Nothing Special   »   [go: up one dir, main page]

Academia.eduAcademia.edu

Questa fanciula a riceuto l'aqua - Infanti «esposti» a Savigliano nell'800

2013, Edizioni Cristoforo Beggiami, Savigliano

Dal 1824 al 1869 funziona a Savigliano, presso l’ingresso dell’ospedale Santissima Annunziata, la «ruota» destinata a ricevere i piccini indesiderati, abbandonati dai genitori all’atto della loro nascita. In tutto 1.345, in poco più di quattro decenni: da un minimo di una ventina ad oltre quaranta l’anno. La loro è storia di miseria, di povertà, di rassegnazione, di squallore. Ogni neonato rifiutato viene preso in carico dal nosocomio che provvede a registrarlo. Ogni scheda, un «esposto»: per lui un nome ed un cognome inventati, l’indicazione della data e del luogo dell’abbandono, la condizione di salute, il dettaglio del «corredo» che lo accompagna nella «ruota», il biglietto di accompagnamento utile ad un successivo eventuale riconoscimento, le notizie circa il battesimo. Il volume di Luigi Botta ripercorre la storia di questo fenomeno soffermandosi su alcuni aspetti singolari che caratterizzano le dichiarazioni, i «corredi», le denominazioni ed il clima sociale nel quale si muovono genitori, levatrici e balie nei loro rapporti con le pubbliche istituzioni chiamate per legge ad occuparsi di ogni caso.

LUIGI BOTTA Questa fanciula a riceuto l’aqua INFANTI «ESPOSTI» A SAVIGLIANO NELL’800 Associazione Cristoforo Beggiami Savigliano 30 anni TESTIMONIANZE Associazione Cristoforo Beggiami SAVIGLIANO Associazione Cristoforo Beggiami strada Apparizione, 15 (corso Roma, 35) 12038 Savigliano tel. 0172 21861 cristoforo.beggiami@gmail.com http://digilander.iol.it/beggiamisavigliano/ supplemento al mensile «Natura Nostra» direttore responsabile Luigi Botta autorizzazione n. 94 del tribunale di Saluzzo in data 7 aprile 1983 in copertina: camicino da infante (Museo del Lino, Pescarolo) stampa Litostampa Mario Astegiano Marene ottobre 2013 © tutti i diritti riservati QUESTA FANCIULA A RICEUTO L’AQUA Al lettore L o studio e la ricerca destinati alla compilazione del presente lavoro risalgono, insieme alla stesura, alla stagione invernale a cavallo del 1983-84. La versione che viene riportata è pressoché simile all'originale, modificata soltanto in alcune parti marginali. Il testo fa parte di un'impresa molto più complessa, avviata a quell'epoca con l'obiettivo ambizioso di riuscire, nell'arco di alcuni anni, a tracciare in modo sintetico ma esaustivo, indagando a tutto campo vicende ed argomenti particolari, la storia ottocentesca di Savigliano. Quella che il canonico Casimiro Turletti, nella sua mastodontica fatica editoriale, aveva un po' riletto con spirito sacerdotale tralasciando di raccontare con attenzione -forse per scelta, per casualità o forse per reale disinteresse- e sovente -perché necessario- con lo spirito laico che l'evoluzione del tempo e le trasformazioni epocali richiedevano. Così, indagando l'Archivio Storico Comunale1 e ragionando sulla città sviluppatasi dopo il racconto del manoscritto inedito -storiograficamente non molto attendibile ma importante per l'approccio socio-antropologico al contesto- di Giovanni Antonio Marino,2 vero spartiacque tra il secolo settecente- 1. Con l'amorevole ed appassionata dedizione di Enrico Cavallero, che non mancava di sostenere l'impegno e di consigliare, con le sue personali, sofferte e puntigliose indagini sul campo, argomenti dimenticati, sconosciuti o quasi. 2. «Corografia Della Città, e Territorio di Savigliano Del Medico Giovanni Antonio Marino Socio Libero dell'Agraria di Torino», ms. in due copie (prima e seconda stesura, non sempre sovrapponibili) in Archivio Storico Savigliano, 1788 - inizio 1800, affrontato in L. Botta in «Il Settecento a Savigliano attraverso la "Corografia" di Giovanni Antonio Marino», dattil. inedito, Archivio Storico Savigliano, 1985, fgg. 181, approfondito in L. Botta, «"Costumi e 5 LUIGI BOTTA sco e quello successivo, l'operazione di «conquista» dell'Ottocento si cominciava a concretizzare con una serie di ricerche e di saggi storici. Non vi era che l'imbarazzo della scelta. L'approccio con qualsiasi faldone dell'Archivio era foriero di notizie curiose ed inedite, tali da mostrare uno spaccato veramente significativo di una città che nell'Ottocento stava trasformandosi per acquisire quei connotati che la ponevano, da luogo dedito alla tradizione di una nobiltà ed un'agricoltura fortemente consolidate, a luogo aperto alle lucide ed illuminate esperienze che il lavoro, in tutte le sue sfaccettature, stava introducendo. Una città viva, una città anche conflittuale, però capace di rappresentare le istanze che l'epoca fortemente imponeva. Così, uno dopo l'altro, prendevano forma gli studi destinati a questa ipotesi di racconto storico «diverso».3 Sino ad arrivare al saggio sugli infanti «esposti», che era per allora l'ultimo scritto in ordine di tempo.4 genio" dei saviglianesi secondo un medico del Settecento», in Cuneo Provincia Granda, agosto 1985, pgg 57-61; L. Botta, «Il Settecento a Savigliano nelle pagine del Marino», in Natura Nostra, febbraio 1985, n. 43; L. Botta, «Giovanni Antonio Marino, medico e storico del '700», in Natura Nostra, gennaio 1989, n. 85; parzialmente trascritto in L. Botta (a cura), «Dell'Ospedale Civico», in Progetto Salute, dicembre 2004. 3. Numerosi gli studi affrontati e pubblicati isolatamente: L. Botta, «Trovati al museo di Savigliano testi inediti di Silvio Pellico», in Gazzetta del Popolo, 22 giugno 1983; L. Botta, «Un nuovo Silvio Pellico dopo "Le mie prigioni"», in Gazzetta del Popolo, 23 giugno 1983; L. Botta, «Malaticcio, gravemente segnato dalle sofferenze patite Silvio Pellico invia messaggi d'amore e di speranza alle donne di casa Santarosa», in Natura Nostra, agosto-settembre 1983; L. Botta, «In 1.658 spettacoli vent'anni di vita teatrale cittadina», dattil. inedito, fgg. 13; L. Botta, «Nelle osterie l'animo travagliato di una città laboriosa in via di crescita», dattil. inedito, fgg. 24; L. Botta, «E per insegna lo stemma dell'"Illustrissima città"», dattil. inedito, fgg. 3; L. Botta, «In un quadro statistico la vita a Savigliano nel 1826», in Natura Nostra, novembre 1983, n. 29, p. 3 sgg.; Idem, dicembre 1983, n. 30, p. 3. sgg.; L. Botta, «A Savigliano 40 anni di altruismo premiato», in Cuneo Provincia Granda, aprile 1987, pp. 5558; L. Botta, «Tra Savigliano e Saluzzo un traghetto per l'attraversamento del Varaita», in Natura Nostra, giugno 1983, n. 25, p. 1 sgg., anche in L. Botta (a cura), «Miscellanea di studi storici lagnaschesi, Edizioni Cristoforo Beggiami, 1987, pp. 53-57; L. Botta, «La "tettoia" di piazza Nuova per il mercato dei bozzoli e del bestiame», in Natura Nostra, ottobre 1983, n. 28, p. 1 sgg; L. Botta, «Come sorse in piazza Nuova la "tettoia" per il mercato dei bozzoli», in Natura Nostra, maggio-giugno 1987, n. 68, p. 4 sgg.; L. Botta, «La ferrovia Savigliano-Bra: un progetto mai realizzato», in Cuneo Provincia Granda, aprile 1984, pp. 36-40; L. Botta, «Costato oltre 11.000 lire il monumento a Santorre Santarosa in piazza Vecchia», in Natura Nostra, maggio 1983, n. 24, p. 1 sgg.; L. Botta, «L'architetto Eula e i 10 anni di preparazione del primo piano d'abbellimento della città di Savigliano», in Primalpe, maggio 1983, n. 8, pp. 459464; L. Botta, «L'illuminazione cittadina nell'Ottocento», in Natura Nostra, ottobre 1982, n. 11, p. 1 sgg.; L. Botta, «Illuminazione nell'Ottocento dall'olio d'oliva al petrolio», in Natura Nostra, aprile 1983, n. 23, p. 15 sgg.; L. Botta, «In sette petizioni la speranza saviglianese di diventare provincia», dattil. ine- 6 QUESTA FANCIULA A RICEUTO L’AQUA Traeva origine dall'esistente, cioè dal materiale che si conservava nell'Archivio Storico Comunale alla voce «Beneficenza Poveri, esposti, sussidi». Cioè sei registri con i verbali compilati dal sindaco, rilevanti, in ordine cronologico, l'abbandono dei bambini esposti. Ogni registro un periodo: il primo dal giugno 1828 fino al 1830; il secondo dall'ottobre 1832 al 1836; il terzo dal 1837 all'aprile 1842; il quarto dal maggio 1842 all'agosto 1847; il quinto dal 1854 al 1858; il sesto dal 1859 al 1865. Ogni scheda segnalava un'«esposizione» entrando nel merito dei particolari utili al riconoscimento degli infanti: si assegnava ad ogni piccino un nome ed un cognome, si indicava il luogo dell'abbandono, la data dell'abbandono, la presumibile data della nascita, la condizione di salute, elencando nel dettaglio il «corredo» del quale l'«esposto» era fornito e l'eventuale biglietto di accompagnamento, atto ad un eventuale futuro riconoscimento. I primi volumi manoscritti mostravano allegati gli originali dei biglietti rinvenuti, mentre per gli anni più avanzati i diversi messaggi venivano soltanto più riferiti, come riportati, nei verbali. Di infanti «esposti», prima d'allora, ben pochi si erano occupati.5 Pertanto l'argomento veniva affrontato con un taglio discorsivo e sentimentale, non sicuramente scientifico o statistico, interpretato pagina per pagina. Mancanza di informazioni, poi, impedivano di fatto di conoscere che l'Archivio dell'Ospedale Santissima Annunziata (solo in seguito associato alla Biblioteca civica saviglianese) conservava altro materiale ordinato in tre faldoni, e più precisamente i verbali del 1824, il registro dal 1831 al 24 agosto 1832, un registro degli «esposti» dal 1854 al 1869 e la documentazione di legge, insieme a testi e circolari, che aiutavano a circodito, fgg. 10; L. Botta, «Un "Concorso di animali grassi" per superare la crisi agricola», dattil. inedito, fgg. 5. 4. L. Botta, «Nei neonati abbandonati il dramma di tante famiglie povere». Dattiloscritto, 19 fgg., rimasto inedito al pari di molti altri lavori di ricerca che non hanno ancora raccolto la sfida della carta stampata. 5. In pratica, se si escludono bibliografie specialistiche con saggi inseriti in riviste dedicate a problemi medici, non esistevano testi divulgativi sull'argomento. Anche A. Olmo, nello specifico «L'Ospedale Maggiore della Santissima Vergine Annunziata in Savigliano», Savigliano, 1960, non ne dava cenno. Ma prima di lui anche G. Eandi, «Statistica della provincia di Saluzzo», Saluzzo, 1833-1835, aveva ignorato l'argomento. Solo in seguito, seppure in modo limitato, l'argomento entrerà a far parte degli interessi degli studiosi. Cfr. G. Di Bello, «Senza nome né famiglia», Pian di san Bartolo, Firenze, 1989; V. Hunecke, «I trovatelli di Milano. Bambini esposti e famiglie espositrici dal XVII al XIX secolo», Bologna, Il Mulino, 1989; J. Boswel, «L’abbandono dei bambini«, Rizzoli, Milano, 1991; G. Da Molin, «Infanzia abbandonata in Italia nel- 7 LUIGI BOTTA scrivere il fenomeno della «ruota» tra il dicembre 1823 ed il dicembre 1869. Solo in seguito l'interesse nei confronti dell'argomento avrebbe di fatto sollecitato un approfondimento destinato anche a sviluppare, più o meno ovunque, studi e disamine scolastiche, sfociate in articoli ed approfondimenti6 e in Tesi di Laurea, come nel caso del saviglianese Valter Martini.7 Che contribuiva a sviluppare ulteriormente il tema, indagando i materiali conservati nei due Archivi e comparandoli, quando necessario ed in assenza di dati, con le fonti battesimali di Santa Maria della Pieve, parrocchia presso la quale tutti i «venturini» saviglianesi venivano accompagnati per ricevere l'«acqua». Si veniva così a conoscere che, nel periodo di funzionamento della «ruota» a Savigliano (18241869) gli esposti complessivi erano stati 1.345. Il fenomeno dell'abbandono degli infanti, però, non era cosa solo settecentesca e qua e là, nella storia di Savigliano e soprattutto nelle verbalizzazioni battesimali, emergevano, da sempre e di tanto in tanto, gli elementi tipici del linguaggio degli «esposti». Non numerosissimi, ma comunque significativi. Senza pretesa scientifica, ma soltanto con la curiosità di verificare quanto emerso nel corso di ricerche compiute nel tempo e mai concluse, forse val la pena segnalare alcuni abbandoni di infanti rinvenuti nelle trascrizioni del fonte battesimale unico della chiesa di san Pietro nel sessantennio compreso tra il 1595 ed il 1655.8 Luigi Botta l'età moderna», Cacucci, Bari, 1993; P. Giordano (a cura), «La Rota degli Esposti», Editore Altrastampa, Napoli, 2004. A livello locale l'argomento sarebbe stato richiamato anche da L. Botta, «Savigliano senza tempo», Savigliano, 1993, pp. 126-131; L. Botta, «Una ciudad fuera del tiempo», Eduvim, Villa Maria, 2011, pp. 67-69. 6. Cfr. B. Borriero, «Gli "esposti" dell'Ospedale Maggiore della Santissima Annunziata», in Progetto Salute, ottobre 2005. 7. Valter Martini, «La Ruota degli esposti dello Spedale Maggiore degli Infermi di Savigliano - Tracce di una presenza», Tesi di Laurea, Università degli Studi di Torino, Facoltà di Scienze della Formazione, Anno Accademico 20072008. 8. Sono indicati per anno e citati secondo le trascrizioni originali: 1595, settembre 23: ritrovato sulla porta della Madonna della Pieve. 1596, agosto 4: «furono sepelitti quattro figliuoli natti in uno parto maschi et batezati in sul semeterio di Santo pietro››; agosto 25: d'età di quattro in cinque anni circa fu trovata a Marene sotto un ponte appresso la strada e è educata da Davico Maria moglie di Domenico; novembre 11: trovato nella cappella di san Bernardo di Rumaira. 1597, maggio 4: trovato presso la chiesa di sant'Agostino. 1599, febbraio 20: ritrovata nella porta di san Francesco. 8 QUESTA FANCIULA A RICEUTO L’AQUA 1600, marzo 12: trovato in Rumacra alla cappella di san Bemardo; agosto 6: trovato a san Ciriaco; ottobre 22: trovato nella Madonna della Pieve. 1601, giugno 28: ritrovata alla cappella della Madonna alla contrada di san Giovanni. 1602, febbraio 3: ritrovato alla cappella di san Sebastiano sul cimitero di sant'Agostino. 1604, gennaio 13: ritrovato nella cappella di là del ponte di Rumacra verso Saluzzo; gennaio 27: ritrovata sulla porta della chiesa della Madonna di Streppe; ottobre 7: trovata alla porta di san Giovanni. 1609, giugno 20: esposto sulla porta di sant'Andrea. 1610, aprile 20: esposto all'ospedale; novembre 1: esposta alla cappella di san Rocco nel quartiere di san Giovanni. 1612, novembre 28: esposta alla cappella di Tojrano, e nata circa tre mesi prima come sembra; dicembre 16: esposto dentro la cappella di san Sebastiano nella ruata di Marene dell'età apparente di mesi 2 circa. 1613, aprile 11: esposta sopra il muratello della crociata di san Pietro di Savigliano. 1614, maggio 11: esposto al macello del borgo di san Giovanni; giugno 6: nata dall'aspetto un mese avanti ed esposta sulla piazzetta avanti la chiesa dei reverendissimi padri Cappuccini. 1619, maggio 9: esposta sopra la cappella della porta foranea di Rumagra; giugno 30: esposto in Levaldiggi e portato al nostro ospedale. 1620, giugno 11: esposta sulla porta della chiesa dei reverendi padri Cappuccini; giugno 23: esposta nella cappella di san Sebastiano nel borgo di san Giovanni; novembre 29: trovata nella cappella di san Sebastiano presso la porta foriana di Rumagra. 1624, marzo 30: esposto sulla porta della cappella di san Sebastiano della ruata di Marene. 1625, gennaio 13: esposta nella cappella della Croce vicino al ponte di Mellea verso la Pieve in età di 15 giorni circa; gennaio 20: esposta nella cappella della Croce vicino al ponte di Mellea in età di 15 dì circa; febbraio 12: nata di fresco, esposta nella chiesa della Madonna della Pieve. 1626, luglio 26: esposta sulla porta della cappella presso Tojrani. 1627, gennaio 9: esposta nella cappella di san Sebastiano nel borgo di san Giovanni; giugno 23: esposto dentro la cappella di san Rocco alla porta foranea di san Giovanni. 1628, marzo 27: esposta sulla porta della chiesa della Pieve, dell'età di sei giorni circa. 1629, febbraio 8: d'età forse di giorni 8, esposta all'ospedale; maggio 11: nato, all'aspetto, pochi giorni prima ed esposto nella cappella della Madonna del ponte di Rumagra; luglio 11: trovata vicino alla cappella di santa Maria vicino alla Croce; luglio 24: trovata nella cappella della Madonna del ponte. 1631, novembre 15: ritrovata vicino a sant'Agostino. 1632, gennaio 10: esposto nella cappella di san Sebastiano nel borgo di san Giovanni; marzo 16: trovato nella cappella di san Michele presso il convento di san Francesco; maggio 23: esposta sopra l' altare di san Sebastiano in Marene; settembre 12: presso la Madonna santissima del pasco Riondeè; dicembre 1: trovato nella cappella di san Sebastiano fuori la porta di san Giovanni; dicembre 1: trovato sul cataletto del cimitero della Madonna santissima della Pieve. 1633, febbraio 21: trovata alle 3 di notte sulle scale di messer Giovanni Favà; aprile 10: esposta fuori la cappella di san Sebastiano dentro la porta foriana di san Giovanni; giugno 12: esposto nella parrocchia di san Giovanni. 1634, maggio 14: esposto presso il ponte di Magra; ottobre 24: esposto in un prato vicino alla strada di Cavallermaggiore presso la cascina della Mota. 1635, aprile 15: esposto nella cascina del sig. Savigliano Giacomo in regione di Suniglia; giugno 10: trovata sulla porta della Madonna della Pieve; settembre 23: esposto alla Madonna del ponte quartiere di san Giovanni. 