a n i n t e r nat i o na l j o u r na l
f o r a r c h a e o l o g y, h i s t o ry
a n d a r c h a e o m e t ry o f
marbles and stones
4 · 2008
estr atto
p i s a · ro m a
fa b r i z i o s e r r a e d i to r e
mmix
Direttore · Editor
Lorenzo Lazzarini · Università i.u.a.v. (Venezia)
*
Comitato scientiico internazionale · International Scientiic Committee
Archeologia e Storia dell’Arte · Archaeology and History of Art
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Archeometria · Archaeometry
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Myrsini Varti Matarangas · i.g.m.e. (Atene)
*
«Marmora» is a Peer-Reviewed Journal
MARCHI DI CAVA E CONTRASSEGNI
DI ASSEMBLAGGIO NELL’ARCHITETTURA PUNICA:
LO STATO DELLA QUESTIONE
Antonella Mezzolani*
Abstract
The aim of this contribution is to propose a few considerations about the activities in the Punic
quarries and building sites. Understanding the diference between quarry-marks and masonry-marks
is very diicult and, for the Punic architecture, the situation is complicated by the lack of documentation.
Nevertheless, the carved or red painted symbols or Phoenician/Punic letters on the architectural
elements can be read like witnesses of diferent phases and various performers inside the long process
from the extraction and preparation of the blocks to the building construction.
keywords: Quarry-marks, masonry-marks, Punic buildings.
1. Premessa
L
’argomento che si intende proporre in
questa sede è stato considerato solo in
maniera marginale negli studi di architettura punica, soprattutto perché le attestazioni
evidenziate nel corso delle indagini archeologiche non sembrano consentire il disegno
di un quadro apprezzabilmente chiaro e deinito. Un recente lavoro sui marchi di cava
neopunici di Leptis Magna,1 però, ha contribuito a rinnovare l’attenzione sul tema, stimolando le righe che seguono. Questa breve
nota, senza avere l’ambizione di raggiungere risultati deinitivi, intende presentare lo
stato della questione, illustrando in particolare le emergenze individuate in alcuni complessi architettonici di età punica e proponendo interrogativi su cui può valere la pena
sofermarsi.
2. La funzione di lettere e simboli
su blocchi
La presenza di segni incisi o dipinti su blocchi in pietra da taglio risulta assai difusa nell’architettura antica e rientra a pieno titolo
nei processi di preparazione del materiale e
di realizzazione di un manufatto edilizio.
Come eicacemente illustrato da R. Martin,2 i contrassegni vengono impiegati in vari momenti dell’attività costruttiva, assolvono funzioni diferenziate e vengono eseguiti
da attori diversi, secondo una dinamica non
sempre per noi intellegibile.3
Si può agevolmente prevedere che nelle
cave i blocchi estratti fossero marchiati per
consentire l’identiicazione del luogo di estrazione e, presumibilmente, della squadra responsabile del lavoro o dell’imprenditore cui
questo doveva essere pagato: in tal senso, una
documentazione ricca di informazioni, seppure distante cronologicamente dalla fase in
* Address for correspondence: A. Mezzolani. E-mail: antonella.mezzolani@poste.it
1 Tomasello, De Simone 2005, 325-342.
2 Martin 1965, 221-238.
3 Ancora valido sembra il quadro presentato da Lugli 1957, pp. 199-207, sulle diverse interpretazioni funzionali dei contrassegni: se da un lato alcuni autori li consideravano segni fatti dai cavatori per rendere noto il proprio
lavoro (Bruzza e Lanciani), dall’altro ci si poneva il dilemma che potessero essere elementi di riconoscimento dei
singoli operai oppure delle cave di estrazione (Richter) o, ancora, che servissero al controllo del materiale lavorato da squadre di operai (Sälund). Lugli, da parte sua, propone l’ipotesi che fosse marcato un blocco per ogni carro o per ogni invio giornaliero, in modo da riconoscere all’arrivo in cantiere il nome delle maestranze o del cantiere, oltre al numero dei blocchi spediti.
