Comunicazioni sociali
Rivista di media, spettacolo e studi culturali
Anno XXIX Nuova serie
Sezione Cinema
N. 2 Maggio-Agosto 2007
GENERE E GENERI
Figure femminili nell’immaginario cinematografico
italiano
Poste Italiane SpA spedizione in Abb. Postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27.02.2004 nº 46) art. 1, comma 1, DCB Mi
a cura di Lucia Cardone e Mariagrazia Fanchi
C
ISSN 0392-8667
OMUNICAZIONI SOCIALI
Rivista di media, spettacolo e studi culturali
Poste Italiane SpA spedizione in Abb. Postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27.02.2004 nº 46) art. 1, comma 1, DCB Mi
2
Anno XXIX Nuova serie
Sezione Cinema
N. 2 Maggio-Agosto 2007
Genere e generi
Figure femminili nell’immaginario cinematografico
italiano
a cura di Lucia Cardone e Mariagrazia Fanchi
UNIVERSITÀ CATTOLICA DEL SACRO CUORE
MILANO
COMUNICAZIONI SOCIALI
Rivista di media, spettacolo e studi culturali
A CURA DEL DIPARTIMENTO DI SCIENZE DELLA COMUNICAZIONE E
DELLO SPETTACOLO E DELL’ALTA SCUOLA IN MEDIA, COMUNICAZIONE
E SPETTACOLO
pubblicazione quadrimestrale
2
Anno XXIX Nuova serie
Sezione Cinema
N. 2 Maggio-Agosto 2007
Comitato di Redazione
PIERMARCO AROLDI, CLAUDIO BERNARDI, ANNAMARIA CASCETTA, FRANCESCO CASETTI,
FAUSTO COLOMBO, RUGGERO EUGENI, MARIAGRAZIA FANCHI, ARMANDO FUMAGALLI,
CHIARA GIACCARDI, ALDO GRASSO, SILVANO PETROSINO, GIORGIO SIMONELLI
Direttore
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Redazione
CHIARA GIACCARDI, coordinatore
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MASSIMO SCAGLIONI, BARBARA SCIFO, SIMONE TOSONI,
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Copertina: Andrea Musso
Composizione: Gi&Gi, Tregasio di Triuggio (Mi)
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Finito di stampare nel mese di luglio 2008
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Sommario
GENERE E GENERI
Figure femminili nell’immaginario cinematografico italiano
a cura di Lucia Cardone e Mariagrazia Fanchi
Nota delle curatrici
p. 155
I. Fin qui e oltre
VERONICA PRAVADELLI
Cinema e studi di genere dal 1990 a oggi
» 165
VICTORIA DUCKETT
Reflections on a feminist future: Cooking cakes and baking
biscuits in an early documentary film
» 178
GIULIA FANARA
Pieghe d’amore. Tra-vasi dal femminismo italiano a un
modello emozionale di cinema
» 188
II. Specchi: la rappresentazione della donna nel cinema italiano
CRISTINA JANDELLI
Donne rapaci. Modelli femminili tra cinema e pittura negli
anni Dieci
» 209
ALICE CATI
«Sorridi alla mamma!». Presenze materne nelle pratiche
cine-amatoriali
» 218
CHIARA TOGNOLOTTI
‘Signore di casa’ e ‘Signore di tutti’: ritratti al femminile nella
commedia degli anni Trenta
» 223
ELENA MOSCONI
«L’onorevole Angelina» e la breve stagione della repubblica
(cinematografica) delle donne
» 228
154
SOMMARIO
SANDRO BELLASSAI
Anime incatenate. Le prostitute nel cinema italiano degli anni
Cinquanta
» 235
FEDERICA VILLA
Visualizzare la diva. «La donna del fiume»: qualche appunto
sull’attrice diva nel paesaggio d’acqua
» 240
ALICE AUTELITANO
Bambole, fate, streghe e signore: la donna nel film a episodi
italiano degli anni Sessanta
» 248
DEBORAH TOSCHI
Vittima o carnefice? La rappresentazione della donna nel
gotico italiano
» 255
GIOVANNA MAINA
Emanuelle, l’irriducibile. Le ambiguità dello sguardo nell’erotico italiano degli anni Settanta
» 261
