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Norberto Bobbio, tra Giusnaturalismo e Positivismo

2018

NORBERTO BOBBIO, TRA GIUSNATURALISMO E POSITIVISMO NORBERTO BOBBIO, BETWEEN NATURAL LAW AND LEGAL POSITIVISM Gaetano Pecora* RESUMO: Este artigo é a introdução à recente edição italiana de “Locke e o Direito Natural”, o curso universitário que Norberto Bobbio desenvolveu no ano acadêmico de 1963-4 e que representa o fruto mais maduro de sua filosofia jurídica. A qual, ao menos no que toca à doutrina jusnaturalista, não se concluía com um juízo unitário e homogêneo. Juízo, sim, mas dividido, decomposto, porque tanto queria a natureza do problema, articulado por Bobbio em três questões diferentes: (a) qual foi a função prática do jusnaturalismo lockeano? (b) a qual necessidade interior ele respondia ontem? (c) quais capacidades cognoscitivas ele conserva hoje? Uma coisa, então, é reconstruir a função histórica do direito natural (que Bobbio saudava como algo grandioso); outra coisa é sondar-lhe a exigência ideológica (que Bobbio ora exaltava, ora depreciava); e outra coisa ainda é interrogar-se sobre sua validade teorética (denunciada por Bobbio como absolutamente inconsistente). PALAVRAS-CHAVE: Bobbio. Constitucionalismo. Jusnaturalismo. Liberalismo. Locke. Positivismo Jurídico. RIASSUNTO: Il saggio è l'introduzione alla recente edizione italiana di “Locke e il diritto naturale”, il corso universitario che Norberto Bobbio svolse nell'anno accademico 1963-64 e che rappresenta il frutto più maturo della sua filosofia giuridica. La quale, almeno per quanto riguarda la dottrina giusnaturalistica, non si concludeva con un giudizio unitario ed omogeneo. Giudizio, sì, ma diviso, scomposto, perchè tanto voleva la natura del problema, da Bobbio articolato in tre differenti domande: a) quale è stata la funzione pratica del giusnaturalismo lockiano? b) a quale bisogno interiore rispondeva ieri? c) quali capacità conoscitive conserva oggi? Una cosa, dunque, è ricostruire la funzione storica del diritto naturale (che Bobbio salutava come cosa grande); altra cosa è sondarne l'esigenza ideologica (che Bobbio ora esaltava e ora deprimeva); e altra cosa ancora è interrogarsi sulle sua validità teoretica (da Bobbio denunciata come assolutamente inconsistente). ABSTRACT: The essay is the introduction to the recent Italian edition of "Locke and the natural law", the university course that Norberto Bobbio held in the academic year 1963-64 and which represents the most mature fruit of his juridical philosophy. A juridical philosophy that, at least with regard to the natural law doctrine, did not have a unitary and homogeneous analysis. Bobbio’ analysis is articulated in three different questions: a) what was the practical function of lockean giusnaturalism? b) what inner need did it answer in the past? c) what remains of that knowledge today? One thing, then, is to reconstruct the historical function of natural law (as Bobbio did); another thing is to explore the ideological need behind it (on which Bobbio expressed different and opposing interpretations); and, yet, another thing is to wonder about its theoretical validity (that Bobbio believed to be absolutely inconsistent). PAROLE-CHIAVE: Bobbio. Costituzionalismo. Giusnaturalismo. Liberalismo. Locke. Positivismo Giuridico. KEYWORDS: natural law, positivism. Bobbio, constitutionalism, liberalism, Locke, legal 1. Quando giunse sull'ultima stazione della sua vita, Norberto Bobbio si voltò indietro. E fu allora che, nell'abbraccio dello sguardo retrospettivo, gli capitò di dividere la propria vicenda intellettuale in due parti separate, nettamente distinte, che si davano le spalle senza quasi riconoscersi tra loro: “Nei venti mesi fra il settembre 1943 e l'aprile 1945 – scrisse – sono nato ad una nuova esistenza, completamente diversa da quella precedente” 1 i cui contorni egli lasciava sfumare nelle lontananze di una oscura preistoria (e infatti proprio così – Preistoria – Laureato con lode presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Napoli, Italia. Professore ordinário di Storia dele Dottrine Politiche presso la Facoltà di Giurisprudenza dell`Università del Sannio, Italia. 1 BOBBIO, Norberto. Autobiografia. A cura di A. Papuzzi. Roma-Bari: Laterza, 1997, p. 3. * 36 si intitola il primo capitolo dell'Autobiografia). Ora, in un angolino della “preistoria” di Bobbio, il diritto naturale s'era assicurato uno spazio suo, discreto ma fermo, appartato ma sicuro 2; tanto sicuro che pareva dovesse sfidare l'urto del tempo e le incognite dei ripensamenti. E invece... Invece, quando l'orizzonte di Bobbio si aprì su un cielo diverso, proprio le impalcature di quella costruzione accusarono la cartapesta, le giunture scricchiolarono, e sotto il luccichio della frase tornita e di suono buono, proprio lì Bobbio denunciò il vuoto di una posizione senza solidità. Da quel momento in avanti, con l'idea giusnaturalistica logorata dall'interno e impigliata nel laccio di un ragionamento fattosi sempre più chiaro col consumo degli anni, Bobbio fece brusco distacco col precedente se stesso (il “preistorico” Bobbio) e finalmente iniziò a correre l'avventura della sua storia che, però, non sarebbe tale senza quel non so che di incertezza mobile che fa tremolare anche le posizioni più nette e rigorose (e diremo più avanti quale tremolio insidiasse la fermezza dell'antigiusnaturalismo bobbiano). Come che sia, ondulata e non completamente rettilinea, seghettata di sporgenze e di rientranze più che cementata in un blocco unico, certo è, dicevamo, che la seconda metà di Bobbio, quella che inaugura la maturità della sua storia nasce proprio così, sotto la costellazione della polemica col diritto naturale. In questo senso, il libro che il lettore si trova adesso fra le mani (e che fu l'oggetto del corso universitario tenuto nell'anno accademico 1963-64) cade a perpendicolo sulla seconda maniera di Bobbio, ed è precisamente tra quelle pagine che Bobbio vuole essere cercato oggi, quando - ammirati - gli si vuole far festa. Che gioia seguirlo nei suoi ragionamenti! Entrare nel sistema di un autore (Locke, nel caso di specie) era cosa proprio per lui. Non hai mai la sensazione che gli sfugga la presa, peraltro resa ancora più sicura dal possesso pieno della lingua; non ti dà mai niente per dimostrato e invece, da quell'uomo di garbo che fu, dice tutto col massimo rispetto ma anche con franchezza intera; tutto, il bene e il male, la virtù e il vizio, tutto quel che c'è da dire dice, e lo dice come si dovrebbe sempre dirlo: vivo, chiaro, onesto, dove ogni parola porta una impronta tagliente con sé. Tagliente proprio nel senso che dove altri fondono e confondono, là invece essa taglia e separa, memore dell'antico insegnamento per cui la distinzione è né più né meno che l'arte di purificare il pensiero. Veramente: assistito dalla buona musa della scomposizione, non ci fu mai un Bobbio più puntualmente Bobbio di così. Sicchè se ci rifacciamo da lì, da quando cioè con Locke egli trovò il più felice impiego a questi umori di 2 BOBBIO, Norberto. Lezioni di filosofia del diritto. Bologna: Casa editrice «La Grafolito», 1941, p. 234. 