Storia delle idee

Il libro raccoglie gli articoli pubblicati da Raffaello Franchini sulla rivista «Criterio», da lui diretta tra il 1983 e il 1990. Sotto la sua direzione la testata fondata da Carlo Ludovico Ragghianti nel 1957 si tramuta da “mensile di cultura, politica e società” in una rivista di filosofia. I diversi contributi, editoriali, recensioni, relazioni a congressi, sono spesso legati a dibattiti in corso – risuona in queste pagine la polemica di Franchini contro il “pensiero debole” e le “filosofie di successo” – ma non mancano interventi più speculativi, spesso scritti paralleli a volumi già editi o altri in gestazione.
Il lettore avrà modo di penetrare nel laboratorio teoretico dell’ultimo Franchini, dove, ad esempio, è ripresa e ulteriormente approfondita l’idea di progresso, articolata nel contesto di una “teoria della previsione” per meglio esaminare le istanze prospettiche della conoscenza in quanto giudizio storico. Anche gli Scritti per «Criterio» collaborano a comporre, assieme ad altri più noti titoli dell’autore, quel mosaico di esercizi di teoresi che per Franchini è stata l’idea di logica filosofica, chiamata a dar prova di sé sugli incerti territori della storia.

Una breve storia dell'idea di eterna giovinezza scritta come prefazione all'edizione italiana del libro di Aubrey De Grey e Michael Rae: "La fine dell'invecchiamento. Come la scienza potrà esaudire il sogno dell'eterna giovinezza" (D Editore, Roma 2016).

_The Physiology of Love and Other Writings_ is the first English annotated collection of Mantegazza’s selected works. In my extensive introductory essay, Mantegazza’s hybrid contributions from fiction, travel-writing, and ethnography to physiology, medicine, and politics are reevaluated as instances of a proto-cultural-studies approach attuned to the cross-fertilization of disciplines and the circulation of ideas in a period of European intellectual history that defied the notion of specialization.
Table of contents:
The Physiology of Love
And Selections from:
On The Hygienic and Medicinal Virtues of the Coca Plant and on Nervine Nourishment in General
One Day in Madeira
A Voyage to Lapland with my Friend Stephen Sommier
India
Epicurus: Essay in a Physiology of the Beautiful
The Neurosic Century
The Tartuffe Century
Head: Or, Sowing Ideas to Create New Deeds
Political Memoirs of a Foot Soldier in the Italian Parliament
The Year 3000: A Dream
The Psychology of Translation

Questo saggio intende dimostrare che, contrariamente al luogo comune fattosi strada già ben prima della sua tragica fine, il linguaggio politico di Aldo Moro non fu affatto criptico e involuto, ma al contrario fu un linguaggio perfettamente idoneo a descrivere una realtà complessa e per larghi tratti paradossale come la realtà sociopolitica italiana. Se si considera la celebre immagine delle «convergenze parallele», divenuta l’icona del moroteismo inteso in senso dispregiativo, in realtà punta di un iceberg linguistico e concettuale molto più ricco e profondo, capace di rendere conto del gigantesco equivoco costruito attorno allo statista di Maglie, si può agevolmente dimostrare che essa ben lungi dall’essere, come Moro stesso affermò in un primo momento, un «assurdo geometrico e logico», è invece l’idea migliore per focalizzare l’attenzione e sollecitare l’approfondimento su uno dei tratti più tipici della complessità italiana, nella quale – esattamente come nella dimensione geometrica non euclidea – tutto si muove su uno spazio curvo dove le linee geodetiche, in tutto equivalenti alle rette sul piano unidimensionale, s’incontrano sempre.

Recensione a Ioan Petru Culianu, Iocari serio. Scienza e arte nel pensiero del Rinascimento. Edizioni Lindau, Torino, 2017;

pubblicata su Axis Mundi:
https://axismundi.blog/2018/01/25/i-p-culianu-gioco-e-magia-nel-rinascimento/

e sul Nuovo Giornale di Filosofia della Religione:
https://www.filosofiadellareligione.it/index.php/2-primo-piano/97-ioan-petru-culianu-iocari-serio-scienza-e-arte-nel-pensiero-del-rinascimento

A trent’anni dal misterioso omicidio che il 21 maggio 1991 tolse la vita a uno dei più brillanti storici delle religioni del Novecento, «Antarès» dedica un numero monografico a Ioan Petru Culianu, esploratore degli universi mentali e architetto dell’Immaginario. Il volume raccoglie tre generazioni di studiosi e comprende saggi e approfondimenti sulla sua opera, insieme a testimonianze di chi lo conobbe, carteggi e interviste, nonché un’antologia di suoi scritti inediti in italiano.