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10
antonella mezzolani
esame, ci proviene dal commercio dei marmi
di età romana, quando le iscrizioni incise sui
blocchi porteranno il nome della cava, della
vena sfruttata, la data e il nome dei responsabili.1 In epoche più antiche, la diicoltà risiede spesso nella impossibilità di conoscere il
regime giuridico delle cave e l’eventuale gerarchia che presiedeva al lavoro, elementi che
potrebbero fornire linee di interpretazione
anche dei contrassegni incisi, determinandone il riferimento o al singolo operaio, o alla
squadra di lavoro o all’autorità che dirigeva i
processi estrattivi oppure, ancora, all’imprenditore che aveva la concessione delle forniture dalla cava.2
Diversa la funzione dei contrassegni che
venivano applicati nel cantiere edile per guidare la costruzione del complesso architettonico: si tratta di segni incisi o dipinti, che
comprendono lettere singole o ripetute, riferimenti numerici, talvolta dimensioni o direzioni della posa del blocco.3
Nei monumenti punici la presenza sia di
marchi di cava, sia di contrassegni di assemblaggio è stata più volte evidenziata, ma spesso una distinzione netta tra le due funzioni diventa diicile, soprattutto perché scarse sono
ancora le nostre conoscenze sull’organizzazione del lavoro edile, a partire dall’approvvigionamento del materiale litico ino al can-
tiere di costruzione. Sebbene sia plausibile
l’ipotesi di attestazioni di marchi di cava e segni per la messa in opera anche nelle aree fenicie orientali,4 in questa sede si è concentrata l’attenzione sugli esempi rilevati in contesti
punici della Sicilia e del Nord Africa, più numerosi e, di certo, più noti.
3. Le attestazioni
nell ’ architettura punica
Sulla scorta del già citato articolo di F. Tomasello e R. De Simone, si è tentato di fare una
ricognizione esauriente delle attestazioni di
marchi di cava rilevate in contesti punici, senza che, come ovvio, il quadro possa considerarsi deinitivo.
In buon numero sono le «epigrai invisibili»5 individuate a Cartagine, ma ancora una
volta di diicile deinizione risulta la funzione speciica dei segni, così come del momento in cui furono eseguiti. Il lotto più
corposo è quello proveniente dall’isolotto
dell’Ammiragliato nel porto circolare: in una
serie di blocchi di «grès jaunâtre»6 assemblati
a secco per costituire pilastri rettangolari sono stati individuati lettere fenicie e simboli
incisi e dipinti in rosso.7 Tra i segni dipinti igurano il simbolo di Tanit (7 attestazioni,
con un esemplare incerto), la palma (1), la
1 Si veda, ad es., Ward Perkins 1951.
2 Per un quadro generale sulla organizzazione delle cave e sulle ipotesi relative alla loro condizione giuridica,
così come su quella di quanti vi lavoravano, cfr. Hellmann 2002, 70-75. Interessante anche la considerazione che,
grazie all’analisi paleograica, si possa stabilire la provenienza degli operai, individuando fenomeni di spostamento di manodopera specializzata nelle operazioni di cavatura e di trattamento di determinati materiali litici: cfr., ad
es., Hellmann 2000.
3 Martin 1965, 235-237; Hellmann 2002, 88-91.
4 Segni incisi, interpretati come simboli, e segni dipinti in rosso, letti come lettere fenicie, sono stati rinvenuti
nel corso delle esplorazioni di C. Warren a Gerusalemme, compiute dal 1867 al 1870; l’autore riteneva che i lacerti murari da lui rinvenuti fossero da attribuire alle opere edilizie di Salomone, teoria ripresa anche in seguito da altri studiosi: cfr. Wilson 1871, 107-108, 110-111, 114-115. Si veda anche Barton 1933, 243, pl. 83, ig. 244.
