Nothing Special   »   [go: up one dir, main page]

Academia.eduAcademia.edu
11 Giulio Zavatta «Giardini e fontane meravigliose»: la mappa di Giovan Francesco Galesi e la villa di Santa Sofia N ella storia dell’architettura di villa in Italia, il giardino deve essere considerato una novità del xv secolo, e nacque «con la liberazione dall’esigenza difensiva»1 delle residenze di campagna. La genesi del giardino fu tuttavia preceduta dall’esistenza di orti e broli, generalmente collocati dentro il perimetro della residenza padronale cinta da mura. Oltre al venire meno di necessità difensive (peraltro, molti giardini patrizi continuarono a essere racchiusi), un valido contributo alla diffusione dei giardini rinascimentali si doveva alle accademie e in genere ai circoli letterari che si raccoglievano attorno agli umanisti2. Nei testi classici sui quali i letterati si esercitavano studiando nuovi modelli derivanti dall’antico, si potevano sovente trovare, infatti, indicazioni sui giardini e sulle fontane. Esemplare è la rassegna di citazioni proposte da Vincenzo Scamozzi, che nella sua Idea dell’Architettura Universale, nel capitolo sui giardini chiamò in causa le Metamorfosi di Ovidio, le Georgiche di Virgilio, e naturalmente Columella e Plinio il Giovane3. Palladio e i giardini Per tornare ai secoli xv e xvi, già nel De re aedificatoria di Leon Battista Alberti veniva posto l’accento sui giardini, anche se vi si dedicava una limitata attenzione4. Francesco di Giorgio Martini, nel descrivere la loggia, affermava che questa doveva essere posta in un «dilettevole giardino […] con una fonte d’acqua […] naturale o artificiale»5. Sebastiano Serlio, nelle sue xxiiii case per edifici alla villa6 descrisse brevemente alcuni giardini, e li disegnò disposti nei modi piú diversi intorno alle sue ville, anche se tutti avevano comuni caratteristiche, come quella di basarsi su figure geometriche che variano dal quadrato al rettangolo, e di essere sempre circondati da un muro di cinta7. Nel corso del xvi secolo alla trattatistica di architettura si affiancò un cospicuo filone letterario che celebrava i pregi della vita di campagna come sede di ozi letterari e ristoro del corpo, spesso in netta contrapposizione con la città, rivisitando il topos classico del locus amoenus. I nomi di alcuni letterati che si cimentarono in questo genere, da Alberto Lollio ad Agostino Gallo, da Bartolomeo Taegio a Giuseppe Falcone, sono stati raccolti e studiati da James Ackerman, che ha posto l’accento sulla rinnovata concezione di vita agreste in alcuni testi della metà del xvi secolo8. Per richiamare l’argomento basti quindi citare le parole di Anton Francesco Doni: «Poi di nuovo non posso far che io non ne fabrichi, per sostenimento del mio humore; et qua fo peschiere di trute e carpioni, boschetti d’aranci et vive fontane: et combatto con architetti, con inge- 12 Giulio Zavatta gneri, mettendo in opera pittori, scoltori e maestri di stucchi, propriamente come s’io fossi un gran Duca». La diffusione di questa “poetica” della campagna, del giardino e in generale del luogo lontano dai traffici cittadini divenne quindi ricorrente nel xvi secolo in numerosi testi dedicati all’argomento, sia in quelli di carattere architettonico o trattatistico, sia in quelli di intento letterario. Tuttavia, per introdurre alle considerazioni di Andrea Palladio sui giardini, è necessario constatare un atteggiamento nuovo dell’architetto vicentino nei confronti dell’idea di locus amoenus. Nelle ville palladiane era infatti previsto anche il negotium del proprietario, che faceva della propria residenza un luogo di produzione dotato di tutti gli strumenti utili per garantire, oltre a un ristoro del corpo forse piú letterario che effettivo, una sicura rendita di terraferma. Indicativa a questo proposito è l’enunciazione di Palladio nei Quattro Libri dell’Architettura, dove il padrone «non minore utilità, e consolatione caverà forse dalle case di Villa, dove il resto del tempo si passerà a vedere, et ornare le sue possessioni, e con l’industria, et l’arte dell’Agricoltura accrescer le facultà, dove ancho per l’esercitio, che nella villa si suol fare a piedi, et a cavallo, il corpo piú agevolmente conserverà la sua sanità, e robustezza, e dove finalmente l’animo stanco delle agitazioni della città, prenderà molto ristauro, e consolatione, e quietamente potrà attendere a gli studi delle lettere, et alla contemplazione»9. Nel testo palladiano, come ben ci si può aspettare dal punto di vista di un architetto, è evidentemente anteposta la necessità del proprietario di vedere e “ornare” i suoi possedimenti, tanto che sembrano qui riecheggiare in qualche modo le discussioni tra artisti e committente evocate da Anton Francesco Doni citate in precedenza. Tuttavia, anche l’accrescimento delle ricchezze – accrescer le facultà – pare preferirsi alla “sanità” e “robustezza” fisiche, che peraltro sembrano derivare da un esercizio (a piedi o a cavallo) funzionale al controllo e alla gestione della possessione, piuttosto che a un “allenamento” fine a sé stesso. Infine (finalmente) ci si potrà dedicare allo studio e alla contemplazione. Queste ultime attività trovavano solitamente luogo nei giardini, menzionati da Palladio subito dopo il brano riportato sopra, con il tipico rimando alla classicità: «Come per questo li antichi Savi solevano spesse volte usare di ritirarsi in simili luoghi, ove visitati da virtuosi amici, e parenti loro, havendo case, giardini, fontane e simili luoghi sollazzevoli, e soprattutto le lor Virtú, potevano finalmente conseguir quella beata vita, che qua giú si può ottenere»10. Il giardino dunque, e con esso le fontane e gli ornamenti, compaiono tra i momenti fondamentali della residenza di campagna, benché siano considerati in un certo senso secondari rispetto alla ragione economica dello stare in villa. Questo concetto era tipicamente veneto, un «riflesso della svolta economica decretata dalla Serenissima dopo la disfatta di Agnadello»11, quando si decise di investire ingenti capitali in terre, in bonifiche e nello sfruttamento agricolo. Palladio, al contrario di Scamozzi, non indugiò nel suo trattato dedicando un capitolo all’argomento dei giardini, ma si limitò a considerare man mano la questione. Nel Secondo Libro, scrisse infatti che «se si potrà fabbricare sopra il fiume, sarà cosa molto commoda, e bella […] e con grandissima utilità, et ornamento si potranno adaquare le possessioni, i Giardini, e i Bruoli, che sono anima e diporto della Villa»12. «Giardini e fontane meravigliose»: la mappa di Giovan Francesco Galesi e la villa di Santa Sofia Nel Terzo Libro annotò che «si come nella Città si aggiogne bellezza alle vie con le belle fabriche; cosí di fuori si accresce ornamento a quelle con gli arbori, i quali essendo piantati dal’una e dall’altra parte loro, con la verdura allegrano gli animi nostri, e con l’ombra ne fanno commodo grandissimo»13, menzionando villa Thiene a Cicogna e villa Thiene a Quinto Vicentino come esemplari di quest’uso. Margherita Azzi Visentini aggiunse giustamente al novero tipologico delle vie alberate le strade che conducevano a villa Emo a Fanzolo e a villa Barbaro a Maser, e un interessante disegno di Palladio14 con tre viali delimitati da filari d’alberi, collegato, sembra però senza troppo fondamento, a un ipotetico progetto per il Palazzo Reale di Torino15. Analizzando la questione piú puntualmente, scendendo dal concetto generale alle specifiche realizzazioni, la considerazione del giardino palladiano può essere approfondita incrociando le informazioni che l’architetto forní nei Quattro Libri riguardo ad alcune ville, con le dettagliate mappe delle possessioni conservate negli archivi, che spesso restituiscono negli anni tra la seconda metà del xvi secolo e gli inizi del successivo evidenze molto significative. Una verifica potrà essere compiuta, infine, mettendo a confronto tali dati con le raffigurazioni di giardini cinquecenteschi presenti in alcuni dipinti di ambiente veneto. Procedendo con ordine, e facendo riferimento in primis alle notizie dirette fornite dall’architetto stesso, possiamo rilevare alcuni riscontri riguardo a villa Emo. Palladio comunicò dettagliate informazioni sulla dimora di Fanzolo di Vedelago: dietro alla residenza si trovava infatti «un giardino quadro di ottanta campi trevigiani, per mezzo il quale corre un fiumicello 13 che rende il sito molto bello e dilettevole»16. Appare chiara, fin da questa prima enunciazione, la preferenza dell’architetto per una regolarità geometrica dei perimetri, tendenti sempre a forme quadrate o comunque quadrangolari (giardino quadro), spesso attraversate da viali perpendicolari, che si incrociavano al centro o lungo la direttrice delle diagonali. Molto importante, fin dal momento della scelta del sito della villa, è la presenza dell’acqua, sotto forma di fiumicello come nel caso di villa Emo, o di fontane e peschiere in altre residenze palladiane. Proseguendo, a villa Pojana a Pojana Maggiore si ha, da un lato, «il cortile, et altri luoghi per le cose di Villa», dall’altro «un giardino, che corrisponde a detto Cortile, e nella parte dietro il Bruolo, una Peschiera»17. Analogamente a villa Angarano «piú oltre da una parte il cortile per le cose di Villa, e dall’altra un giardino»18. La villa sul Brenta progettata da Palladio per Leonardo Mocenigo e mai costruita avrebbe dovuto avere ai lati due giardini simmetrici, su cui si sarebbero dovuti affacciare gli appartamenti padronali. Dai progetti dell’architetto