0100/00397.html 11 https://it.wikipedia.org/wiki/Processo_di_Giordano_Bruno#L'estradizione_a_Roma 12 Edito da Mercati, 1942, successivamente riveduto in Firpo (a cura di Quaglioni), Processo, pagg. 247-304 13 Firpo (a cura di Quaglioni), Processo, pagg. 215-246; pagg. 305-339 9 Pagina 16 La prima censura riguardava la generazione delle cose e i due principi dell'esistenza, l'”anima mundi”e la materia prima. Bruno rispose che sono principi eterni creati da Dio. La seconda proposizione censurata fu l'affermazione secondo la quale a una causa infinita corrisponde un effetto infinito, che il nolano confermò. La terza censura riguardava il problema della creazione dell'anima umana: nelle opere bruniane ogni anima individuale si discioglie nell'anima del mondo, ma di fronte all'Inquisizione Bruno preferì ammettere un'eccezione per l'anima umana (secondo l'ortodossia cattolica). La quarta censura riguardava il principio del pensiero bruniano secondo cui nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto si trasforma secondo la sostanza (concetto in seguito ripreso da Antoine-Laurent de Lavoisier che trasformò scientificamente nel postulato fondamentale di Lavoisier, ora definita dalla Fisica come legge della conservazione della massa14); concezione che il frate giustifica lla sua personale interpretazione dell’oscuro motto biblico “Nihil sub sole novum15”: il frate rispose che il genere e la specie delle cose, ossia l'aria, l'acqua, la terra e la luce non possono essere altro da ciò che sono e che dunque saranno sempre ciò che sono ora. La quinta censura riguardava il moto della terra e l'adesione di Bruno alla teoria copernicana, contraddicendo le Scritture, che affermano come la Terra sia immobile e il Sole giri attorno alla terra nascendo a Est e tramontando a Ovest (secondo la concezione geocentrica sviluppata da Tolomeo e accettata dalla Chiesa Cattolica). Giordano rispose che il modo e la causa del movimento terrestre erano stati da lui dimostrate tramite ragionamenti. Quanto allo stare della Terra, nella Bibbia è riferito al suo esistere nel corso del tempo, non già nel suo essere immobile nel luogo e che il nascere e il tramontare del sole è solo apparenza, poiché dovuto alla rotazione terrestre. Quanto all'autorità dei Padri della Chiesa, pur essendo un esempio, essi per Bruno non sono veri conoscitori delle cose naturali. La sesta censura riguardava la definizione degli astri come angeli, corpi animati razionali, che lodano Dio e annunciano la sua potenza e grandezza: Giordano intendeva dire che gli astri sono annunciatori e interpreti della voce divina e della natura, in questo senso sono angeli sensibili e visibili, diversa cosa dagli altri angeli invisibili della tradizione cristiana. La settima censura riguardava l'attribuzione alla Terra di un'anima sensitiva e razionale. Secondo Bruno, Dio attribuisce realmente un'anima alla Terra, essendo scritto nella Bibbia «Producat terra animam viventem», poiché la Terra, come costituisce gli animali secondo il corpo, così anima ciascun soggetto con il suo spirito ovvero l’anima. L'ottava censura era nell'affermazione che l'anima sta nel corpo come un nocchiero nella nave, in contrasto con la definizione dogmatica (che risaliva al concilio di Vienna del 1312) secondo la quale l'anima razionale e intellettiva è forma del corpo umano. Bruno rispose che quella è la definizione aristotelica, ma in nessun passo della Bibbia l'anima è chiamata forma del corpo, bensì è intesa come uno spirito che è nel corpo così come un abitante nella sua casa16. In questo momento del processo, si hanno due movimenti opposti simili a quelli del magnetismo: quello attrattivo e quello repulsivo. Nel primo possiamo includere quei momenti in cui Giordano si diceva pronto all’abiurare le sue proposizioni contenute nella lista redatta dagli inquisitori. Al secondo possiamo invece ascrivere i vari memoriali che il nolano scriveva al Papa e in cui rimetteva in discussione i punti che avrebbe dovuto 14 https://it.wikipedia.org/wiki/Legge_della_conservazione_della_massa_(fisica) Ecclesiaste (1, 10) 16 https://it.wikipedia.org/wiki/Processo_di_Giordano_Bruno#Le_censure 15 Pagina 17 abiurare. Così il processo si trascinò in costante spostamento degli equilibri tra le due posizioni, tra loro antitetiche, fino al 20 gennaio del 1600 quando, durante una delle consuete visite ai prigionieri, gli inquisitori parlarono con Giordano “quatenus vellet propositiones haereticas in suis scriptis et costitutionis prolatas agnoscere et abiurare, quodque consentire noluit, asserens se numquam propositiones haereticas protulisse, sed male excerptas fuisse a ministri Sancti Officii17”che in italiano corrente è “affinché voglia [Bruno] riconoscere e abiurare le proposizioni eretiche nei suoi scritti e costituti, alla quale cosa non vuole acconsentire, asserendo che se avesse [in precedenza] proferito qualche proposizione eretica, allora è stata male recepita dai sacri ministri dell’Inquisizione”. Bisogna ricordare che il frate era culturalmente nato e cresciuto in ambiente ecclesiastico, leggendo e apprendendo la cultura cristiana che lo accumunava (forza attrattiva) ai suoi accusatori, ma allo stesso tempo il nolano aveva maturato il nucleo del suo pensiero ben lontano dai luoghi, dalla religione e dalle concezioni cristiane del suo tempo (movimento repulsivo). Insomma, Bruno fu deciso nel mantenere ben saldo il suo nucleo filosofico e a non piegarsi ad abiurare le tesi che il Santo Uffizio aveva ritenuto eretiche; così come due magneti si respingono quando sono fatti avvicinare tra loro i poli dalla stessa carica. In poche parole il nolano aveva proseguito la sua strategia che nel processo veneziano era risultata vincente: cioè, usando le parole di Michele Ciliberto, “di tener fermo il nocciolo della sua posizione filosofica, cercando sistematicamente di ridurre, dissimulando, i punti di attrito sul terreno propriamente teologico18”. In pratica la strategia di Bruno consistette nel dissimulare, con tutti i mezzi, l'eterodossia delle sue posizioni per restare fedele alla sua Verità; lo soccorse, in questo, la sua grande capacità dialettica e l'abilità nell'affrontare i teologi dell’Inquisizione nel dibattito filosofico e teologico). Se poi quest'operazione si fosse rivelata impossibile (come, infatti, accadde), avrebbe pagato con la propria vita19. Con la sua risposta negativa all’ultima possibilità offertagli per abiurare, Giordano dunque “decide di rompere e di morire. […] Quello che può sembrare un crollo improvviso, è dunque la presa d’atto ferma, consapevole di una sconfitta alla fine di una partita giocata lungo dieci anni con straordinaria freddezza, nelle condizioni peggiori; i processi Inquisitori, infatti, non davano in sostanza la possibilità di difesa agli imputati poiché essi dovevano provare la loro incolpevolezza in una battaglia impari tra i giudici ecclesiastici e imputato. Nel caso di Bruno fu però la "pertinacia" con cui, una volta che i giudici gli mostrarono l’ereticità delle sue parole, con la quale il nolano difese le proprie idee fino alla morte. Erano dunque la coerenza e l'"integrità personale" dell'imputato ad essere messe alla prova20. Bruno dunque si trovava di fronte ad “avversari implacabili e, in tutti i sensi, favoriti21”. Egli prese dunque una decisione che ricalcava altri suoi rifiuti. Il primo risaliva al 18 gennaio 1599; la Congregazione intimò a Bruno di abiurare le sue proposizioni eretiche e il 25 gennaio Bruno presentò uno scritto dichiarando di essere disposto a farlo , purché si affermasse che tali proposizioni erano dalla Chiesa considerate eretiche soltanto ex nunc. Una richiesta che, se poteva essere legittima per le proposizioni sull'infinità dell'universo e sul movimento della Terra, ovviamente non fu accolta dagli inquisitori romani per i temi riguardanti la concezione della Trinità, dell'incarnazione e dell'anima22. Un’intimazione 17 Firpo, Processo, pag. 339 Ciliberto, Giordano, pag. 271 19 Ibid.,pag. 269 20 https://it.wikipedia.org/wiki/Inquisizione_medievale#Seconda_fase:_il_processo 21 Ciliberto, Giordano, pag.269 22 https://it.wikipedia.org/wiki/Processo_di_Giordano_Bruno#L'intimazione_all'abiura 18 Pagina 18 all’abiura fu poi rifiutata anche il 21 dicembre dell’anno prima quando, interrogato sempre riguardo ai punti contrastanti con la dottrina cristiana, egli rispose di “non doversi né volersi pentire e di non avere di che pentirsi né di avere materia di pentimento, e di non sapere di cosa pentirsi23”. Dunque Bruno, a questo punto della vicenda personale, era pienamente consapevole di essere un eretico ovvero <<[…] colui che, dopo il battesimo, e conservando il nome di Cristiano, ostinatamente si rifiuta o pone in dubbio una delle verità che nella fede divina e cattolica si devono credere24>> e che, non avendo abiurato neanche in extremis, sarebbe stato giudicato come "pertinace" nell’eresia. Inevitabilmente nel giorno 8 febbraio 1600, nel Tribunale inquisitorio romano, la giuria del Sant’Uffizio pronunciò la sentenza di fronte a Giordano Bruno da Nola, frate domenicano in quel momento inginocchiato e pronto al suo destino: “Proferimo in questi scritti, dicemo, pronuntiamo, sententiamo et dichiaramo te, fra Giordano Bruno predetto, essere heretico impenitente, pertinace et ostinato, et perciò essere incorso in tutte le censure ecclesiastiche et pene dalli sacri Canoni, leggi et constitutioni, così generali come particolari, a tali heretici confessi, impenitenti, pertinaci et ostinati imposte; et come tale te degradiamo verbalmente et dechiaramo dover essere degradato, sì come ordiniamo et comandiamo che sii attualmente degradato da tutti gl’ordini ecclesiastici maggiori et minori nelli quali sei costituito, secondo l’ordine dei sacri Canoni; et dover essere scacciato, sì come ti scacciamo, dal foro nostro ecclesiastico et dalla nostra santa et immacolata Chiesa, della cui misericordia ti sei reso indegno; et dover essere rilasciato alla Corte secolare [giustizia laica], sì come ti rilasciamo alla Corte di voi monsignor Governatore di Roma qui presente, per punirti delle debite pene, pregandolo però efficacemente che voglia mitigare il rigore delle leggi circa la pena della tua persona, che sia senza pericolo di morte o mutilatione di membro - a quel tempo la Chiesa, probabilmente per mantenersi “immacolata” agli occhi dei fedeli, rilasciava i colpevoli al braccio secolare per l’esecuzione della pena, ovviamente definita dalla Chiesa, tramite una formula quanto mai ipocrita; infatti sia il processo che la condanna erano decise proprio dagli ecclesiastici e l’autorità Civile sarebbe stata scomunicata nel caso in cui non fossero state applicate secondo le diposizioni fornite25. Di più, condanniamo, riprobamo et prohibemo tutti gli sopraddetti et altri tuoi libri - nel frattempo all’Inquisizione vercellese era giunta voce del periodo inglese di Bruno e dei suoi libri più “eretici” come lo Spaccio de la bestia trionfante26- et scritti come heretici et erronei et contenenti molte heresie et errori, - di cui molti infatti furono successivamente confermati come validi dalla scienza moderna come la teoria eliocentrica, l’infinità dell’universo e la possibile esistenza di pianeti simili alla Terra- solo per citarne alcuni- ordinando che tutti quelli che sin’hora si son havuti, et per l’avvenire verrano in mano del Santo Offitio siano pubblicamente guasti et abbrugiati nella piazza di san Pietro, avanti le scale, et come tali che siano posti nell’Indice de’ libri prohibiti, sì come ordiniamo che si facci27”. Al che, il piccolo e ormai esausto (dopo dieci anni di prigionia) Giordano Bruno si alzò e guardando i suoi avversari, secondo Schoppe28, pronunciò le ormai leggendarie parole “Maiori forsan cum timore 23 Ciliberto, Giordano, pagg. 274-275 Karl Rahner, Che cos'è l'eresia? pag. 29 riportata in https://it.wikipedia.org/wiki/Eresia 25 Andrea del Col, L’Inquisizione in Italia, Milano, Mondadori, 2006 (prima edizione), pagg.120-123 citato in https://it.wikipedia.org/wiki/Inquisizione#Il_processo_inquisitorio 26 Firpo (a cura di Quaglioni), Processo, pag. 341 27 Ibid., pagg. 342-343 28 Kaspar Schoppe, Epistola a Konrad Rittershausen, 17 febbraio 1600 in Firpo (a cura di Quaglioni), Processo, pag. 351 24 Pagina 19 sententiam in me fertis quam ego accipiam” cioè “Forse voi non m’infliggete questa condanna con una paura più grande di quanto ne abbia io nel riceverla”. Così alle ore sei di giovedì 17 febbraio 1600, i Padri dell’Arciconfraternita di S. Giovanni Decollato prelevarono Bruno per trasportarlo in piazza Campo dei Fiori ed essere arso al rogo. Nessuno può sapere quali pensieri affollavano la mente (non la lingua del nolano che era stata ben serrata con la mordacchia) mentre si dirigeva sul patibolo per poi essere bruciato vivo. Personalmente mi piacerebbe credere al monologo interiore del frate come l’ha fantasiosamente descritto Del Giudice, in altre parole Bruno che pensa “Che vogliono questi ora? Li ascolto leggere i salmi, invitarmi a pentirmi. Ecco che il mio incubo si avvera! Vorrei rispondere, ma non riesco a parlare. Sento questo chiodo che mi trafigge la lingua e il sangue che scorre caldo, quasi confortante dalle mie labbra, lungo il collo, a inzupparmi la ruvida veste [anche se si presuppone come Bruno fosse stato bruciato nudo]. Quando cerco di parlare, nessuna voce: solo sangue! A ogni sforzo per emettere suono, altro sangue. A fiotti, di un rosso vigoroso. Ogni stilla è un’idea, è una verità, che sgorga rigogliosa, per scendere a raggrumarsi sul mio corpo nudo [incongruenza con quanto riportato sopra, come riportato nel precedente inciso], che ora stanno legando a un palo tra mucchi di fascine. Sul rogo brucerete soltanto l’involucro terreno, ma le mie idee sopravvivranno. Non riuscirete a cancellare ogni traccia del mio pensiero e della mia memoria29!” 29 Del Giudice, Io dirò la verità, pag.120 Pagina 20 Capitolo 6 – L'indagine storico-documentaria sulla vicenda di Giordano Bruno: dal 1600 a Napoleone La storia biografica di Giordano Bruno terminò con l’esecuzione in Campo dei fiori in quel famoso 17 febbraio 1600. Da qui in poi iniziò la storia del pensiero bruniano; ovvero di Bruno come filosofo, proto-scienziato, letterato, martire della laicità e del libero pensiero. Le sue teorie e la sua figura saranno apprezzate solo dall’Ottocento con la sua riscoperta(fino a quel periodo il potere politico dei papi rese impossibile, infatti, riprenderle senza correre il rischio di venire processati); riconoscimento del genio nolano che poi porterà alla vastità di biografie, saggi filosofici e monumenti scritti ed eretti fino a oggi. Nei duecento anni che intercorsero tra la morte e la “rinascita” del filosofo, abbiamo a oggi pochi documenti che trattano di Bruno. Luigi Firpo negli anni ’40 del XXo secolo ci riporta alcuni documenti che riguardano i momenti immediatamente successivi all’esecuzione bruniana; abbiamo, per esempio, la lettera di Kaspar Schoppe a Konrad Rittershauen (Roma, 17 febbraio 16001) che descrisse, in poche parole, l’esecuzione del frate nolano. Il tedesco fu, infatti, uno dei pochi testimoni oculari dell’esecuzione in Campo dei fiori. Poi ritroviamo anche due Avvisi di Roma, entrambi del 19 febbraio, sempre del 1600,2 che riportano la notizia dell’esecuzione di Giordano. Al 24 marzo dello stesso anno possiamo ascrivere anche la restituzione di “scudi 2 […] per havere digradato fra’ Giordano Bruni heretico” all’ordine domenicano. Parole prese dai Registri della depositeria generale pontificia3. Pochi anni dopo abbiamo la notizia ufficiale della messa all’Indice dei libri proibiti delle opere bruniane nell’Editto del maestro del sacro palazzo Giovani Maria Guanzelli (Roma, 7 agosto 1603) con le parole “Iordani bruni Nolani libri et scripta omnino prohibentur” 4 . Per ultimo ritroviamo un’altra citazione, sempre da Schoppe, tratta dalla sua opera Ecclesiasticus del 1611, in cui trattò nuovamente dell’esecuzione di Giordano5. Da questo momento in poi, le fonti restarono in silenzio per molto tempo. Non abbiamo, infatti, più notizie riguardo al pensiero o alla figura di Giordano Bruno. Sappiamo solo che i documenti processuali, che erano tenuti nell’Archivio dell'inquisizione, furono saccheggiati durante le Campagne d’Italia di Napoleone Bonaparte nel 1797 (a seguito delle firme da parte di Pio VI dell’armistizio di Bologna del 1796 e del trattato di Tolentino del 1797) insieme a molti archivi documenti ed opere artistiche.6 Così tutti i capolavori italiani in questione furono trafugati e presero la strada di Parigi (i documenti, più precisamente, furono affidati alla Bibliotèque Nationale) e lì restarono fino al 1814. Il declino del potere imperiale napoleonico e il conseguente esilio all’isola d’Elba (entrambi databili al 1814) rese possibile nello stesso aprile 1814 la stesura del decreto di restituzione 1 Firpo (a cura di Quaglioni), Processo, pagg. 348-355 Ibid., pagg. 355-356 3 Ibid., pag. 356 4 Ibid., pagg. 357-358 5 Ibid., pag. 358 6 http://www.gliscritti.it/blog/entry/2000 2 Pagina 21 di tutti i documenti e le opere (quest’ultime, però, non furono restituite “in toto”) ai vari Paesi, dove gli scritti e i beni artistici erano stati trafugati. Nel nostro caso specifico, si ebbe la progressiva restituzione dei documenti all’Archivio vaticano del processo bruniano 7 . Questa restituzione fu però interrotta durante i celeberrimi Cento giorni del 1815. In seguito alla definitiva sconfitta a Waterloo e alla deportazione a Sant’Elena del Bonaparte, il rientro delle opere e dei documenti riprese. Esso durò fino al 1817. Nel frattempo sorse un grosso problema: una complicazione che inevitabilmente si riversò “a cascata” sulla storiografia dei documenti processuali del caso del nolano. Le ingenti spese che lo Stato pontificio dovette affrontare per il trasporto da Parigi a Roma dei documenti, infatti, causarono la decisione, da parte degli inviati vaticani, di vendere alcuni documenti in loco (ovvero in Francia) e di distruggerne altri; una scelta attuata probabilmente sulla base del valore storico ed economico degli stessi8. Qui abbiamo la perdita quasi certa di alcuni documenti vaticani attinenti al processo bruniano, in particolare della bella copia dell’intero processo (veneto e romano) dell’Inquisizione nei confronti di Giordano Bruno. 