In una nota di aggiornamento su scoperte e indagini archeologiche, A. L. Frothingham menziona una lettera
del Prof. Sayce, che racconta di aver trovato in una cava di arenaria a tre o quattro miglia da Assuan, oltre ad un
graito greco e ad alcuni segni gerogliici, due lettere fenicie (kaf e bet) impiegate presumibilmente come marchi
di cava; il fatto che lo studioso avesse in precedenza trovato altri marchi di cava sotto forma di lettere fenicie (zain,
nun e resh) all’estremità sud delle cave orientali di Silsilis, inclinava a fargli presumere che vi fosse stato un qualche
aiuto nei processi di estrazione da parte di Fenici: cfr. Frothingham 1889, 198.
5 Per la deinizione di «epigrai invisibili» applicata ai segni di cava o di assemblaggio destinati a scomparire una
volta terminata la costruzione, cfr. Guarducci 1974, 382.
6 Forse blocchi provenienti dalle cave di El Haouaria? Merlin 1912, 280. Per il materiale litico impiegato nelle
costruzioni puniche di Cartagine, si veda, da ultimo, Mezzolani 2008.
7 Merlin 1912, 280-283. Successivamente alcuni di questi blocchi sono stati misurati di nuovo da P. Cintas, che
ritrovò però solo due segni incisi, cioè una stella a otto raggi e una alef: Cintas 1976, 84-85. Da notare che se la menzione della stella a otto raggi trova corrispondenza nella descrizione di Merlin, non altrettanto si può dire della alef
incisa, che non igura tra quelle registrate in quella prima nota del 1912.
mARCHI DI CAVA E CONTRASSEGNI Di ASSEMBLAGGIO
croce di Sant’Andrea (1), la circonferenza (1)
e un discreto numero di quarti di cerchio dipinti agli angoli dei blocchi (all’incirca 15 attestazioni, non tutte chiaramente descritte
da Merlin); i segni incisi, invece, comprendono stelle a sei raggi (1), stelle a otto raggi (2)
e lettere puniche accoppiate.1 L’elemento
che sembra caratterizzare queste attestazioni è la compresenza sul medesimo blocco di
segni incisi e dipinti, talvolta disposti su diverse facce della pietra lavorata,2 che potrebbe far pensare ad una funzione diversa in base alla tecnica impiegata nella resa: se pare
più probabile per i segni incisi una ipotesi di
marchiatura in cava, più duratura e quindi sicura ai ini del conteggio dei blocchi e della
possibile identiicazione del cavatore o della
squadra, si potrebbe, per contro, immaginare per i segni dipinti una qualche relazione
con la messa in opera, in particolare per quei
numerosi quarti di cerchio dipinti agli angoli che potrebbero aver svolto la funzione di
repères nella posa.
SempreaCartagine,ulteriorievidenze provengono dall’area urbana di età punica posta
in luce sulla collina di Byrsa: nel settore A, J.