si può constatare che molte fabbriche sono accomunate da un uguale concetto di due giardini simmetrici, disposti ai lati della villa, e accostati alla parte padronale dell’edificio: cosí doveva essere a villa Serego a Santa Sofia di Pedemonte, villa Foscari a Gambarare sopra il Brenta19, villa Pojana a Pojana Maggiore (in corrispondenza delle due ali non costruite), e uguale soluzione desumiamo dalla pianta e dalla sezione di villa Thiene a Quinto Vicentino20 pubblicate nel trattato. In alcuni casi Palladio si soffermò piú a lungo sulle descrizioni dei giardini, come per quelli di Santa Sofia, che prenderemo in esame in seguito, di villa Godi 14 Giulio Zavatta Particolare della mappa del territorio di Pedemonte e Santa Sofia disegnata da Giovan Francesco Galesi. e di villa Barbaro a Maser. Villa Godi a Lonedo «è posta sopra un colle di bellissima vista, et a canto un fiume, che serve per Peschiera. Per rendere questo sito commodo per l’uso di Villa vi sono stati fatti cortili, e strade sopra volti con non picciola spesa»21. Degna di attenzione è la particolare rilevanza data al ninfeo, alle acque e ai giardini di villa Barbaro a Maser: sembra infatti che l’architetto nella descrizione di una delle piú importanti commissioni assegnategli si soffermi piú su questioni idrauliche che sull’architettura della villa. Il ninfeo è chiamato «fontana con infiniti ornamenti di stucco e di pittura»22, il quale genera un laghetto, che serve da peschiera: «da questo luogo partitasi l’acqua scorre nella cucina, et dipoi irrigati i giardini, che sono dalla destra e sinistra parte della strada, […] fa due peschiere con i loro beveratori sopra la strada commune; donde partitasi, adaqua il brolo, il quale è grandissimo, e pieno di frutti eccellentissimi, e di diverse selvaticine». Grazie a questa descrizione di Palladio, riusciamo a seguire, per cosí dire, il percorso dell’acqua, prezioso elemento che non esauriva la sua funzione nelle fontane, ma proseguiva il cammino volto a alimentare peschiere, servire la casa, irrigare il brolo. Lo stesso tragitto dell’acqua si può trovare nella copiosa messe di mappe topografiche prodotte in Veneto nel xvi e xvii secolo, dove i canali di irrigazione o i condotti idraulici erano solitamente segnati con una linea di color rosso, che originandosi da una sorgente percorreva condutture, alimentava fontane, irrigava giardini e broli. Una schiera di valenti inzegneri (cosí per lo piú erano indicati gli esperti di questioni idrauliche)23 e cartografi ante litteram ha pertanto fornito una dettagliata documentazione, che nei casi piú fortunati ha consentito anche di leggere le forme dei giardini e di avere sommarie ma preziose raffigurazioni degli edifici24. Molto significativa a questo proposito si rivela la mappa di Giovan Francesco Galesi conservata presso l’archivio Serego Alighieri di Gargagnago, che traccia le forme della villa e dei giardini di Santa Sofia: nella residenza ricorrevano cortili quadrati divisi da aiuole, partite dall’incrocio di vie perpendicolari al centro, o dall’incrocio delle diagonali, con le intersezioni sottolineate da fontane. «Giardini e fontane meravigliose»: la mappa di Giovan Francesco Galesi e la villa di Santa Sofia Particolare della pianta delle possessioni Cornaro a Piombino Dese disegnata da Rizzardo Griffo nel 1613. Una mappa della palladiana villa Cornaro a Piombino Dese di Rizzardo Griffo delinea efficacemente i giardini attorno alla residenza nel 1613, con le canoniche forme quadrangolari delle zone verdi, organizzate in aiuole quadrate o rettangolari, e delimitate da viali che si incrociano perpendicolarmente25. Analogamente, in una mappa dell’inizio del xvii secolo, troviamo nei dintorni di villa Caldogno un’ampia peschiera alimentata da un canale d’acqua26, con le consuete for- 15 me geometriche dei giardini, e ancora diramazioni di linee rosse, che rappresentano convenzionalmente le direttrici dei condotti per adaquar i broli alla fine del ciclo, dopo il passaggio dell’acqua per la peschiera, per le fontane e per i giardini. Per verificare queste informazioni tratte dai Quattro Libri o da documentazione cartografica, è possibile infine constatare che le stesse forme, sobrie e geometricamente ordinate, derivanti forse da schemi delle terme romane27, cinte di mura o delimitate da porticati, si ritrovano in alcuni quadri di area veneta del xvi secolo, preziose testimonianze visive dell’aspetto dei giardini cinquecenteschi. In occasione di una recente mostra tenuta a Vicenza28, è stato possibile osservare alcuni dipinti selezionati per documentare l’immagine di giardini veneti cinquecenteschi. In tutte le opere esposte si trovava conferma di quanto fin qui descritto: i giardini delineati dai pittori avevano organizzazioni spaziali e concezioni basate su forme semplici e regolari, come quelle indicate da Serlio prima e da Palladio poi. In particolare quadri come un Noli me tangere di Lambert Sustris (1510 ca.-post 1565) conservato a Lille29, o un Giardino di villa veneta attribuito a Benedetto Caliari (1538-1598)30, un Concerto in villa 31 e il Ritratto di un gentiluomo ventiduenne 32 del Pozzoserrato (1550 ca.-1604/1605 ca.) sono illustrazioni di illuminante evidenza sui giardini veneti. A questa ideale galleria può essere aggiunto un altro documento iconografico di grande interesse al fine di questo studio: tra gli affreschi scoperti una quarantina di anni fa nella villa Serego di Beccacivetta di Coriano si trova un ritratto di nobile (con ogni probabilità Federico Serego, proprietario della residenza), che ha alle spalle un paesag- 16 Giulio Zavatta gio rurale, nel quale spicca un giardino con due ampie aree quadrate33. Andrea Palladio non mancò mai di menzionare l’esistenza di fontane, dove presenti, ma non troviamo mai una parola sul colore dei fiori, sul gioco delle loro alternanze, sulle bordure, sul loro disegno34, pertanto le immagini dipinte sono testimonianze di assoluta necessità. Seguendo un ragionamento di Cevese, che pur ammetteva che il maestro riconosceva l’importanza dei giardini, ne seguirebbe che «la geometrica regolarità dei perimetri, o al massimo dei profili delle aiuole, fa pensare che il disegno del giardino non lo interessasse, lasciando egli assoluta libertà di scelta al committente o ai giardinieri al suo servizio»35. Si tratterebbe di un profilo di Palladio disinteressato alla questione, non tanto in via teorica, quanto in sede pratica: semplicemente l’architetto avrebbe demandato a esperte maestranze, capaci di soddisfare i desideri dei ricchi committenti, la disposizione e la forma dei giardini nelle pertinenze delle sue ville. Se da un lato in questa direzione sembrerebbero portare anche le parole di Palladio stesso, che ricordava i Thiene per le ville di Cicogna e Quinto Vicentino come artefici della disposizione degli spazi verdi (le residenze, scriveva, «ordinate da me sono state poi abbellite, et ornate dalla diligenza, et industria di detti Gentil’huomini»36, ovvero Marcantonio e Odoardo Thiene), dall’altro, e in special modo per villa Barbaro, come abbiamo visto, l’architetto si attribuí in prima persona le ingegnose sistemazioni idrauliche per alimentare ninfei, peschiere, e adaquar i broli e i giardini. L’atteggiamento di Palladio, per concludere, apparentemente ambiguo, doveva essere in realtà assai pragmatico: una volta scelto il giusto sito per la villa, che consentisse di avere a portata di mano acque per irrigare, e dopo aver predisposto la residenza patrizia in maniera tale da dover essere ornata da giardini («anima e diporto» della villa), lasciava piena libertà ai committenti di disporre a loro piacimento questi spazi, in ogni caso previsti e necessari. Questa concessione, tuttavia, non escludeva un interessamento del celebre architetto, e – quando richiesto – un suo diretto intervento, come nel caso di villa Barbaro. In questa direzione sembra portare anche la considerazione, già accennata, del fatto che Palladio non dedicò specifico capitolo ai giardini nel suo trattato, basandosi probabilmente per quest’argomento su una consuetudo di forme e modi consolidati da tempo, anche se mai teorizzati in trattati di architettura. Vincenzo Scamozzi, nella sua Idea dell’Architettura Universale del 1615, colmò questo vuoto, fissando canoni sulla disposizione dei giardini, ma senza aggiungere nulla di nuovo rispetto all’evidenza di quelli palladiani fin qui esaminati. I giardini dovevano avere infatti «linee parallele ai loro lati»37, essere ovviamente piú grandi possibile e «massime se vi sono fonti d’acque vive»38, cioè giochi d’acqua, fontane e canalizzazioni per irrigare, seguendo una prassi ormai secolare. Già nel 1505, oltre un secolo prima della teorizzazione scamozziana, nella descrizione del giardino di Caterina Cornaro, Pietro Bembo aveva infatti descritto «una bellissima fonte, nel sasso vivo della montagna, […] maestrevolmente cavata, nella quale una vena non molto grande di chiara e fresca acqua […] in un canalin di marmo che il pratel divideva scendendo, soavemente si facea sentire e, nel canale ricevuta, quasi tutta coperta d’erbe, mormorando s’affrettava a correr nel giardino»39. «Giardini e fontane meravigliose»: la mappa di Giovan Francesco Galesi e la villa di Santa Sofia Villa Serego a Beccacivetta. Ritratto di Federico Serego, affresco della metà del xvi secolo [da Rinaldi Gruber, Una interessante scoperta...]. 