7 http://www.gliscritti.it/blog/entry/2000 http://www.gliscritti.it/blog/entry/2000 8 Pagina 22 Capitolo 7 – L'indagine storico-documentaria sulla vicenda di Giordano Bruno: dall’oblio alla graduale riscoperta Malgrado la messa all'Indice dei libri di Giordano Bruno decretata il 7 agosto 1603, questi continuarono a essere presenti nelle biblioteche europee, anche se rimasero equivoci e incomprensioni sulle posizioni del filosofo nolano, così come volute mistificazioni sulla sua figura 1 ”. Per tutto il Seicento, Giordano Bruno fu menzionato solamente in modo superficiale e, soprattutto, fuori d'Italia, cioè fuori dalla portata dell'inquisizione romana: per esempio fu criticato da Tycho Brahe e Giovanni Keplero per la sua teoria dell’infinità dell’universo e addirittura Pierre Bayle, nella sua opera Dizionario, dubitò della sua esecuzione al rogo2. Con l’Illuminismo, il pensiero del frate nolano fu invece rivalutato in campo matematico; gli fu, infatti, riconosciuta la figura di anticipatore delle idee leibniziane. Il legame tra la matematica bruniana e quella leibniziana era così stretto che Denis Diderot lo citò nella sua Enciclopedia (prima edizione del 1751) in modo enfatico3 come precursore di Gottfried Wilhelm von Leibniz per quanto riguarda le teorie dell’armonia prestabilita, della monade e della ragione sufficiente 4. Inoltre, sempre in questo periodo votato alla critica dei dogmi religiosi e all’esaltazione della ragione come guida che “illumina” il cammino dell’uomo, la figura del Bruno non poteva che essere rispolverata e accostata a un altro filosofo (molto affine al nolano); Baruch Spinoza. Sempre Diderot scrive, a riguardo, “Spinoza […] come Bruno, concepisce Dio come essenza infinita nella quale libertà e necessità coincidono: rispetto a Bruno pochi sarebbero i filosofi paragonabili, se l'impeto della sua immaginazione gli avesse permesso di ordinare le proprie idee, unendole in un ordine sistematico, ma egli era nato poeta”. Per Diderot, dunque, Giordano si era sbarazzato della vecchia filosofia aristotelica e cristiana; tale scelta ideologica lo portò a essere definito, insieme a Leibniz e Spinoza, come uno dei padri fondatori della filosofia moderna (ovvero quella illuministica5). La filosofia e anche la figura del pensatore nolano, però, non furono mai approfondite autonomamente; bensì (ancora alle porte del XIX secolo) era visto come precursore di personalità di spicco tra Settecento e Ottocento e dunque studiato sempre “in parallelo” con altri intellettuali. Nei primi anni del 1800, però, lo studio del pensiero bruniano ritornò in voga e poi fu approfondito in Germania; in Italia, intanto, ciò non accadeva. 6 Nella Penisola, infatti, come racconta Bucciantini nell’opera Campo dei Fiori, “alla fine degli anni Trenta e nei primi anni Quaranta [del XIX secolo], Bruno era un alieno o quasi. Fatta eccezione per le biografie di qualche dizionario […] di lui non c’è traccia, o comunque non ci sono lavori importanti 7 [a riguardo]”. In Italia, parlando di Bruno, una delle prime 1 https://it.wikipedia.org/wiki/Giordano_Bruno#La_ricezione_della_filosofia_di_Bruno Ibid. 3 https://www.baroque.it/cultura-del-periodo-barocco/filosofi-in-epoca-barocca/l-enciclopedia.html 4 https://it.wikipedia.org/wiki/Giordano_Bruno#La_ricezione_della_filosofia_di_Bruno 5 Ibid. 6 Massimo Bucciantini, Campo dei Fiori: storia di un monumento maledetto, Einaudi, Torino, 2015 (prima edizione) pag. 13 7 Ibid., pag. 13 2 Pagina 23 “citazioni” come filosofo e letterato, è stata ritrovata sotto forma di piccola statuetta: una scultura dalle piccole dimensioni databile agli anni Quaranta dell’Ottocento che, disposta sulla scrivania del conte Antonio Papadopoli (letterato del tempo, in corrispondenza epistolare con altri intellettuali dell’epoca come Giacomo Leopardi), completava con altre cinque statue una collezione privata per così dire “d’ispirazione”. Infatti, oltre a Bruno che era stato scolpito seduto su di una nuda roccia e dai tratti di giovane frate disputante contro i suoi giudici (evidenziato dall’indice puntato in avanti), si trovavano le sculture dei grandi pensatori e personalità italiane portatrici d’ideali che (al tempo del conte) erano interpretate in chiave risorgimentale: Galileo Galilei, Paolo Sarpi, Tommaso Campanella, Niccolò Machiavelli e Pietro Bembo. Seppure in un piccolo studio di un privato, a Bruno era stato dunque riconosciuto il suo valore storico e intellettuale. Al pari degli altri personaggi, anzi, fu elevato dal Papadopoli a figura importante e dignitosa della storia d’Italia8. Il motivo di tale scelta è difficilmente esplicabile in quanto, come detto in precedenza, in quel periodo Giordano era (per usare le parole del Bucciantini) “un alieno o quasi9”. La poliedrica e tagliente figura del Bruno, però, sarà destinata ad avere nel corso del tempo un eco ben più vasto. Un eco che restituisce dignità all’intellettuale in primis e, in secundis, alle sue teorie sia futuristiche (al suo tempo) sia moderne (ai giorni nostri). La memoria di Bruno fu recuperata dalla nuova classe dirigente dell'Italia unita in funzione anticlericale: prima dell’Unità, infatti, il potere temporale del Papa ne avrebbe impedito la ricerca e avrebbe condannato giuridicamente tale atto. 8 Bucciantini, Campo, pagg. 11-13 Ibid., pag. 13 9 Pagina 24 Capitolo 8 – Documenti ritrovati da Domenico Berti Domenico Berti (1820-1897) è stato un saggista, politico ed accademico italiano. Fu professore prima all’università di Roma e poi a Torino, dove ebbe la cattedra in Storia della Filosofia. Qui approfondì i suoi studi nell’ambito della filosofia rinascimentale e, più precisamente, su Giordano Bruno. La sua attività di ricerca e studio culminò nella stesura e pubblicazione dell’opera Giordano Bruno da Nola, sua vita e sue opere, edita da Paravia, Torino, nel 1868 (prima edizione). Nel frattempo Domenico, in campo politico, fu attivo prima come Ministro dell’Istruzione Pubblica (governi La Marmora III e Ricasoli) e poi come Ministro dell’Agricoltura, industria e Commercio (governi Depretis IV e V) per il Regno d’Italia1. La seconda edizione dell’opera è composta dalla revisione della prima e dall’aggiunta di scritti inediti, questi ultimi frutto di nuove ricerche (pubblicati a parte nel 18802); l’edizione in questione è la stessa che useremo come riferimento per la storiografia dei documenti processuali bruniani. Per la ricerca dei documenti del 1880 egli tentò di entrare negli archivi vaticani, ma senza successo. Seguì dunque il consiglio di una persona a lui amica che lo convinse che nell’archivio, oltre alla sentenza e agli incartamenti del processo, si dovessero nascondere altri scritti3; cosa che si rivelò giusta, dimostrando il fiuto dell’intellettuale, ad esempio nel 1940 quando venne alla luce il Sommario di Angelo Mercati. Un’opera, quella del Mercati, che si basava proprio sul ritrovamento nell’archivio del Vaticano del Sommario del processo veneziano e romano di Bruno. Sempre nell’Introduzione all’opera, il Berti ci informa dei documenti al momento mancanti (scritti riguardanti Giordano, es. opere e atti dei processi). Nella lunga lista stilata ritroviamo, in ordine: “Tutte le carte a lui tolte quando fu arrestato; alcuni suoi libri annotati dal denunciatore e quindi trasmessi all’inquisitore generale a corredo delle denunzie; una polizza di suo pugno, nella quale aveva notato tutti i libri da esso scritto; un opuscolo, Libretto di congiurazioni, che il Mocenigo trovò tra le sue carte; la sua opera manoscritta intitolata Le sette arti, che egli dettò con l’intendimento di entrare nella grazia del pontefice regnante Clemente VIII, e di conseguire una cattedra di filosofia in Roma, la quale opera era compiuta quando fu arrestato4”. In poche parole, tutti gli scritti bruniani al momento del soggiorno veneziano. La lista di Berti, poi, continua e si concentra sui documenti del periodo della prigionia romana con “gli atti del processo fatto dall’inquisizione di Roma che durò per otto anni circa; la sentenza che lo condannò al rogo; il Memoriale che presentò per sua difesa alla Congregazione dell’inquisizione e che non fu da questa letto5”. Per la presentazione dei documenti, si è deciso di trascrivere il titolo dato a ogni documento da Firpo6(oltre che affidarsi alle note dello stesso autore) perché la sezione dei documenti processuali è la più ampia, meglio curata e più recente. 1 https://it.wikipedia.org/wiki/Domenico_Berti Berti, Giordano, pag. 1 (Introduzione) con riferimento all’opuscolo Documenti intorno a Giordano Bruno da Nola, Roma, 1880 3 Ibid., pag. 8 (Introduzione) 4 Ibid., pag. 18 (Introduzione) 5 Ibid., pag. 18 (Introduzione) 6 Firpo (a cura di Quaglioni), Processo, pag. 143-358 2 Pagina 25 Tra i documenti attinenti al processo bruniano in possesso di Berti troviamo, in ordine cronologico, questi scritti: 1. Rubrica del processo bruniano nell’archivio dell’Inquisizione di Venezia (Venezia, 23 maggio 1592); documento in cui si racconta di come l’Inquisizione veneziana trasmise il fascicolo processuale aperto contro Giordano Bruno all’Inquisizione centrale romana7; nonostante fosse un documento con tanto di numero di collocazione d’Archivio (numero 19), nessuno prima di Firpo lo incluse nella serie dei documenti (riconoscendolo come tale8). 2. Denuncia di Giovanni Mocenigo all’inquisitore di Venezia Giovan Gabriele da Saluzzo (Venezia, 23 maggio 1592); scritto in cui Mocenigo denunciò Bruno all’Inquisizione veneziana per “haver sentito a dire a Giordano Bruno nolano, alcune volte ha ragionato meco in casa mia9[…]” di argomenti teologici e astronomici contrari all’ortodossia cattolica, oltre ad aver avuto già un processo a suo carico a Roma (aperto durante gli anni giovanili). Inoltre il nobile confiscò tre opere pubblicate e una in fase di pubblicazione al Bruno, i cui scritti inviò al padre inquisitore10. 3. Seconda denuncia di Giovanni Mocenigo (Venezia, 25 maggio 1592); scritto in cui, sempre Mocenigo, aggiunse dei dettagli rispetto alla prima denuncia; ovvero nuovi libri, carte, ecc. di Bruno11. 4. Verbale di consegna della seconda denuncia all’inquisitore di Venezia (Venezia, 25 maggio 1592); scritto in cui è notificato il verbale della presentazione di tale denuncia per opera di Mocenigo che, alla fine del testo, firmò il verbale12. 5. Verbale di presentazione delle due denunce del Mocenigo al tribunale dell’Inquisizione veneziana (Venezia, 26 maggio 1592); verbale in cui è appunto notificata dall’ufficio inquisitorio la presentazione delle due denunce del nobile veneziano contro Giordano Bruno13. 6. Deposizione del capitano Matteo d’Avanzo (Venezia, 26 maggio 1592); documento in cui il capitano delle guardie notificò l’arresto di Bruno in casa Mocenigo e il trasferimento del prigioniero nelle celle del Sant’Uffizio14. 7. Deposizione del libraio Giovan Battista Ciotti (Venezia, 26 maggio 1592); testimonianza in cui Ciotti, interrogato su Bruno da parte dell’Inquisizione, rispose di averlo conosciuto a Francoforte e di aver fatto da tramite tra Mocenigo e Bruno per portare quest’ultimo a Venezia per istruire il nobile veneziano. Ciotti, inoltre, portò alla conoscenza del tribunale anche tre libri bruniani: il De minimo, magno et mensura, Li heroici furori e Dell’infinito, universi et mondi15. 7 Berti, Giordano, pag. 376 Firpo, Processo, pag. 143, nota n. 1 9 Ibid., pag. 143 10 Berti, Giordano, pag. 377-379 11 Ibid., pag. 379-381 12 Ibid., pag. 381 13 Ibid., pag. 382 14 Ibid., pag. 384 15 Berti, Giordano, pag. 384-387 8 Pagina 26 8. Deposizione del libraio Giacomo Brictano (Venezia, 26 maggio 1592); deposizione in cui il Brictano disse di conoscere Bruno già dai tempi di Francoforte e citò altri tre libri del nolano; ovvero il Cantus circeus, De memoria e il De lampade combinatoria16. 9. Primo costituto del Bruno (Venezia, 26 maggio 1592); dove l’imputato prima parlò del soggiorno veneto presso casa Mocenigo, poi iniziò il racconto della sua vita dalla sua nascita fino ai due processi napoletani interni all’ordine domenicano17. 10. Terza denuncia di Giovanni Mocenigo (Venezia, 29 maggio 1592); documento in cui il nobile veneziano mise per iscritto nuove accuse bruniane nei confronti della struttura e della dottrina ecclesiastica oltre che raccontare del sostegno politico di Giordano nei confronti del re di Navarra. Mocenigo, poi, inviò un altro testo dell’imputato all’inquisitore veneziano18. Firpo critica il raggruppamento delle tre denunce del veneziano adoperata dal Berti e dunque decide di seguire uno “rigoroso ordine cronologico” nella sua opera (rifiutando l’ordine bertiano)19. 11. Secondo costituto del Bruno (Venezia, 30 maggio 1592); dove Giordano continuò la narrazione della sua storia fino al momento in cui Mocenigo lo aveva invitato a Venezia20. 12. Deposizione di fra’ Domenico da Nocera (Venezia, 31 maggio 1592); documento in cui il frate raccontò l’incontro in Venezia con Bruno e di come quest’ultimo gli avesse detto della sua intenzione di scrivere un’opera indirizzata al Papa (con il fine di ottenere la grazia, poter soggiornare a Roma e poi insegnare sempre nella stessa città)21. 13. Terzo costituto del Bruno (Venezia, 2 giugno 1592); scritto in cui si racconta del frate che consegnò una lista di tutte le sue opere all’Inquisizione veneziana; lista che iniziava con “Libri varii nostri impressi in diverse parti” e finiva con “De sigillis Hermetis, Ptolomei et aliorum22”. Poi riconobbe la paternità e le dottrine di tutti i libri della lista eccetto l’ultimo (che dichiarò essere stato scritto dal suo discepolo), parlò poi di come i suoi libri affrontino argomenti filosofici seguendo il lume della razionalità (andando anche contro la fede nella trattazione degli argomenti). Interrogato riguardo all’ortodossia cattolica dei suoi insegnamenti, rispose di non aver mai insegnato dottrine direttamente contrarie al credo cattolico. Ammise, però, di aver divulgato dottrine indirettamente contrarie all’ortodossia e le elencò (infinità dell’universo e del numero di pianeti in esso contenuto; la forza naturale insita nel cosmo; i tre attributi ovvero mente, intelletto e amore). Poi fu interrogato riguardo al dogma trinitario e affermò di aver “dubitato circa il nome di 16 Ibid., pag. 387-389 Ibid., pag. 389-392 18 Ibid., pag. 382-383 19 Firpo, Processo, pag. 157 (vedi nota riguardante l’intero documento) 20 Berti, Giordano, pag. 392-396 21 Ibid.o, pag. 397-398 22 Ibid., pag. 398 17 Pagina 27 persona del Figliouolo et del Spirito santo23”. Infine, sempre a proposito del dogma trinitario, affermò di avere un’opinione vicina a quella di Ario24. 14. Quarto costituto del Bruno (Venezia, 2 giugno 1592); testimonianza in cui il nolano difese nuovamente i suoi scritti e parlò ancora del suo dubbio riguardo alla figura di Cristo. Dopo di ciò, affermò di ritenere per veri i miracoli di Gesù, secondo l’insegnamento cattolico, così come la verginità della Madonna. Interrogato riguardo l’immortalità dell’anima e della loro trasmigrazione, egli rispose che per fede intende ciò che la Chiesa insegna, mentre dal punto di vista filosofico, credeva nella trasmigrazione delle anime (dottrina pitagorica). Alla domanda del Tribunale sul possesso e sulla lettura dei libri proibiti, rispose di aver letto per curiosità quelli di ambito teologico e di aver sia letto che posseduto quelli di ambito filosofico. All’accusa mossagli contro per aver criticato il costume dei religiosi come nonconforme a quello degli apostoli, egli negò tutto ciò. Poi definì il peccato di carne come il minore tra tutti i peccati (confermando indirettamente l’accusa del Mocenigo che lo vedeva, inoltre, come imperterrito nel compiere tale peccato). Infine l’Inquisizione veneziana propose a Bruno un riassunto di tutte le tre accuse a suo carico formulate dal nobile veneziano, aggiungendo pure l’aggravante del soggiorno presso paesi non-cattolici e l’inevitabile frequentazione del nolano di persone e cerimonie eretiche. Giordano rispose “Così Iddio mi perdoni li mei peccati, come ho detto la verità in tutte le cose che mi sono state dimandate et mi sono riccordato25” proponendo così di ravvedersi per ciò che aveva detto contro la Chiesa e le sue dottrine26. 