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Testi Ungaretti
Testi Ungaretti
Testi Ungaretti
Pubblicazione: 1942 La lirica, seconda dell’omonima sezione, porta il titolo della raccolta di esordio di
Metro: versi liberi Ungaretti, edita nel 1916 a Udine. L’autore ha ricordato che tra il 1904 il 1905
Argomento: come un (quando aveva tra i 16 e i17 anni), due ingegneri francesi, fratelli Jean e Henri
palombaro, il poeta riporta Thuile, suoi amici, gli avevano parlato di un antichissimo porto di Alessandria,
dall’abisso i tesori sepolti ignorato e dimenticato, sepolto dalla sabbia e sommerso dall’acqua, custodito in
fondo al mare. Il titolo deriva da questo leggendario porto sepolto, che per il poeta
significa la sostanza segreta della vita, la chiave che dà senso all’esistenza e che si
trova celata negli stati più profondi dell’animo umani.
Vi arriva il poeta Dopo essersi immerso nella profondità della coscienza e dell’essere, il poeta
e poi torna alla luce con i riemerge alla luce portando con sé la poesia (“con i suoi canti“) che contiene
suoi canti squarci e schegge di verità.
e li disperde
Di questa poesia Della verità intuita dal poeta nella profondità della coscienza e dell’essere gli resta
mi resta nelle mani il frammento minimo (“quel nulla“), la porzione impercettibile, l’eco
quel nulla lontana ma tangibile di una verità difficile da decifrare (“segreto“) e senza fine
d’inesauribile segreto. (“inesauribile“).
L’immagine del “porto sepolto“, che deriva dal racconto dei due fratelli francesi Thuile, in merito all’antichissimo
porto sommerso di Alessandria d’Egitto, rinvia al lavoro di scavo operato dal poeta negli abissi della coscienza
individuale e collettiva, da cui emergono barlumi di verità. Solo in poesia si può cercare e trovare la libertà: Ungaretti
sostiene di sentire la responsabilità di scoprire un segreto e rivelarlo all’altro (la poesia assume così una funzione
etica) la poesia è scoperta della condizione umana nella sua essenza.
La prima strofa
Nella prima strofa viene descritto il viaggio del poeta compiuto contemporaneamente nel tempo e nello spazio. Dalle
profondità individuali e collettive che ha scandagliato, il poeta riemerge a fatica e “disperde i suoi canti”, come non se
ne curasse mettendoli però a disposizione di tutti. La prima strofa è una strofa collettiva. Il “Vi” iniziale indica il
“porto sepolto”, emblema della sostanza segreta dell’esistere che si può cogliere intuire soltanto attraverso la poesia;
con “li disperse“ il poeta regala all’umanità i suoi canti, giacché ciò che offre la poesia è prezioso, ma non è
monetizzaabile.
La seconda strofa
Nella seconda strofa si passa alla prima persona del poeta “mi resta“. Come i granelli che restano fra le dita di chi
risale in superficie, avendo cercato di raccogliere un pugno di sabbia dal fondo del mare, ciò che resta al poeta è un
frammento di verità, forse un “nulla“. La seconda strofa invece si presenta il bilancio che il poeta trae
dall’importanza del ruolo dello stesso poeta: il poeta è il soggetto in grado di cogliere i barlumi per poi elargirli in
versi. Il “mi” al v. 5 rappresenta l’io lirico ovvero la voce del poeta; gli ultimi due versi “quel nulla di inesauribile
segreto“ fanno riferimento a quella parte di segreto difficile da ricordare, “di inesauribile segreto“ è un’espressione
ossimorica.
I richiami mitologici
Da un lato, l’idea del poeta che scende negli abissi ritorna alla luce con i suoi canti richiama alla memoria il mito di
Orfeo. Dall’altro, la Sibilla Cumana, sacerdotessa di Apollo che scriveva i propri vaticini su fogli che poi disperdeva
il vento, rendendo indecifrabili i responsi. In entrambi i casi il rimando è un’idea altissima e sacra della poesia,
depositaria di verità tanto profonde quanto insondabili: nel “nulla“ rimasto al poeta, infatti, è contenuto un
“Inesauribile segreto”.
