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La crisi dei confini in Europa (Rivista trimestrale di diritto pubblico, 2016)

In recent months, the migration crisis and the terrorist threat have caused a number of countries of the Schengen area to reintroduce internal border controls. The Union reacted by reforming key aspects of the border regime. On the one hand, the adoption of the «hotspot approach» and the creation of the European Border and Coast Guard rules out the principle of exclusive State responsibility as far as the management of external borders is conncerned. On the other hand, a parallel process takes place with regard to internal borders, where a supranational process of decision-sharing is established when a systemic threat requires the temporary reintroduction of controls. However, the future of Schengen also depends on other variables: the reform of the asylum and Dublin system, a more effective policy of return of irregular migrants and a closer cooperation between states in the fight against terrorism. Negli ultimi mesi, la crisi dei migranti e la minaccia terroristica hanno indotto numerosi paesi dell’area Schengen a reintrodurre i controlli alle frontiere interne. L’Unione ha reagito riformando aspetti chiave del regime dei confini. Sul versante esterno, per effetto del c.d. metodo hotspot e della disciplina della Guardia costiera e di frontiera, si supera il principio della responsabilità esclusiva degli Stati-frontiera nella gestione del perimetro di Schengen. Sul versante interno, si delinea un parallelo processo di condivisione delle decisioni sul ripristino temporaneo dei controlli quando la minaccia sia sistemica. L’area di libera circolazione ne esce rafforzata, ma il futuro di Schengen dipende anche da altre variabili, quali la riforma del sistema di asilo e di Dublino, una più efficace politica dei rimpatri dei migranti irregolari e una più stretta cooperazione tra apparati statali nella lotta al terrorismo.

RIVISTA TRIMESTRALE DI DIRITTO PUBBLICO ISSN60557-1464 Anno6LXVI6Fasc.636-62016 Mario6Savino LA CRISI DEI CONFINI Estratto Milano6•6Giuffrè6Editore LA CRISI DEI CONFINI MARIO SAVINO SOMMARIO: 1. Due ipotesi: «sussulto di sovranità» degli Stati o «deficit federale» dell’Unione? — 2. Dalla condivisione della gestione delle frontiere esterne... — 2.1. Il metodo «hotspot». — 2.2. La Guardia costiera e di frontiera europea. — 3. ...alla concertazione sulla reintroduzione dei controlli interni. — 4. Il futuro di Schengen. — 5. Conclusioni. La frontière protège de l’ennemi autant qu’elle le crée. Elle définit autant la sécurité qu’elle génère l’insécurité (1) 1. Da settembre 2015, ben nove dei ventisei paesi aderenti a Schengen (2) si sono avvalsi della facoltà di reintrodurre i controlli alle frontiere interne, per difendersi, in un caso (Francia), dalla minaccia terroristica (3); negli altri (Belgio, Danimarca, Germania, Ungheria, Austria, Slovenia, Svezia e Norvegia), dall’afflusso incontrollato di migranti (4). Così, a trenta anni dalla sottoscrizione dell’Accordo di (1) B. BADIE, La fin des territoires, Paris, Fayard, 1995, 48. (2) Si tratta di ventidue Stati membri dell’Unione europea (tutti ad eccezione di Bulgaria, Croazia, Cipro e Romania, cui vanno aggiunti l’Irlanda e il Regno Unito, che si sono avvalsi della clausola di opting-out) e di quattro paesi non appartenenti all’Ue, cioè Islanda, Liechtenstein, Norvegia e Svizzera. (3) Con quattro notifiche consecutive, la Francia ha ripristinato i controlli di frontiera, senza soluzione di continuità, dal 13 novembre 2015 ad oggi (la scadenza al momento prevista è il 26 gennaio 2017). Si veda l’elenco delle notifiche statali alla Commissione in merito alla reintroduzione temporanea dei controlli alle frontiere interne: http://ec.europa.eu/dgs/home-affairs/what-we-do/policies/borders-and-visas/schengen/ reintroduction-border-control/docs/msnotifications-reintroductionofbordercontrolen.pdf. (4) Commissione europea, Back to Schengen - A Roadmap, COM(2016) 120 final, 4 marzo 2016, 9. Per una disamina delle (diverse) ragioni poste a fondamento della reintroduzione dei controlli interne da parte degli Stati membri negli anni precedenti, si vedano M.A.H. VAN DER WOUDE and P. VAN BERLO, Crimmigration at the 740 MARIO SAVINO Schengen (5) e a venti anni dall’attuazione di quel disegno (6), lo spazio Schengen — un’area nella quale circolavano liberamente quattrocento milioni di persone — si è trovato a fronteggiare la sua più grave crisi. Quali ne sono le cause? Quali i rimedi adottati dall’Unione? Quali, infine, le prospettive di sopravvivenza di Schengen? Per rispondere, occorre considerare che la disciplina dei confini è frutto del bilanciamento tra due valori: la protezione da minacce esterne della comunità che vive in un dato territorio e la libertà di movimento del singolo. Da un lato, nell’ordine internazionale disegnato dalla pace di Westphalia, i confini sono un elemento costitutivo di quel fortunato esperimento comunitario che è lo Stato-nazione: non solo ne delimitano il perimetro giuridico di sovranità territoriale (7), ma operano come «markers of identity», cioè come elementi di differenziazione identitaria di una nazione (che si distingue dalle altre in quanto «possiede» un dato territorio), nonché come strumento di promozione e protezione degli interessi della comunità nazionale, la sicurezza in Internal Borders of Europe? Examining the Schengen Governance Package, in 11 Utrecht Law Review (2015), 61 ss., spec. 72-74, e K. GROENENDIJK, Reinstatement of Controls at the Internal Borders of Europe: Why and Against Whom?, in 11 European Law Journal (2014), 150-170, spec. 158-162. (5) L’Accordo Schengen fu sottoscritto da Francia, Germania e paesi del Benelux (Belgio, Olanda e Lussemburgo) il 14 giugno 1985. (6) Nel 1995, i paesi che avviarono il processo di abolizione dei controlli alla frontiere interne furono Belgio, Olanda, Lussemburgo, Francia, Germania, Spagna e Portogallo. Sul complesso processo che ha portato l’Italia a sottoscrivere l’Accordo di Schengen e la relativa Convenzione di esecuzione il 27 novembre 1990 dopo aver ceduto alle pressioni dei partners europei che chiedevano una politica dei visti e dell’immigrazione più restrittiva, S. PAOLI, The Schengen Agreements and their Impact on Euro-Mediterranean Relations: The Case of Italy and the Maghreb, in 21 Journal of European Integration History (2015), 125 ss., e ID., The Role of Schengen in the Europeanization of the Migration Policy: The Italian Case, in The Borders of Schengen, a cura di A. Cunha, M. Silva e R. Federico, Brussels, Peter Lang, 2015, 67 ss. L’effettivo ingresso dell’Italia nello spazio Schengen, avvenuto tra il 26 ottobre 1997, con l’abolizione dei controlli alle frontiere aeroportuali, e il 1º aprile 1998, con la rimozione dei controlli ai confini terrestri e marittimi, è giunto al termine di una non meno difficile negoziazione con i partners europei sui contenuti della legislazione italiana in materia di immigrazione, trasfusi nella legge 6 marzo 1998, n. 40 (c.d. Turco-Napolitano) e nel successivo d.lg. 25 luglio 1998, n. 286 (c.d. testo unico dell’immigrazione). (7) Sul territorio come elemento di individuazione della persona giuridica statale e fondamento della esclusività del suo potere, A. DI MARTINO, Il territorio: dallo Stato-nazione alla globalizzazione, Milano, Giuffrè, 2010, 194 ss. LA CRISI DEI CONFINI 741 primis (8). Dall’altro, i confini segnano il limite della libertà di movimento garantita e determinano, di