15. Quinto costituto del Bruno (Venezia, 3 giugno 1592); documento in cui il nolano affermò di aver tenuto un comportamento simile a quello delle persone in terre noncattoliche con il fine di essere integrato. Nuovamente interrogato riguardo alla persona di Cristo, ribadì l’adesione alla teoria ariana (per cui Gesù ha solo natura umana e non anche divina, come nell’ortodossia cattolica). Alla domanda riguardo l’interpretazione del suo scritto La cena delle Ceneri, egli rispose che tale opera trattava del moto terrestre. Gli fu chiesto pure se, nei suoi scritti, avesse mai lodato un eretico e Giordano rispose di averlo fatto esaltandone le virtù morali, non l’ adesione a religioni e dottrine definite eretiche dall’Inquisizione. Poi il frate, alla richiesta di abiura delle sue idee non-conformi all’ortodossia cattolica, acconsentì e ritrattò le sue tesi, e pregando “questo sacro Tribunale che, conoscendo le mie infermità, voglia abbracciarmi nel gremio di santa Chiesa, provedendomi di rimedii opportuni alla mia salute, usandomi misericordia27”. Infine gli fu chiesto di dire se altre volte aveva subito processi ecclesiastici e Bruno ricordò ai giudici di aver 23 Berti, Giordano, pag. 402 Ibid., pag. 398-403 25 Ibid., pag. 414 26 Ibid., pag. 404-414 27 Ibid., pag. 420 24 Pagina 28 subito un processo prima a Napoli e in seguito a Roma, come già proferito in uno dei suoi costituti precedenti28. 16. Sesto costituto del Bruno (Venezia, 4 giugno 1592); documento in cui Giordano confermò le sue deposizioni agli inquisitori veneziani29. 17. Deposizione di Andrea Morosini (Venezia, 23 giugno 1592); testimonianza in cui Morosini parlò del primo incontro con Bruno presso il circolo di letterati che il veneziano organizzava. Il nolano vi partecipò diverse volte ragionando di argomenti letterari e, a causa della natura dei discorsi, Morosini ammise di non aver saputo nulla riguardo alla religiosità del Bruno30. 18. Seconda deposizione del libraio Giovan Battista Ciotti (Venezia, 23 giugno 1592); testimonianza in cui il libraio, alla domanda di aggiungere qualcosa alla sua prima deposizione, rispose di aver saputo da Bruno stesso che il filosofo stesse scrivendo un’opera dal titolo Delle sette arti da inviare al Papa31. 19. Settimo costituto del Bruno (Venezia, 30 luglio 1592); l’ultimo dei costituti veneziani di Giordano Bruno. In quest’ultima testimonianza di fronte all’Inquisizione veneziana, il nolano affermò di aver avuto l’intenzione di chiedere al Papa la possibilità di vivere come frate fuori dal proprio ordine religioso (in questo caso quello domenicano). Interrogato sul circolo letterario del Morosini, rispose di averlo frequentato e di aver sempre discusso di lettere e mai di religione. Alla fine Bruno, inginocchiandosi di fronte ai suoi giudici, domandò “umilmente perdono al Signor Dio et alle Signorie Vostre illustrissime de tutti li errori da me commessi; et son qui pronto per essequire quanto dalla loro prudentia sarà deliberato et si giudicarà espediente all’anima mia”. Chiese poi di essere punito con maggior severità per le sue colpe piuttosto di essere pubblicamente punito, ciò per non gettare disonore sul sacro abito domenicano. “Et se dalla misericordia d’Iddio et delle Vostre Signorie illustrissime mi sarà concessa la vita, – aggiunge infine Bruno – prometto far riforma notabile della mia vita, ché ricompenserò il scandalo che ho dato con altretanta edificazione32”. Al qual punto il tribunale inquisitorio gli impose di alzarsi da terra dopo che gli era stato più volte ordinato di farlo33. 20. Decreto dell’Inquisizione di Venezia (Venezia, 17 settembre 1592); documento in cui si notifica del trasferimento di Bruno nelle mani del Santo Uffizio romano (Inquisizione centrale di Roma) con tappa intermedia ad Ancona34. 21. Verbale di seduta dell’eccellentissimo Collegio di Venezia (Venezia, 28 settembre 1592); documento in cui si notifica che i membri dell’Inquisizione veneziana si presentarono al Collegio senatorio della Serenissima (presieduta anche dal Doge) per chiedere l’estradizione del nolano a Roma. Riguardo alla richiesta di estradizione bruniana, si citò anche una lettera del cardinale Santa Severina. Il 28 Berti, Giordano, pag. 414-422 Ibid., pag. 422-423 30 Ibid., pag. 423-424 31 Ibid., pag. 424-425 32 Ibid., pag. 428 33 Ibid., pag. 425-429 34 Ibid., pag. 429 29 Pagina 29 Consiglio rispose di aver bisogno di tempo per giudicare e, ritornati i membri ecclesiastici nel pomeriggio per conoscere la risposta, furono liquidati dal Consiglio per non aver ancora preso una decisione in merito35. Nel riportare questo documento, Firpo nota come il Berti abbia operato una divisione dello stesso in due parti: la prima riguardo alla richiesta avanzata dagli inquisitori, mentre la seconda in merito alla risposta del Collegio. Uno smembramento dovuto alla confusione operata dal Berti; il documento, infatti, era già stato citato prima ed era unito in un unico scritto36. 22. Il Senato veneto a Leonardo Donato, ambasciatore a Roma (Venezia, 3 ottobre 1592); documento in cui il Senato respinse la richiesta di estradizione del Bruno operata dagli ecclesiastici. Si motivò, infatti, tale voto collegiale sfavorevole alla richiesta presentata con la rivendicazione dell’autorità giudiziaria autonoma della Serenissima (probabilmente influirono motivi politici riguardo l’autorità e l’indipendenza veneziana) nei confronti di Roma37. 23. Leonardo Donato, ambasciatore di Venezia a Roma, al Doge Pasquale Cicogna (Roma, 10 ottobre 1592); lettera in cui l’ambasciatore informò il Doge di come le sue parole riguardo Giordano Bruno siano state lasciate in mano all’ambasciatore ordinario38. 24. Verbale di seduta dell’eccellentissimo Collegio di Venezia (Venezia, 22 dicembre 1592); nel cui verbale l’ambasciatore romano chiese nuovamente al Collegio veneziano l’estradizione di Bruno. Gli fu risposto che, come si era proceduto nel processo veneziano, così si sarebbe giunti all’esito processuale all’interno del territorio della Serenissima. L’ambasciatore replicò, infine, che il frate aveva cittadinanza nolana, e non veneziana, e che già aveva a suo carico due processi (quello napoletano e romano della gioventù bruniana) e chiese al Tribunale, seguendo il volere del Papa, di accettare l’estradizione di Giordano39. 25. Verbale di seduta dell’eccellentissimo Collegio di Venezia (Venezia, 7 gennaio 1593); documento in cui la richiesta di estradizione per Bruno fu formalmente accettata dal Collegio veneziano (prima di essere approvata ai voti) perché il frate aveva già delle pendenze giudiziarie romane a suo carico. Inoltre tale richiesta fu accettata anche per soddisfare il volere del Papa40. 26. Verbale di seduta del Senato di Venezia (Venezia, 7 gennaio 1593); dove fu ufficializzata con il voto la decisione già presa nel precedente Verbale (7 gennaio). Ci fu un voto collegiale con una maggioranza schiacciante di chi sosteneva l’estradizione di Giordano Bruno (142 favorevoli contro trenta tra astenuti e contrari41). 35 Berti, Giordano, pag. 430-431 Firpo, Processo, pag. 202 (vedi nota al documento) 37 Berti, Giordano, pag. 432 38 Ibid., pag. 433 39 Ibid., pag. 433-435 40 Ibid., pag. 435-436 41 Ibid., pag. 436-37 36 Pagina 30 27. Il doge Pasquale Cicogna all’ambasciatore a Roma Paolo Paruta (Venezia, 9 gennaio 1593); lettera in cui il Doge informò l’ambasciatore a Roma dell’esito del voto collegiale veneziano42. 28. L’ambasciatore a Roma Paolo Paruta al Doge Pasquale Cicogna (Venezia, 16 gennaio 1593); scritto in cui l’ambasciatore prese atto della decisione del Consiglio veneziano e rispose che il Pontefice rimase felice della concessione veneziana all’estradizione di Bruno in direzione di Roma43. 29. Decreto della congregazione del Sant’Uffizio (Roma, 14 gennaio 1599); decreto in cui è riferita la prigionia di Bruno presso le carceri romane, al quale furono lette otto sue proposizioni eretiche estratte dalle sue opere. Su queste proposizioni gli fu dunque ordinato di riflettere per poi poterle abiurare44. 30. Decreto della congregazione del Sant’Uffizio (Roma, 4 febbraio 1599); decreto in cui Giordano dichiarò di ritenere le sue idee eretiche solo ex nunc. Gli inquisitori decisero di dare a Bruno altri quaranta giorni per abiurare45. Sempre riferito allo stesso documento, ritroviamo una bella copia interrotta da completare con la prima parte appena descritta46. In questa bella copia si parla dei consultori dell’Inquisizione in cui fu affrontato il caso di Bruno con la rilettura delle carte processuali47. 31. Visita dei carcerati nel Sant’Uffizio romano (Roma, 5 aprile 1599); nel documento ritroviamo un’informazione importante riguardo il Bruno: era stato carcerato il 27 febbraio 1599. Si legge, inoltre, che fu portato davanti ai giudici e ascoltato48. 32. Visita dei carcerati nel Sant’Uffizio romano (Roma, 21 dicembre 1599) minuta; documento in cui si legge l’ultimo rifiuto del Bruno all’abiura. Le sue parole, nella traduzione italiana, sono “Rispose che non deve né vuole ravvedersi, che non ha di che ravvedersi e né ha materia di ravvedimento e non sa su cosa deve ravvedere 49”. Tale documento è stato riveduto con sostanziali emendamenti da Firpo50. Nello stesso documento è stata anche ritrovata la bella copia relativa51, in cui è riportata la convocazione del nolano davanti all’Inquisizione romana e la discussione riguardo alle sue teorie astronomiche. Infine fu deciso dalla Congregazione che il cardinale Maria Ippolito e il padre domenicano Paolo Isaresi discutessero con Bruno per mostrare all’apostata le sue proposizioni eretiche con il fine di fargli riconoscere i suoi errori, per permettere all’imputato di ravvedersi, disponendosi all’abiura, e così poter portare a termine il processo con la sentenza finale. 42 Berti, Giordano, pag. 437 Ibid., pag. 438 44 Ibid., pag. 441 45 Ibid., pag. 441-442 46 Firpo, Processo, pag. 314 47 Berti, Giordano, pag. 442 48 Ibid., pag. 442-444 49 Ibid., pag. 444-445 50 Firpo, Processo, pag. 333 (vedi nota al documento) 51 Berti, Giordano, pag. 445-446 43 Pagina 31 33. Decreto della congregazione del Sant’Uffizio (Roma, 20 gennaio 1600); documento edito dal Berti come bella copia sommaria. In questo decreto si parla di Giordano Bruno che, alla richiesta di riconoscere e abiurare le sue proposizioni eretiche, rispose negativamente e aggiunse di non aver mai pronunciato nulla di eretico. Secondo lui, infatti, sarebbero stati proprio i ministri del Sant’Uffizio ad aver male interpretato le sue parole52. Si notifica pure la delibera del Papa alla sentenza finale del processo, con conseguente passaggio di Bruno alla corte secolare per l’applicazione della pena. 34. Decreto della congregazione del Sant’Uffizio (Roma, 8 febbraio 1600); documento in cui è riportata la sentenza contro Bruno. In questo scritto, edito dal Berti come bella copia sommaria, si legge che il frate nolano fu giudicato un eretico impenitente e pertinace e che fu rilasciato dall’Inquisizione al governatore secolare di Roma per l’esecuzione53. 35. Lettera di Kaspar Schoppe a Konrad Rittershausen (Roma, 17 febbraio 1600); lettera in cui Schoppe parla, in generale, della biografia del Bruno (partendo dal 1582, cioè da quando iniziò a dubitare dei dogmi cattolici). Poi l’autore parla della sentenza dell’Inquisizione alla cui lettura, il Bruno, rispose con il famoso “Maiori forsan cum timore sententiam in me fertis quam ego accipiam54”. Racconta, infine, la sua morte al rogo55. 36. Dai registri della depositeria generale pontificia (Roma, 14 marzo 1600); scritto in cui risulta il pagamento di due scudi d’oro per la degradazione di Giordano Bruno dal suo precedente status di frate appartenente all’ordine domenicano56. Domenico Berti scrisse la biografia di Giordano Bruno avendo a disposizione quasi quaranta documenti riguardanti il processo bruniano. L’autore, infatti, aveva scoperto quasi tutti i documenti, ad oggi disponibili, della fase veneziana del processo (come i costituti di Giordano, le denunce di Mocenigo e la questione del trasferimento da Venezia a Roma dell’imputato). La biografia del filosofo delineata da Berti, dunque, risulta attendibile e piena d’informazioni fino al trasferimento nelle carceri del Sant’Uffizio. Nei successivi anni a Roma, però, riscontriamo come l’autore si muova sulla base di pochi documenti e molte supposizioni; del processo romano, infatti, Berti aveva trovato circa sette documenti soltanto (a fronte di ben otto anni di prigionia del nolano in Roma) e tutti questi scritti si riferivano al periodo 1599-1600. Abbiamo una mancanza documentaria tra 1594 e 1598 nell’opera, cioè la prima e media fase del processo romano. Stando ai documenti romani datati 1599 e 1600, dunque, si potrebbe pensare di avere a che fare con un Bruno combattente che, pur di non rinunciare alle sue teorie e idee, preferisce morire da martire. Berti avrebbe descritto, in pratica, una figura parziale per mancanza d’informazioni. 52 Berti, Giordano, pag. 446-447 Ibid., pag. 447-448 54 Firpo, Processo, pag. 351 55 Berti, Giordano, pag. 4-6 56 Ibid., pag. 321 53 Pagina 32 Nel frattempo, tra 1875 e 1889 si avviò un’associazione de studenti universitari fautori della costruzione di una statua di Giordano Bruno in Campo dei Fiori57. Gli studenti avevano letto la prima edizione del Giordano Bruno di Berti58 e, interpretando in modo parziale e politico la figura del filosofo delineata dall’autore, l’avevano innalzata a eroe laico anti-clericale e patriota risorgimentale ante litteram. L’autore, però, non aveva descritto così il filosofo. Egli, anzi, aveva scritto “non amo quindi essere giudicato leggermente o confuso con la turba dei tumultuosi ammiratori del Nolano59”. Nonostante fosse chiamato a contribuire per la statua di Bruno a Roma, Berti rifiutò (pur avendo appoggiato le leggi contro le corporazioni religiose e, anzi, si possa ipotizza che abbia provato a ostacolare il comitato che promuoveva tale proposta di fronte al radicalismo dei fautori della costruzione del monumento60. Incontrò i fautori della statua di Bruno e, costatato il fatto che volessero usare la figura del Bruno a scopo di lotta anti-clericale e con finalità politiche, rispose loro di non continuare con il loro progetto perché la figura del nolano sarebbe stata alterata divenendo simbolo di lotte e ideali contemporanei. Il comitato studentesco avrebbe quindi tradito i valori, le idee e la stessa figura di Bruno; personalità che andava contestualizzata e anche giudicata solo in un dato contesto storico, in altre parole quello dei suoi tempi61. Il Bruno di Berti era, dunque, uno scrittore brillante e un personaggio con una vita segnata da vicende incredibilmente simili a un dramma che scelse di morire eroicamente sul rogo per le sue idee; non un Bruno considerato solo nel suo aspetto di eroe che non temette la morte e si stagliò contro la Chiesa. Il Bruno descritto dall’autore era un difensore della libertà del pensiero umano62. Peccato solo che Berti, secondo lo stesso Spampanato63, pur avendo dato un forte impulso allo studio di Giordano Bruno, avesse sfiorato “solamente l’argomento [Bruno]; ma, capitatogli d’un tratto la fortuna d’avere tra mano un vistoso e inestimabile patrimonio, quasi abbagliato, non ebbe il tempo e la calma di tesaurizzarlo64”. Usando le parole di Firpo, il Berti aveva fatto di Bruno un ritratto “eroico e indomabile, non più mero difensore della teoria della doppia verità, ma assertore della supremazia assoluta del vero speculativo sui dogmi delle religioni positive, ridotte a semplice funzione pratica e sociale65”. Vista la limitatezza dei documenti tra 1594-1598 e l’aver trattato solo in superficie la vasta materia attinente la vita, la filosofia e il mondo bruniano, il ritratto di Bruno operato da Berti (per quanto corretto al tempo dello scrittore) a oggi può essere considerato solo parziale. 57 Massimo Bucciantini, Campo dei Fiori. Storia di un monumento maledetto, Einaudi, Torino, 2015, pag. 60; pag. 110; pag. 206; pag. 287. 58 Bucciantini, Campo, pag. 37 59 Berti, Giordano, pag. 21 60 Bucciantini, Campo, pag. 40 61 Ibid., pag. 51-53 62 Berti, Giordano, Proemio, pagg. V-VII; Introduzione, pagg. 21 63 Spampanato, Vita, Introduzione, pag. XXVIII - XXIX 64 Ibid., Introduzione, pag. XXIX 65 Firpo (a cura di Quaglioni), Processo, pag. 105 Pagina 33 Capitolo 9 – Nuovi documenti processuali editi da Vincenzo Spampanato Vincenzo Spampanato è stato un insegnante e uno storico della filosofia; in particolare studiò Giordano Bruno. Nasce anche lui a Nola, nel 1872, e muore nel 1928 a Napoli. Frequentò la casa di Benedetto Croce, con cui strinse un rapporto d’amicizia solido e duraturo. Nel 1921 pubblicò la sua maggiore opera dal titolo “Vita di Giordano Bruno” per l’editore Principato. Dopo la sua morte, il suo amico Giovani Gentile rivide la prima edizione per poi stamparne un’altra più aggiornata1. Così come Domenico Berti, che lo aveva preceduto nello scrivere una biografia bruniana, Spampanato tra il 1899 e il 1911 compì delle ricerche di materiale documentario riguardanti Bruno2. Aggiunse nuovi scritti ai documenti riguardanti il processo bruniano rispetto alla lista operata da Berti. Anche stavolta, nel riportare i nuovi scritti ritrovati da Spampanato, ci atteniamo al titolo e alla revisione operata da Firpo 3. I documenti introdotti da Spampanato sono i seguenti: 1. Mons. Ludovico Taverna, nunzio a Venezia, a mons. Cinzio Aldrobandini, segretario di stato (Venezia, 22 dicembre 1592); lettera in cui l’ambasciatore parla del voto veneziano riguardo la richiesta romana di estradizione di Bruno. Egli rileva in particolare la resistenza dei magistrati secolari veneziani al rilascio nelle mani romane dell’imputato4. 