G. Ungaretti, L’allegria, Il porto sepolto
Veglia
Pubblicazione: 1942 Come indica la data, la lirica risale all’antivigilia di Natale, il poeta si trova al
Metro: versi liberi fronte, in una notte interminabile, vicino al cadavere di un compagno. Si noti la
Argomento: la notte è polivalenza del titolo, che indica sia la veglia della giornata prefestiva, sia la veglia
passata accanto un compagno funebre, nell’attesa dell’alba.
morto accende forte
l’attaccamento alla vita
Un'intera nottata L’uso del participio passato “buttato“ fa riferimento al poeta che non è più un
buttato vicino uomo ma una cosa come il corpo del compagno “massacrato“. Il volto del
a un compagno compagno, illuminato nella notte dal chiarore della luna piena, è atroce e
massacrato folgorante atto di accusa contro la ferocia della guerra. Il contrasto tra la
con la sua bocca deformazione del corpo straziato, descritto con forza espressionistica, e il
digrignata sereno paesaggio lunare è drammatico e potente. Al verso sette “congestione
volta al plenilunio delle sue mani“ è una sinedrio che, con congestione se intendi la tumefazione
con la congestione e livido un fiore, dovuto al blocco della circolazione sanguigna, un
delle sue mani rigonfiamento delle mani che squarcia quasi il silenzio profondo di quel
penetrata luogo.
nel mio silenzio Il “silenzio“ è un silenzio di sicurezza, di sentimento, di rispetto per il
ho scritto compagno. Nel proprio esterrefatto silenzio interiore il poeta scrive parole
lettere piene d'amore piene di affezione per la vita in quanto lo spettacolo della morte ha lasciato
un segno indelebile.
Non sono mai stato
tanto L’ultima strofa è esemplificativa del percorso, il verso 15 composto da
attaccato alla vita “tanto“ è un distaccamento della forma avverbiale per stare enfasi
Il corpo massacrato di un compagno ucciso in combattimento suscita nel poeta un appassionata protesta contro la
ferocia assurda della guerra e, in un sottinteso ossimoro, ispira un appassionato attaccamento alla vita: non alla propria
vita di un individuo, ma la vita che è un bene collettivo, un fondamentale diritto di ogni creatura. Ungaretti ha
dichiarato: “ero in presenza di una natura che imparava a conoscere in maniera terribile“: la presa di coscienza della
fragilità umana fa emergere il bisogno di far prevalere la fratellanza dell’uomo nel momento della sofferenza.
Ciò che colpisce di questa lirica è il suo svilupparsi attraverso un percorso che parte dall’oggettività arrivando alla
soggettività, dalla ferocia della morte al recupero del sentimento.
Dal punto di vista stilistico-retorico, la lirica si presenta apparentemente semplice: tra il v.8 e il v.11 è presente
una sineddoche che si incrocia con una sinestesia “mani gonfie nel silenzio” pensare di associare il gonfiore delle
mani allo squarciamento del silenzio è interessante perché fonde due campi semantici.
Stasi disumana
L’uso ripetuto dei partecipi passati pone il lettore di fronte al fatto in sé e privo di dinamica. Tutto è già accaduto, e
sembra ora disumanizzato da una feroce necessità, che non distingue tra uomini e cose, soldati e paesaggio: il poeta è
“buttato“; il compagno “massacrato“; la bocca “digrignante“ e “volta al plenilunio“, in una figurazione terrificante che
trasforma il povero cadavere in una deforme creatura. A tale atrocità il poeta risponde con la forza della poesia: la
scrittura continua a essere arma di difesa e di salvezza, energia interiore, testimonianza di attaccamento alla vita.
Interventista pentito
“Prima che scoppiasse la guerra ero un interventista. Posso essere un rivoltoso, ma non amo la guerra. Sono, anzi, un
uomo della pace. Non l’amavo neanche allora, ma pareva che la guerra si imponesse per eliminare finalmente la
guerra. Erano bubbole, ma volte gli uomini si illudono, e si mettono in fila dietro alle bubbole”.