conseguenza, una restrizione delle opportunità economiche e degli orizzonti di vita dei singoli. La realizzazione di Schengen ha prodotto, nella cultura europea, un ridimensionamento della prima rappresentazione dei confini (come strumento di promozione dei processi di nation-building) e, per converso una esaltazione della seconda (di limite all’esercizio delle libertà individuali). Ai progetti nazionali degli Stati europei è stato così inferto un duplice colpo. Innanzitutto, anteponendo la dimensione individualista della libertà (di movimento) alla dimensione comunitaria del limite (o confine), Schengen ha contribuito a delegittimare e rendere anacronistico l’ideale di comunità nazionali omogenee, coese, territorialmente delimitate e protette da frontiere ben presidiate (9). Inoltre, l’Unione ha fatto di quell’area di libera circolazione il simbolo di un nuovo processo identitario, non alternativo, e tuttavia in certa misura antagonista, rispetto a quello nazionale, riassunto nel concetto di cittadinanza europea (10). Questo duplice attacco allo Stato-nazione è una possibile chiave di (8) Per queste «funzioni» delle frontiere, M. ANDERSON, Frontiers: Territory and State Formation in the Modern World, Cambridge, 1996, 2. Sulla rappresentazione della nazione come gruppo di persone che si identificano in un territorio, A.B. MURPHY, The Sovereign State System as a Political-territorial Ideal: Historical and Contemporary Considerations, in State Sovereingty as a Social Construct, a cura di T. Bierstecker e C. Weber, Cambridge, CUP, 1996, 97 ss. Sul rapporto rapporto tra ordine e frontiere, M. ALBERT, D. JACOBSON e J. LAPID (a cura di), Identities, Borders, Orders: Rethinking International Relations Theory, Minneapolis, University of Minnesota Press, 2000; R. ZAIOTTI, Cultures of Border Control: Schengen and the evolution of European frontiers, Chicago, University of Chicago Press, 2011; G. CAMPESI, Polizia della frontiera. Frontex e la produzione dello spazio europeo, Roma, Deriveapprodi, 2015. (9) Sulla dimensione individualista dei diritti di libertà («anti-community rights») come fondamento, si veda J.H.H. WEILER, Deciphering the Political and Legal DNA of European Integration, in Philosophical Foundations of European Union Law, a cura di J. Dickinson e P. Eleftheriadis, Oxford, Oxford University Press, 137 ss., spec. 154 ss., secondo il quale l’orientamento anti-comunitario del processo di integrazione europea contribuirebbe a spiegare perché «social mobilization in Europe is strongest when the direct interest of the individual is at stake, and at its weakest when it requires tending to the needs of the other» (158), migranti inclusi. (10) Si veda, ad esempio, il discorso pronunciato dal Presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker proprio all’inizio della crisi di Schengen (ID., State of the Union 2015: Time for Honesty, Unity and Solidarity, Strasbourg, 9 September 2015), nel quale si parla dello spazio Schengen come «unique symbol of European integration» 742 MARIO SAVINO lettura della crisi in esame. A causa di Schengen, i confini interni hanno cessato di operare al servizio dei progetti nazionali: non sono più markers of identity, perché non sono più utilizzabili né per controllare gli ingressi, cioè per preservare la corrispondenza tra popolo e territorio, né per promuovere e proteggere gli interessi nazionali. Con una eccezione, corrispondente al solo interesse che Schengen lascia alla cura statale: la tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza nazionale, che può giustificare — sia pure, come si vedrà (§ 3), soltanto in via temporanea, con condizionamenti procedurali e come «extrema ratio» — la reintroduzione dei controlli alle frontiere interne (11). La recente propensione di alcuni governi europei a utilizzare quel che resta del loro potere di controllare i confini per limitare l’afflusso di migranti può essere intesa come un «sussulto di sovranità»: lo Stato-nazione tenta di resistere al suo declino, valorizzando la sua primaria missione hobbesiana — tutelare l’ordine interno e la sicurezza dei cittadini — nel contesto, però, di un’Europa continentale nella quale (non lo Stato in sé, ma) lo Stato come proiezione di una comunità nazionale pare destinato al tramonto (12). Vi è, però, almeno una seconda chiave interpretativa della crisi europea dei confini, che guarda al polo sovranazionale di gravitazione delle identità continentali. L’incompleta spoliazione degli attributi dello Stato-nazione — che conservano il potere di reintrodurre i controlli interni, nonché di gestire le frontiere esterne e, dunque, di stabilire l’effettivo grado di unitarietà e apertura dello spazio Schengen — può essere vista come un impedimento che non consente all’Unione di mantenere la sua promessa: realizzare un’area di libera circolazione, nella quale la sicurezza e la giustizia siano egualmente garantite, «nel rispetto dei diritti fondamentali nonché dei diversi (11) La qualificazione della reintroduzione dei controlli come misura di «extrema ratio» compare ben sei volte nel regolamento (UE) 2016/399 del Parlamento europeo e del Consiglio del 9 marzo 2016 (Codice frontiere Schengen). (12) La tesi del declino dello Stato-nazione, inteso come progetto politico che ambisce a costruire la coesione della comunità statale su presupposti di omogeneità etno-culturale ormai irrealizzabili, è sostenuta, tra gli altri, da chi (come R. ZAIOTTI, Cultures of Border Control, cit., 14) vede nella realizzazione dell’area di libera circolazione delle persone il superamento della concezione «westphaliana» del controllo dei confini, in favore di una visione che può dirsi «post-nazionale», ma non «poststatalista», proprio perché nel regime di Schengen gli Stati restano attori decisivi e conservano la titolarità di rilevanti poteri. LA CRISI DEI CONFINI 743 ordinamenti giuridici e delle diverse tradizioni giuridiche degli Stati membri» (13). In questa prospettiva, la crisi in esame appare il risultato di asimmetrie e squilibri che i processi di autodeterminazione nazionale non consentono di superare e che, tuttavia, minano la stabilità dell’edificio: il sintomo, cioè, di un insuperabile «deficit federale» dell’Unione, che conferisce ai cittadini europei il diritto alla libertà di circolazione, ma non è poi in grado, per carenza di poteri ancora nelle mani degli Stati, di impedire che della libera circolazione godano (e abusino) anche i sospetti terroristi, i migranti irregolari e i richiedenti asilo. La sclerosi dello spazio Schengen — nato in un’epoca nella quale le minacce principali erano il traffico transfrontaliero di droga e la criminalità organizzata (14) e, pertanto, non in grado di rispondere alla nuove sfide poste dal terrorismo e dalle migrazioni — sarebbe appunto la riprova dell’esistenza di un deficit hobbesiano della «forza gentile» europea (15), che solo attraverso gli Stati può essere colmato. L’analisi di seguito condotta si concentra sul modo in cui l’Unione e il suo diritto hanno reagito di fronte alla crisi sia sul versante esterno della gestione del perimetro di Schengen (§ 2), sia sul versante interno della reintroduzione temporanea dei controlli (§ 3). Si tornerà, quindi, al tema dell’incerto futuro di Schengen (§ 4) e alle ipotesi interpretative sopra formulate (§ 5). 