17 Le fontane e i giardini di Santa Sofia La residenza dei Serego a Santa Sofia di Pedemonte costituiva per la nobile famiglia veronese un privilegiato luogo di villeggiatura fin dal xiv secolo, quando entrò in possesso di Cortesia Serego in seguito a una donazione scaligera. Nel corso dei secoli, e in particolare nel Cinquecento, si manifesta in modo evidente la vocazione residenziale del luogo piuttosto che l’aspetto produttivo, in special modo per l’impulso dato da Brunoro Serego, perseguito successivamente anche dal figlio Marcantonio. Già nel quarto decennio del xvi secolo, come ha documentato Gian Maria Varanini40, si registrano infatti pagamenti ad alcuni spezzapreda per lavori alla stalla e al palazzo di Santa Sofia. In una clausola del suo testamento del 1536, inoltre, Brunoro Serego espresse la volontà che fosse portata a termine la fabbrica di Santa Sofia, certamente già interessata da lavori41. Benché la proprietà di questa e delle altre possessioni di questo ramo della famiglia Serego fosse rimasta contesa, alla morte di Brunoro, tra i figli Marcantonio e Annibale fino alla fine del 155242, quando si risolse la controversa divisione dei beni, i due fratelli non abbandonarono mai del tutto l’opera di abbellimento della residenza in Valpolicella, rispettando cosí il volere paterno. A fronte della scarsità di notizie, allo stato attuale degli studi, sulla costruzione della villa su progetto di Palladio, abbiamo infatti piú numerose e certe informazioni sulle sistemazioni idrauliche delle «fontane meravigliose»43 di Santa Sofia, citate in documenti o su carte topografiche dal 1543 al 1590. Gian Giorgio Zorzi44 ha infatti portato a conoscenza alcuni documenti conservati presso l’archivio Serego Alighieri di Gargagnago (che qui per la prima 18 Giulio Zavatta volta si pubblicano integralmente) dove è notizia che nel marzo del 154345 gli eredi di Brunoro Serego, Marcantonio e Annibale (significativamente insieme nonostante le controversie sui beni) inoltrarono una supplica alla Serenissima Repubblica di Venezia, affinché fossero puniti alcuni maligni iniqui rei di aver devastato le condutture delle fontane e depredato i loro ornamenti. Il 6 agosto 1543 fu dunque pronunciato un proclama «astante la moltitudine del populo» contro chi volesse danneggiare ancora le fontane dei conti Serego46. Altre carte provenienti dallo stesso archivio, anch’esse citate da Zorzi47, attestano che, a tre anni di distanza dalla grida, Marcantonio e Annibale pagarono ben 780 lire, una cifra consistente, al marangone Ruffino di ser Giovanni Ruffini di Sant’Eufemia per riparazioni delle fontane a Santa Sofia. Il coinvolgimento di un falegname dovrebbe quindi indicare che le condutture che portavano acqua verso le fonti, come usava, erano fatte di legno48. Altre notizie sulle fontane di villa Santa Sofia nel corso del xvi secolo sarebbero state fornite da un’epigrafe riportata da Zorzi nel 1969, al quale fu riferita un’iscrizione su una fontana con la datazione 155549. Come vedremo in seguito, questa informazione fu comunicata allo studioso in maniera non corretta, e fu considerata per lungo tempo, a torto, una delle poche certezze in rapporto con la villa palladiana. Spetta invece a Paola Marini aver scoperto alcuni documenti che dimostrano, negli anni tra il 1565 e il 1569, il procedere dei lavori per la costruzione della residenza di Palladio sul sito di Santa Sofia, che sono ancor oggi le uniche notizie pervenuteci sull’innalzamento della fabbrica50. La documentazione, tra- scritta in appendice al catalogo della mostra Palladio e Verona del 1980, è stata fino a questo momento presa in considerazione solamente per fissare alcuni punti fermi nella datazione dell’edificio palladiano; tra i lavori pagati a un maestro Lanceroto o Lanziloto spezapreda 51 troviamo tuttavia, oltre a opere per l’edificazione della villa, anche pagamenti nel 1565 «per dui carezi con canoni da fontana da Parona a Santa Sophia»52 e nel 1566 «per dui carezzi da canono da Parona al pallaso»53. Stando a queste informazioni, è possibile fare alcune considerazioni sulle fontane di Santa Sofia in rapporto all’intervento palladiano. Gli anni nei quali pare piú logico far ricadere l’ideazione della villa da parte dell’architetto vicentino sono quelli che ovviamente precedono il 1565, quando sono già documentati lavori di costruzione, e che seguono il 10 dicembre 1552, quando la lite tra Marcantonio e Annibale Serego si compose in un accordo, e la possessione di Santa Sofia passò dal primo al secondo54, indicato come unico committente da Palladio. Al momento di considerare il sito sul quale edificare la villa per Marcantonio Serego, Palladio quasi sicuramente trovò un costoso sistema idraulico di condotti già approntato per convogliare acqua verso alcune fontane, come dimostrato dai documenti del 1543 e del 1546. Tuttavia, tra i lavori della fine del settimo decennio del Cinquecento, leggiamo nelle carte d’archivio di nuovi pagamenti per rifare condotti e fontane. Probabilmente i manufatti preesistenti non potevano accordarsi, forse per il loro stesso posizionamento, al grandioso progetto palladiano, che prevedeva per la villa quattro fontane: una in mezzo al peristilio55, una nel centro ideale del semicerchio determinato dal nin- «Giardini e fontane meravigliose»: la mappa di Giovan Francesco Galesi e la villa di Santa Sofia feo, e due all’incrocio dei viali nella coppia di giardini simmetrici affiancati alle ali padronali della villa, come fa intendere il disegno di Giovan Francesco Galesi del 1590 del quale argomenteremo diffusamente in seguito. Il sistema di quattro fontane in asse tra loro ideato da Palladio doveva aver indotto ad adeguamenti sostanziali, probabilmente anche a ritracciare il percorso dei canali per l’acqua, e a prevedere di spostare le fontane meravigliose, forse già esistenti, nei punti focali dei nuovi spazi concepiti dall’architetto. Infine, nella pianta dei Quattro Libri dell’Architettura 56, Palladio indicò – caso unico nel suo trattato – un accenno della forma dei giardini della villa di Santa Sofia, marcando le bordure con linee piú sottili nella xilografia illustrativa. Gli spazi verdi, posti ai lati della villa, sarebbero stati partiti da aiuole di estensione diversa, separate da un vialetto in asse con le porte ai fianchi dell’edificio. Giustamente Cevese definí questi giardini intimi o segreti 57, poiché essi dovevano essere racchiusi tutto attorno da un muro, come appare evidente osservando l’alzato della villa pubblicato nel testo palladiano, che ha ai margini laterali due accenni della struttura di cinta. La mappa di Santa Sofia di Giovan Francesco Galesi Facendo seguito a una supplica dei conti fratelli Serego del 13 settembre 1589, come troviamo scritto sul documento 58, Giovan Francesco Galesi pictor, con l’aiuto di un non altrimenti noto Marchesino Marchesini anch’esso pittore, disegnò nel 1590 un’accurata pianta topografica della zona di Santa Sofia di Pedemonte, con particolare riguardo per villa Serego59. Galesi, ingegnere e forse fratello di Bartolomeo e Gian 19 Alvise60 anch’essi disegnatori di mappe, fa parte del «gruppetto dei padri della cartografia veronese»61, e lo troviamo qualificato l’anno precedente (1589) come perito ordinario dell’Officio dei Beni Inculti della Serenissima Repubblica62. La sua lunga carriera di cartografo copre un periodo che va dai primi anni Settanta del Cinquecento (quando è documentato in rilevanti collaborazioni con l’architetto Bernardino Brugnoli, dal 1572 al 1579)63, fino agli inizi del xvii secolo. La famiglia Serego, e in particolare Marcantonio, era spesso ricorsa ai piú valenti inzegneri per avere mappe che illustrassero le numerose richieste inoltrate al Magistrato dei Beni Inculti riguardanti questioni d’acque (per adaquare coltivazioni, e in special modo per colture di particolare pregio e redditività, come quella del riso)64. In particolare, per lo scolo della botte zerpana i Serego erano ricorsi a Cristoforo Sorte e Iseppo dalli Pontoni nel 155865, quest’ultimo chiamato in causa insieme a Pompeo Canepari anche dieci anni dopo66. Ma piú ci interessa constatare che lo stesso Giovan Francesco Galesi ebbe già modo di lavorare per la famiglia Serego, disegnando nel 1572 una mappa che faceva riferimento ai beni Serego alla Cucca67, e nel 1574 una carta con la delimitazione territoriale della tenuta di Beccacivetta68. Nell’ottavo decennio del xvi secolo il perito rispose quindi a commissioni per Federico e Antonio Maria Serego, proprietari di quei beni, tracciando figure di possessioni particolarmente importanti. Per questi luoghi, infatti, i conti richiesero con insistenza progetti prima ad Andrea Palladio (ottenendo tuttavia – se si esclude la Cucca – solo qualche consulenza, o al massimo semplici disegni mai giunti al rango di progetto, definiti da Federico Serego in una lettera «alla nicolota»)69, e quindi a Bernardino 20 Giulio Zavatta «Giardini e fontane meravigliose»: la mappa di Giovan Francesco Galesi e la villa di Santa Sofia 21 Particolare del territorio di Pedemonte nella mappa disegnata da Giovan Francesco Galesi nel 1590. Nella pagina a fianco. La mappa del territorio di Pedemonte e Santa Sofia disegnata da Giovan Francesco Galesi nel 1590. Brugnoli70, che poco tempo dopo avrebbe cominciato una serie di collaborazioni proprio con il nostro Galesi. Il longevo Federico Serego, già committente di Galesi e ancora vivo nel 159071, avrebbe potuto fare da tramite ai parenti, eredi di suo cugino Marcantonio Serego, quando questi coinvolsero l’ingegnere per redigere una mappa delle loro proprietà a Santa Sofia, da allegare a una supplica ai magistrati veneziani. 