9 LUIGI BOTTA 1637, maggio 1: ritrovato nella contrada di san Giovanni; agosto 7: ritrovato nella cappella di san Sebastiano vicino a sant'Agostino. 1638, aprile 5: ritrovata sullo scalone dell'ospedale; aprile 21: ritrovato alla chiesa della Madonna detta del borgo di san Giovanni; maggio 22: ritrovato alla porta dei reverendissimi padri Cappuccini; novembre 11: ritrovato alla porta della Madonna della Pieve. 1639, giugno 3: ritrovata alla cappella di san Giuliano sulla strada di Genola. 1640, aprile 10: ritrovato alla porta; aprile 19: ritrovato in san Domenico; novembre 15: trovato alla porta dei reverendissimi padri Cappuccini. 1641, maggio 26: trovata alla Madonna della Croce; agosto 9: trovata alla porta di san Domenico; dicembre 23: trovata sulla porta di san Giovanni. 1642, gennaio 17: trovata alla porta dei Cappuccini; febbraio 12: trovato alla Madonna della Croce detta l'Apparizione; giugno 25: trovato alla porta dei reverendissimi padri Cappuccini. 1643, marzo 14: trovata sulla porta dell'ospedale; maggio 25: trovato oggi nella ruata della Pieve; settembre 24: trovato sulla porta dell'ospedale; ottobre 25: trovato alla Madonna della Croce; novembre 1: trovato alla Madonna della Pieve. 1644, aprile 12: d'anni due circa, trovato nella cappella di Mellea detta dei santi Defendente ed Antonio; luglio 13: trovato alla Madonna santissima detta dell'Apparizione. 1645, marzo 11: trovato oggi alla Madonna del ponte; marzo 25: trovato sulle scale dell'ospedale; maggio 12: trovato alla cappella di san Sebastiano vicino a Mellea; giugno 19: trovata a san Giacomo del Gerbo; novembre 8: nata nell'ospedale; novembre 11: trovato al forno del Maresco; dicembre 30: nato nell'ospedale. 1646, febbraio 19: trovato sull'uscio della casa dell'ospedale; marzo 11: trovata oggi alli Cappuccini; marzo 31: trovata oggi sulla porta dei Cappuccini; agosto 24 - trovato oggi nella ruata di Macra. 1647, gennaio 31: trovato oggi alli Cappuccini; luglio 19: trovato al chiosso del Gay; ottobre 23: trovata alli Cappuccini; ottobre 28: trovato alli Cappuccini; novembre 23: trovata oggi nella cappella del Gerbo di Penser; dicembre 9: trovata oggi alli Cappuccini. 1648, luglio 7: trovata oggi alli Cappuccini; agosto 6: trovato alla Madonna dell'Apparizione; ottobre 15: trovata alla Madonna del ponte. 1649, marzo 4: trovata oggi alla porta della chiesa della crociata di san Giovanni; marzo 16: trovato alla chiesa della Madonna dell'Apparizione; maggio 2: trovata alla Madonna del ponte; ottobre 5: trovato oggi alla Madonna del ponte di Marene. 1650, settembre 11: trovata sulla porta dell'ospedale. 1651, marzo 19: trovata alla cappella della Madonna di Tojrani; aprile 15: trovata alla cappella di san Defendente vicino a Mellea; aprile 30: trovato alla cappella della Madonna del ponte distretto della parrocchia di san Gioanni Battista; luglio 20: trovata alla cappella della Madonna del ponte di Suniglia; agosto 5: trovato oggi dinanzi il monastero dei Cappuccini; settembre 5: trovata la scorsa notte all'ospedale di Savigliano. 1652, marzo 6: trovata innanzi la chiesa dei Cappuccini; aprile 7: trovata oggi alla Madonna della Croce; aprile 20: trovato alla cappella di san Rocco fuori della porta della Pieve vicino a sant'Agostino; maggio 3: trovata alla cappella di san Rocco fuori della porta della Pieve; settembre 15: trovato in aprile presso alla cappella di Tojrani; dicembre 8: trovata nella cappella di san Rocco fuori la porta foriana di san Gioanni. 1653, marzo 7: trovato oggi alla cappella di san Defendente al pasco della Madonna della Pieve vicino a Mellea; ottobre 22: trovato nella bocca del forno vicino alla cappella del castello del Maresco; novembre 15: trovato li 20 ottobre presso alla cappella di san Sebastiano ruata della Madonna della Pieve. 1655, gennaio 6: trovata al di 5 alla porta della chiesa dei padri Cappuccini; marzo 17: trovata alla chiesa dei padri Cappuccini. 10 QUESTA FANCIULA A RICEUTO L’AQUA «Catlina Zottelli» L 'unico desiderio dei genitori è che la piccina venga chiamata Caterina Zottelli. Il nome probabilmente evoca quello della madre o della nonna materna, mentre il cognome, se debitamente anagrammato -o riformato sulla base di una interpretazione che soltanto qualcuno conosce-, fornisce le sufficienti indicazioni per scoprire le reali identità dei genitori. In realtà il padre e la madre, dai quali si origina la storia, quella della piccola, che ha emesso il suo primo vagito soltanto poche ore prima, e del mondo che di lì a poco le ruoterà intorno, interessano poi soltanto fino a un certo punto. Papà e mamma ci sono perché ci devono essere; nulla più. Per la circostanza recuperano chissà dove un biglietto di carta già usato lo ritagliano alla bell'e meglio e lo riutilizzano, vergandolo sul lato bianco -si fa per dire!- con l'indicazione «Catlina Zottelli». Poi lo infilano tra i pochi cenci che avvolgono e ricoprono il corpicino della neonata. Questo il loro senso di responsabilità! Furtivamente, poco prima delle undici serali, una figura con il fagotto tra le braccia si avvicina all'ingresso principale dell'ospedale di Savigliano. In giro c'è nessuno. L'individuo si guarda intorno e depone con cura, nella «ruota» che comunica con l'interno, il piccolo fardello. Il chiarore di una lampada a petrolio proietta flebilmente nell'ingresso le ombre tremule e lunghe delle persone che sono lì per il servizio ed il controllo della notte. Il buio esterno è quasi assoluto. Nessun passante percorre la strada a quell'ora ormai avanzata e nelle case anche i meno dormiglioni hanno già appoggiato la testa su un cuscino, che per qualcuno è di lana e per altri di fo11 LUIGI BOTTA glie di meliga. Qua e là i cani fanno sentire i loro richiami, ululati, cadenzati e prolungati. Dall'uno all'altro, prima l'uno poi l'altro, in successione, da destra a sinistra e viceversa, sino alla noia. Nessuno li sta più a sentire. Anche le campane hanno smesso di suonare. L'ambiente, così com'è, permette di agire con tranquillità, senza alcun rischio di essere osservati. E semmai qualcuno dovesse ancora trovarsi in giro o è un ubriacone senza casa in cerca di un giaciglio, o un poco di buono che pensa ai fatti propri o un individuo che nulla vuol vedere per non essere visto. L'ignoto dà uno sguardo rapido verso la campagna che è poco oltre l'ospedale e gli ultimi edifici che accompagnano ad oriente e a mezzogiorno la periferia della città. Prima d'allontanarsi rapidamente, così com'è arrivato, impugna la maniglia posta sull'ingresso. Dà uno strattone forte. Una cordicella corre prima verticale e poi orizzontale, si instrada in un buco che oltrepassa il muro, rasenta le pareti e va a fermarsi al culmine di una campanella appesa in fondo al camerone. La fa ruotare su sé stessa e poi suonare. La suora di custodia alla portineria ha già compreso tutto. È una storia che di tanto in tanto si ripete. Con una leggera pressione della mano e poi del braccio spinge la «ruota» sul suo perno e, cigolando ed oscillando, quel che era stato depositato pochi istanti prima dal di fuori compare con lentezza nell'interno. La piccina non piange. Abbandonata da qualcuno, dal papà, da un familiare o dalla levatrice che l'ha aiutata a nascere, è appoggiata con tutto il suo fardello sul piano della «ruota». La suora si abbassa, si allunga e la solleva. Poi la porta a sé e la depone sul tavolo al centro della stanza. Lì comincia la sua storia. Da quel momento la neonata viene presa amorevolmente in cura dal personale dell'ospedale. Per lei, venuta al mondo da poche ore e quasi subito ripudiata dai genitori, inizia una seconda vita. Per osservarla meglio il lume a petrolio viene spostato e collocato nelle vicinanze. La creatura ha un bel viso paffutello e un colorito sano: è avvolta «con fascia di cordolino di stoppe in buon stato con due pezze di tela rista delle quali una affatto lacera, coperto il capo con un cuffiotto di basin frisato guernito di mignonetta con nastro rosso, ed un lacero fissù di mossolina sulla faccia».1 Nulla di che. Cose abbastanza miserabili. 1. Registrazione del segretario cittadino Appiotti controfirmata dal sindaco Giacinto Falletti di Rodello in data 28 giugno 1828, Archivio Civico Savigliano, cat. Stato Civile (tutti i successivi documenti citati trovano collocazione nel medesimo luogo), «fanciulli esposti, 1828 al 1830», n. 20 fg. 2 r. La 12 QUESTA FANCIULA A RICEUTO L’AQUA Trascorre la notte. La balia di turno, al piano sopra, la avvicina più d'una volta al proprio seno. La piccina si stringe alle poppe e tira. Non si fa troppi problemi. Non sa se quella è la sua mamma o meno. La mattina seguente, il 28 giugno 1828, la neonata «esposta» viene presa in carico dai medici del nosocomio che la sottopongono ad una prima visita. Devono stabilire, per legge, qual è il sesso dell'infante e quali sono le sue condizioni di salute. Quindi, confortati dalle annotazioni già trascritte in precedenza dall'economo interno, sono chiamati a stilare una dichiarazione che determina gli elementi di identità personale, nome e cognome e così via.2 Infine provvedono a far accompagnare la neonata -visto che non ha problemi di salute- alla chiesa parrocchiale di santa Maria della Pieve, che è poco distante, appresso al borgo, e si raggiunge percorrendo alcune strade fitte di orti e di alberi da frutta. Ci pensano gli inservienti ospedalieri. Qui è presente il vice curato don Pietro Alladio, che si guarda intorno e nomina padrini, seduta stante, le prime persone che incontra, purché maschio e femmina; e cioè Giovanni Angelo Sordevolo e Lucia Abba, moglie di Giacomo Gazera. In loro presenza somministra alla piccola il sacramento del battesimo. In contemporanea, in municipio, il segretario comunale Appiotti compila lo speciale atto di nascita ed il sindaco Giacinto Falletti di Rodello, che è di fatto il tutore della neonata, inoltra con urgenza tutta la pratica al «Regio Ospizio Generale» di Saluzzo, che è chiamato per legge ad occuparsi dell'infanzia abbandonata. Nonostante i mezzi di trasporto non siano proprio rapidissimi -la linea ferrata è ancora di là a venire- e i tempi tecnici debbano sottostare alle prassi che i regolamenti impongono -e non sono poche-, il responsabile dell'ospizio contatta con ragionevole celerità, personalmente o usufruendo di suoi collaboratori, una balia del «fascia di cordolino» indica un particolare tessuto, a fascia, ordito in diagonale, talvolta ricavato dall'assemblaggio di due diversi materiali. Qui è segnalato di stoppa, cioè realizzato con il residuo della pettinatura della canapa sottoposta a cardatura e quindi filata per la fabbricazione di tessuti abbastanza grossolani. La «tela rista» è una tela raffinata ottenuta dalla lavorazione della canapa. Il «basin» è un tessuto simile al fustagno e, se indicato come frisato, significa che è increspato, lavorato a righe. Con il termine «mignonetta» si indica presumibilmente l'appendice decorativa che ha forma allungata, a sacchetto aperto o chiuso, e che si trova al culmine della cuffia. Il «fissù» di mossolina altro non è che un fazzoletto da collo particolarmente leggero, tessuto in lana, cotone o seta. 2. Hanno facoltà di determinare nome e cognome a loro piacimento, oppure, come in questo caso, seguire le indicazioni fornite dai genitori sul biglietto lasciato nella «ruota» insieme all'infante «esposto». 13 LUIGI BOTTA luogo, e la neonata Caterina Zottelli, già il giorno stesso, si trova nelle mani della sua nuova nutrice.3 Succede così nella maggior parte dei casi. Il figlio adulterino, od indesiderato, è abbandonato in un luogo ove qualcuno può prendersi cura di lui. Il più delle volte all'ospedale, dove il personale medico è disponibile per qualsiasi immediato intervento, ma sovente viene lasciato sulla porta di un edificio religioso, ai piedi dell'altare principale della chiesa pochi istanti prima l'inizio delle funzioni religiose, all'esterno del municipio, all'incrocio tra le arterie cittadine più importanti, lungo le stradine di campagna o, per disfarsene definitivamente senza lasciare traccia alcuna, addirittura buttato nelle acque gelide di una bealera ove è certo che la morte, nell'arco di soli pochi minuti, possa impossessarsi di lui. Anche in questi ultimi casi, quelli che le testimonianze scritte documentano -e non si sa se rispetto al totale siano tanti o pochi- esiste talvolta una mano ignota e benevola che raccoglie i piccini sventurati, li tira sù dall'acqua, li asciuga, li porta in un luogo caldo, presta loro le prime cure, chiama la levatrice, li trasporta in ospedale, in parrocchia o presso l'abitazione di un medico. Li salva e li restituisce al mondo. Figli di «n.n.» garantiti all'esistenza grazie ad un destino singolare o ad una mano caritatevole. Ignota. È, indubbiamente, un dramma. Un dramma che in città, nell'arco dell'anno, si ripete alcune decine di volte.4 In molti casi i neonati vengono abbandonati senza alcuna indicazione scritta: il chiaro intento è quello di disfarsene e, in seguito, di non avere più notizia della loro esistenza. In altri, invece, i genitori cercano di mantenere il giusto legame con il figlio indesiderato ed offrono all'autorità competente il suggerimento di un nome e di un cognome da assegnare all'atto del battesimo, nome e cognome che in futuro possa poi es3. Solitamente le balie vengono scelte fuori città, affinché la loro identità rimanga nascosta ai più. Nel caso specifico di Caterina Zottelli, invece, il responsabile dell'ospizio ricerca la nutrice in città. Si suppone che i motivi siano più d'uno. In primo luogo affinché i genitori, se lo desiderano, siano in grado di poter seguire, anche anonimamente, il crescere del piccino; in secondo perché gli stessi, se possidenti, possano fornire sostanziosi aiuti -anche finanziarialla nutrice, nella maggior parte dei casi donna di popolo, con problemi di lavoro e sopravvivenza; in terzo luogo affinché i genitori, ritenendolo col tempo opportuno, possano successivamente riconoscere il loro figliolo precedentemente indesiderato ed abbandonato. 4. Negli anni presi in considerazione, dal 1828 al 1865, il numero annuale dei bimbi abbandonati non è mai inferiore ai venti e non supera i quaranta. A titolo statistico rappresenta un numero di infanti che varia mediamente tra l'otto ed il sedici per cento dei nati annualmente in città. 14 QUESTA FANCIULA A RICEUTO L’AQUA sere facilmente dimostrato come esclusivo e riconosciuto come proprio. Sovente queste indicazioni sono riportate su foglietti di recupero sul cui retro compaiono, in modo tutt'altro che casuale, le informazioni utili ad individuare le generalità anagrafiche del genitore. È un modo singolare per farsi riconoscere, per far sapere a qualcuno, forse alla competente autorità, che quel figlio, ora nelle mani della balia o dell'ospizio, non era poi del tutto indesiderato. Sono state cause di forza maggiore, certamente non ultime quelle finanziarie, che hanno costretto padre e madre a disfarsene malvolentieri. Altri genitori, poi, preferiscono portare i neonati direttamente alla parrocchia, consegnarli nelle mani di un sacerdote affinché il medesimo, vincolato dal segreto, si preoccupi del battesimo -che è un cruccio fisso che accompagna per tutti il pensiero di ogni abbandono- e poi provveda alla consegna all'autorità preposta. La maggior parte dei genitori agisce nelle ore immediatamente successive al parto. Ma c'è anche chi attende mesi prima di «disfarsi» del piccino messo al mondo. Spera probabilmente di poterlo mantenere. Quando poi verifica nel concreto l'impossibilità a farvi fronte, compie il grande passo in mezzo a mille sofferenze. Altri, invece -non si sa se in buona fede o meno- promettono a sé stessi e al mondo che la loro esistenza è legata a filo diretto al bambino abbandonato, e pertanto, nei biglietti che associano all'infante si impegnano a riconoscere successivamente i loro figlioli ed invitano l'autorità a darli in balia a persone note, alle quali non mancheranno le giuste ricompense. Altri genitori si «disfano» di neonati non normali, mentre numerosi, prima di abbandonarli in ospedale, si preoccupano di dare ai piccini l'acqua battesimale accompagnandoli con un piccolo corredo di biancheria. C'è anche chi sceglie l'«esposizione» in luogo del camposanto. Complice in ognuna di queste operazioni -che, come già osservato, si concretizzano al più nelle prime ore di vita dei neonati- è l'ostetrica, che non solo è chiamata a seguire il parto, ma sovente è coinvolta lei stessa nello scrivere i biglietti in luogo dei genitori analfabeti e poi trasferire l'oggetto dell'abbandono nella «ruota». Impossibile delineare l'estrazione sociale delle famiglie che rinunciano a far crescere i loro figli. Dietro ad ogni «esposizione» sembra dominare l'ignoranza, ma in realtà numerosi casi, dichiarati a chiare lettere da chi ne è responsabile, sono procurati da gente facoltosa -ed i figli non possono essere al15 LUIGI BOTTA tro che conseguenza di un rapporto adulterino- che risolve in tal modo una situazione compromessa. Nella maggior parte delle situazioni, però, l'abbandono è conseguenza di contesti miserabili e di socialità compassionevoli e a volte depravate. Anche il luogo di provenienza delle famiglie è incerto: sovente i genitori indicano la loro città di residenza -Comuni del circondario saviglianese- ma il più delle volte, per scongiurare un quasi certo riconoscimento (soprattutto se il loro paese è di piccole dimensioni), evitano di affrontare l'argomento. Si intende comunque che in molti casi i bimbi vengono abbandonati non nelle città ove i genitori vivono, ma negli ospedali delle località vicine. Anche in questo drammatico contesto c'è gente che si sposta e che va e viene: l'importante è salvare la faccia di fronte alla comunità. Ad ogni neonato viene assegnato un nome ed un cognome. Ci pensa l'incaricato dell'ospedale, il «travet» di turno, che può essere l'economo o l'impiegato addetto. Quando è in vena, rispetta le volontà dei genitori. Quasi sempre in riferimento ai nomi. Per il cognome la storia è un po' diversa. Lo stabilisce in vario modo. Se ne ha l'opportunità osserva le caratteristiche del neonato: annota se è piccolo, irrequieto, sorridente, cicciottello; il colore dei capelli, degli occhi, della carnagione; i pochi cenci che indossa. Poi si guarda intorno e documenta le condizioni atmosferiche, il periodo dell'anno, la particolare festività. Non ha difficoltà a spingersi in denominazioni che riguardano la natura (fiori, piante, uccelli, insetti, frutti, ecc.), oggetti di uso comune, scoperte scientifiche importanti e talvolta anche nomi di città.5 Sovente i cognomi si ripetono e molte volte, nel caso di gemelli, viene assegnato all'uno e all'altro un cognome differente, affinché in futuro non abbiamo l'opportunità di riconoscersi e riabbracciarsi. Il nome, di norma, è uno solo. Se diverso da quello «richiesto» dai genitori, trova sovente l'opportunità nel calendario, alle particolarità dell'anno -stagionali e non solo- o al santo che viene festeggiato nel giorno del rinvenimento. Gioanna Maria è un'infante trovata sulla porta dell'ospedale. 