Monographs by Andrea Leonardi
Bookmarks Related papers MentionsView impact
Il volume indaga la fortuna critica della straordinaria dotazione artistica della città di Genova... more Il volume indaga la fortuna critica della straordinaria dotazione artistica della città di Genova, con particolare riferimento alla prima metà del Novecento e al ruolo giocato da Orlando Grosso, direttore del civico Ufficio di Belle Arti, in rapporto con personalità come Bernard Berenson, Wilhelm Suida, Camille Enlart, Corrado Ricci, Ugo Ojetti, Giuseppe Fiocco, Anna Maria Brizio e Carlo Ludovico Ragghianti. Durante il suo mandato, lo spazio “effimero” della mostra e quello istituzionale del museo furono i due fronti di azione nell’ambito di un progetto culturale unitario, di portata internazionale e parallelo alla “Genova pittrice” di Roberto Longhi.
Bookmarks Related papers MentionsView impact
Tra XVI e XVII secolo, l'investimento immobiliare compiuto dall'oligarchia della Repubblica di Ge... more Tra XVI e XVII secolo, l'investimento immobiliare compiuto dall'oligarchia della Repubblica di Genova assume una misura direttamente proporzionale alla ricchezza frutto della posizione egemone conquistata sulle piazze finanziarie d'Europa. Un dinamismo segnato da novità e spunti di aggiornamento, percepito e rilanciato da Pietro Paolo Rubens (1622-26), a Joseph Furttenbach (1627), sino ai viaggiatori del Grand Tour.
Genoese Way of Life ha provato a trovare una strada attraverso taluni aspetti della cultura materiale e visuale della casa genovese tra Sei e Settecento, intesa come strumento d'interpolazione tra agiografia pubblica e magnificenza privata. Il ruolo giocato dall'ambiente domestico, insieme alla famiglia circondata da mobili, quadri e apparati decorativi – spesso decisi in piena coerenza con le scelte sperimentate all'esterno di quelle mura, nelle cappelle e nelle chiese gentilizie – dimostrano una consapevolezza di marca continentale in linea con i brillanti e contemporanei risultati economici. Ricchezza e immagine, articolazione e identità del casato di appartenenza, caratteri autoctoni delle pratiche decorative e degli stili artistici e architettonici, modelli di acquisizione degli oggetti, attributi dell'aristocratico lifestyle, sono tutti elementi in grado d'intersecarsi, garantendo una lettura ‘altra' rispetto a quella consueta che ha confinato l'episodio ‘Genova' nella cosiddetta «scena provinciale» dell'arte e della società italiane.
Bookmarks Related papers MentionsView impact
L’Archivio Durazzo-Giustiniani di Genova conserva un quaderno intitolato «Dissegni della casa pos... more L’Archivio Durazzo-Giustiniani di Genova conserva un quaderno intitolato «Dissegni della casa posta sopra la piazza de Giustiniani» (mm. 284x210), databile alla metà del ‘600. Le piante dei diversi livelli presentano sorprendenti inserti a pop-up che consentono di comprendere, quasi come in un 3D ante litteram, la puntuale conformazione della struttura, con l’indicazione della destinazione d’uso di ciascun ambiente. La dimora, integra e inserita negli elenchi dei Rolli della Repubblica di Genova, è stata la residenza di Vincenzo Giustiniani-Banca, nato a Chio, in città almeno dal 1546, generale dell’Ordine domenicano dal 1558, cardinale dal 1570 e promotore dell’editio critica degli opera omnia di San Tommaso d’Aquino.
Scomparso nel 1582, Vincenzo riposa in Santa Maria sopra Minerva a Roma, nella cappella ornata con la Predica di San Vincenzo Ferrer del genovese Bernardo Castello. Il suo busto, insieme a quello degli altri co-fondatori del più noto ramo romano della famiglia, il cognato Giuseppe e i suoi figli (il cardinale Benedetto e il marchese Vincenzo Giustiniani-Negro) è invece conservato nell’atrio della domus magna dei Giustiniani a Genova. Il dato non deve stupire. Egli fu risolutivo nell’accogliere a Roma Giuseppe, marito della sorella Gerolama, quando, nel 1566, fu costretto a lasciare l’isola di Chio incalzato dai turchi ottomani. L’alto prelato imbastì una rete di protezione che consentì ai suoi parenti di introdursi nella gestione della Depositeria Pontificia e negli ambienti vicini all’oratorio dei Filippini e agli ordini religiosi paupersiti, creando così le condizioni per le scelte artistiche indagate da Silvia Danesi Squarzina.
Il quaderno si è rivelato utile per avviare un confronto con alcune delle riflessioni presenti nel "Discorso sull’architettura" del marchese Vincenzo. I criteri da lui enunciati non potevano non derivare da una conoscenza diretta della situazione locale, a partire dalla villa Giustiniani in Albaro di Galeazzo Alessi, appartenuta ad un terzo ramo della famiglia, quello del committente Luca Giustiniani-Longo sposato con Mariettina Sauli i cui fratelli ingaggiarono l’Alessi per la basilica di Carignano. Uno spazio, la villa di Albaro, dove si manifestò una potente adesione al collezionismo di statue antiche, poi subito esteso alle altre dimore Giustiniani di città, che, sulla scia delle operazioni sviluppate sin dal ‘400 sul mercato dei marmi tra Genova e Chio, sembra anticipare gli interessi dei Giustiniani di Roma.
Bookmarks Related papers MentionsView impact
Il case study muove dalla partecipazione di Orlando Grosso, pittore e direttore dell'Ufficio Comu... more Il case study muove dalla partecipazione di Orlando Grosso, pittore e direttore dell'Ufficio Comunale di Belle Arti a Genova, affiancato da Giuseppe Crosa di Vergagni, architetto, e da Augusto Béguinot, direttore dell'Istituto Botanico Hanbury dell'Università di Genova, alla grande 'Mostra del Giardino Italiano', allestita da Ugo Ojetti a Firenze nel 1931. Grosso, Crosa di Vergagni e Béguinot inviarono a Palazzo Vecchio dipinti di Alessandro Magnasco e di Luigi Garibbo, disegni di Domenico Piola, di Francois Gonin e di Riccardo Lombardo, acquarelli di Francesco Podestà e di Domingo Motta, incisioni di Kussel e di Guidotti, fotografie di Brogi e di Alinari.
I diversi materiali - individuati attraverso una sistematica ricerca condotta presso gli Archivi Storici dei Comuni di Genova e di Firenze, del Gabinetto Fotografico del Polo Museale Fiorentino, del Centro Studi della Wolfsoniana e dei Musei di Strada Nuova a Genova - furono accuratamente selezionati per dare vita a una rappresentazione il più possibile completa del giardino in Liguria tra Cinque e Seicento; non solo, le suggestioni iconografiche raccolte servirono poi a Crosa di Vergagni per creare, sempre in occasione della mostra fiorentina, un modello polimaterico, o 'tipo' di giardino genovese, da inserire nella sequenza di altre nove maquettes che Ojetti e i suoi collaboratori offrirono al pubblico quale 'ordinato riassunto dal pompeiano al romantico' del giardino italiano.