37 sottile notomizzatore, allora dovremo pure noi stare attenti a cogliere le differenze e ad impedire ogni promiscua mescolanza. Sta bene, allora, ingranare questo libro nei giri della sua polemica antigiusnaturalistica. Purchè, però, immediatamente dopo scatti la domanda che chiameremo di salvaguardia (una domanda tipicamente bobbiana, quella che in assoluto porta la sigla del suo temperamento): “quale giusnaturalismo?” Ossia: su quale aspetto del diritto naturale la critica di Bobbio lasciò il graffio dell'unghia? E quali altri, invece, egli carezzò con favori di lode? E poiché quando c'è di mezzo Bobbio, la forza analitica della divisione procede con ritmo ternario, poiché cioè è ai ganci di quella cifra – il tre, appunto – che Bobbio arpionava le sue domande (per dire: libertà, sì, ma in che senso? Liberale, democratico o socialista? Oppure: giuspositivismo sta bene. Ma come intenderlo? Come un metodo di studio, una ideologia o una teoria del diritto? Ricordiamo? Sono solo alcuni degli interrogativi che egli disseminava tra le sue pagine dopo averli spiccati tutti dal fiorito cespo delle proprie tricotomie); poiché – dicevamo – veramente per lui il tre era il numero filosofico per eccellenza, ecco che anche adesso a stargli dietro si inanellano tre differenti questioni che vogliono essere trattate a sé, ognuna per conto proprio, senza rimbalzi dall'una all'altra come se ogni volta, e per tre volte consecutive, Bobbio parlasse su una chiave diversa che non si intona con le altre due e che perciò impediva a lui ieri (e vieta a noi oggi) di concludere con un giudizio unitario su Locke e il magistero giusnaturalistico. Giudizio sì, ma franto, scomposto, mai liscio e omogeneo perchè tanto richiedeva la natura del problema che Bobbio disarticolava nelle tre seguenti domande: a) quale è stata la funzione pratica del giusnaturalismo lockiano? b) a quale bisogno interiore rispondeva ieri? c) quali capacità conoscitive conserva oggi? Una cosa, dunque, è ricostruire la funzione storica del diritto naturale; altra cosa è sondarne l'esigenza ideologica; e altra cosa ancora è interrogarsi sulle sua validità teoretica. Bobbio, che aveva il gusto e quasi la voluttà delle distinzioni, proprio Bobbio che era nato col genio dell'analisi, poteva mai – lui, Bobbio – concedersi alle abbreviature drastiche e costringere tutte e tre le domande nel circolo serrato di una unica, rapidissima soluzione? No, che non poteva. Ed eccolo, perciò, lentamente, pazientemente, separare ciò che era unito, e sciogliere quel che era annodato; e così separando e sciogliendo comunicarci quel piacere delle sfumature che è, poi, l'autentico ornamento del vero. 2. Di solito, questi preparati di lunga mano, dove la padronanza dell'argomento fa tutt'uno col passo misurato dell'esposizione, quando cadono sulle sensibilità giuste, svogliano 38 da qualunque fretta e tirano le briglie all'impazienza che vorrebbe giungere fulminea alle conclusioni. Per cui, sincronizzati sulla cadenza di Bobbio, resisteremo pure noi al desiderio di frustare al galoppo la penna; e pure noi terremo dietro a quel suo discorrere pacato, pacatamente discorsivo, dove proprio si sente il ritmo regolare del pensiero che svolge se stesso senza saltare nessuno degli anelli necessari alla catena di un ragionamento logico. Avvinti nel giro di questa catena, cominceremo perciò esattamente come ha cominciato Bobbio, il quale quando si è interrogato sulla funzione storica del giusnaturalismo lockiano si è prima indugiato a sbalzarne le caratteristiche e poi, dopo, ce le ha rimandate riflesse nello specchio di alcune fondamentalissime vicende umane. Va da sé che quanto all'esposizione, noi prenderemo solo di scorcio Locke, senza ritrarlo di faccia e riproporre (male) ciò che Bobbio ha detto così bene; tanto bene che dopo la sua, ogni ulteriore spiegazione prende suono di fastidiosa lungagnata, e sarebbe un po' come di chi armeggi per ridistillare la grappa. Dunque più che entrarci dentro, ci affacceremo soltanto sul sistema lockiano, e come sempre capita quando ci si sporge su una veduta dall'alto, l'attenzione viene subito catturata dal punto di maggiore luce, quello che quasi lampeggia per dire: fermatevi e pensateci! Tanto più che quando Bobbio dovette fare la sintesi e andare sull'essenziale, era proprio lì che pure lui affissò lo sguardo, lì dove era scritto (dove Locke aveva scritto) che le “obbligazioni delle leggi di natura non cessano nella società, ma in molti casi diventano più coattive”. Questo, avvertiva Bobbio, è “uno dei passi decisivi” 3; anzi, come dirà poi, è addirittura “il nucleo del pensiero politico di Locke”4. Perchè? Come mai le obbligazioni naturali diventano più stringenti nella società politica? E prima ancora: cosa sono le leggi naturali? Le leggi naturali sono le regole che vigono in quella condizione primigenia o prestatuale, che tutti, proprio tutti i giusnaturalisti, rubricano come stato di natura. Solo che dire “stato di natura” è ancora dire poco perchè dietro di esso sciama un pulviscolo di colori così differenti, turbina un incrocio di interpretazioni così varie che in questo vagabondo peregrinare tra le une e le altre concezioni, la mente finirebbe per dondolarsi irresoluta se non andasse diritta sull'uno anziché sull'altro autore. Dunque sta bene discorrere dello stato di natura. Purchè immediamente dopo ci si domandi: ma lo stato di natura di chi? A noi, ovviamente, interessa la natura di Locke (e più precisamente, i riverberi che questa natura accende nella sensibilità di 3 4 BOBBIO, Norberto. Studi lockiani. In: BOBBIO, Norberto. Da Hobbes a Marx. Napoli: Morano, 1965, p. 127. BOBBIO, Norberto. Locke e il diritto naturale. Torino: Giappichelli, 1963, p. 173. 