Ferron e M. Pinard registrarono la presenza
di blocchi squadrati reimpiegati in strutture
più recenti e probabilmente pertinenti a ediici monumentali più antichi, su cui iguravano contrassegni. Mentre per l’attestazione
di lettere dipinte sullo stucco bianco di ini-
11
tura del blocco non è possibile pensare a
marchi di cava, più realistico sarebbe attribuire tale funzione al simbolo della bipenne
presente su altri blocchi.3 Simbolo che, d’altronde, viene individuato anche su un blocco pertinente al muro nord-ovest dell’isolato
C,4 mentre nell’abitazione 5 dello stesso isolato un graito a forma di stella iscritta in un
cerchio è stato evidenziato sulla faccia interna di un altro concio.5
Inine, per completare il quadro, sempre
sulla collina di Byrsa, settore B, nel cumulo di
elementi architettonici riferibili ad uno o più
ediici monumentali crollati e scivolati da
una quota più alta dell’altura, alcuni hanno
restituito l’evidenza di marchi incisi e dipinti:
oltre alla croce iscritta nel cerchio, compare
nuovamente la bipenne, sulla parte interna di
una cornice a becco di civetta (Fig. 1), così
come si registrano lettere puniche.6
Per altri siti punici del Nord Africa, l’unica
menzione che si è recuperata si riferisce ad
Utica, dove, in un primo momento, è registrata genericamente l’attestazione di marchi di
cava, mentre successivamente si individua in
maniera più speciica la presenza della bipenne sulle lastre di copertura dei sarcofagi a
cassone e di caratteri greci e fenici su blocchi
riferibili ad ediici di natura non funeraria.7
A periodi più tardi, ma pur sempre intrisi
di cultura punica, rimandano i marchi di cava neopunici a Leptis Magna, in Tripolitania,
1 Merlin 1912, 281-282, registra la presenza di lettere puniche sempre in coppia: due lettere non ben deinite
(forse due qof in posizione ruotata di 90° in senso orario?), una coppia con resh e gimel, un’altra con mem e nun, inine, una costituita da un segno ‘L’ e nun. Cintas, come si è già detto nella nota precedente parla anche della presenza di una alef singola. La mancanza di fotograie o disegni ci costringe a desumere questi dati dalle sole descrizioni dell’autore e lascia, certo, margini di incertezza nella lettura.
2 Ad es. sul blocco n. 5 (Merlin 1912, 282), dove su uno dei lati lunghi compare una stella a otto raggi ad incisione, l’angolo superiore destro e quello adiacente vedono la presenza di quarti di cerchio dipinti e il lato lungo opposto evidenzia un simbolo di Tanit in pittura rossa. Su un’unica faccia del blocco n. 6, invece, compaiono tutti insieme in resa pittorica un simbolo di Tanit, una palma, una croce di Sant’Andrea e quarti di cerchio in due degli
angoli.
3 L’identiicazione della bipenne si desume dal rinvio in nota ad un lavoro di Dussaud, mentre nel testo si rimanda solo alle attestazioni similari trovate a Cnosso: cfr. Ferron, Pinard 1960-1961, 97.
4 Thuillier 1982, 79, nota 56.
5 Ivi, 74, nota 37.
6 Per i due simboli incisi, cfr. Morel 1982, 184: sul blocco con la bipenne, sono visibili altri segni, uno dei quali potrebbe essere una lettera (uno shin?). Per le lettere incise e dipinte, talvolta presenti insieme sullo stesso blocco, cfr. Morel 1991, 37-38. Per completezza di informazione si riporta anche una annotazione di Delattre, che, per
il settore della necropoli dei Rabs scrive di una assisa di blocchi in pietra da taglio, che presentano contrassegni dipinti (in particolare si menzionano un cerchio con un punto di colore al centro e una specie di ancora); dalla descrizione dell’autore, però, non risulta chiaro se l’apparato debba essere attribuito alla fase punica, o, probabilmente, alla successiva epoca romana. Cfr. Delattre 1906, 19-20.
7 Cintas 1951, 79; Cintas 1966, 238, nota 1 dubita che la bipenne sia un marchio di cava e propende per un signiicato escatologico del simbolo.
12
antonella mezzolani
Fig. 2. Leptis Magna, zona del molo ovest del
porto. Rocchio di colonna con sigla di due
lettere neopuniche e quattro tratti verticali
(da Amadasi Guzzo 1983, tav. clii, 2).
Fig. 1. Cartagine, collina di Byrsa.
Parte retrostante di cornice a becco di civetta
con segno della bipenne e altri non chiaramente
interpretabili (da Morel 1982, 189. ig. 236a).
presentati da R. De Simone con una accurata
analisi paleograica,1 che, attestati in maniera massiccia,2 rivelano nella loro diversiicazione un panorama assai articolato di maestranze e distribuito nel tempo; interessante
il rocchio di colonna con due lettere e quattro tratti verticali incisi (Fig. 2), che facilmente potrebbero essere interpretati come sigla
di assemblaggio con indicazione della posizione dell’elemento architettonico,3 mentre
da sottolineare sembra la presenza della bi-
penne, più volte attestata a Leptis,4 e comune anche in altri siti punici.