22 Giulio Zavatta L. Trezza, ms 1010, Biblioteca Civica di Verona. Pianta di Villa Serego a Santa Sofia (i planimetria). L’importante carta d’archivio, resa nota da Giuseppe Franco Viviani nel 197572, è stata presa in considerazione dagli studiosi per la restituzione in pianta della villa palladiana di Pedemonte. Questa, contrariamente al progetto originale, risulta edificata con un cortile centrale quadrato e non rettangolare, priva delle scuderie e dell’esedra previste nella xilografia dei Quattro Libri dell’Architettura di Palladio. Quello che piú ha interessato gli storici palladiani è l’intero peristilio della villa segnato nel disegno di Galesi, vale a dire uno stato di avanzamento dei lavori molto superiore al frammento di residenza oggi osservabile. Co- «Giardini e fontane meravigliose»: la mappa di Giovan Francesco Galesi e la villa di Santa Sofia 23 L. Trezza, ms 1010, Biblioteca Civica di Verona. Pianta di Villa Serego a Santa Sofia (ii planimetria). me poter spiegare questa vistosa difformità? Si trattava di una interpolazione di Galesi per completare idealmente il cortile incompiuto, oppure una parte di esso – la metà almeno – fu disfatto in progresso di tempo? Anche in questo caso, come per la questione della datazione dell’edificio, la documentazione non ha portato sufficienti dati per tentare una spiegazione, per cui il foglio dell’archivio di Gargagnago ha suscitato altre perplessità, invece che risolverne. Riferendoci alle testimonianze sette-ottocentesche, possiamo intendere che anche nel lato del cortile non costruito dovevano esser state poste almeno le basi delle colonne. Muttoni (1740) dichiarava infatti che «delle colonne a Ostro non si vedono se non le basi»73. Luigi Trezza (1749-1823), come ha notato Cevese 74, «ebbe modo di misurare il diametro dei rocchi piú bassi dei fusti» (oggi mancanti), segnandolo nelle sue piante75. Dalle carte dell’architetto veronese del Sette- 24 Giulio Zavatta Fontana cinquecentesca di Pedemonte. cento è possibile constatare anche la distanza tra le basi delle colonne e i muri perimetrali di tutti e quattro i lati del cortile76, che quindi dovevano sussistere. La mappa del catasto austriaco conservata presso l’Archivio di Stato di Verona, risalente alla prima metà del xix secolo, attesta invece una situazione del tutto simi- le a quella odierna, non trovandosi segnate costruzioni nella parte non edificata della loggia77. Sono tuttavia a conoscenza di un documento tardo ottocentesco conservato presso l’archivio Serego Boccoli, segnalatomi da Pierpaolo Brugnoli, dove è disegnata la posizione delle basi delle colonne lungo tutto il perimetro del «Giardini e fontane meravigliose»: la mappa di Giovan Francesco Galesi e la villa di Santa Sofia 25 Fontana e lavatoio di Pedemonte. cortile interno. In tempi piú recenti Gazzola78 ha testimoniato che Scipione Allegri Zorzi smontò «le colonne dell’atrio meridionale per utilizzarle come materiale per la costruzione di una cantina […]. Ancora sotto il terreno tuttavia sono celate le basi delle colonne». Renato Cevese ha inoltre documentato il fatto che po- co dopo, nel 1960-1961, l’ingegner Boccoli riportò in luce alcuni reperti che accertavano «che si erano poste le basi delle colonne giganti anche nell’altra metà del peristilio e nel contempo si era iniziata la costruzione dei muri perimetrali e di quelli interni per addivenire al completamento del corpo padronale»79. 26 Giulio Zavatta Case dei Todeschi e fontana di Pedemonte, particolare della mappa di Giovan Francesco Galesi. Allo stato attuale delle conoscenze, è possibile quindi ipotizzare che la pianta di Galesi dia conferma dell’esistenza delle basi per l’intero peristilio già nel 1590, ma non è dato di sapere se sopra di esse sorgessero al tempo tutte le colonne, o solamente una metà come nell’evidenza attuale. L’importante restituzione grafica della villa palladiana ha finora monopolizzato l’interesse degli studiosi intenti alla lettura della mappa cinquecentesca. Non è pertanto stata mai presa in considerazione la finalità che ha portato alla commissione di questa carta d’archivio, vale a dire la richiesta dei «Conti fratelli Sareghi»80 per «redur l’acqua della fontana della Villa de Pedemonte sopra il suo bruollo et sopra li zardini del suo Palazzo». La mappa Galesi ha in realtà l’intento di mostrare con chiarezza, indicandolo con appariscenti linee rosse, il percorso dei condotti d’acqua che, partendo dalla fontana di Pedemonte posta nelle vicinanze delle «case di Todeschi», avrebbe irrigato i prati dei Serego, alimentando le fontane della villa, e quindi i giardini e il brolo vicini al palazzo. In particolare, l’acqua risulta indirizzata lungo due differenti direttrici: la prima piú in alto verso i giardini e le fontane della villa palladiana, la seconda verso l’ampia distesa di pradi posta nelle vicinanze della residenza signorile. È interessante notare che la linea rossa che si dirige dalla fonte di Pedemonte alle fontane della villa indica un passaggio sotterraneo dei condotti, che dovevano attraversare le possessioni dei conti Nogarola prima di raggiungere villa Serego: «per questa linea rossa vorriano li magnifici Conti Saregi soteraneamente condur un quarto de onza dell’aqua della fontana». Allo stesso modo, ma forse non per via sotterranea, l’altra condotta doveva attraversare le possessioni di Tognin de Miorin, affiancare le case del conte Giovan Battista Nogarola, le case degli Alberti e di un tal Quagioto prima di giungere ai «Pradi et bruollo delli magnifici conti Sareghi dove voriano condur l’acqua della fontana supradetta per irrigarli come mostra la linea rossa». Stando alla carta, tutte le famiglie e le possessioni attraversate – non solo quella Serego – attingevano da questi canali artificiali d’acqua per irrigare le loro terre. Possiamo trovare preciso riscontro e conferma della situazione delineata dalla mappa di Galesi in un documento d’archivio che registra le possessioni Serego a Santa Sofia nello stesso anno. In una «nota dili campi di Sancta Sophia» del marzo 1590 è infatti segnata con puntuale rispondenza l’esistenza del brolo nel quale confluivano le acque dopo aver alimentato le fontane («El brolo per mezo caxa confina da 2 bande la via comune e da l’altre doe bande Tognon di Foresti»), e dell’ampia zona prativa annessa alla villa («Li «Giardini e fontane meravigliose»: la mappa di Giovan Francesco Galesi e la villa di Santa Sofia Iscrizione sulla fontana di Pedemonte. nostri pradi apreso caxa confina da 2 bande Benedeto di Chionnenti e da l’altra la via comune e da l’altra el nostro caxamento»)81. In generale, quindi, la mappa di Galesi si dimostra prezioso documento non solo per l’immagine della pianta di villa Serego, ma anche per l’accurata progettazione di condutture d’acqua, secondo una prassi operativa da inzegnere, vale a dire da esperto di questioni d’acque. Grazie a questo disegno è stato inoltre possibile rintracciare la fonte d’origine dell’acqua, ancor oggi esistente. Come sulla carta, esattamente in prossimità delle cinquecentesche case dei Todeschi, su una delle quali è impressa un’iscrizione che ne attesta la costruzione o una ristrutturazione al 158082, è ancor oggi presente una fonte del xvi secolo con ampia vasca formata da pietre lavorate e perfettamente connesse tra loro. L’acqua qui raccolta confluiva dapprima in un lavatoio, recentemente restaurato, quindi era convogliata verso una condotta sotterranea, anch’essa co- 27 stituita da pietre lavorate e congiunte a incastro, che si indirizzava verso villa Santa Sofia e altri luoghi nelle pertinenze di Pedemonte83. Sulla fonte è ancor oggi leggibile una lapide cinquecentesca con iscrizione expensis comunibus / nobilivm / sancte sophie / et semontis / de anno / mdlv, sotto la quale è posta una successiva epigrafe (restauratum anno mdccclxvi). Si tratta, salvo qualche errore di copiatura, della medesima scritta riportata da Zorzi nel 196984. Lo studioso scrisse che il 25 novembre 1908 il signor Aristide Zendrini, segretario dell’allora proprietario di villa Serego, conte senatore Giovanni Antonio Campostrini, avrebbe letto questa iscrizione, riferendola però a una delle fontane che ornavano la residenza palladiana, e non alla sorgente di Pedemonte85. Fino a oggi, la data 1555 è stata quindi attribuita per errore a un manufatto ritenuto in rapporto con l’edificio di Palladio. Lo stesso Zorzi – confondendo la fonte di Pedemonte con una delle «meravigliose fontane» di villa Santa Sofia – dopo aver ricordato i lavori per le fontane della residenza Serego del 1543 e 1546 aggiungeva: «Un’altra magnifica fontana venne costruita anche nel 1555, riparata nel 1866 e tuttora esistente. Quindi la data 1555 può ritenersi la probabile data di completamento della villa»86. Esistevano tuttavia motivi per nutrire ragionevoli dubbi su questa attribuzione di Zorzi. Il contenuto dell’iscrizione risultava infatti inappropriato per una fontana di villa Santa Sofia. In particolare, non era possibile spiegare perché si fosse realizzato un ornamento per la residenza privata dei Serego «expensis comunibus nobilium Sancte Sophie et Semontis», vale a dire con una partecipazione economica dei nobili 28 Note Giulio Zavatta delle località vicine. Evidentemente, non poteva essere altro se non la sorgente di Pedemonte indicata nella mappa di Galesi il manufatto costruito in comune dai nobili del luogo, al fine di poter essere attinto da tutti i maggiori proprietari di terreni della zona, come si è verificato con un sopralluogo87. La nostra carta sembrerebbe escludere, inoltre, possibili riferimenti tra la fonte di Pedemonte e la villa di Palladio fino al 1590, poiché l’ingegnere vi ha indicato la volontà dei Serego di pescare acque da quella sorgente come da richiesta del 13 settembre 1589 ai Beni Inculti, in un periodo di oltre vent’anni successivo all’attività costruttiva del cantiere palladiano. Fino a quella data, evidentemente, i Serego non avevano il permesso (poi concesso) di utilizzare le acque di Pedemonte per la propria villa. Come abbiamo visto, tra i pagamenti per la costruzione della residenza Serego di Santa Sofia registrati negli anni Sessanta del xvi secolo in esecuzione del progetto palladiano, erano presenti anche voci su condutture per le fontane, ma la richiesta illustrata da Galesi a quasi un trentennio di distanza induce a ipotizzare che l’acqua non venisse ancora reperita dalla fontana di Pedemonte, e fosse quindi convogliata alla villa da altre sorgenti. Sigle ASA ASVr RIBA grotte e dei ninfei in Italia e in Europa, Atti del v convegno internazionale sui parchi e giardini storici, a cura di I. Lapi Ballerini e L.M. Medri, Firenze 1999, p. 153. 