Il numero sarà disponibile in libreria a metà maggio, al prezzo di 29 euro, o mandando una mail all’indirizzo: antares@edizionibietti.com.

La Genealogia della morale si presenta al lettore come un compatto ma articolato crocevia di temi e di problematiche del pensiero di Friedrich Nietzsche. L'opera è caratterizzata da una particolare unità tematica, ma è al tempo stesso ricca di spunti che offrono accessi a questioni di non secondaria importanza e che, nel loro complesso, definiscono la trama di un pensiero che manifesta la propria ricchezza e originalità al lettore più accorto. Di tale ricchezza rende conto il presente volume, attraverso una serie di incursioni nel testo di Nietzsche che, illuminando alcuni passaggi cruciali della Genealogia della Morale, rendono conto della rilevanza filosofica di quest'opera e del ruolo che essa gioca nella storia del pensiero occidentale.

Ideas will always resist single-statement definitions, but in a rough attempt at generalization one can say that they either play or are attributed a very special role in thinking and expressive processes, in perhaps all domains of human culture. People who specialize in creating, receiving, transforming, and disseminating them are usually called “intellectuals”—even if they do not monopolize those social practices. The constitution and circulation of ideas as structures of thinking and expression, the settings in which they originate and to which they respond, the material supports in which they are conveyed as well as the intellectual agents specialized in dealing with them are studied by the history of ideas and its neighboring fields. These include intellectual history, history of concepts, histoire des mentalités, Geistesgeschichte, history of books, and even cultural history, sociology of knowledge, and the histories of science, philosophy, literature, and the humanities.

As it is obvious, such labels do not support a clear-cut division of labor, nor can they be lined up in an organogram that would fix constant hierarchical relations between them. They show up with incommensurable frequency, displaying different connotations within different academic cultures. This explains why in some cases—as in Geistesgeschichte, Begriffsgeschichte, or histoire des mentalités—equivalent English terms are considered problematic or unnecessary. Having flourished, spread, and sometimes also decayed within different national, disciplinary, and generational contexts, the fields designated by them can only have intricate and overlapping limits. A good way to understand the traditions connected to the history of ideas is hence to look closely to their messy border zones.

The closest and most intricate connections are those between “history of ideas” and “intellectual history,” which is reflected in the fact that these terms are often employed interchangeably—a use that will be noted also in the remainder of the present text. Even so, “intellectual history” clearly emerged as preferential designation in the English-speaking world in the final decades of the twentieth century. A reason for this is the spread of the suspicion that “ideas” are burdened by essentialist traits that would render us insensitive to historical discontinuity. The notion of ideas is also sometimes regarded as much too oblivious of the way language conditions thought, and accordingly some analysts suggest that it would be out of line with the best theoretical intelligence established since the so-called linguistic turn. However, others claim that ideas should not be equaled to expressed words, as they refer to occurrences that are best described with psychological terms such as beliefs and attitudes, and, further, that there would be non-essentialist ways of addressing them. What seems more uncontroversial is that, in comparison to “history of ideas,” “intellectual history” opens up an enlarged space of ambivalence as regards the analytical focus, which can then toggle from intellectual products to intellectual producers, consumers, and the cultural frameworks in which they interact. There are also important crossroads between the history of ideas and conceptual history (or Begriffsgeschichte), as both terms signal to the historical study of basic structures of thought. Conceptual history, however, at least in its most well-known variety, which was very much inspired by social-historical approaches, tends to be less centered on biographical and psychological issues and to introduce concepts as more depersonalized linguistic entities.

Such and other connections and disconnections between the various ways of attending to “the reflective communal life of human beings in the past” will be further discussed in the following from the perspective of a geographically multicentered historical synopsis. Hopefully, its many limitations will be compensated by the possibility of bringing to the fore relations that otherwise would not become so salient.