5. Nello Stato civile odierno la maggior parte dei cognomi che appaiono negli elenchi degli «esposti», per non dire la totalità, è pressoché scomparso. Ciò probabilmente perché un discreto numero di trovatelli, superata la giovane età, viene adottato ed assume il cognome dei nuovi genitori, perché un altro po' si ricongiunge alla famiglia d'origine e recupera il cognome originale, perché un buon numero ancora, superato lo svezzamento dell'ospizio, abbraccia poi la vita religiosa senza dar vita a nuove famiglie chiamate a tramandare il cognome assegnato in ospedale. 16 QUESTA FANCIULA A RICEUTO L’AQUA È fasciata «con una pezza di rista in buon stato, e fascia cordolinata usata, coperto in capo con un cuffiotto di mossolina brodato guernito di Thull con nastri bleu, involto in una spezie di trapuntino di madras fondo giallo con diversi colori, con un fissù di perkal bianco sulla faccia». Nella fascia viene rinvenuto un biglietto piegato in più parti. Ospita la seguente scritta: «questa fanciula a riceuto l'aqua e Si prega il Sig.r Pretore o Vice R.re a voler far grazia di meterli nome Gioanna Maria».6 Accontentati! Di cognome la piccina viene registrata come Alfaggio. I genitori di un'altra «esposta», invece, fanno sapere che «è stata solennemente battezzata col nome di Eufrasia, Pollissena» e abbandonano l'infante, ricoperta di fasce, abitini ed un fazzoletto di tela di lino con cifra P. B. ad un angolo, «in un canestro di gorra rotto, sopra alquanto fieno»,7 dinnanzi alla chiesa abbaziale di sant'Andrea. Il loro desiderio, che cioè la piccola venga chiamata Eufrasia Pollissena, è rispettato, tanto nel nome quanto nel cognome. Viene invece registrato con il cognome di Bondi un altro neonato «che ieri sera circa le ore dieci venne esposto nella così detta ruota dello Spedal Maggiore di questa Città». L'infante -stando alla verbalizzazione registrata- «venne tosto ritirato nel medesimo [ospedale], e che questa mattina dopo di essere stato visitato, e riconosciuto di sesso maschio, di parto affatto recente senza che siasele trovata alcuna marca, o segnale a riserva di un viglietto così dicente "Wenceslao Emanuele", fu fatto portare alla solita Chiesa Parochiale di Santa Maria della Pieve dove venne Battezato dal Sig. D: Pietro Alladio Vicecurato della medesima, col nome, e Cognome di Bondi Venceslao Emanuele li cui pp: furono Lorenzo Audetto, e Maria chiaudo nata Cravario».8 6. Dichiarazione in data 31 luglio 1828, «fanciulli esposti, 1828 al 1830», n. 21, fg. 3 r. Per quanto riguarda la descrizione degli abiti, delle stoffe e dei materiali in genere che appartengono ai «corredini» che accompagnano gli «esposti», si deve far riferimento alla nota n. 1 nella quale esiste una prima corposa descrizione. In seguito si provvede solo più ad aggiornare l'elenco con l'aggiunta di quei manufatti non ancora presi in considerazione. Il «cuffiotto di mossolina brodato guernito di Thull» altro non è che un cappellino realizzato con un tessuto leggero, ricamato, in lana, cotone o seta, ricoperto da uno strato di tulle. Il «trapuntino di madras» è una copertina imbottita di lana o piumino realizzata con stoffa di Madras, particolare tessuto di origine indiana caratterizzato dalla presenza di quadrettature non ortodosse di colori diversi. Il «fissù di perkal» è un fazzolettino realizzato con un tessuto molto fine e compatto, solitamente di cotone pettinato. 7. Idem, 4 agosto 1828, n. 22, fg. 4 r. Il «canestro di gorra» è un cestino realizzato con i rametti flessibili del salice, comunemente chiamati in piemontese «gurin». 8. Idem, 30 ottobre 1828, n. 33, fg. 15 r. 17 LUIGI BOTTA «Testo che la figlia ha avuto l'acqua»9 scrive con fragile scrittura il padre di una bambina abbandonata in miserrime condizioni sulla porta dell'ospedale. Gli incaricati la chiameranno Delfina Arbusto. Per Coriando la scelta del cognome è un po' inusuale. Non è legata al tradizionale ritaglio di carta colorata che si utilizza a carnevale (in primo luogo perché la Pasqua cade il 19 aprile ed il rinvenimento del bambino risale al 5 marzo; poi perché il tradizionale coriandolo, così come comunemente inteso, comincia ad usarsi soltanto nel 1875) ma potrebbe riferirsi alla pianta officinale che proprio in tale periodo può essere seminata, oppure al bene augurante confetto destinato ai matrimoni, che esiste anche in una versione popolare nella quale la tradizionale mandorla rivestita di zucchero è sostituita dal più modesto seme di coriandolo. L'infante cui viene assegnato tale cognome è abbandonato in apparente età di un mese. I genitori, tra la fascia di cordolino, le tre pezze di tela rista e due camicini, infilano il biglietto con la scritta «questo fanculino e battessato il suo nome e giovani valentino nato a marene».10 Lo ribattezza, confermando il cognome di Coriando, il rettore della chiesa della Pieve don Bartolomeo Cuniberti. Diventa Appolonia Mastrillo la neonata abbandonata intorno alle ore quattro notturne su una delle finestre della cappella campestre della Beata Vergine della Neve, situata oltre il Maira sulla via che conduce a Monasterolo di Savigliano. La piccina è avvolta «con fascia di tela di cordolino, e due pezze di tela brustiume e stoppe, con due camigini di tela rista, coperto in capo con un cuffiotto di moela cremesi guernito di così detta miseria fodrato di tela bianca, con entro le fascie un agnus Dei rap.te un cuore infiammato, riposto in un cavagno di gorra rotto sopra un cussino parte di doppi bleu, e nere, con un picol fassoletto a quadretti bianchi e bleu sulla faccia». Ha due o tre giorni di vita: «questa picola fanciola a riceuta l'acqua e non auto il batessimo».11 9. Idem, 8 novembre 1828, n. 35, fg. 17 r. Risulta avvolta «con una lacera fascia, e due lacere pezze di tela». Il capo è coperto «con un cuffiotto di perkal a diversi colori». 10. Idem, 5 marzo 1829, n. 6, fg. 27 r. Il piccino è «riposto sopra una specie di pagliericcio di tela stampata bianca e blu ripieno di paglia». 11. Idem, 15 maggio 1829, n. 8, fg. 29 r. Non si è trovata la definizione di «tela brustiume», ma è da ritenersi utile la derivazione dalla parola piemontese «brustia», che è un sostantivo che indica la striglia, il dispositivo per cardare la lana. Stando a ciò, potrebbe trattarsi di una tela ricavata dalla cardatura della lana. La «moella cremisi» è un tessuto leggero di lana con armatura simile alla 18 QUESTA FANCIULA A RICEUTO L’AQUA Anche «Maria Margarita» è «ancora da baticgare»: lasciata nella «ruota» dell'ospedale degli infermi due giorni dopo la nascita, le viene imposto il cognome di Dellascala e quindi consegnata «al Regio Ospizio Provinciale in Saluzzo, onde venga previsto a mente delle veglianti leggi, e relativi regolamenti».12 È «riconosciuto di natura mostruosa con due grandi occhi, naso mal confermato, senza fronte, con una lupia sul cranio» il neonato di sesso femminile chiamato Paolina Cicogna. I genitori se ne sono disfatti nella «ruota». Alla scoperta da parte del personale del nosocomio, prima ancora del trasporto in chiesa, viene «conferta l'acqua battezimale, dal Sig. D. Pietro Toselli Capellano del medesimo Spedale per oviare al minacciante pericolo di morte».13 Registrati come Maurizio Noce e Lazaro Corniolo i gemelli «fasciati si l'uno che l'altro con una fascia cordolinata nuova, ed una pezza di tela rista usata, coperti il capo con un cuffiotto di basin frisato guernito di Thull, ambo involti in un pezzo di fornimento di letto di lana tutto lacero, e rapezzato con fodra di sempiterna di diversi colori, ed annodati con otto rasi di liametto di rista nuovo».14 Il nome di entrambi richiama indubbiamente all'Ordine cavalleresco dei Santi Maurizio e Lazzaro, il più antico di casa Savoia, sorto dalla fusione dell'Ordine cavalleresco di san Maurizio e dall'Ordine per l'Assistenza ai lebbrosi di San Lazzaro (la fusione risale al 1573). I cognoseta, nello specifico colorato in rosso brillante e luminoso. La «miseria» è un tipo di pizzo di modeste dimensioni -molto semplice e lineare- che circonda la cuffia, ma non soltanto. Tradizionalmente l'«Agnus Dei» era rappresentato da una tavoletta o medaglia realizzata in cera che su un lato mostrava l'immagine votiva dell'agnello pasquale. In realtà col tempo l'aspetto si è modificato, anche di molto. Sino a diventare consuetudine, alla nascita di un bambino, per la premura della mamma, procurarsi immediatamente le devozioni da mettere addosso al nuovo cristiano venuto al mondo. Si preferisce, appunto, l'«Agnus Dei», che consiste in cuoricino di pezza, foderato di stoffa serica, ornato di cordonetto dorato rigonfio di minuscole reliquie: scaglie di cera, pezzetti di palma benedetta e raffigurazioni di santi. Il cuoricino possiede, alla sommità, un'asola ove infilare la spilla per fissare l'oggetto tra le fasce del neonato. 12. Idem, 9 giugno 1829, n. 12, fg. 33 r. È ricoperta con una «lacera fascia di tela e due pezze simili, coperto il capo con un cuffiotto di mossolina a jour fodrato di perkal rosso con nastri simili, involto in uno scossale di perkal a quadretto blu, e bianchi, ed invilupato in altro pezzo di scossale pur di perkal rigato a vari colori». 13. Idem, 17 novembre 1829, n. 22, fg. 43 r. In santa Maria della Pieve provvede ad un nuovo battesimo il vicecurato Pietro Alladio. Padrino e madrina sono Bartolomeo Tortone fu Giuseppe e Catterina Ellena moglie di Antonio Ferrero. 14. Idem, 22 gennaio 1830, n. 4 e 5, fg. 51 r.-v. Non esistendo indicazioni da parte dei genitori, nomi e cognomi vengono scelti in libertà ed i gemelli, di fatto, divisi per tutta la vita. 19 LUIGI BOTTA mi, invece, sono scelti tra le vaste rappresentanze botaniche del territorio. «Esposto» presso la cappella campestre di san Giacomo il piccolo Giacomo Lubano,15 presso la cappella della Beata Vergine della Neve il fanciullo Leonardo Campuccio,16 presso la porta del giardino della chiesa di santa Maria della Pieve la neonata Angela Pertica17 e presso la «ruota» dell'ospedale i gemelli Pietro Rovere e Paolo Albera.18 Per Giuseppina l'abbandono dei genitori è ritenuto soltanto momentaneo. È infatti loro intenzione riconoscerla come figlia in futuro. Pertanto, in un foglietto piegato in otto parti e vergato con mano incerta, esprimono questo esplicito desiderio all'autorità comunale: «si prega di fare atensione dove andara abajla qovesta banbinella e si pregano di conservare qovesto billieto apresso leconomo del ospedale e si prega di metterli nome giosepina e nata a ore cinqove di sera alli .7. luglio .1830. Fra qovalche tempo sara riconossiota daj suoj genitori non à ancor ricevoto ne aqova ne baptezimo».19 Alla piccina viene imposto il cognome di Graziano. Rosa Caolo viene abbandonato sulla porta della chiesa di san Giovanni20 mentre Teodora Gelzomino è lasciata, alcuni giorni dopo la sua nascita, dinnanzi alla chiesa già dei Padri Cappuccini.21 Per Soffia Cionchiglia i genitori giungono sin da Torino. La piccina, dall'età apparente di un mese, è ben vestita, riposta su un cuscino di lana ed ha «una piccola borsa nella fascia portante al di sopra le iniziali F.T.S.M. con entro a detta borsa una picola medaglia rapresentante da una parte l'arma del Pontefice, e dall'altra lo Spirito santo, con un picol nastro violaceo, ed un viglietto, sul dorso dicente: "Restono pregati di conservare questo biglietto unitamente al restante" e dentro così espresso "A chiunque si sia resta pregato di avere, ho far avere cura di questa povera e disgraziata Creatura, che un gior15. Idem, 16 febbraio 1830, n. 7, fg. 53 r. La scelta del nome assegnato è riferita al luogo del rinvenimento dell'infante. 16. Idem, 7 aprile 11830, n. 12, fg. 58 r. 17. Idem, 13 aprile 1830, n. 13, fg. 59 r. 18. Idem, 30 aprile 1830, n. 15 e 16, fg. 61 r. Anche in questo caso, come in quello dei due precedenti gemelli, il legame tra i nomi ed i cognomi è evidente. Per i primi il riferimento ai santi Pietro e Paolo, che si celebrano in contemporanea. Per il secondo, invece, torna il richiamo a due specie botaniche, il rovere (la quercia) e l'«albera» (il pioppo). 19. Idem, 9 luglio 1830, n. 24, fg. 69 r. Nata il 7 luglio, Giuseppina Graziano viene abbandonata nella «ruota» la sera del giorno dopo. 20. Idem, 3 settembre 1830, n. 29, fg. 74 r. 21. Idem, 15 settembre 1830, n. 31, fg. 76 r. 20 QUESTA FANCIULA A RICEUTO L’AQUA no ho l'altro sarà rittirata e li saranno resi mille ringraziamenti, ed eterna riconoscenza tanto per parte dei genitori, come pure della bambina quando sarà gionta all'età adolta, e sopratutto si raccomanda di conservarli la picola borsetta che è appesa al collo, e sperando ognor nel Cielo propizio osso dirmi meno infelice Adio = Torino li 10 7br 1830 = V.G.F.F.M.R. Ps. è già battezata con vari nomi, e chiamar si potrebbe Soffia"».22 La pratica, nonostante le premesse, non offre seguito alcuno. Pertanto non è dato sapere se i genitori abbiano poi mantenuto quanto promesso riconoscendo la figliola abbandonata. Un segnale non comune nella «pratica» degli «esposti» è dato dalla scomparsa del biglietto originale che ha seguito la sorte del neonato.23 Il fatto che non compaia più allegato in forma originale fa pensare che possa essere stato prelevato e probabilmente messo a confronto con un altro foglietto, medesimo, presentato successivamente. La famosa prova del riscontro fornita dai genitori all'atto del riconoscimento. Le gemelle Angela e Remigia Basville vengono «esposte» sulla porta dell'ospedale,24 Felicita Vallois, invece, «sul limitare della porta del filatojo detto del Cristo sito in questa Città e nel borgo di Rumacra»,25 Amelio Svegliarino «rinvenuto esposto nella Chiesa Parrochiale di San Pietro»26 e Brigida Mistoroi sulla porta della chiesa parrocchiale di Levaldigi.27 Il luogo dell'abbandono, nonostante l'apparenza, non riveste la casualità che gli si potrebbe attribuire. A parte l'«esposizione» presso l'ospedale -ove esiste la sicurezza di un ricovero immediato, con le eventuali cure che potrebbero rendersi necessarie in tempi rapidi- sovente i neonati vengono dimenticati in località che, seppure non forniscano a distanza di decenni indicazioni utili, rappresentano invece specifiche segnalazioni all'epoca dei fatti. Raccontano, per chi sa, per chi vede e per chi conosce, le cose che devono raccontare. Forniscono notizie, talvolta sollecitano indiscrezioni circa l'iden22. Idem, 14 settembre 1830, n. 30, fg. 75 r.-v. La richiesta del genitore viene accontentata. Non esiste segnalazione in merito al futuro della fanciulla. Non si sa, infatti, se in età adulta venga poi riconosciuta dai genitori oppure rimanga nell'anonimato di un cognome, Cionchiglia, che dà tutta l'impressione di essere stato pensato in un modo e trascritto poi malamente. 23. Il documento risulta solamente trascritto nell'atto comunale. 24. Dichiarazione in data 3 ottobre 1832, «fanciulli esposti, 1832 al 1836», n. 30 e 31, fg. 2 r. 25. Idem, 19 novembre 1832, n. 35, fg. 6 r. Approssimativamente nei pressi della casa d'angolo tra l'attuale via Muratori e piazza Cavour. 