5 Ivi, p. 154. 6 S. Serlio, Architettura Civile, libri sesto, settimo e ottavo nei manoscritti di Monaco e Vienna, a cura di F.P. Fiore, Milano 1994, pp. 247-487. 7 Forme a ‘L’, o triangolari o circolari sono molto rare, e servono per lo piú a riempire spazi di risulta in progetti di villa con planimetrie particolari. Si veda T. Carunchio, Giardino e sito in Sebastiano Serlio e Andrea Palladio, in Studi in onore di Renato Cevese, Vicenza 2000, p. 115. 8 Si veda per questo argomento: J.S. Ackerman, L’immagine della vita di campagna nella letteratura cinquecentesca, in J.S. Ackerman, La villa. Forma e ideologia, Torino 1992, pp. 146-169, con ricco apparato di note e di rimandi a ulteriore bibliografia. 9 A. Palladio, I Quattro Libri dell’Architettura, Venezia 1570, ii, xii. 10 Ibidem. = Archivio Serego Alighieri di Gargagnago = Archivio di Stato di Verona = Royal Institute of British Architects 1 G.F. Viviani, I giardini delle ville, in La villa nel veronese, a cura di G.F. Viviani, Verona 1975, p. 185. 2 A. Tagliolini, I cenacoli e le accademie in A. Tagliolini, Storia del giardino italiano. Gli artisti, l’invenzione, le forme dall’antichità al xix secolo, Firenze 1991, pp. 111-114. 3 V. Scamozzi, De’ giardini, e cedrare, e loro forme e compartimenti: e del piantare de gli Antichi, et a tempi nostri, e della natura di alcune piante, in V. Scamozzi, Idea dell’Architettura Universale, Venezia 1615, i, iii, 23, pp. 325-328. Per un’analisi generale si veda M. Azzi Visentini, Vincenzo Scamozzi e il giardino, in Vincenzo Scamozzi 1548-1616, a cura di F. Barbieri e G. Beltramini, Venezia 2003, pp. 111-119. 4 Si veda: P. Castelli, Le grotte nella trattatistica del primo Rinascimento, in Artifici d’acque e di giardini. La cultura delle La campagna fotografica è stata realizzata da Giulio Zavatta. Altre foto sono dell’archivio del Centro di Documentazione per la Storia della Valpolicella. «Giardini e fontane meravigliose»: la mappa di Giovan Francesco Galesi e la villa di Santa Sofia 11 M. Azzi Visentini, Palladio e il giardino, in Il giardino veneto dal tardo medioevo al Novecento, a cura di M. Azzi Visentini, Milano 1988, p. 34. Recentemente la studiosa è tornata sull’argomento con un aggiornato saggio: M. Azzi Visentini, I giardini delle ville venete, in Andrea Palladio e la villa veneta da Petrarca a Carlo Scarpa, a cura di G. Beltramini e H. Burns, Venezia 2005, pp. 176-179. 12 Palladio, I Quattro Libri..., ii, xii. 13 Ivi, iii, i. 14 RIBA, viii, 13r. 15 Azzi Visentini, Palladio e il giardino..., p. 35. 16 Palladio, I Quattro Libri..., ii, xiv. 17 Ivi, ii, xv. 18 Ibidem. 19 Ivi, ii, pp. 50-51. 20 Questa analogia è stata analizzata per primo da R. Cevese, Andrea Palladio in Valpolicella: la villa Serego di S. Sofia, «Annuario Storico della Valpolicella», 1984-1985, nota 7, pp. 74-75. Azzi Visentini, Palladio e il giardino..., p. 36, nota invece questo confronto solo per villa Mocenigo. 21 Palladio, I Quattro Libri..., ii, xv. 22 Ivi, ii. 23 Stando a una nota spese relativa alla possessione della Cucca di proprietà Serego, trascritta da G. Biadego, Nuovi documenti circa Andrea Palladio, Verona 1886, l’architetto vicentino veniva definito inzegnere in un documento di non facile interpretazione. La questione attributiva della coeva Botte Zerpana, un’importante sistemazione idraulica nel veronese nelle pertinenze dei Serego, ha spesso chiamato in causa Andrea Palladio, senza tuttavia alcuna prova documentaria decisiva. Si vedano in particolare: F. Amendolagine, Il Ponte Canal detto Botte Zerpana, in Palladio e Verona, a cura di P. Marini, Verona 1980, p. 252; G. Sancassani, L’area di intervento di Palladio tra il territorio veronese e colognese, in Palladio e Verona..., p. 318; P. Brugnoli, I Serego Alighieri a Gargagnago di Valpolicella, Verona 2003, p. 76. 24 Si veda per una trattazione generale dell’argomento F. Cavazzana Romanelli, La villa nella cartografia storica. Linguaggi documentari, contesti archivistici, in Andrea Palladio e la villa veneta da Petrarca a Carlo Scarpa..., pp. 167-175, e in particolare i paragrafi Proti, perticatori, inzegneri (pp. 170-172) e Mappe d’acque, mappe d’estimo: un «diaframma di mediazione» (pp. 172-173) con estesa e aggiornata bibliografia. 25 Biblioteca del Museo Correr, ms P.D. 2117, c. 1. 29 26 L. Puppi, Andrea Palladio, Milano 1997, pp. 135-136, ill. n. 189. 27 Azzi Visentini, Palladio e il giardino..., p. 36. 28 Andrea Palladio e la villa veneta da Petrarca a Carlo Scarpa, Vicenza, 5 marzo - 3 luglio 2005. 29 Lille, Palais des Beaux Arts, n. inv. P. 232. Si veda V. Mancini, Scheda n. 130, in Andrea Palladio e la villa veneta da Petrarca a Carlo Scarpa..., pp. 386-387. Nel quadro è descritto: «uno scorcio di giardino all’italiana sul filo dei ricordi degli anni trascorsi nella campagna veneta». 30 Bergamo, Accademia Carrara, n. inv. 641. Si veda A. Zamperini, Scheda n. 131, in Andrea Palladio e la villa veneta da Petrarca a Carlo Scarpa..., pp. 387-388. 31 Treviso, Museo Civico «Luigi Bailo», n. inv. P 373. Si veda E. Filippi, Scheda n. 132, in Andrea Palladio e la villa veneta da Petrarca a Carlo Scarpa..., pp. 389-390. 32 Treviso, Museo Civico «Luigi Bailo», n. inv. P 909. Si veda E. Filippi, Scheda n. 134, in Andrea Palladio e la villa veneta da Petrarca a Carlo Scarpa..., pp. 392-393. 33 A. Rinaldi Gruber, Una interessante scoperta artistica a Beccacivetta di Coriano Veronese, «Atti e Memorie della Accademia di Agricoltura Scienze e Lettere di Verona», s. iv, xxiv (1972-1973), pp. 15-18 e fig. 10. 34 Cevese, Andrea Palladio in Valpolicella..., p. 75. 35 Ibidem. 36 Palladio, I Quattro Libri..., iii, i. 37 Scamozzi, De’ giardini, e cedrare, e loro forme e compartimenti..., p. 326. 38 Ivi, p. 325. 39 P. Bembo, Gli Asolani, i, v, antologizzato in L’arte dei giardini. Scritti teorici e pratici dal xiv al xix secolo, a cura di M. Azzi Visentini, Milano 1999, p. 12. 40 G.M. Varanini, Problemi di storia economica e sociale nella Valpolicella nel Cinquecento e Seicento, in La Valpolicella nella prima età moderna (1500-1630 c.), a cura di G.M. Varanini, Verona 1987, p. 106. 41 G. Borelli, Terra e patrizi nel xvi secolo: Marcantonio Serego, «Studi Storici Luigi Simeoni», xxvi-xxvii (1976-1977), pp. 51-52. 42 G. Zavatta, Villa Serego a Santa Sofia: i probabili ispiratori delle architetture palladiane, «Annuario Storico della Valpolicella», 2003-2004, pp. 79-81, in particolare il paragrafo Alcuni punti fermi per Santa Sofia con la bibliografia precedente. 30 Giulio Zavatta 43 Palladio, I Quattro Libri..., ii, xv. Nel trattato palladiano, la menzione di giardini e fontane insieme compare solo nella descrizione di villa Serego a Santa Sofia, e in quella della casa degli antichi. In un manoscritto del xviii secolo il testo palladiano è parafrasato da Marcello Oretti, che descrivendo alcune ville in Valpolicella, tra le quali anche la residenza dei Della Torre a Fumane, confuse il committente Marcantonio Serego, definendolo come esponente della famiglia Della Torre. M. Oretti, Pitture in diversi luoghi nello Stato Veneto, Bologna, Biblioteca dell’Archiginnasio, ms B 97, c. 14: «Santa Sofia luogo vicino a Verona cinque miglia vi è il palazzo del Conte Marco Antonio della Torre fatto da Palladio, situato sopra un colle tra due vallette, è ornato di giardini e fontane meravigliose, fu questo la delizia dei Signori della Scala, che dominarono Verona. Si vedono alcuni vestiggi delli antichi romani». Nello stesso manoscritto, poco sopra, è un’annotazione su villa Della Torre di Fumane, che reca una precisa attribuzione: «Villa della Torre. È di Michele Sanmicheli». 44 G.G. Zorzi, Le fontane di Santa Sofia, in Id., Le ville e i teatri di Andrea Palladio, Venezia 1969, p. 116. 45 Ivi, nota 19. Zorzi segnò erroneamente la data 19 maggio 1543 anziché 19 marzo. 46 Appendice, docc. 1-2. 47 Zorzi, Le fontane di Santa Sofia..., p. 116. 48 Appendice, doc. 3. 49 Zorzi, Le fontane di Santa Sofia..., nota 22. 50 P. Marini, Villa Serego ora Innocenti a Santa Sofia di Pedemonte (1565-1569 ca.), in Palladio e Verona..., p. 249. 