Etica della scienza pura è una ricerca storica tesa a ricostruire il codice etico che regola de facto la ricerca scientifica. Percorrendo un arco temporale che va dai miti dell’Antichità al transumanesimo, Riccardo Campa mostra che la scienza ha precisi presupposti ideologici, ma tali presupposti non ne minano affatto lo status epistemologico. La ricerca scientifica risulta infatti permeata da specifici valori morali, senza i quali non sarebbe possibile. Approfondendo sul piano storico una ricerca già iniziata dal sociologo Robert K. Merton, tra le due guerre mondiali, l'autore codifica le norme che concorrono a formare l’ethos della scienza, ponendo l'accento soprattutto su: disinteresse, abnegazione, universalismo, comunismo epistemico, scetticismo organizzato, edonismo cognitivo, dotta ignoranza, originalità, chiarezza, aggiornamento, potenziamento cognitivo. Il saggio evidenzia anche l’ostilità che gli uomini di scienza hanno dovuto costantemente fronteggiare per affermare il proprio ruolo sociale. Se moltissimi scienziati hanno insistito sulla propria neutralità ideologica, piuttosto che rendere esplicito il proprio codice etico, è stato perché hanno dovuto mettersi al riparo da critiche e persecuzioni. D’altro canto, presentare la scienza come carente sul piano dei valori etici è anche la strategia dei soggetti ostili. Al meglio, essa è da questi vista come un mero strumento per risolvere problemi pratici. Per queste ragioni sarebbe nato lo stereotipo della scienza neutrale, muta sul senso dell’esistenza, sul destino dell’uomo, sulle grandi scelte esistenziali. E per le stesse ragioni si è diffusa l'idea che, lasciata a se stessa, la scienza non può che cadere vittima di interessi politici, economici e militari. L’autore, pur non negando che l’impresa scientifica è talvolta viziata da comportamenti immorali come frodi e plagi, sostiene che - nelle sue punte più alte - può addirittura elevarsi a modello etico capace di orientare i comportamenti umani in altri ambiti della vita.

L’inquadramento delle problematiche teoriche affrontate nella prima parte della produzione foucaultiana rispetto alla riflessione epistemologica, costituisce l’oggetto di questo lavoro.
Gli anni sessanta del secolo scorso vedono infatti il filosofo francese Michel Foucault impegnato in un lungo confronto critico con la storia e la filosofia delle scienze. La vocazione anti-illuministica che lo ispira, conduce la sua ricerca verso la produzione di opere che hanno avuto un
potente impatto sulla scena accademica della prima parte della seconda metà del XX secolo e che, ancora oggi, non cessano di stimolare nuove prospettive d’indagine. Il nucleo della trattazione che segue prende dunque in considerazione i lavori eseguiti nel corso di quella fase
della sua produzione che gran parte della letteratura è concorde nel definire periodo“archeologico”. Quest’ultimo si dispiega nel decennio compreso tra la pubblicazione di Storia della follia nell’età classica (1961) e quella de L’ordine del discorso (1971), il quale segna
il momento della svolta genealogica. Nei suoi caratteri generali, la ricerca svolta in quegli anni è inquadrabile come una storia critica della produzione discorsiva occidentale afferente uno specifico quanto problematico insieme di conoscenze - nonché come critica filosofica della narrazione storica dei processi di cristallizzazione di questi ultimi in discipline scientifiche. La trattazione si sviluppa dunque su due livelli. Il primo è teso alla ricognizione delle considerazioni teoriche e metodologiche rilevanti per il discorso epistemologico in generale. Con il secondo si procede alla disamina di una delle prove su campo di tale impalcatura teorico-metodologica – il caso di “Le parole e le cose. Un’archeologia delle scienze umane” (1966) - e della relazione che
il testo intrattiene con l’epistemologia delle scienze umane.

""Psiche istituisce un confronto ravvicinato tra la psicologia della "Repubblica" di Platone e la psicoanalisi di Freud. Convergenze e divergenze vengono discusse in relazione sia alla concezione platonica dell'emersione onirica dei desideri repressi, che prefigura la via regia per l'inconscio di Freud, sia all'analisi delle psicopatologie correlate a tali impostazioni teoriche, sia ai due approcci diagnostici e terapeutici adottati. Altro tema cruciale è l'eros platonico - la cui disamina viene estesa anche al "Simposio" e al "Fedro" - ripreso esplicitamente da Freud in relazione al concetto di libido. L'autore affronta, infine, le due tematizzazioni, di natura metapsicologica e non solo, inerenti alla dimensione morale.