VALENTINA RE
Ritratti di signora. Donne del cinema italiano contemporaneo:
quattro istantanee
» 266
ELENA MARCHESCHI
Lo specchio elettronico. Donne e corpo nei film di donne
» 273
III. Rifrazioni mediali ed esperienze: donne e cinema nella cultura del Paese
ENRICA CAPUSSOTTI
Il cinema nella riflessione e nei discorsi delle donne
» 281
MARIA ELEONORA LANDINI
Riferimenti, tratti e sollecitazioni culturali del Movimento
Italiano Femminile (1946-1956)
» 288
LUCIA CARDONE
Il cinema su ‹‹Noi donne››. Spettatrici, militanti ed educazione politica nell’Italia del dopoguerra
» 300
GISELDA ADORNATO
«Vera, umana e cristiana femminilità»: la donna nel
Magistero di Paolo VI
» 310
Note biografiche
» 321
«Comunicazioni Sociali», 2007, n. 2, 155-161
© 2007 Vita e Pensiero / Pubblicazioni dell’Università Cattolica del Sacro Cuore
NOTA DELLE CURATRICI
All’inizio degli anni Novanta la spinta teorica e l’afflato politico della riflessione femminista sul cinema sembrano essersi esauriti. La sensazione di una presa sempre più
debole sulla realtà sociale e la consapevolezza dei limiti delle teorie prodotte sul cinema (e sull’identità femminile) decretano la fine di una stagione caratterizzata, soprattutto al di fuori dei confini nazionali, da una sinergia strettissima fra l’elaborazione del
pensiero delle donne e l’attività critica e speculativa sul cinema. In questo panorama,
privo di punti di riferimento condivisi e stabili, abbiamo chiesto alle autrici e all’autore di ‘mettersi in gioco’ e di ‘partire da sé’1, seguendo in qualche modo le parole e le
pratiche politiche reinventate dalle donne ed eleggendole a criterio di ricerca e di indagine. Da qui l’invito a guardare nei loro specifici ambiti di studio, interrogandosi sulle
posizioni, sui ruoli delle figure femminili, sulle icone ricorrenti o contraddittorie.
Gettati in terreni diversi – dalla ricerca storica alle indagini culturali – i semi di questo
lavoro fanno germinare una ricca messe di contributi. Saggi e ricerche che entrano in
un dialogo intenso e proficuo con il dibattito sul cinema e sui media, e che si caratterizzano per il venir meno di una prospettiva unica, sia politica sia teorica, e per la moltiplicazione degli sguardi, delle metodologie e delle questioni.
Primo obiettivo che questa raccolta di scritti si propone è dunque quello di fare il
punto sullo stato attuale della critica e degli studi femministi rivolti al cinema. Una ricostruzione che muove, gioco forza, dallo scenario internazionale, e in particolare dal contesto anglo-americano, in cui il processo di revisione del rapporto fra donne e cinema è
più avanzato, per approdare allo studio della situazione italiana, con le sue peculiarità e
i suoi limiti. Se infatti la riflessione femminista, passata e presente, sul cinema ha prodotto in Italia contributi rilevanti, essa appare ciò nondimeno puntuale e discontinua. Di
qui il secondo obiettivo che ha animato questo progetto: contribuire a rendere più organico il discorso femminile sul cinema in Italia2. L’analisi delle immagini di donne che
percorrono la produzione cinematografica nazionale costituisce in tal senso un primo e
1
Cfr. DIOTIMA, La sapienza del partire da sé, Liguori, Napoli 1996; A. RIBERO - CENTRO STUDI E DOCUMENTAZIONE PENSIERO FEMMINILE, Glossario. Lessico della differenza, Regione Piemonte-CRPO, Torino 2007,
pp. 197-202.