Il lavoro svolto da Crosa di Vergagni trova riscontro in un ampio numero di suoi progetti per ville e giardini destinati alla classe dirigente genovese: disegni dimostrativi di un approccio aggiornato, in particolare se posto a confronto con quanto stava accadendo negli Stati Uniti, tra il 1922 e il 1932, con le operazioni coordinate dalla landscape architect Beatrix Farrand nella dimora dei Bliss di Washington DC, dove non mancano riferimenti concreti ai saperi del giardino genovese di cui si conserva memoria nel fondo Farrand della Dumbarton Oaks Research Library and Collection.
La partecipazione alla 'Mostra' del 1931 maturò in un contesto culturale estremamente sensibile e ricettivo verso il giardino storico a Genova e in Liguria: infatti, già nei primi due decenni del Novecento, erano stati numerosi gli studi e in contributi dedicati a questo territorio, una letteratura legata non solo a nomi di esperti 'locali', come Mario Labò o Antonio Cappellini, ma anche a figure di profilo 'internazionale', come il premio Pulitzer Edith Wharton, gli architetti americani John Shepherd e Geoffrey Jellicoe, il garden designer Inigro Triggs, lo storico dell'architettura Arthur Thomas Bolton e molti altri ancora.
Bookmarks Related papers MentionsView impact
Il rione Parione per i Costa, le chiese di Sant’Andrea della Valle e di Santa Maria della Pace pe... more Il rione Parione per i Costa, le chiese di Sant’Andrea della Valle e di Santa Maria della Pace per i Gavotti, le ville sulle pendici di Monte Mario per i Siri furono punti di riferimento nella mappa delle relazioni da loro intrecciate a Roma con gli spagnoli Herrera, con i banchieri fiorentini Sacchetti e Altoviti, con i Barberini. Le tre famiglie, sulla scorta di questi contatti e dei legami con singole personalità, in primis i cardinali Alessandro Peretti Montalto e Giulio Mazarino, poi con intellettuali come Giovanni Briccio e Giovanni Vittorio de’ Rossi, avviarono sperimentazioni piuttosto avanzate sia nella loro terra d’origine, sia in quella di adozione. Dalla ricca documentazione d’archivio, che consente molteplici spunti di approfondimento – quali, ad esempio, il confronto con la letteratura sui ‘maestri di casa’, con le riflessioni di Vincenzo Giustiniani e di Giulio Mancini in merito all’allestimento della dimora e delle quadrerie -, emerge puntuale l’entità dei loro patrimoni spesso associati ai più importanti nomi di artisti e architetti del Seicento europeo. I feudi, i palazzi, le ville e le quadrerie sono la vetrina della gloria acquisita, il simbolo ‘pietrificato’ di un rango conquistato, espressione di un gusto che doveva dimostrare la piena adesione di questi ‘genovesi fuori di Genova’ alla straordinaria esperienza di vita cui si accostarono con grande slancio.
Bookmarks Related papers MentionsView impact
I testamenti, le lettere, gli inventari conservati parte nell’archivio di Casa Gavotti e parte ne... more I testamenti, le lettere, gli inventari conservati parte nell’archivio di Casa Gavotti e parte negli Archivi di Stato di Genova, Savona e Roma consentono di tracciare, dagli esordi dell’Età barocca al pieno Settecento, con alcune incursioni sino al XIX secolo, il notevole percorso di una famiglia patrizia che, investendo ingenti somme di denaro, seppe trasformare ricchezze in “consumo culturale”, capitale economico in “capitale simbolico”. Essi crearono un network di presenze la cui genesi e integrazione è il frutto di processi, ascrivibili alla competitività e allo sviluppo, propri di quel fenomeno di globalizzazione ante litteram che ricade nella più ampia declinazione di “mecenatismo” haskelliano. Si tratta di un’indagine non solamente interessata alle quadrerie, che pure riservano interessanti novità, ma attenta anche ai sistemi residenziali, ai luoghi della ricchezza “pietrificata” sfondo per tali insiemi, allargata ai simboli più integrali e integrati di conspicuous consumption e di conspicuous investment. I molti rami della famiglia Gavotti maturarono una cultura aristocratica che diede consistenti frutti tanto sul fronte della raccolta di oggetti d’arte, dei contatti con artisti come Guido Reni, Giovanni Lanfranco, Orazio Gentileschi, Pietro da Cortona, quanto nell’architettura di ville e di luoghi di delizie, nei palazzi signorili di città e negli edifici religiosi, una sequenza di strutture e apparati decorativi attestanti sofisticate politiche di committenza, in grado di determinare una ricaduta sui casati minori della loro regione d’origine. I Gavotti si allinearono con determinazione al clima intellettuale in voga tra Cinque e Seicento a Roma, in particolare potendo contare sull’appoggio dei Barberini, ma anche in virtù dei rapporti finanziario-commerciali intrattenuti con i Falconieri e i Borghese, generando tra Savona e Genova un’area di riferimento della quale furono i protagonisti insieme ai banchieri Gio Battista e Alessandro Siri, amici e committenti di Gian Lorenzo Bernini, e a Ottavio Costa, colto frequentatore di Caravaggio.
Bookmarks Related papers MentionsView impact
exhibition catalogues by Andrea Leonardi
Bookmarks Related papers MentionsView impact
Bookmarks Related papers MentionsView impact
Other books by Andrea Leonardi
Il volume muove dal progetto di ricerca finanziato dal Dipartimento di Lettere, Lingue, Arti (LEL... more Il volume muove dal progetto di ricerca finanziato dal Dipartimento di Lettere, Lingue, Arti (LELIA) dell’Università degli Studi di Bari ‘Aldo Moro’, L’anello mancante. Il Fondo De Beaumont-Bonelli dell’archivio Jatta a Ruvo e le relazioni della Puglia storica con Roma e l’area padana (PI Andrea Leonardi). Esso abbraccia un orizzonte ampio che si mostra paradigma di quei diversi rami proiettati in una dimensione ‘italiana’, tra Campania, dove si insediarono i membri della famiglia di più diretta filiazione pugliese, Sicilia, Lombardia, l’area umbro-toscana, Piemonte e, ovviamente, Roma. Gli ultimi due ambiti, va da sé, di maggiore visibilità, considerate le aperture in direzione della componente più colta della corte papale, dovute in special modo al nipote di Pio V Ghislieri, il domenicano Michele Bonelli (1541-1598) noto come il ‘cardinale Alessandrino’. In lui la discendenza pugliese volle riconoscere un illustre antenato: lo fece dagli anni immediatamente successivi alla sua scomparsa e continuò a farlo sino al quarto decennio dell’Ottocento. L’indagine ha preso l’abbrivio dalle carte, inedite, che fanno parte di un complesso documentario aggregato all’archivio privato della famiglia Jatta, meritoriamente conservate dai discendenti di Giovanni e di Giulio Jatta.