Psiche sets up a close-knit comparison between the psychology of Plato's Republic and Freud's psychoanalysis. Convergences and divergences are discussed in relation both to the Platonic conception of the oneiric emergence of repressed desires that prefigures the main path of Freud's subconscious, to the analysis of the psychopathologies related to these theoretical formulations and to the two diagnostic and therapeutic approaches adopted. Another crucial theme is the Platonic eros - the examination of which is also extended to the Symposium and Phaedrus - taken up explicitly by Freud in relation to the concept of libido. Finally, the author also addresses the two themes - of, inter alia, a metapsychological nature - inherent to the moral dimension.""

All'interno di questo numero della rIvista antimoderna Antarès (qui caricata per intero) si accede al saggio su l'approccio cognitivo di Ioan P. Culianu (Iasi 1950-Chicago 1991) in ambito della storia delle religioni. Lo studioso romeno, assassinato nel 1991, è stato un precursore in questo senso, per questo ho voluto inquadrare il suo pensiero in un filone di ricerca emerso negli Stati Uniti proprio negli anni della sua morte con il nome di neuroteologia.  E' lo studio dei fenomeni religiosi implicanti uno stato alterato di coscienza dalla prospettiva neurologica.  Lo sviluppo di queste ricerche prende forma più compiuta a partire dal XXI° secolo con una sofisticata tecnologia SPECT per rilevare le attività cerebrali sottostanti l’esperienza mistico-religiosa. L’esperimento coinvolse monaci e monache in stato di profonda meditazione, per capire mediante hi-tech quali fossero le zone correlate all’esperienza spirituale.  Culianu è tuttavia partito da presupposti totalmente diversi rispetto ai sopra citati neuroscienziati americani, vediamo quali ...
http://www.bietti.it/riviste/lune-dacciaio-i-miti-della-fantascienza/culianu-e-lapproccio-cognitivo-nella-storia-delle-religioni/

Nei paragrafi conclusivi della terza dissertazione della "Genealogia della
morale" Nietzsche espone l'obiettivo della propria filosofia matura e circoscrive il compito al quale intende dedicarsi negli anni a venire. Quest'ultimo consiste principalmente
nel porre in questione ciò che la filosofia non ha mai affrontato problematicamente e operare in particolare una critica del «valore della verità», che è per Nietzsche anche una critica della morale e della cultura europee.

The main aim of this paper is to bring to the surface and clarify some basic ideas on which Karl Marx’s philosophy of history rests. Although the materialist conception of history is a theme already widely discussed in Marxist literature, the specificity of our study lies in the perspective adopted, which is the one proper to the history of ideas. More precisely, we provide support for the thesis that Marx does not just observe “empirical facts” and discover “natural laws of history”, as repeatedly claimed, but rather, he organizes a large body of historical data on the basis of certain“ideas” that are no less speculative and controversial than those produced by Old and Young Hegelians. This does not mean, however, that these ideas are necessarily devoid of cognitive power.

In the first half of the 20th century, together with a fruitful experimentation in different artistic fields, the Futurist movement founded by Filippo Tommaso Marinetti has elaborated also an "implicit philosophy". Futurists had their own theories in matters such as ethics, aesthetics, poetics, politics, epistemology, and even metaphysics. Many art critics and art historians have analyzed these theories. However, virtually no handbook of philosophy includes a chapter on futurist philosophy. One of the reasons could be that Futurism provocatively self-defined as anti-philosophical and anti-cultural. The aim of this article is to identify the place of Futurism in a debate that characterizes the whole history of Western philosophy, namely that aimed at establishing if being identifies with reality and becoming with appearance, or vice versa.

By attempting to put an end to religious war between Catholics and Protestants, which since two centuries were perturbing the European continent, proto-Enlightenment and Enlightenment thinkers introduced and spread the idea of religious toleration in Europe and America. This research proves that the idea of toleration has been recovered by modern thinkers from Classic literature and the customs of Greeks and Romans. The rediscovery of Pagan values by Enlightenment philosophers explains the process of secularization much better than the theory of the slow evolution of Christian evangelic ideas, or the theory of secularization as an absolutely novel phenomenon. An entirely different matter is whether the Illuminists were right in presenting the ancient Romans as the champions of religious toleration. This thesis is supported by a large part of contemporary historiography, but—as is well known—Christian apologetics has proposed a completely different narrative, emphasizing persecutions such as those promoted by Nero and Diocletian. However it is beyond the scope of this research to decide who is ultimately right in this debate. Here the goal is only to prove that some fundamental Enlightenment theses have been elaborated thanks to the intentional revitalization of Pagan ideas, regardless of the degree to which they were actually propagated in the Ancient World.