2
Recentemente l’interesse per gli studi femministi sul cinema ha ricevuto nuovo impulso in Italia. Si
segnala, in particolare, il numero monografico di «La valle dell’Eden», curato da Giaime Alonge e Rebecca
West (Cinema e Gender Studies, «La valle dell’Eden», 2007, 19), che raccoglie gli atti del Convegno I piaceri del testo. Identità di genere, storia e teoria del cinema, svoltosi nel dicembre 2006 presso l’Università
degli Studi di Torino e che ha, dopo molto tempo, tirato le fila dello stato degli studi sul genere, sia in Italia
sia all’estero. E si segnalano anche iniziative di ricerca che hanno riproposto il tema femminile come chiave
di volta per ricostruire la storia del cinema. Si vuole qui ricordare il progetto diretto da Monica Dall’Asta
presso l’Università di Bologna sul cinema delle origini.
156
NOTA DELLE CURATRICI
irrinunciabile apporto. Una scelta che, anche in virtù della dislocazione degli studi di
caso lungo un arco temporale esteso, vale a rendere visibile la complessa trama di relazioni che si stringe fra la dimensione del simbolico e quella storica e sociale della condizione femminile e offre uno strumento critico prezioso per valutare il ruolo del cinema nel processo di affermazione delle donne. A fianco di questo approccio, e in ossequio alle direzioni più recentemente imboccate dalla critica femminista, il testo ospita
inoltre alcuni studi con una più spiccata vocazione storica e culturologica, volti a ricostruire le forme assunte dall’esperienza di fruizione e il rapporto fra spettatrici e universo cinematografico.
A fronte di questi obiettivi, il testo è stato strutturato in tre sezioni.
La prima (Fin qui e oltre) esamina lo stato della questione, con particolare attenzione agli sviluppi recenti del dibattito femminista. Il saggio di Veronica Pravadelli, con
cui si apre la raccolta, descrive le direzioni imboccate dalla Feminist Film Theory a partire dagli anni Novanta ed evidenzia la sua capacità di intercettare sensibilità e temi di
discussione maturati in altri ambiti disciplinari, ripensando, funzionalmente ad essi e
alla mutata temperie storica, le proprie categorie. Così per la teoria psicoanalitica, che
si confronta con la questione dell’alterità etnico-culturale degli studi postcoloniali o con
il tema del trauma; o anche per gli studi sulla spettatorialità che si volgono a considerare le molte e diverse forme dell’esperienza di visione che le donne possono assumere nel tempo; o per la riflessione sul Gender, che si apre a considerazioni più complessive sui processi di identificazione e di disidentificazione includendo a fianco della
componente sessuale, quella etnica, politica, generazionale.
La capacità della riflessione femminista di entrare in relazione con altre discipline, producendo non di rado risultati sorprendenti, torna anche nel saggio di Victoria
Duckett che si cimenta in un bilancio del contributo delle donne alla ricerca storica sul
cinema. Duckett denuncia la tendenza invalsa fra gli storici a non riconoscere l’apporto dell’approccio femminista e ne mostra, di contro, la produttività, teorica ed empirica. In particolare, il riconoscimento del valore politico della rappresentazione e dell’atto di visione inducono a considerare sotto una luce diversa i testi filmici, scoprendone
valenze insospettate, come, ad esempio, la presenza di un prototipo di femminilità
emancipata, libera e creativa (a fronte di un’immagine di mascolinità assoggettata alle
logiche fordiste) già nel cinema delle origini.
Seppure meno sistematico, anche il dibattito sul cinema che sorge in seno al movimento femminista italiano rivela una sua forza propositiva. La nozione di materno a cui
approda la riflessione (e la pratica politica) femminista, nella ricostruzione proposta da
Giulia Fanara, consente di superare la logica binaria che oppone maschile e femminile,
facendosi strumento di fondazione di una soggettività piena, che supera divisioni e
salda differenze, e offrendo nuove opportunità di approccio al film, sia per chi lo elegge ad oggetto di ricerca, sia per chi ne fa esperienza nelle vesti di semplice spettatore.