26. Idem, 3 febbraio 1833, n. 3, fg. 12 r. 27. Idem, 13 novembre 1833, n. 32, fg. 40 r. 21 LUIGI BOTTA tità dei genitori, quasi sempre depistano e tutte le volte fanno discutere la gente. Che non vede, non sente e non parla, ma sa sempre tutto. Nel caso di adulterio -è fatto evidente- e di fronte alla mancata volontà da parte del padre di riconoscere il proprio figlio, la madre non esita ad effettuare un abbandono che, con la complicità di terzi, viene fatto nel luogo ove la popolazione, o chi deve sapere, possa con assoluta certezza individuare l'appartenenza del piccino. Quello della miseria è un discorso a parte, che appartiene alle calamità del mondo ed alle tragedie collettive: per chi non riesce a sbarcare il lunario ogni luogo di abbandono, anche il più vicino a casa -l'importante è che esista la certezza che qualcuno possa intervenire con urgenza-, può essere facilmente utilizzato per abbandonare il neonato. È nata in città la piccola Delfina Fiorillo, «esposta» nottetempo nella «ruota» dell'ospedale: «Savigliano li 6 dicembre 1832 -scrive uno dei genitori sul biglietto che accompagna la neonata preoccupandosi di essere chiaro- gli prego di mettere il nome Delfino mi raccomando a una buona nutrice ed io li avrò ogni sorta di riguardi».28 Fortunata Roggiero, invece, prima di essere consegnata ai medici dell'ospedale, viene per alcuni giorni trattenuta in casa. Lo dichiara il genitore sul foglietto che piega in quattro parti ed infila nelle fasce della piccina: «Fortunata Roggerio -scrive- stata da tre giorni e per circostanze particolari trattenuta in cassa ha riceuta l'aqua».29 I medici confermano: la bambina ha proprio tre giorni! Il sindaco accetta la registrazione con il nome consigliato, anche se l'atto ne riporta una versione leggermente storpiata. Un altro genitore dichiara la propria futura intenzione di riprendersi la figliola che in quel momento sta abbandonando. Lo precisa nel messaggio che accompagna la neonata. Riesce a chiedere per la medesima, oltre al nome, anche il cognome: «Prego il Molto Illustre Signor Bonesio -scrive quasi confidenzialmente richiamandosi a qualcuno al quale sem28. Idem, 7 dicembre 1832, n. 36, fg. 7 r. 29. Idem, 15 dicembre 1832, n. 37, fg. 8 r. La piccola Fortunata è avvolta «con una fascia di cordolino nuovo, una pezza usata di tela rista, e brustiumi, coperto il capo con due cuffiotti, uno di taffetà nero guernito di Thull nero, l'altro di taffetà chinato a vari coloro guernito di garza Thull, involto in un pannolino di coettin verde nuovo, con un mezzo fissù di mossolina sulla faccia». Il «taffetà» è un tessuto tradizionalmente di seta, anche se molte volte viene indicato con il medesimo nome un tessuto di tela. Per «coettin» si intende probabilmente una determinata tipologia di cotone. 22 QUESTA FANCIULA A RICEUTO L’AQUA bra già aver riferito in precedenza a voce- di aver la compiacenza di far battezare questa povera venturina involta in un panno verde con scuffiotto colore, col nome Paola Maria Clotilde per cognome Mellate queste intersegne è per averne notizia in caso, come si aspetta, possa questa povera fanciulla coll'andata del tempo aver parte di fortuna caramente lo saluto con tutta di riverenza, Suo Umile Servo ed Amico, Nata oggi in Savigliano Li 25. Marzo 1833.».30 Il testo, così reverenziale -stupisce perché dovrebbe trattarsi di un foglio anonimo, ma tanto anonimo forse non è!-, mostra un'ambiguità di fondo: la fortuna cui l'autore fa riferimento è quella che la sua famiglia, nel tempo, potrà destinare alla fanciulla, o quella che la fanciulla, invece, potrà ottenere approdando ad una nuova famiglia, predisponendo in questo modo la famiglia d'origine a vantare futuri diritti? Il genitore di Agnese Lizetto si dichiara nel biglietto con una sigla. Con ciò appare intenzionato a farsi riconoscere in futuro per riprendersi la figlia: «Si prega vostra Signoria Ilustrisima di volersi compiacere di ricevere qesta fancula e di farla battesare che non a riceutto nula in quanto al dovere del Christianesimo inoltre si prega se fose posibile di metere sul verbale d - o».31 Viene invece battezzato come Pietro Cileggia il piccino che, lasciato dai genitori in ospedale, porta con sé il biglietto indicante altre precise generalità: «Nomi da imporsi al neonato cioè Pietro Fortunato Benvenuto».32 Il rifiuto degli addet30. Idem, 26 marzo 1833, n. 9, fg. 18 r. Il cognome Mellate indica senza dubbio una località saviglianese. Padrino e madrina di battesimo sono due persone (Antonio Tolosano fu Tommaso e Lucia Manna, sua moglie) ricorrenti, che probabilmente vengono coinvolte dal vice curato della Pieve perché residenti nei pressi della chiesa. La piccola Paola Maria Clotilde Mellate indossa «una fascia di cordolino usata, ed una pezza di tela brustiume, e rista pure usata, coperto il capo con un cuffiotto di perkal in coloro guernito di pizzetto nero involto in un pannolino di piché bianco ratoppato, ed un copertino di panno verde bordato di friggio nero, con di più due fascie di cordolino usate, tre pezzicole di tela brustiume e stoppe pur usate, sei camigini di tela rista guerniti di mossolina, e quattro cuffiotti tre di perkal in colore nuovi guerniti di così detta miseria, e l'altro di piché bianco guernito di pizzetto». Il «piché» (piqué talvolta italianizzato in picchè) è un tessuto di cotone con piccoli motivi in rilievo, rombi, quadrati, puntolini, generalmente bianco. 31. Idem, 19 aprile 1833, n. 13, fg. 22 r. La piccola Agnese indossa una «fascia di cordolino usata, e due lacere pezze di tela rista, coperto il capo con un cuffiotto di basino frizato guernito di mignonetta, involto in una lacera camicia da donna, con uno straccio di fassoletto di lino, che le involgeva il capo». 32. Idem, 9 maggio 1833, n. 17, fg. 26 r. Padrino e madrina di battesimo sono due nomi ricorrenti, e cioè Antonio Tolosano fu Tommaso e Domenica Pastore figlia di Sebastiano. Il piccino è «fasciato con una fascia di cordolino usata, e due pezze di tela rista, coperto il capo con due cuffiotti uno lacero di perkal 23 LUIGI BOTTA ti a chiamare Fortunato e Benvenuto un bimbo rigettato dei propri genitori è tale da fargli imporre, come cognome, storpiandolo, quello del frutto del ciliegio. Probabilmente anche in omaggio alla stagione della raccolta, che se non ancora iniziata è ormai prossima. Abbandonata morta una piccina nata prematuramente: «jeri sera alle ore ondeci e mezzo -così il verbale descrive il rinvenimento- venne esposto nella così detta ruota dello Spedal Maggiore degli infermi un infante che venne tosto ritirato in detto spedale, e riconosciuto morto essendosi pure riconosciuto di sesso femminino, di parto immaturo, senza che siaseli trovata alcuna marca, o segnale se non se un viglietto dicente "questa bambina à ricevuto l'aqua batisimale da persona esperta" ed essendosi pur trovata con una fascia di tela con cui era unita, un pezzo di tela sul capo, ed un altro sulla faccia».33 Per Nicomede Brandini «si è prescinduto di farlo portare alla Parochiale» perché, consegnato dai genitori al parroco di Levaldigi, viene dallo stesso battezzato e successivamente «esposto» nella ruota dell'ospedale con la seguente indicazione scritta: «Afferebatur, hic Infans natus die vigesima quarta septembris 1833. et baptizatus est a me eodem die infrascripto; et ei nomen impositum est Nicomedes Brandini. Benedictus Vacchetta præpositus Levaldisii».34 Abbandonata morta, con evidenti tracce di sangue sul corpo ed addirittura sulla «ruota» dell'ospedale sulla quale è stata depositata, un'altra neonata. Per i genitori, però, se si considera il messaggio dai medesimi trasmessi ai responsabili del nosocomio, è viva. Si legge, infatti: «natta li 2. genaio 1834. alle ore .11. di mattina la quale inocente bambina è racomandata alla loro soma bontà e attenssione dei loro ornatissimi Signori Direttori e benefatori la quale e la vera opera di carità lo richiede a beneffissio di questa creatura e si ricompessera il tutto a suo tempo li averto che non e ancora battebianco, e l'altro nuovo di basin frizato g.to di Thull, involto in lacera falda di camicia da donna di tela rista, con lacero fassoletto rosso sulla faccia». 33. Idem, 30 agosto 1833, n. 23, fg. 32 r. 34. Idem, 25 settembre 1833, n. 24, fg. 33 r. Per l'infante esposto di Levaldigi questo è il corredino che lo segue nella «ruota»: «fasciato con lacera fascia cordolinata, e due stracci di pezza di brustiumi e stoppe coperto il capo con un cuffiotto di mossolina rigata guernito di mignonetta e garza con nastro a diversi colori, ed altro cuffiotto di seta nero guarnito di Pizzetto, involto in una lacera giubba di scarlato, e riposto in un cavagno di gorra rotto sopra alquante stoppaccie». Per «scarlato» si intende solitamente un velluto di colore rosso. Le «stoppaccie» rappresentano l'ultimo residuo della coltivazione del grano o della meliga dopo il loro taglio, quelle che di solito vengono abbandonate al loro destino nel campo. 24 QUESTA FANCIULA A RICEUTO L’AQUA sata ha solamente avuta l'acqua benedeta».35 All'atto del recupero la piccina è già morta. Tommasina Primavera è abbandonata nella chiesa abaziale di sant'Andrea,36 Benedetta Giscala sulla porta dell'ex convento dei Cappuccini,37 Simone Gozzelino, «trovato affetto da gozzo voluminoso», nella «ruota» dell'ospedale,38 Carlo Foscarco viene «consegnato alla Balia Bernardina Gilli lo stesso giorno e quindi fu rimesso all ospizio di Saluzzo nel mese di luglio 1837»,39 i gemelli Semplicio Gregorio Cavattoto e Giulia Teodora Boggio trovati «sulla porta della Chiesa detta dei Capucini in un Canestro di Gorra rotto»,40 Isidoro Francesco Genola condotto all'ospedale «dal Sacrestano della Madonna della Neve in un Cavagno di gorra nuovo»,41 Giulia Bonaventura Scossia rinvenuta «sulla Bardello avanti l'altar maggiore di santa Maria della Pieve» e «tosto dal Paroco della medesima fatta portare da un certo Tortone Calzolajo nell'Ospedale Maggiore di questa Città»,42 Sebastiana Agnese Chiarella «morta li 5 marzo 1836 presso la Balia Dolcetto Maria abitante in questa Città»,43 Innocenza Agnese Vetruria lasciata presso la cappella della Madonna della Neve, «posta sulla porta della chiesa medesima sul mentre che il sacerdote celebrava la di lui Messa»,44 Celestina Calipso consegnata dai genitori al parroco della frazione Levaldigi45 e Fiorenzo Andrea Perseo portato all'ospedale «dal Portiere dell'Ospizio di Carità di questa Città».46 Appena constatate le condizioni di salute da parte dei medici dell'ospedale, tutti i bambini abbandonati vengono trasportati presso la chiesa di santa Maria della Pieve dove a turno i sacerdoti don Bartolomeo Cuniberti, don Felice Cuniberti e don Paolo Dovo, rispettando le indicazioni anagrafiche che giun35. Idem, 3 gennaio 1834, n. 1, fg. 42 r. Il corpo privo di vita è avvolto con «due fascie di cordolino in buon stato, e due pezzicole di tela mantillata coperto il capo con due cuffiotti di perkal bianco guarnito di Thull a garza, ed involto in un pezzo di cottino di merina griggia». La «tela mantillata» è quella destinata alle tovaglie. Il «cottino di merina» si riferisce ad una gonna, una sottana femminile realizzata, nello specifico, con lana merinos. 36. Idem, 5 marzo 1834, n. 7, fg. 48 r. 37. Idem, 7 maggio 1834, n. 16, fg. 57 r. 38. Idem, 28 ottobre 1834, n. 30, fg. 71 r. 39. Idem, 8 novembre 1834, n. 32, fg. 73 r. 40. Idem, 14 marzo 1835, n. 4, fg. 81 r. 41. Idem, 2 aprile 1835, n. 5, fg. 82 r. 42. Idem, 13 luglio 1835, n. 17, fg. 94 r. 43. Idem, 21 gennaio 1836, n. 1, fg. 114 r. 44. Idem, 17 aprile 1836, n. 12, fg. 129 r. 45. Idem, 14 luglio 1836, n. 19, fg. 132 r. 46. Idem, 22 novembre 1836, n. 27, fg. 141 r. 25 LUIGI BOTTA gono dal nosocomio, provvedono a comunicare loro il sacramento del battesimo ed a registrarli nell'apposito fascicolo esistente in parrocchia. Si avvalgono, in qualità di padrini e madrine, delle persone che frequentano comunemente la chiesa -molti nominativi si ripetono- o di residenti in zona, o di casuali cittadini che transitano nei pressi degli edifici parrocchiali. Scrive il genitore di una neonata abbandonata: «Si implora ha V. Sig.a di voler far grazia di meterli nome alla esposta gabriela anna Maria».47 Lo si accontenta. Di cognome la piccina diventa Silistria. È invece Gioconda, un'altra bambina, così chiamata su esplicita richiesta del padre. Il messaggio viene vergato sul retro di una ricevuta del gioco del lotto, ruota di Torino, con la giocata sul terno «8 90 60». Questo il testo: «Resta pregato il Sig.r economo a volerli Impore Il Nome di catarina Rosalia e gioconda Il cognome». La piccina è abbandonata con «un Bindello nero al collo con un Biglietto di Pasqua dell'anno 1835. della Parrocchia di S. Gioanni».48 Ben vestita una piccina: «fasciata con una fascia di cordolino a righe piccole, con due pezze di brustiume in buon stato, ed involta in due pezzi di maravigliasco di rasi tre caduno uniti assieme di colore Bleu con righe gialle e rosse, ed avente nella fassura un bindello di color Ponzò lungo rasi 9 1/2, con un fazzoletto di Perkal bianco un broderio a due lati, ed avente anche un inscrizione ai detti cantoni dicente da una parte Casalino Giusj e dall'altra Oglia Vincenzo, e coperto il Capo con due cuffiotti di basin frisato guerniti di garzarato in mediocre stato». Un biglietto l'accompagna: «In grazia si puonga il nome Carlota fortunata si prega di non levarli quel bindello che troveranno nella fusura».49 Di cognome viene chia47. Idem, 18 luglio 1835, n. 18, fg. 95 r. A dare il battesimo è il teologo Felice Cuniberti. Padrino e madrina sono personaggi già più volte ripetuti nelle pagine di verbalizzazione: Sebastiano Lamberti fu Gioanni e Maria Ferrero nata Vay. La piccola Silistria è avvolta in una «fascia di Cordolino a righe picole ed una peza di tela nera in buon stato con un fassoletto sul viso di cottone stato avolto in un trapuntino di color Cremisi e Bleu imbottito». 48. Idem, 6 settembre 1835, n. 20, fg. 97 r. La bambina viene battezzata dal rettore della chiesa della Pieve, don Bartolomeo Cuniberti; padrino è Matteo Vignola, di Giuseppe, e madrina Catterina Bravo nata Bugaudo. 49. Idem, 5 aprile 1836, n. 9, fg. 122 r. Non si è riusciti ad interpretare, nonostante un’indagine a tutto campo, la qualità e tipologia del tessuto indicato come «maravigliasco». Il «bindello», in piemontese «bindél» è un nastro da ornamento. Il colore segnalato come «Ponzò» è il rosso cardinale, più correttamente definito «rosso ponsò». Il «broderio» è il bavagliolo. Seppure non sia stato rinvenuto il significato del termine «garzarato», appare evidente la derivazione del medesimo dalla parola «garza». 26 QUESTA FANCIULA A RICEUTO L’AQUA mata Corilla. È facile che quella Giusj Casalino e quel Vincenzo Oglia che si firmano nel ricamo del bavagliolo siano i genitori, anche se nessuno lo dice e lo scrive. Elena Benedetta Ebe è una neonata quasi sicuramente destinata a morte. Ma il destino prima e la professionalità medica poi, contribuiscono, momentaneamente, ad evitare che il dramma abbia a compiersi: «venne trovata […] con un pezzo di tela lacero non altro da certa Ariaudo Maria moglie di Giuseppe abitante nel Borgo Macra, in un fosso in testa di un alteno lungo la strada denominata della prusia fini di questa Città, di parto recente con traccie di Sangue perterra».50 È registrato come Oddone Gioanni Sirirak il piccino «esposto» all'una della notte, furtivamente, nella «ruota» dell'ospedale. Chi lo accompagna lo segnala, nella memoria scritta che segue la sorte del neonato, come figlio di persona nota. In calce al biglietto pone, come firma, il simbolo del nodo di casa Savoia. Questo il testo: «Ill.mi Sig.ri pregandoli di tener conto Di Cuesto presente pargoletto, che un giorno sara riconosciuto; che di persona di importante, ricevuto la pura acua nel Capo».51 Non si conosce il destino dell'infante. Certamente meno nobile -cioè con genitori più modesti- Francesco Lazzaro Temistacle, abbandonato dai parenti all'ospedale con ben due biglietti indosso. Sull'uno si legge «Alli 18 dicembre nell'1836 portato un figlio a ore 5 mattina» e, sull'altro, «L'anno del Signore mille otto cento trenta sei. Francesco per nome li 18. dicembre dimetterlo in buone mani».52 Abbandonata dinnanzi alla chiesa di san Francesco, in una gelida mattinata di marzo, Giuseppa Elleonora Ermilda;53 nella chiesa dell'Assunta, Soffia Balbina Silenti;54 sul piazzale dell'antico convento dei Cappuccini, Ferdinando Ignazio Scil50. Idem, 18 agosto 1836, n. 21, fg. 134 r. La descrizione segnala come, con tutta probabilità, il parto sia avvenuto in campagna, in punta all'alteno, proprio nel luogo ove l'infante è stata rinvenuta. La dichiarazione si deve sempre al segretario Appiotti ed è firmata, nella responsabilità, dal sindaco Alessandro Bocchi. 51. Idem, 21 novembre 1836, n. 26, fg. 140 r. Seppure il testo che accompagna l'infante lo colloca come figlio di persona importante, il corredo che lo accompagna non è proprio di prim'ordine: è ricoperto da «due fassie di cordolino nuovo, tre peze di brustiume, camigino di Perkal guernito di tull, e due cuffiotti uno di Perkal guernito di mignonetta, e l'altro di basin frisato a righe piccole nuovo guernito di Garza Tule». 52. Idem, 18 dicembre 1836, n. 30, fg. 144 r. Riceve il battesimo dal teologo Felice Cuniberti. Padrino è Giuseppe Antonio Fusero del fu Gioanni e madrina Maria Ferrero nata Vay. 53. Dichiarazione in data 17 marzo 1837, «Registro Degl'Infanti stati esposti, 1837 al 1842», n. 8, fg. 15. 54. Idem, 29 marzo 1837, n. 9, fg. 17. 