2. Sebbene l’accresciuta percezione della minaccia terroristica di matrice islamica — soprattutto a seguito degli eventi del 13 novembre 2015 a Parigi — abbia contribuito a mettere in discussione la «tenuta» all’area Schengen (16) e indotto la Francia a ripristinare i controlli sull’attraversamento delle proprie frontiere interne (17), il primo fattore esogeno della crisi è rappresentato dal considerevole incremento dei flussi non autorizzati di migranti extracomunitari giunti sulle coste greche e italiane nel 2015. Costanti tra il 2008 e il 2013 (mai superiori (13) Art. 67 TFUE. (14) Come traspare dall’art. 9 dell’Accordo di Schengen del 1985: «The Parties shall reinforce cooperation between their customs and police authorities, notably in combating crime, particularly illicit trafficking in narcotic drugs and arms, the unauthorised entry and residence of persons, customs and tax fraud and smuggling». (15) T. PADOA-SCHIOPPA, Europa, forza gentile, Bologna, il Mulino, 2001. (16) Si veda l’autorevole analisi dell’ex capo di Interpol: R.K. NOBLE, Europe’s Welcome Sign to Terrorists, New York Times, 19 novembre 2015. (17) Si veda supra, nota 3. 744 MARIO SAVINO ai sessanta-settanta mila per anno), gli arrivi via mare nell’area Schengen sono divenuti duecentosedici mila nel 2014 e hanno addirittura superato il milione nel 2015, con un’ulteriore accelerazione nei primi tre mesi del 2016 (centosettanta mila arrivi, contro i ventidue mila dei primi tre mesi del 2015) (18). Il principale pull factor è noto: il deterioramento delle condizioni di sicurezza nel Medioriente e, in particolare, l’aggravamento del conflitto siriano (19). Ne è derivata una crisi migratoria che è soprattutto una crisi dei rifugiati. Attraverso la Grecia, sono giunti nel cuore dell’Europa, percorrendo la «rotta balcanica», oltre un milione di migranti (siriani, ma anche afghani e iracheni) aventi diritto alla protezione internazionale (20). L’Italia ha, invece, continuato a costituire il principale approdo e territorio di transito per flussi misti, più contenuti, di richiedenti asilo e migranti economici dall’Africa (21). In termini assoluti, l’arrivo, nell’arco di due anni, di un milione e mezzo di migranti in un’area (Schengen) nella quale vivono oltre 400 milioni di persone non può considerarsi né una invasione (22), nè un (18) Si fa riferimento ai dati raccolti all’Agenzia Onu per i rifugiati, quotidianamenti aggiornati e consultabili online (http://data.unhcr.org/mediterranean/regional. php). (19) Secondo i dati raccolti dall’Agenzia Onu per i rifugiati (UNHCR, Global Trends: Forced Displacement 2015, giugno 2016, nonché http://data.unhcr.org/syrianrefugees/regional.php e http://data.unhcr.org/syrianrefugees/asylum.php), a metà 2016 i rifugiati siriani sono quasi cinque milioni, dei quali circa settecento mila hanno chiesto asilo in paesi dell’Unione (quasi metà dei quali in Germania, che ha ricevuto quattrocentoquarantuno mila richieste di asilo nel solo 2015). La gran parte dei profughi siriani è dislocata tra Turchia (circa due milioni e cinquecento mila), Libano (circa un milione), Giordania (circa seicentocinquanta mila) e Iraq (circa duecentocinquanta mila). (20) I migranti giunti in Grecia nel periodo indicato provengono principalmente da paesi in guerra: in particolare, dalla Siria (cinquantacinque per cento), dall’Afghanistan (venticinque per cento) e dall’Iraq (undici per cento). Per questi dati, UNHCR, Nationality of arrivals to Greece, Italy and Spain (January 2015 – March 2016), 25 aprile 2016, 3. (21) Dei circa centosettanta mila migranti giunti in Italia nel periodo compreso tra il 1º gennaio 2015 e il 31 marzo 2016, il ventitre per cento proviene dall’Eritrea, il quindici per cento dalla Nigeria, l’otto per cento dalla Somalia, il quattro per cento dalla Siria, con una elevata varietà di paesi d’origine per il rimanente cinquanta per cento (UNHCR, Nationality of arrivals, cit., 3). (22) Anche in considerazione dell’impatto positivo che l’immigrazione ha sulla dinamica demografica dell’Unione: come la Commissione ha ricordato nell’Agenda europea sulla migrazione (COM(2015)240 final, 13 maggio 2015, 16), «in assenza di LA CRISI DEI CONFINI 745 contributo all’accoglienza di profughi proporzionato alla ricchezza di quest’area del mondo (23). Tuttavia, l’improvviso aumento degli sbarchi ha evidenziato i limiti della governance di Schengen. Le carenze dell’Italia e ancor più della Grecia nella gestione delle frontiere esterne — cioè, in concreto, nel registrare gli arrivi e nel distinguere tra richiedenti asilo e migranti economici da rimpatriare — hanno determinato l’ingresso incontrollato di migranti nell’area di libera circolazione, inducendo la reazione «difensiva» dei principali paesi di destinazione di tali flussi (24). Per ovviare a queste deficienze, l’Unione europea ha elaborato una strategia composita, fatta di misure emergenziali e misure a regime (25), tese al superamento di uno dei principali postulati «wetphaliani» ancora esistenti nell’area Schengen: il principio per cui la gestione delle frontiere esterne ricade nell’esclusiva responsabilità dello Stato il cui confine coincide con il perimetro dello spazio Schengen (26). 2.1. Un primo passo verso il superamento di tale principio è stato compiuto con la creazione dei c.d. punti di crisi o hotspots. In base a questo nuovo metodo di cooperazione amministrativa, proposto nell’Agenda europea sulla migrazione del maggio 2015 per coadiuvare gli Stati-frontiera sottoposti a una maggiore pressione (finora, Grecia e Italia) (27), appositi migration management support teams — organi misti composti da funzionari di altri Stati membri, immigrazione, la popolazione dell’UE in età lavorativa diminuirà di 17,5 milioni di persone nel prossimo decennio». (23) Dei circa sedici milioni di migranti forzati riconducibili alla categoria dei rifugiati, in Europa vivono 1,8 milioni, a fronte di 4,8 in Africa e 8,7 in Asia (UNHCR, Global Trends: Forced Displacement 2015, 20 giugno 2016, 60). Nello stesso rapporto si rileva che, alla fine del 2015, i paesi delle regioni sviluppate, come l’Europa, ospitavano 2,2 milioni di rifugiati, contro i 13,9 milioni ospitati in paesi in via di sviluppo (ibidem, 18). (24) Come anticipato, da settembre 2015, ben otto dei ventisei paesi aderenti a Schengen — Belgio, Danimarca, Germania, Ungheria, Austria, Slovenia, Svezia e Norvegia — si sono avvalsi della facoltà di reintrodurre i controlli alle frontiere interne, indicando nell’afflusso incontrollato di migranti il motivo della loro decisione. (25) Commissione europea, Agenda europea sulla migrazione, COM(2015)240 final, 13 maggio 2015 e Commissione europea, Back to Schengen - A Roadmap, COM(2016)120 final, 4 marzo 2016. (26) Tale principio, previsto già in origine (art. 6 della Convenzione del 19 giugno 1990, di esecuzione dell’Accordo di Schengen), è ora sancito dagli artt. 15 e 16 del Codice frontiere Schengen. (27) Commissione, Agenda europea sulla migrazione, cit., 7. 