Bookmarks Related papers MentionsView impact
Nel 1962, Giuliano Briganti introduceva un’inedita categoria sociale, quella dei ‘virtuosi’, a se... more Nel 1962, Giuliano Briganti introduceva un’inedita categoria sociale, quella dei ‘virtuosi’, a seguire, nel 1963, Francis Haskell definì un concetto altrettanto performante, quello di ‘provincia’. Muovendo da tali intuizioni ed estendendole insieme al delta cronologico di riferimento (1400-1900), il volume "The Taste of Virtuosi" propone al lettore un ideale crossover per il tramite di personalità – esponenti del ceto dirigente e magnatizio, feudatari, mogli-figlie-madri di feudatari, prelati, ma anche pittori-falsari e intenditrici d’arte – certo distanti dal punto di vista delle epoche di riferimento, della provenienza e della tipologia sociale di appartenenza, ma, comunque, a tal punto significanti da costituire sicuri exempla di nuovi ‘virtuosi’ in ragione di una pratica del collezionismo e del mecenatismo intesa quale «specchio di cultura e termometro del gusto» (C. De Benedictis).
Bookmarks Related papers MentionsView impact
Bookmarks Related papers MentionsView impact
Essays in exhibition catalogues by Andrea Leonardi
Bookmarks Related papers MentionsView impact
Il Museo che non c’è. Arte, collezionismo, gusto antiquario nel Palazzo degli Studi di Bari (1875-1928), catalogo della mostra (Bari, 28 febbraio-24 aprile 2020), Edifir, Collana 'Le Voci del Museo', Firenze, 2020
Bookmarks Related papers MentionsView impact
Il Museo che non c’è. Arte, collezionismo, gusto antiquario nel Palazzo degli Studi di Bari (1875-1928), catalogo della mostra (Bari, 28 febbraio-24 aprile 2020), Edifir, Collana 'Le Voci del Museo', Firenze, 2020
Bookmarks Related papers MentionsView impact
Il Museo che non c’è. Arte, collezionismo, gusto antiquario nel Palazzo degli Studi di Bari (1875-1928), catalogo della mostra (Bari, 28 febbraio-24 aprile 2020), Edifir, Collana 'Le Voci del Museo', Firenze, 2020
Bookmarks Related papers MentionsView impact
Il Museo che non c’è. Arte, collezionismo, gusto antiquario nel Palazzo degli Studi di Bari (1875-1928), catalogo della mostra (Bari, 28 febbraio-24 aprile 2020), Edifir, Collana 'Le Voci del Museo', Firenze, 2020
Bookmarks Related papers MentionsView impact
Il Museo che non c’è. Arte, collezionismo, gusto antiquario nel Palazzo degli Studi di Bari (1875-1928), catalogo della mostra (Bari, 28 febbraio-24 aprile 2020), Edifir, Collana 'Le Voci del Museo', Firenze, 2020
Bookmarks Related papers MentionsView impact
Il Museo che non c’è. Arte, collezionismo, gusto antiquario nel Palazzo degli Studi di Bari (1875-1928), catalogo della mostra (Bari, 28 febbraio-24 aprile 2020), Edifir, Collana 'Le Voci del Museo', Firenze, 2020
Bookmarks Related papers MentionsView impact
Il Museo che non c’è. Arte, collezionismo, gusto antiquario nel Palazzo degli Studi di Bari (1875-1928), catalogo della mostra (Bari, 28 febbraio-24 aprile 2020), Edifir, Collana 'Le Voci del Museo', Firenze, 2020
Bookmarks Related papers MentionsView impact
Uploads
Monographs by Andrea Leonardi
Genoese Way of Life ha provato a trovare una strada attraverso taluni aspetti della cultura materiale e visuale della casa genovese tra Sei e Settecento, intesa come strumento d'interpolazione tra agiografia pubblica e magnificenza privata. Il ruolo giocato dall'ambiente domestico, insieme alla famiglia circondata da mobili, quadri e apparati decorativi – spesso decisi in piena coerenza con le scelte sperimentate all'esterno di quelle mura, nelle cappelle e nelle chiese gentilizie – dimostrano una consapevolezza di marca continentale in linea con i brillanti e contemporanei risultati economici. Ricchezza e immagine, articolazione e identità del casato di appartenenza, caratteri autoctoni delle pratiche decorative e degli stili artistici e architettonici, modelli di acquisizione degli oggetti, attributi dell'aristocratico lifestyle, sono tutti elementi in grado d'intersecarsi, garantendo una lettura ‘altra' rispetto a quella consueta che ha confinato l'episodio ‘Genova' nella cosiddetta «scena provinciale» dell'arte e della società italiane.
Scomparso nel 1582, Vincenzo riposa in Santa Maria sopra Minerva a Roma, nella cappella ornata con la Predica di San Vincenzo Ferrer del genovese Bernardo Castello. Il suo busto, insieme a quello degli altri co-fondatori del più noto ramo romano della famiglia, il cognato Giuseppe e i suoi figli (il cardinale Benedetto e il marchese Vincenzo Giustiniani-Negro) è invece conservato nell’atrio della domus magna dei Giustiniani a Genova. Il dato non deve stupire. Egli fu risolutivo nell’accogliere a Roma Giuseppe, marito della sorella Gerolama, quando, nel 1566, fu costretto a lasciare l’isola di Chio incalzato dai turchi ottomani. L’alto prelato imbastì una rete di protezione che consentì ai suoi parenti di introdursi nella gestione della Depositeria Pontificia e negli ambienti vicini all’oratorio dei Filippini e agli ordini religiosi paupersiti, creando così le condizioni per le scelte artistiche indagate da Silvia Danesi Squarzina.
Il quaderno si è rivelato utile per avviare un confronto con alcune delle riflessioni presenti nel "Discorso sull’architettura" del marchese Vincenzo. I criteri da lui enunciati non potevano non derivare da una conoscenza diretta della situazione locale, a partire dalla villa Giustiniani in Albaro di Galeazzo Alessi, appartenuta ad un terzo ramo della famiglia, quello del committente Luca Giustiniani-Longo sposato con Mariettina Sauli i cui fratelli ingaggiarono l’Alessi per la basilica di Carignano. Uno spazio, la villa di Albaro, dove si manifestò una potente adesione al collezionismo di statue antiche, poi subito esteso alle altre dimore Giustiniani di città, che, sulla scia delle operazioni sviluppate sin dal ‘400 sul mercato dei marmi tra Genova e Chio, sembra anticipare gli interessi dei Giustiniani di Roma.
I diversi materiali - individuati attraverso una sistematica ricerca condotta presso gli Archivi Storici dei Comuni di Genova e di Firenze, del Gabinetto Fotografico del Polo Museale Fiorentino, del Centro Studi della Wolfsoniana e dei Musei di Strada Nuova a Genova - furono accuratamente selezionati per dare vita a una rappresentazione il più possibile completa del giardino in Liguria tra Cinque e Seicento; non solo, le suggestioni iconografiche raccolte servirono poi a Crosa di Vergagni per creare, sempre in occasione della mostra fiorentina, un modello polimaterico, o 'tipo' di giardino genovese, da inserire nella sequenza di altre nove maquettes che Ojetti e i suoi collaboratori offrirono al pubblico quale 'ordinato riassunto dal pompeiano al romantico' del giardino italiano.