27 LUIGI BOTTA la;55 morta dopo neppure un anno di vita, Amalia Rajmonda Simpia;56 «esposto sotto lì portici della Confraternita della Misericordia di questa città», Remigio Michele Monfiglia;57 «ritrovato sulla strada di Monasterolo presso la cappella detta de' Belli, e quindi consegnato da certa Maria Detome […] a questo Spedale», Giacinta Eufrasia Carezza;58 «rinvenuto […] nel luogo di Levaldiggi, ritirato dal sig. Prevosto di quella Parrochiale, e quindi per mezo del sig. Giuseppe Maria Campana membro di questa Civica Amministrazione […] presentato al Sacro fonte», Casimira Capra;59 recuperata sempre in Levaldigi, Maria Deodata Citronella;60 «trovato nella chiesa di Santa Maria della Pieve esposto in un confessionario», Callisto Raffaele Chardon;61 morto appena otto giorni dopo la nascita, Giuliano Gabriele Ray-Grass (così chiamato in omaggio a Rigrasso?);62 e infine morto all'età di cinquant'anni, in Marsiglia, Calocero Casimiro Senecio, trovatello di vecchia data, ancora settecentesco.63 Per Agnese Liberata Eryttrrina, ritrovata «presso il Borgo Marene appeso ad un albero in un cesto», la morte giunge dopo sei soli giorni «in Savigliano appresso a pelagia Garello», la balia,64 mentre tanto per Blesila Filomena Glauca65 quanto per Eufrasia Francesca Farfarella66 la vita cessa il giorno stesso, appena dopo il trasporto all'ospizio di Saluzzo. Il biglietto «È nato estinto li 9 marzo 1841» accompagna invece un infante privo di vita lasciato nella «ruota» dell'ospedale.67 Annibale Venerando Chenucco è «ritrovato da certa Arnaudo presso la chiesa di Maria Santissima della Concezione nel Borgo Macra»;68 Natale Steffano Vero (i due nomi non lasciano grande spazio all'immaginazione in merito al giorno -o ai giorni- del rinvenimento) «sui gradini della Parocchia di M. V. della Pieve»69 ed Alberto Leone Ostrale è ritrovato «da un certo Pittavino Giovanni sotto i portici di piazza nuova sopra il 55. Idem, 31 luglio 1837, 22, fg. 43. 56. Idem, 31 agosto 1837, 25, fg. 49. 57. Idem, 1 ottobre 1837, 26, fg. 51. 58. Idem, 17 aprile 1838, 3, fg. 69. 59. Idem, 15 maggio 1838, 7, fg. 77. 60. Idem, 8 giugno 1838, n. 12, fg. 87. 61. Idem, 24 ottobre 1838, n. 25, fg. 113. 62. Idem, 16 marzo 1839, n. 5, fg. 129. 63. Idem, 1 aprile 1839, n. 8, fg. 135. 64. Idem, 19 gennaio 1840, n. 1, fg. 173. 65. Idem, 21 gennaio 1840, n. 3, fg. 177. 66. Idem, 28 febbraio 1840, n. 6, fg. 183. 67. Idem, 9 marzo 1841, n. 7, fg. 235. 68. Idem, 14 novembre 1840, n. 21, fg. 213. 69. Idem, 26 dicembre 1841, n. 23, fg. 267. 28 QUESTA FANCIULA A RICEUTO L’AQUA banco delli Serraglieri fratelli Bermone».70 Numerosi, nel periodo intorno al 1840, i biglietti dei genitori che accompagnano i neonati «esposti». Un padre, la cui figlia viene registrata come Clotilde Giuseppina Nemesi, si dichiara servo: «alli 2 giugnio del 1837 -scrive rivolgendosi a chi preleverà il fagotto con la bambina- pregando che questa fanciula di tenerla amente del suo apogio fra pocho tempo sara prendota dale mani proprie e rigavatta non a ncora auto la qua Servo io sono».71 Un altro scrive: «Si prega che si siasi imposto il nome e cognome di Giuseppina Gaudino».72 Accontentato. E un altro ancora, fornisce anch'egli le indicazioni di nome e cognome: «Si prega di Ben tener aconto di questo fanciullo Battesato sotto il nome di Luiggi Belmondo batesetto li 13. Giugno 1838. Si prega di tener aconto del suo ocupagio, e di averli riguardo perché si potrebbe presentarsi qualche persona». L'«ocupagio», cioè il corredo che accompagna il neonato, è composto da: «1mo Undici Camigini tella di rista, di cui quattro in mediocre stato guarniti in varie maniere, cioè due con un fil rosso nella guarnitura, ed uno con una parola di fil dello stesso colore gli altri sette del tutto laceri guerniti pure in varie maniere, di cui uno è più grande. 2do Tre pezze tella brustiume lacere ed una fascia nuova a Cordollini. 3° Un Trappuntino di percal a varii colori in mediocre stato. 4° Sette cuffiotti, di cui quattro di basin frisato in mediocre stato, uno senza guarnitura, e tre altri guerniti in varie maniere; due di percalle uno guernito con ganza bleu sul capo ed in mediocre stato, l'altro nuovo a varii colori con una rosetta di nastro verde, guernito di mignonetta con un piccolo bordo verde; ed uno 70. Idem, 9 aprile 1842, n. 7, fg. 283. 71. Idem, 3 giugno 1837, n. 17, fg. 33. Il corredo che accompagna l'infante, così come dal testimoniale firmato dal sindaco Fedele Novellis: «1.mo Due pezze Brustiume in cattivo stato. 2.do Una fascia a cordollini in buon stato. 3. Un faudal color oscuro con fiori verdi e gialle, in cattivo stato. 4. Un Cuffiotto giallo con fiori violette, e guernito di tallo». Il «tallo» altro non è che il tulle, malamente trascritto. 72. Idem, 20 maggio 1838, n. 8, fg. 79. A battezzare il neonato è il teologo Carlo Gherzi. Molto ricco il corredo che accompagna l'abbandono: «1° Due Camicicini uno tella di lino guarnito di mossolina semplice, l'altro pure di tella di lino in mediocre stato. 2° Una Pezza tella di rista aggionta nel mezzo. 3° Una fascia nuova a cordollini di cottone con quattro fili bleu per bordo. 4° Un corpettino di perkal rosso con fiori nere foderato di perkal. 5. Un Trapuntino di perkal bigio con fiori nere e riempito di cottone, in buon stato. 6° Un Agnus coll'impronta di M. ed un cuore color rosso, appeso con nastro bianco con fiori operate. 7° Due Cuffiotti uno di basin operato, guernito di mignonetta grossolana l'altro di perkal bianco guernito di mignonetta pure. 8° Un fazzoletto da naso di perkal bianco». 29 LUIGI BOTTA di sempiterna rossa guernito di mignonetta ed in buon stato».73 Già nel dubbio se il piccino potrà sopravvivere, un genitore scrive: «Ill.mi e Reverendi Signori Questo poverino fanciullo venturino e nato questa mattina, per paura che nel metre del nascere che morise come creduto probabile dalla Levatrice, si è creduto di dovere di darli l'acqua colle dovute necesarie parole di Battesarlo. Pregano l'Ill.mo, Reverendo Signore Paroco di metterli il nome Gallo e Rafaele, perche desiderano i Parenti di indagare dove sarà collocato il fanciulino per inviarli qualche socorso alla Baila e se sarà per vivere, di anche col tempo di assisterlo in qualonque bisogno, contutto affetto di riverenza le bacio le mani». Il documento mostra, sotto la scritta «Suo Umilissimo Servo», lo spazio puntinato per la firma. Ma la firma non c'è. Chissà perché viene deciso di non rispettare la volontà del richiedente. Al neonato, anziché Gallo, viene assegnato il cognome di Topinambour. Muore comunque sei giorni dopo.74 Per Lucia Teodolinda Melissa la vita è ancor più breve. Se ne torna al creatore il giorno stesso durante il trasporto all'ospizio di Saluzzo: «Dichiaro io sottoscritto D.r Chirurgo [Bertolino] d'aver visitato la nominata esposta Melissa Lucia Teodolinda, ed averla trovata estinta senza segno apparente di morte procurata, come sarebbero contusioni viliri etc. per il che giudico la medesima estinta di emorragia di polmoni, siccome per cui si vidde gettar sangue dalla bocca, e dal naso questa mattina».75 È strano che nessuno, tanto durante il recupero nella «ruota» quanto nel periodo di attenzione prestato dai medici ospedalieri nel momento del ricovero, si sia reso conto dei problemi rilevati a Saluzzo, che hanno causato il decesso all'infante. Un genitore per paura di essere eventualmente frainteso inoltra una vera e propria lettera ai direttori dell'ospedale: «Ill.mi Signori -indica in intestazione con bella scrittura- Il presente Bambino venturino e nato quest'oggi, e Battezato colle formole necessarie, ma contanto timore sia del caso, che 73. Idem, 19 giugno 1838, n. 13, fg. 89-90. L'indicazione di «ganza» sta per «garza». La «sempiterna» è un tessuto compatto e grossolano di lana per vesti, in particolare gonne. 74. Idem, 17 ottobre 1838, n. 24, fg. 111. Il piccino è depositato in «Un Cesto in franto pieno di foglie melica con un capezzale colla fodera della rista, su cui stava appoggiato l'Infante». 75. Idem, 12 dicembre 1838, n. 27, fg. 117 Il modesto corredo della piccola abbandonata: «1° Un Camigino di tella rista guarnito di mignonetta in mediocre stato. 2. Una pezza tella rista in mediocre stato. 3° Un pezzo di tela da sacco ordinario lacero. 4° Un Cuffiotto di percal rosso a fiori nere guernito di mignonetta in buon stato». 30 QUESTA FANCIULA A RICEUTO L’AQUA del inaspetazione di quelli di Casa, hanno intimore non sia ben battezato cosi avisano V. S. Reverendi. Ma pregano tanto che abbiano la compiacenza per sua begnigna Carità verso del Bambino di nominarlo per nome Giuseppe Maria Santua al Santo batesimo, per aver qualche notizie del Medesimo all'occorenza, per soccorso alla Bajla ed al fanciullo».76 La firma: «Suo Umile Servo». La data: «Savigliano li 11 febbraro 1839». Come per la maggior parte dei casi non si conosce il destino del bambino. Viene imposto il cognome di Robinia ad una neonata il cui padre «Si raccomanda alla bontà dell'Illustrissimo sig. Direttore di questo spedale la presente Bambina, con preghiera, se sia possibile, farla allattare in questa Città essendo intenzione de' Genitori di ritirarla, e d'imporvi li nomi di Adelaide Maria Virginia. Pregasi altresì, che sia conservato il presente biglietto, cui verrà dimandato a confronto di altro eguale all'epoca del ritiro di essa Bambina, per darsi a conoscere».77 Il biglietto, rimanendo allegato alla pratica di verbalizzazione, non è mai stato ritirato e pertanto la piccina, se diventata adulta, ha vissuto la propria vita autonoma da trovatella, adottata da qualcuno o annessa a qualche istituto civile o religioso. Dura soltanto in vita quattro giorni la piccina Marta Prassede Punica il cui padre, agricoltore, nel trasmettere il biglietto «Io prego di dar il sacramento del Batesimo Non acora Riceuto in fede e sicura adio per carità, fini Savigliano», riutilizza una ricevuta di lire 60,8 di consegna dei «cochetti» alla filatura Novellis, sulla quale compare chiaramente il proprio cognome, Cravero.78 Casualità o scelta? O vigliacca azione 76. Idem, 12 febbraio 1839, n. 4, fg. 127. Dal verbale: «infante di fresco nato, di sesso mascolino portante seco li seguenti pannolini - due Camigini tella di rista in mediocre stato - due pezze sciolte usitate - Una fascia in mediocre stato - Un fazzoletto da naso di percallo bianco in due parti - Un Trappuntino di percallo a varj colori ripresso di cotone, guernito con nastro bleu lacero in un Canto - Un Agnus di colore rosso da una parte coll'impronto di un croce, di color bleu Celeste dall'altra coll'impronto di M. con nastro bleu - due Cuffiotti di basino frisato guerniti di mignonetta in mediocre stato - uno straccio di lana, il che tutto era legato nel sud.o trappuntino con benda di lino bianco nuovo nel quale si è pure trovato un biglietto». 77. Idem, 26 maggio 1839, n. 11, fg. 141. Il biglietto che accompagna Adelaide Maria Virginia Robinia è infilato in «un nastro bianco legato alla fasciatura» della piccina. Il suo modesto corredo: «Un Camigino di tella rista in buon stato guernito di tulle. Una fascia di rista in buon stato. Una fascia cordollinata nuova. Uno Scozzale di percallo lila con fiorine bianche. Un Cuffiotto di piché guernito di tullo». 78. Idem, 4 luglio 1839, n. 17, fg. 153. Il verbale è firmato dal segretario Appiotti, dall'economo Boella e, a nome del «Conte e Cav.re Giacinto falletti di Rodello grande di Corte Sindico della città di Savigliano», da Felice Calandra, vice sindaco in carica. 31 LUIGI BOTTA di danneggiamento nei confronti di qualche antipatico conoscente? Piuttosto strano l'abbandono di un bimbo già regolarmente battezzato, riconosciuto e registrato nei registri parrocchiali di Saluzzo. Viene indicato in età quattro mesi dalla nascita: «Giuseppe Batista Dellerra figlio di Michelle Batezato in Dommo alli 19 di Marzo in Saluzzo nel 1840».79 In realtà, datandosi, il rinvenimento, al 16 agosto, i mesi di vita del piccino sono già cinque. Non si capisce come sia possibile l'«esposizione» di un bambino con famiglia, già regolarmente denunciato e registrato. Siccome viene preso in carica a Savigliano e mantiene il medesimo nome e cognome col quale è stato registrato, battezzato e preso in carica a Saluzzo, significa forse che si trova a vivere un doppia esistenza? Probabilmente indeciso sul sesso del proprio neonato -oppure desideroso di rinomare nel figlio l'intera parentela- un genitore consiglia, errando nella prioritaria indicazione, ben cinque nomi, tre maschili e due femminili: «Pregando. -scrive sul biglietto che accompagna il bambino abbandonato- la Ill'Ustrissima Signora. Congregazione. del. Regio Ospidale. di Savigliano. di metterli. il Nome. come. è Scritto. atteso. che saranno. pagati. tutti. li Beilagi, in Cogniti: Giovanni Domenico. Virginio. Maria. Catterina».80 Gli incaricati dell'ospedale, constatando senza dubbio l'identità sessuale dell'«esposto» -che trattasi di una femminuccia- le assegnano il cognome di Bellaluna, e, accontentando in parte il padre, trasformano al femminile tutti i nomi ch'egli aveva consigliato: Gioanna, Domenica, Virginia, Maria, Catterina. 79. Idem, 16 agosto 1840, n. 15, fg. 201. Una scritta sul documento di registrazione annota che: «Il Biglietto di cui parlasi nel verbale fu richiesto dal Segretario dell'ospizio di Saluzzo e dal medesimo ritenuto». Significa forse che sul caso viene aperta un'indagine? Nella «ruota» del nosocomio saviglianese vengono trovati «pure li seguenti cenci, cioè Un camigino tella rista in mediocre stato - Una pezza idem - Una fascia cordollinata in mediocre stato Un Cuffiotto di Basino operato guernito di thulle con piccol bordo rosso in mediocre stato - Un Agnus con croce in mezzo e Varii altri ricami attorno, foderato di satino bleu chiaro ed appeso al collo con nastro». Il «satino» altro non è che il «satin», o «raso», tessuto fine, lucido, morbido, con armatura a raso, utilizzato soprattutto per camicette e gonne. 80. Idem, 15 gennaio 1841, n. 3, fg. 227. I «pannolini» che compongono il corredo di Gioanna, Domenica, Virginia, Maria, Catterina Bellaluna: «1° Due camigini tella rista in mediocre stato, guerniti di mossolina. 2° Una servietta di brustiume a occhio di pernice; ed una pezza tella brustiume in mediocre stato. 3° Una fascia tella stoppe in mediocre stato con un nastro bleu di seta incaminato. 4° Un trappuntino di doppio bleu foderato di sempiterna, lacero. 5° Un pezzo di percal lacero. 6° Due Cuffiotti; uno di basin frisato senza guarnitura, l'altro di mossolina guernito di tullo, con un nastro di seta di color rosa pallida». 32 QUESTA FANCIULA A RICEUTO L’AQUA Piuttosto sintetico nello scrivere un altro genitore. Gliene danno atto registrandogli il figlio con il cognome di Succinto: «E nato alli due del corrente mese alle ore 11 e mezza di sera ed ha ricevuto l'acqua Battesimale. Sono pregati di metterli per nome Giuseppe Agostino».81 Di famiglia benestante Adelaide Filomena Bellastella (che fa seguito alla Bellaluna assegnata pochi mesi prima ma in realtà deve anche mostrarsi all'apparenza -come indicherebbe il modo di dire piemontese «bela steila!»- di piacevole aspetto): «A chiunque che a voi presenterassi con un tal foglio -è perentorio chi scrive, dimostrando di conoscere il linguaggio e saper manovrare penna e inchiostro- gli consegnerete purché sia in vita la presente bambina avertendovi che se le circostanze qui la trassero non esser ella di oscuri natali. P:S: Vi prego di porgli nome Adelaide».82 Viene accontentato. L'annotazione in calce alla registrazione «Stato rimesso in questa Città» significa che la bambinella è stata successivamente riconosciuta e rivendicata dai propri genitori o da chi per essi. Diverso destino per il piccino accompagnato dal seguente biglietto: «Nacque il Baromej Luigi filippo -così lo definisce già chi lo abbandona- la notte delli 11. Marzo 1842 che trovandosi in buono stato di salute non si è dato l'acqua del Battesimo».83 Trattenuto inizialmente presso l'ospedale per l'allattamento, il neonato è successivamente trasferito all'ospizio di Saluzzo. Il problema delle nutrici è certamente cosa di non poco conto. Sono poche le donne disponibili ad allattare bambini non loro, in condizione di soddisfare tutte le condizioni e fornire tutte le garanzie che le autorità richiedono. In questi anni si ripetono, in Savigliano, i nominativi di nove balie. Sono Pelagia Garelli, Elisabetta Pittavino, Teresa Trossarello, Maddalena Bigliardi, Domenica Veglia, Teresa Ollivero, Catterina Sola, Carlotta Perone e Maddalena Marino. Ricevono dal81. Idem, 4 giugno 1841, n. 13, fg. 247. Il verbale viene firmato dal consigliere delegato Giovanni Alfonso Stevano. 82. Idem, 23 agosto 1841, n. 16, fg. 253. Indossa: «1.mo Un Camigino tella rista guernito di mossolina in buon stato. 2° Una pezza tella brustiume in mediocre stato. 3° Un pezzo di mantile stoppo a occhio di pernice lacero. 4° Una fascia cordollinata nuova. 5° Un Cuffiotto di basin frisato guernito di tullo in buon stato». 83. Idem, 13 marzo 1842, n. 4, fg. 277. Fornito di «1° Un camicino percal guernito di tul in mediocre stato. 2° Due pezzi di cui uno di servietta lacera a […], ed una di tela stoppe pur lacera. 3. Una fascia cordollinata in mediocre stato. 4. Un pezzo di percal color caffè con piccoli quadretti bianchi in mediocre stato. 5. Due Cuffiotti uno di basin frisato, l'altro di mossolina a mosche guerniti e di tul coi cordoni di lana bleus chiari, in buon stato». 