G. Ungaretti, L’allegria, Il porto sepolto
I fiumi
Pubblicazione: 1942 Questo componimento, tra i più articolati e complessi della raccolta l’allegria, è
Metro: versi liberi come una “carta d’identità“, una sorta di romanzo autobiografico che il poeta
Argomento: in un momento formulato passando in rassegna i quattro fiumi a cui è legata la sua storia personale.
di riposo, il fronte, il poeta
ripercorre la propria vicenda
esistenziale, scandita dei
fiumi chi ha incontrato sul
suo cammino
Cotici il 16 agosto 1916 L’attacco laddove egli precisa di essere appoggiato ad un albero mutilato, la
personificazione dell’elemento della natura in quanto partecipe anche come
Mi tengo a quest’albero mutilato vittima degli orrori della guerra, cioè l’albero colpito dai colpi di artiglieria
abbandonato in questa dolina quindi mutilato, un albero che sopravvive in una solitudine in questa dolina,
che ha il languore la dolina è una cavità circolare tipica del Carso Che è una zona friabile, “che
di un circo ha il languore“ qui è illuminante Ungaretti, cioè la dolina comunica quel
prima o dopo lo spettacolo senso di vuoto, il languore di “un circo prima o dopo lo spettacolo” perché il
e guardo circo prima o dopo lo spettacolo è vuoto, è il momento più triste di vedere
il passaggio quieto questo luogo che è il circo, “e guardo il paesaggio quieto delle nuvole sulla
delle nuvole sulla luna luna” la quiete e la tranquillità e egli è lontana da noi, è in cielo.
Stamani mi sono disteso Dopo la prima strofa di descrizione ambientale si passa ai fatti che avvengono
in un’urna d’acqua nella mattinata, “Stamani mi sono disteso in un’urna” il termine “urna” è un
e come una reliquia termine che richiama il sacrale insieme a “reliquia”, è ciò che rimane al poeta
ho riposato in una consunzione fisica data dagli stenti della guerra.
L’Isonzo scorrendo L’Isonzo nello scorrere lo leviga, cioè lo rende liscio come un sasso.
mi levigava
come un suo sasso
Ho tirato su “Ho tirato su le mie quattro ossa” riprende il suo stato del corpo magro, e il
le mie quattro ossa mio movimento era in un equilibrio instabile sui sassi.
e me ne sono andato
come un acrobata Nella quarta strofa ci si ricollega alla prima, al ricordo del circo prima o
sull’acqua dopo lo spettacolo, anche questa ha un velato senso di richiamo religioso.
Così come la quinta…
Mi sono accoccolato Attenzione ai verbi: mi sono accoccolato vicino ai miei panni sporchi di
vicino ai miei panni guerra, impuri, “come un beduino” e questo è un ricordo evidentemente
sudici di guerra d’infanzia, egli ricorda le figure di questi beduino che andavano e tornavano
e come un beduino dal deserto e che pregavano, infatti egli dice “mi sono chinato a ricevere il
mi sono chinato a ricevere sole” chinato in una posizione anche questa sacra. È un gesto quello del poeta
il sole quasi di preghiera nel ricevere il calore del sole.
Questo è l’Isonzo Ungaretti ci rende noto il nome del fiume, “mi sono riconosciuto docile fibra
e qui meglio dell’universo” un verso famosissimo perché egli acquisisce quella
mi sono riconosciuto consapevolezza di essere solo una parte dell’universo, una docile fibra, e si
una docile fibra adatta questa situazione di essere una parte del tutto.
dell’universo
Il mio supplizio Ungaretti poi precisa che il suo dolore, la sua sofferenza emerge quando egli
è quando riconosce di aver perso questa consapevolezza di armonia con l’universo.
non mi credo
in armonia
Ma quelle occulte Le mani nascoste, quelle del fiume, “che mi intridono” intridere è un verbo
mani inventato da lui, cioè che mi accolgono che mi bagnano e che mi
che m’intridono conferiscono quei pochi momenti di felicità, di appagamento interiore.
mi regalano
la rara
felicità
Ho ripassato Inizia qui il recupero della memoria, è la terza parte della lirica.
le epoche
della mia vita Al verso 42 “Ho ripassato” ha inizio il recupero della memoria, questo
momento che sia articola in almeno due fasi con il percorso del tempo che
Questi sono occupa la seconda metà del componimento (infatti si fa riferimento ai
I miei fiumi deittici, usati da Leopardi nell’”Infinito”, anche se poi il contesto e
l’organizzazione tematica della lirica non è proprio quella leopardiana).