Attraverso quattro protagonisti dell'invenzione della fotografia in Francia, questa relazione va ad indagare alcune macro-tematiche delle origini della tecnica. Alcuni tratti biografici di Niépce, Daguerre, Arago e Bayard vengono usati come emblematici del rapporto tra società, economia, politica da una parte, scienza dall'altra. La fotografia viene così a configurarsi come una vera e propria frontiera tecnologica tra arte e scienza, un prodotto ibrido in cui trovano espressione tutta una serie di fenomeni culturali e contingenze storiche. L'analisi semiologica di Barthes costituisce un riferimento obbligato, ma non l'unico che viene utilizzato in questo momento "primitivo" della fotografia. E il gioco costruito dalla storiografia sui nostri quattro personaggi ben si presta alle analisi di Propp. Data la brevità del testo, molti aspetti sono solo tracciati, suggeriti, più che definiti, ed è una scelta consapevole che un po' rimanda al suo soggetto, a quelle prime fotografie sgranate, dove la luce viene catturata e si deve scegliere cosa mostrare, e cosa mettere in ombra.

This volume on the relationships between decadent literature and anthropology in late 19th- and early 20th-century Europe studies the unnoticed connection between, on the one hand, a purposeless and ephemeral beauty, and, on the other hand, the disinterestedness and the spontaneity ascribed by anthropologists to the ceremonial expenditure of “primitive” civilizations. The book highlights how, in those two apparently opposed discourses, prodigality and uselessness challenge the Western cult of profit by working in two directions: beauty is a form of lavishness, and lavishness is a source of beauty. An innovative theoretical and cultural framework at the crossroads of aesthetics, anthropology, and philosophy allows me to reexamine the works of O. Wilde, G. D’Annunzio, and J.-K. Huysmans, and to claim the crucial role of neglected authors like Paolo Mantegazza and Vernon Lee in what I trace as the emergence of a proto-theorization of gift-exchange in the European fin de siècle culture. The pervasiveness of symbolic economy in those writers establishes a new dynamic relationship between decadence and modernism, and also exposes the limits of the allegedly disinterested forms of expenditure that will soon lure the modernists to go “primitive”.

Sociologists recognize that one of their main inspirational sources is the work of Max Weber. They do not so readily recognize that Friedrich Nietzsche's work is also of significance for contemporary sociology. The intriguing fact is that Nie-tzsche had a profound influence on Weber, something that is now recognized by many historians of ideas. Weber himself said that it is a matter of intellectual honesty to admit the fundamental importance of Nietzsche and Marx in contemporary culture. This article is a contribution to the reconstruction of the intellectual ties between Nietzsche and Weber, with particular attention to the images of science, ethics, and religion in the writings of these two German thinkers.

L’analisi della filosofia critica a base sperimentale che John Locke propone all’interno dell’Essay concerning Humane Understanding (16901) offre l’occasione per esaminare la validità della traduzione fran- cese di Pierre Coste (17001), che costituì il tramite insostituibile per la diffusione e la ricezione del pensiero teoretico lockiano nell’Europa prevalentemente francofona del XVIII secolo. L’approfondimento della gnoseologia del pensatore inglese e insieme dei punti di riferimento concettuali e lessicali di Coste e, a monte, di Locke consente al lettore di comprendere le difficoltà e i pericoli insiti nella traduzione ‘filosofica’, un processo inesauribile che mira a un’ideale compositio tra le istanze dei destinatari (l’esigenza di comprensione del testo) e quelle dell’autore (il ‘dovere’ di preservare la propria originalità). L’Essai philosophique concernant l’Entendement humain rivela così tutta la sua importanza nel far
emergere, in relazione ai principali nuclei tematici dell’indagine lockiana (in primis, i concetti di mind e consciousness/self-consciousness), il complesso rapporto tra il pensatore inglese e il contesto filosofico sia anglosassone che francese, nelle sue varie declinazioni a partire dal comune riferimento alla matrice cartesiana.