Il saggio di Fanara si propone in più come esempio di un’organizzazione del pensiero
e della parola alternativa, nomadica, che scardina gli schemi consolidati del discorso,
consentendo così di attivare nuovi gangli concettuali e di tracciare percorsi conoscitivi
differenti e inopinati.
La seconda sezione del volume (Specchi: la rappresentazione della donna nel
cinema italiano) raccoglie un esteso repertorio di contributi sulle immagini di donne
che emergono dalla produzione cinematografica italiana e sui processi culturali, in
senso ampio, che le definiscono. Anche senza essere uno studio a tappeto delle forme
che il ‘femminile’ assume nella storia del cinema nazionale, la sezione permette alcune
considerazioni di ordine generale sul valore indiziario delle immagini cinematografiche
NOTA DELLE CURATRICI
157
di donne, preziosa testimonianza delle strategie comunicative, delle poetiche e delle
politiche del cinema e del più ampio contesto storico all’interno del quale esso opera; e
così pure consente di coglierne il valore culturale, che ne fa la sede elettiva del confronto (più spesso scontro) fra modernità e tradizione.
La particolare capacità dell’icona femminile di rendere visibile il momento che il
cinema sta attraversando e le sue logiche, proponendosi come fonte per il lavoro dello
storico, emerge anzitutto dal saggio di Cristina Jandelli. Il confronto fra la donna-gufo
interpretata da Pina Menichelli e le immagini della Marchesa Casati, immortalate dal
pennello di Boldini, mostrano il fitto e vivace scambio che si attiva fra cinema e altre
arti nei primi decenni del Novecento. Esso inoltre rivela la strumentalità dei modi con
cui le donne vengono rappresentate: espressione del bisogno che il cinema ha di accreditarsi come nuova forma d’arte (prelevando dalla pittura e dalla letteratura stilemi e
icone) più che prova di un’istanza modernizzatrice, di un impegno nella trasmissione di
un modello femminile emancipato, anticonformista ed eccentrico (rispetto ai paradigmi
patriarcali).
L’eccedenza simbolica delle rappresentazioni delle donne, la densità di informazioni di cui sono portatrici, a volte in absentia, è il motivo conduttore anche delle analisi di Alice Cati e di Chiara Tognolotti. Cati sceglie di esaminare alcuni film di famiglia degli anni Venti e Trenta, quando le tecniche amatoriali di ripresa e di proiezione
domestica cominciano ad avere una certa diffusione anche in Italia. Il lavoro incrocia lo
studio delle immagini di donne contenute nei testi promozionali, che configurano un
canone d’impiego della tecnologia, e l’analisi della presenza/assenza della figura materna nei film di famiglia. Ne emerge un quadro complesso e a tratti ambiguo, in cui ciò
che appare e ciò che non appare rivelano un senso imprevisto. Mentre il ruolo assegnato alla donna nelle pubblicità (in cui compare non di rado nel ruolo di ‘regista’) non
sembra corrispondere ad una pratica effettiva d’uso, ma funziona piuttosto come lapalissiana riprova della semplicità degli strumenti e della loro accessibilità; la sua presenza fuori quadro (evocata dallo sguardo dei piccoli protagonisti delle riprese) ne fa la
vera dea ex machina della memoria filmata della famiglia, che predispone il set e che
guida l’azione.
La sovrabbondanza di senso dell’immagine femminile, tanto più quando immagine divistica, consente a Chiara Tognolotti di individuare nella poliedrica figura di Gaby,
la celeberrima protagonista dell’opera ophulsiana, La signora di tutti (1943), la matrice delle molte icone femminili che popolano la commedia (in senso ampio) del Regime.
Modelli che pur nella loro diversità, frutto delle differenti cornici narrative in cui sono
ubicati, sottendono un comune processo di mediazione fra modernità e tradizione, che
si risolve nel ripristino di un sistema patriarcale di relazioni: la donna viene ricondotta
entro le mura domestiche e il rassicurante perimetro degli affetti familiari e la rinuncia
ad una vita indipendente compensata dalla conquista del vero amore.