Il lavoro svolto da Crosa di Vergagni trova riscontro in un ampio numero di suoi progetti per ville e giardini destinati alla classe dirigente genovese: disegni dimostrativi di un approccio aggiornato, in particolare se posto a confronto con quanto stava accadendo negli Stati Uniti, tra il 1922 e il 1932, con le operazioni coordinate dalla landscape architect Beatrix Farrand nella dimora dei Bliss di Washington DC, dove non mancano riferimenti concreti ai saperi del giardino genovese di cui si conserva memoria nel fondo Farrand della Dumbarton Oaks Research Library and Collection.
La partecipazione alla 'Mostra' del 1931 maturò in un contesto culturale estremamente sensibile e ricettivo verso il giardino storico a Genova e in Liguria: infatti, già nei primi due decenni del Novecento, erano stati numerosi gli studi e in contributi dedicati a questo territorio, una letteratura legata non solo a nomi di esperti 'locali', come Mario Labò o Antonio Cappellini, ma anche a figure di profilo 'internazionale', come il premio Pulitzer Edith Wharton, gli architetti americani John Shepherd e Geoffrey Jellicoe, il garden designer Inigro Triggs, lo storico dell'architettura Arthur Thomas Bolton e molti altri ancora.
exhibition catalogues by Andrea Leonardi
Other books by Andrea Leonardi
Essays in exhibition catalogues by Andrea Leonardi
Genoese Way of Life ha provato a trovare una strada attraverso taluni aspetti della cultura materiale e visuale della casa genovese tra Sei e Settecento, intesa come strumento d'interpolazione tra agiografia pubblica e magnificenza privata. Il ruolo giocato dall'ambiente domestico, insieme alla famiglia circondata da mobili, quadri e apparati decorativi – spesso decisi in piena coerenza con le scelte sperimentate all'esterno di quelle mura, nelle cappelle e nelle chiese gentilizie – dimostrano una consapevolezza di marca continentale in linea con i brillanti e contemporanei risultati economici. Ricchezza e immagine, articolazione e identità del casato di appartenenza, caratteri autoctoni delle pratiche decorative e degli stili artistici e architettonici, modelli di acquisizione degli oggetti, attributi dell'aristocratico lifestyle, sono tutti elementi in grado d'intersecarsi, garantendo una lettura ‘altra' rispetto a quella consueta che ha confinato l'episodio ‘Genova' nella cosiddetta «scena provinciale» dell'arte e della società italiane.
Scomparso nel 1582, Vincenzo riposa in Santa Maria sopra Minerva a Roma, nella cappella ornata con la Predica di San Vincenzo Ferrer del genovese Bernardo Castello. Il suo busto, insieme a quello degli altri co-fondatori del più noto ramo romano della famiglia, il cognato Giuseppe e i suoi figli (il cardinale Benedetto e il marchese Vincenzo Giustiniani-Negro) è invece conservato nell’atrio della domus magna dei Giustiniani a Genova. Il dato non deve stupire. Egli fu risolutivo nell’accogliere a Roma Giuseppe, marito della sorella Gerolama, quando, nel 1566, fu costretto a lasciare l’isola di Chio incalzato dai turchi ottomani. L’alto prelato imbastì una rete di protezione che consentì ai suoi parenti di introdursi nella gestione della Depositeria Pontificia e negli ambienti vicini all’oratorio dei Filippini e agli ordini religiosi paupersiti, creando così le condizioni per le scelte artistiche indagate da Silvia Danesi Squarzina.
Il quaderno si è rivelato utile per avviare un confronto con alcune delle riflessioni presenti nel "Discorso sull’architettura" del marchese Vincenzo. I criteri da lui enunciati non potevano non derivare da una conoscenza diretta della situazione locale, a partire dalla villa Giustiniani in Albaro di Galeazzo Alessi, appartenuta ad un terzo ramo della famiglia, quello del committente Luca Giustiniani-Longo sposato con Mariettina Sauli i cui fratelli ingaggiarono l’Alessi per la basilica di Carignano. Uno spazio, la villa di Albaro, dove si manifestò una potente adesione al collezionismo di statue antiche, poi subito esteso alle altre dimore Giustiniani di città, che, sulla scia delle operazioni sviluppate sin dal ‘400 sul mercato dei marmi tra Genova e Chio, sembra anticipare gli interessi dei Giustiniani di Roma.
I diversi materiali - individuati attraverso una sistematica ricerca condotta presso gli Archivi Storici dei Comuni di Genova e di Firenze, del Gabinetto Fotografico del Polo Museale Fiorentino, del Centro Studi della Wolfsoniana e dei Musei di Strada Nuova a Genova - furono accuratamente selezionati per dare vita a una rappresentazione il più possibile completa del giardino in Liguria tra Cinque e Seicento; non solo, le suggestioni iconografiche raccolte servirono poi a Crosa di Vergagni per creare, sempre in occasione della mostra fiorentina, un modello polimaterico, o 'tipo' di giardino genovese, da inserire nella sequenza di altre nove maquettes che Ojetti e i suoi collaboratori offrirono al pubblico quale 'ordinato riassunto dal pompeiano al romantico' del giardino italiano.
Il lavoro svolto da Crosa di Vergagni trova riscontro in un ampio numero di suoi progetti per ville e giardini destinati alla classe dirigente genovese: disegni dimostrativi di un approccio aggiornato, in particolare se posto a confronto con quanto stava accadendo negli Stati Uniti, tra il 1922 e il 1932, con le operazioni coordinate dalla landscape architect Beatrix Farrand nella dimora dei Bliss di Washington DC, dove non mancano riferimenti concreti ai saperi del giardino genovese di cui si conserva memoria nel fondo Farrand della Dumbarton Oaks Research Library and Collection.
La partecipazione alla 'Mostra' del 1931 maturò in un contesto culturale estremamente sensibile e ricettivo verso il giardino storico a Genova e in Liguria: infatti, già nei primi due decenni del Novecento, erano stati numerosi gli studi e in contributi dedicati a questo territorio, una letteratura legata non solo a nomi di esperti 'locali', come Mario Labò o Antonio Cappellini, ma anche a figure di profilo 'internazionale', come il premio Pulitzer Edith Wharton, gli architetti americani John Shepherd e Geoffrey Jellicoe, il garden designer Inigro Triggs, lo storico dell'architettura Arthur Thomas Bolton e molti altri ancora.
Giovanni juniore Jatta a Giuseppe Fiorelli, direttore generale
dei Musei e Scavi del Regno. Ruvo, 10 aprile 1877
passage takes place in a phase, the post-unitary one, which, also thanks to the parliamentary experience of the “marchesino” Raffaele Bonelli, which continued uninterrupted from 1861 until his death in 1903, saw the family villa in Barletta still become more crossroads of the needs of a complex territory, known for its antiquarian riches and for its historical-artistic intensity. The latter were both attractive factors for a large humanity able to appreciate them not only in an intellectual sense, but, above all, from an economic point of view. This situation made it even more necessary the protection interventions in the field of ‘cultural heritage’ which, from the new political center-administrative of Rome, they began in the second half
of the nineteenth century to spread in the territories of the provinces. The two unpublished reports preserved in the fund of the General Directorate for Antiquities and Fine Arts of the Central State Archives also fit into this context: the first by Giovanni Jatta Junior regarding the collections present in the main centres of the District which was then implemented with
a council dedicated to the bronze Colossus placed next to the Basilica of Santo Sepolcro in Barletta; the second by Giovanni Castelli, designer of the Palazzo degli Studi di Bari which included the Provincial Museum opened to the public in 1890, who was called by the Minister of Education of the time, Giuseppe Fiorelli, to express an opinion on the demolition of the
monumental portico part of the city residence, also in Barletta, of Senator Bonelli.