33 LUIGI BOTTA la pubblica amministrazione -dipendentemente dal periodo di allattamento- dalle 40 alle 50 lire per neonato. Il comportamento tenuto dalle stesse è diverso l'una dall'altra. Molte di esse dedicano affetto al bambino a tal punto che non è raro leggere della scelta di adozione dei bambini avuti a baliatico. Per altre, invece, l'autorità si trova addirittura costretta ad assumere drastiche decisioni per allontanare dalle donne i piccini che vengono deliberatamente maltrattati. Concluso l'allattamento ogni bambino è inoltrato all'ospizio saluzzese, dove rimane, in compagnia dei suoi simili, sino all'età di 12 anni. Successivamente deve essere «collocato» in modo definitivo. Ovvero richiesto dai genitori naturali -quando questi forniscono all'autorità tutti gli estremi per il loro riconoscimento-, adottato da qualcuno che deliberatamente decida di attingere tra gli ospiti dell'ospizio, od avviato al lavoro in bottega artigianale, con futura possibilità di avviamento ad una esistenza autonoma.84 Un iter consueto e codificato da leggi e regolamenti, che tocca, indistintamente, a Quirino Roberto Cospiniè «consegnato a quest'ospedale Maggiore dalla moglie del Sacrestano della Madonna della Neve»;85 a Lucio Marolier, trasportato «da una donna certa Maddalena Sona, la quale ha dichiarato d'averlo trovato a Ruffia e d'averlo fatto battezzare come lo dichiara un biglietto che seco portava: Dichiaro io sottoscritto di aver battezzato quest'infante oggi, di averli imposto il nome di Lucio. Li 30. luglio 1842. Firmato. Persico Francesco Vice Curato di Ruffia»;86 ad Agata Elleonora Cinoglossa, trovata «sul far del giorno appeso un cestello di gorra con dentro un infante, ad una finestra di una casa civile propria del Sig. Bonesio, presso la Chiesa detta la Madonna dell'Apparizione distante due miglia da questa Città, qual cesto venne ritrovato dal massaro di quella Cassina il quale ritiratolo nella stalla, ne diede parte a quest'Ospedale»;87 ed anche ad Agostina Cesaria Pechinia, rinvenuta in un cesto «dalla moglie del Sacrestano della Cappella della Madonna della Neve presso questa Città come la medesima asserì; avente nelle fasciature un 84. Nominativi e circostanze, così come i dati relativi all'iter esistenziale degli «esposti» sono desunti da un fascicolo di lettere relative agli anni dal 1839 al 1845. 85. Dichiarazione in data 11 giugno 1842, «Registro degli Infanti esposti, 1842 al 1847», n. 15, fg. 3 r. A partire da questo registro i foglietti con i messaggi dei genitori o dei parenti degli «esposti» non vengono più allegati alle pagine del verbale. Si provvede esclusivamente a riportarne il testo, a testimonianza dell'avvenuta ricezione. 86. Idem, 31 luglio 1842, n. 18, fg. 6 r. 87. Idem, 29 gennaio 1843, n. 1, fg. 16 r. 34 QUESTA FANCIULA A RICEUTO L’AQUA biglietto dicente Il Bambino ha riceutto la aqua masicone l donne sono scripole sono pregati di darlgli il Battesimo con condizione».88 Il padre di Biagio Romualdo Crosdoro avvisa con un suo messaggio il personale dell'ospedale che il piccino «Non è ancor Battezzato, e sarei a pregare che li mettessero il nome di Biaggio»;89 mentre per Aurelia Altea è il vice curato di Ruffia -che non è nuovo a farsi corriere di infanti «esposti»- a depositare la bambina nella «ruota» dell'ospedale: «Dichiaro io sottoscritto di avver amministrato il Battesimo nella Chiesa Parocchiale a questo fanciullo di sesso femminino, che sarà presentato a questo Spedale di Savigliano, e di avergli imposto il nome di Aurelia: questo fanciullo è nato ai due del Corrente Marzo, ed ai Quattro fu da me battezzato, e quindi registrato nei libri Parocchiali. Ruffia li 6. marzo 1844. Persico Giovanni Francesco Vice Curato di Ruffia».90 Dei gemelli Giulio Antonio e Lucia Antonia Romano soltanto la piccina sopravvive. Già il chirurgo Bertolino, assistente al nosocomio saviglianese, subito dopo il rinvenimento, ne ha il sentore. Dichiara infatti «d'aver visitato un bambino esposto nella scorsa notte in questo Spedale, ed averlo trovato si gracile di costituzione da credere che morirebbe per via se fosse trasferto a Saluzzo». Anche se viene curato non ce la fa. Muore infatti «alle ore 3. mattutine del giorno 12» a Savigliano.91 Di Egidio Giuseppe Pio Brando si conosce, perché dichiarato nel biglietto d'accompagnamento, il nome del padre, che è un militare di stanza in Savigliano: «Li 1. di settembre -così si legge a chiare lettere- naque questo fanciullo indi questa sera delli 4. sarà trasportato nel Ospedale e saranno pregati 88. Idem, 29 agosto 1843, n. 16, fg. 31 r. 89. Idem, 4 febbraio 1844, n. 3, fg. 41 r. 90. Idem, 7 marzo 1844, n. 6, fg. 44 r. Aurelia Altea dispone di: «1° Un camigino tela rista senza guarnitura in mediocre stato. 2° Una fascia cordollinata lacera. 3° Un piccolo Sacco di tela stoppe lacero. 4° Un fazzoletto di percallo a Varj colori, lacero. 5° Un cuffiotto di Basin bianco guarnito tullo. 6° Un cesto infranto con fiocco dentro». Firma il verbale di rinvenimento il vice sindaco Maurizio Bocchi per conto del primo cittadino conte Giuseppe Boetti. 91. Idem, 10 agosto 1844, n. 17, fg. 56 r. Maschio e femmina sono forniti di «pannolini» diversi. Giulio Antonio: «1° Due pezze tela brustiume in mediocre stato. 2° Un Camigino tela lino guernito di Mossolina. 3° Una fascia Cordollinata in buon stato. 4° Uno Scozzale di percal turchino senza ligacci e lacero. 5° Un Cuffiotto di percal a varj Colori guarnito di tullo». Lucia Antonia: «Due pezze tela brustiume in mediocre stato. 2° Una fascia Cordinata a due colpi con bordo rosso da un Canto, in buon stato. 3° Un Camigino di tela lino guernito di Mossolina. 4° Uno Scozzale di percal con varii Colori senza ligaccie, in buon stato. Un Cuffietto di percal a varj colori guarnito di tul». 35 LUIGI BOTTA di batesarlo al nome dil suo padre Giuseppe Pja sergente d'Aosta Cavaleria indi fra breve giorni sarà riconosciuto dal padre e dalla madre far notto dove sarà collocato».92 Anche di Eugenia Teresa Beltrando, perché segnalato direttamente dai familiari, si conosce il nominativo del padre: «cuesta infanta a la riciuto l acchua dichiaro che le filia del Signor beltrando Giuseppe mercande da stofa in Marene ali 7 di Novebre del 1845».93 Ma la segnalazione, se finalizzata ad un successivo riscatto della piccina, non serve in quanto la medesima muore il giorno successivo per cancrena alle parti addominali. Stessa sorte tocca ad un altro piccino consegnato all'ospedale dal sacrestano della chiesa della Madonna della Neve. Il chirurgo Bertolino dichiara d'aver «visitato un bambino esposto chiamato chermite Paolo Cirillo e di averlo trovato quasi spirante per l'azione del freddo, a cui fu esposto nella notte stessa, al che si aggiugne la perdita di sangue per l'età assai cospicua dipendente da mala legatura del cordone ombelicale, per cui poche ore dopo la mia visita finì di vivere».94 La stagione è quella fredda, gennaio, ed i giorni i più gelidi dell'anno. Sono probabilmente gemelli, Carlo Antenore e Luigi Aduarda, abbandonati cinque giorni di distanza l'uno dall'altro nella «ruota» dell'ospedale, entrambi vestiti con un «camigino» di tela rista marcato C.L. e con una pressoché medesima indicazione in merito al nome e cognome con cui si devono battezzare.95 Naturalmente l'economo dell'ospedale o l'ufficia92. Idem, 5 settembre 1844, n. 19, fg. 58 r. Il verbale stilato dall'incaricato e firmato dal sindaco conte Giuseppe Boetti riporta nell'intestazione, con analoga scrittura anche se vergato in periodo diversi, l'indicazione «Brando Egidio Giuseppe Pio cioè Pia Giuseppe», che sta ad indicare la testimonianza di paternità e l'avvenuto successivo riconoscimento del fanciullo «esposto» da parte del genitore. All'atto dell'abbandono il piccino è vestito con «Un Camigino tela rista fina guarnito di mossolina. 2° Una fascia cordolinata lacera. 3° Una pezza di tela stoppe in mediocre stato. 4° Un pezzo d'una Camisetta da donna, di maglia in cottone lacera. 5° Un Cuffiotto di basin frisato guarnito di tullo». Il piccolo Brando ha al collo «Una medaglia d'ottone rappresentante da una parte la B. V. della Concezione dall'altra parte un'immagine col Rosario in mano, appesa questa medaglia ad un nastro nero», che contiene anche il biglietto di accompagnamento. 93. Idem, 8 novembre 1845, n. 26, fg. 89 r.-v. Seppure il genitore autodichiarato della fanciulla sia un mercante di stoffa, il corredo presente all'«esposizione» è veramente misero: «1° Varj straccj di nessun valore. 2. Due cuffiotti di percal a Varii Colori guarniti di tul in buon stato». 94. Idem, 25 gennaio 1846, n. 4, fg. 95 r. Il corredo rinvenuto dal sacrestano in contemporanea con l'infante: «1° Un camigino tela rista lacero. 2° Una pezza tela rista lacera. 3° Una fascia tela stoppe con varie giunte lacera. 4° Un pezzo di trapuntino in cotone dentro, lacero. 5. Un cesto infranto senza manico con fieno». 95. Idem, 3 marzo ed 8 marzo 1846, n. 5, fg. 96 r. e n. 6, fg. 97 r. 36 QUESTA FANCIULA A RICEUTO L’AQUA le di Stato civile chiamati a dar loro un nome pensano bene di optare per scelte che distacchino definitivamente l'uno dall'altro i due bimbi frutto di gravidanza gemellare. Di Perpetua anastasia Robinia (cognome già utilizzato sette anni prima) si conoscono le generalità della madre -il padre è sconosciuto-, rese note dal parroco di Ruffia, battezzante: «L'anno del Signore mille ottocento quarantasei ed alli ventotto del mese di aprile alle ore nove di sera nella Parocchia di St. Giacomo Comune di Ruffia. È stato presentato alla Chiesa un fanciullo di sesso femminino -precisa il sacerdote- nato li ventotto del mese di Aprile alle ore dieci di mattina nel distretto di questa Parocchia, figlio d'incognito Padre e di Lucia Vedova Cossino di professione giornaliera domiciliata in Ruffia cui fu amministrato il battesimo da me Persico Gio. Francesco vice Curato, e sono stati imposti li nomi di Perpetua Anastasia, essendo stati padrino il battezzante di professione Sacerdote domiciliato in Ruffia, e madrina Castagnino agnese di professione Levatrice domiciliata in Ruffia».96 Per Sergio Nicola Tirinzio si muove anche il sindaco di Marene, Galvagno: «Questa mane mi, e rivato che -scrive in modo abbastanza sgrammaticato il primo cittadino, che si firma in calce al biglietto di accompagnamento-, nelle Cappele di Santo Maria si, e trovato uno infanste, attaccato neula finestra della Cappelle dette La pieta, ed jo ho già scritto all.o Signor Giudice, mi ha detto che lo riemandasse al Ospedale di Savigliano, e per questo spedisco, che questo infante natto si trova nell'ettà di mese uno, e per questo dico che ho già fatto la ralestiano la Signor giudice».97 Un piccino, invece, viene «esposto» già morto. Lo constata 96. Idem, 29 aprile 1846, n. 14, fg. 105 r.-v. Nonostante il parroco di Ruffia abbia provveduto al battesimo e pertanto si sia reso responsabile di ufficializzare la nascita della piccina rendendo noto anche il nome della genitrice, la neonata viene individuata, allo stesso modo di tutti gli altri trovatelli, nella «ruota» dell'ospedale. La consegna diretta sarebbe stata sicuramente più opportuna. Insieme alla fede di battesimo, che risulta richiesta al vice curato Giovanni Francesco Persico da tal Michele Cossino -padre o fratello della madre?-, ci sono i seguenti «cenci»: «1° Un camigino tela brustiume senza guarnitura. 2° Una pezza tela stoppe ordinaria e lacera. 3° Una fascia cordinata con filo stoppe lacera. 4° Due Scozzali da donna uno di così detto [trentumè?] ed uno di tela rista stampato ambedue laceri. 5° Un Cuffiotto di mossolina ricamata guarnito di thul». 97. Idem, 10 settembre 1846, n. 19, fg. 110 r.-v. Il piccolo Sergio Nicola Tirinzio viene abbandonato dentro «Un cestino senza manico infranto con foglie di meliga dentro». Sempre nel cestino il piccolo corredo composto da «1° Un Camigino tela lino lacera. 2° Due pezze tela lino lacere. 3° Una fascia cordinata lacera. 4° Un cuffiotto di mossolina ricamato foderato di sempiterna rossa a piccole righe bianche. 5° Varj straccj di nessun valore». 37 LUIGI BOTTA il chirurgo Allasia nel corso della visita necroscopica eseguita successivamente: «Dichiaro -verbalizza il medico- […] di aver visitato, richiesto dal Giudice, ed in presenza dell'Uff.o, un'infante di sesso mascolino, stato esposto nella ruota di quest'ospedale la sera delli 11. corrente ad ore otto. Le necroscopiche osservazioni fatte all'uopo diedero a conoscere essere questo nato morto, epperciò esposto già estinto feci la mia relazione al Giudice».98 Per Medardo Leone Cascarguento -questo il cognome adottato all'epoca del ritrovamento-, dopo quindici anni di vita vi è il riconoscimento dei probabili genitori. Infatti, su ricorso degli stessi, la Corte d'Appello di Torino accetta le conclusioni del Pubblico Ministero e dà comunicazione che sui registri conservati presso la parrocchiale della Pieve al nome assegnato a suo tempo vengano «sostituite le parole Valletto Medardo Leone figlio di Francesco e Maria Chirio».99 Per i fanciulli «esposti», nonostante l'autorità preposta non dimostri nei fatti tutto quell'interesse e quel riguardo che deve essere attivato nella circostanza -perché l'autorità è chiamata a sostituire in parte l'amore materno e paterno che viene a mancare, mentre invece il fenomeno dell'abbandono degli infanti viene il più delle volte visto come una scocciatura-, esistono rigorosi dettati governativi che impongono il massimo dell'assistenza e assegnano anche un sussidio a chi è chiamato a svolgere la funzione genitoriale. Ma, soprattutto, l'aiuto verso i bambini abbandonati viene inteso -anche per regolamentonella sua funzione più squisitamente sociale, compassionevole e caritatevole. Infatti l'«incaricarsi di allevare infanti esposti, quantunque sia di qualche profitto a chi se ne assume l'obbligo, non tralascia però di essere nel medesimo tempo un'opera di singolare carità cristiana, e di filosofica filantropia, contribuendo alla conservazione di quegli innocenti fanciulli, che abbandonati da chi loro diede l'esistenza, verrebbero tosto a perire, se non vi fosse chi con mano benefica vi riparasse».100 98. Idem, 12 marzo 1847, n. 5, fg. 119 r. La morte sembra essere la conseguenza del parto «immaturo». 99. Idem, 2 giugno 1847, n. 11, fg. 123 r. Mentre si provvede all'immediato allattamento dell'infante -evidentemente strilla ed ha fame- gli incaricati dell'ospedale provvedono a prender nota degli abitini rinvenuti nella «ruota»: «1° Un Camigino tela rista senza Guarnitura. 2° Una pezza tela Brusiume in mediocre stato. 3° Una fascia cordinata bordata con due fili bleus, lacera. 4° Un Cuffiotto di così detto picottino guarnito di maglia in coton fino». Il «picottino» deve probabilmente ricondursi al piemontese «picòt», che è un bordo a pizzo. 100. Dalla lettera, in stampa, del responsabile del1'«Ospizio dei Trovatelli», in fascicolo, cit. 38 QUESTA FANCIULA A RICEUTO L’AQUA Una grande responsabilità nella crescita e nell'educazione dei fanciulli spetta al sindaco del Comune ove gli «esposti» vengono posti a balia. Al primo cittadino tocca infatti preoccuparsi -secondo quanto riferisce in una circolare il responsabile dell'«Ospizio dei Trovatelli»- «che dalle nutrici non si chiamino i fanciulli con altri nomi, che con quelli che loro furono imposti dall'Ospizio nel santo Battesimo. Qualora [il sindaco] veda che una nutrice non ha cura di qualche fanciullo, dandone avviso all'Amministratore, verrà cangiato: premendo, è autorizzato di farlo col concorso del sig. Parroco, dandone poscia pronto avviso». Il responsabile dell'Ospizio è perentorio, nei confronti del sindaco, in merito al ruolo della balia e all'eventuale espatrio dei fanciulli: «Non permetterà che dalle nutrici senza il mio consenso si rimettano ad altri i detti fanciulli, né che escano dal territorio del di lei comune senza la sua annuenza, anche col pretesto di portarsi all'Ospizio, e ciò anche per evitare disordini e delitti che potrebbero pur troppo succedere».101 Per la scelta dei cognomi da dare ai trovatelli l'incaricato si appella sovente all'invenzione del momento ed alla casualità della circostanza, ma numerose volte fa riferimento a persone «istruite», che con il loro consiglio gli permettono di espletare tale incombenza, non gravosa ma certamente insolita. Nei registri compare così, assegnato ad ignari fanciulli che il destino ha voluto più sfortunati di altri, un lungo elenco di cognomi non proprio comuni, che sono appartenuti ad importanti e noti personaggi storici saviglianesi, che hanno così l'opportunità di rivivere in epoca diversa, attraverso anime diverse. Si tratta di un omaggio a quei cittadini illustri vissuti tanto tempo prima, sollecitato da chissà chi e dovuto probabilmente alla fantasia di qualche storico locale. Con Caterina Marta Petrina102 si vuol ricordare quella Petrina Tesio alla quale comparve la Madonna e la cui vicenda sollecitò l'erezione del santuario dell'Apparizione; con Emerenziana Zita Beggiami103 si tramanda la memoria di Cristoforo Beggiami, saviglianese che per primo impiantò una tipografia a caratteri mobili in Piemonte, nel 1470; con Antonio Agata Molineri104 si rammenta la figura di Giovanni Antonio Molineri, che nel XVII secolo fu famoso pittore in ter101. Ibidem. 