Questo è il Serchio Ungaretti parte dal fiume del lucchese, quello che attraversa la Lunigiana
al quale hanno attinto Chiama una storia millenaria, duemila anni di storia di gente contadina,
duemil’anni forse quella gente che ha accomunato mio padre e mia madre.
di gente mia campagnola
e mio padre e mia madre.
Questo, attenzione ai deittici “questo” non dice quello dice questo perché tutti
Questo è il Nilo i fiumi sono nell’Isonzo e lo dice dopo quando dice “Questi sono i miei fiumi
che mi ha visto contati nell’Isonzo” cioè lui li vede vede tutti i suoi fiumi in quel fiume
nascere e crescere l’Isonzo; questo è il Nilo il fiume che mi ha visto nei momenti dell’infanzia e
e ardere d’inconsapevolezza della prima giovinezza quando prevale l’inconsapevolezza in quelle estese
nelle distese pianure pianure che sono proprie di quell’area geografica dell’Africa.
Questa è la Senna Dopo riflette sul torbido delle acque della Senna, il fiume in cui si è
e in quel suo torbido rimescolato e riconosciuto come poeta grazie all’apporto e alla conoscenza
mi sono rimescolato del panorama culturale francese ed europeo lì a Parigi.
e mi sono conosciuto
Questa è la mia nostalgia È la mia nostalgia questa, è una nostalgia che va a confluire in questo
che in ognuno momento in ciascuno dei fiumi e ora nel buio della notte cupa rispetto alla
mi traspare luce del giorno.
ora ch’è notte Nella notte il poeta vive in uno stato esistenziale paragonabile a una corolla
che la mia vita mi pare di tenebre, di buio.
una corolla
di tenebre Dopo aver ripercorso quanto detto relativamente alle caratteristiche dei
fiumi, l’ultima strofa è senza dubbio quella più complessa perché
quell’esperienza narrativa è conclusa, sia quella della mattina al risveglio
nella dolina, sia quella del bagno nell’Isonzo e in quella serenità che il poeta
esprime a metà della lirica invece lascia spazio alla nostalgia, al
sopraggiungere della notte che non è più serena e lunare come quella della
prima strofa ma diviene esistenzialmente cupa, parla di “corolla di tenebre”
che stringe interiormente il cuore del poeta.
La poesia è datata 16 agosto 1916 del resto questo è un diario di guerra in poesia, quindi è ovvio che Ungaretti abbia
dato le sue liriche. Ungaretti parla di un bagno nell’Isonzo, un fiume che attraversa il cazzo che era il fronte di guerra
del poeta, e questo bagno nell’Isonzo innesca un processo memoriale che porta il poeta a ripercorrere attraverso i
fiumi che accompagnano la sua esperienza di vita: il Nilo, la Senna, l’Isonzo, il Serchio. Ungaretti scrive nel 69,
quindi un anno prima della morte nell’ultima pubblicazione dell’intera raccolta poetica che ha per titolo Vita d’un
uomo “La poesia in cui so finalmente in modo preciso che sono lucchese e che sono anche un uomo sorto ai limiti del
deserto e lungo il Nilo e so anche che se non ci fosse stata Parigi non avrei avuto parola e so anche che se non ci fosse
stato l’Isonzo non avrei avuto parola originale” in queste poche frasi Ungaretti ci dà delle coordinate precise di
relazione tra i fiumi e la propria esperienza di vita e di poeta, la propria identità, è questo il tema fondamentale del
recupero memoriale, nel recupero memoriale c’è un momento difficile che è quello di vita al fronte. Una mattina di
serenità in cui il poeta anche il tempo e il modo per effettuare questa sorta di bagno purificatorio nell’Isonzo.