39 Bobbio). Ebbene, gli uomini naturali di Locke né si affrontano gli uni contro gli altri armati, in una guerra di sterminio desolata da ogni sentimento di pietà, né vagano nei campi a guisa di animali solitari, ripiegati su se stessi e segregati dal resto del mondo. Condizione pre-statuale, sì, quella di Locke ma non alla maniera di Hobbes e neppure alla stregua di Rousseau; non guerra tra cattivi e nemmeno isolamento di selvaggi più o meno buoni. No, la situazione originaria dell’umanità viene immaginata da Locke come uno stato pacifico, benigno, dove gli uomini – all’inizio, almeno – intrattengono rapporti di operosa collaborazione reciproca e dove, soprattutto, praticano il gioco della catallassi (si ricordi che catallassi viene dal greco katallassein e significa non solo ‘scambiare’ ma anche ‘diventare da nemici, amici’). Lo stato di natura, dunque, quale luogo dei rapporti economici e perciò stesso quale teatro dell'umana socievolezza (valgono un Perù le pagine di Bobbio sulle leggi naturali del mercato come si esaltano nel liberal-liberismo di Locke). Peccato però che questa armonia degli animi e che questa complementarità degli interessi cammini su un terreno malagevole, sdrucciolo, dove c'è ogni giorno il rischio di cadere giù; giù nella violenza e nella distruzione reciproca. Mettiamola così: lo stato pre-politico di Locke è solo provvisoriamante uno stato pacifico. Ma perentoriamente, ma definitivamente no, non lo è. Non attualmente gli uomini si avventano gli uni contro gli altri, ma potenzialmente sì, potrebbero sempre farlo. Non oggi, forse neppure domani, ma dopodomani chissà... 3. Il fatto è che per Locke la natura non solo ha donato all'uomo il diritto alla vita, alla libertà e alla proprietà ma si è compiaciuta di largirgli anche un'ulteriore quarta facoltà (timeo Danaos...), che è quella di farsi giustizia da sé. Ebbene, proprio quest’ultima prerogativa proietta un’ombra minacciosa sullo stato di natura, così pericolosamente danzante sul ciglio della distruzione che basta niente, un nonnulla per affondarlo nel vortice della guerra intestina. E’ sufficiente un minimo litigio, la più piccola delle liti perché salti tutto per aria e la vita – finanche la vita – si riduca ad un tragico azzardo quotidiano, quasi diremmo ad un cumulo di polvere animata che il panico e la ferocia possono in ogni momento spazzar via. E infatti là dove difetta il magistrato indipendente e ognuno deve amministrare in proprio la giustizia, là dove insomma vige il principio dell’auto-tutela, le cose vanno bene finché… finché stelle e destini propizi permettano che vadano bene. Ma nel momento in cui insorge una controversia, e ciascuno ha il diritto di farsi giustizia da sé, ecco che ogni litigante si ritroverà giudice in re sua. Trovandosi giudice in una causa propria, mancherà di quella freddezza o anche soltanto di 40 quella serena equanimità che, sola, può fargli riconoscere che sì, in effetti, lui ha torto e la controparte ha ragione. Proprio perché è direttamente coinvolto nella contesa che lui stesso deve giudicare, inclinerà per la soluzione che più gli si conviene sicché il torto sarà sempre dell’avversario. E specularmente l’avversario stimerà che egli abbia per sé l’esclusiva della ragione. Come in un rimando di contrasti, dunque, ciò che per il primo è il torto per il secondo è la ragione; quel che lì è il diritto qui è il rovescio; la sanzione dell’uno è esattamente l’illecito dell’altro. E viceversa. La scintilla del primo alterco, quindi, innesca un meccanismo di ritorsioni a catena che non finisce più, e che non avendo più fine alimenta la fiamma dalla quale viene divorato quel che di buono c’era pur dato di cogliere nello stato di natura (la vita, la libertà e la proprietà appunto). Ecco perché, per Locke, “non è cosa ragionevole che gli uomini giudichino della propria causa; (…) l’amore di sé li renderebbe parziali verso se stessi e i propri amici, mentre la malvagità naturale, la passione e lo spirito vendicativo li porterebbero ad esagerare nell’atto di punire gli altri”. E poi, con una battuta di riepilogo assai felice: “è facile infatti supporre che chi sia stato tanto iniquo da far torto al fratello non sarà certo tanto equo da condannarsi a causa di ciò” . 5 Non solo. Se anche per avventura, in un’accensione di onestà, qualcuno riconoscesse da sé le proprie colpe, resterebbe pur sempre impregiudicata la questione di chi deve punirlo. La vittima? Sicuro, in un sistema di auto-tutela è precisamente lei che dovrà provvedervi. D'accordo, ma come la mettiamo se proprio questa vittima la natura s’è incapricciata a volerla debole e stortignaccola? Quando le si para dinanzi un marcantonio di ruggente vitalità, il delitto – ancorché sia dato distinguerlo dal diritto – il delitto non rimarrà necessariamente impunito? Chi gliela darà all’aggredito la forza per colpire l’aggressore? Chi? Di rimedio non c’è ne è che uno solo, che è poi precisamente quello allestito da Locke quando Locke, nel passaggio dallo stato di natura allo stato politico, prima spossessa gli uomini del diritto di amministrare la giustizia, poi lo trasferisce ad un’unica autorità, e quindi correda questa autorità della forza necessaria ad ottenere il rispetto delle sue sentenze. Le quali sentenze, sostenute da un irresistibile apparato coercitivo, d’ora innanzi s’imporranno a chiunque, grande o piccolo che sia, macilento o nerboruto che la natura l’abbia fatto. Il tutto per assicurare il trionfo della giustizia, ossia proprio di quegli altri tre diritti - vita, libertà e proprietà - che pure sono incastonati nella natura umana; che pure sfolgorano di verità evidenti 5 LOCKE, John. Il secondo trattato sul governo. Roma: Editori Riuniti, 1974, p. 59. 