La dialettica fra una figura di donna nuova, volitiva, autonoma, capace di prendere in mano il proprio destino e persino quello della comunità in cui vive, e il modello
più tradizionale di una femminilità che trova realizzazione nella casa e nella famiglia,
permea anche il film di Zampa, L’onorevole Angelina (1947). Nel saggio di Elena
Mosconi il valore dell’indiziarietà viene esplorato in tutte le sue valenze. Il film per un
verso riflette il clima che si respira in Italia nel secondo Dopoguerra e che porta all’istituzione del suffragio universale e all’inclusione delle donne nella vita politica del
Paese. Come già per le figure femminili dell’anteguerra, il personaggio di Angelina
incorpora la mediazione fra vecchio e nuovo, trovando esemplarmente lo stesso esito:
la rinuncia alla vita pubblica a favore di un privato marcato dalla ritrovata serenità.
158
NOTA DELLE CURATRICI
Oltre alla valenza realistica (sostenuta dalle dichiarazioni dello stesso regista), la figura di Angelina dice però anche della particolare strategia divistica adottata per Anna
Magnani, di cui enfatizza i tratti più noti e popolari (la veracità, l’energia, la semplicità, la rettitudine). Modello aspirazionale di femminilità, dunque, in una realtà in cui la
parità dei diritti è ancora di là da venire, ma soprattutto emblema della modalità con cui
il realismo si confronta con la ‘questione femminile’ e forse già espressione del suo
declinare o sublimarsi nelle più edulcorate forme del neorealismo rosa.
Che il cinema abbia una funzione di denuncia, che sappia portare in superficie tensioni o istanze che albergano nel sociale, ma che non vengono esplicitate, è un fatto su
cui autorevoli teorici si sono anche recentemente espressi3. Sandro Bellassai muove
proprio da questa considerazione e va a ricercare nella produzione cinematografica italiana degli anni Cinquanta le tracce lasciate dal dibattito sulla legge Merlin. Con una
sensibilità acuita dalla stagione neorealista, il cinema italiano denuncia i risvolti più critici del provvedimento che nei fatti impedisce il processo di riabilitazione e di integrazione della prostituta condannandola a vivere ai margini della società e della legge.
Anche in questo caso le donne sono il campo su cui si scontrano visioni diverse, al limite opposte, della società: reproba da condannare o vittima che occorre sostenere e aiutare a ritrovare una propria collocazione nel consesso civile.
Lo scontro culturale che si consuma dietro le immagini patinate delle dive degli
anni Cinquanta è esemplarmente scandagliato nel contributo di Federica Villa. La ricostruzione della genesi e delle successive trasformazioni di La donna del fiume di Mario
Soldati costituisce un caso paradigmatico di mediazione fra istanze divergenti: quella
autoriale, quella produttiva e quella sociale. In particolare lo scritto mostra gli esiti che
le pressioni censorie sul film sortiscono sulla messa in scena della donna e, più in generale, sulla definizione di un nuovo modello di divismo femminile. Anche quando apparentemente rivolti a contenere altri elementi del testo filmico, gli interventi rivelano un
lavoro di contenimento del personaggio femminile che contempera la concessione di
uno spazio diegetico maggiore e il rispetto dei canoni visivi (e culturali) degli stereotipi di donna correnti.
Modernità e tradizione si trovano nuovamente in tensione nel caleidoscopico universo dei film a episodi degli anni Sessanta analizzati da Alice Autelitano. Qui la trasformazione delle donne, la loro affermazione, sono simbolicamente rappresentate dall’estensione dello spettro dei consumi culturali dei personaggi femminili. L’ingresso massiccio dei media nella vita delle protagoniste dei film introduce una turbativa nell’ordine
patriarcale, che viene tuttavia presto riassorbita con l’ausilio degli stessi mezzi. Mentre
disegnano il profilo di una donna nuova, i media servono infatti a sanzionare le forme
emergenti di femminilità e a sollecitare un ritorno a un ideale muliebre premoderno.