102. Dichiarazione in data 15 gennaio 1856, «Registro dei Verbali dei Fanciulli Esposti, 1854 al 1858», n. 4, fg. 56. 103. Idem, 30 marzo 1856, n. 10, fg. 62. 104. Idem, 16 aprile 1856, n. 14, fg. 66. 39 LUIGI BOTTA ra piemontese; con Margarita Luigia Gorena105 si provvede a ricordare Marcantonio Gorena, che fu poeta drammatico e professore universitario nel '500; con Geltrude Appollonia Pavoni106 si aggiorna la storia di Antonio Pavoni, caduto martire il 9 aprile 1374 e poi fatto beato; con Agata Agnese De Alba107 si ripercorrono le vicende dell'omonimo nobile casato che per ben cinque secoli occupò alti incarichi in Savigliano e non soltanto; con Sebastiana Agnese Isoarda108 si coglie l'occasione per celebrare Lazzaro Isoardi -o Isoarda-, illustre stampatore che sul finire del XV secolo fu tipografo in Venezia; con Maria Dorotea Fregosio109, gemella di Maria Agata Barco, si anticipa un giudizio positivo su Giovanni Battista Fregosio -o Fergusio- dottore in leggi e compositore musicale di opere stampate in Venezia nel 1612; con Pietro Matteo Delsole110 si rinfresca la memoria su uno tra i più antichi, nobili e potenti casati saviglianesi. Celestina Amalasunta viene trovata «a buon mattino […] di fresco nato alle porte della Casa presbiteriale di Levaldigi»111 ed accompagnata da Maddalena Cogno all'ospedale di Savigliano. Antonio Basilio Frangillo è invece abbandonato in «un sacco di stopa», insieme ad «un camigino di cotone guernito di tulo lacero, un siugamano di stopa tessuto di cordolino di filo a due colpi di filo, un fazoletto di mussola bianco lacero»112 nella «ruota» del nosocomio. Di Antonia Paola Sivergo si conosce la data delle nozze, avvenute all'età di 25 anni -e segnalate pertanto sul registro cinque lustri dopo a titolo di informazione anagrafica-, con un certo Giannini, in quel di Montefiorino in provincia di Modena.113 Un dramma si nasconde dietro l'apparente normalità legata al nome di Giuseppe Felice Tantalo. La madre lo consegna, una settimana dopo la nascita, al parroco della Pieve per disfarsene. Non lo desidera e il suo unico cruccio è quello di vederlo allontanare il più possibile. Ma soltanto il giorno dopo, piangente e in piena crisi d'identità, ne richiede la restituzione. 105. Idem, 29 maggio 1856, n. 16, fg. 68. 106. Idem, 10 ottobre 1856, n. 23, fg. 75. 107. Idem, 20 settembre 1856, n. 22, fg. 74. 108. Idem, 21 gennaio 1857, n. 5, fg. 86. 109. Idem, 3 febbraio 1857, n. 7, fg. 88. 110. Idem, 14 febbraio 1857, n. 8, fg. 89. 111. Idem, 10 febbraio 1854, n. 4, fg. 4. 112. Idem, 13 giugno 1854, n. 9, fg. 10. 113. Idem, 30 aprile 1855, n. 13, fg. 36. 40 QUESTA FANCIULA A RICEUTO L’AQUA Il canonico Paolo Dovo, che già ha provveduto a consegnare l'infante all'ospedale, intercede presso l'autorità comunale affinché ciò possa concretizzarsi: «Una figlia per nome Alasia Catterina -relaziona nella lettera al sindaco con tono compassionevole e forza convincente- mi ha nella scorsa settimana fatto battezzare a suo nome un fanciullo maschio che sta notte per fellicitazione di alcune donne portò allo Spedale. Ma questa mattina venne lagrimando da me pregandomi di farglielo restituire. Non s'è ancor fatto alcun verbale».114 Dietro le parole del parroco si consuma un dramma tutto femminile. Con un finale positivo. Tre giorni dopo, infatti, siccome il neonato non è ancora stato avviato all'ospizio di Saluzzo, il sacerdote e la mamma ne ottengono la restituzione. Più complesso, invece, riavere tra le mura domestiche Caterina Paola Sansone dopo sei anni di permanenza in ospizio. Il padre, brigadiere nel corpo dei Carabinieri Reali, certo di aver commesso un errore nell'abbandonare a suo tempo la figliola, ne avanza richiesta al Comune: «Molino Giuseppe documenta la sua domanda, così come viene riferita nei verbali- del fu Luigi nativo di Valfenera d'Asti ed attualmente domiciliato in questa Città, il quale, previa dichiarazione esplicita fatta di essere il vero padre dell'Esposta Sansone Caterina Paola stata trasportata all'Ospizio del Circondario di Saluzzo […] avendo a tal uopo somministrato noi dellj segni di riconoscimento, ha manifestato il desiderio di quella ritirare per essere allevata ed educata a proprie spese, cura e diligenza, avendone i mezzi».115 Accontentato! Due i battesimi ricevuti, ed altrettanti i nomi registrati in parrocchia, per un'unica fanciulla abbandonata a Levaldigi. Scrive il vice curato: «questa note Fu esposto sulla porta parrocchiale un Fanciullo di sesso Feminino alle ore tre mezza Del Mattino, in un cestello, involta due Fazoletti uno a quadretti Bianco e Blu e laltro Blu oscuro con Gremiale di vario colore ed ho fatto Richiesta al parrocco pel battisimo […], li è stato imposto il nome di Feliciano».116 Ribattezzata in santa Maria della Pieve, la piccina viene registrata come Veronica Elisabetta Odessa. Chissà poi perché! Nel biglietto che accompagna un neonato si legge che «Questo fanciullo nacque il 1° Gennajo 1857. alle ore 11. di mattina gli fu data l'acqua Battesimale ed imposto il Nome di Stefano Jannuario fortunato. di Genitori Incogniti».117 115. Idem, 11 gennaio 1856, n. 3, fg. 55. 116. Idem, 7 luglio 1856, n. 18, fg. 70. 117. Idem, 2 gennaio 1857, n. 2, fg. 83. 41 LUIGI BOTTA Dovuto probabilmente all'ostetrica il biglietto trovato nelle fasce che avvolgono Paolo Francesco Codro: «Si prega la gentilezza del Sig. Economo di tenere bene a registro questo fanciullo nato 2. Aprile a due ore dopo mezza notte e di porgli il Nome di Paolo Francesco volendo i suoi parenti un giorno o l'altro ritirarlo, non ha ancora avuto l'acqua».118 Delle gemelle Teodolinda Paola Originale e Maria Domitilla Pioppo la seconda muore a poche ore di distanza dalla sua «esposizione».119 Il parroco di Levaldigi, Vacchetta, affida a Lucia Galliano la piccola Agnese Maddalena: «Il Sottoscritto trova questa mane a ore 4. un esposto alla porta della Canonica, e per evitare formalità inutili ed un doppio Battesimo -scrive nel documento ufficiale che accompagna la neonata, forse memore di quanto successo già altra volta-, lo spedisce teste […] all'Ospedale di Savigliano».120 Carlo Andrea Corsino, secondo gli appunti vergati sul biglietto che lo accompagna, per la verità quasi indecifrabili, potrebbe essere il figlio di un notaio e segretario della Loggia di Carignano. Eccone il testo: «sono a notificarle -così si riferisce al responsabile del nosocomio- che il Padre il Sig. Carlo Conte notajo, e Secretario della Loggia di Carignano io lo prometo ne' sono che ello il padro di questo figlio il Sig. Carlo Conte».121 Appare evidente che tanto il testo quanto la scrittura non si debbono al notaio citato. È facile che il biglietto sia opera di colui che ha trasportato il piccino a Savigliano e che, volendosene lavare le mani ed evitare di essere scambiato per il padre del neonato, ha cercato di smascherare l'identità del vero genitore. Megalomane -oppure squisitamente buontempone- il padre di un altro bambino abbandonato. Ha il coraggio di avanzare una richiesta che più che assurda appare sin da subito non esaudibile: «La gentilezza del Sig. Economo -questa la sua domanda- sia compiacente d'imporre al presente neonato il nome di Leonardo Vinci nato il 6. novembre 1857. ore 4. pomeridiane».122 Facile immaginare la reazione dell'incaricato, l'immediata diffusione della richiesta e le sonore risate, non certamente fuori luogo, che risuonano negli uffici del nosocomio. L'addetto alla registrazione assegna al neonato il nome 118. Idem, 2 aprile 1857, n. 14, fg. 95. 119. Idem, 12 maggio 1857, n. 16 e 17, fg. 97. 120. Idem, 27 luglio 1857, n. 23, fg. 103. 121. Idem, 27 settembre 1857, n. 27, fg. 107. 122. Idem, 7 novembre 1857, n. 30, fg. 110. 42 QUESTA FANCIULA A RICEUTO L’AQUA di Vincenzo Pietro Cardano. Che nulla ha a che vedere con il genio rinascimentale di Vinci. Bernardina Francesca Tristorio è rinvenuta nella chiesa di sant'Andrea: «Questa mane il Sacrestano Borra Andrea ritrovò nella Chiesa Parrocchiale Collegiata un fanciullo apparentemente d'alcuni mesi, non si sa ancora di quale sesso, che il sottoscritto trasmette al Ven.do Spedale Maggiore per quelle cure e cautele che l'umanità attende».123 Il biglietto è firmato dall'abate Vinardi. Un'altra Tristorio, di nome Bernardina Paola, viene invece «esposta» nella parrocchia dell'Assunta in Levaldigi.124 Molto meticolosi e precisi, anche se telegrafici e sbrigativi, i genitori di un bambino abbandonato nella «ruota». Scrivono, affinché l'economo dell'ospedale abbia sin da subito le idee chiare: «Madre Teresa + Padre Giovanni + si prega nel Battesarlo porvi i nomi Teodorio Maria. Fardello. Camicini 2. Pezze 2. Lane 1. Fascia opperata quadretti bianca 1. Trapuntino 1. Cuffiotti Rosa 2. Id. Bandera rigata 2. Id. di tela 2. Nato li 23 Marzo alla mattina ore 6. circa consegnato alla sera alle ore ... con mezza medaglia foglia d'ottone ritenendo presso di noi l'altra metà per segnale».125 Il responsabile dell'ospedale -forse disattento ed approssimativo o forse volutamente spregiativo- fraintende l'annotazione di fardello riportata sul biglietto e la ritiene come indicazione anagrafica. Registra pertanto il piccino con il cognome di Fardello. Insomma: Teodoro Maria Fardello! Ugualmente diligenti i genitori di un altro piccino. Nel biglietto infilato tra le fasce che lo avvolgono fanno osservare che è loro desiderio che il bambino venga battezzato col nome e cognome di Carlo Adriano Rinaldo. Precisano che indossa «al collo la metà d'una medaglia d'argento». In altro biglietto elencano gli «Arnesi in cui è inviluppato il Bambino. 1. Camigino di tela d'Araud. 1. Pezza di rista tortigliata di rosso. 1. pezza di lana. 2. fascie di cotone. 1. cuscinetto. 2. cuffiotti di maglia l'uno con nastro rosso e l'altro bleu».126 Con il trascorrere degli anni gli elementi che caratterizzano l'«esposizione» dei neonati si ripetono con metodica tempestività e si rinnovano con il procedere dei tempi. Testimoni 123. Idem, 12 marzo 1858, n. 7, fg. 119. 124. Idem, 26 aprile 1858, n. 11, fg. 123. 125. Idem, 24 marzo 1858, n. 9, fg 121. 126. Idem, 27 ottobre 1858, n. 23, fg 136. La «tela d'Araud», risulta essere poco dissimile dalla tela di Boemia, che è un tessuto abbastanza robusto, per copriletti. 43 LUIGI BOTTA di questo fenomeno rimangono le verbalizzazioni che puntuali, nei registri che si conservano presso il municipio e l'ospedale, rappresentano il documento più esplicativo che fornisce la misura esatta dei numeri e dei modi che concretizzano i diversi episodi. Le prime memorie documentavano come i piccini venissero abbandonati, forse in spregio alla loro stessa esistenza in vita, nei luoghi più impensati, quasi col desiderio recondito da parte dei genitori che non venissero ritrovati, che l'evento della nascita fosse rapidamente dimenticato, che la drammaticità dell'atto rientrasse in un clima di conflittuale difficoltà esistenziale ricomponendosi nella sostanza dell'esistenza e nella quotidianità del vissuto generale. Col tempo i genitori non scelgono più la casualità di una strada, la riva di un fosso o una qualunque tettoia di un pilone votivo sperduto chissà dove, ma si indirizzano verso la porta di una chiesa, l'androne di un palazzo frequentato, la sagrestia di una chiesa o l'angolo di una strada urbana ove il passaggio è assicurato. Poi si affidano alle mani dell'ostetrica e, se il caso, si preoccupano di trasportare il corpicino avvolto nelle fasce direttamente in ospedale. Lo depongono nella «ruota» per essere certi che qualcuno, con una competenza assicurata, sappia agire con immediatezza nelle circostanze di necessità. Per taluni, il figlio continua a rimanere un peso, ma l'allontanarsene -così come dimostrano le circostanze dell'abbandono- comincia a diventare motivo di preoccupazione e di legittimo ripensamento. Anche i biglietti di accompagnamento segnano l'evoluzione delle «esposizioni». Se inizialmente l'abbandono è privo di rivendicazioni, via via col tempo i genitori si fanno puntuali testimoni di piccoli gesti -forse inutili ma significativi- che richiamano una loro maggiore responsabilità e che dimostrano come l'abbandono (accompagnato da segnali di identificazione e da affidamento di sempre più copiosi materiali in uso agli infanti) venga sofferto come un atto indesiderato ma sovente purtroppo necessario. Infine, con la speranza che l'eventuale successivo riconoscimento possa concretizzarsi nel momento di maggiore serenità familiare, anche il foglietto compilato segna il passo per lasciare il posto alla mezza medaglia legata al collo del piccino. A quella metà corrisponde un'altra metà che rimane in possesso dei genitori e che può sempre servire, in futuro, qualora le autorità dimostrino sensibilità ed accettino la prova del ricongiungimento, a rivendicare una paternità ed una maternità in precedenza disconosciuta. Mentre cresce la predisposizione familiare al sentimento, sem44 QUESTA FANCIULA A RICEUTO L’AQUA brano aumentare a dismisura i decessi nei primi giorni e nelle prime settimane di vita degli infanti,127 e diventa impressionante la disinvoltura con la quale gli incaricati, quasi con dispregio dichiarato (destinato a segnare per sempre l'esistenza dell'«esposto»), determinano il cognome dei piccini abbandonati. Il più delle volte si sceglie la storpiatura di nomi già esistenti: appare evidente come ciò rappresenti la volontà di marchiare in modo indelebile l'identità del futuro fanciullo rendendolo a tutti riconoscibile come un trovatello, figlio di «n.n.». Un'assurda ingiustizia che si compie nei confronti degli infanti -futuri adulti-, ritenendoli responsabili di colpe che non hanno e delle quali purtroppo talvolta neppure le famiglie possono essere accusate. I genitori di Difendente Mattia Armati avvertono i «cari Signori di fare attenzione di quel figlio nato alli 11. Aprile quelli che faranno attenzione saranno ricompensati»;128 i genitori di Margarita Marta Pomeglio, destinano alla «ruota» un vero e proprio sacco ricolmo di biancheria per il neonato, limitandosi ad un telegrafico «Li prego per nome Margarita»;129 mentre quelli di Edoardo Guglielmo Castriccio precisano che «Questo figlio è stato consegnato il giorno 28. Novembre 1859. ore 5.1/2 sera. sarei a pregare la gentilezza sua se volessero metterlo il Nome di Edoardo questo biglietto le serva per segno che facilmente torneremo».130 «Casimiro Luigi Paolino Pietro guardate dove va questo ragazzo»,131 è l'espressione che utilizzano i genitori di un infante -con l'orgoglio riposto in un futuro immaginato sicuramente con grandi prospettive- che viene battezzato con il cognome di Beato. Contro ogni aspettativa muore undici giorni dopo la nascita. Di Guglielmina Caterina Olisio, accompagnata nell'abbandono dal biglietto «Per avere mia norma di metter nome Guglielmina»,132 non si hanno successiva notizie, mentre invece i genitori di Valeria Domenica Faramondo si rivolgono direttamente ad una dipendente del nosocomio per ricevere informazioni della figlia «esposta» tempo prima: «alla Signora Truc127. È impossibile determinare una media dei decessi, ma comunque in determinati periodi si calcola che soltanto sei su dieci neonati esposti riescano a diventare adulti. 128. Dichiarazione in data 12 aprile 1859, «Registro degli Esposti, dal 1859 a tutto il 1865», n. 7. 129. Idem, 2 novembre 1859, n. 20. 130. Idem, 29 novembre 1859, n. 23. 131. Idem, 23 giugno 1860, n. 11. 132. Idem, 4 agosto 1860, n. 15. 45 LUIGI BOTTA co -scrivono alla donna, probabilmente loro conoscente- io sono a pregarla con tanta. Carità di guardare il Nome di questa fìgliuola si troverà il suo padre e la sua madre a chiamare delle notizie».133 Altri genitori, certi di poter in futuro riappropriarsi del loro piccino, indicano la sigla che utilizzeranno per un successivo riconoscimento e forniscono nome e cognome che devono essere dati al neonato: «MMCDGT per Nome del Battesimo Giovanni Ferdinando Romeo questo ragazzo è nato il 23 Agosto alle ore quattro precise della sera nella città di Savigliano del 1861».134 Nessuna indicazione, invece, viene fornita per Margarita Elisabeta Nandana che però, successivamente, «venne ritirata dal sig. Derustici francesco proprietario nel Borgo Pieve».135 Accompagnato dal biglietto «avuleva» (ha avuto l'acqua) il neonato «di sesso mascolino di parto recente giudicato aborto perché non compiuto in tutte le sue parti, quale sebbene risultasse vivo al momento della sua esposizione morì poche ore dopo»136 ed ugualmente già battezzata in casa la piccina Isabella Marta Pinzoni: «li 1° Febbrajo nacque questa Bambina a ore tre dopo mezzo giorno e ha ricevuto l'acqua dico l'acqua e li prego di guardare dove anderà al bailatico».137 All'apparenza sono poco chiare le cause che hanno condotto a morte una piccina e le autorità competenti impongono un'accurata visita necroscopica. Dalla relazione del chirurgo Bertolino: «Avendo visitato un infante di sesso femminino esposto sulla tavola necroscopica di questo ospedale, nata da forse dieci od undici ore, e morta da quattr'ore a questa parte, non osservai indizi di violenza su nessuna parte del piccolo corpicino, come pure nessuna lesione esterna a cui si possa attribuire la morte tranne alcune scalfitture alla parte inferiore laterale sinistra del collo troppo leggere, e non accompagnate da nessuna ecchimosi, che possa indicare indizio di violenza, attribuibili secondo me a mano poco esercitata ne' parti e di nessuna conseguenza onde il sottoscritto crede doversi la morte attribuire od ad apoplesia da impressione di freddo, oppure ad una di quelle tante piccole cause capaci di minacciare una così delicata esistenza, senza che pos133. Idem, 27 gennaio 1861, n. 2. 