41 (evidenti proprio come sono evidenti i ragionamenti della matematica); che pure... che pure... e che però, ad onta di ogni matematizzazione della natura, fin quando mancano dell'assistenza del potere pubblico vivono di vita stenta e tribolata. In questo senso, per Locke, il magistrato è l'organo della legge naturale; diciamo una specie di megafono che ne amplifica le sonorità e che con “atti notori” (così Locke battezza le leggi positive) le propaga in circolo perchè tutti facciano quello che debbono fare. Tutti. Compresi i potenti di turno i quali a non darsene per inteso, a rovinare cioè sui diritti naturali con il carico di una disposizione contraria, perderebbero ogni titolo di legittimità e quindi accenderebbero nei sottoposti la scintilla della ribellione e il diritto di dire loro di no (magnifico, semplicemente magnifico il paragrafo conclusivo di questo libro, là dove Bobbio si distende con comodo sul diritto di resistenza come articolato nelle pagine di Locke). E perciò ha ragione Bobbio quando con una di quelle sue formule diritte e fulminee che ti mettono in comunione immediata col concetto, ha ragione, dicevamo, di concludere che il cittadino di Locke non è l'uomo trasformato e redento di Rousseau; e nemmeno la belva ammansita di Hobbes. No, il cittadino di Locke è niente di più (ma anche niente di meno) che “l'uomo naturale protetto” . Protetto per l'appunto – e sia pure 6 come ultima Thule – dal diritto di disobbedire al capriccio del tiranno o all'arbitrio dell'usurpatore. 4. Abbiamo indugiato sul giusnaturalismo di Locke. Ma a che pro? A che pro tener dietro alle sue “chimere” (così Bentham fulminava le proposizioni del diritto naturale)? Se tutto si risolve in una “spiritosa invenzione” come con superbiosa condiscenza voleva Croce, perchè questa disamina del diritto naturale? Già: perchè? Proviamo rapidissimamente, proprio sul tamburo, a ripercorrere le tappe che hanno scandito la nostra indagine e vedremo che la risposta ci verrà incontro da sola, come sorridendo. Sappiamo che per Locke i diritti individuali si dipartono da principi elaborati a guisa di verità matematiche; sappiamo anche che tali diritti impegnano i governanti a tutelarli; e sappiamo altresì che solo facendosene scrupolosi garanti, essi – i governanti – conquisteranno il consenso dei governati. Ebbene, per restringersi a due esempi soltanto, quando la Dichiarazione d'Indipendenza Americana, esordisce così: “Noi teniamo per fermo che queste verità siano evidenti di per se stesse”, non avvertiamo l'eco della 6 BOBBIO, Norberto. Il modello giusnaturalistico. In: BOBBIO, Norberto; BOVERO, M. Società e Stato nella filosofia politica moderna. Milano: Il Saggiatore, 1979, p. 68. 42 “matematizzazione” lockiana? E allorchè la Carta francese dell'Ottantanove le proclama siffatte libertà, e proclamandole stabilisce che gli individui sono titolari di “diritti naturali e imprescrittibili” quali “la libertà, la proprietà, la sicurezza e la resistenza all'oppressione” (art.2), quando i costituenti francesi organizzavano così le cose, non bastava dire Locke per sentire nell'aria le stesse vibrazioni di libertà che percorrevano quel monumento della loro sapienza giuridica? Dunque non ci ingannavamo sul conto del giusnaturalismo lockiano; e non è vero che a stargli dietro si inseguono fuggevoli chimere. Non è vero perchè le sue acquisizioni si annodano in un ordito che, di fatto, ha ispirato il disegno delle prime democrazie liberali. Si capisce bene perciò la colorità festosità e le note squillanti, come per l'annuncio di una vittoria, con cui Bobbio si fa sotto al teorema lockiano e lo saluta come “una svolta” 7, “il modello più illustre” e “l'opera più compiuta e fortunata del costituzionalismo moderno” 8. Pronunciati da Bobbio, autore di solito guardingo e contratto, pronunciati da Bobbio questi giudizi vogliono veramente essere fermati con tre punti esclamativi. Dopo di che, in sede di valutazione storica, si potrebbe forse dire dell'altro. Ma dubitiamo si potrebbe direbbe meglio. E in ogni caso noi non diremo di più. Tanto il giudizio storico corre su una linea diritta, geometrica, che avanza con la tranquilla insistenza di una forza elementare; altrattanto la valutazione ideologica del giusnaturalismo cavalca pensieri ondosi, mareggianti, dove capita che Bobbio trasporti su quello che prima (o subito dopo) avrebbe affondato giù, nel cavo stesso dell'onda. E se questa immagine scappa a dire di più di quanto vorrebbe – perchè in effetti Bobbio se la intendeva male coi flutti e le spirali, lavorando assai meglio di squadra e di righello – allora, per rendere meglio il pensiero, noi diremo così: che quanto all'esigenza ideale, il giusnaturalismo viene disposto da Bobbio su due piani sovrapposti, entrambi belli lisci, uniformi, sui quali il suo ragionamento cammina felice, senza distrazioni e deviazioni; solo, però, che ciascuno di essi è ravvivato da una luce propria, non così potente da prendere nel suo giro anche la seconda superficie, per cui trapassando dall'uno all'altro piano è come se Bobbio si confessasse diverso, con un umore contrastato e un po' scisso in se stesso. 7 8 BOBBIO, Norberto. Locke e il diritto naturale. op. cit., p. 170. Ivi, p. 193. 43 5. Aprite, per esempio, le prime pagine di questo libro e all'ingresso, come per darvi il benvenuto, troverete un liberissimo giudizio dove lo studioso parla al lettore con cuore aperto, proprio gli si confida, e confidandosi riconosce pure lui “l'eterna esigenza della giustizia, che trascende continuamente il diritto positivo e ci induce a prendere posizione di fronte ad esso per modificarlo, perfezionarlo, adattarlo a nuovi bisogni e a nuovi valori” 9. Ora, quando si scrive così, quando un autore stampa sulle leggi un giudizio di giustizia (o di ingiustizia), e questo giudizio egli lo vuole dedotto dalle norme di un diritto superiore (sia pure un diritto diverso da quello positivo), quando avviene tutto questo, allora possiamo star certi: dall'inchiostro di quell'autore colano giù, caldi, tutti gli umori del giusnaturalismo. Non del giusnaturalismo come teoria – intendiamoci - che anzi Bobbio quando non vi passava accanto con un castigato sorriso, trafiggeva con punte che ancora sibilano per l'aria (e la più acuminata di esse la raccoglieremo anche noi tra un po'); ma del giusnaturalismo come ideologia che appunto come ideologia vuole influire e non conoscere, modificare e non rappresentare la realtà del diritto. Ideologicamente, perciò, diciamo giusnaturalista colui che non si tiene pago delle leggi positive ma che traguardandole per il reticolo delle “superleggi” naturali ne predica la giustizia o l'ingiustizia e perciò le consegna all'approvazione o alla disapprovazione della coscienza individuale. In questo senso, quando all'inizio del libro, l'uomo e lo studioso si aprono insieme, e ad una