746 MARIO SAVINO nonché da personale dell’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo (EASO), di FRONTEX e di Europol — coadiuvano le guardie di frontiera nazionali in attività (di identificazione, registrazione e rilevamento delle impronte digitali dei migranti in arrivo) che costituiscono il presupposto necessario per la corretta applicazione delle norme europee sull’asilo e sui rimpatri. Alla rete composta dalle agenzie europee è, altresì, assegnato il duplice importante compito di assistere le autorità dello Stato-frontiera nell’avviare i richiedenti alla procedura di asilo (con intervento di apposite squadre dell’EASO) e nel rimpatriare gli irregolari (in questo caso, con il coordinamento di FRONTEX) (28). Pur in assenza di una autonoma disciplina europea (29), l’approccio hotspot è stato gradualmente applicato nei mesi scorsi in Grecia e in Italia (30), con primi importanti risultati sul piano sia della registrazione degli arrivi (31), sia della razionalizzazione del processo di selezione tra richiedenti asilo e migranti economici. Le criticità, tuttavia, non mancano. Sul piano operativo, pesano, soprattutto in Grecia, le carenze infrastrutturali e organizzative dell’amministrazione statale (32), ma anche la scarsa cooperazione fornita da altri Stati membri (33). (28) Commissione europea, Managing the refugee crisis: immediate operational, budgetary and legal measures under the European Agenda on Migration, COM(2015) 490, 23 settembre 2015, 7 e Allegato 2. (29) Su tale lacuna, destinata a essere parzialmente colmata con l’adozione del regolamento istitutivo della Guardia costiera e di confine europea (infra, § 2.2), si veda la raccomandazione contenuta nello studio del Parlamento europeo, On the Frontline: the Hotspot Approach to Managing Migration, Brussels, maggio 2016, 43 s. (30) Tra la fine del 2015 e l’inizio del 2016, sono stati istituiti quattro hotspots in Grecia (Lesvos, Chios, Samos e Leros sono operativi e, a breve, dovrebbe aggiungersi Kos) e altrettanti in Italia (Lampedusa, Pozzallo, Trapani e Taranto). (31) La registrazione dei migranti dopo lo sbarco, con acquisizione delle impronte digitali, avviene ormai in modo sistematico in Italia, mentre in Grecia, per rimediare alle carenze tuttora esistenti, uno specifico «mass pre-registration exercise», coadiuvato dall’EASO e da organismi internazionali (UNHCR e IOM), è stato avviato all’inizio di giugno 2016. (32) Si vedano le cinquanta raccomandazioni rivolte alla Grecia per la piena applicazione dell’acquis di Schengen, contenute nella decisione di esecuzione del Consiglio dell’Unione europea del 12 febbraio 2016 (http://data.consilium.europa.eu/ doc/document/ST-5985-2016-INIT/it/pdf). (33) Come rilevato in un rapporto della Commissione (Progress report on the implementation of the hotspot approach in Greece, COM(2016) 141 final, 4 marzo 2016, 6 e 9-10), sono numerosi gli Stati membri che non inviano gli esperti nazionali richiesti LA CRISI DEI CONFINI 747 Quanto alla tutela dei diritti, numerosi rapporti documentano la tendenza delle guardie di frontiera, operanti negli hotspots greci e italiani, ad abusare della detenzione amministrativa (34), a non garantire un processo informativo trasparente in merito alle possibilità offerte dalla disciplina dell’asilo, e ad adottare procedure di respingimento sommarie, in violazione del diritto al contraddittorio e del divieto di respingimenti collettivi (35). Il regolamento istitutivo della nuova Guardia costiera e di frontiera europea dovrebbe consentire di superare o almeno attenuare alcune criticità (36), accelerando la transizione in atto da una gestione delle frontiere esterne svolta in via esclusiva dalle autorità dei singoli Stati membri a una gestione condivisa e supervisionata da squadre miste, nella quale le guardie nazionali di frontiera siano affiancate da funzionari europei e di altri Stati membri appositamente formati. Il modello di gestione «mista» delle frontiere esterne che si va delineando — pur bisognoso di un rafforzamento sotto i profili dell’accountability e della trasparenza delle attività svolte negli hotspots — fa, dunque, leva sulla coamministrazione per superare la tradizionale diffidenza verso i controlli svolti da singoli Stati-frontiera e creare quelle condizioni di affidabilità delle attività di frontiera che sono essenziali per la sopravvivenza dello spazio di libera circolazione (37). come componenti dei migration management support teams, che non rispondono (o rispondono in ritardo) alle richieste di relocation, e/o che richiedono approfonditi «security checks», con conseguente ulteriore rallentamento del processo di ricollocazione. (34) Negli hotspots italiani, il trattenimento dei migranti è praticato, spesso per periodi non brevi e in strutture e condizioni inadeguate, addirittura in via di fatto, in assenza di una previsione legislativa che autorizzi siffatta limitazione della libertà personale. Sia consentito rinviare, sul punto, a M. SAVINO, L’«amministrativizzazione» della libertà personale e del due process dei migranti: il caso Khlaifia, in Diritto immigrazione e cittadinanza, 2016, spec. 51 ss. (35) Sulla portata di tale divieto, stabilito dall’art. 4, Protocollo 4 della CEDU, si veda Corte EDU (seconda sezione), Khlaifia e altri c. Italia (ricorso n. 16483/12), sentenza 1º settembre 2015. (36) Oltre alla previsione di attività di formazione delle guardie di frontiera nazionali, sarà costituito, con il contributo obbligatorio di tutti gli Stati membri, un contingente di almeno mille cinquecento guardie di frontiera, delle quali l’Agenzia europea potrà disporre anche per integrare i management migration support teams che coordinano le attività amministrative svolte negli hotspots. Si veda anche infra, § 2.2. (37) S. PEERS, The Reform of Frontex: Saving Schengen at Refugees’ Expense?, in EU Law Analysis, 16 dicembre 2015. 748 MARIO SAVINO 2.2. Un secondo ancor più incisivo passo nella stessa direzione è rappresentato dalla trasformazione di FRONTEX — l’agenzia europea responsabile della cooperazione operativa tra Stati membri nella gestione delle frontiere esterne, istituita nel 2004 (38) — nella già menzionata Guardia costiera e di frontiera europea, dotata di poteri e risorse notevolmente rafforzati. Come enunciato nella proposta avanzata dalla Commissione nel dicembre 2015, l’obiettivo è la realizzazione del «sistema integrato di gestione delle frontiere esterne» prefigurato dal trattato di Lisbona (art. 77 TFUE) (39). In base al testo normativo ormai definitivo (40), la nuova agenzia non si limiterà più al coordinamento operativo tra i corpi di frontiera nazionali, ma assicurerà assistenza a ogni Stato membro che si trovi in difficoltà nel gestire una pressione migratoria «sproporzionata» o ogni altra minaccia alle frontiere esterne. La nuova disciplina rafforza la condivisione dei poteri di gestione delle frontiere in tre modi. Innanzitutto, attribuisce alla nuova Agenzia — in aggiunta ai compiti di formazione e analisi dei rischi già propri di FRONTEX — rilevanti funzioni di indirizzo (compresa la definizione di una «strategia operativa e tecnica per la gestione integrata delle frontiere esterne», alla quale le autorità nazionali devono conformarsi) e di monitoraggio (svolto tramite una rete di ufficiali di collegamento, dislocati negli Stati membri) destinati a orientare la gestione ordinaria delle frontiere esterne. In secondo luogo, all’Agenzia è assegnata un’ampia gamma di poteri di raccomandazione e operativi, finalizzati a garantire agli Stati-frontiera in difficoltà l’assistenza operativa e tecnica necessaria per ripristinare un regolare svolgimento dei controlli. L’Agenzia potrà, (38) Regolamento (CE) n. 2007/2004. (39) Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alla guardia costiera e di frontiera europea, COM(2015) 671 final, 15 dicembre 2015. Si veda anche la comunicazione della Commissione, A European Border and Coast Guard and effective management of Europe’s external borders, COM(2015) 673 final, dello stesso giorno. (40) Il regolamento della guardia costiera e di frontiera europea è stato approvato in via definitiva dal Parlamento europeo il 2 agosto 2016. In attesa dell’approvazione finale da parte del Consiglio e della pubblicazione del testo, di seguito