Un caso meno collegato alla cultura punica sembra, invece, quello della Tomba della
Cristiana, nei pressi di Tipasa (Algeria), dove
sono stati individati numerosi segni incisi
sulle facce non a vista di blocchi, cornici, rocchi di colonna, capitelli e gole. La maggior
parte di questi simboli sembra avere attinenza con la cultura libica, mentre solo in limitatissimi casi vi si riconoscono lettere dell’alfabeto latino e greco.5
La seconda area di attestazione di marchi
di cava è la Sicilia, dove tali contrassegni sono stati individuati a Palermo, Selinunte, Lilibeo e Erice. Nel caso di Palermo, marchi di
cava incisi sono stati evidenziati in vari punti delle mura difensive puniche, ma l’indicazione di segni alfabetici risale agli anni ’40 e
1 Tomasello, De Simone 2005.
2 Oltre all’articolo citato alla nota precedente, si ricordano Romanelli 1925, 78; Joppolo 1967, 89, 91, ig. 2 e 95,
ig. 5.
3 Amadasi Guzzo 1983, 792, 794-795.
4 Tomasello, De Simone 2005, 339.
5 Per una descrizione puntuale di queste attestazioni, corredata da disegni schematici, Christofle 1951, 82-97,
che interpreta i contrassegni come marchi utili ad identiicare ogni squadra di tagliatori di pietra, smentendo energicamente l’idea fantasiosa di una connessione con particolari riti che avrebbero avuto luogo nel monumento. Di
lettere latine parla invece Berbrugger nei primi resoconti sul monumento: Berbrugger 1856, 35-36; Berbrugger
1867, 19.
mARCHI DI CAVA E CONTRASSEGNI Di ASSEMBLAGGIO
sembra di diicile recupero,1 mentre anche
contrassegni di natura non alfabetica sono
stati documentati più di recente:2 di fatto, rimane il dubbio di attribuzione alla fase lavorativa in cava o ai processi di erezione del paramento difensivo.
A Selinunte, su un blocco erratico è attestata una lettera alef ad incisione, ma la condizione di rinvenimento non consente di
evincerne la collocazione originaria.3
A Lilibeo, la presenza di contrassegni di cava e lettere per l’assemblaggio è indicata ancora una volta in relazione con il circuito murario difensivo e, mentre come simbolo viene
presentata una stella a sei raggi (Fig. 3),4 per
le lettere l’indicazione più precisa riguarda
invece una lettera ‘E’, disposta orizzontalmente e rovesciata.5
Inine, a Erice, l’individuazione di caratteri fenici e simboli su conci della cinta muraria,
avvenuta nel 1883, ha contribuito in maniera
fondamentale all’attribuzione della costruzione di tale apparato di difesa alla fase punica:6 se nel panorama delle lettere primeggia
per numero di presenze la bet,7 seguita da
ain,8 mentre una sola sembra l’attestazione di
pe,9 e altri caratteri (tau e yod) vengono individuati in seguito da A. M. Bisi,10 per i simboli si può ricordare il crescente lunare11 (Fig.
4). Lo stesso Salinas, sin dalla prima pubblica-
13
Fig. 3. Lilibeo. Blocco appartenente al paramento
difensivo con stella a sei raggi ad incisione
(da Di Stefano 1993, tav. i).
zione, si interrogava sulla funzione di questi
contrassegni, escludendo la pertinenza ad
una iscrizione scomposta e la funzione di indicatori per l’assemblaggio e privilegiando le
ipotesi di una marchiatura ad opera dello scalpellino o di un sistema di controllo da parte
dell’autorità pubblica o, ancora, di attribuzione dei conci alle singole torri. Se l’ultima spiegazione non sembra trovare conforto nelle
occorrenze delle lettere, che non si concentrano unicamente in singoli settori della cinta
muraria, l’idea di una funzione legata alla lavorazione in cava12 o al controllo pubblico del
manufatto corrisponde a due iloni di inter-
01 Una prima notizia viene fornita da Acanfora 1947, 230-231, igg. 11-12, ma dubbi sull’antichità, sull’autenticità e sulla natura dei segni rilevati sono posti da De Simone 1998, 429.