51 Questo maestro, finora non altrimenti noto, è stato documentato da Brugnoli tra gli artigiani della pietra attivi nel 1557 nel cantiere di San Giorgio in Braida a Verona, tra i magistri impegnati a eseguire il pavimento marmoreo dell’edificio. Il maestro risultava originario di Bissone, e in quegli anni abitante a Verona nella contrada di Sant’Andrea. Lanzeroto risulta quindi impegnato in importanti cantieri legati agli architetti Michele Sanmicheli e Andrea Palladio a Verona e nel Veronese. Si veda: P. Brugnoli, Francesco e Battista da Prato, due lapicidi attivi nei cantieri sanmicheliani, di prossima pubblicazione in «Bollettino del Centro Internazionale di Studi d’Architettura Andrea Palladio». Si veda anche M. Beltramini, Sanmicheli e la chiesa di San Giorgio in Braida, in Michele Sanmicheli. Architettura, linguaggio e cultura artistica nel Cinquecento, a cura di H. Burns, C.L. Frommel e L. Puppi, Milano 1995, pp. 106-117, e in particolare l’appendice documentaria a pp. 288-289. Troviamo un contratto del 1557 dove è menzionato tra i lapicidi incaricati di costruire il pavimento marmoreo della chiesa di San Giorgio in Braida a Verona «Lanceroto de Bissono taia piera». 52 ASA, Registro di tutti li libri 1565, c. 73r, pubblicato da Marini, Palladio e Verona..., p. 315. 53 ASA, Registro di tutti li libri 1566, foglio sciolto, pubblicato da Marini, Palladio e Verona..., p. 315. 54 Zavatta, Villa Serego a Santa Sofia..., p. 80. 55 La fontana posta al centro del peristilio, costituito da colonne rustiche con rocchi di differente dimensione, trova stretta analogia nella simile soluzione adottata nel cortile interno di villa Della Torre a Fumane, anch’esso caratterizzato dagli stessi elementi rustici e dall’impiego di una fonte al centro. Riguardo ancora al cortile loggiato di villa Serego a Santa Sofia, è possibile notare che l’uso di teste di leone come mascheroni per i gocciolatoi della gronda e sotto la balaustrata della loggia è caso unico nell’architettura palladiana, non potendosi riscontrare simili elementi zoomorfi in nessun altro edificio di sua concezione. Un’altra ricorrenza di uso di teste di leone all’interno di un cortile nel Veronese è riscontrabile nel giardino Giusti. Si veda G. Conforti, Giardino Giusti: il doppio itinerario filosofico e l’evoluzione nel tempo (dal Cinquecento al Novecento), «Studi Storici Luigi Simeoni», liv (2004), p. 93. Lo studioso descrive la loggia di sei arcate con «scolpite le teste di Dioniso (al centro), di due Satiri e di due leoni (il seguito del dio)». 56 Palladio, I Quattro Libri..., ii, xv. 57 Cevese, Andrea Palladio in Valpolicella..., p. 75, nota 7. 58 Appendice, doc. 5. 59 Desidero ringraziare Pier Alvise Serego Alighieri per avermi consentito di consultare e studiare la mappa di Giovan Francesco Galesi. 60 Notizie su un Giovanni Alvise Galesi, vice proto della magistratura alle acque di Venezia, si trovano in M. Tafuri, Ricerca del Rinascimento. Principi, città, architetti, Torino 1992, p. 122 e ill. n. 32 (Progetto di lottizzazione dei terreni nuovi delle Fondamenta Nuove a Venezia, tra il rio dei Santi Giovanni e Paolo e la Zecca, 1594). 61 G.F. Viviani, Dizionario dei cartografi veronesi, in Misurare la terra, a cura di P. Brugnoli, Verona 1992, p. 464. 62 V. Giordano, Il fondo cartografico dell’Archivio Dionisi, in Villa Dionisi a Cerea, a cura di B. Chiappa e A. Sandrini, Verona 1986, p. 76, documento n. 3. E. Svalduz, Al servizio del magistrato. I proti alle acque nel corso del primo secolo di attività, in Architetto «Giardini e fontane meravigliose»: la mappa di Giovan Francesco Galesi e la villa di Santa Sofia sia l’ingegniero che discorre. Ingegneri architetti e proti nell’età della Repubblica, a cura di G. Mazzi e S. Zaggia, Venezia 2004, pp. 233268. La studiosa (p. 258, nota 107) cita in particolare un Galese Francesco (forse il nostro Giovan Francesco?) nella qualifica di proto ordinario dei Beni Inculti già nel 1577. Nello stesso saggio (p. 240) rileva la presenza di un Galesi, del quale non è specificato il nome, assieme all’architetto Vincenzo Scamozzi durante un sopralluogo dei Savi alle Acque a Venezia. 63 Notizie tratte dal regesto di documenti raccolti da E. Trotto, Bernardino Brugnoli architetto veronese del ’500, tesi di laurea, rel. G. Mazzi, Università degli Studi di Udine, a.a. 19941995. 64 Per la gestione economica dei fondi agricoli dei Serego nel xvi secolo si vedano G. Borelli, Terra e patrizi nel xvi secolo: Marcantonio Serego, «Studi Storici Luigi Simeoni», xxvi-xxvii (1976-1977), in particolare pp. 1-20; Varanini, Problemi di storia economica..., in particolare pp. 101-110. 65 Archivio di Stato di Venezia, Beni Inculti, Disegni Verona, mazzo 58, pubblicato da V. Bennacchio - A. Vivit, Le proprietà Serego e la Botte Zerpana nelle mappe dell’Archivio di Stato di Venezia, in Palladio e Verona..., p. 330. 66 Ivi, p. 331 (mappa della villa della Cucca). 67 Ivi, pp. 330-331. Si veda anche M. Tavella - I. Cristini, Villa Serego alla Cucca (oggi Veronella), in Palladio e Verona..., p. 246 e illustrazione a p. 245. 68 Bennacchio-Vivit, Le proprietà Serego e la Botte Zerpana..., p. 331. 69 Rinaldi Gruber, Una interessante scoperta artistica a Beccacivatta di Coriano..., pp. 12-32. Rinaldi Gruber rilevò che il modo di dire ‘alla nicolota’ doveva riferirsi agli abitanti di Venezia sotto la parrocchia di San Nicolò, in gran parte pescatori. Ritenne dunque di interpretare che questo modo di dire indicasse un disegno “affrettato”. Ho trovato altra attestazione del termine nelle Novelle di Matteo Bandello (ii, 10), dove per burla il pittore veronese Girolamo Dai Libri si travestí da popolano veneziano «parlando schietto il parlar veneziano dei nicoletti». L’artista aveva addosso una toga «scolorita e pelata che se vedeva tutta l’orditura» e una cornetta in capo «piú vecchia della madre di Evandro e in alcuni luoghi stracciata», e berretta alla veneziana «unta e bisunta fuor di misura». Definire il disegno palladiano ‘alla nicolota’, cioè di tenore di un popolano di San Nicolò di Venezia, doveva costituire un giudizio di grossolanità (che nella novella di Bandello si fa grottesca) totalmente negativo. 31 70 Biblioteca Civica di Verona, Epistolario Serego, b. 309. Lettera autografa di Bernardino Brugnoli al conte Antonio Maria Serego (Appendice di documenti, n. 4). Il coinvolgimento di Andrea Palladio riguardo alcuni progetti per le ville del ramo Serego rappresentato dai conti Federico e Antonio Maria è confermato da numerosi documenti, resi noti in parte da Biadego nel 1886, e in parte da Rinaldi Gruber nel 1972-1973. In particolare il 23 agosto 1564 Palladio è documentato alla Cucca, dove rivide un progetto per quella residenza, e ne stese uno nuovo per la Veronella. Paola Marini (1980) ha chiarito che l’antica Veronella era una località chiamata anche Dossi, che si trovava a qualche chilometro dalla Cucca (che oggi ha preso il nome di Veronella), poco prima di San Gregorio. In questo luogo Federico e Antonio Maria Serego acquistarono nel 1559 una casa dominicale con vasti annessi, che giustifica la richiesta a Palladio di un progetto per il suo ammodernamento. In una lettera del 12 dicembre 1567 Federico Serego afferma che si stava procedendo all’edificazione delle barchesse alla Cucca, sotto la guida di un maestro Bernardino muraro, proto di cantiere incaricato di erigere le ampie logge concepite nel progetto palladiano. Poco dopo, in una lettera dello stesso Federico datata 22 settembre 1569, si fa riferimento a una richiesta inoltrata a Palladio per avere un disegno anche per una fabbrica nella possessione di Beccacivetta, proprietà Serego presso Coriano Veronese. Il 4 ottobre, a pochi giorni di distanza, Palladio viene pagato «per esser venuto dalla Miega alla Cucca per consegliarci et per tuor in dissegno la fabbrica del pallazzo et di tutto il resto che si dissegna far col tempo» (Biadego, Nuovi documenti circa Andrea Palladio..., p. 16). È evidente che il ramo della famiglia Serego che faceva capo a Federico prese contatti con Palladio nello stesso periodo in cui l’architetto era impiegato dai parenti Annibale e Marcantonio, al fine di avere una serie di progetti per sistemare e aggiornare alcune residenze padronali (in prima istanza la Cucca, quindi «tutto il resto che si dissegna far col tempo»). In particolare, oltre alla tenuta principale, vengono nominate, e sembrerebbero interessate, Veronella e Beccacivetta. Dal 1569 in poi, tuttavia, le notizie diventano frammentarie, tanto che è difficile in alcuni casi capire per quale delle tre possessioni venissero insistentemente richiesti progetti a Palladio. Non è di agevole comprensione inoltre quale fosse la volontà di Federico e Antonio Maria Serego: sembra infatti difficile che i conti potessero aver intenzione di realizzare ex novo ben tre edifici padronali su progetto di Palladio. Se si esclude il caso della Cucca, le loro richieste all’architetto sembrerebbero configurarsi per lo piú come intento di rifacimento delle facciate delle ville se- 32 Giulio Zavatta condo un’architettura piú moderna, e non come interventi radicali di ricostruzione. In pratica Palladio sarebbe stato coinvolto come consulente per una serie di residenze, per un progetto di ampio respiro, ma evidentemente dispersivo e non radicale, tanto che l’architetto non dimostrò particolare propensione per questo impegno. Tra il novembre e il dicembre del 1569 si susseguono comunque altre pressioni su Palladio per avere un progetto (ancora per la Cucca o per Beccacivetta?), ma invano. In una lettera di Federico ad Antonio Maria Serego leggiamo: «Vi mando anche il resto del dissegno ch’ho avuto da Palladio il quale ci ha serviti alla nicolota, mi sono doluto seco». Evidentemente i progetti e i disegni di