E’ il 1974 quando Maria Luisa Gatti Perer pubblica sulla rivista "Arte Lombarda" i risultati di un’articolata ricerca condotta su un ciclo di disegni destinati a illustrare episodi della vita di Alessandro Sauli, due dei quali contemporanei alla fase di allestimento degli apparati per la sua beatificazione. Fogli tutt’ora custoditi presso l’Archivio Storico dei Barnabiti a Milano. Nella città dove la famiglia di Alessandro aveva la sua cappella gentilizia in Santa Maria delle Grazie, si sono conservate dunque anche importanti testimonianze grafiche e documentarie di una vicenda che conobbe il suo esito sontuoso appunto nella basilica di Carignano sotto l’abile regia di Lorenzo de Ferrari, il quale, sempre nella città genovese, aveva già curato gli apparati per le canonizzazioni di Stanislao Kotska e di Luigi Gonzaga nella chiesa del Gesù (1726), nonché quelli per Caterina Fieschi-Adorno nella cattedrale di San Lorenzo (1736).
Dell’apparato di De Ferrari esiste anche una breve ma efficace descrizione individuata nel fondo Sauli dell’Archivio Durazzo-Giustiniani a Genova. Si tratta del coronamento di un percorso sviluppato coniugando spazi e devozione che andava a valorizzare non solo il profilo del neo beato, ma anche le scelte di committenza compiute in chiave transgenerazionale dai diversi membri della famiglia Sauli tra Sei e Settecento, prima da Gio Antonio (1596-1661), poi da Francesco Maria (1622-1699), quindi da Domenico Maria Ignazio (1675-1760).
L’apparato per la beatificazione di Alessandro Sauli diventa così il tramite per mettere a sistema le principali tappe di una formidabile stagione artistica segnata dalle pale d’altare di Giovanni Francesco Barbieri detto il Guercino, di Giulio Cesare Procaccini, di Francesco Vanni, di Domenico Piola, di Carlo Maratta, cui sommare l’altare maggiore di Massimiliano Soldani Benzi, le statue in stucco di Francesco Carlone e di Francesco Schiaffino, sino alle monumentali quattro statue degli altrettanti pilastri, tra cui spicca tuttora quella di ‘un vescovo’ pensata da Pierre Puget per ‘rappresentare a suo tempo il venerando Alessandro Sauli del quale si tratta la beatificazione’.
Atti del Convegno di Studi, Genova, Biblioteca Franzoniana, 11 ottobre 2014, in coedizione con: «Barnabiti Studi», 33 (2016).
The first edition (1771) of the Deliciae tarantine, poem wich describes the city of Taranto, is dedicated to the Genoese Michele IV Imperiale (1719-1782). This concrete evidence from the Baroque Taranto opens this research on the relationships between the Apulian region and the Genoese Republic, through the Neapoltian hub and with a constant interest for Venetian figurative arts. Michele Imperiale, settled in Naples, but honoured by an Apulian aristocracy title (prince of Francavilla), owned the Cellamare palace where there was even one version of the Supper in the House of Simon Pharisee by Veronese, derived from the version depicted for the Santi Nazario e Celso monastery in Verona (1556), later documented in the Balbi-Durazzo palace in Genoa (1737). Imperiale’s strategies are similar to those of other Genoese noblemen (Ardizzone, Sauli, Doria, Giustiniani, Grimaldi, De Mari) who promoted an impressive feudal spread in the Kingdom of Naples.
E’ il 1974 quando Maria Luisa Gatti Perer pubblica sulla rivista "Arte Lombarda" i risultati di un’articolata ricerca condotta su un ciclo di disegni destinati a illustrare episodi della vita di Alessandro Sauli, due dei quali contemporanei alla fase di allestimento degli apparati per la sua beatificazione. Fogli tutt’ora custoditi presso l’Archivio Storico dei Barnabiti a Milano. Nella città dove la famiglia di Alessandro aveva la sua cappella gentilizia in Santa Maria delle Grazie, si sono conservate dunque anche importanti testimonianze grafiche e documentarie di una vicenda che conobbe il suo esito sontuoso appunto nella basilica di Carignano sotto l’abile regia di Lorenzo de Ferrari, il quale, sempre nella città genovese, aveva già curato gli apparati per le canonizzazioni di Stanislao Kotska e di Luigi Gonzaga nella chiesa del Gesù (1726), nonché quelli per Caterina Fieschi-Adorno nella cattedrale di San Lorenzo (1736).
Dell’apparato di De Ferrari esiste anche una breve ma efficace descrizione individuata nel fondo Sauli dell’Archivio Durazzo-Giustiniani a Genova. Si tratta del coronamento di un percorso sviluppato coniugando spazi e devozione che andava a valorizzare non solo il profilo del neo beato, ma anche le scelte di committenza compiute in chiave transgenerazionale dai diversi membri della famiglia Sauli tra Sei e Settecento, prima da Gio Antonio (1596-1661), poi da Francesco Maria (1622-1699), quindi da Domenico Maria Ignazio (1675-1760).
L’apparato per la beatificazione di Alessandro Sauli diventa così il tramite per mettere a sistema le principali tappe di una formidabile stagione artistica segnata dalle pale d’altare di Giovanni Francesco Barbieri detto il Guercino, di Giulio Cesare Procaccini, di Francesco Vanni, di Domenico Piola, di Carlo Maratta, cui sommare l’altare maggiore di Massimiliano Soldani Benzi, le statue in stucco di Francesco Carlone e di Francesco Schiaffino, sino alle monumentali quattro statue degli altrettanti pilastri, tra cui spicca tuttora quella di ‘un vescovo’ pensata da Pierre Puget per ‘rappresentare a suo tempo il venerando Alessandro Sauli del quale si tratta la beatificazione’.
Longhi in 1914) was probably due to the patronage of Pozzobonelli. Pozzobonelli family is the starting point for identifying new tracks useful to explain this and other evidence
‘borgiannesche’ in Savona, a condition due to their links with other important native families like Ferreri and Gavotti. In Savona, Ferreri and Gavotti had two rich collections of paintings respectively inventoried in 1676 and 1682. In particular, the Gavotti collection
could exhibit a “Nostra Signora con San Giuseppe, Bambino con cornice dorata con una colomba in braccio et altra figura”. The
painting mentioned in the inventory of 1682 (added to the legacy of Gio Carlo Gavotti, known for its links with personalities such
as Guido Reni and cardinal Giulio Mazarino) coincides with the one found in a private collection of Savona. The recent restoration
of this work (with a iconographic solution of great fortune) has revealed the signature of Borgianni with the characteristic letters ‘OB’, unlike the Koerfer version but in analogy with Longhi and Hazlitt variations.""