02 Di Stefano 1998, 87, ig. 4 e 88.
03 Secondo la testimonianza del soprastante il blocco fu rinvenuto al di fuori del tempio ‘C’, sul lato settentrionale. Cfr. Patricolo, Salinas 1988, 602-603; Amadasi Guzzo 1967 (Sic. 8).
04 Di Stefano 1971, 72-73; Idem 1972-1973, 417-418; Idem 1993, 22.
05 Caruso 2006, 284. La lettera identiicata come ‘E’ su un blocco della postierla viene interpretata dall’autore
come segno utile all’assemblaggio dei blocchi perché individuata sulla faccia minore del concio e, quindi, invisibile una volta terminata l’opera. L’interpretazione è del tutto plausibile, ma non si può escludere che fosse un marchio di cava, anch’esso destinato a scomparire una volta inserito nel paramento.
06 Salinas 1882, 1-4; Idem 1883, 142-148.
07 Le attestazioni contate da A. Salinas sono 24, mentre D. Bonventre speciica che 23 sono riferibili alla torre
O e 1 sulla più recente torre L, ma altri esempi provengono da conci reimpiegati in costruzioni moderne: Salinas
1883, 146; Bonventre 1968, 20. Per i blocchi reimpiegati che presentano lettere incise: Salinas 1883, 146; Tummarello 1898, 15; Adragna 1984, 26.
08 A fronte delle 7 attestazioni indicate da A. Salinas, D. Bonventre ne ha contate 12 nei pressi della torre I: Salinas 1883, 146; Bonventre 1968, 20.
09 All’angolo di ponente della torre Q: Salinas 1883, 146; Bonventre 1968, 20.
10 La studiosa parla di attestazioni di tau e yod e speciica anche che le lettere, a suo avviso utili per la messa in
opera dell’apparato murario, si trovano anche in coppia, diversamente da quanto constatato da Salinas, che sembra riferirsi sempre a lettere singole: Bisi 1968, 277-278.
11 Le attestazioni sembrano essere 3 e sono state individuate nel tratto tra Porta del Carmine e Porta Trapani:
Salinas 1883, 145.
12 Ipotesi, questa, già sostenuta poco dopo la scoperta delle lettere da Richter 1885, 46-47.
14
antonella mezzolani
nei pressi della postierla che costeggia l’ingresso principale della cinta difensiva è stato
individuato un contrassegno interpretato
come mem punica, ma l’unicità dell’attestazione pone seri dubbi sull’interpretazione.3
Altro caso, poi, è quello del paramento in
opera pseudoisodoma rinvenuto nei pressi
del Palazzo Arcivescovile di Tarragona, dove
i blocchi presentano marchi di assemblaggio
incisi sulla faccia a vista: il residuo murario è
stato interpretato come parte delle strutture
difensive del castrum di epoca barcide, ma i
simboli sono talmente generici che non vi è
possibilità di ricondurli in maniera inequivocabile alla cultura punica.4
In conclusione
Fig. 4. Erice, tracciato delle cinta difensiva.