un Palladio impegnato tra Vicenza e Venezia e poco interessato a queste possessioni nella Bassa veronese dovevano essere assolutamente insoddisfacenti, e laconicamente il conte Federico liquidava la questione dicendo: «Servitivi d’esso come si può il meglio». Non affatto demoralizzati, i conti Serego tornarono a richiedere l’architetto nel luglio 1570. Palladio era in quel momento impegnato nella costruzione del palazzo del conte Montano Barbarano a Vicenza. Questi negò cortesemente a Federico Serego l’architetto, promettendo però che terminati i lavori lo avrebbe subito liberato e mandato alla Cucca. A fine agosto Montano Barbarano scrisse a Federico che Palladio era tornato a Venezia, ma che sarebbe stato comunque «pronto a venire quando gli piace». E proprio a quest’altezza, nel luglio 1570, mentre Palladio era impegnato per il palazzo vicentino, si inserisce un’inaspettata richiesta del conte Antonio Maria Serego all’architetto veronese Bernardino Brugnoli per avere disegni per la facciata della Cucca. In una lettera autografa conservata presso la Biblioteca Civica di Verona (carteggio Serego, busta 309) Brugnoli, di ritorno da Reggio Emilia dove aveva assunto l’incarico di progettare la veste marmorea della cattedrale, fa riferimento a tre differenti disegni per la facciata della Cucca, elaborati tenendo conto di misurazioni fatte in un precedente sopralluogo nel Colognese. Dalla lettera risulta che mastro Bernardin muraro, lo stesso proto responsabile dell’edificazione delle barchesse palladiane, si era recato piú volte nel suo studio a Verona per discutere delle misure e dei progetti per la facciata della residenza Serego. Emerge cosí un’altra figura, assieme a quella di Lanceroto spezapreda (si veda la nota 48), di aggiornato capomastro impegnato sia in cantieri palladiani, sia in realizzazioni legate allo studio sanmicheliano, ereditato da Bernardino Brugnoli nel 1559. Contrariamente a Palladio, Bernardino Brugnoli si dimostra molto deferente verso i conti e interessato all’impresa: non solo inviò una delle tre varianti in un disegno «piú bello e piú netto», ma si ripropose di elaborare anche le altre due e inviarle quanto prima. I progetti dell’architetto veronese dovevano inoltre essere esecutivi e dotati di tutti i dettagli d’ornamento, poiché è chiaramente indicato quali parti dovevano essere di pietra (capitelli, basi, cornici delle finestre), e quali in quadrelli a finta pietra con minor spesa. Anche i progetti di Brugnoli, nonostante la pronta risposta dell’architetto, rimasero sulla carta, non sappiamo se perché insoddisfacenti, o se per indecisioni economiche dei Serego (che nel giro di pochi anni affittarono e abbandonarono sia la Cucca che Beccacivetta, dando cosí ragione ai tentennamenti di Palladio nei confronti di questi committenti). Mentre Bernardino Brugnoli lavorava alacremente presentando diverse varianti per la facciata della Cucca ad Antonio Maria Serego, il 3 settembre 1570 Federico scriveva al fratello da Nonantola auspicando di poter riprendere i lavori su progetto di Palladio, se questi avesse fornito «il dissegno vero et terminato di ciò che si volesse far». Dal 5 al 7 settembre effettivamente Palladio è registrato nei libri di contabilità della residenza seratica alla Cucca a «considerare la fabricha che si vuol far fare». Non sappiamo se questa consulenza (l’ultima documentata) riguardasse gli stessi progetti di Palladio a distanza di oltre cinque anni (erano stati infatti realizzati prima del 1564, quando subirono una revisione, come visto), o se l’architetto fosse stato coinvolto – ma pare piú improbabile – per giudicare le proposte di Brugnoli. L’ambiguo atteggiamento di Federico e Antonio Maria Serego non portò nè ad avere un progetto definitivo di Palladio, nè a mettere in opera i disegni forniti da Bernardino Brugnoli. Tra il 1572 e il 1574 Giovan Francesco Galesi, a lungo collaboratore di Bernardino Brugnoli, che forse suggerí il suo nome ai conti Serego, fu chiamato da Federico e Antonio Maria per disegnare le possessioni della Cucca e di Beccacivetta. Dalle mappe tuttavia non si possono trarre immagini relative alle ville poste in quelle pertinenze. 71 Federico Serego (1526-1596). Si veda Rinaldi Gruber, Una interessante scoperta artistica a Beccacivetta di Coriano..., pp. 18-22. 72 Viviani, La villa nel Veronese..., p. 427 e illustrazione (particolare della mappa) a p. 425. 73 F. Muttoni, Architettura di Andrea Palladio Vicentino con le osservazioni dell’Architetto N.N., Venezia 1740-1744, i, p. 19; V, pp. 38-39, tavola L. 74 Cevese, Andrea Palladio in Valpolicella..., p. 96. 75 Biblioteca Civica di Verona, ms 1010, cc. 72-73. 76 Le distanze rilevate da Trezza mostrano come il suo non sia un disegno ideale condotto sull’esempio dei Quattro Libri «Giardini e fontane meravigliose»: la mappa di Giovan Francesco Galesi e la villa di Santa Sofia dell’Architettura di Palladio, poiché le misure sono differenti l’una dall’altra. In particolare nella tavola 72 del ms 1010 della Biblioteca Civica di Verona vengono riscontrate tra le basi delle colonne e i muri perimetrali le distanze di piedi veronesi: 11:5.6; 11.6; 10; 11.5. Le differenti distanze, negando di fatto che si possa trattare di un’ideale ricostruzione, attestano l’esistenza sia delle basi delle colonne, sia del muro esterno lungo tutto il perimetro del loggiato. 77 ASVr, Catasto Austriaco, mappa 292, tavola 6, particella 731. Nella carta catastale appare segnata anche la limonaia che attualmente è nelle adiacenze della villa. Nella stessa mappa appare con chiarezza anche il condotto che andava a irrigare i prati dei Serego, nella stessa identica forma segnata dalla mappa di Galesi. Del condotto che doveva alimentare le fontane invece non c’è traccia, e questo si potrebbe spiegare per il fatto che esso, come attesta la mappa, correva sotterraneamente. 78 G. Gazzola, Palladio a Verona, «Bollettino del Centro Internazionale di Studi d’Architettura Andrea Palladio», ii (1960), pp. 34-36. Nell’illustrazione n. 36 correlata al suo testo, Gazzola ha raffigurato una pianta di villa Santa Sofia dove sono segnate in nero le parti murarie esistenti. Tra queste, apparentemente, anche una parte di muratura del fabbricato dell’ala non costruita. Questo segmento di muro avrebbe determinato la presenza di un andito simile a quello progettato da Palladio (nella tavola dei Quattro Libri, si trova tra le due scale ovate), posto sull’ipotetico fronte della villa, ma in posizione decentrata rispetto all’asse centrale del cortile, sottolineato dalla fontana. Sempre nello stesso rilievo, risulta un intercolumnio molto ristretto in uno dei lati lunghi del cortile. 79 Cevese, Andrea Palladio in Valpolicella..., p. 96. 80 Stando alla data, 1590, i fratelli conti Serego dovrebbero essere i figli di Marcantonio, che aveva dettato il suo testamento già nel 1582 e un ultimo codicillo nel 1583. I beni di Santa Sofia passarono certamente al figlio maggiore Pier Alvise, che tuttavia redasse un suo testamento nel 1577, già prima della scomparsa del padre. Non sappiamo dunque se Pier Alvise, proprietario della villa, fosse ancora vivo nel 1590. I nomi dei fratelli di Pier Alvise sicuramente ancora in vita nel 1590 sono: Giulio Cesare (attestato nel 1604) e Giordano (morto nel 1604). Di alcuni altri fratelli non abbiamo, allo stato attuale delle conoscenze, gli estremi cronologici: si tratta di Orazio, Cortesia ed Ercole. Tra i fratelli di Pier Alvise ri- 33 sultavano già morti nel 1590 Ettore (deceduto nel 1571 senza figli) e Alessandro, illustre medico morto anch’egli senza figli nel 1575. Notizie tratte dall’albero genealogico pubblicato da P. di Serego Alighieri, Dei Seratico e dei Serego Alighieri, Torino 1865. 81 ASVr, Pompei Serego, processi, n. 233, c. 24r. Menzionato in Zavatta, Villa Serego a Santa Sofia..., p. 81. Nella mappa di Galesi le due zone sono evidenziate con una colorazione verde. 82 Ringazio Carlo Speri per avermi consentito di visitare la casa cinquecentesca sulla quale è murata una lastra l’iscrizione io. tomaso feci de anno mdlxxx. 83 Carlo Speri (comunicazione orale) mi ha riferito dello stato della fontana presso le case dei Todeschi alla metà del Novecento. Il canale, composto di pietre scolpite connesse a incastro, si dirigeva sotterraneamente verso la villa di Santa Sofia. Diramazioni dei condotti s’indirizzavano inoltre verso la chiesa di San Rocco di Pedemonte, il forno della città, e tre fontane poste agli angoli delle piazze del paese storico. Grazie al dislivello di altitudine tra la fontana e la residenza Serego, l’acqua convogliata nella villa palladiana riusciva per caduta a essere disponibile anche al secondo piano (la fonte di Pedemonte si trova infatti almeno 5-8 metri al di sopra del livello del paese). 84 Zorzi, Le fontane di Santa Sofia..., p. 116, nota 22. Lo studioso riporta: «expensis comunibus – nobilium sanctae sophiae – et semontis – de ano mdlv – restauratum anno mdccclxvi». 85 Ibidem. L’errore può essere stato causato dalla definizione della fonte di Pedemonte, chiamata fontana. La toponomastica attuale indica che comunemente la sorgente e il lavatoio di Pedemonte dovevano essere nominati fontana, trovandosi appunto in via della Fontana. Con lo stesso termine la fonte è indicata anche nella mappa di Galesi. 