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Among the frequent cases of retardatio nominis in Dante’s Commedia, particularly significant is that concerning the name of the protagonist of the journey, revealed only in Purg. XXX, v. 55. The essay, after delineating the overall system of retardatio in the poem, focuses on narrative strategies that feed the ‘wait’ of the name Dante, through a network of hidden isotopies, highlighting its importance for author’s narrative choices.
«DNA – Di Nulla Academia. Rivista di studi camporesiani», II, 1, 2021
Giacomo Casanova trascorre l’ultima parte della sua esistenza a Dux, in Boemia, bibliotecario del conte di Waldstein. Qui, inizia la stesura delle sue memorie che lo condurranno, a differenza delle opere precedenti, a entrare nel canone degli autori settecenteschi. Si tratta, tuttavia, di un riconoscimento decisamente tardivo, giunto soltanto con la pubblicazione dell’Histoire de ma vie all’interno di prestigiose collane quali «I Meridiani» e «La Bibliothèque de la Pléiade». Verranno ripercorse alcune delle tappe fondamentali che conducono a questo successo postumo e si tenterà di meglio inquadrare gli ultimi anni dell’esistenza del cavaliere di Seingalt.
L’individuazione di precisi modelli per i generi e per lo stile nelle letterature del mondo classico, e il recupero filologico della purezza originaria della lingua latina, consentirono alla letteratura umanistica di raggiungere, tra Tre e Quattrocento, una dimensione cosmopolita. Per il genere dell’epistolografia familiare, il modello di riferimento fu identificato nelle epistole ciceroniane. La loro riscoperta fu dovuta all’insistente attività di ricerca di codici antichi di Francesco Petrarca, che, nel 1345, rinvenne nella cattedrale di Verona i XVI libri delle Epistulae ad Atticum. Da quelle lettere, lo scrittore aretino ricavò il modello retorico-stilistico per la composizione delle sue Familiares. Una forma di comunicazione privata diveniva oggetto, così, dei processi di codificazione propri dei generi destinati ad una fruizione pubblica. Il confronto con le lettere ciceroniane significò innanzitutto un recupero del loro stile. Il sermo (lo stile quotidiano e colloquiale proprio anche della lettera privata), era stato a lungo materia di competenza esclusiva delle artes praedicandi, le quali avevano proposto come modello quello humilis delle Sacre Scritture. Con la scoperta delle lettere ciceroniane, lo stile colloquiale poté ritrovare nuova dignità letteraria in una dimensione finalmente laica. Durante il ’400, gli umanisti riproposero con forza il problema dei modelli per il sermo. Il lessico quotidiano degli antichi, infatti, apparve ai loro occhi inadatto a rappresentare la realtà del loro tempo. Alcuni, allora, suggerirono di rifarsi ai generi comici della letteratura volgare, ed in particolar modo alla novellistica e alla facezia. Questi generi di fatto costituirono modelli validi di sermo mediocre almeno fino al Cortegiano di Baldassar Castiglione. Negli anni a cavallo tra Quattro e Cinquecento la letteratura in volgare, confinata per decenni entro ambiti di fruizione ristretti alle singole realtà municipali, si avviava finalmente ad assumere un carattere metaregionale. I processi di definizione retorico-linguistica che avevano garantito alla tradizione umanistica lustro e diffusione ecumenica, si stavano trasferendo ai generi della scrittura in volgare. Il fenomeno risulta ampiamente indagato per molti dei generi della letteratura italiana (dalla lirica cortigiana, ad esempio, al romanzo cavalleresco). Manca, invece, uno studio complessivo per l’epistolografia in volgare. Eppure, è proprio in questi decenni che vanno rintracciate le radici di uno dei più rilevanti fenomeni culturali del secolo successivo: quello, cioè, dei Libri di lettere. Scopo della mia comunicazione è quello di illustrare le ricerche da me svolte sulle origini umanistiche dell’epistolografia letteraria italiana. In modo particolare, la mia attenzione sarà rivolta alla produzione epistolare di Felice Feliciano e di Niccolò Machiavelli.
L'intervento prende in esame la produzione critica di Carlo Muscetta sulla rivista «La Ruota» dal 1940 al 1941 e si occupa di evidenziare l'ambivalenza che percorre la sua attività critica sulla rivista, che è orientata alla contestazione delle politiche culturali fasciste, ma al contempo è influenzata dalla retorica ufficiale del regime.
Tabula, 2013
La tecnica teatrale del raddoppiamento gemellare basato sui Menaechmi plautini è stata riprodotta in scena dal letterato rinascimentale Pietro Aretino nella commedia Lo Ipocrito (1542). Nel lavoro si evidenzierà il modo in cui Aretino stravolge la trama latina, in rapporto alla sua poetica anticlassicista. L’esperienza perturbante dell’incontro di un personaggio con il proprio doppio e la successiva perdita dell’identità registrata nell’Ipocrito, saranno analizzate mediante l’approccio psicoanalitico e antropologico, che approfondiranno l’inconsueta rappresentazione dell’altro quale rivale e nemico. L’apatia denotata nel protagonista della commedia sarà sviluppata, invece, incentrando l’attenzione sull’ambientazione della pièce a Milano, una città in preda al dominio spagnolo, che testimonia l’esperienza traumatica delle invasioni straniere in Italia. In quest’ottica, l’eversiva modifica del doppio in Aretino sarà interpretata quale polemica letteraria nei confronti degli imitatori e nello stesso tempo come critica della destabilizzante realtà sociale.
Current Swedish Archaeology, 2017
Frontiers in Physiology, 2019
Literature & Literacy, 2024
Asian Journal of Environment & Ecology, 2020
Frontiers in Marine Science, 2019
Microelectronic Engineering, 2015
Naše more, 2024
Journal of Climate, 2018