Schizzo con indicazione di alcune lettere e
simboli individuati sui conci delle mura
(da Richter 1885, Taf. iii).
pretazione dei marchi di cava nell’architettura antica.1 La graia delle lettere sarebbe da riportare, secondo gli specialisti, ad una fase
non arcaica e questo propone nuovi elementi per la deinizione della pertinenza cronologica del manufatto difensivo.2
Per concludere, poi, un accenno a due
esempi esterni rispetto a contesti propriamente punici: a Saint-Blaise, in un concio
A conclusione di questa rassegna di attestazioni, si vogliono evidenziare alcuni aspetti
della questione: innanzi tutto, la diicoltà di
attribuire ai contrassegni una funzione precisa non deve fare dimenticare che non è indiferente interpretarli come marchi di cava
o come indicatori per la messa in opera. Infatti distinti sono i momenti in cui tali segni
sarebbero stati applicati, uno pertinente alla
lavorazione in cava, con i suoi processi di
estrazione e di prima sbozzatura dei blocchi
in pietra da taglio, l’altro, invece, riferibile ad
una fase successiva, quella delle dinamiche di
costruzione del cantiere edile. Inoltre, diversi dovrebbero essere i responsabili dell’applicazione dei segni: per le cave si può pensare
a marchi che potessero contraddistinguere il
singolo tagliatore, o più verosimilmente la
squadra di tagliatori, o ancora la provenien-
1 Una curiosa interpretazione apotropaica dei contrassegni viene proposta da V. Adragna, sulla base di una epistola a lui inviata da uno scienziato israeliano, appassionato di antichità: Adragna 1984, 27.
2 Già A. M. Bisi aveva proposto una vicinanza dei segni alfabetici ericini all’alfabeto punico cartaginese e maltese di iv-ii secolo a.C., ma questo non le impedì di datare la cinta muraria a fase arcaica. Anche secondo M. G.
Amadasi Guzzo le lettere non presentano forme arcaiche, per cui l’appartenenza al vi secolo a.C. sembra da escludersi: Bisi 1968, 278, nota 2; Zirone 2003, 1383, nota 42. Per le questioni sollevate dalla cronologia delle mura ericine, si veda Zirone 2003.
3 Per l’attestazione, Rolland 1951, 127-128; Idem 1958, 95. Un altro simbolo era stato letto in maniera molto interrogativa come ain, ma l’ipotesi sembra da escludere completamente. Dubbi sulla lettura della mem sono chiaramente espressi da H. Tréziny, che in ogni caso conclude che, anche accogliendo tale ipotesi, l’eventuale presenza di Punici nel cantiere di Saint-Blaise (ii secolo a. C.) parrebbe del tutto marginale: Tréziny 1992, 344.
4 Bendala, Blánquez 2004, 155-157. Si veda anche Prados Martínez, Blánquez Péréz 2007, 67, dove in riferimento all’apparato del Palazzo Arcivescovile di Tarragona, si ricordano i marchi di cantiere come tipici dei lavori edili punici e punico-ellenistici, ricordando altri esempi in cinte murarie a Cartagine, Cagliari, Erice, Palermo
e Carmona. Personalmente non ho trovato indicazioni per Cagliari, mentre per Carmona probabilmente occorre
attendere la pubblicazione conclusiva.
mARCHI DI CAVA E CONTRASSEGNI Di ASSEMBLAGGIO
za del materiale da una precisa cava o ilone,
ma non si esclude che i contrassegni potessero servire ai ini del conteggio, del controllo di qualità e, conseguentemente, del
pagamento. Se invece si ipotizza un funzione legata all’assemblaggio, l’indicazione dei
contrassegni inalizzati alla messa in opera
doveva essere esercitata almeno da un capomastro, se non direttamente da un architetto, che potevano avere ben chiaro il progetto
dell’ediicio.
Si è detto nelle righe precedenti che i segni
incisi sembrano rispondere in maniera più
verosimile alla funzione di marchi di cava,
perchè l’incisione stessa rientra più agevolmente nelle pratiche, nella strumentazione e
nelle caratteristiche di durata richieste a contrassegni che diventano elemento di veriica
e conteggio nelle transazioni, ma non si può
escludere che anche l’incisione, così come la
pittura, fosse utilizzata nella preparazione in
cantiere.