si farà riferimento alla bozza del regolamento informalmente concordato dal Parlamento europeo e dal Consiglio dell’Unione il 22 giugno 2016, 2015/0310(COD), di seguito indicata come «bozza definitiva del regolamento». LA CRISI DEI CONFINI 749 tra l’altro, organizzare operazioni congiunte o l’intervento rapido, negli hotspots o in altri contesti emergenziali, di apposite squadre europee da essa direttamente dipendenti (European border and coast guard teams) (41). In terzo luogo, la nuova Guardia europea è chiamata a dare un contributo al problema della scarsa effettività dei rimpatri dei migranti irregolari. Ferma restando la spettanza alle autorità nazionali delle decisioni individuali di espulsione, l’Agenzia ha il compito di supportare gli Stati membri in vari modi: organizzando di propria iniziativa operazioni congiunte di rimpatrio; effettuando interventi di rimpatrio mediante l’impiego di appositi European return intervention teams; coadiuvando le amministrazioni nazionali nell’acquisizione dei documenti dei migranti da rimpatriare; favorendo forme di cooperazione tecnica e operativa con i paesi terzi tramite una rete stabile di liaison officers ivi dislocati (42). Al potenziamento della capacità operativa della nuova Agenzia e delle forme di condivisione da essa coordinate non corrisponde, però, la predisposizione di adeguati meccanismi giuridici di accountability. Sebbene il regolamento istitutivo dell’Agenzia contenga ripetuti richiami alla necessità di rispettare i diritti fondamentali sia nello svolgimento dalle attività organizzate o coordinate dall’Agenzia, sia nell’instaurare rapporti con paesi terzi (43) (anche di quelli finalizzati alla riammissione di migranti irregolari) (44), non sono previsti rimedi (41) Poiché — come anticipato (§ 2.1) — la fase di prima attuazione del metodo hotspot ha evidenziato la riluttanza degli Stati membri a inviare in Grecia e in Italia i funzionari nazionali necessari a comporre, il regolamento metterà a disposizione dell’Agenzia riserve stabili di personale («rapid reaction pool»), con risorse umane statali individuate ex ante. L’art. 19 della bozza definitiva di regolamento definisce la composizione dei teams a disposizione dell’Agenzia e il contingente di personale che ciascuno Stato membro dovrà garantire. (42) Artt. 26 ss. della bozza definitiva di regolamento. (43) Come chiarisce il considerando 28 della bozza definitiva di regolamento, nel cooperare con paesi terzi «the Agency and Member States should comply with Union law, including with regard to the protection of fundamental rights and the principle of non-refoulement at all times and also when the cooperation with third countries takes place on the territory of those countries». Inoltre, l’art. 54 esclude che i liaison officers possano essere dislocati in paesi terzi nei quali la gestione delle frontiere non è conforme agli standards minimi di tutela dei diritti umani. (44) Si veda il monito contenuto nel considerando 21c) della bozza definitiva di regolamento: «The possible existence of an arrangement between a Member State and a third country does not absolve the Agency or the Member States from their 750 MARIO SAVINO adeguati nel caso di violazioni. Il meccanismo di reclamo introdotto dal regolamento appare debole, sia perché le decisioni sull’ammissibilità e sul merito della denuncia sono affidate a organi (rispettivamente, il Fundamental Rights Officer e il Direttore esecutivo) non indipendenti rispetto all’Agenzia (45); sia perché non sono previsti strumenti di ricorso giurisdizionale contro l’eventuale rigetto della denuncia (46). Pur con i limiti di legal accountability indicati, l’attività della nuova agenzia europea è destinata a diventare il centro propulsore di un modello di coamministrazione che, senza mettere in discussione la responsabilità primaria dei singoli Stati-frontiera, avvicina sensibilmente il regime delle frontiere esterne a quel modello di gestione integrata o condivisa di cui parla l’art. 77 TFUE. La crisi di Schengen ingenerata dalle difficoltà della Grecia e dell’Italia nella gestione dei flussi alle frontiere esterne ha fatto emergere in modo evidente la connessione tra le attività di frontiera e l’interesse comune al corretto funzionamento dello spazio di libera circolazione, rispetto al quale gli interessi del singolo Stato-frontiera — non di rado, territorio di mero transito dei migranti verso altri paesi europei — appaiono ormai recessivi. La crescente rilevanza sovranazionale dei controlli esterni spiega il progressivo superamento del tradizionale principio della responsabilità esclusiva dello Stato-frontiera in favore del principio della «shared responsibility». E spiega, di conseguenza, l’attribuzione all’amministrazione europea dei poteri necessari ad evitare che si producano cedimenti nel sistema di gestione delle frontiere esterne (47). Emblematica è la vicenda del «diritto di intervento» dell’Unione nel caso in cui la mala gestio di uno Stato-frontiera minacci il corretto funzionamento dell’area Schengen. obligations under Union or international law, in particular as regards compliance with the principle of non-refoulement». (45) Il Fundamental Rights Officer e il Direttore esecutivo sono entrambi nominati dal consiglio di amministrazione dell’Agenzia (artt. 61, comma 2, e 71, comma 1, della bozza definitiva di regolamento). (46) S. PEERS, The Reform of Frontex: Saving Schengen at Refugees’ Expense?, cit. (47) Come chiarisce il considerando 5 della bozza definitiva di regolamento, nell’abito del nuovo sistema di gestione, «[w]hile Member States retain the primary responsibility for the management of their external borders in their interest and in the interest of all Member States, the European Border and Coast Guard Agency should support the application of Union measures relating to the management of the external borders by reinforcing, assessing and coordinating the actions of Member States which implement those measures». LA CRISI DEI CONFINI 751 La proposta iniziale della Commissione prevedeva che la Guardia europea potesse intervenire nel punto di crisi sulla base di una decisione (misura di esecuzione) adottata dalla Commissione, anche senza il consenso dello Stato-frontiera interessato (48). Nella versione definitiva del regolamento, questa ipotesi di interferenza nella sfera — un tempo intangibile — di sovranità territoriale degli Stati è stata temperata in due modi: innanzitutto, attribuendo il compito di adottare la misura di esecuzione, in via eccezionale, al Consiglio (49); inoltre, stabilendo che, qualora lo Stato non si adegui entro un mese alla decisione del Consiglio — cioè non cooperi all’attuazione del piano operativo predisposto dall’Agenzia — la Commissione possa avviare la procedura di reintroduzione coordinata dei controlli alle frontiere interne prevista dall’art. 29 del Codice frontiere Schengen (50). La sovranità dello Stato-frontiera recalcitrante è, dunque, salva, ma soltanto nel senso che nessun intervento europeo è ammesso nel suo territorio senza il suo consenso. Tuttavia, quel consenso sarà difficile da negare, perché il Consiglio potrà raccomandare agli Stati membri confinanti di reintrodurre i controlli alle frontiere interne e così escludere dallo spazio Schengen, sia pure temporaneamente e in via di fatto, lo Stato-frontiera inadempiente, che si troverebbe, così, a gestire in solitudine i flussi di migranti non autorizzati in arrivo sul suo territorio. Una soluzione ingegnosa per salvaguardare Schengen senza compromettere la sovranità statale e, al contempo, per ricordare ai paesi partner che la regola del gioco — «tutti per uno, uno per tutti» — implica l’emarginazione di chi non coopera. 