voce dicono tutto il bello e tutto il buono “della presa di posizione di fronte al diritto esistente”10, una presa di posizione – viene subito precisato – che presuppone la legge naturale come criterio di valutazione, allora veramente Bobbio confortava di coerenza quello che coll'animo solito ma forse in un momento più inquieto del normale, aveva scritto l'anno prima: “di fronte allo scontro tra le ideologie – dichiarava - dove non è possibile alcuna tergiversazione, ebbene sono giusnaturalista” 11. Parole smaltate, ci mancherebbe!, il cui lucido si apriva diritta la via del cuore di tutti coloro – nemici dichiarati del positivismo – che non aspettavano altro per arruolarlo sotto le proprie bandiere. Eppure, nonostante tanto lucido (o forse proprio per questo) i lettori più attenti di Bobbio rimangono sospesi in dubbio e tengono in sospetto quelle frasi come altrettante parole irregolari; irregolari nel senso vorremmo dire “tecnico” che escono, che oltrepassano, che 9 Ivi, p. 193. Ivi, p. 2. 11 BOBBIO, Norberto. Giusnaturalismo e positivismo giuridico. BOBBIO, Norberto. Giusnaturalismo e positivismo giuridico. Milano: Edizioni di Comunità, 1972, p. 146. 10 44 sforzano la regola bobbiana la quale con maggiore continuità di pensieri e con più industria di ragionamenti aveva impalcato una verità diversa; proprio un'altra verità che quella appena riportata o garbatamente temperava o polemicamente contraddiceva. Può anche piacere perciò l'auto-rappresentazione di Bobbio; ma nel contesto complessivo del suo magistero quello lì rimane un germoglio sterile, che non fiorisce. E che se fiorisce dà un fiore senza odore, come di cosa (almeno per lui) non completamente naturale. Basta anche soltanto prenderlo dal fondo e rovesciarlo all'incontrario per sentire come il pensiero suo prende altre vibrazioni, un altro tono che non restituisce l'eco a ciò che gli abbiamo sentito dire sull'ideologia giusnaturalistica. Quando infatti con agile trapasso Bobbio viene sul campo opposto, sul terreno cioè del positivismo etico (che è il momento ideologico del giuspositivismo), allora proprio in quanto ideologia opposta, noi ci aspetteremo che da lì egli rimandi capovolte all'ingiù le verità che rilucono fra i giusnaturalisti di stretta osservanza. Per cui se per gli uni – per i giusnaturalisti – la legge non ritrae da se medesima la misura della propria giustizia, e quindi non è detto che sia giusta solo perchè legge, ne viene che per gli altri – per i positivisti etici – cappottando essi le proposizioni giusnaturalistiche, legge e giustizia fanno blocco, si svolgono gemelle, e la legge, appena pronunciata, diventa la bocca stessa della giustizia. Questo ci aspetteremmo se i nemici di antica ruggine davvero si urtassero schiumando tra loro (e Bobbio parteggiasse per il primo anziché per il secondo contendente). E invece nessuno come lui ci si è messo di così buona voglia dintorno all'ideologia giuspositivistica, l'ha così percorsa in lungo e in largo, di sopra e di sotto, con tanta bella vena che alla fine gli accenti suoi più veri, i più adatti a riassumerlo, ti accorgi di scoprirli non lì dove lui aveva indicato che fossero ma precisamente dalla parte opposta, quella che strattona Bobbio e che in molti casi lo avvince a sè. 6. Così è, per esempio, quando entra di fino nei territori del positivismo e ci fa avvertiti che, dentro quel perimetro, mai nessuno ha levato sugli scudi la formula che fa frizzare la sensibilità giusnaturalistica; che anzi precisamente quella formula – “la Legge è la Legge” (il che val quanto dire che la legge risolve in sé gli attributi della Giustizia) – che proprio quella formula, dicevamo, è un espediente polemico arrotato sulla lamina dell'indignazione; e che come sempre capita quando c'è di mezzo l'impennata dell'indignazione, bisogna stare attenti a non travedere e ad attribuire ad altri pensieri che poi sono solo il riflesso del proprio animo in subbuglio. Che la legge debba essere obbedita sempre perchè intrinsecamente giusta, ecco - 45 avverte Bobbio - questa è una tesi che non miete fortuna tra i sostenitori del positivismo e che invece corre di cuore in cuore proprio tra i suoi accalorati avversari; essa cioè – parole testuali di Bobbio – è “un comodo bersaglio, una 'testa di turco', che gli antipositivisti si sono creati per condurre più facilmente la loro polemica” 12. E allora, per dire precise come stanno le cose, altro, ben altro sostengono gli ideologi del positivismo: la legge – essi affermano – può essere ingiusta ma, salvo casi eccezionali, l'ingiustizia non dispensa nessuno dal dovere dell'obbedienza. La legge insomma va ubbidita anche quando è ingiusta. E perchè? Ma perchè nel loro orizzonte essa resta minore, è sempre in servizio d'altro, e questo qualcosa d'altro che la legge deve servire è il bene – esso, sì, davvero ultimo e supremo – della pace e dell'ordine che per l'appunto solo il rispetto della legge può assicurare. Mentre dunque lì, nella versione estremizzata dai giusnaturalisti, quella con la quale armeggiano i fantasmi del loro risentimento, la legge vale di per sé e incondizionatamente, donde il valore finale del diritto, qui nella geografia reale dello spirito positivistico, il diritto ha valore strumentale, vale cioè solo come strumento necessario per il perseguimento dell'ordine. E, badiamo bene: non di un ordine purchessia si tratta, ma – appunto - dell'ordine promosso dalla legge; da una norma cioè che è (o dovrebbe essere) generale ed astratta; che in quanto norma generale si rivolge ad una classe di soggetti livellati su una misura unica, senza né sporgenze né rientranze, né privilegi né discriminazioni (con la qual cosa si salvaguarda il valore dell'eguaglianza formale); e che in quanto norma astratta comanda comportamenti descritti nei loro caratteri tipici i quali, per essere così “tipizzati”, offrono ad ognuno la possibilità di conoscere in anticipo le conseguenze dell'azione che ha in animo di compiere: gli è sufficiente individuare il “tipo” di schema che la richiama ed egli saprà all'istante quali effetti giuridici vi sono ricollegati (col che si garantisce a tutti la certezza del diritto). Stando così le cose, non basta dire che l'ideologia positivistica si accende d'entusiasmo per l'ordine, perchè poi – se ci pensiamo - un ordine di tal fatta, etereo, languido, fluttuante nel nulla, un ordine così non esiste da nessuna parte. Esiste invece, e si concilia gli affetti del positivismo, quel particolare tipo di ordine che, attraverso la legge, promuove l'eguaglianza e la sicurezza del diritto, ossia i presupposti non diremo sufficienti ma certo necessari e facilitanti della libertà individuale. Vi pare poco? A noi no, non pare. Non pare a noi, ma quel che importa di più, è che non appariva poco nemmeno a Bobbio che anzi se ne faceva leva per ritorcere l'accusa – 12 BOBBIO, Norberto. Il positivismo giuridico. Torino: Giappichelli, 1979, p. 274. 