134. Idem, 25 agosto 1861, n. 23. 135. Idem, 10 novembre 1861, n. 33. 136. Idem, 14 novembre 1861, n. 35. 137. Idem, 2 febbraio 1862, n. 1. 46 QUESTA FANCIULA A RICEUTO L’AQUA sa sospettarsi di nessun delitto concorso in questa morte».138 Otto mesi dopo l'abbandono di un piccino, una donna, Teresa Ballarino, originaria di Cocconato ma residente a Saluzzo, dichiara «al Sindaco di voler ritirare presso di se e provvedere al mantenimento del sunominato esposto»,139 che è Vittorio Francesco Armento; mentre i genitori di Giulio Biagio Agghiaccio invitano ad una emblematica «Riflessione dove si porta»;140 e quelli di Alberto Angelo Longino si raccomandano con il personale dell'ospedale: «Vi metto questo figlio nelle vostre mani, e vi prego di farmi il piacere di tenerlo bene tutto quello che potete e mi farete molto piacere…».141 Per il padre di Giuseppe Gaudenzio Dentato è segno di riconoscimento una scritta, vergata sul retro di un foglio blu con ornati in oro, leggibile soltanto a tratti: «Fratelli T. Mi... con privilegi... per perfezione... Trame Chino... 800…».142 È chiaro che l'altra parte della scritta, quella che dà il senso alla frase intera, rimane nelle mani del padre dell'«esposto». Per i genitori di Giovanna Margarita Cavalletta, invece, il riconoscimento si concretizza con un segno di una croce inscritto in una circonferenza;143 mentre per quelli di Giovanni Battista Arcolajo la possibilità di un futuro ricongiungimento è affidata alla scritta riportata sul retro di un'immagine religiosa della «Beata Rita venerata nella Chiesa Parrocchiale».144 Da parte della stretta parentela accresce la volontà di non abbandonare al loro destino i neonati. Si moltiplicano i segni di riconoscimento e, sicuramente, seppure manchi la documentazione, molti piccini vengono in seguito individuati, identificati e restituiti alle famiglie originali. I genitori, che vanno sempre più appartenendo alle classi meno abbienti, desiderano poter continuare il loro consueto lavoro, non essere legati in alcun modo ai primi mesi o anni di crescita del bambino, che molte volte significano, per questioni contingenti, la perdita parziale o totale di un salario misero, appena sufficiente alla sopravvivenza. Gli stessi genitori -è l'impressione che si ricava dai verbali di consegna degli «esposti» e dai tratti confidenziali che molte volte sono utilizzati nelle verbalizzazioni dei rinvenimentisono persone poi non del tutto sconosciute: esiste un tacito 138. Idem, 30 novembre 1852, n. 34. 139. Idem, 25 gennaio 1863, n. 4. 140. Idem, 31 gennaio 1863, n. 5. 141. Idem, 15 aprile 1863, n. 12. 142. Idem, 23 gennaio 1864, n. 4. 143. Idem, 19 giugno 1864, n. 16. 144. Idem, 27 ottobre 1865, n. 34. 47 LUIGI BOTTA accordo tra loro, la levatrice ed il personale dell'ospedale, che permette nell'immediato di disfarsi dei neonati e di riconoscerli in momenti successivi, superate le difficoltà dello svezzamento e dei primi anni d'esistenza. L'«esposizione» nella «ruota» dell'ospedale -e molte volte, contrariamente a quanto si verbalizza, la consegna dei neonati in forma diretta e personale- è un modo poco impegnativo per «posteggiare» per alcuni anni i figli, senza dover sostenere spesa alcuna per il mantenimento e continuare a svolgere regolare attività lavorativa, con la speranza di un salario -purtroppo miserevole- che non venga disperso in mille rivi. In realtà il fatto che la quasi totalità dei cognomi astrusi «affibiati» agli ignari neonati -soprattutto maschi- non appartenga ai registri degli Stati civili successivi dimostra proprio che del tutto abbandonati, questi «esposti», proprio non sono. Di sicuro molti genitori provvedono al riconoscimento ed alla conseguente modifica del cognome imposto. Molte fanciulle in età adulta si sposano ed acquisiscono il cognome del marito. Tanti trovatelli, superato il periodo dell'ospizio ed avviati ad un lavoro produttivo, per diversi ordini di motivi vengono adottati e rientrano, così come ne erano usciti all'atto della loro nascita, in quel circolo della normalità che codifica l'esistente. Percentualmente non indifferente è il numero degli «esposti» che lasciano questa vita già nei primi giorni d'esistenza ed altrettanto numeroso è il gruppo di coloro che non riesce a raggiungere l'età della ragione. Rimangono effettivamente in pochi. Tra questi, uomini e donne, molti sono destinati al celibato e al nubilato, e quindi orientati a non procreare tramandando la loro stirpe, altri a sposarsi senza poi avere figli. Non da meno quelli e quelle che abbracciano la vita religiosa, magari monastica, facendo finire le loro tracce sotto pelle, magari nell’anonimato del nuovo nome prescelto. Quanto rimane, in fondo, maritato e con figliolanza, è probabilmente molto poco. I dati registrati nei volumi della popolazione dimostrano effettivamente questo. Una quantità di cittadini, talvolta anche superiore al dieci per cento, che agli effetti anagrafici svanisce praticamente nel nulla nell'arco di qualche decennio. 48 QUESTA FANCIULA A RICEUTO L’AQUA I messaggi della «ruota» Alla sinistra dell’ingresso dell’ospedale Santissima Annunziata di Savigliano compare un tamponamento postumo disassato e molto mal realizzato che sostituisce le tre bugne decorative: riempie il vuoto che in origine era occupato dalla «ruota» e che dava comunicazione diretta tra l’esterno ed il locale in uso al custode ed al personale religioso. 49 LUIGI BOTTA L’ospedale saviglianese viene edificato tra il 1703 ed il 1710, su progetto di Antonio Bertola, e poi ampliato nel 1738 e nel 1791. 50 QUESTA FANCIULA A RICEUTO L’AQUA Il paragrafo 7 (part.) del «Saggio di Corografia della Città e Territorio di Savigliano» di Giovanni Antonio Marino (manoscritto in Archivio Storico Savigliano) che guarda con attenzione ai problemi ospedalieri (il Marino stesso è medico) occupandosi anche per la prima volta, in periodo napoleonico, del problema degli «esposti». Il disegno attribuito a Marco Nicolosino che documenta, nel terzo decennio dell’Ottocento, la facciata dell’ospedale Santissima Annunziata di Savigliano (Biblioteca Reale, Torino, in Ada Peyrot, «Cuneo e la sua provincia», Mario Astegiano, Marene, 2005) 51 LUIGI BOTTA Ad ogni neonato esposto viene dedicata una pagina dell’apposito registro. Quand’è insufficiente l’estensore passa alla successiva. I messaggi dei genitori destinati ad accompagnare i neonati nell’atto dell’abbandono sono ritrascritti nel testo ma anche allegati alla pagina interessata. L'atto del 28 giugno 1828 che documenta la registrazione in vita di Caterina Zottelli ed il biglietto vergato dai genitori con l'indicazione «Catlina Zottelli». 52 QUESTA FANCIULA A RICEUTO L’AQUA «questa fanciula a riceuto l'aqua», scrivono i genitori di Gioanna Maria Alfaggio; non certi, però, che il messaggio sia chiaro, aggiungono un secondo biglietto: «A riceuto laqua Per Maggior Sicuressa». Il nome «WENCESLAO, EMANUELE», allegato all'atto del 30 ottobre 1828, è annotato con caratteri evidenti su un foglietto molto grande. 53 LUIGI BOTTA Per Delfina Arbusto, registrata l'8 novembre 1828, i genitori hanno già provveduto al battesimo. L’informazione, come evidente, viene segnalata su un qualsiasi pezzo di carta stracciato. È ripiegato più volte il foglietto che accompagna l'infante abbandonato nella «ruota dello Spedal Maggiore» e registrato il 5 marzo 1829. Viene ribattezzato il giorno stesso in Santa Maria della Pieve. Appolonia Mastrillo, rinvenuta il 15 maggio 1829 alla quattro di notte su una delle finestre della cappella campestre della Beata Vergine della Neve, sulla strada di Monasterolo. È lasciata dentro «un cavagno di gorra rotto». Ha ricevuto l'acqua, così si spiega sul foglietto, ma non è ancora stata battezzata. 54 QUESTA FANCIULA A RICEUTO L’AQUA Il verbale del 22 gennaio 1830 che codifica l'avvenuta divisione dei due gemelli «esposti», chiamati l'uno Maurizio Noce e l'altro Lazaro Corniolo. Il parroco di Levaldigi, Benedetto Vacchetta, trasmette all'ospedale di Savigliano la segnalazione in latino del battesimo di Nicomede Brandini. 55 LUIGI BOTTA La lunga scritta che compare allegata alla pagina di verbale del 9 luglio 1830 relativo al rinvenimento di «giosepina», alla quale l'incaricato assegna Graziano come cognome. L’esame della pagina del verbale dimostra come il personale dell’ospedale, prima, e il parroco di Santa Maria della Pieve, poi, anziché provvedere a relazionare immediatamente sull’apposito registro, si siano serviti del foglio stesso utilizzato dal genitore per l’«esposizione» nella «ruota». Infatti le prime annotazioni compaiono proprio in calce alla scritta. La medesima chiede di conservare il biglietto presso l’economo (non sapendo probabilmente del fatto che venga allegato al verbale) perché a tempo debito i genitori si presenteranno con un analogo foglietto e riconosceranno la bimba abbandonata. 56 QUESTA FANCIULA A RICEUTO L’AQUA Nell’ordine (dall’alto in basso) la richiesta di battezzare l’infante col nome di «fortunata Roggerio», di indicare per l’eventuale futuro riconoscimento le iniziali «d-o» e di chiamare l’infanta «gabriela anna Maria». 57 LUIGI BOTTA Il biglietto col quale si richiede che ad una bimba venga assegnato il nome ed il cognome di «catarina Rosalia gioconda». Sul retro compare la giocata al lotto, terno sulla ruota di Torino (a fianco e sopra). È evidente che l'autore del biglietto vuol far apparire -verosimilmente o meno- che il bambino abbandonato sia figlio di qualche personaggio importante, addirittura componente di casa Savoia, che proprio soltanto a Racconigi possiede una delle residenze più importanti (sotto). 58 QUESTA FANCIULA A RICEUTO L’AQUA I due messaggi che accompagnano in contemporanea nella «ruota» l'abbandono di Francesco Lazzaro Temistacle. Nonostante l'impegno a conservare il biglietto per lo scambio -utile al successivo confronto e riconoscimento dell'infante abbandonato-, il fatto che il foglietto sia ancora in allegato al verbale significa che nessuno, in seguito, si è presentato a rivendicare la paternità e la maternità di Adelaide Maria Virginia Robinia. 59 LUIGI BOTTA Si chiede che l'infante venga registrata come Giuseppina Gaudino ed il responsabile non ha difficoltà ad accontentare l'interessato. La promessa dei genitori di ripensare in futuro alla loro bambina cade nel vuoto perché al momento del recupero dalla «ruota» è già priva di vita. Chiedono che la piccina sia chiamata «Carlota fortunata» e nel corredo lasciano un bavagliolo coi nomi di Giusj Casalino e di Vincenzo Oglio. 60 QUESTA FANCIULA A RICEUTO L’AQUA Il documento lasciato nella «ruota» con la piccina Clotilde Giuseppina Nemesi viene allegato alla dichiarazione del sindaco Fedele Novellis. Nel fornire indicazioni sulla figliola abbandonata, Marta Pressede Punica, il padre utilizza il retro della ricevuta di vendita dei bachi da seta alla filatura Novellis di Savigliano, sulla quale compare il suo probabile cognome. 61 LUIGI BOTTA Il genitore di un piccino abbandonato il 16 ottobre 1838 chiede con la dovuta enfasi che al medesimo venga messo il nome di Raffaele ed il cognome di Gallo. Una richiesta legittima anche perché, viene precisato, qualcuno si preoccuperà di seguire le vicende umane del fanciullino e di contribuire con mezzi all’intervento della balia. Sembra quasi esista l’intenzione di procedere in futuro al riconoscimento dell’infante abbandonato. La richiesta è oggetto di una vera e propria lettera. Non si comprende il motivo per cui l’economo dell’ospedale -o chi ne fa le veci nel momentodia all’«esposto» il cognome di Topinambour. Non è usuale, ma di tanto in tanto la scelta di non accontentare la richiesta dei genitori si concretizza, anche con l’utilizzo di nomi che in modo quasi spregevole aiutino a comprendere, in futuro, che la persona è priva di padre e madre naturali. 62 QUESTA FANCIULA A RICEUTO L’AQUA La pagina di verbale del 10 agosto 1844 nella quale si registrano, con i nominativi richiesti dai genitori, i gemelli Giulio Antonio e Lucia Antonia Romano («Giuglio Antonio e Lucia Antonia Romano hanno avuto l'acqua battesimale»). Vengono giudicati nati in un parto prematuro. All'atto del trasferimento dei medesimi all'ospizio di Saluzzo, il medico chirurgo Bertolino, dell'ospedale di Savigliano, giudica il maschietto «di gracile costituzione da credere che morirebbe per via se fosse trasferto a Saluzzo». Nonostante le cure presso il nosocomio, Giulio Antonio finisce ugualmente i suoi giorni nel primo mattino del 12 agosto. A fianco del suo nome viene trascritta la parola «morto». Ogni passaggio subito dagli imnfanti nell’ospedale saviglianese viene fedelmente annotato. Compresa la descrizione degli effetti che i genitori consegnano al personale del nosocomio attraverso l’abbandono all’interno della «ruota». 63 LUIGI BOTTA Il desiderio dei genitori è che l'infante venuto al mondo alle ore 23,30 del 2 giugno 1841 sia registrato con il nome di Giuseppe Agostino. Lo certifica, a nome del sindaco, il consigliere Giovanni Alfonso Stevano. Qualche persona potrebbe presentarsi, prima o poi, a ritirare Luigi Belmondo: lo scrive colui che lo abbandona nella «ruota dello Spedale Maggiore degli Infermi» (sopra). Sono ben cinque i nomi che il padre decide di far assegnare all'infante -poi chiamata Bellaluna- abbandonata intorno alle ore 5 del mattino del 15 gennaio 1841 (sotto). 64 QUESTA FANCIULA A RICEUTO L’AQUA Si dichiara «Umile Servo» l'autore della lettera che viene depositata nel «trapuntino» che ospita il piccolo Giuseppe Maria Santua, trasmessa all'autorità l'11 febbraio 1839 (sopra). È del 4 luglio 1839 l’appello che arriva dalle «fini» di Savigliano e che chiede il battesimo per l’«esposto» (a fianco). 65 LUIGI BOTTA La scelta di chiamare l'infante «esposto» in modo non comune, cioè Luigi Filippo Baromej, viene avanzata direttamente dai genitori. Il piccino è abbandonato la notte di venerdì 11 marzo 1842 nella «ruota» dell’ospedale. Adelaide Filomena Bellastella non è una piccina «di oscuri natali». 66 QUESTA FANCIULA A RICEUTO L’AQUA Uno dei volumi manoscritti che ospitano i verbali di ritrovamento dei bambini abbandonati sul territorio di Savigliano e non solo. Si tratta del «Registro degli Infanti esposti dal Mese Maggio 1842 al mese Agosto 1847». L'elenco dei piccini è trascritto in ordine cronologico. La responsabilità della firma e della dichiarazione si deve al sindaco. Oltre alla descrizione del rinvenimento e degli effetti ritrovati insieme ai neonati, si affrontano le modalità del battesimo e si assegnano nome e cognome all'infante. Il quadro complessivo deve essere esaustivo e concedere l’opportunità, in futuro, di possedere nel dettaglio tutti gli elementi utili a riconoscere l’«esposto». Nei volumi precedenti venivano anche allegati i messaggi ed i «desiderata» lasciati dai genitori. Sul presente, invece, sono soltanto più riportati come documento verbalizzato, in carattere diverso, nel testo. 67 LUIGI BOTTA Quello del 5 settembre 1844 dovrebbe essere l'unico foglio di verbale presente negli archivi saviglianesi che documenta la doppia identità di un neonato rinvenuto nella «ruota» dell'ospedale di Savigliano. Si tratta di «Brando Egidio Giuseppe Pio cioè Pia Giuseppe», È un «esposto» il cui padre, Giuseppe Pja, sergente dell'Aosta Cavalleria, dichiara sin da subito la disponibilità, in tempi ragionevoli, a riconoscere il figlio. Nonostante l’impegno da parte del genitore ad ufficializzare la sua posizione («fra breve giorni sarà riconosciuto dal padre e dalla madre»), per regolarità istituzionale l'incaricato provvede a stabilire comunque un nome ed un cognome inventato. Per facilitare l’eventuale successivo congiungimento si preoccupa però di far comparire tra i medesimi, come «pro memoria» di testimonianza, anche il nome del padre. Non è documentato, vista la mancanza di ulteriori annotazioni verbalizzate, se il riconoscimento promesso sia poi andato a buon fine. 68 QUESTA FANCIULA A RICEUTO L’AQUA Sembra essere, questo, l'unico verbale tra quelli che a Savigliano raccontano il fenomeno dell’«esposizione» che iscrive, tra gli «esposti», «Un Infante morto». Senza dargli un nome in quanto rinvenuto tale già nella «ruota». La relazione: «L'anno del Signore mille ottocento quarantasette alli Dodeci del mese di marzo in Savigliano, Noi Conte Giuseppe Boetti Sindaco. Sia noto a chi di ragione, che, pervenutoci a notizia essersi jeri sera (11. Corrente) alle ore otto esposto un'infante nella ruota dello Spedale maggiore della presente Città, immediatamente quivi trasferitici vi abbiamo trovato un'infante di sesso mascolino di parto immaturo, ed estinto, come dalla relazione del Signor Dottor Allasia, avvolto in uno straccio di percal lacero. Del che si è fatto formare il presente verbale, unitamente alla fede del suddetto Sig. Dottore Allasia per constatare dell'esposizione sudetta». 69