Non sempre però la negoziazione fra innovazione e tradizione si risolve a favore
della seconda, e non mancano, in questi stessi anni, icone di femminilità in cui il processo di mediazione sembra giungere a un effettivo compromesso. Lo studio condotto
da Deborah Toschi sul gotico italiano degli anni Sessanta e da Giovanna Maina sul cinema erotico del decennio successivo rivelano insospettate zone di resistenza alle istanze
patriarcali, che curiosamente trovano spazio in contesti discorsivi prettamente maschili.
Toschi riconosce nelle eroine (Final Girl ante litteram) che popolano la produzione fantastica e orrorifica nazionale degli anni successivi al boom economico un’inconsueta
disposizione all’azione (anomala anzitutto per il genere) che le promuove quali autentiche fautrici della storia. Protagoniste attive e insieme seduttive, le donne del cinema
3
F. CASETTI, L’occhio del Novecento. Cinema, esperienza, modernità, Bompiani, Milano 2005.
NOTA DELLE CURATRICI
159
gotico italiano celano una natura ambigua – sono eroine, ma anche mostri – che non
consente di pronunciarsi in via definitiva sul nuovo modello di femminilità e che lascia
in sospeso il bilancio sul ruolo del genere nei processi di affermazione delle donne.
Un’analoga situazione si rintraccia nella produzione erotica e in particolare nella serie
di pellicole con protagonista Emanuelle. Come già per il gotico, Giovanna Maina evidenzia l’operazione di ridefinizione a cui sono sottoposti i canoni del genere, che porta
a codificare una figura di donna padrona del proprio destino anche nel concedersi allo
sguardo e al piacere maschili. Emanuelle va così a incarnare, virtuosamente, la mediazione fra modelli coesistenti di femminilità, lasciando a sua volta aperto il confronto.
La capacità di dare voce alle diverse espressioni che assume il personaggio femminile sembra tuttavia più un caso (la felice congiuntura di una fase storica aperta al
rinnovamento e di un genere di nicchia, meno soggetto al controllo sociale e ai condizionamenti del sistema produttivo), che non l’esito di un progetto di ripensamento e di
revisione del ruolo delle donne. Non stupisce così che il saggio dedicato al cinema italiano contemporaneo denunci nuovamente la crisi della rappresentazione della soggettività femminile. Valentina Re sceglie di lavorare sul cinema ‘d’autore’, come spazio
propizio a ospitare figure di donne che colgano la complessità e l’ambivalenza dell’identità di genere oggi. Due autori (Emanuele Crialese e Francesca Comencini) e, per
ciascuno di essi, due film (Respiro e Nuovomondo; Mi piace lavorare e A casa nostra)
che rivelano la sorprendente e preoccupante difficoltà a raccontare l’universo femminile, evitando di ricorrere agli stereotipi o di trincerarsi dietro l’alibi della sua insondabilità. Per ritrovare un discorso femminile denso, occorre spostarsi ancor più all’esterno,
quasi ai margini del sistema produttivo cinematografico. La lettura di Elena Marcheschi
di alcune recenti opere di videomaker donne rivela la produttività dello sguardo femminile sul mondo femminile. Una prospettiva che non schiaccia, che non riduce a rappresentazioni paradigmatiche, ma che propone un approccio alle donne (e alla realtà)
fondato sull’empatia, sulla prossimità, come forma profonda e autentica di conoscenza,
che accetta e valorizza la differenza. Lo sguardo femminile si conferma così, come teorizzato nei contributi che aprono questa raccolta, principio gnoseologico che permette
di pensare l’identità di genere, e il presente, e la storia, in una chiave nuova e più euristica: che comprende prima di spiegare, che accoglie, prima di giudicare.