2. Copia parziale della sentenza, destinata al governatore di Roma (Roma, 8 febbraio 1600); documento in cui il Tribunale inquisitorio romano giudica Bruno colpevole ed emette la sentenza finale del processo. Il frate nolano è giudicato “heretico impenitente, pertinace et ostinato5”, degradato dalla carica ecclesiastica di frate ed espulso dall’ordine domenicano, allontanato dalla Chiesa e rimesso alla corte secolare del governatore romano per l’esecuzione della pena. Inoltre l’inquisizione mette all’Indice tutte le opere di Bruno6. 3. Avviso di Roma (Roma, 12 febbraio 1600); avviso in cui è annunciato il deferimento della data dell’esecuzione bruniana. Si raccontano in poche righe, inoltre, le vicende biografiche del nolano7. 4. Dal “giornale” dell’arciconfraternita di s. Giovanni decollato in Roma (Roma, 1617 febbraio 1600); scritto in cui i frati di San Giovanni (con il compito di confortare i condannati a morte dalla vigilia fino all’esecuzione stessa) raccontano gli ultimi due giorni di Bruno. Essi si confrontano con Giordano e cercano di convincerlo in extremis ad abiurare, però egli “stette sempre nella sua maledetta ostinazione, aggirandosi il cervello e l’intelletto con mille errori e vanità8”. Raccontano, infine, dell’esecuzione in Campo dei Fiori del frate nolano9. 1 https://it.wikipedia.org/wiki/Vincenzo_Spampanato Spampanato, Vita, Introduzione, pag. 16 3 Firpo, Processo, pagg. 143-357 4 Spampanato, Vita, pag. 759 5 Ibid., pag. 782 6 Ibid., pag. 780-783 7 Ibid.pag. 784 8 Ibid., pag. 785 9 Ibid., pag. 785 2 Pagina 34 5. Avviso di Roma (Roma, 19 febbraio 160010); avviso che racconta dell’avvenuto rogo di Bruno del 16 febbraio e aggiunge il particolare della mordacchia (strumento che impediva al frate di parlare) che gli era stata messa “per le bruttissime parole che diceva, senza voler ascoltar né confortatori né altri11”. 6. Avviso di Roma (Roma, 19 febbraio 1600); avviso in cui è raccontata l’esecuzione di Bruno del 16 febbraio ed è anche scritto come Giordano fosse felice di morire martire in modo che la sua anima sarebbe ascesa al cielo insieme al fumo del suo rogo12. 7. Dall’“Ecclesiasticus” di Kaspar Schoppe (Meilingen, settembre 1611); parte di testo in cui Schoppe parla di Bruno. L’autore pone l’accento, in particolare, sulla forza morale del frate che, pur di non cedere all’abiura delle sue idee, preferì essere bruciato vivo. “Essendo infatti grande il suo odio [di Bruno] nei confronti dei Cardinali Inquisitori – racconta Schoppe - […] temette, in caso di mutamento della sentenza, di fare una cosa gradita a quelli e [dunque] di soccombere dopo essere stato sconfitto. […] <<Infatti>> come dice Ennio <<non c’è vincitore se non c’è sconfitto13>>”. Come ricorda Firpo14, nella prima edizione dell’opera lo Spampanato “dovette lamentare nella documentazione disponibile un’incolmabile lacuna, che non gli consentì di narrare in maniera particolareggiata le vicende del settennale processo romano, conclusosi col supplizio del Filosofo”. Il minuzioso biografo di Bruno, infatti, riguardo al processo romano era riuscito a scovare esclusivamente la copia parziale della sentenza (esclusi gli avvisi affissi a Roma che parlavano dell’esecuzione bruniana e della descrizione del rogo di Schoppe). Lo Spampanato, però, non aveva ancora a disposizione i documenti che, invece, erano stati ritrovati da mons. Enrico Carusi nel 1925; quattro anni dopo la prima edizione della sua opera “Vita di Giordano Bruno”. Egli aveva tratto copia, infatti, di ventisei estratti dai verbali della Congregazione del Sant’Uffizio concernenti il processo romano di Giordano15. Tale ricerca sfociò nell’opera “Nuovi documenti del processo di Giordano Bruno16”. Lo Spampanato, dunque, aggiunse i nuovi documenti nella seconda edizione della sua opera17 che, però, vide la luce dopo la morte dell’autore; nel 1933, infatti, fu il suo amico e stimatore Giovanni Gentile a recuperare lo scritto e completarlo. Il filosofo, politico e accademico aggiunse i ventuno documenti processuali bruniani scaturiti 10 Spampanato, Vita, pag. 785-786 Ibid., pag. 786 12 Ibid., pag. 786 13 Ibid., pag. 805-806 14 Firpo (a cura di Quaglioni), Processo, pag. 3 15 Ibid., pag. 3 16 Enrico Carusi, Nuovi documenti del processo di Giordano Bruno, edito in “Giornale critico della filosofia italiana”, VI 1925 17 Vincenzo Spampanato (a cura di Gentile), Documenti della vita di Giordano Bruno, Olschki, Firenze, 1933 11 Pagina 35 dall’opera del Carusi18. Sempre basandoci sull’opera aggiornata e completa di Firpo, possiamo trovare i nuovi documenti aggiunti, che sono: 1. Visita dei carcerati nel Sant’Uffizio romano (Roma, 22 dicembre 1593); verbale in cui si parla della visita alla prigione ecclesiastica degli Inquisitori. Durante la visita si racconta che Bruno, interrogato riguardo alle sue necessità durante la prigionia, rispose di aver bisogno di un mantello, un copricapo e l’opera Summa Theologiae di San Tommaso d’Aquino19. 2. Visita dei carcerati nel Sant’Uffizio romano (Roma, 4 aprile 1594); verbale in cui la Congregazione inquisitoria fece stampare le copie del processo bruniano20. 3. Visita dei carcerati nel Sant’Uffizio romano (Roma, 31 maggio 1594); verbale in cui si notifica l’avvenuta consegna delle copie del processo contro Bruno21 (copie citate nel verbale del 4 aprile 1594). 4. Visita dei carcerati nel Sant’Uffizio romano (Roma, 20 dicembre 1594); verbale in cui si notifica come Bruno abbia presentato una testimonianza scritta contro i testimoni che avevano deposto contro di lui22. 5. Decreto della congregazione del Sant’Uffizio (Roma, 12 gennaio 1595); decreto in cui si notifica la lettura delle deposizioni e delle testimonianze veneziane del nobile Mocenigo contro Giordano Bruno23. 6. Decreto della congregazione del Sant’Uffizio (Roma, 19 gennaio 1595); decreto in cui si notifica come il Bruno, alla lettura delle accuse mosse contro di lui di fronte agli Inquisitori, continui a esporre teorie e idee eterodosse al credo cattolico24. 7. Decreto della congregazione del Sant’Uffizio (Roma, 9 febbraio 1595); decreto in cui la Congregazione inquisitoria, dopo aver letto gli atti del processo contro Bruno, sentenziò la prosecuzione della censura dei libri del filosofo nolano25. 8. Visita dei carcerati nel Sant’Uffizio romano (Roma, 14 marzo 1595); verbale in cui si notificano le richieste riguardo le necessità di Bruno durante la prigionia, dopo che il frate fu portato in aula e lì interrogato dai cardinali dell’Inquisizione26. 9. Visita dei carcerati nel Sant’Uffizio romano (Roma, 1-2 aprile 1596); verbale in cui la congregazione inquisitoriale notifica la sovvenzione al Maestro dell’ordine domenicano, Ippolito Maria Beccaria, per aver esaminato i libri di 18 Firpo (a cura di Quaglioni), Processo, pag. 3 Ibid., pag. 215-217 20 Ibid., pag. 217-218 21 Ibid., pag. 218-219 22 Ibid., pag. 221-222 23 Ibid., pag. 223-224 24 Ibid., pag. 224-225 25 Ibid., pag. 225-227 26 Ibid., pag. 229-230 19 Pagina 36 Bruno e aver poi estratto delle proposizioni che lo stesso nolano avrebbe dovuto censurare27. 10. Decreto della congregazione del Sant’Uffizio (Roma, 18 settembre 1596); decreto in cui si notifica la lettura dei memoriali di Bruno alla presenza della congregazione inquisitoriale. L’assemblea, dopo una votazione, decise di affidare la censura delle proposizioni contenute nei libri bruniani anche ad altri teologi e membri della congregazione28. 11. Visita dei carcerati nel Sant’Uffizio romano (Roma, 16 dicembre 1596); verbale in cui la congregazione inquisitoriale decreta un nuovo esame delle proposizioni da censurare nei libri di Bruno29 (scritto in cui compare la nota “nota carceratorum in abiuratione publica expediendorum30” ovvero “nota dei carcerati da rilasciare dopo l’abiura pubblica”). 12. Visita dei carcerati nel Sant’Uffizio romano (Roma, 24 marzo 1597); verbale in cui è riferito come l’Inquisizione, dopo aver interrogato Bruno sulle sue necessità per la prigionia, lo ammonì di abbandonare la sua teoria degli infiniti mondi. Inoltre, sempre la Congregazione, ordina l’interrogatorio “stricte31” dell’imputato32. Un aggettivo che si traduce con “rigoroso/severo” e che ha fatto sorgere molti dubbi tra gli storici; forse Bruno, con quella formula, fu interrogato con l’ausilio della tortura. 13. Visita dei carcerati nel Sant’Uffizio romano (Roma, 23 dicembre 1597) bella copia diffusa; verbale in cui si racconta dell’interrogazione di Bruno riguardo alle sue necessità di carcerato33. 14. Visita dei carcerati nel Sant’Uffizio romano (Roma16 marzo 1598) bella copia sommaria; verbale in cui gli Inquisitori notificano la redazione di un sommario completo del processo bruniano. Tale scritto, però, non sarebbe stato completato prima della Settimana Santa34. L’opera potrebbe essere il Sommario35 ritrovato, corretto e pubblicato da Mercati nel 1940. 15. Visita dei carcerati nel Sant’Uffizio romano (Roma, 16 dicembre 1598) bella copia sommaria; verbale in cui si notifica la concessione a Bruno di carta per scrivere. Inoltre si dispose di fare un rendiconto dell’uso fatto dal nolano di tale carta. Al prigioniero fu anche consegnato un breviario in uso presso i domenicani36. 16. Decreto della congregazione del Sant’Uffizio (Roma, 14 gennaio 1599) bella copia sommaria; documento in cui si narra della lettura di fronte all’imputato di 27 Firpo (a cura di Quaglioni), Processo, pag. 230-233 Ibid., pag. 233-235 29 Ibid., pag. 241-242 30 Ibid.pag. 242 31 Ibid., pag. 244 32 Ibid., pag. 242-244 33 Ibid., pag. 245-246 34 Ibid., pag. 306 35 Angelo Mercati, Sommario processo Giordano Bruno, Biblioteca Apostolica Vaticana, Città del Vaticano, 1940 36 Firpo (a cura di Quaglioni), Processo, pag. 308 28 Pagina 37 otto proposizioni eretiche individuate dagli Inquisitori tra i testi bruniani. Fu ordinato, inoltre, che fossero mostrate tali proposizioni a Bruno per farlo riflettere sulla possibile abiura. Si dispose anche che siano estratte nuove frasi dalle opere del nolano, proposizioni considerate eterodosse rispetto al credo cattolico37. 17. Decreto della congregazione del Sant’Uffizio (Roma, 4 febbraio 1599) bella copia sommaria; decreto in cui decreto in cui Giordano dichiarò di ritenere le sue idee eretiche solo ex nunc. Gli inquisitori decisero di dare a Bruno altri quaranta giorni per abiurare. Inoltre nel decreto si parla dei consultori dell’Inquisizione in cui fu affrontato il caso di Bruno con la rilettura delle carte processuali38. 18. Decreto della congregazione del Sant’Uffizio (Roma, 18 febbraio 1599) bella copia sommaria; decreto in cui si riporta la lettura del costituto bruniano (del precedente 15 febbraio) e la relazione riguardo il memoriale composto da Bruno. Furono, inoltre, raccolti gli errori del filosofo a partire dal processo e dai libri39. 19. Visita dei carcerati nel Sant’Uffizio romano (Roma, 5 aprile 1599) bella copia sommaria; verbale in cui si notifica la visita della cella di Bruno che poi esibì una scrittura di propria mano agli Inquisitori40. Rispetto allo stesso documento, lo Spampanato riporta anche la copia per uso del cardinale inquisitore Camillo Borghese. Verbale in cui si riporta la data della carcerazione di Giordano Bruno nelle prigioni inquisitoriali romane; il 27 febbraio 159341. 20. Decreto della congregazione del Sant’Uffizio (Roma, 24 agosto 1599) bella copia sommaria; verbale in cui il cardinale Bellarmino propose a Bruno la ritrattazione degli scritti esibiti agli Inquisitori il precedente 5 aprile (durante la visita ai detenuti del carcere del Sant’Uffizio) dall’imputato. In particolare, il cardinale si riferiva a due proposizioni: nella prima l’eresia era definita evidente e di tipo novaziano, mentre la seconda concerneva il rapporto tra anima e corpo (definito dallo stesso Bruno con il paragone del timoniere che conduce la nave) e il Bellarmino chiese spiegazioni a riguardo. I cardinali inquisitori decisero inoltre di arrivare alla sentenza del caso nella successiva assemblea. Fu, infine, letta e approvata la richiesta del filosofo di carta, penne, occhiali e strumenti per scrivere (non gli fu però permesso ricevere un coltello e un temperino)42. Decreto della congregazione del Sant’Uffizio (Roma, 16 settembre 1599) bella copia sommaria; decreto in cui si notifica la mancata lettura del memoriale bruniano indirizzato al Papa43. 37 Firpo (a cura di Quaglioni), Processo, pag. 313 Ibid., pag. 314-315 39 Ibid., pag. 317 40 Ibid., pag. 320 41 Ibid., pag. 320-323 42 Ibid., pag. 325 43 Ibid., pag. 331 38 Pagina 38 21. Decreto della congregazione del Sant’Uffizio (Roma, 17 novembre 1599) bella copia sommaria; decreto in cui si avvia la delibera alla sentenza finale riguardo il processo bruniano44. 22. Visita dei carcerati nel Sant’Uffizio romano (Roma, 21 dicembre 1599) bella copia sommaria; verbale in cui fu deciso dalla Congregazione che il cardinale Maria Ippolito e il padre domenicano Paolo Isaresi discutessero con Bruno per mostrare all’apostata le sue proposizioni eretiche con il fine di fargli riconoscere i suoi errori, per permettere all’imputato di ravvedersi, disponendosi all’abiura, e così poter portare a termine il processo con la sentenza finale45. 23. Decreto della congregazione del Sant’Uffizio (Roma, 20 gennaio 1600) bella copia e minuta; documento in cui si parla di Giordano Bruno che, alla richiesta di riconoscere e abiurare le sue proposizioni eretiche, rispose negativamente e aggiunse di non aver mai pronunciato nulla di eretico. Secondo lui, infatti, sarebbero stati proprio i ministri del Sant’Uffizio ad aver male interpretato le sue parole. Il frate aggiunge pure che avrebbe difeso i suoi scritti contro qualunque teologo e che, le frasi scelte dall’Inquisizione per la sua abiura, siano state arbitrariamente definite e interpretate come eretiche dagli stessi cardinali della Congregazione (che, dunque, non sarebbero state eretiche nel loro contesto originale dei libri scritti e dalle testimonianze orali dello stesso Bruno). Si notifica, infine, la delibera del Papa alla sentenza finale del processo, con conseguente passaggio di Bruno alla corte secolare per l’applicazione della pena46. Grazie alla seconda edizione dell’opera di Vincenzo Spampanato47 (e a Giovanni Gentile che la pubblicò postuma), abbiamo a oggi un quadro molto più chiaro degli anni trascorsi da Bruno presso la prigione del Sant’Uffizio, cioè il periodo compreso tra 1594 e 1598. I documenti riguardanti quel periodo cronologico erano, infatti, mancanti nell’opera di Berti48. Grazie a questi nuovi scritti, Spampanato poté fare un ritratto di Bruno più accurato e meno superficiale di quello tratteggiato da Berti, anche se ne condivise l’opinione riguardo all’errore dei suoi giorni di esaltare oltremodo Giordano49 (per gli stessi motivi di Berti; cioè la strumentalizzazione della sua figura, filosofia e vicenda biografica). Lo scrittore nolano, infatti, parla di Bruno come uno dei fondatori del metodo scientifico moderno (teorizzato nella sua completezza, però, dal suo contemporaneo Galileo Galilei). Egli dice, non a caso, che “la nuova coscienza scientifica che si accinge a guardare il reale con occhio non sorpreso da nebbie, è consacrata dal martirio di Bruno50”. Bruno era riuscito, inoltre, a fondare la cosmologia (parte importante della sua filosofia) e, di conseguenza a 44 Firpo (a cura di Quaglioni), Processo, pag. 333 Ibid.pag. 335 46 Ibid., pag. 336-338 47 Spampanato (a cura di Gentile), Vita di Giordano Bruno 48 Berti, Giordano Bruno da Nola: sua vita e sue opere 49 Spampanato (a cura di Gentile), Vita, pag. 595 50 Spampanato (a cura di Gentile), Vita, pag. 596 45 Pagina 39 desumere concetti scientifici (senza però provarli empiricamente); teorie ad oggi valide ed entrate, dunque, a far parte delle conoscenze scientifiche contemporanee. Sempre Spampanato riferisce come Bruno abbia “un significato speciale nella storia della cultura, perché non fu conflitto di coscienze individuali diverse, ma necessaria conseguenza del progresso dello spirito umano, che giunse in lui ad avvertire per la prima volta e quindi a sorpassare la tradizione che fin dal medioevo lo dilaniava, […] farsi da sé la verità sua, … che è nella natura, e che nella ragione, cioè, per lui, la ragione sua definisce. … A questa verità, che sola l’innamora, egli non potrà rinunziare51”. Per il concittadino di Bruno, la morte del filosofo suggellò la sua nuova filosofia; fu, cioè, la dimostrazione empirica dell’esigenza radicale del pensiero moderno basato sulla scienza di occupare il posto della ormai decaduta religione con il suo principio di autorità. Giordano, a differenza di Galileo, scelse di difendere fino in fondo la libertà suprema della scienza e della filosofia; discipline che secondo il nolano non potevano essere giudicate dalla Chiesa come eretiche solamente perché eterodosse rispetto al credo cattolico52. In particolare quella filosofia che, con Bruno, divinizzò la natura, mentre nei tempi a venire avrebbe divinizzato l’uomo; la stessa fu glorificata proprio dall’esecuzione del nolano (il contrario di ciò che i suoi giudici avrebbero voluto53). Lo Spampanato, insomma, ne rivendicò lo spirito moderno che segnò il passaggio della cultura, filosofia, società e storia medievale con quella moderna e, in parte, contemporanea. Così come Giovanni Gentile nella sua opera scriveva che “il martirio di Giordano Bruno ha un significato speciale nella storia della cultura, poiché non fu conflitto di coscienze individuali diverse; ma necessaria conseguenza del progresso dello spirito umano, che Bruno impersonò al cadere del Cinquecento, quando si chiudeva col Rinascimento tutta la vecchia storia della civiltà d'Europa: del progresso dello spirito, che giunse in lui ad avvertire per la prima volta, e quindi a sorpassare, la contraddizione, che fin dal Medio Evo lo dilaniava, tra sé e sé medesimo: tra spirito che crede, e professa di non intendere, e spirito che intende, e professa di intendere, cioè farsi da sé la verità sua54”. 