The Author examines the validity and the limitations of the French translation of John Locke’s Es- say Concerning Human Understanding carried out by Pierre Coste (17001).The careful study of the experimental Philosophy which Locke suggests in the Essay (16901) is taken as the evaluation criterion for both Coste’s lexical choices and his ability to mediate between the originality of Lockean Gnoseology and the weight of the senventeenth-century Cartesian philosophical tradition.

Scipio Sighele, _The Criminal Crowd And Other Writings on Mass Society_
Edited, with Introduction and Notes, by Nicoletta Pireddu
Translated by Nicoletta Pireddu and Andrew Robbins
Foreword by Tom Huhn

The so-called “age of crowds” still evokes primarily the late nineteenth-century French context, with the fearful popular uprising leading to the Paris Commune, the numerous disturbing images of masses in novels by Balzac, Sue, Maupassant, Zola, Huysmans, and Adam among others, and Gustave Le Bon’s renowned volume The Crowd: A Study of the Popular Mind (1895).
Yet, four years before Le Bon, Italian jurist, sociologist, cultural and literary critic Scipio Sighele (1868-1913) had published La folla delinquente. Saggio di psicologia collettiva [The Criminal Crowd. An Essay on Collective Psychology], to be followed by other pioneering explorations of group behavior and of the power of suggestion upon collective crime.
This volume offers the first English translation of Sighele’s seminal book and of excerpts from his subsequent works in the domains of sociology, psychology, law, politics, and literary criticism: La coppia criminale [The Criminal Couple], La delinquenza settaria [Sectarian Delinquency]; L’intelligenza della folla [The Intelligence of the Crowd]; La donna nova [The New Woman]; Eva moderna [Modern Eve]; Letteratura tragica [Tragic Literature]; Nell’arte e nella scienza [In Art and in Science]. An extensive introduction by Nicoletta Pireddu contextualizes Sighele’s overall contribution as a public intellectual negotiating between tradition and modernity in the European fin de siècle, able to grasp both the destructive and the constructive power of masses.
This collection draws the multifaceted portrait of a provocative and problematic thinker who, by participating in crucial international debates, brings to post-unification Italy a new outlook on paramount issues like the role of urbanization in the development of criminality, the unstable borders between individual and collective accountability in mass society, the legal and ideological constraints in the education and emancipation of women, the social and institutional challenges to the care and upbringing of children, and the responsibility of literary representation in the relationship between aesthetic standards and ethical norms.

The article analyzes the concept of "Tradition" in Hannah Arendt's thought according to three specific interpretations. First, Arendt uses the term as a diagnosis of the present time, that is, as a loss of tradition denounced widely in her works as a characteristic feature of the contemporary world. A second sense of the term "Tradition" in Arendt is the recovery or establishment of another tradition. In this case, "Tradition" refers to an element of permanence, stability, persistence that serves to make human action durable. This is the sense of "Tradition" that can be seen, for example, in every revolution: if the beginning were not lasting, revolutionary action would be destined to be in vain or to have no consequences in the world; it could not produce effects. Finally, there is a third sense of "Tradition" in Arendt that alludes instead to a condition of freedom: as a matter of fact, the above-mentioned diagnosis of the present time exposes individuals to practices of freedom that are free from any tradition. More than enthusiasm, this condition of freedom to which liberation from tradition leads entails risk, disorientation, and a perhaps an even more authentic sense of responsibility. This is exactly the modern situation, effectively summed up by the expression Denken ohne Geländer, Thinking without a banister. This metaphor was an indication of direction, the most coherent synthesis of Arendt's itinerary of thought, with her very personal questioning of the relationship between the autonomously judging individual conscience and Tradition.

La  civiltà  medievale  per  Comte  era  caratterizzata  da  due  caratteri essenziali:  la  separazione  dei  due  poteri  e  la  natura  difensiva
dell‟attività militare, i quali erano gli elementi caratteristici della sua
“costituzione cattolico-feudale”.