In fondo, il problema di base è che le conoscenze che si hanno dell’organizzazione
del lavoro nelle cave e nei cantieri punici sono veramente minime; gli studi epigraici si
sono appuntati più volte sulle deinizioni relative ai mestieri, ma si può constatare facilmente come i dati relativi all’edilizia siano
oggettivamente scarni: se nelle epigrai sono
nominati imprenditori, architetti, capomastri, soprastanti e operai specializzati1 e nelle stele igurano le rappresentazioni di strumenti connessi al lavoro edile,2 per le cave si
può ricavare la sola menzione di un «ispettore delle cave»3 e il ricordo di una operazione
di cavatura in un epitaio funerario,4 senza
avere alcuna idea della loro qualità giuridica,
della condizione sociale di chi in esse era im-
15
pegnato a vari livelli, delle connessioni con le
fasi del cantiere di costruzione.
Ecco dunque un settore ancora poco conosciuto della cultura punica, dove i manufatti potrebbero diventare rilesso di una organizzazione articolata della produzione, di
un sapere tecnico trasmesso per generazioni, di una realtà economica, giuridica e sociale, ma serbano ancora il silenzio.
Nota bibliografica*
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Amadasi Guzzo M. G. 1983, Osservazioni su alcune iscrizioni di Lepcis, in Atti del i Congresso Internazionale di Studi Fenici e Punici (Roma, 5-10
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Barton G. A. 1933, Archaeology and the Bible, 6th
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1 Per le attestazioni epigraiche, non essendo questa la sede per proporre nello speciico le interpretazioni dei
singoli nomi di mestiere attinenti all’edilizia, si rinvia a Ben Younès Krandel 1986, 6; Bonnet 1990, 114-116;
Ferjaoui 1991, 76; Sznycer 1995, 19-20. In genere sui testi epigraici relativi a costruzioni monumentali, dove vengono indicati i diversi ruoli degli incaricati del lavoro, Sznycer 1991.
2 Per squadre, archipendoli, mazzette raigurati nelle stele cartaginesi, cfr. Hours Miédan 1950, 65; Picard
1976, 109-110, 116; Picard 1978, 49, 51.
3 Cfr. Amadasi Guzzo 1967, 23-25 (Malta 6).
4 Nella tomba ipogeica n. 22 di Aspis (Capo Bon) si è individuato un epitaio dipinto, con, all’inizio, il sostantivo BR, che secondo l’autore designerebbe il taglio della camera funeraria, e sarebbe dunque da intendere come
testimonianza del cavatore che realizzò l’opera: cfr. Fantar 1988, 509.
* Per le riviste periodiche si sono impiegate le abbreviazioni dell’«Archäologische Bibliographie» dell’Istituto
Germanico Archeologico, mentre per quelle non comprese in detto elenco si è fornita l’indicazione per esteso.
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SOMMARIO
Antonella Mezzolani, Marchi di cava e contrassegni di assemblagio nell’architettura
punica: lo stato della questione
Jacquelyn Collins-Clinton, Donato Attanasio, Rosario Platania, Sculptural
Marbles from Cosa (Tuscany, Italy) and their Provenance by epr and Petrography
Dagmara Wielgosz, Marble Sculptures from the Archaeological Museum of Bosra
Dagmara Wielgosz, Patrick Degryse, Provenance of the Imperial Marble Group from
Philippopolis (Shahba, Syria): Archaeometric Evidence
Carmelo G. Malacrino, Pietre locali e marmi d’importazione a Grumentum (Potenza,
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Paola Novara, Marmi dagli scavi di Santa Croce in Ravenna. Indagini sull’arredo architettonico e liturgico
Lorenzo Lazzarini, I inti marmi di Giotto agli Scrovegni (Padova, Italia)
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recensioni
Filippo Demma, Monumenti pubblici di Puteoli. Per un’Archeologia dell’Architettura
(C. G. Malacrino)
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