51 Ibid., pag. 596 Ibid., pag. 596 53 Ibid., pagg. 596-597 54 Giovanni Gentile, Giordano Bruno e il pensiero del Rinascimento, Le Lettere, Firenze, 1991 (prima ed. 1920) 52 Pagina 40 Capitolo 10 – Angelo Mercati e la scoperta del Sommario Angelo Mercati (Villa Gaida, 6 ottobre 1870 – Città del Vaticano, 3 ottobre 1955) fu un sacerdote, archivista e storico cattolico. Nato in una famiglia di forte connotazione cattolica (il fratello maggiore Giovanni fu un cardinale), durante la sua gioventù conseguì una laurea in teologia all’Università Gregoriana di Roma. Fu poi ordinato sacerdote nel 1893 ed anche insegnante di dogmatica e storia presso la chiesa di Roteglia (frazione di Castellarano, in provincia di Reggio Emilia). In questo periodo il Mercati tradusse opere e collaborò con quotidiani e periodici per opere attinenti il campo delle ricerche storiche, archeologiche e teologiche. Nonostante fosse legato alla cultura cattolica del suo tempo, egli fu promotore del metodo storico-critico presso il clero italiano. Nel frattempo, suo fratello Giovanni fu incaricato di occuparsi della Biblioteca apostolica Vaticana e portò con sé Angelo. Nel 1916 fu nominato custode degli archivi romani e, dopo alcune promozioni, fu scelto come prefetto (nel 1925). Il Mercati durante questo periodo però, si occupò soprattutto dell’Archivio Vaticano scovando, traducendo e ordinando i documenti in esso contenuti. Una delle sue scoperte più importanti, che diede poi alla luce con una pubblicazione del 1942, fu Il sommario del processo di Giordano Bruno1. Tale scoperta fu, in realtà, fortuita: il Sommario, infatti, non era mai stato collocato al posto ad esso assegnato, ma fu ritrovato nell’archivio privato di Pio IX (probabilmente spostato proprio per non essere trovato, dunque nascosto volontariamente). Nello stesso periodo Mercati si occupò anche di altre opere; portò, infatti, alla luce numerosi documenti inediti di grandi artisti del Rinascimento italiano come Michelangelo e Raffaello. Così facendo, Mercati incrementò e ordinò i documenti nell’Archivio Vaticano. Negli anni Trenta, lo storico e archivista cattolico si dedicò alla pubblicazione del periodico L’Illustrazione Vaticana (che fondò nello stesso anno e di cui fu direttore) e si adoperò all’organizzazione della Bibliografia dell’Archivio Vaticano. Negli anni della Seconda Guerra Mondiale, assieme al fratello maggiore Giovanni, si occupò del salvataggio degli archivi e biblioteche vaticane. Prima della sua morte, avvenuta nel 1955, fu impegnato nelle neonate associazioni vaticane in ambito delle scienze storiche2. La scoperta di Mercati del Sommario avvenne nel 1940, come abbiamo detto, tra le carte private di Pio IX. Tale sommario, messo insieme dal canonista Francisco Peña tra fine Cinquecento e inizio Seicento, fu compilato dopo il 1597 e destinato all’uso dei membri della Congregazione inquisitoriale (era, appunto, un riassunto di tutte le testimonianze e i documenti del processo bruniano). In precedenza tale opera era capitata nelle mani del benedettino Gregorio Palmieri nel 1886, ma la sua collocazione non fu corretta e, soprattutto, non fu comunicata la notizia del suo ritrovamento. Partendo da una copia dell’originale (andate perdute sia l’originale che la copia, quest’ultima dopo essere stata consultata dal monsignore), Mercati corresse ed editò il Sommario completo di 261 paragrafi suddividendoli in gruppi: il primo gruppo comprende le testimonianze di Bruno, di testimoni chiamati dall’Inquisizione e le accuse del Mocenigo (nn.1-225); il secondo Angelo Mercati, Il sommario del processo di Giordano Bruno, con appendice di documenti sull’eresia e l’inquisizione a Modena nel secolo XVI, Città del Vaticano, 1942 2 http://www.treccani.it/enciclopedia/angelo-mercati_(Dizionario-Biografico)/ 1 Pagina 41 raccoglie ulteriori risultanze dei costituti bruniani (nn. 266-241); il terzo tratta di spunti per la difesa del filosofo nei confronti delle accuse mossegli contro (nn. 242-251); il quarto e ultimo gruppo è costituito da una raccolta delle difese del nolano nei confronti delle censure operate sui suoi testi dalla Congregazione3 (nn. 252-261). Il Mercati, dunque, portò nuovi documenti processuali bruniani alla conoscenza degli storici. Per elencare tali documenti, intendo avvalermi dell’opera di Firpo4 poiché riveduta, corretta e aggiornata rispetto all’opera di Mercati. Tra i nuovi documenti troviamo perlopiù riassunti di testimonianze (estratti delle deposizioni che il Sant’Uffizio aveva operato dalle deposizioni degli accusatori di Bruno): 1. Testimonianza di fra Celestino da Verona (Venezia, 1592/1593); deposizione in cui il frate e concarcerato di Bruno riporta degli aneddoti sul nolano. Racconta, cioè, di quando il filosofo ammise di non credere in nulla durante un banchetto con un Viceré e dell’episodio in cui egli estrasse a sorte un verso dell’Ariosto durante un gioco. Giordano estrasse il verso “D’ogni legge nemico e d’ogni fede” commentando come tale frase fosse aderente alla sua personalità e alle sue idee5. 2. Testimonianza di Francesco Graziani6 (Venezia, 1592/1593); deposizione in cui il compagno di prigionia del filosofo racconta dell’intento di Bruno di introdurre una nuova setta denominata Giordanisti che condivideva le sue idee e teorie. Graziani parla, inoltre, dell’episodio del verso ariostesco. Il frate, stando alle parole del testimone, raccontava della Chiesa che era comandata da asini e ignoranti, che in Inghilterra, Francia e Germania era considerato nemico della fede cattolica e un filosofo nuovo e, infine, alla domanda di dei compagni di prigionia sul Sant’Uffizio Graziani testimonia di aver sentito Bruno rispondere “Che ha da fare quell’officio dell’anima mia7?”. 3. Testimonianza di Matteo Silvestre (Venezia, 1592/1593); deposizione in cui un altro con carcerato di Bruno conferma le testimonianze degli altri imprigionati con il filosofo. Silvestre ribadisce, in sostanza, il pensiero del nolano riguardo la Chiesa e gli ecclesiastici, oltre che del gioco già citato del verso di Ariosto. Aggiunge, inoltre, di aver sentito dire al filosofo eresie e burle contro la Chiesa8. 4. Testimonianza di Bruno (Venezia, 1592/1593); deposizione in cui il nolano nega di voler costituire una setta di Giordanisti e di averne mai parlato con qualcuno9. 5. Testimonianza di fra Celestino da Verona (Venezia, 1592/1593); in cui il frate afferma di non aver mai sentito Bruno negare la Trinità e la distinzione tra le tre Persone10. 6. Testimonianza di fra Celestino da Verona (Venezia, 1592/1593); in cui afferma che Bruno raccontasse che Cristo non fosse morto in croce, bensì fosse stato impiccato 3 Firpo (a cura di Quaglioni), Processo, pagg. 3-4 Firpo (a cura di Quaglioni), Processo 5 Mercati, Sommario, paragrafo n.11 in Firpo (a cura di Quaglioni), Processo, pag. 250 6 Ibid., pag. 250-251(paragrafo n.12-13) 7 Ibid., pag. 251 (paragrafo n.13) 8 Ibid., pag. 251-252 (paragrafo n.15-16) 9 Ibid., pag. 253 (paragrafo n. 22) 10 Mercati, Sommario, paragrafo n.27 in Firpo (a cura di Quaglioni), Processo, pag. 253 4 Pagina 42 sulla forca, esecuzione in voga all’epoca. Celestino aggiunge, inoltre, che Bruno avesse definito Cristo “tristo11” e che, per tale caratteristica, fu ucciso12. 7. Testimonianza di Francesco Vaia da Napoli (Venezia, 1592/1593); deposizione in cui un compagno di prigionia di Bruno che conferma la deposizione di Celestino13. 8. Testimonianza di Francesco Graziani (Venezia, 1592/1593); in cui si riporta come Bruno abbia definito non solo Cristo tristo, ma con lo stesso appellativo anche gli apostoli. Aggiunse, poi, che Giordano negò il fatto che la tavola sopra la croce (durante la crocifissione di Cristo) contenesse la sigla I.N.R.I (cioè Iesus Nazarenus Rex Iudeorum)14. 9. Testimonianza di Matteo Silvestre (Venezia, 1592-1593); in cui riporta, in pratica, le testimonianze degli altri concarcerati riguardo le parole di Giordano sulla forma della croce, sul Cristo e sugli apostoli definiti tristi. Aggiunge, poi, che secondo Bruno Cristo avesse compiuto i miracoli non per intercessione divina o per natura divina; bensì grazie alle arti oscure15. 10. Testimonianza di fra Celestino da Verona (Venezia, 1592/1593); in cui Celestino riporta la dichiarazione di Bruno; per il filosofo Cristo avrebbe peccato mortalmente nel non adempiere alla volontà del Padre mentre era nell’Orto degli ulivi16 (passo biblico). 11. Testimonianza di fra Giulio Salo (Venezia, 1592/1593); in cui il compagno di cella di Bruno conferma quanto detto da Celestino17. 12. Testimonianza di Francesco Graziani (Venezia, 1592/1593); in cui conferma le parole di fra Celestino e aggiunge, inoltre, di aver sentito Bruno dire che la dottrina religiosa cattolica e le credenze della Chiesa fossero vanità non confermabili18. 13. Testimonianza di Matteo Silvestre (Venezia, 1592/1593); in cui egli conferma le testimonianze precedenti riguardo all’interpretazione dell’episodio biblico dell’Orto di Bruno19. 14. Testimonianza di Francesco Graziani (Venezia, 1592/1593); in cui accusa Bruno di aver detto che la messa fosse una cosa malvagia e superflua, oltre ad aver negato la transustanziazione del corpo e sangue di Cristo nel pane e nel vino durante il momento dell’Eucarestia20. 15. Testimonianza di Matteo Silvestre (Venezia, 1592/1593); in cui conferma, in sostanza, la testimonianza di Graziani21. 16. Testimonianza di fra Celestino da Verona (Venezia, 1592/1593); in cui accusa Bruno di aver negato l’esistenza dell’Inferno, di aver affermato che la pena dei 11 Ibid., pag. 260 (paragrafo n.44) Ibid., pag. 260 (paragrafo n. 43-44) 13 Ibid., pag. 260 (paragrafo n. 45) 14 Ibid., pag. 260-261 (paragrafo n. 47-48) 15 Ibid., pag. 261 (paragrafo n. 49-50) 16 Ibid., pag. 263 (paragrafo n. 57-58) 17 Ibid., pag. 263( paragrafo n. 59) 18 Ibid., pag. 263( paragrafo n. 60-61) 19 Ibid., pag. 263-264 (paragrafo n. 62-63) 20 Mercati, Sommario, paragrafo n. 67 in Firpo (a cura di Quaglioni), Processo, pag. 264 21 Ibid., pag. 264 (paragrafo n. 68) 12 Pagina 43 dannati dopo la morte non sarebbe stata eterna (nel caso fosse esistito l’Inferno) e che tutti si sarebbero salvati, credenti e non-credenti, portando come testimonianza una frase estratta della Bibbia22. 17. Testimonianza di fra Giulio Salo (Venezia, 1592/1593); in cui praticamente conferma quanto detto da fra Celestino riguardo all’Inferno, alla pena eterna per i dannati e alla salvezza delle anime23. 18. Testimonianza di Francesco Vaia da Napoli (Venezia, 1592/1593); in cui conferma in sostanza le precedenti deposizioni di fra Celestino e fra Giulio24. 19. Testimonianza di Francesco Graziani (Venezia, 1592/1593); in cui conferma praticamente le deposizioni precedenti di fra Celestino, fra Giulio e Vaia25. 20. Testimonianza di Matteo Silvestre (Venezia, 1592/1593); in cui conferma, in sostanza, le precedenti deposizioni di fra Celestino, fra Giulio, Vaia e Graziani26. 21. Testimonianza di fra Celestino da Verona (Venezia, 1592/1593); testimonianza in cui egli afferma come Bruno sostenesse la teoria dell’esistenza di infiniti mondi27. 22. Testimonianza di fra Giulio Salo (Venezia, 1592/1593); in cui, sostanzialmente, conferma la testimonianza di fra Celestino28. 23. Testimonianza di Francesco Vaia da Napoli (Venezia, 1592/1593); in cui, in pratica, conferma le parole di fra Celestino e fra Giulio29. 24. Testimonianza di Francesco Graziani (Venezia, 1592/1593); in cui, tecnicamente, conferma le deposizioni di fra Celestino, fra Giulio e Francesco Vaia30. 25. Testimonianza di Matteo Silvestre (Venezia, 1592/1593); in cui, oltre a confermare le parole di fra Celestino, fra Giulio, Vaia e Graziani, testimonia come Bruno avesse teorizzato l’eternità dei mondi31. 26. Testimonianza di fra Celestino da Verona (Venezia, 1592/1593); in cui riporta che Bruno avesse smentito la Bibbia riguardo ai Re Magi e avesse affermato che al posto dei tre Magi fossero andati in adorazione di Gesù esclusivamente gente umile e povera32. 27. Testimonianza di fra Celestino da Verona (Venezia, 1592/1593); in cui accusa Bruno di aver teorizzato e divulgato l’idea dell’eternità del mondo e di aver negato la creazione del mondo da parte di Dio (come invece era scritto nella Bibbia33). 28. Testimonianza di fra Giulio Salo (Venezia, 1592/1593); in cui conferma sostanzialmente l’accusa, elaborata da fra Celestino da Verona nei confronti di 22 Ibid., pag. 266 (paragrafo n. 72-73) Ibid., pag. 266 (paragrafo n. 74) 24 Ibid., pag. 266 (paragrafo n. 75) 25 Ibid., pag. 266-267 (paragrafo n. 76-77) 26 Ibid., pag. 267 (paragrafo n. 78-79) 27 Ibid., pag. 268 (paragrafo n. 84-85) 28 Ibid., pag. 268 (paragrafo n. 86) 29 Ibid., pag. 268 (paragrafo n. 87) 30 Mercati, Sommario, paragrafo n. 88-89 in Firpo (a cura di Quaglioni), Processo, pag. 268 31 Ibid., pag. 268 paragrafo n. 90-91) 32 Ibid., pag. 271 (paragrafo n. 98) 33 Ibid., pag. 272 (paragrafo n. 103) 23 Pagina 44 Giordano, riguardante l’eternità del mondo e l’affermazione di Giordano per cui il mondo non fosse stato creato da Dio34. 29. Testimonianza di Francesco Graziani (Venezia, 1592/1593); in cui praticamente conferma le precedenti denunce di fra Celestino e fra Giulio35. 30. Testimonianza di Matteo Silvestre (Venezia, 1592/1593); deposizione concorde a quelle in precedenza esposte da fra Celestino, fra Giulio e Graziani36. 31. Testimonianza di fra Celestino da Verona (Venezia, 1592/1593); in cui depone contro Bruno per aver sentito Giordano dire che, nell’episodio biblico, Caino avesse ucciso giustamente suo fratello Abele perché quest’ultimo si era rivelato malvagio e uccisore d’animali37. 32. Testimonianza di Francesco Graziani (Venezia, 1592/1593); in cui, in pratica, conferma la deposizione di fra Celestino da Verona riguardo le parole con cui Bruno aveva interpretato l’episodio di Caino e Abele38. 33. Testimonianza di fra Celestino da Verona (Venezia, 1592/153); in cui accusa Bruno di aver detto che Mosè fosse stato un mago e non un profeta. Secondo il nolano, infatti, Mosè aveva battuto i maghi del faraone in Egitto con l’arte magica, aveva anche finto di parlare con Dio e di aver ricevuto dal divino le famose dieci leggi (che, anzi, definisce tiranniche e sanguinolente39). 34. Testimonianza di Francesco Graziani (Venezia, 1592/1593); in cui, praticamente, conferma le accuse mosse al Bruno da fra Celestino riguardo la figura di Mosè40. 35. Testimonianza di fra Celestino da Verona (Venezia, 1592/1593); in cui Celestino accusa Bruno di aver detto che i profeti fossero stati malvagi e bugiardi e che dunque fossero morti giustamente41. 36. Testimonianza di Francesco Graziani (Venezia, 1592/1593); in cui, in sostanza, si confermano le accuse mosse da Celestino nei confronti di Bruno riguardo alle affermazioni sui profeti42. 37. Testimonianza di fra Celestino da Verona (Venezia, 1592/1593); in cui accusa Bruno di aver detto che il credo elaborato dalla Chiesa cattolica non potesse essere provato e che dunque fossero, secondo lui, soltanto delle vanità43. 38. Testimonianza di Francesco Graziani (Venezia, 1592/1593); in cui, in pratica, conferma le accuse rivolte da fra Celestino a Bruno riguardo il credo della Chiesa44. 39. Testimonianza di fra Giulio Salo (Venezia, 1592/1593); in cui il frate accusa Giordano di aver detto che san Girolamo fosse stato un ignorante45. 34 Ibid., pag. 272 (paragrafo n. 104) Ibid., pag. 272 (paragrafo n. 105) 36 Ibid., pag. 272 (paragrafo n. 106-107) 37 Ibid., pag. 273 (paragrafo n. 110-111) 38 Ibid., pag. 273 (paragrafo n. 112-113) 39 Mercati, Sommario, paragrafo n. 117-118 in Firpo (a cura di Quaglioni), Processo, pag. 274 40 Ibid., pag. 274 (paragrafo n. 120-121) 41 Ibid., pag. 275-276 (paragrafo n. 124-125) 42 Ibid., pag. 276 (paragrafo n. 127-128) 43 Ibid.pag. 276 (paragrafo n. 130) 44 Ibid., pag. 276 (paragrafo n. 131) 45 Ibid., pag. 276 (paragrafo n. 134 35 Pagina 45 40. Testimonianza di fra Celestino da Verona (Venezia, 1592/1593); in cui Celestino testimonia che Bruno avesse affermato che “il raccomandarsi ai santi è cosa rediculosa e non da farsi46”. 