Pur con una diversa intensità, le due studiose hanno trovato nel XVII secolo uno dei motivi di ‘interferenza culturale’ che la proposta intende sondare. Vuole il caso che Giusta si fosse laureata in filosofia a Torino nel 1922, proprio l’anno in cui Ugo Ojetti apriva al pubblico di Palazzo Pitti la mastodontica "Mostra della pittura italiana del ‘600 e ‘700": un contenitore al servizio della politica culturale del Ventennio che tra l’altro, nella Firenze dove poi lei giunse per insegnare e per sposarsi con Cesare Fasola nel 1934, per la prima volta nel XX secolo gli esperti avrebbero raccontato delle ‘storie pittoriche’ regionali - tra cui quella genovese a giocare un ruolo di spicco -, ma anche di singole personalità come il lombardo Caravaggio documentato con un davvero ampio repertorio di opere. Quello del 1922 a Firenze di sicuro è stato uno snodo importante per la storia dell’arte in generale, ma anche per le due storiche dell’arte che qui interessano in particolare: Nicco Fasola, ancora nel 1951 (l’anno di un’altra grande esposizione, il Caravaggio di Roberto Longhi), mandò in stampa il suo Caravaggio anticaravaggesco che, come la mostra di Milano, si affrancava clamorosamente dalla lettura andata in scena a Firenze trent’anni prima; mentre Gavazza, ancora nel 1990 ("La pittura in Liguria. Il secondo Seicento"), avrebbe invece ripreso in mano direttamente il medesimo evento, certo per criticarlo sulla scorta delle ‘note’ di Longhi, ma anche per leggerlo come propedeutico alla successiva "Mostra di pittori genovesi del Seicento e Settecento" (1938), a sua volta da lei intesa come ‘il primo atto critico’ su cui fondare (o rifondare) un’intera stagione di ricerca.
conference and the ‘alessiana’ exhibition in Palazzo Bianco (April-May 1974): these events were both accompanied by an impressive photographic campaign carried out in Umbria, Lombardy and above all Liguria. These turn out to be useful today to reflect on the prestige of Alessi and in particular on the splendor of Renaissance Genoa which, then proposed - not surprisingly - as a model by P.P. Rubens for "the overseas provinces", continued to be an element of fascination at least until the beginning of the Twentieth Century with the studies of Edith Wharton (1904) and John Mead Howells (1922).
Studi di Torino, il Centro documentazione Residenze Reali Lombarde con il Politecnico di Milano:
. Reggia di Venaria
Mercoledì 13 Novembre 2019, Residenze storiche e patrimonio culturale,
a cura del Centro Studi delle Residenze Reali Sabaude e dell’Università degli Studi di Torino
. Palazzo Reale di Milano
Giovedì 14 novembre 2019, Il patrimonio storico artistico tra dismissione e dispersione. Casi studio e assetti
attuali e futuro, a cura del Centro documentazione Residenze Reali Lombarde e del Politecnico di Milano
La proposta verte sul tema dell’arte al servizio dell’identità e, dunque, della costruzione e della celebrazione di un passato, vero o fittizio, da parte di gruppi familiari nel XVIII secolo. Tale processo passa soprattutto attraverso la ricerca della memoria, di un legame diretto tanto con l’antico di un casato, quanto con i protagonisti della propria o altrui stirpe. La famiglia è così insieme autore, argomento e primo destinatario di un simile processo, spesso costruito mediante le carte d’archivio. L’intenzione di coltivare un eventuale ‘mito’ fondativo di tipo cartaceo non solleva però i promotori di tale sforzo da applicarsi a ulteriori passaggi, che si traducono nella concretezza di manufatti artistici in grado di assumere un valore altamente iconico (cappelle, sistemi residenziali, apparati decorativi, quadrerie). Nello specifico, il processo indagato trova una sua esemplare trasversalità geografica per il tramite delle famiglie genovesi a Genova e fuori di Genova, appunto spesso proiettate in una dimensione regionale propria degli Stati italiani e, dunque, europea.
STATO DEGLI STUDI
Il macro-tema ha potuto già contare su alcune prime riflessioni in occasione dell’appuntamento annuale SISSD 2018 e, ancora, nel più recente convegno “I Bonelli tra Puglia storica, Roma e l'area padana. La costruzione di un’identità” (Pavia, 2018). Nei casi appena ricordati, il binomio identità-famiglia ha trovato una sua lettura nella componente della memoria (G.Ciappelli). Tale schema, esteso al versante storico-artistico, ha poi condotto alla verifica —larga e trasversale— di una molteplicità di fenomeni-modello a discendere da una letteratura di tipo ‘fondativo’. Tra questi, il rapporto tra ‘provincia’ e ambienti della corta pontificia (F.Haskell, G.Briganti), i sistemi palazzo- villa-giardino (G.Labrot, M.Fagiolo), passando per le raccolte artistiche intese come indicatori di gusto e di tendenze (K.Pomian, G.Spezzaferro), sino alle strutture residenziali di tipo ‘neo- feudale’ (F.Zeri), che, a loro volta, nello specifico genovese di rapporti mai unidirezionali con il Meridione, originano anch’esse da un solido assunto storiografico (G.Galasso, A.Musi, C.Bitossi, E. Grendi).
1/ OBIETTIVI (A. Leonardi)
Obiettivo della proposta è valutare le modalità con cui l’identità quattro-cinquecentesca del casato roveresco, così fortemente connotato in virtù del rapporto con l’ambiente romano, abbia impattato nella dinamica settecentesca del Ponente genovese. In un contesto agilmente assimilabile all’idea di ‘provincia’ haskelliana, è Francesco Maria della Rovere, futuro doge della Repubblica, a curare l’aggiornamento degli spazi pubblici e privati legati al ‘mito’ della sua famiglia, ricordiamo costruito sull’esperienza di Sisto IV e di Giulio II: ne sono prova la cappella sistina di Savona e la contestuale villa Della Rovere poi Gavotti ad Albisola con la cosiddetta ‘sala dei Papi’. L’opera di trasformazione di questi antichi ambienti non mancò di diventare anche argomento di dibattito tra i membri della locale Colonia degli Arcadi. Alcuni di loro, ad esempio, arrivarono a giudicare gli elementi della cappella quattrocentesca —tra questi il monumento funebre dei genitori di Sisto IV — «molto più belli di quelli che vi sono stati posti di nuovo», esprimendo così un giudizio di valore anche rispetto alle analoghe scelte decorative adottate nella cappella e nella galleria delle stagioni della dimora suburbana albisolese.