La terza parte del volume (Ritratti mediali ed esperienze: donne e cinema nella
cultura del Paese) prende in esame i discorsi sul cinema e sui media e si concentra sulle
‘rifrazioni’ che dallo schermo si insinuano nelle riviste e nei paratesti cinematografici,
a partire dagli anni Quaranta. Il secondo Dopoguerra, come osservato poco sopra, con
l’accesso al voto e con la nascita dei movimenti femminili (UDI e CIF in particolare),
apre la scena politica alle donne che, dopo aver sperimentato negli anni del conflitto
ambiti e spazi tradizionalmente maschili, emergono come soggetto nuovo e problematico. Il cinema, potente ricettacolo degli umori sociali, avverte prima e profondamente
i mutamenti in atto, affrontando esplicitamente il nodo donne e politica (L’onorevole
Angelina), e, implicitamente, accordando alle donne ruoli di protagonismo vivace e
fuori dalle regole nel cinema di genere, basti pensare a Maddalena zero in condotta o a
Due soldi di speranza. La ‘questione femminile’ diviene centrale nel dibattito politico
e l’ingresso delle donne nella scena pubblica viene percepito dagli uomini, oscuramente e trasversalmente, come un pericolo, un’ombra che si proietta su abitudini e costumi
consolidati4.
4
Cfr. A. TONELLI, Politica e amore. Storia dell’educazione ai sentimenti nell’Italia contemporanea, Il
Mulino, Bologna 2003.
160
NOTA DELLE CURATRICI
I partiti si cimentano con questo nuovo soggetto e nel cercare di trovare alle donne
la ‘giusta misura’ scelgono il campo della cultura e dei media, in primis il cinema, come
terreno di educazione e di azione privilegiato. Il cinema e i discorsi sul cinema si rivelano dunque essenziali non soltanto per comprendere le esperienze di visione e le modalità di fruizione delle spettatrici, ma costituiscono una cartina di tornasole per capire le
scelte, politiche e ‘pedagogiche’ (aleggia, sul fondo, l’immagine della ‘donna-bambina’), messe in atto dai diversi schieramenti nei confronti delle donne. I saggi contenuti
in questa sezione muovono dai discorsi mediali per poi mettere a fuoco le posizioni sul
‘femminile’ delle donne del MIF (MSI), delle militanti dell’UDI (PCI) e della Chiesa di
Paolo VI. Da parte cattolica, come dimostra il saggio di Giselda Adornato, emerge un’apertura alla modernità e alle possibilità offerte alle donne e, accanto al prevedibile
appello ai valori tradizionali, si segnala un atteggiamento non censorio ma attento alle
novità sociali e mediali, capace di netti dinieghi e di moderate concessioni. Una formula
sospesa fra severità e condiscendenza, che trova una larga eco, a ben vedere, in tutto
l’arco costituzionale e non, come testimonia il lavoro di Maria Eleonora Landini. Il saggio di quest’ultima getta luce su un tema del tutto inedito, sia nell’ambito cinematografico sia negli studi storici, indagando l’impianto culturale della rivista «Donne d’Italia»,
fondata dalla principessa Pignatelli, fascista della prima ora. Lo sguardo al cinema e ai
media è, come dimostra Landini, ambiguo, oscillante fra censura e curiosità, fra proclami contro la cultura di massa (importata dagli USA) e proposte più moderate, che
accolgono il fumetto e il ricorso all’immaginario cinematografico.
Di segno differente è la rivista dell’UDI: per impostazione politica, per l’elaborazione dei testi (quasi tutti a firma femminile, contrariamente a «Donne d’Italia») e infine per l’atteggiamento decisamente più spregiudicato rispetto ai nuovi linguaggi dell’industria culturale. Dal saggio dedicato a «Noi donne» – che affronta la questione del
cinema per le donne in seno alla Sinistra e su una rivista storica del movimento femminile – emerge la ben congegnata strategia comunicativa del settimanale, che da un
lato utilizza il fascino dello spettacolo cinematografico e dei suoi paratesti per attrarre
la lettrice-spettatrice e dall’altro affronta il dibattito sul film in chiave marcatamente
ideologica e impegnata.