46 insulsa accusa, bisogna dire – che da tempo gli ideologi del giusnaturalismo scaraventano sul capo del positivismo il quale col suo “feticismo della legge” (così, per fare più eco alle parole, lo hanno battezzato), con il suo ossequioso, quasi superstizioso rispetto della legge avrebbe precipitato i regimi liberi in un abisso di fallimento disperato e aperto le vie del totalitarismo. Così, almeno, dicono i giusnaturalisti. Ma dicono male. Malissimo. Come se davvero poi nei sistemi totalitari l'autorità, inchinata alla resa, avesse offerto i polsi ai vincoli della legge e non se ne fosse fatto spasso invece come di un gommoso, elastico trastullo che una torbida grandiosità fraseologica faceva saltellare di qua e di là sacrificandola ora al “sano sentimento del popolo tedesco”, e ora all'imprendibile e guizzante “coscienza proletaria”. Via, via: sgombriamoci di queste scapricciate fantasie e torniamo a Bobbio che perciò aveva cento, mille ragioni dalla sua per ammonire che “il considerare l'ordine, l'eguaglianza formale e la certezza come i valori propri del diritto, rappresenta un sostegno ideologico in favore dello Stato liberale”13. Cento, mille ragioni aveva Bobbio per dire così e per raccogliersi pure lui sotto il palpito del positivismo ideologico: certo arrotondato nelle punte; certo mitigato nelle estremità (benché, come egli stesso insegnava, un positivismo estremo non si fosse mai storicamente dato); certo levigato negli angoli questo positivismo, ma sempre positivismo era. E tale rimase quando Bobbio, per un rapido momento, aprì uno spiraglio sulla camera oscura della propria sensibilità e rivelò dove mirasse e quale intima molla la muovesse: “per quel che riguarda l'ideologia – scrisse – mentre sono contrario alla versione forte del positivismo etico, sono favorevole, in tempi normali, alla versione debole, o positivismo moderato” 14. Così, in chiusura del corso su Il positivismo giuridico (anno accademico 1960-61) e così ancora, forse addirittura più rilevato, nella “Premessa alla nuova edizione” (del 1979) quando facendo lega stretta con il precedente se stesso ribadiva che “nonostante tutta l'acqua che è passata sotto i ponti del positivismo giuridico, i piloni centrali hanno resistito”15. E' solo una piccola frase; pure, ci senti la trattenuta soddisfazione di chi non ha lavorato invano e sa che la sua costruzione si prevale delle correnti avverse perchè impalcata su sostegni che non cedono. Tra questi, resistenti fra i resistenti, anche i fondamentali del positivismo ideologico. Che perciò prima e dopo il “cedimento” giusnaturalistico di Bobbio, davanti e dopo quel punto molle e pieghevole, allestiscono come delle mura più alte, come delle facciate più elevate che proprio a quel punto 13 Ivi, p. 283. Ivi, p. 285. 15 Ivi, p. 2. 14 47 tolgono ogni vivacità di luce. Un punto, un punto solo (peraltro costretto nelle angustie di uno spazio ridottissimo): basta davvero così poco per far decampare Bobbio dalla sapienza giuspositivistica? 7. E non è tutto. Perchè se finora abbiamo collaudato, diremo così, dall' “esterno” il giusnaturalismo di Bobbio (recte: il presunto giusnaturalismo di Bobbio), facendolo rimbalzare su pagine posteriori e anteriori che non gli rendono l'eco e che addirittura restano in dispetto e lo respingono; se dunque manca di risonanze esterne, neppure dall'interno, auscultato in sé e per sé, senza nessun confronto con i suoi ragionamenti precedenti o successivi, neppure dall'interno il pensiero di Bobbio trasale di vibrazioni giusnaturalistiche. Prendete questo libro su Locke, per esempio, e andate diritti alla pagina dove viene a discorrere dell'ideologia giusnaturalistica (proprio quella ideologia che taluni incauti gli vorrebbero attribuire). Che cosa trovate scritto? Che “il mito [occhio al termine!] che il mito di un diritto che nasce da una natura benefica, perchè così voluta da Dio o perchè essa stessa intrinsecamente divina, è esaurito e non rinasce per non rapidamente morire” . 16 Al volo, bisogna fermarla al volo quella parolina lì: “mito”. Perchè, vedete, se veramente risente il graffio del mito, se davvero nell'orientamento odierno degli spiriti la concezione di una natura materna, prosperosa, generosa - benefica, appunto – è ormai intristita come un frutto fuori stagione - mezzo e riluttante al gusto come solo i frutti avvizziti sanno essere – se insomma nessuno (o quasi) crede più nel ritorno alla natura come all'infanzia della vita, dove non c'è intelligenza ma istinti, non volontà ma appetiti, non moralità ma inclinazioni, allora – se così è - qualche anima candida potrà bene sviscerarsi d'amore per l'ideologia giusnaturalistica, ma proprio in quanto ideologia, proprio cioè come insieme di argomenti che dovrebbero indurre anche gli altri a fare la nostra stessa scelta, proprio come ideologia l'appello ad una natura nuda, svestita di tutte le complicazioni della civiltà e della tecnica, suona a vuoto e non suscita alcuna risonanza nella cultura dei giorni nostri. Provateci: provate a dire ad un contadino che no, non con i fertilizzanti, non con le trebbiatrici, non con i motocoltivatori, ma con la forza delle sole braccia e bagnando le zolle col sudore della propria fronte, solo così a contatto diretto e immediato con la “benefica” terra dovrà arricchire il valore della sua proprietà; provateci: provate a dire ad un malato di cancro che no, non con i farmaci di ultima generazione, non con 16 BOBBIO, Norberto. Locke e il diritto naturale. op. cit., p.78. 