3. Paradossalmente, a dispetto delle numerose misure messe in campo dall’Unione per riprendere il controllo dei flussi migratori e ripristinare le condizioni di funzionamento dell’area di libera circolazione, la decisione rivelatasi più efficace, nell’interesse europeo, è stata assunta da un paese terzo in palese violazione del diritto d’asilo. Si (48) Comunicazione della Commissione, A European Border and Coast Guard, cit., 6. (49) In base all’art. 291 TFUE, il potere di esecuzione spetta, di regola, alla Commissione, potendo essere conferito al Consiglio soltanto «in casi specifici debitamente motivati». Il considerando 17 del testo del regolamento in via di adozione individua nella «potential politically-sensitive nature of the measures to be decided, often touching on national executive and enforcement powers» il motivo dell’attribuzione di tale potere al Consiglio. (50) Art. 18 della bozza definitiva del regolamento. 752 MARIO SAVINO allude alla chiusura completa della frontiera con la Grecia decisa dalla Macedonia l’8 marzo 2016, con conseguente blocco della «rotta balcanica», che nei mesi precedenti aveva rappresentato la principale via di accesso alla Germania e agli altri paesi del Centro e Nord Europa per centinaia di migliaia di profughi. L’effetto di deterrenza è stato amplificato, anche sul piano mediatico, dal concomitante accordo tra Unione europea e Turchia. Attuato dal 20 marzo 2016, tale accordo prevede, da un lato, la riammissione in Turchia dei migranti che, giunti in Grecia, non abbiano presentato domanda di asilo o la cui domanda sia stata respinta; dall’altro, il reinsediamento in paesi dell’Unione di un rifugiato per ogni migrante rimpatriato in Turchia dalla Grecia (c.d. schema «uno a uno»). Sebbene tale meccanismo non stia in concreto operando (51), la sua regola di base — secondo cui il migrante che tenti di entrare irregolarmente in Grecia perde la possibilità di essere inserito nel programma di reinsediamento dell’Unione europea — mira appunto a scoraggiare il tentativo dei (circa 2,5 milioni di) profughi attualmente in Turchia di raggiungere la Grecia (52). Il risultato è stato conseguito. Negli ultimi mesi, il flusso di migranti dalla Turchia alla Grecia si è ridotto drasticamente (53). Si è, così, realizzata la premessa indispensabile per un graduale ripristino di Schengen entro la fine del 2016 e per sostituire la disorganica serie di decisioni statali unilaterali di reintroduzione dei controlli interni con un approccio coordinato a livello europeo (54). Il 12 maggio, infatti, con decisione del Consiglio, cinque Stati membri (Austria, Danimarca, Germania, Norvegia e Svezia) hanno accettato la raccomandazione di prorogare le misure di controllo alle frontiere interne temporanea(51) Da aprile a giugno 2016 sono state rimpatriate in Turchia appena quattrocentosessantadue persone, con un numero pressoché equivalente di reinsediamenti dalla Turchia in paesi europei (Commissione europea, Second Report on the progress made in the implementation of the EU-Turkey Statement, COM(2016) 349 final, 15 giugno 2016, 4). L’esiguità di tale cifra (corrispondente allo 0,2 per cento dei circa 220 mila migranti che da inizio 2016 sono giunti in Grecia) è dovuta al fatto che la quasi totalità delle persone sbarcate sulle coste greche dopo la data-limite del 20 marzo ha presentato domanda di asilo e attende la decisione definitiva delle autorità greche. (52) Commissione europea, Second Report on the progress made, cit., 2. (53) Nel trimestre aprile-giugno 2016, il numero di arrivi giornalieri sulle coste greche che si è ridotto di oltre il novantacinque per cento, tornando ai livelli antecedenti alla crisi. (54) Commissione europea, Back to Schengen, cit., 3. LA CRISI DEI CONFINI 753 mente introdotte nei mesi precedenti e di farle cessare entro metà novembre 2016. Si è così utilizzata per la prima volta la procedura «accentrata» prevista dall’art. 29 del Codice frontiere Schengen e introdotta nel 2013 a seguito dei problemi emersi in conseguenza dell’afflusso nell’area Schengen di migranti giunti in Italia durante la c.d. primavera araba (55). Quando la minaccia derivi da «carenze gravi e persistenti nel controllo di frontiera alle frontiere esterne» che mettano a rischio «il funzionamento globale dello spazio» di libera circolazione, la Commissione può proporre al Consiglio di raccomandare agli Stati più esposti la reintroduzione dei controlli alle rispettive frontiere interne (per sei mesi, prorogabili di altri sei) «come extrema ratio e come misura volta a proteggere gli interessi comuni» (56). D’altro canto, come anticipato (§ 2.2), il regolamento istitutivo della Guardia costiera e di frontiera europea valorizza ulteriormente questa procedura, facendone uno strumento di reazione concordata e pressochè automatica dei partners di Schengen nei confronti dello Stato-frontiera che, pur in difficoltà, rifiuti il sostegno europeo. Ne deriva un quadro giuridico dal quale il nesso sicurezza-frontiera-Stato, proprio della concezione «westphaliana» (57), non è del tutto espunto, perché sopravvive la possibilità per gli Stati membri di reintrodurre unilateralmente i controlli interni allo spazio Schengen «in caso di minaccia grave per l’ordine pubblico o la sicurezza interna» (58). L’esercizio unilaterale di questo potere è, però, circondato da molteplici condizionamenti: l’obbligo di notificare la reintroduzione e i suoi motivi alla Commissione e agli altri Stati membri; la necessaria proporzionalità della scelta (sia sul piano sostanziale (59), (55) S. PEERS, The Future of the Schengen System, SIEPS Report n. 6, 2013, spec. 30 ss. (56) Art. 29, commi 1 e 2, del Codice frontiere Schengen. (57) R. ZAIOTTI, Cultures of Border Control, cit., 2, sottolinea come, nella concezione statalista, esista un nesso indissolubile tra confini e sicurezza, cosicché «the triad of borders/security/national governments is so engrained in our collective understanding of what border means as to not require further explanation». (58) Art. 25, comma 1, Codice frontiere Schengen. (59) In base all’art. 26 del Codice frontiere Schengen, lo Stato membro deve bilanciare «il probabile impatto della minaccia per l’ordine pubblico o la sicurezza interna nello Stato membro interessato» con «l’impatto probabile di una tale misura sulla libera circolazione delle persone». 754 MARIO SAVINO sia sul piano temporale (60)); la possibilità per la Commissione di emettere un parere e avviare consultazioni con gli altri Stati membri in merito alla proporzionalità della decisione (61). Per di più, la valorizzazione della procedura «accentrata», disciplinata dall’art. 29 del Codice frontiere Schengen, contribuisce a restringere gli spazi di scelta unilaterale degli Stati, limitandoli, nella sostanza, ai casi di minaccia specifica e territorialmente delimitata. 