Il ‘caso Genova’ è degno di nota perché tutte le componenti appena ricordate hanno contribuito ad alimentarne il mito. In questo lavoro non si è inteso stabilire quanto i contorni del mito si avvicinino a una generica realtà, ma capire - principalmente attraverso una rosa di inventari scelti per esemplarità - come questi aspetti abbiano impattato sulla vita di alcuni casati, i Sauli, i Brignole-Sale, i Pallavicini, i Grillo, i Centurione. Uno spoglio filologico che, unito a quello condotto su numerosi altri documenti, è servito a porre in risalto la grande varietà di caratteri, destinazioni e beni che una dimora genovese poteva vantare, la funzione degli oggetti d’arte nella vita del clan o, per dirla con le parole di Marta Ajmar, "the cultural significance of things". A tal proposito, non esiste una risposta univoca. La ricerca ha provato a trovare una strada attraverso la cultura materiale e visuale della casa genovese tra Sei e Settecento intesa come strumento di interpolazione tra immagine pubblica e privata. L’ambiente domestico, e al suo interno la famiglia che viveva circondata da determinati mobili, da determinati quadri e da determinati apparati decorativi (spesso decisi in piena coerenza con le scelte sperimentate all’esterno di quelle mura, nelle cappelle e nelle chiese gentilizie), dimostra una consapevolezza di marca europea pari o addirittura superiore ai risultati economici. Ricchezza e immagine, articolazione e identità della famiglia, tipi autoctoni delle pratiche decorative e degli stili artistici e architettonici, modelli di acquisizione degli oggetti, attributi dell’aristocratico lifestyle genovese, sono tutti elementi che si intersecano tra loro, con l’obiettivo di fornire una lettura ‘altra’ rispetto a quella, celebre e ormai storicizzata, di Francis Haskell, il quale, nel grande affresco dedicato a Roma e a Venezia durante l’età barocca, aveva confinato l’episodio ‘Genova’ nel riduttivo contesto della cosiddetta "scena provinciale" dell’arte e della società italiane.
I palazzi di Genova riflettono un dialogo fra la ‘tradizione’ incarnata dall’estetica medievale del centro storico e l’innovazione dei modelli ‘post-moderni’ alessiani, poi rivoluzionata ancora dai rivolgimenti barocchi ammirati dai testimoni che passarono per la città, da Furttenbach ai viaggiatori del Grand Tour. In queste architetture maturò il profilo dell’esagerata genoese way of life che neanche le leggi suntuarie riuscirono a contenere: lo attestano quei ritratti di Rubens e di Van Dyck che, come ha notato Giorgio Doria, mostrano contabili issati su cavalli rampanti e mogli di prestatori di denaro che ambivano al rango di principessa. Gli spazi domestici genovesi giocarono in tal modo molti ruoli: luoghi di ricevimento, teatri di celebrazione e agiografia; soprattutto furono una manifestazione di gusto e di valore, non solo per i membri dell’upper class che ebbero la fortuna di vivere in queste dimore, ma anche per un’intera società sempre in bilico tra originalità ed emulazione.
Alla luce di quanto detto, il volume è stato organizzato in due parti, articolate in sei capitoli e sette appendici documentarie. Il primo capitolo è dedicato all’analisi delle fonti, le voci dei contemporanei, che hanno contribuito a creare il ‘mito’ delle dimore genovesi [I]. Segue la presentazione di alcune delle diverse modalità di declinare e intendere la ‘vita privata’ di questa aristocrazia affacciata sul mondo: l’approccio dinastico al mecenatismo, con la diacronica saga dei Sauli impegnati sul doppio e intercambiabile registro della domus magna in San Genesio e della basilica alessiana di Carignano, entrambe trasformate in ‘oggetti barocchi’ internazionali con il contributo di artisti come Claudio David, Domenico Piola, Pierre Puget, Massimiliano Soldani Benzi, Diego Francesco Carlone, Francesco Maria Schiaffino; nel mezzo, il rapporto epistolare con molti di questi personaggi e il ruolo giocato in qualità di intermediari nella circostanza di complicate triangolazioni, come quella che nel 1641 vide protagonisti Gio Battista Manzini, Gio Antonio Sauli e Anton Giulio Brignole-Sale intorno a dieci quadri di Guido Reni [II]. I capitoli successivi proseguono indagando altri temi: la personalizzazione degli spazi abitativi, con l’esempio di tre ‘case’ volute, rispettivamente, da un cardinale (Vincenzo Giustiniani-Banca), uno storiografo (Raffaele Soprani) e un pittore-intellettuale (Gio Battista Paggi) [III]; la ‘macchina’ abitativa, con lo ‘smontaggio’ di una complessa dimora del Seicento come Palazzo Rosso, residenza dei Brignole-Sale [IV]; la via notarile alle ‘grande decorazione’, con alcuni scritti contenenti le premesse culturali e iconografiche di due importanti cicli affrescati da Domenico Parodi per Paolo Gerolamo III Pallavicini e Gio Francesco III Brignole-Sale [V]; il rischio di dispersione dei patrimoni raccolti, con le pratiche di vendita all’incanto e con le dispute testamentarie che segnarono le famiglie Grillo e Centurione [VI]. La seconda parte del libro, invece, propone le ricordate appendici archivistiche, sei delle quali organizzate per unità parentali: ciascuna di esse è introdotta da un sintetico profilo focalizzato sulla posizione del casato nella geografia del potere cittadino e sul suo atteggiamento in termini di supporto alle iniziative di committenza. La settima e ultima appendice raccoglie, infine, cinque brani sul tema della residenza genovese che il mondo della colta erudizione di primo Novecento dedicò all’argomento, sulla scia degli studi avviati da Luigi Tommaso Belgrano con il saggio 'Della vita privata dei genovesi' (1866).
In questo caso si è voluto proporre una prima ricostruzione virtuale basata sui risultati degli studi da tempo condotti sul fenomeno delle ville storiche: l'attenzione è stata dedicata a Sampierdarena proprio per il carattere estremamente significativo assunto storicamente dal fenomeno in quel contesto e per la frammentarietà dell'esistente che vale a testimoniarlo oggi. La ricostruzione offre uno strumento utile per lo studioso nel riscontro tra esistente e immagine storica, permette di 'ricollocare' lo spettatore in punti di vista originariamente dotati di un approccio al paesaggio e al costruito certo diverso da quello attuale, privato delle prospettive esistenti nel passato. In questo senso il prodotto ottenuto si presenta come continuamente implementabile con i dati che emergono dalla ricerca storica.
Ma l'analisi si volge anche al campo della divulgazione per comunicare a un pubblico ampio, attraverso le immagini fornite con il mezzo informatico, i caratteri di una situazione oggi ampiamente compromessa dalle trasformazioni urbane, ma che non si vuole considerare come perduta alla conoscenza. Certo le trasformazioni sono state tali da rendere estremamente difficile la comprensione del contesto in cui si inseriscono gli elementi ancora conservati, anche da parte degli stessi abitanti. La ricostruzione 3D vuole agevolare la presa di coscienza di un rapporto con il territorio radicalmente trasformato, ma comprensibile nei suoi caratteri originali se opportunamente mediato. In questo senso l'operazione ambisce a farsi supporto di un processo di conoscenza e recupero.