I discorsi mediali e i discorsi sociali che si dispiegano intorno al cinema costituiscono una traccia essenziale per ricostruire l’esperienza di fruizione femminile e la particolare relazione che si stringe fra il cinema e le donne in Italia. Da un lato essi rappresentano una preziosa documentazione per indagare il rapporto fra le spettatrici e l’universo cinematografico, il suo immaginario e, per un altro verso, veicolano modelli di
‘femminilità’ fondati e promossi per lo schermo e, soprattutto, per la scena politica.
CONCLUSIONI IN DIVENIRE5
Il percorso intrapreso ci porta a constatare la necessità di approfondimenti e riflessioni
ulteriori per capire a fondo la fitta e sottile rete di relazioni che lega le donne e l’immaginario cinematografico nazionale. Questo lavoro somiglia più a un ritratto scaturito da molti sguardi che a una cartografia esaustiva e fissata una volta per tutte, e pro-
5
Il divenire inteso come movimento continuo di formazione e scoperta e dunque «non il progredire […]
ma l’immaginare fantasmaticamente le metamorfosi: quei pezzi non sono soltanto frantumi, ma forme imprevedibili di altri eventi». Cfr. P. BONO - L. FORTINI (a cura di), Il romanzo del divenire. Un Bildungsroman delle
donne?, Jacobelli, Roma 2007, p. 80.
NOTA DELLE CURATRICI
161
pone un’immagine mobile e ‘in divenire’, tentando di mettere a fuoco e di tratteggiare
le figure femminili del cinema italiano. L’insieme dei saggi si configura come una
‘mappa provvisoria’ e non descrittiva (o solo parzialmente), a tratti sfuggente e sempre
problematica. Problematica nel senso che pone questioni e domande nuove, mettendo a
tema il ruolo e le posizioni delle donne, fuori e dentro lo schermo, nel contesto sociale
italiano. Ciò che ne emerge non è un’impossibile tassonomia, non si è cercato di trovare una griglia interpretativa stabile e univoca, ma, al contrario, si è voluto dare spazio
alle diversità e alla molteplicità degli avvicinamenti possibili, riscontrando infine la
vitalità e la ricchezza conoscitiva di questo ‘disordine guardato con amore’.
Lo sguardo conclusivo vede affiorare anzitutto le differenze: la pluralità degli
approcci metodologici (da quello teorico all’analisi del film, a quello propriamente storico); la disparità degli ambiti indagati (dalla riflessione femminista al cinema delle origini, dal film di famiglia al melodramma); l’accostamento di oggetti mediali e testuali
variegati (dall’apparato promozionale e pubblicitario alle riviste femminili, alle encicliche papali). Ma nell’insieme dei contributi si profilano, in modi obliqui e persistenti, similitudini, assonanze, e una sorta di rima interna. Sottotraccia, fra un saggio e l’altro, emerge il corpo femminile come luogo della diversità e come campo tensivo nel
quale si dispiegano forze opposte, spinte innovative e ritorni alla tradizione. Le donne
sono variamente agite ed eterodirette sugli schermi (e nelle platee), e danno origine a
modelli di femminilità ambigui, mutanti. Sono contraddizioni viventi che mettono in
scena e propriamente ‘danno corpo’ ai desideri sociali in atto, taciuti, rivendicati o
malintesi. Luogo deputato alla contraddizione e insieme all’accoglienza, il femminile
diviene ‘corpo negoziale’, spazio-soglia al quale è affidato il passaggio, la mediazione
tra desideri nuovi e persistenze saldamente radicate. Grumi di passività, correlativi
oggettivi dello sguardo maschile, eppure le figure femminili che percorrono gli schermi italiani sembrano mostrare delle ‘zone di resistenza’, dei tratti, pur sotterranei, di
autonomia. In primis nei generi minori, o meglio marginali, dove le protagoniste si pongono in molte maniere come segni di discontinuità, elementi di rottura degli schemi tradizionali; e poi nel cinema maggiore, nel melodramma e nella commedia, laddove il
corpo della diva abita e pervade in modo differente l’inquadratura, enunciando visivamente la sua silente e radicale alterità.
Lucia Cardone e Mariagrazia Fanchi