4. Gli Stati membri e l’Unione hanno dimostrato una buona capacità di risposta alla crisi dei confini. Innanzitutto, di fronte a nuove minacce terroristiche e all’arrivo nello spazio Schengen di imponenti flussi non (adeguatamente) controllati, le reazioni «difensive» degli Stati membri si sono finora mantenute nell’alveo della legalità comunitaria (62). Inoltre, le modifiche apportate al quadro giuridico di Schengen testimoniano l’esistenza di una diffusa consapevolezza circa la rilevanza degli interessi comuni creati e consolidati da venti anni di libera circolazione. Gli Stati-frontiera — dell’Europa meridionale e orientale — hanno fatto le concessioni maggiori. Hanno accettato un modello di gestione congiunta o integrata delle frontiere che, di fatto, ne limita la sovranità territoriale, in cambio dell’assistenza dell’Unione (in concreto, della Guardia europea e, per suo tramite, delle altre amministrazioni nazionali di frontiera) nei momenti di difficoltà. Anche i partners dell’Europa centrale e settentrionale, però, hanno accettato un compromesso utile alla salvaguardia della libera circolazione, funzionale, del resto, ai loro interessi economici. Appagati da una soluzione che consente loro di riporre una maggiore fiducia nella sistematicità dei controlli lungo il perimetro di Schengen, hanno accettato che (60) I controlli interni possono essere reintrodotti soltanto per il tempo strettamente necessario e comunque per un periodo non superiore a trenta giorni, prorogabile fino a un massimo di sei mesi, salvo circostanze eccezionali (art. 25, comma 3 e 4, Codice frontiere Schengen). (61) Art. 27, commi 4-6, Codice frontiere Schengen. (62) Questo dato, evidenziato anche nello studio commissionato dal Comitato LIBE del Parlamento europeo, Internal border controls in the Schengen area: is Schengen crisis-proof?, luglio 2016, ha indotto autorevoli osservatori (E. GUILD, E. BROUWER, K. GROENENDIJK e S. CARRERA, What is happening to the Schengen borders?, CEPS paper n. 86, dicembre 2015, spec. 3) a ritenere esagerate le preoccupazioni circa la stabilità dell’area Schengen. L’opinione qui espressa, come si chiarisce di seguito nel testo, è inspirata a un più cauto ottimismo. LA CRISI DEI CONFINI 755 la Commissione possa interferire con l’esercizio del loro (in teoria esclusivo, ma già proceduralmente condizionato) potere di ripristino delle frontiere interne, promuovendo un approccio concertato quando sussistano minacce complessive alla stabilità dell’area di libera circolazione. Tutto ciò, però, non basta a formulare una prognosi positiva sul futuro di Schengen. Certamente, l’elevato valore simbolico assunto dall’area di libera circolazione e la consapevolezza degli elevati costi che deriverebbero dal ripristino dei controlli alle frontiere interne sono componenti rilevanti del dibattito politico (63). Ci sono, tuttavia, almeno tre problemi «collaterali» che minacciano la stabilità di Schengen, anche in considerazione del fatto che, rispetto ad essi la percezione dell’esistenza di un interesse comune stenta ad affermarsi. Il primo è la inadeguatezza del vigente sistema di asilo. Da un lato, tra i paesi dell’Unione esistono forti asimmetrie — sia nei tassi di respingimento delle richieste di protezione e nelle modalità di accoglienza dei rifugiati, sia nella distribuzione delle responsabilità tra Stati-frontiera e altri Stati membri (c.d. «sistema Dublino») (64), — che alimentano i c.d. movimenti secondari di questa categoria di migranti all’interno dell’area Schengen (65). Dall’altro, la capacità di deterrenza (63) Sull’impatto economico della fine di Schengen, si vedano Parlamento europeo, Cost of non-Schengen: The Impact of Border Controls within Schengen on the Single Market, maggio 2016; Jacques Delors Institut, The Economic Costs of nonSchengen: what the Numbers Tell Us, aprile 2016; Bertelsmann Stiftung, Study on Departure from the Schengen Agreement. Macroeconomic impacts on Germany and the countries of the European Union, febbraio 2016; France Stratégie, The Economic Cost of Rolling Back Schengen, febbraio 2016. Per un quadro riassuntivo, Commissione europea, Back to Schengen, cit., 3 s. (64) Secondo il principio-cardine della disciplina europea in materia di esame delle domande di protezione internazionale, sancito dall’art. 13, par. 1, del regolamento (UE) n. 604/2013 del 26 giugno 2013 (c.d. Dublino III), lo Stato cui compete esaminare la domanda è lo Stato membro di primo ingresso, anche irregolare, del richiedente. Sono evidenti le implicazioni distributive di questo principio e l’incentivo che ne deriva, per gli Stati-frontiera, a non registrare l’ingresso sul loro territorio dei migranti che abbiano interesse a chiedere asilo in altro Stato membro. (65) B. NASCIMBENE, Refugees, the European Union and the ‘Dublin System’. The Reasons for a Crisis, in 1 European Papers 1 (2016), 101 ss., C. FAVILLI, Reciproca fiducia, mutuo riconoscimento e libertà di circolazione di rifugiati e richiedenti protezione internazionale nell’Unione europea, in Riv. dir. int., 2015, 701 ss., e G. MORGESE, Solidarietà e ripartizione degli oneri in materia di asilo nell’Unione europea, in I percorsi giuridici per l’integrazione, a cura di G. Caggiano, Torino, Giappichelli, 2014, 366 ss. 756 MARIO SAVINO nei confronti di tali movimenti è molto limitata, poiché il sistema dei c.d. trasferimenti Dublino (cioè di riconduzione del richiedente asilo nello Stato membro di primo ingresso) di fatto non funziona (66). Di conseguenza, per i paesi europei più ambìti dai migranti in cerca di protezione, il ripristino dei controlli interni resta il solo strumento efficace di risposta all’ingresso nell’area Schengen (anche registrato) di numeri elevati di profughi (67). In secondo luogo, sul versante dell’immigrazione economica non autorizzata, assume un peso crescente il ridotto tasso di effettività delle politiche nazionali di rimpatrio. I migranti irregolari non rimpatriati, in assenza di controlli interni all’area Schengen, possono recarsi senza ostacoli in altri paesi europei. Questo «abuso» della libera circolazione genera, a sua volta, incentivi alla reintroduzione dei controlli alle frontiere interne da parte dei principali paesi europei di destinazione (68). Analoghi incentivi derivano, in terzo luogo, dalla necessità per gli Stati di difendersi dalle minacce più rilevanti per l’ordine pubblico e la sicurezza interna. Sotto questo profilo, pesa la insufficiente cooperazione tra servizi di intelligence nazionali, che, in assenza di controlli alle frontiere interne, indebolisce la capacità collettiva di contrasto del (66) Al tasso tradizionalmente basso di successo dei c.d. trasferimenti Dublino si è aggiunta, nel 2011, la sospensione dei trasferimenti verso la Grecia, a seguito di due pronunce della Corte di Strasburgo (M.S.S v. Belgium and Greece, n. 30696/09) e della Corte di giustizia (21 dicembre 2011, cause C-411/10 e C-493/10, N.S. contro Secretary of State for the Home Department), che hanno identificato carenze sistematiche nel sistema di asilo greco, tali da determinare una violazione dei diritti fondamentali dei richiedenti asilo da parte degli Stati membri autori dei trasferimenti. Sul tentativo di ripristinare i «trasferimenti Dublino» verso la Grecia, Stato di primo ingresso con un ruolo decisivo nel contesto dell’attuale crisi migratoria e di Schengen, si veda Commission Recommendation addressed to the Hellenic Republic on the specific urgent measures to be taken by Greece in view of the resumption of transfers under Regulation (EU) No. 604/2013, C(2016) 3805 final, 15 giugno 2016. (67) Sulle molteplici connessioni tra il funzionamento di Schengen e il problema dell’accoglienza di rifugiati e richiedenti asilo, si vedano, inter alia, M. DEN HEIJER, J. RIJPMA e T. SPIJKERBOER, Coercion, Prohibition, And Great Expectations: The Continuing Failure Of The Common European Asylum System, in 53 CMLR (2016), 607 ss., e C. MORTERA-MARTINEZ, Why Schengen Matters and How to Keep it: A Five Point Plan, Centre for European Reform, maggio 