UniBArte - Dedalo - che gira su Izi.TRAVEL - è un ‘contenitore’ orizzontale, inclusivo e transdisciplinare pensato per i laureandi/specializzandi/dottorandi dell’Ateneo di Bari, in modo da favorire la realizzazione di progetti di storytelling digitale, principalmente a muovere dai loro lavori di tesi inerenti il cosiddetto Patrimonio Culturale nelle sue diverse sfaccettature, materiali e immateriali, nonché nelle sue più svariate declinazioni professionali.
Il check meeting rientra nell'ambito del progetto di ricerca "Museums back to the future" del Dipartimento di Ricerca e Innovazione Umanistica - DIRIUM (responsabile di progetto Giuliano Volpe, referente scientifico Andrea Leonardi, ricercatrice Elisa Bonacini), a discendere dal programma CHANGES “Cultural Heritage Active Innovation for Sustainable Society" (codice progetto: n. PE00000020 - CUP: H53C22000860006).
Interverranno:
- Giuseppe Giannone, sindaco di Sannicandro e architetto
- Andrea Leonardi, professore di Storia delle Arti in Età Moderna all'Università degli Studi "Aldo Moro" di Bari
- Michela Frontino, curatrice di Of[f] the Archive, esperta di cultura fotografica e specializzata nella catalogazione e nella valorizzazione degli archivi
- Roberto Dimaggio, project manager del MUNDI Festival, esperto di progettazione per le industrie creative.
L'appuntamento avrà luogo SABATO 9 SETTEMBRE alle ore 18.00 presso il CASTELLO NORMANNO-SVEVO di Sannicandro di Bari.
Quest'anno, a Bari, le Invasioni Digitali si svolgeranno il 18 maggio, dalle ore 13.00 alle 15.00, negli spazi forse a più alta densità artistica dell'Università degli Studi di Bari, quelli un tempo ospitanti l'antico Museo Provinciale, ora sede del Rettorato (salone principale). L'iniziativa, che prenderà in considerazione anche altri ambienti come l'Aula Magna, legata però ad un momento storico successivo, vuole favorire la presa di coscienza dei processi formativi di un'Istituzione che, diventata dal 1928 un 'contenitore' di matrice esclusivamente archeologica, in realtà ha giocato, almeno in origine, un ruolo da protagonista sul piano della tutela e della valorizzazione del patrimonio storico-artistico e antiquario meridionale. Nel quadro del largo e spesso difficile momento nazionale postunitario, il Museo Provinciale di Bari si è dimostrato, infatti, un punto di riferimento sia per quanto concerne la 'riscoperta' del Medioevo, sia per quanto attiene le direttrici del collezionismo e della connoisseurship di Età Moderna.
L’Invasione è sviluppata nell’ambito del “Laboratorio su musei digitali, partecipazione e storytelling”, curato dalla dott.ssa Elisa BONACINI per l’insegnamento di “Museologia” (prof. Andrea LEONARDI) del Corso di Laurea Triennale in Scienze dei Beni Culturali.
La proposta muove dal progetto CHANGES (Cultural Heritage Active Innovation for Nex- Gen Sustainable Society https://sites.google.com/uniroma1.it/changes/home), Spoke 1 (Historical landscapes, traditions and cultural identities) e Spoke 4 (Virtual technologies for museums and art Collections), linea tematica "Musei: ritorno al futuro" (referente scientifico prof. Andrea LEONARDI, PNRR_PE_81)
e mercato. Bari, Centro Polifunzionale Studenti, sala 2, 24 ottobre 2018 - ore 15.00-18.00; 25 ottobre 2018 - ore 10.00-13.00.
Cecilia CAVALCA
I. Opere d’arte e materiali
II. Pietre dipinte. Il gioco delle tracce tra arte e natura: 1530-1630
Bari, Centro Polifunzionale Studenti, sala 2
22 marzo 2018 - ore 15.00-18.00
23 marzo 2018 - ore 10.00-13.00
Ravenna, Palazzo Corradini, aula Tumidei
venerdì 24 novembre 2017
Introduce Luigi TOMASSINI, direttore Dipartimento Beni Culturali. Interverranno Maria Giulia AURIGEMMA, Donatella BIAGI MAINO, Duccio K. MARIGNOLI, Giovanni PAGLIA, Bruno TOSCANO e gli autori dei libri Raffaella FONTANAROSSA (La capostipite di sé. Una donna alla guida dei musei. Caterina Marcenaro a Genova 1948-71) e Andrea LEONARDI (Arte antica in mostra. Rinascimento e barocco genovesi negli anni di Orlando Grosso. 1908-1948)
ANDREA LEONARDI
(Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”)
COLLEGIO GHISLIERI, PAVIA
AULA GOLDONIANA, 14 APRILE 2016, ore 11.30
Premesso che nessuno nega il diritto di fare ricorso contro una Commissione ASN (B1 - Storia dell'Arte), quello che lascia perplessi è il metodo con cui avviene il coinvolgimento di persone terze estranee alla vicenda. Il 20 luglio scorso vengo contattato dal ‘Collega’ di cui sopra - che non ho il piacere di conoscere ma che si premura di dirmi che stava in vacanza in Sardegna (!)-, avendo lui ottenuto il mio numero di cellulare da un'amica (tirata d’orecchi per l''amica'). Il suddetto era alla ricerca di uno o più ‘cointeressati’ tra quanti l’abilitazione di prima fascia l’hanno ottenuta (al contrario di lui), così da poter procedere contro di loro (!) e al deposito della sua azione legale. Ovviamente declino immediatamente l’invito, ringraziandolo per l’attenzione (è ironico) e bloccando il suo contatto anche su whatsapp. Il risultato è che il 21 dello stesso mese di luglio il Ferrari procede comunque e, leggo oggi dagli atti, deposita il suo ricorso presso il TAR del Lazio. Tutto bene (è sempre ironico). Quello che però non tollero, oltre a essere contattato telefonicamente da un estraneo in piena estate - oltreché indebitamente coinvolto ‘per conoscenza’ -, è che il ricorrente abbia individuato come recapito postale non il mio indirizzo di residenza o quello professionale, bensì quello di mia mamma, dove ovviamente non abito (la cosa direi che già rappresenta un problema per il ricorrente).
Il fatto che mia mamma abbia 82 anni, fortunatamente portati in splendida forma e già da tempo in spiaggia nella sua meta di vacanza preferita, mi porta a ritenere che non debba in alcun modo rischiare di essere importunata con notifiche di atti giudiziari, senza tenere conto della violazione della sua privacy e della sua tranquillità. Questo genere di iniziative rivelano una scorrettezza di fondo su cui sarebbe necessario riflettere, anche a più ampio raggio, circa lo ‘stare al mondo’ di alcuni componenti della forse troppo variegata categoria 'storici dell'arte'. Dal momento che il suddetto Ferrari chiede l’invalidazione della totalità dei lavori della Commissione ASN (allego qui la foto della 'procura speciale alle liti' che riassume il tutto con i recapiti degli avvocati che lo rappresentano), ho ritenuto opportuno dare massimo risalato alla cosa, in modo che tutti i Colleghi eventualmente interessati ne siano informati e possano così tutelarsi come meglio riterranno opportuno da un simile ‘colpo di calore’.