86 Ivi, p. 116. Desidero ringraziare l’architetto Pino Canestrari per avermi condotto a un sopralluogo a villa Serego a Santa Sofia alla ricerca della fontana e dell’iscrizione. Canestrari, autore di un recente restauro dell’edificio, mi ha indicato le fontane attualmente presenti nell’ampio parco, tutte databili tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento. 87 Il sopralluogo è stato compiuto nell’ottobre del 2006, seguendo a ritroso le linee dei condotti tracciati nella mappa di Giovan Francesco Galesi, da chi scrive assieme a Pino Canestrari e a Pierpaolo Brugnoli. 34 Giulio Zavatta Appendice 1 [Verona], 1543 marzo 19 2 [Verona], 1543 agosto 6 Gerolamo Contarini, avogador del Comune di Verona, richiede al podestà di Verona l’imposizione di una pena pecuniaria sui danni che fossero stati causati alla fontana di Santa Sofia in Valpolicella posseduta dagli eredi di Brunoro Serego. Proclama di Dolfino Dolfini, podestà di Verona, che dispone un’ammenda di 100 soldi e il bando di un anno da Verona per chi danneggi la fontana di Santa Sofia in Valpolicella posseduta dagli eredi di Bunoro Serego. Originale: ASA, busta n.n. Bibliografia: G. Zorzi, Le ville e i teatri di Andrea Palladio, Venezia 1969, p. 116, nota 19. Originale: ASA, busta n.n. Bibliografia: Zorzi, Le ville e i teatri di Andrea Palladio..., p. 116, nota 20. Domino potestati Verone. Expositum nobis fuit sane heredum quondam comitis Brunori Seratici quod, cum ipsi heredes habeant certas fontes in Valle Pullicella in loco Sancte Sophie ad quas fontes conducitur aqua per certos canonos ligneos subtus terram maximis cum expensis dictorum heredum, nonnulli maligni iniqui [........] devastant dictos canonos implendos eos variis monditiis ita ut taliter quod aqua discurere non potest ad dictas fontes [......] quod at aliter dirrunt ornamenta facta circa tales fontes fodiunt quondam canonos vel multa alia damna euferunt que quidem omnia sunt contra bonum modum et formam bene vivendi vel non sunt toleranda, quare spectabilis vir requiriunt ut autori [...] magnis in dictis locis solitis vel precipue in dicto loco Sancte Sophie proclamari faciate quod non sit aliqua persona sit cuius vis grandus vel conditionis que audeat vel presumat modo aliquo devastare aut molestare dictas fontes canonos et ornamenta ipsarum fontium sub pena ducatorum centum vel exilii per annum de Verona sui districtus ultra penam in stantiis Verone contradam et in proclamationibus in tale materia factis. Hieronimus Contarinus advocatum in Communis. Die 19 martii 1543. Sancta Sophia. Proclama de la fontana de Santa Sophia in execution de tre detti avogadori cum la copia della lettera dello avogador. De mandato del clarissimo messer Dolphin Dolphin dignissimo podesta di Verona per la illustrissima ducal signoria di Venetia et in execution de littere del clarissimo messer Hieronimo Contarino dignissimo avogador del Comun di Venetia de xviiii mazo proximo passato, per el presente publico proclamo si fa saper et comanda che’l non sia persona alcuna di che grado, stato, et condizion esser si voglia, che ardischa o presumi per alcun modo guastar la fontana deli heredi del magnifico quondam conte Brunoro da Sarego, posta nella villa di Santa Sophia di Valpulisella, nè metter alcun sporchezo, nè matasetto nelli canoni di essa fontana, nè essi canoni nè altri ornamenti di essa fontana guastar, nè molestar la ditta fontana. Sotto irremissibil pena de ducati cento, et di bando di Verona et del suo distretto per uno anno, et ciò oltra tutte le altre pene contenute nei statuti di Verona, et altre cride fatte in questa materia, la mittà della qual penna pecuniaria siano applicade per la mittà allo accusador et l’altra mittà alla Camera fiscal de Verona, et sian pagate dai benni di multatori. Carolus Varugola notarius cancellarius. Mandato adí 6 augusti 1543. Die x augusti 1543. Publicà fu la soprascritta proclama a Santa Maria in «Giardini e fontane meravigliose»: la mappa di Giovan Francesco Galesi e la villa di Santa Sofia Progno et a Pedemonte de Valpulisella per Geronimo Trombeta, astante la moltitudine del populo a alta et intelligibil voce, prima premisso il son della trombetta iuxto il solito, presenti messer Marco Palermo et messer Zuan Rigetto et altri. 3 Verona, 1546 agosto 28 Ruffino marangone, figlio del quondam Giovanni Ruffoni, dichiara di aver ricevuto da Demetrio Spatarino agente per conto dei fratelli Annibale e Marcantonio, figli del quondam Brunoro Serego, trecentoquarantacinque lire e mezzo a saldo di un credito di settecentoventi lire e dieci soldi e mezzo per [i lavori eseguiti] alle fontane di Santa Sofia. Originale: ASA, busta n.n. Bibliografia: Zorzi, Le ville e i teatri di Andrea Palladio..., p. 116, nota 21. Pagamento fatto a Messer Rufino marangone quondam Zuan Ruffoni per le fontane di Santa Sophia. Ut in actis egregii viri Ioannis Placentini notarii absoluto magnificorum comitum de Seratico a magistro Ruffino marangono. In Christi nomine anno a nativitate eiusdem 1546, indictione 4, die sabbati 28 augusti Verone in domo habitationis infrascriptorum dominorum comitum de Seratico contracte Sancti Sebastiani, presentibus providus vir magister Ruffinus filius quondam Ioannis de Ruffonibus de Sancta Euffemia creditor magnificorum comitum Hanibalis et Marcantoni fratrum filii quondam magnifici comitis Brunorii de Seratico de libris trecentis quadragintaquinque cum dimidia denarorum pro resto unius maioris crediti librarum septingentarum ac viginti solidorum decem cum dimidio, prout constat ex scripto supra libro e dicti magistri Ruffini in carta 83, annotato manu Nicolai ab Agnusdei 35 sub die 14 novembris 1545, ibi per me notarium visto et lecto et cancellato. Ibi constitutus sponte dixit et confessus fuit se habuisse integram solutionem soprascripti crediti sui librarum trecentarum quqadragintaquinque cum dimidia a discreto viro Demetrio Spatarino nomine et vice dictorum dominorum comitum presentem confessionem accepte magnifica comitissa domina Maximilla de Martinengo vice et nominibus diciturum dominorum comitu filiorum suorum ac de dicto Demitrio et egregio Victore de Benvenutis vice et nominibus dictarum comitum. Renuntians etc. Quae trecentum quadragintaquinque libre cum dimidia cedant ad computum quem dictus Demetrius et fratres solvere tenentur dictis dominis comitibus et ideo idem magister Ruffinus sponte et omni meliori modo liberavit et absolvit dictam dominam dicti nominibus acceptantem ab omni et toto eo quod eisdem domini petere possent et habere deberet tam occasione dicti scripti quibuscumque laboreriis et operibus dictis dominis comitibus factis [...] indicem presentem. Facens illi ut supra acceptanti finem et cetera promittens et cetera. Sub oblatione bonorum suorum et cetera. 4 Verona, 1570 luglio 29 Lettera di Bernardino Brugnoli al conte Antonio Serego alla Cucca, nella quale l’architetto, di ritorno da Reggio Emilia, propone tre disegni per la facciata della villa di Federico e Antonio Serego, illustrati a maestro Bernardino muraro. Originale: Biblioteca Civica di Verona, Carteggio Serego, busta 309. Al magnifico et illustrissimo il signor conte Antonio Serego mio signore et patron sempre osservandissimo. Alla Cucha. 36 Giulio Zavatta Magnifico signor conte mio signor et patron osservandissimo, maestro Bernardin murar è stato alquante volte a ritrovarmi in nome di V.S. dicendomi che il desiderio di V.S. era che io facessi un disegno over doi dila faciata dil suo palazo et mi dise le misure quanto potrà esser longa deta faciata, ma poi cercato per alcune carte o trovato la misura che io tolsi se V.S. se ricorda quando foi a la Cucha et di subito mi possi a far deti disegni dove avendone fato tri diferenti uno da l’altro disegnava di mandarli a V.S., ma mi sopragionse ocasione per la quale mi è bisognatto andar fino a Rezo dove vi son stato alquanti giorni, et subito tornato maestro Bernardin è stato a ritrovarmi insieme con il fattor della V.M. per voler deti disegni, et ora avendone refato uno in forma piu bela et piu netta io lo mando a V.S. fino a tanto che io recavo li altri dui di qual subito mandaro a V.S., tra tanto la vedrà se questo che ora li mando sarà secondo il desiderio suo, che esendo cossa che si satisfa mi sarà molto a caro l’ordine che si potrà tenir in far deta faciata sarà far li capiteli basse le inposte de le finestre et le chiave di esse et li coridori sopra la cornise tuto di pietra che non sarà molta spexa il restante, si potra far tuto di quadrelo finto di pietra ma per ora non volio piu discorrer altro, atendero solamente a dar speditione ali altri dui disegni et se avevo fato cosa che satisfa a V.M. si trattava poi dil modo che si aveva a operar nè altro per orra occorendomi a V.S. mi offero ali sui comandi et li bassio la mano pregandola salutar in mio nome il magnifico signor conte Federico suo frattello. Da Verona ali 29 luio 1570. Servitor aficionatissimo Bernardin Brugnollo. 5 G.F. Galesi, Mappa del territorio di Pedemonte e della villa di Santa Sofia, 1590. Originale: ASA. De mandato delli clarissimi signori Proveditori supra li beni inculti e ad instanzia delli magnifici conti fratelli Sareghi, io Zuanfrancesco Galesi pittore ordinario dell’officio ho fatto il presente dissegno in compagnia con Marchesin Marchesini pittore extraordinario, qual dimostra il palazzo et bruollo sotto la villa de Sancta Sophia territorio Veronese nella contrà de Val Polesela dove essi magnifici conti vorriano redur l’acqua della fontana della villa de Pedemonte sopra il suo bruollo et sopra li zardini del suo palazzo, sí come per le vestigie che solevano per li molti anni passati, sí come per la sua supplicatione presentata nel officio sotto dí 13 settembrio 1589 si leggia et come in quella.