Nell‟alto Medioevo, afferma Comte, la metafisica era subordinata alla
teologia,  per  cui  il  carattere  “puramente  negativo”  della  filosofia
veniva “contenuto, in modo da suscitare soltanto utili trasformazioni,
che  restano  compatibili  con  una  destinazione  organica”.  Quell‟epoca realizzò  così  “un  equilibrio  tra  teologia  e  metafisica”  di  tipo “dinamico”, cioè “implicante la graduale corrosione del mito teologico.
Quando  invece  la  metafisica  si  fa  aggressiva  e  vuole  dominare  la
teologia,  l‟equilibrio  si  rompe  e  si  afferma  una  ideologia  soltanto
critica e negativa” . L‟autorità religiosa funge da collante della società
organica  medievale,  la  quale,  secondo  la  ricostruzione  di  Comte,
costituirebbe il modello anticipatore, sia pure nello stadio metafisico,
della  moderna  società  positiva,  anch‟essa  organica,  anche  se  fondata sul modello della scienza positivista.

Nel corso della seconda metà del Quattrocento la monarchia aragonese di Napoli, soprattutto durante il regno di Ferrante, attua una serie di importanti riforme in campo amministrativo, giudiziario, fiscale e militare, che portano ad esiti innovativi sul piano politico-istituzionale, avviando un processo di superamento del modello monarchico-feudale.
Attraverso l’analisi della prassi di governo e della comunicazione politica, per le quali il secondo aragonese di Napoli si avvalse della preziosa collaborazione di intellettuali e giuristi, si individuano qui gli elementi ideologici che ne sono il presupposto e nello stesso tempo il risultato. L’idea, in altri termini, è di ricongiungere, a partire dallo studio della «meccanica» del potere, i concetti di teoria e pratica politica, per coglierne le reciproche influenze e superare così un approccio troppo spesso teso a riconoscere, nella prima, la rigida custode degli ideali della sovranità e, nella seconda, lo spazio in cui il potere del principe si esprime liberamente. I due campi si ricongiungeranno più tardi, nel secolo della Ragion di Stato, chiarendo l’ideologia che muove l’azione dei prìncipi, ma l’alto grado di consapevolezza giuridica ed etica delle prerogative sovrane, manifestato dai monarchi aragonesi nell’attuazione della loro azione, e l’uso delle più spregiudicate e raffinate strategie politiche consentono di cogliere i tratti genetici di quella sutura.

Nous nous proposons d’approfondir ici le portrait psychologique et idéologique, dessiné notamment dans Kaputt, du comte Agustín de Foxá, intellectuel espagnol phalangiste, ami de Malaparte et, comme celui-ci, romancier, journaliste, dramaturge et diplomate. Cette étude est, à nos yeux, importante pour comprendre quelques aspects Fondamentaux de l’oeuvre et de la personnalité de l’écrivain de Prato. Par exemple :
1. La valeur et le sens de notions clés de son oeuvre telles que la dichotomie cruauté-pitié.
2. La fonction importante exercée par le catholicisme dogmatique et “rhétorique” de l’écrivain espagnol dans l’itinéraire de Malaparte qui débouche sur son attitude particulière face à la souffrance réelle de l’homme.
3. La caractérisation du christianisme “anarchiste” de Malaparte par rapport au catholicisme “théologique” du comte de Foxá.

księga natury wyrażała tak możliwość poznawania/czytania przyrody, jak i relację nauk doświadczalnych z innymi księgami, zwłasza księgą Objawienia. Jednakże role i znaczenie tej metafory uległo zmianie wraz z rozwojem samej nauki i obecnie księga natury zdaje się zaćmiewać inne księgi, stając się nie tylko lekturą par excellence, lecz i modelem wszelkiej lektury. Metafora ta nie otwiera, nie tworzy, lecz zamyka i przesłania. Stąd konieczność poszukiwania nowej. Historia ta jest tutaj opowiadana posiłkując się językiem prozy Teodora Parnickiego, uważnego obserwatora i znawcy historii ideii oraz historii jako rodzaju literackiego. ABSTRACT: the book of nature expressed both the possibility of knowing/reading of nature and the relationship between the experimental science and other books, mainly the book of Revelation. However, the role and significance of the metaphor changed with the development of natural science, and now the book of nature seems to obscure other books, becoming not only the reading par excellence, but also the model of all reading. Actually this metaphor is not any more a live metaphor, does not create, but closes and eclipses. Hence the need to look for a new one. This story is told here using the prose of Theodore Parnicki, who was a very careful observer and connoisseur of history of ideas, and of history as a mode of literature. KEY WORDS: metafora, księga przyrody, Teodor Parnicki, polisemia słowa.