48 le operazioni al laser ma con i decotti della nonna e le erbe dei conventi dovrà curare il suo male, provateci a farlo, e saprete cosa pensare di chi parla della natura stringendo le labbra in tondo. Il fatto è che per disgrazia di quelli che hanno gli occhi dietro (verso un fantastico inizio) e torcono lo sguardo dal mondo in cui vivono, per loro sventura, dicevamo, “il nostro sistema di valori si è spostato dall'apprezzamento della spontaneità, come adeguamento alla natura, all'apprezzamento della costruzione sociale, come lotta contro la natura.” Così scrive Bobbio che poi, immediatamente dopo, per evitare ogni grinza al proprio ragionamento, ne distende la grana e aggiunge: “Attraverso lo sviluppo della tecnica, il mondo in cui ci muoviamo è diventato, piaccia o non piaccia, sempre più artificiale e costruito. E nessuno pensa a distruggerlo; si tende, se mai, a renderlo più razionale, a perfezionare la costruzione anziché ad abbatterla”. Dopo di che, salito un po' (ma solo un po') nei giri sonori del suo discorso, Bobbio chiude con lo scatto di questa domanda decisiva (decisiva, si capisce, per i destini dell'ideologia giusnaturalistica): “Quale forza persuasiva può aver ancora la dottrina del diritto naturale in un mondo in cui i principali modelli di vita sono desunti non dalla natura ma dalla lotta contro la natura?”17. 8. Vedete quale frastaglio di ragionamenti e che rapido commutarsi di orizzonti nei territori del giusnaturalismo: se lo prendete per il lato della storia, allora insieme con Bobbio dovrete riconoscere che mille soli sfolgorano nei suoi cieli perchè tutti quanti noi, volenti o nolenti, siamo i lontani nipoti di eventi (la Rivoluzione americana e la Rivoluzione francese) che furono appunto riscaldati dai raggi del diritto naturale. Se però, sempre insieme a Bobbio, trascorrete ad esaminarne le esigenze ideali, allora proprio quei cieli si oscurano, le nubi infittiscono e la giornata giusnaturalista, che prima sembrava così piena, ripiega in un rosario di ore opache che scivolano vuote tra i nostri pensieri. Mentre dunque la funzione storica trasporta in alto il diritto naturale, verso le punte di un bilancio abbondantemente in attivo, la sua ideologia - con quella benedetta trovata della natura “benefica” - lo trattiene in basso, tra le sofferenze di un conto in perdita. Non solo. Ma se poi con un successivo terzo scatto, ampliate ulteriormente il giro del vostro obiettivo e come con una specie di grandangolo mettete a fuoco anche l'aspetto teoretico (oltre che storico e ideologico) del giusnaturalismo, allora... allora altro 17 BOBBIO, Norberto. Argomenti contro il diritto naturale. op. cit., p.176-177. 49 che passivi, conti in perdita o sofferenze! Vi accorgerete subito che proprio la natura “benefica”, precipita giù i giusnaturalisti, rovinandoli con la bancarotta di una impresa fallimentare. Subito ve ne accorgerete, per poco che ingraniate col ragionamento di Bobbio che avendo una specie di fiuto vivo per queste vicende, avverte – e fa avvertire immediatamente anche a voi – quel che c'è di temerario e di spericolato nell'attività in cui si sono cacciati i giusnaturalisti. I quali, al di là delle loro differenziazioni interne - chi destro, chi sinistro; chi codino, chi rivoluzionario – respirano tutti quell'aerea, quell'impalpabile, quell'atmosferica eppure riconoscibilissima cosa che si chiama “aria di famiglia”; tutti, ma proprio tutti, facendo globo intorno alla seguente convinzione (che è poi come la sigla riassuntiva del loro pensiero): la natura è costellata di principi auto-evidenti che essa, però, custodisce in fondo, ma veramente in fondo, proprio nell'intimo di se stessa per cui, attrezzati da palombari, solo se gli uomini spigolano dentro le pieghe della natura e si profondano sotto la superficie dei fatti, solo così, con questo lavoro da sommozzatori, essi possono riportare alla luce le regole del loro comportamento e sapere finalmente ciò che è giusto e ciò che è ingiusto, quel che devono e quel che non devono fare. Il dover-essere (la norma dell'azione), dunque, tirata su dai fondali dell'essere (la natura) con gli argani di una intelligenza scrutatrice: alla stretta finale - se ci pensiamo - il giusnaturalismo sta tutto qui, nell'idea che il fondamento della condotta umana sia da cercare non nella mutevole, imprevedibile e soggettiva volontà del legislatore ma nei costanti, sempiterni e oggettivi decreti della natura. Questo, non altro, è il suo magnifico azzardo. Ma che proprio come azzardo cade vittime del tiro traditore dei fatti i quali dicono un'altra verità, anzi urlano una verità opposta che carambola sul giusnaturalismo - su tutto il giusnaturalismo, compreso quello di Locke - e lo affonda nella voragine del fallimento teoretico (e sarà in quel punto che Bobbio verrà a dire così: “attorno alla legge naturale si riuniscono soltanto più i dotti nelle accademie e nei congressi, come anatomisti intorno ad un cadavere”)18. Ora, la verità che terremota il diritto naturale e ne rovina il valore conoscitivo è che mai e poi mai si può derivare la conoscenza del giusto dall'analisi della realtà naturale. Alla realtà non è immanente alcun valore; essa, per quanto la si sondi in profondità, non racchiude nulla, nessun giusto di nessun tipo. Mondo della realtà e mondo dei valori sono universi distinti e non comunicanti, sicchè non è lecito inferire un valore da un fatto, non si può derivare un dover-essere dall'essere. E la causa di questo nobridge, il motivo per cui non si è dato mai né mai si darà l'arco di un ponte che riunisca le due 18 Ivi, p. 177. 50 rive dei fatti e dei valori, il motivo di ciò l'ha spiegato Bobbio in una pagina di questo libro che non possiamo, che non vogliamo lasciare lì perchè è tale la smaltata chiarezza dell'argomento, tale la fulminea rapidità del bersaglio che se ne resta ammirati e si vuole subito farne partecipe il lettore. “Dal fatto che l'uomo abbia queste o quelle inclinazioni naturali – scrive Bobbio – si può ricavare tutt'al più l'affermazione che l'uomo è fatto per natura in questo modo piuttosto che in un altro modo. Ma – incalza – se poi, fatto a questo modo, sia fatto bene o male, è un altro discorso. Dal primo non si può passare al secondo se non presupponendo una qualche valutazione, che viene dissimulata nel concetto di natura, senza che ci si accorga della sostituzione”. Fermi! Eccolo qui, l'errore – questo sì, davvero sempiterno - del giusnaturalismo: trattare la natura coi riguardi dovuti ai fatti oggettivi quando invece essa è solo la proiezione di un valore soggettivo. “Certo - prosegue Bobbio – se io dico (come dirà Locke nei suoi trattati giovanile) che la natura è