41. Testimonianza di Francesco Graziani (Venezia, 1592/1593); in cui il compagno di prigionia di Bruno ribadisce ciò che Celestino aveva detto riguardo le parole del nolano riguardo ai santi47. 42. Testimonianza di Matteo Silvestre (Venezia, 1592/1593); in cui si confermano le testimonianze precedenti (Celestino e Graziani) sulle parole di Bruno riguardo ai santi48. 43. Testimonianza fra Celestino da Verona (Venezia, 1592/1593); in cui riporta il discorso di Bruno fatto ai suoi compagni di prigione riguardo alle reliquie. Il nolano, infatti, aveva affermato che la venerazione delle reliquie fosse, in sostanza, una superstizione per i creduloni49. 44. Testimonianza di Francesco Graziani (Venezia, 1592/1593); in cui sostanzialmente ribadisce quanto detto da Celestino riguardo le parole di Bruno sulle reliquie50. 45. Testimonianza di Mattia Silvestre (Venezia, 1592/1593); costituto che in sostanza ripete ciò che Celestino e Graziani raccontano di Bruno e del suo pensiero sulla venerazione delle reliquie51. 46. Testimonianza di Francesco Graziani (Venezia, 1592/1593); costituto in cui il concarcerato di Bruno testimonia di aver sentito il filosofo burlarsi dell’idolatria con i suoi compagni di prigionia52. 47. Testimonianza di fra Celestino da Verona (Venezia, 1592/1593); in cui Celestino testimonia dell’affermazione di Bruno; il Breviario, secondo il nolano, era pieno di cose false, ignoranti e stupide53. 48. Testimonianza di fra Giulio (Venezia, 1592/1593); in cui Giulio afferma di aver sentito dire a Bruno di essere apostata e scomunicato54. 49. Testimonianza di Francesco Vaia (Venezia, 1592/1593); in cui si conferma la deposizione di Celestino55. 50. Testimonianza di Francesco Graziani (Venezia, 1592/1593); in cui si confermano le deposizioni di Celestino e Vaia56. 51. Testimonianza di Matteo Silvestri (Venezia, 1592/1593); in cui si confermano le deposizioni di Celestino, Vaia e Graziani57. 46 Ibid., pag. 277 (paragrafo n. 136-137) Ibid., pag. 277 (paragrafo n. 139-140) 48 Ibid., pag. 277 (paragrafo n. 141-142) 49 Ibid., pag. 278 (paragrafo n. 145) 50 Ibid., pag. 278 (paragrafo n. 146) 51 Ibid., pag. 278 (paragrafo n. 147-148) 52 Ibid., pag. 279 (paragrafo n. 151-152) 53 Ibid., pag. 280 (paragrafo n. 158-159) 54 Ibid., pag. 280-281 (paragrafo n. 160) 55 Ibid., pag. 281 (paragrafo n. 161) 56 Ibid., pag. 281 (paragrafo n. 162-163) 57 Ibid., pag. 281 (paragrafo n. 164) 47 Pagina 46 52. Testimonianza di fra Celestino da Verona (Venezia, 1592/1593); in cui testimonia di aver sentito bestemmiare Giordano in cella58. 53. Testimonianza di fra Giulio (Venezia, 1592/1593); in cui testimonia, come Celestino, di aver sentito Bruno bestemmiare59. 54. Testimonianza di Francesco Vaia (Venezia, 1592/1593); in cui testimonia, come Celestino e Giulio, di aver sentito Bruno bestemmiare60. 55. Testimonianza di Francesco Graziani (Venezia, 1592/1593); in cui testimonia, come Celestino Giulio e Vaia, di aver sentito bestemmiare Bruno61. 56. Testimonianza di Matteo Silvestre (Venezia 1592/1593); in cui testimonia, come Celestino, Giulio, Vaia e Graziani, di aver sentito Bruno bestemmiare62. 57. Testimonianza di fra Celestino da Verona (Venezia, 1592/1593); in cui testimonia di aver sentito Bruno parlare della trasmigrazione delle anime mentre era in cella63. 58. Testimonianza di Francesco Graziani (Venezia, 1592/1593); in cui testimonia, come Celestino, di aver sentito Giordano parlare della trasmigrazione delle anime64. 59. Testimonianza di Matteo Silvestre (Venezia, 1592/1593); in cui testimonia, come Celestino e Graziani, di aver senti Giordano parlare della trasmigrazione delle anime65. 60. Testimonianza di Francesco Graziani (Venezia, 1592/1593); in cui testimonia di aver sentito Bruno affermare di poter praticare le arti divinatorie con un libro composto da lui stesso66. 61. Testimonianza di Matteo Silvestre (Venezia, 1592/1593); in cui testimonia, come Graziani, di aver sentito Bruno dire ai suoi compagni di prigionia di saper praticare le arti divinatorie67. 62. Testimonianza di fra Celestino da Verona (Venezia, 1592/1593); in cui testimonia di aver sentito dire il Bruno di voler bruciare il convento e poi scappare in Germania o in Inghilterra, se fosse stato giudicato innocente dalla Congregazione e poi avessero deciso di confinarlo in un convento68. 63. Testimonianza di fra Giulio (Venezia, 1592/1593); in cui testimonia di aver sentito Bruno dire di voler chiedere la grazia del Papa e vivere con abito secolare, se fosse stato giudicato innocente dalla Congregazione69. 64. Testimonianza di Francesco Graziani (Venezia, 1592/1593); in cui testimonia, come Celestino, di aver sentito Bruno parlare di un ritorno in Germania70. 58 Ibid., pag. 282 (paragrafo n. 169-170) Ibid., pag. 282 (paragrafo n. 171) 60 Mercati, Sommario, paragrafo n. 172 in Firpo (a cura di Quaglioni), Processo, pag. 283 61 Ibid., pag. 283 (paragrafo n. 173) 62 Ibid., pag. 283 (paragrafo n. 174-175) 63 Ibid., pag. 284 (paragrafo n. 180-181) 64 Ibid., pag. 284 (paragrafo n. 182) 65 Ibid., pag. 284 (paragrafo n. 183-184) 66 Ibid., pag. 286 (paragrafo n. 192) 67 Ibid., pag. 286 (paragrafo n. 193) 68 Ibid., pag. 293 (paragrafo n. 218-219) 69 Ibid., pag. 293 (paragrafo n. 220) 70 Mercati, Sommario, paragrafo n. 221-222 in Firpo (a cura di Quaglioni), Processo, pag. 293-294 59 Pagina 47 65. Testimonianza di Matteo Silvestri (Venezia, 1592/1593); in cui testimonia, come Celestino e Graziani, di aver sentito Bruno affermare di voler ritornare in Germania71. 66. Testimonianza di fra Celestino da Verona (Venezia, 1592/1593); in cui Celestino afferma di aver deposto contro Bruno perché lo reputava, a sua volta, il suo accusatore. Afferma anche di aver avuto un confronto con Giordano e di come quest’ultimo gli avesse tirato uno schiaffo72. 67. Nota della Congregazione (Venezia, 1592/1593); in cui si afferma che le deposizioni di Francesco Vaia siano state solo dei rapporti sui fatti accaduti a Bruno in cella e che, il napoletano, per la maggior parte delle volte disse di non sapere nulla (alle domande su Bruno poste dagli Inquisitori73). Angelo Mercati ritrovò anche un documento che Firpo74 riporta con il titolo “Il cardinale Giulio Santori ai banchieri Juan Enriquez de Herrera e Ottavio Costa (Roma, 11 dicembre 1596)”. In questa lettera scritta dal cardinale Santori ai tesorieri dell’Inquisizione, egli dispone di dare dei soldi a Marco Tullio de’ Valentini (custode delle carcere del Sant’Uffizio) per le spese affrontate nel sostentamento e servizi per i carcerati. Il documento fu poi emendato dallo stesso custode carcerario che notifica il ricevimento della quota e la sua distribuzione in favore dei carcerati, riportando anche i servizi svolti a favore di questi ultimi. Nella lista si ritrova anche il nome di Bruno cui si attribuisce la fruizione di due servizi; quello del barbiere e quello dell’acquisto di un capo di vestiario (un paio di calzini). Angelo Mercati nella sua opera75, dunque, raccolse la documentazione concernente le testimonianze e deposizioni dei compagni di cella di Bruno. Queste erano frequenti, al tempo, perché il testimoniare contro un altro detenuto avrebbe permesso all’accusatore di avere sgravi penali nella sentenza finale. Il diritto inquisitoriale, infatti, riteneva dimostrato un fatto quando era testimoniato da due testimoni diretti e indipendenti L'Inquisizione doveva inoltre provare che l'imputato fosse "pertinacemente" convinto di quello che aveva detto o pensato. Il processo bruniano poggò le sue basi soprattutto su quest'ultima circostanza; il filosofo cerca disperatamente di salvarsi, ma senza rinunciare alle proprie convinzioni. Tali documenti sono però importanti poiché ci danno uno scorcio (per quanto non affidabile) della prigionia di Bruno a Venezia. Mercati, con la sua interpretazione data ai documenti ritrovati, costruì un ritratto di Bruno molto differente da quelli tratteggiati prima di lui da Berti76 e Spampanato77. Il sacerdote, infatti, interpretò il processo 71 Ibid., pag. 294 (paragrafo n. 223) Ibid., pag. 299 (paragrafo n. 247-248) 73 Ibid., pag. 299 (paragrafo n. 249) 74 Firpo (a cura di Quaglioni), Processo, “Il cardinale Giulio Santori ai banchieri Juan Enriquez de Herrera e Ottavio Costa (Roma, 11 dicembre 1596), pag. 237-240 75 Angelo Mercati, Il sommario del processo di Giordano Bruno, con appendice di documenti sull’eresia e l’inquisizione a Modena nel secolo XVI, Città del Vaticano, 1942 76 Berti, Giordano 77 Spampanato, Vita 72 Pagina 48 bruniano come un atto “dovuto esclusivamente78” a legittimi motivi religiosi e, dunque, non una causa intentata contro la filosofia e la scienza di Bruno79. Egli intese, infatti, il processo inquisitorio come basato sugli atti osceni e gli atti blasfemi rivolti verso la divinità che Bruno avrebbe compiuto; dunque argomenti giuridici e capi d’accusa di legittima competenza del Sant’Uffizio80. La sentenza contro il nolano, in poche parole, sarebbe stata “giustamente81” (Bucciantini82 riporta come il Mercati avesse posto l’accento sull’aggettivo “giustamente”, ripetuto nell’argomentazione più e più volte) emessa contro il reo83. Questa idea del Mercati si basava, in sostanza, sui documenti contenuti nel Sommario e, seppur difficilmente verificabili e facilmente inattendibili (per i motivi già riportati), egli non esitò a definire Bruno apostata, eretico, colpevole e mentalmente disturbato. A partire, infatti, dal rifiuto di Bruno del pentimento e dell’abiura, Mercati volle scorgere il segno di un disturbo psichico dell’imputato e, di conseguenza, negarne la filosofia che definì composta di parti disorganiche comprendenti idee confuse, errori e mancanze84. “Nelle intenzioni di monsignor Mercati – si legge in Bucciantini85 - “la pubblicazione del Sommario avrebbe messo la parola fine non solo a un Bruno positivista e anticlericale, ma anche al Bruno filosofo […]. Il Bruno eroe del pensiero, nemico di ogni dogma e difensore strenuo della libertas philosophandi […] non era mai esistito […]. Al suo posto […] c’era un apostata e bestemmiatore, un personaggio perfino un po’ folle che soffriva di non pochi problemi psichici, ostinato e orgoglioso fino al punto di sacrificare la propria vita per ciò che Mercati definiva <<fantastiche e strampalate ideologie86>>”. Il sacerdote aveva cercato, quindi, di offuscare e distruggere il Bruno uomo, filosofo e scienziato solo per mettere in luce il Bruno eretico, apostata e colpevole che era stato giustamente condannato a morte. E, come riporta lo stesso Bucciantini, il ritratto palesemente parziale, arbitrario e ingiusto del nolano di Bruno che era emerso dal Sommario, aveva trovato ampi consensi negli ambienti cattolici87 (probabilmente per la questione della statua di Bruno eretta in Campo dei Fiori contro il volere dei cattolici e dello Stato della Chiesa; una statua il cui sguardo severo si dirigeva verso San Pietro come monito per la coscienza ecclesiastica che lo aveva condannato al rogo). 78 Mercati, Sommario, pag. 8 in Bucciantini, Campo, pag. 302 Bucciantini, Campo, pag. 302 80 Mercati, Sommario, pag. 6-7 in Bucciantini, Campo, pag. 302 81 Ibid., pag. 303 (pag. 12-13) 82 Bucciantini, Campo, pag. 303 83 Mercati, Sommario, pag. 12-13 in Bucciantini, Campo, pag. 303 84 Ibid., pag. 303 (pag. 51) 85 Bucciantini, Campo, pag. 304 86 Mercati, Sommario, pag. 13 in Bucciantini, Campo, pag. 303 87 Bucciantini, Campo, pag. 304 79 Pagina 49 Capitolo 11- Gli ultimi reperti: i documenti trovati da Luigi Firpo e da Diego Quaglioni Luigi Firpo (Torino, 1915 –Torino, 1989) è stato un politico, scrittore e storico italiano. Laureato in Giurisprudenza nel ’37 (interessato però sin dai primi anni dell’università al mondo letterario; motivo per il quale seguì molte lezioni della facoltà di Lettere), nel ’57 ebbe la cattedra di Storia delle dottrine politiche all’università di Torino. Collaborò a periodici e quotidiani come La Stampa e per a varie case editrici, come l’Einaudi; entrò poi tra i consiglieri dell’amministrazione della RAI nel ‘79 e fu anche deputato per il Partito Repubblicano Italiano nel ’87. Morì, infine, pochi anni dopo ovvero nel 1989. Firpo ha dedicato una gran parte della sua vita agli studi di letteratura, filosofia e storia del pensiero politico, con particolare attenzione alla stagione tra Rinascimento e Controriforma e ad alcuni dei suoi maggiori esponenti come Machiavelli, Campanella e Bruno (per citarne alcuni)1. Riguardo tali studi, pubblicò opere che trattavano in modo scientifico (grazie alle accurate ricerche bibliografiche e filologiche) le vicende dei protagonisti dei periodi studiati. Sin dagli anni Quaranta applicò nelle sue opere, infatti, una meticolosa ricostruzione bibliografica e filologica; tale ricerca era la base sulla quale Firpo scriveva e, dunque, fu un tratto peculiare del suo pensiero che lo accompagnava nella stesura delle sue opere. In questo capitolo tratteremo, tra le opere del torinese, una in particolare dal titolo Il processo di Giordano Bruno23. In quest’articolo4, infatti, Firpo raccolse i documenti scoperti durante una ricerca presso l’archivio del Sant’Uffizio (dove era entrato grazie a un permesso speciale); scritti inediti attinenti agli ultimi otto anni di vita del frate nolano. L'opera, uscita per la prima volta in volume nel 1949, è stata ripubblicata a cura di Diego Quaglioni nel 1993, tenendo conto della rielaborazione compiuta nel frattempo da Firpo, e corredato da due documenti inediti ritrovati dallo stesso Quaglioni. In questo momento professore ordinario di Storia del diritto medievale e moderno presso l’Università di Trento, Quaglioni è da sempre interessato agli ambiti di studio della storia del diritto comune pubblico, storia dell’ebraismo e storia delle istituzioni politiche ed ecclesiastiche. Proprio quest’ultimo interesse lo portò ad avvicinarsi all’opera di Firpo e alla figura di Bruno5. Nella sua revisione, egli aggiunse documenti ritrovati nei Decreta e nell’Archivio della Santa Congregazione dell’Indice riguardo il processo e la figura del filosofo nolano. I documenti ritrovati ed editi da Firpo sono i seguenti: 1. Sommario della lettera del cardinale Giulio Antonio Santori a fra’ Giovan Gabriele da Saluzzo inquisitore a Venezia (Roma, 2 novembre 1592); lettera in cui il cardinale scrive a uno degli Inquisitori veneziani per ottenere il trasferimento di Bruno a Roma con il fine di farlo processare dalla Congregazione romana. Egli 1 https://it.wikipedia.org/wiki/Luigi_Firpo Luigi Firpo (a cura di Diego Quaglioni), Il processo di Giordano Bruno, Salerno editrice, Roma, 1998 (prima edizione 1993) 3 http://www.treccani.it/enciclopedia/luigi-firpo_%28Dizionario-Biografico%29/ 4 Luigi Firpo, Il processo di Giordano Bruno.”Edizioni Scientifiche Italiane”, 1949 (prima ed. 1948) 5 http://www.dirittoestoria.it/5/CV/Quaglioni-CV-2006.htm 2 Pagina 50 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. ricorda, inoltre, altri casi in cui fu approvato il trasferimento da Venezia a Roma di imputati processati dall’Inquisizione. Santori avverte, infine, l’Inquisitore veneziano della problematica su cui si era già esposto lo stesso Papa; aveva, infatti, parlato con i senatori e il Doge veneziano ordinando loro di prestare obbedienza al suo volere6. Dall’anonima “Raccolta di alcuni negotii e cause spettanti alla Santa Inquisizione nella città e dominio veneto” (Roma, post 1593); in cui si riporta il contenuto della lettera di Santori indirizzata a Gabriele da Saluzzo. Si notifica, inoltre, la notizia del trasferimento di Bruno da Venezia a Roma avvenuta nel 1593 che, in pratica, conferma il rispetto dell’ordine del Papa da parte della Repubblica veneziana7. Sommario della lettera del cardinale Giulio Antonio Santori a fra Giovan Gabriele da Saluzzo inquisitore a Venezia (Roma, 9 gennaio 1593); in cui si riassume il contenuto della lettera di Santori all’Inquisitore veneziano, cioè quella in cui il cardinale riporta i casi precedenti degli imputati sotto la giurisdizione della Serenissima che furono trasferiti al giudizio della Città Eterna8. Decreto della congregazione del Sant’Uffizio (Roma, 16 febbraio 1595); in cui gli Inquisitori romani notificano la continuazione della lettura del memoriale bruniano indirizzata al Papa (che presenziava l’assemblea) e in seguito si ordina di farne una copia per il destinatario9. Decreto della congregazione del Sant’Uffizio (Roma, 10 ottobre 1598); in cui gli Inquisitori notificano lo stato delle cause dei carcerati nelle prigioni del Sant’Uffizio. Riguardo a Bruno, i membri dell’assemblea affermano di procedere ad ulteriori accertamenti per le sue proposizioni eretiche10. Visita dei carcerati nel Sant’Uffizio romano (Roma, 23 dicembre 1597) minuta e bella copia sommaria; nei quali documenti si notifica la visita di Bruno nella sua cella e l’aver ascoltato ciò di cui il frate necessitava per il suo sostentamento11. Visita dei carcerati nel Sant’Uffizio romano (Roma, 16 marzo 1598) bella copia; in cui gli Inquisitori notificano l’aver visitato e ascoltato Bruno e poi di aver avvertito lo stesso Giordano dell’ultimazione del sommario delle carte del processo contro di lui. Aggiungono, inoltre, che non sarebbe stato possibile procedere alla sentenza della sua causa prima della festività della Settimana Santa12. Visita dei carcerati nel Sant’Uffizio romano (Roma, 16 dicembre 1598) bella copia; in cui si notifica la visita e l’interrogazione di Bruno riguardo al necessario durante la sua prigionia. Egli rispose e si fece dare della carta per scrivere. Inoltre la Congregazione dispose di fare un rendiconto dell’uso fatto dal nolano di tale carta. Al prigioniero fu anche consegnato un breviario in uso presso i domenicani13. 