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CAMPITELLIRec.

103, Quellen und Forschungen aus Italienischen Archiven und Bibliotheken

Carlo Campitelli, Un diplomatico in esilio. Bartolomeo Cavalcanti tra fuoriusciti e letterati (1503-1562), Roma (Viella) 2022 (Studi e ricerche. Dipartimento di studi umanistici. Universita di Roma Tre 39), 320 pp., ISBN 979-12-5469-008-6, € 29. Fu Rudolf von Albertini, a meta Novecento, a richiamare l'attenzione sul fuoriuscitismo antimediceo e ad avviare una serie di studi su un fenomeno di vaste dimensioni e dalle profonde e durature ricadute sulla storia politica, culturale e sociale non solo italiana, ma anche europea. E, tuttavia, la carenza di accurati profili biografici di singoli esuli a indurre Campitelli a illustrare la lunga movimentata vita di Bartolomeo Cavalcanti, detto Baccio. Nato in una potente e ricca famiglia, imparentata con importanti membri del patriziato fiorentino, la sua formazione venne affidata a illustri maestri, tra i quali Fruhe Neuzeit 691 QFIAB 103

Carlo Campitelli, Un diplomatico in esilio. Bartolomeo Cavalcanti tra fuoriusciti e letterati (1503–1562), Roma (Viella) 2022 (Studi e ricerche. Dipartimento di studi umanistici. Universita di Roma Tre 39), 320 pp., ISBN 979-12-5469-008-6, € 29. Fu Rudolf von Albertini, a meta Novecento, a richiamare l’attenzione sul fuoriuscitismo antimediceo e ad avviare una serie di studi su un fenomeno di vaste dimensioni e dalle profonde e durature ricadute sulla storia politica, culturale e sociale non solo italiana, ma anche europea. E, tuttavia, la carenza di accurati profili biografici di singoli esuli a indurre Campitelli a illustrare la lunga movimentata vita di Bartolomeo Cavalcanti, detto Baccio. Nato in una potente e ricca famiglia, imparentata con importanti membri del patriziato fiorentino, la sua formazione venne affidata a illustri maestri, tra i quali Fruhe Neuzeit 691 QFIAB 103 (2023) Marcello Virgilio Andriani e Francesco Cattani da Diacceto, che gli diedero una compiuta istruzione classica. A iniziarlo alla politica ebbe, pero, un peso determinante Machiavelli, di cui fu amico e confidente, mentre a indirizzarlo verso posizioni filofrancesi nella lotta antimedicea contribui certamente il matrimonio (1523) con Dianora Gondi la cui famiglia, da tempo trasferitasi oltralpe, aveva legato la propria sorte a quella dei Valois, tant’e che la figlia di Dianora e di Baccio, Lucrezia, fece parte del corteo che accompagno nel 1533 Caterina de’ Medici andata sposa del futuro Enrico II e fu sua dama d’onore. Negli anni tumultuosi che segnarono la storia fiorentina dalla restaurazione dei Medici nel 1512 alla disfatta a Montemurlo delle truppe antimedicee (1537), preceduta e seguita da molteplici sconfitte militari dei fuoriusciti – anni di insanabili divergenze tra correnti popolari e ottimatizie – fino alla scelta irreversibile di lasciare la patria, Cavalcanti, „non perdonando a fatica alcuna“ (p. 43), svolse numerose difficili missioni oltralpe e in Italia, talvolta affiancando la diplomazia ufficiale, barcamenandosi tra i frequenti mutamenti della compagine governativa fiorentina e l’alternarsi delle alleanze con le grandi potenze; comunque si rivelo, sempre, un prezioso informatore e negoziatore, ma anche un tenace difensore degli ideali repubblicani. Campitelli, attingendo proficuamente a fonti disparate, ricostruisce con precisione le mete e gli scopi delle sue „ambascerie“ ed evidenzia la sagacia e l’acume delle sue analisi politiche. Sarebbe, peraltro, complicato seguire il fiorentino in tutti i luoghi in cui trovo protezione e aiuti militari ed economici per la causa repubblicana, sui quali si dilunga con dovizia di informazioni Campitelli. Sia sufficiente ricordare gli undici anni al servizio di Ercole II d’Este a Ferrara come consigliere (1537–1548), i tre anni romani come consulente per la politica estera di Paolo III e del cardinale Alessandro Farnese, la sosta parmense (1551–1552) al fianco del duca Ottavio, gli anni trascorsi a Siena di fatto come governatore e come artefice della riforma del governo cittadino (1552–1555), citta da dove dovette fuggire sotto la minaccia di Cosimo I, per fare ritorno a Roma come agente di Ottavio. Progressivamente esautorato dai Farnese, alleatisi con Filippo II, entro al servizio del cardinale Francois de Tournon fin quando, nel 1559, rinuncio all’attivita politico-diplomatica e si trasferi a Padova e, „abbandonato da tutti quelli che aveva fedelmente servito … visse gli ultimi suoi anni in tristezza e poverta“ (p. 273), privo di beni personali, confiscati da Cosimo I. Mori il 5 dicembre 1562. Stupisce, peraltro, che un uomo cosi avveduto non avesse percepito l’inaffidabilita congenita di sovrani, principi, cardinali, pontefici, interessati esclusivamente alla promozione dei propri casati. Erano, questi, anni di guerre che lo videro coinvolto a diverso titolo, ma sempre con ruoli rilevanti: dalla guerra di Parma e della Mirandola per la riconquista del ducato da parte di Ottavio contro le truppe imperiali e pontificie, alla guerra di Siena la cui liberta era minacciata dal progetto di Cosimo I di costituire uno stato regionale toscano, alla guerra dei Carafa contro il regno di Napoli. Solo la pace di Cateau-Cambresis porra fine ai conflitti tra Asburgo e Valois per l’egemonia sulla penisola. Esplorando una variegata messe di fonti (corrispondenza privata e diplomatica, relazioni di ambasciatori, agenti e spie medicei, memoriali, Orazioni, suoi scritti su vari argomenti), l’autore illustra come Cavalcanti, pur nel mezzo di tanti affanni, fin dagli anni ferraresi, superando 692 Rezensionen QFIAB 103 (2023) il disagio della vita di corte, riusci a intrecciare indissolubilmente impegno civico – in quanto di fatto leader della diaspora antimedicea – e dedizione alle humanae litterae, lasciando una cospicua produzione, in parte rimasta a lungo inedita. La vitalita intellettuale dell’ambiente ferrarese, la vicinanza di Venezia e Padova, con il loro dinamismo culturale ed editoriale e il loro mercato di codici e libri antichi, indussero Cavalcanti a dedicare molto del suo tempo agli studi, sui quali l’autore si sofferma con grande perizia, illuminando la fecondita di un intenso dialogo con gli antichi e con scrittori amici, talvolta critici verso le sue posizioni, e dimostrando come con i suoi scritti mirasse a offrire momenti di riflessione e di ammaestramento agli esuli repubblicani sul piano militare e diplomatico. In tal senso e emblematico che tra i suoi primi studi fossero la traduzione in italiano di un frammento del „Discorso circa la milizia romana“, dalla circolazione manoscritta, e della „Comparazione tra l’armadura et l’ordinanza de’ Romani e de’ Macedoni“ (edita a sua insaputa nel 1552), di Polibio, opere nelle quali, da discepolo di Machiavelli, additava esempi da seguire. Ma l’„opera di una vita“ del Cavalcanti, alla quale attese con maggiore impegno fu la „Retorica“, „una sorta di manuale di oratoria“, dal „chiaro intento politico-divulgativo“ (pp. 131 sg.), pubblicata a Venezia da Giolito de’ Ferrari nel 1559 che riscosse un notevole successo, con 8 successive edizioni fino al 1585. Pur se un posto privilegiato veniva assegnato ad Aristotele e pur se non mancava di erudizione, lo scopo preminente della „Retorica“ era divulgativo e, in quanto tale, un veicolo dei valori repubblicani cui l’autore aveva sempre aderito. In tal senso i „Trattati o vero discorsi sopra gli ottimi reggimenti delle Repubbliche antiche e moderne“ che, sebbene incompiuti, furono stampati postumi con discreto successo editoriale da Francesco Sansovino nel 1571, costituivano un’appendice dell’opera principale. Con questo studio di solidissimo impianto, Campitelli ha il merito di aprire, attraverso l’importante figura del Cavalcanti, scenari inediti della storia italiana ed europea lungo l’arco di quasi un cinquantennio e di porci di fronte a tutte le contraddizioni e ai continui cambiamenti di schieramento degli Stati regionali italiani contro o a favore dell’egemonia spagnola o francese nella penisola. Un quadro di indiscutibile complessita ricostruito con competenza tale da assicurare rilievo a questa ricerca. Gigliola Fragnito