creata da Dio e Dio non può fare null'altro che il bene, non mi sarà difficile dedurre che la natura è buona, e buone sono le inclinazioni naturali. Ma questa deduzione è stata possibile per il fatto che io senza accorgermene ho attribuito un valore positivo alla natura, e così ho ricavato un apprezzamento positivo delle inclinazioni naturali non dalla constatazione che sono naturali ma dall'apprezzamento positivo dato della natura considerata come opera divina” 19. Dopo di che, implacabile, scatta la domanda: Già: la natura creata da Dio. E se io non credo in Dio? Come la mettiamo? In questo caso non necessariamente mi sentirò impegnato ad onorare la natura; che per me può essere atrocemente, ferocemente ingiusta proprio perchè non credo che ci sia qualcuno che presieda alla sua bontà. E quindi, ammesso e non concesso che esista un criterio univoco per distinguere ciò che è naturale da ciò che non lo è – la proprietà privata, per dire, è naturale o no? Locke risponde di sì. Rousseau dice di no. La schiavitù è naturale o no? Per Aristotele è naturale. Per Kant è innaturale. Il suffragio universale è un diritto naturale o no? Per i livellatori lo è; per Constant no. E potremmo andare avanti per un bel po' a documentare questo screzio tra gli interpreti della “natura” che Bobbio, non sai se più divertito o più raccapricciato, ha descritto come “l'affascinante tema di un nuovo elogio della follia” 20 – e quindi, dicevamo, se anche per avventura tutti, in tutti i momenti della storia, si trovassero d'accordo nello stabilire cosa è naturale, non per questo ne deriverebbe l'obbligo morale di seguirlo. Solo in un caso ciò 19 20 BOBBIO, Norberto. Locke e il diritto naturale. op. cit., p. 70-71. BOBBIO, Norberto. Argomenti contro il diritto naturale. op. cit., p.169. 51 che è naturale si imporrebbe come giusto e dunque rivendicherebbe per sé l'obbligo dell'obbedienza. Solo se tutti concordassero che la natura è buona. Il che, di solito, avviene quando si postula l'esistenza di un Dio creatore la cui volontà è infallibilmente diretta al bene. Per cui non necessariamente il criterio naturale coincide con quello del giusto. O più precisamente: il naturale sarà giusto solo per i credenti; è solo relativamente ad essi che le leggi naturali varranno anche come precetti etici. “Relativamente ad essi”, intendiamo? E quindi quel relativismo che sembrava dovesse uscire dalla porta dei valori trovati, rinvenuti, scoperti nella natura, nella oggettività della natura, precisamente quel relativismo lì rientra poi dalla finestra della natura pensata come entità benefica. 9. E così, gira e gira, siamo venuti a gravitare nell'orbita del relativismo. Come in fondo era naturale che fosse con un autore come Bobbio il quale, al pari di altri, ha denunciato la base guasta su cui è piantato l'oggettivismo giusnaturalistico, ma che più di altri e in ogni caso meglio di altri ha avuto chiara la consapevolezza che “quando si vuol designare il sistema etico opposto a quello giusnaturalistico, ci si riferisce al relativismo etico” . Sicchè, avendo egli respinto il 21 primo sistema, era poi giocoforza che ne accogliesse in grembo il secondo. Dove quel “giocoforza”, però, non è un flettere le ginocchia, una specie di soporosa capitolazione ad una fatale, infausta necessità che preme dall'alto. No, non c'è nulla di infausto nel relativismo di Bobbio - “non bisogna aver paura del relativismo”, egli ammoniva 22 - : intanto perchè chiamando l'uomo a decidere da sé del bene e del male, del giusto e dell'ingiusto; sciogliendolo da valori che si pensa stiano già lì, precostituiti, e che tutt'al più vanno solo adattati ai tempi, disancorandolo dunque da un porto unico e obbligato e rendendolo pronto per tutte le partenze, il relativismo proprio quell'uomo abitua all'esercizio della scelta e lo educa al gusto geloso dell'autonomia (che non sono precisamente cose da nulla; e comunque sono tutte cose incompatibili con i meccanismi della dittatura). E poi... Poi c'è poco da sciogliersi in pianto per la polverizzazione dei valori oggettivi, quasi che il loro rovinio debba inaugurare chissà quale sconosciuto male, chissà quale inedita catastrofe debba abbattersi sull'umanità che non gira più attaccata al cilindro della mola giusnaturalistica. “Gli uomini – faceva notare Bobbio con una increspatura appena appena aspra (ma come punge!) - gli uomini non hanno aspettato la crisi 21 BOBBIO, Norberto. Il giusnaturalismo come teoria della morale. op. cit., p.185. BOBBIO, Norberto. Sul fondamento dei diritti dell'uomo. In: BOBBIO, Norberto. Il problema della guerra e le vie della pace. Bologna: Il Mulino, 1979, p. 123. 22 52 del diritto naturale per sbranarsi tra loro. Gli uomini si sono combattutti ed uccisi anche nei beati tempi in cui teologi, filosofi e giuristi erano convinti e concordi assertori del diritto naturali.”23 C'è bisogno di aggiungere altro? No, non ce n'è bisogno. O forse sì, una rapida postilla va fatta per dire che questa di Bobbio è soltanto una breve frase. Eppure quanti echi, specie in tempi di smargiassate antirelativistiche, suscita nei nostri cuori! Riassumere una polemica intera con la felicità di una battuta sola – credete pure - è sempre arte difficile, che impegna l'intelligenza, il gusto, e vorremmo aggiungere la civiltà di un Autore. Per questo, anche per questo, per tutti noi, da molto tempo, una tale verità, così semplice ed onesta, dice molte cose di Bobbio e ce ne consegna oltremodo grato il ricordo. RIFERIMENTI BOBBIO, Norberto. Autobiografia. A cura di A. Papuzzi. Roma-Bari: Laterza, 1997. ______. Giusnaturalismo e positivismo giuridico. BOBBIO, Norberto. Giusnaturalismo e positivismo giuridico. Milano: Edizioni di Comunità, 1972. ______. Il modello giusnaturalistico. In: BOBBIO, Norberto; BOVERO, M. Società e Stato nella filosofia politica moderna. Milano: Il Saggiatore, 1979. ______. Il positivismo giuridico. Torino: Giappichelli, 1979. ______. Lezioni di filosofia del diritto. Bologna: Casa editrice «La Grafolito», 1941. ______. Locke e il diritto naturale. Torino: Giappichelli, 1963. ______. Studi lockiani. In: BOBBIO, Norberto. Da Hobbes a Marx. Napoli: Morano, 1965. LOCKE, John. Il secondo trattato sul governo. Roma: Editori Riuniti, 1974. Submissão: 29/07/2018 Aceito para Publicação: 01/08/2018 23 BOBBIO, Norberto. Ancora sul diritto naturale. op. cit., p. 223. 53 54