2015. (68) Nella roadmap diretta al rispristino di Schengen, la Commissione insiste sulla necessità di instaurare una più efficace politica dei rimpatri: Commissione europea, Back to Schengen, 9 e passim. LA CRISI DEI CONFINI 757 terrorismo internazionale e — come gli attentati parigini del 2015 dimostrano — rende i partners di Schengen più vulnerabili (69). Rispetto ai problemi indicati, l’Unione non è inerte. Basti pensare al tentativo di rafforzare la politica dei rimpatri attraverso il coinvolgimento diretto della nuova Guardia europea (§ 2.2); o alla recente proposta di riforma complessiva della disciplina della protezione internazionale, con l’obiettivo, tra l’altro, di limitare i movimenti secondari dei richiedenti asilo e di ridurre le asimmetrie che li alimentano (70). Tuttavia, se si considerano i limiti intrinseci della politica dei rimpatri (che ha alti costi e presuppone la stipula di accordi di riammissione con paesi terzi riluttanti) e la scarsa propensione degli Stati membri al burden-sharing in materia di asilo, nonché allo scambio di informazioni tra i rispettivi servizi di sicurezza a fini di contrasto del terrorismo internazionale, le prospettive realistiche di soluzione di quei problemi non appaiono confortanti. In queste condizioni, il riproporsi di attentati terroristici in territorio europeo o di repentini aumenti dei flussi di rifugiati e/o di migranti economici irregolari inevitabilmente esporrà lo spazio Schengen a nuove tensioni. La capacità di tenuta dipenderà, probabilmente, oltre che dall’entità delle minacce, dalla capacità della Commissione europea e dei principali governi nazionali di approfittare delle nuove emergenze per fare evolvere il processo di integrazione in una direzione più favorevole alla stabilità della libera circolazione (71). 5. L’analisi condotta porta a confutare entrambe le ipotesi interpretative formulate in apertura (§ 1). Nell’ultimo anno, numerosi Stati membri dell’Unione hanno ripristinato i controlli alle frontiere interne. Tuttavia, non si è trattato di «sussulti di sovranità» da parte di (69) S. Léonard, Border Controls as a Dimension of the European Union’s Counter-Terrorism Policy: A Critical Assessment, in 30 Intelligence and National Security (2015), 306 ss. (70) Communication from the Commission to the European Parliament and the Council, Towards a reform of the Common European Asylum System and enhancing legal avenues to Europe, COM(2016) 197 final, 6 aprile 2016. Si veda anche la proposta di riforma del sistema Dublino: Proposal for a Regulation establishing the criteria and mechanisms for determining the Member State responsible for examining an application for international protection lodged in one of the Member States by a third-country national or a stateless person (recast), COM(2016) 270 final, 4 maggio 2016. (71) G. CORNELISSE, What’s wrong with Schengen? Border Disputes and the Nature of Integration in the Area without Internal Borders, in 51 CMLR (2014), 741 ss. 758 MARIO SAVINO Stati-nazione riottosi, ostili alla logica dell’interdipendenza territoriale imposta da Schengen. Si è trattato, piuttosto, di decisioni fondate su oggettive esigenze di salvaguardia dell’ordine pubblico e della sicurezza interna, derivanti ora dalla constatazione che il terrorismo di matrice islamista ha radici anche nei paesi dell’area Schengen; ora, invece, dall’ingresso in quell’area di centinaia di migliaia di migranti non identificati o comunque non autorizzati. D’altro canto, non appare convincente neppure l’ipotesi antagonista, secondo cui la crisi sarebbe il frutto di un insuperabile «deficit federale» dell’Unione, condannata, per penuria di poteri sovrani, all’impotenza rispetto alle minacce che attentano alla stabilità di un’area di libera circolazione troppo estesa e ambiziosa. Come dimostra la nuova disciplina del diritto di intervento della Guardia costiera e di frontiera europea nella situazioni di crisi, sopra esaminata (§ 2.2), non è indispensabile assegnare all’Unione poteri sovrani (o lesivi della sovranità statale). Non di rado, è sufficiente — e anzi preferibile, per rispettare gli equilibri istituzionali derivanti dalla natura composita dell’ordinamento europeo — «addomesticare» quella sovranità, attraverso regimi che sappiano preservare le competenze statali e, al contempo, orientarle alla soddisfazione di interessi (non solo nazionali, ma) comuni. Il risultato di questo esercizio, in tempi di crisi, è un regime di Schengen incisivamente modificato, nel quale la gestione delle emergenze — dunque, il potere sovrano per eccellenza, quello di eccezione — almeno in parte si denazionalizza. Lungo il perimetro esterno, le situazioni emergenziali, suscettibili di mettere in pericolo il funzionamento dell’area di libera circolazione, conducono a una gestione delle frontiere concordata (a livello europeo) e congiunta (tra Agenzia europea, Stato-frontiera e altri Stati membri). All’interno, la decisione sulla reintroduzione dei controlli temporanei ed eccezionali alle frontiere resta disgiunta (cioè nella responsabilità esclusiva del singolo Stato), ma guadagna spazio la logica della concertazione a livello europeo ogniqualvolta le minacce non riguardino il singolo Stato, bensì l’area Schengen nel suo complesso, com’è accaduto per i flussi non governati di migranti. Il modello che emerge è, dunque, a sua volta composito, ma nel complesso coerentemente orientato a superare il dogma «westphalia- LA CRISI DEI CONFINI 759 no» della inscindibilità tra tutela della sicurezza, controllo delle frontiere e competenza esclusiva dello Stato (72). Se un tempo era invalsa la convizione che gli Stati non potessero abolire i confini «if we are also to protect our citizens from crime and stop the movement of drugs, of terrorists and of illegal immigrants» (73), la realizzazione di Schengen ha dischiuso una diversa prospettiva: la de-nazionalizzazione dei confini non implica la rinuncia a contrastare quelle minacce. La promessa di conciliare l’ampliamento degli orizzonti geografici delle libertà individuali con un livello di sicurezza non inferiore a quello garantito dagli Stati e dai controlli sistematici ai loro confini dipende, però, dalla capacità del processo di integrazione di progredire in una direzione — quella, indicata dai trattati, della realizzazione di una «politica comune in materia di asilo, immigrazione e controllo delle frontiere esterne, fondata sulla solidarietà tra Stati membri ed equa nei confronti dei cittadini dei paesi terzi» (74) — che, in questo momento storico, appare molto impervia. Se l’Unione non dovesse riuscire ad avanzare in quella direzione — cioè a dotarsi degli strumenti per prevenire con altri mezzi l’abuso della libera circolazione da parte di richiedenti asilo, migranti economici irregolari e terroristi — i controlli alle frontiere interne potrebbero riemergere e permanere. La «rottura» del quadro giuridico di Schengen, fondato sul principio di temporaneità e stretta proporzionalità dei controlli interni, sarebbe allora il segnale di una crisi ancor più acuta e profonda, in grado di compromettere le ragioni stesse di una ever closer Union. (72) Sulle trasformazioni del rapporto tra confini e sovranità statale in Europa, E. BALIBAR, At the Borders of Europe, in Id., We, the People of Europe?, Princeton, Princeton University Press, 2003, 1 ss. (73) M. THATCHER, Speech delivered at the College of Europe, Bruges, 20 settembre 1988 (cit. da R. ZAIOTTI, Cultures of Border Control, cit., 1). (74) Art. 67, par. 2, TFUE.