6 Firpo (a cura di Quaglioni), Processo, pagg. 205-206 Ibid., pag. 206 8 Ibid., pag. 213 9 Ibid., pagg. 227-228 10 Ibid., pagg. 235-236 11 Ibid., pag. 244 (minuta); pag. 247 (bella copia sommaria) 12 Ibid., pagg. 304-306 13 Firpo (a cura di Quaglioni), Processo, pagg. 307-308 7 Pagina 51 9. Decreto della congregazione del Sant’Uffizio (Roma, 12 gennaio 1599) minuta e bella copia; in cui si decide di proporre al nolano le proposizioni da abiurare scelte dalla Congregazione affinché egli potesse riflettere sulle stesse. Si notifica, inoltre, che nella successiva assemblea inquisitoriale si debba proporre al nolano l’abiura di tali proposizioni; nel caso in cui non avesse accettato, la Congregazione molto probabilmente avrebbe preso provvedimenti a riguardo14 (in questo passo si riscontra un problema testuale perché dopo le parole “et si noluerit revocare” vi è una sospensiva che lo stesso Firpo riporta e ammette essere presente nel testo originale15). 10. Decreto della congregazione del Sant’Uffizio (Roma, 18 febbraio 1599) minuta; in cui si notifica la lettura durante l’assemblea della Congregazione del costituto rilasciato da Bruno tre giorni prima (15 febbraio 1599), fu inoltre letto il suo memoriale e fu anche ordinato di raccogliere altri errori del filosofo dai verbali processuali e dalle sue opere16. 11. Decreto della congregazione del Sant’Uffizio (Roma, 24 agosto 1599) minuta; verbale in cui il cardinale Bellarmino propose a Bruno la ritrattazione degli scritti esibiti agli Inquisitori il precedente 5 aprile (durante la visita ai detenuti del carcere del Sant’Uffizio) dall’imputato. In particolare, il cardinale si riferiva a due proposizioni: nella prima l’eresia era definita evidente e di tipo Novaziana, mentre la seconda concerneva il rapporto tra anima e corpo (definito dallo stesso Bruno con il paragone del timoniere che conduce la nave); dunque il Bellarmino chiese spiegazioni a riguardo. I cardinali inquisitori decisero inoltre di arrivare alla sentenza del caso nella successiva assemblea. Fu, infine, letta e approvata la richiesta del filosofo di carta, penne, occhiali e strumenti per scrivere (non gli fu però permesso ricevere un coltello e un temperino)17. Decreto della congregazione del Sant’Uffizio (Roma, 6 settembre 1599); in cui si ordina che la causa contro Giordano Bruno fosse definitivamente discussa il seguente giovedì (cioè giovedì 9 settembre 1599) sempre durante l’assemblea della Congregazione18. 12. Decreto della congregazione del Sant’Uffizio (Roma, 9 settembre 1599) minuta e bella copia sommaria; verbale in cui si notifica come lo stesso Papa Clemente VIII abbia ordinato di fissare la data ultima per l’abiura di Bruno sopra le sue proposizioni eretiche19. 13. Decreto della congregazione del Sant’Uffizio (Roma, 16 settembre 1599) minuta; verbale in cui si notifica la lettura durante l’assemblea dell’ultima dichiarazione bruniana in cui lo stesso Giordano testimoniò di essere pronto ad abiurare le sue 14 Ibid., pagg. 309-310 (minuta); pagg. 310-311 (bella copia) Ibid., pag. 310 (minuta), nota n.1 16 Ibid., pagg. 316-317 17 Ibid., pagg. 323-325 18 Ibid., pagg. 325-327 19 Ibid., pagg. 327-329 (minuta); pag. 329 (bella copia sommaria) 15 Pagina 52 proposizioni. Si legge inoltre come il memoriale del nolano indirizzato al Papa fosse stato aperto, ma non letto20. Abbiamo, inoltre, anche due testi inediti che sono stati integrati alla raccolta firpiana della documentazione processuale di Bruno; ovvero scritti ritrovati e integrati da Quaglioni. Questi due documenti sono: 1. Decreto della Congregazione del Sant’Uffizio (Roma, 8 febbraio 1600) minuta; verbale in cui vi è l’elenco degli Inquisitori che ordinarono la sentenza contro Giordano Bruno. In ordine, compaiono i cardinali inquisitori Madruzzo, Santa Severina, Dezza, Pinelli, Ascolano, Sasso, Borghese, Arrigoni, Bellarmino. Appaiono, inoltre, anche altri giudici come: il governatore di Roma Ferdinando Taberna, il vescovo di Caserta Benedetto Mandina, il commissario generale del Sant’Uffizio Alberto Tragagliolo, il padre generale dell’ordine dei Domenicani Maria Ippolito, il padre dei Domenicani romani Pietro Millino, l’assessore del Sant’Uffizio Marcello Filonardi, il commissario del Sant’Uffizio Francesco Pietrasanta, il giurista e procuratore del Sant’Uffizio Giulio Monterenzio. Alla fine dell’elenco compare anche il nome del notaio che aveva scritto il verbale, cioè Flaminio Adriano21. Manca, però, il riferimento all’emissione della sentenza e al rilascio di Bruno alla corte secolare del Governatore di Roma, come riportato nella bella copia sommaria dello stesso documento edita da Domenico Berti22. Quaglioni, infatti, nel riportare il documento ammette di aver riscontrato nel testo la mancanza del decreto relativo a Bruno23. 2. La congregazione dell’Indice registra la condanna del Bruno (Roma, 8 febbraio 1600); verbale in cui si notifica la messa all’Indice e, quindi, la proibizione della circolazione, stampa e lettura dei testi scritti da Bruno24. Luigi Firpo e Diego Quaglioni, dunque, recuperarono molti documenti riguardo alla fase romana della causa contro Bruno, cercando così di colmare la lacuna della conoscenza dei verbali processuali romani originali (andati perduti). Ciò portò, inevitabilmente, ad avere nuove e più precise informazioni sulla prigionia romana di Giordano; in particolare sulle varie fasi del processo inquisitoriale stesso (i documenti, infatti, sono perlopiù verbali della Congregazione). Nella redazione della sua opera – racconta Quaglioni25 - Firpo tentò di recuperare con il massimo rigore filologico ogni testimonianza autentica della vicenda processuale bruniana. Un lavoro, dunque, filologicamente rigoroso e storiograficamente fondato; secondo il metodo caratteristico di Firpo che consisteva nel lucido razionalismo della ricerca26. Stando all’interpretazione dei documenti inediti, il torinese intravede nell’atteggiamento di Bruno tra 1599 e 1600 la coerenza “umana e viva della lunga ed alterna disputa coi giudici e più con se stesso. Non folle ostinazione, non petulanza di grafomane (!) si 20 Firpo (a cura di Quaglioni), Processo, pagg. 329-331 Ibid., pagg. 345-346 22 Berti, Giordano, pagg. 447-448 23 Firpo (a cura di Quaglioni), Processo, pag. 345 (nota al documento) 24 Ibid., pag. 346 25 Firpo (a cura di Quaglioni), Processo, Introduzione (Quaglioni), pag. XXI 26 Ibid., Introduzione (Quaglioni), pag. XXII 21 Pagina 53 rivela nel suo comportamento, ma volontà ferma di non lasciarsi soffocare, ansia di farsi comprendere, parabola dolorosa dalla speranza, allo stupore, alla disperazione27”. Firpo28 intendeva ridare umanità alla figura di Bruno; difendendola dagli attacchi della parte cattolica (per cui il nolano era solo un apostata, fuggitivo, eretico e impenitente) e dalla venerazione e l’uso strumentale della controparte anti-clericale (per cui il filosofo era il simbolo della lotta contro l’istituzione ecclesiastica). Il Bruno di Firpo, “per quanti […] nella libera ricerca riconoscono la più genuina vocazione umana”, rimarrà “la vittima di un’intolleranza, la cui giustificazione non va oltre il piano storico, l’assertore non già di opinioni filosofiche contingenti, ma del diritto all’uomo di credere a ciò che pensa, non di pensare per forza quello cui altri vuol ch’egli creda29”. Lo scrittore torinese, infine, si rese conto del profondo significato della vicenda bruniana e, da storico imparziale, chiese ai detrattori e agli adulatori di Bruno «che le rissose contumelie degli orecchianti, il loro sconsigliato zelo, non turbino quel dibattito che ancora continua, dopo la sentenza ed il rogo, ovunque autorità e libertà si contrappongono, in dialettica perenne, nella storia dell’uomo30”. “Giordano ed i suoi giudici – conclude Firpo31 - restano così personificazioni di due mondi antitetici, radicalmente inconciliabili oggi come allora”. 27 Firpo (a cura di Quaglioni), Processo, pag. 110 Ibid., pag. 112-114 29 Ibid., pagg. 114-115 30 Ibid., pag. 115 31 Ibid., pag. 115 28 Pagina 54 Capitolo 12 – Germano Maifreda e la direzione delle nuove ricerche documentarie Germano Maifreda, laureato in Storia Economica all’università di Verona (1999) dopo aver conseguito quella in Lettere Moderne presso l’università di Milano (19941), insegna Storia economica e sociale dell'età moderna e Storia dell'industria presso il Dipartimento di Studi storici dell'Università degli Studi di Milano. Fa parte del comitato direttivo di varie riviste storiche e del Consiglio d'indirizzo della Biblioteca «Raffaele Mattioli» per la storia del pensiero economico. Tra i suoi lavori più recenti si ricordano From Oikonomia to Political Economy. Constructing Economic Knowledge from the Renaissance to the Scientific Revolution (Ashgate 2012), il manuale di storia per il triennio della scuola media superiore Tempi moderni. Storia, cultura, immaginario (Pearson - Edizioni scolastiche Bruno Mondadori 2012) e I denari dell'inquisitore. Affari e giustizia di fede nell'Italia moderna (Einaudi 20142). Ha scritto pure un’opera dal titolo Giordano Bruno e Celestino da Verona: un incontro fatale3 che tratta di nuovi documenti emersi riguardo il processo di Giordano Bruno. Già nell’introduzione al suo libro4, l’autore riporta la notizia di nuovi documenti inediti che riguardano il cappuccino fra Celestino da Verona, uno dei maggiori accusatori del nolano. Partendo, dunque, da documenti editi (perlopiù si basa su quelli di Firpo5) e inediti (ritrovati presso la Stanza Storica del Fondo Sant’Officio dell’Archivio della Congregazione per la Dottrina della Fede6), Maifreda sottolinea l’importanza della figura del veronese all’interno del processo bruniano. I documenti inediti sono: 1. Decreto del Sant’Uffizio riguardante fra Celestino da Verona (12 settembre 1586); in cui si dà notizia che il frate, figlio di Lattanzio Arrigoni di Verona, fu processato dall'inquisizione romana insieme ai confratelli fra Michele da Giovanpietro da Tarvisio e Pastore Novalis da Vibo Vicentina per un sospetto d’eresia7. La relativa abiura dei tre imputati avvenne nel 17 febbraio 15878. Il decreto, poi, prosegue con alcune notizie riguardo Celestino: la detenzione presso il monastero di S. Bonaventura di Roma e la successiva convocazione davanti alla Congregazione per essere poi inviato nelle prigioni del Sant’Uffizio9. Questo decreto dimostra, secondo Maifreda, che il problema dell’eterodossia di Celestino avesse compromesso il rapporto tra il frate e i suoi superiori che è una “cifra distintiva 1 http://www.unimi.it/chiedove/cv/ENG/germano_maifreda.pdf http://www.einaudi.it/libri/autore/maifreda-germano/0010234/M 3 Germano Maifreda, Giordano Bruno e Celestino da Verona: un incontro fatale, Edizioni della Normale, Pisa, 2016 2 4 Ibid., pag. 12 Firpo (a cura di Quaglioni), Processo 6 Maifreda, Celestino, pag. 220, nota n. 118 7 Ibid., pag. 76-77 8 Ibid., pag. 77 9 Ibid., pag. 77 5 Pagina 55 dell’accidentato percorso esistenziale del veronese, intessuto di ingressi e uscite da carceri conventuali e inquisitoriali10”. 2. Visita dei carcerati nel Sant’Uffizio romano (23 dicembre 1586); in cui gli Inquisitori, dopo aver sentito le necessità di Celestino, decretarono di interrogare l’imputato e metterlo a confronto con gli altri due suoi confratelli11 incarcerati lo stesso giorno insieme al veronese. 3. Decreto del Sant’Uffizio romano (9 gennaio 1587); in cui si notifica la tortura erogata (somministrata?) ai tre imputati12. 4. Sentenza del Sant’Uffizio romano (9 febbraio 1587); in cui gli inquisitori (tra cui Santa Severina) condannarono i tre imputati all’abiura dopo aver esaminato gli atti processuali e i verbali degli interrogatori sotto tortura del solo fra Celestino13. La confessione strappata al veronese “dovette perciò rivelarsi risolutiva14”. Maifreda, riprendendo Mercati15, conferma che Celestino fu incarcerato insieme a Bruno a Venezia tra 1592 e 159316. L’anno della carcerazione nelle prigioni venete di Celestino, così come quella della sua liberazione, non erano però noti né erano mai stati accertati prima di Maifreda. Lo stesso autore, sulla base di tre documenti editi da Firpo 17, ipotizza l’entrata nelle carceri del veronese tra il settembre 1592 e settembre 1593. Stando dunque a questa proposta di datazione, la detenzione sarebbe stata di almeno un anno: “durata consistente per un processo inquisitoriale – spiega Maifreda18 – che segnala inequivocabilmente l’emersione di gravi indizi a carico del frate già trovato eretico nel 1586”. Celestino fu inoltre sottoposto a tortura durante il suo processo: ciò confermerebbe la gravità delle accuse pur sapendo che, alla fine della causa, lo stesso frate fu assolto e liberato19. Il documento che tratta della tortura di Celestino, ovvero quello di Firpo20, fu edito solo parzialmente; Maifreda lo pubblica, invece, integralmente: 5. Decreto del Santo Uffizio romano (8 settembre 1593); in cui la parte inedita comprende la sentenza nei confronti di Celestino. Sulla sentenza si pronunciò il cardinale Santa Severina stabilendo il confinamento del reo presso il convento di Colpersito a San Severino Marche21. Da questo estratto inedito, si ricavano due circostanze importanti: la sentenza stranamente moderata nei confronti del frate (che venne giudicato eretico relapso e condannato al confinamento in un convento, quando normalmente la pena per i relapsi era il rogo), e il fatto che la sentenza fosse firmata soltanto dal cardinale di S. Severina (e non dall’intera Congregazione). “La ragione di questa decisione è ignota. È tuttavia difficile esimersi dal 10 Ibid., pag. 78 Ibid., pag. 78 12 Ibid., pag. 78 13 Ibid., pag. 78 14 Ibid., pag. 78 15 Mercati, Sommario 16 Ibid., pag. 87 17 Firpo (a cura di Quaglioni), Processo, pag. 263; pag. 126, nota n. 4; pag. 140 (Postilla) 18 Maifreda, Celestino, pag. 89 19 Ibid., pagg. 88-89 20 Firpo (a cura di Quaglioni), Processo, pag. 126, nota n. 4 21 Maifreda, Celestino, pag. 90 11 Pagina 56 sospettare che sia esistito un legame tra la liberazione di Celestino – commenta Maifreda – e il fatto che questi si apprestasse, in quelle stesse settimane se accettiamo la datazione firpiana, a porre per iscritto le sue velenose, decisive accuse contro il nolano22”. A questo punto appare un nuovo documento inedito: 6. Decreto della Congregazione del Sant’Uffizio (2 settembre 1592); in cui sostanzialmente si decide di chiedere All’Inquisizione veneziana di riesaminare i testimoni del processo di Celestino (secondo procedure eccezionali) e si ordina di liberare lo stesso frate dalla carcerazione per potergli permettere di recarsi a Roma presso il Sant’Uffizio (trasferimento senza scorta)23. Tale decreto, nelle parole di Maifreda, “rende del tutto evidente come tra i vertici della Congregazione e Celestino da Verona esistesse, già nel 1592, un’inusitata relazione di favore e di fiducia. Garante di quel rapporto fu […] il cardinale di Santa Severina, non solo in quanto inquisitore appartenente alla Suprema ma anche come protettore dei cappuccini 24 [ordine di cui Celestino faceva parte]”. In seguito, l’autore dichiara di aver proceduto con l’analisi delle vicende del frate a partire dalla documentazione degli Annali manoscritti dell’Archivio provinciale dei cappuccini veneti di Venezia-Mestre (a cui mancava la documentazione relativa al periodo 1594-1601 a causa di un incendio25). Un documento inedito rinvenuto da Maifreda è il seguente: 7. Verbale (4 luglio 1592); in cui si notifica la carcerazione presso le prigioni inquisitoriali di Venezia del frate Celestino26. Considerando la presenza di Giordano nello stesso carcere, il momento di stallo che il processo bruniano viveva e le successive accuse mossegli contro dal veronese, è lecito supporre che proprio Celestino produsse la svolta decisiva all’interno del processo27. Altri scritti inediti, sempre provenienti dagli Annali dei cappuccini di Venezia-Mestre e riguardanti il frate , sono: 8. Verbale (29 luglio 1593); in cui si registra come Celestino, dopo essere stato scarcerato dalla prigionia veneziana, fosse imprigionato a Verona28. 9. Verbale (18 settembre 1593); in cui si registra l’uscita dal carcere veronese (definito stavolta “carcere del Sant’Officio dell’Inquisizione”) e il suo trasferimento a San Severino Marche29. 10. Verbale (24 ottobre 1593); in cui si notifica l’aver posto nelle carceri inquisitoriali veneziane fra Celestino30. A partire da questi nuovi documenti, Maifreda rifiuta l’emendamento operato da Firpo nella Postilla31 che cambia Veronensis con Venetiarum; quest’ultimo autore, infatti, 22 Maifreda, Celestino, pagg. 90-92 Ibid., pagg. 92-93 24 Ibid., pag. 93 25 Ibid., pag. 96 26 Ibid., pag. 97 27 Ibid., pag. 97 28 Ibid., pagg. 104-105 29 Ibid., pag. 105 30 Maifreda, Celestino, pag. 105 31 Firpo (a cura di Quaglioni), Processo, pag. 140 (Postilla) 23 Pagina 57 riteneva che fosse stato uno sbaglio del notaio (Celestino era stato incarcerato a Roma e a Venezia, Firpo non aveva ritenuto possibile una prigionia del cappuccino a Verona32). Emerge, nei documenti, come la figura di Celestino sia quella di una spia al servizio dell’Inquisizione; una spia che, ricattata sotto la minaccia di una condanna a morte per eresia, ricevette trattamenti di favore in cambio di informazioni utili durante il processo o, comunque, fu collaboratore dell’Inquisizione (cosa che lo stesso Maifreda reputa una prassi diffusa al tempo33). Le vicende di Celestino tra il 1599 e la sua esecuzione nella notte tra 15 e 16 febbraio 1600 sono note. Il 6 maggio 1599, il frate inviò da San Severino Marche una richiesta al Sant’Uffizio di presentarsi davanti alla Congregazione e fu, dunque, convocato in pochi giorni. Il 20 giugno 1599 spedì una lettera anonima all’Inquisizione veneziana: lettera che fu aperta l’8 luglio e successivamente disposta a perizia grafica. Il 9 e l’11 luglio Celestino subì due interrogatori da parte della Congregazione: la stessa che il 24 agosto 1599 sottoscrisse la sentenza capitale nei confronti del frate cappuccino (sentenza già stilata da Clemente VIII il 5 agosto). La notte tra il 15 e il 16 febbraio 1600 fu infine eseguita la sua condanna a morte 34. Riguardo queste notizie, Maifreda controbatte a “queste scansioni temporali [che] sono del tutto inconciliabili con ciò che sappiamo dello stile e delle procedure ordinarie adottate dai tribunali dell’Inquisizione romana35” affermando come la Congregazione non avesse sufficiente tempo per istruire un processo ex novo nei confronti di Celestino tra luglio e agosto 1599, come la sentenza non fosse conciliabile con un esito postumo del processo veneziano a carico del frate (causa del 1592) e come la sentenza non potesse basarsi sulle deposizioni del veronese rilasciate alla Congregazione tra 9 e 11 luglio 159936. Riguardo al caso di Celestino da Verona, restano però ancora inspiegabili alcune vicende; Maifreda ammette di non comprendere perché il frate sia prima ritornato a Roma per farsi udire (maggio 1599), perché abbia inviato una lettera all’Inquisizione veneziana poco tempo prima di andare a deporre proprio a Roma, il motivo della rapidità del processo e della sentenza tra luglio e agosto 1599 adottata dal Papa e dalla Congregazione e perché fu occultata la sua presenza all’interno delle prigioni romane dell’Inquisizione prima di venire condotto e giustiziato in Campo dei Fiori senza il rilascio del reo alla Corte secolare37. Maifreda, nell’Epilogo38 della sua opera, decide fornire un’ipotesi interpretativa al caos attorno alla personalità di Celestino. Riporta la notizia per cui il frate, stando ai registri contabili del Sant’Uffizio, nel settembre 1599 fu nutrito solo tredici giorni; notizia che alimenterebbe il sospetto di un suo rilascio39. Riporta poi come il 15 settembre il prigioniero fosse stato prelevato dal Tribunale del governatore e perciò, se ci fu uno scambio di persone, avvenne probabilmente proprio in quei giorni all’interno della prigione 32 Maifreda, Celestino, pag. 106 Ibid., pag. 116 34 Ibid., pagg. 137-138 35 Ibid., pag. 138 36 Ibid., pag. 138-139 37 Ibid., pag. 144 38 Ibid., pagg. 201-210 39 Maifreda, Celestino, pag. 202 33 Pagina 58 del Sant’Uffizio (dove la Congregazione avrebbe potuto procedere con facilità e discrezione40). L’autore riporta, inoltre, come sulla figura di Celestino da Verona si concentrassero gli interessi della Congregazione e, probabilmente, della famiglia Arrigoni (da cui il frate proveniva) contrapposti invece al Papa che si era deciso a ucciderlo in tempi rapidi (anche scavalcando le normali procedure giudiziarie e, probabilmente, stendendo una scrittura apocrifa da impugnare contro Celestino) proprio per il coinvolgimento del frate con alti esponenti dell’Inquisizione e per il suo delicato e segreto ruolo all’interno del caso Bruno41. Lo stesso nolano, essendosi ritrovato nuovamente il veronese come concarcerato nelle prigioni romane sul finire del 1599, forse capì la situazione e, non a caso, decise di rivolgere due suoi memoriali (gli ultimi due) al Papa in questo frangente; il primo memoriale fu aperto, letto per poche righe e poi richiuso (assemblea della Congregazione del 16 settembre 1599) e il secondo invece aperto e poi immediatamente richiuso (assemblea della Congregazione del 20 gennaio 1600 42). Su questo aspetto l’autore stesso ipotizza come i due memoriali, contenendo probabilmente informazioni che non dovevano essere conosciute al Papa, non furono letti dietro decisione della stessa Congregazione43. A conclusione di questo lungo ragionamento, Maifreda teorizza la liberazione di Celestino da Verona travestito in abiti secolari e l’invio al patibolo di una sua controfigura. Un avvenimento che avrebbe contribuito alla resa di Bruno e alla sua esecuzione; il filosofo avrebbe probabilmente capito che stava giocando una partita in cui non poteva uscirne vincitore e dunque avrebbe deciso di arrendersi dopo una dura e impari lotta durata quasi dieci anni. 40 Ibid., pag. 202 Ibid., pag. 203-204 42 Ibid., pag. 208-209 43 Ibid., pag. 208 41 Pagina 59 Conclusione Può essere significativo, come conclusione di questa tesi, ripercorrere le vicende che portarono all'erezione di una statua dedicata a Giordano Bruno a campo de' Fiori, a Roma, nel 1889. L’idea era nata nel 1876 da parte di un gruppo di studenti dell’università della Sapienza di Roma che, avendo letto la prima edizione del Giordano Bruno di Berti del 18681, decise di istituire un comitato per la costruzione del monumento2. A partire dall’interpretazione della figura del nolano data da Berti nella sua opera, il comitato di studenti reinterpretò la personalità del filosofo aggiungendovi le caratteristiche del martire e del difensore del libero pensiero “in modo da trasformare la sua figura storica in strumento di lotta politica3”. Nel 1880 il nome di Bruno era diventato ormai il simbolo della lotta anticlericale e anticattolica da parte delle fazioni laiche4. Con il passare del tempo, Giordano era stato cioè trasfigurato in martire della libertà del popolo italiano, mentre si procedeva alla raccolta di fondi per la statua 5. Finalmente, il 9 giugno 1889 fu inaugurata la statua di Giordano Bruno in Campo dei Fiori, dopo anni di raccolta di firme e denaro per la sua realizzazione. Le varie proteste e battaglie che si erano susseguite riguardo a quel monumento, però, non finirono con la sua inaugurazione ufficiale. Pochi anni dopo l’uscita della Vita di Spampanato6, con i Patti Lateranensi stipulati tra Stato della Chiesa e l’Italia fascista del 1929, si riaprì la discussione riguardo alla stratua tanto che alcuni esponenti ecclesiastici ne chiesero addirittura l’abbattimento7; cosa che infine non fu attuata. Con l’accordo Chiesa-Stato, Bruno era infatti ritornato a essere una figura scomoda che però fu sempre protetta dai maggiori esponenti del potere statale8. La battaglia si riaprì nel 1942 con la pubblicazione del Sommario di Mercati9. Stavolta, infatti, la parte cattolica si trovava in vantaggio rispetto a quella laica e l’eco dell’opera e della figura di Bruno delineata dall’autore ebbe una vasta eco nel mondo ecclesiastico e anche in ambienti laici. Insomma, il nolano fu descritto come “laido, incostante,adulatore di tiranni, forcaiolo, scrittore osceno, donnaiolo, bestemmiatore10”. La figura del nolano, insomma continuò e continua tutt’oggi a dividere le opinioni; riguardo alla sua vicenda processuale, comunque, possediamo una ricostruzione attendibile e meno viziata da punti di vista ideologici, attenta soprattutto alle evidenze documentarie 1 Domenico Berti, Giordano Bruno da Nola, sua vita e sua dottrina, Paravia, Torino-Roma-Milano-Firenze, 1868 (prima edizione) 2 Bucciantini, Campo, pag. 37 3 Ibid,. pag. 60 4 Ibid., pag. 110 5 Ibid., pag. 206 6 Vincenzo Spampanato, Vita di Giordano Bruno, Principato, 1921 7 Bucciantini, Campo, pag. 298 8 Ibid., pagg. 298-99 9 Angelo Mercati, Il sommario del processo di Giordano Bruno, con appendice di documenti sull’eresia e sull’Inquisizione a Modena nel secolo XVI, Città del Vaticano, 1942 10 Bucciantini, Campo, pag. 305 Pagina 60 superstiti, opera di Luigi Firpo11. Anche per Firpo, in ogni caso, Giordano Bruno era stato vittima dell’intolleranza nei confronti della libertà di pensiero 12. A conclusione di questo lungo discorso, bisogna ancora ricordare che egli fu una delle figure più controverse di tutto il XVI secolo. Bruno infatti divise, divide e continuerà a dividere le opinioni tra estimatori e detrattori poiché, partendo già dal punto di vista della personalità, fu un esempio di ribelle insofferente ai dogmi religiosi, coraggioso nel sostenere le sue teorie e idee, risoluto nelle sue azioni e diretto nel parlare. Non scese quasi mai a patti con nessuno, anche se, di fronte ai giudici che minacciavano di condannarlo a morte, si disse disposto ad abiurare (cosa che poi non fece). La sua condotta e condanna come eretico e apostata ha, purtroppo, spostato il focus della questione bruniana nel corso del tempo. Non bisogna, infatti, farsi troppo influenzare da questo particolare aspetto nel giudicare Bruno. Egli fu prima di tutto uno scrittore e poeta arguto, come lo stesso Friedrich Nietzsche riferì in una lettera a un suo conoscente “queste poesie di Giordano Bruno sono un regalo di cui le sono grato con tutto il cuore. Mi sono permesso di appropriarmele come se le avessi scritte io e per me – e le ho prese come gocce corroboranti. Se lei sapesse quanto raramente mi viene ancora qualcosa di corroborante dall'esterno13”. Non va, inoltre, dimenticato il suo ruolo all’interno della scienza (che proprio in quel periodo andava formandosi) grazie alle sue teorie astronomiche; infatti secondo Margherita Hack “la moderna astronomia dimostra quanto vere fossero le sue intuizioni14”. Come filosofo è considerato, usando le parole di Giovanni Gentile, “la conchiusione logica di tutto il Rinascimento, benché abbia dovuto attendere più di due secoli che fosse apprezzato il suo valore15”. Bruno, infatti, riuscì a racchiudere le varie dottrine di Niccolò Cusano, Giovanni Pico della Mirandola, Bernardino Telesio, Erasmo da Rotterdam, Marsilio Ficino e in generale di tutta la filosofia neoplatonica e antiaristoteliana dei suoi tempi. Cosa che fece con originalità, aggiungendo anche aspetti magico-esoteri al suo pensiero avendo ripreso le opere e il pensiero di Raimondo Lullo. Fu, dunque, un intellettuale di ampio respiro che “avea la visione intellettiva, o, come dicono, l'intuito, facoltà che può esser negata solo da quelli che ne son senza, e avea sviluppatissima la facoltà sintetica, cioè quel guardar le cose dalle somme altezze e cercare l'uno nel differente16” secondo le parole di Francesco De Sanctis. Spostando il discorso sul tema dei documenti processuali, invece, risultano molto difficili nuove ricerche in grado di svelare nuove carte che potrebbero dare una lettura diversa o comunque stravolgente rispetto a quelle già conosciute. La documentazione tuttora disponibile è, secondo me, quasi del tutto completa anche se, nelle sue ipotetiche mancanze, magari potrebbe portare a formulare nuove ipotesi riguardo ai punti più oscuri della vicenda bruniana piuttosto che dare una nuova lettura alle vicende e alla figura del nolano. Ad esempio, questi scritti potrebbero trattare le motivazioni che hanno spinto il 11 Luigi Firpo (a cura di Diego Quaglioni), Il processo di Giordano Bruno, Salerno editrice, Roma 1993 12 Bucciantini, Campo, pag. 312 https://it.wikiquote.org/wiki/Giordano_Bruno/Citazioni_su_Giordano_Bruno 14 https://it.wikiquote.org/wiki/Giordano_Bruno/Citazioni_su_Giordano_Bruno 15 https://it.wikiquote.org/wiki/Giordano_Bruno/Citazioni_su_Giordano_Bruno 16 https://it.wikiquote.org/wiki/Giordano_Bruno/Citazioni_su_Giordano_Bruno 13 Pagina 61 filosofo al ritorno in Italia nel 1591, oppure l’importanza della figura di Celestino da Verona che, secondo l’interpretazione esposta nell’opera di Maifreda17, fu quella di collaborare con l’Inquisizione per la causa intentata contro il nolano18. L’originale incartamento del processo romano, purtroppo, è andato definitivamente distrutto19; sarebbe stata, infatti, la documentazione più importante riguardo a Bruno e avrebbe permesso una conoscenza molto ben approfondita della prigionia romana e della relativa vicenda giudiziaria. Detto ciò, a conclusione di questa lunga introduzione ci tengo anche a sottolineare che, qualsiasi sia il giudizio finale assegnato a una personalità così poliedrica, geniale e di difficile interpretazione, va assolutamente ricordato l’uomo Giordano Bruno; un uomo in carne e ossa che si è sacrificato per non dover rinnegare il suo spirito e i suoi ideali. Insomma, secondo le parole di uno scrittore contemporaneo, “dimentichiamo troppo spesso che gli uomini sono fatti di carne […]. È dall'infanzia che i maestri ci parlano di martiri, che diedero esempi di civiltà e di morale a loro spese, ma non ci dicono quanto doloroso fu il martirio, la tortura. Tutto rimane in astratto, filtrato come se guardassimo, a Roma, la scena attraverso spesse pareti di vetro che ammortizzano i suoni, e le immagini perdessero la violenza del gesto per opera, grazia e potere di rifrazione. E allora possiamo dirci tranquillamente l'un l'altro che Giordano Bruno fu bruciato. Se gridò, non lo sentiamo. E se non lo sentiamo, dove sta il dolore? Ma gridò, amici miei. E continua a gridare20”. Grazie, Andrea Antonelli. 17 Germano Maifreda, Giordano Bruno e Celestino da Verona: un incontro fatale, Edizioni della Normale, Pisa, 2016 18 Maifreda, Incontro, pagg. 183-185 19 Ibid., pag. 6 20 José Saramago, riportato in https://it.wikiquote.org/wiki/Giordano_Bruno/Citazioni_su_Giordano_Bruno Pagina 62 Bibliografia Opere: - - Domenico Berti, Giordano Bruno da Nola, sua vita e sua dottrina, Paravia, TorinoRoma-Milano-Firenze, 1889 (prima edizione 1868) Massimo Bucciantini, Campo dei Fiori: storia di un monumento maledetto, Einaudi, Torino, 2015 (prima edizione) Enrico Carusi, Nuovi documenti del processo di Giordano Bruno, edito in “Giornale critico della filosofia italiana”, VI 1925 Michele Ciliberto, Giordano Bruno, Gius, Editori Laterza, 1990 (prima edizione) Guido del Giudice, Io dirò la verità: Intervista a Giordano Bruno, Di Renzo Editore, Roma, 2012 Luigi Firpo (a cura di Diego Quaglioni), Il processo di Giordano Bruno, Salerno editrice, Roma 1998 (seconda edizione, 1993) Giovanni Gentile, Giordano Bruno e il pensiero del Rinascimento, Le Lettere, Firenze, 1991 (prima ed. 1920) Germano Maifreda, Giordano Bruno e Celestino da Verona: un incontro fatale, Edizioni della Normale, Pisa, 2016 Angelo Mercati, Il sommario del processo di Giordano Bruno, con appendice di documenti sull’eresia e sull’Inquisizione a Modena nel secolo XVI, Città del Vaticano, 1942 Vincenzo Spampanato, Vita di Giordano Bruno, Principato, 1921 (prima edizione) Vincenzo Spampanato (a cura di Gentile), Documenti della vita di Giordano Bruno, Olschki, Firenze, 1933 Siti web: - https://it.wikipedia.org/wiki/Regno_di_Napoli#Periodo_della_dinastia_aragonese https://it.wikipedia.org/wiki/Filosofia_rinascimentale#Vitalismo_cosmico https://it.wikipedia.org/wiki/Giordano_Bruno#In_convento https://it.wikipedia.org/wiki/Giordano_Bruno#In_Savoia_e_a_Ginevra https://it.wikipedia.org/wiki/Inquisizione_medievale#Seconda_fase:_il_processo https://it.wikipedia.org/wiki/Giordano_Bruno#La_fuga_da_Napoli https://it.wikipedia.org/wiki/Giordano_Bruno#In_Francia https://it.wikipedia.org/wiki/Giordano_Bruno#A_Francoforte https://it.wikipedia.org/wiki/Giordano_Bruno#In_Svizzera_e_di_nuovo_a_Francof orte https://it.wikipedia.org/wiki/Giordano_Bruno#Il_processo_e_la_condanna http://www.treccani.it/enciclopedia/giovanni-francesco-mocenigo_(DizionarioBiografico)/ http://www.mondimedievali.net/medioevoereticale/inquisizione.html http://www.instoria.it/home/giordano_bruno.htm https://it.wikipedia.org/wiki/Processo_di_Giordano_Bruno#L'estradizione_a_Roma Pagina 63 - https://it.wikipedia.org/wiki/Legge_della_conservazione_della_massa_(fisica) https://it.wikipedia.org/wiki/Processo_di_Giordano_Bruno#Le_censure https://it.wikipedia.org/wiki/Processo_di_Giordano_Bruno#L'intimazione_all'abiur a https://it.wikipedia.org/wiki/Eresia https://it.wikipedia.org/wiki/Inquisizione#Il_processo_inquisitorio http://www.gliscritti.it/blog/entry/2000 https://it.wikipedia.org/wiki/Giordano_Bruno#La_ricezione_della_filosofia_di_Bru no https://www.baroque.it/cultura-del-periodo-barocco/filosofi-in-epoca-barocca/lenciclopedia.html https://it.wikipedia.org/wiki/Domenico_Berti https://it.wikipedia.org/wiki/Vincenzo_Spampanato http://www.treccani.it/enciclopedia/angelo-mercati_(Dizionario-Biografico)/ https://it.wikipedia.org/wiki/Luigi_Firpo http://www.treccani.it/enciclopedia/luigi-firpo_%28Dizionario-Biografico%29/ http://www.dirittoestoria.it/5/CV/Quaglioni-CV-2006.htm https://it.wikiquote.org/wiki/Giordano_Bruno/Citazioni_su_Giordano_Bruno https://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2000/02/17/0100/ 00397.html http://www.unimi.it/chiedove/cv/ENG/germano_maifreda.pdf http://www.einaudi.it/libri/autore/maifreda-germano/0010234/M Pagina 64