In un caldo giorno d’agosto, nel consueto scenario della guerra, ma in un momento di pausa e di riposo, il poeta si
immerge nelle acque del fiume Isonzo che, levigandolo “come un suo sasso“ (v. 15), lo purificano fino a farlo sentire
in armonia con la natura, “una docile fibra / dell’universo“ (vv. 30-31). Sospesa in questa dimensione di “rara/felicità“
(vv. 40-41), egli ripensa ai fiumi che rappresentano differenti stagioni e luoghi della sua esistenza (il Serchio, la terra
delle origini familiari, nei pressi di Lucca; il Nilo, la città natale, in Egitto; la Senna, gli anni della formazione
culturale a Parigi). Ognuno di questi fiumi evoca mondi vari e diversi. Con la memoria affiora la nostalgia, ora che al
fronte e sul Carso, in guerra, la vita appare al poeta come “una corolla / di tenebre“ (vv. 68-69).
Si tratta di 69 versi strutturati in 15 strofe: una ricerca particolare la dedica alla suddivisione dei versi nelle varie
strofe, la prima e l’ultima strofa ad esempio corrispondo dal punto di vista simbolico, e poi l’utilizzo dei versi alternati
nei parisillabi e imparisillabi ad esempio che fa si che la poesia non abbia una cantabilità scorrevole.
A livello lessicale sono rilevanti alcuni termini che sono inclini all’ambiguità cioè evidenziano un doppio significato,
l’albero “mutilato” ad esempio per questi termini possono essere riferiti sul piano sintattico grammaticale sia
all’albero che all’uomo; altri termini “urna”, “reliquia” che danno alle gesta del poeta una valenza religiosa, un aspetto
sacrale, il camminare sulle acque nei vv. 16-18 e la metafora finale della “corolla di tenebre” laddove appunto è
ambiguo il campo semantico proprio del fiore che sembra alludere a una realtà tranquilla ma che così non è perché alla
corolla segue in giusta apposizione il termine “tenebra” che fa capire che il fiore è tutt’altro che qualcosa di sereno,
tranquillo e confortante, una sorta di “fiore del male” trapiantato nell’interiorità umana.
Un momento di riposo
Mentre il soldato Ungaretti si riposa nelle acque dell’Isonzo, il ricordo corre al Serchio, al Nilo, quindi alla Senna. Ma
è nell’Isonzo che tutti confluiscono: il fiume rappresenta la vicenda della guerra, in cui il poeta si è riconosciuto
minuscola frazione del creato, portando con sé la nostalgia degli anni passati.
La “corolla di tenebre”
Da ultimo, il canto ritorna al notturno da cui è partito, con un’immagine enigmatica ed emblematica assieme: il fiore,
solitamente simbolo positivo di vita, qui si carica di inquietudine per quella “corolla / di tenebre“ che riporta il poeta
nella dimensione di solitaria disarmonia che è il suo vero “supplizio“.
Anno: 1942 San Martino del Carso, nel titolo, è un piccolo paese presso Gorizia, distrutto da
Metro: versi liberi diverse battaglie, durante la Grande Guerra.
Argomento: il cuore del
poeta rimane l’unico
sacrario per i tanti morti e
dispersi durante la guerra
Valloncello dell’Albero
Isolato il 27 agosto 1916
Di queste case Il dolore del paesaggio al v.2 “non è rimasto” corrisponde a quello umano al v.7. Il
non è rimasto “brandello di muro” costituisce un’umana corrispondenza scelta accuratamente per
che qualche sottolineare come la violenza accomuna tutte le cose, anche quelle che
brandello di muro oggettivamente non soffrono come l’uomo.
Di tanti Nella seconda strofa al v.6 “che mi corrispondevano” richiama la poesia del
che mi corrispondevano passato, quella francese e richiama anche Leopardi e il Foscolo dei “Sepolcri”.
non è rimasto
neppure tanto
Ma nel cuore La congiunzione “Ma” scandisce il passaggio alla seconda parte della lirica: è
nessuna croce manca nell’anima del poeta che si consuma lo strazio della guerra.
È il mio cuore L’ultima strofa mostra la presenza di un paesaggio tutto interiore. Si contrappone
il paese più straziato coì al paesaggio esterno, descritto nelle prime due strofe, un microcosmo interno e
quindi un passaggio dall’affermazione di sofferenza universale al cimitero interiore
del poeta.
Il poeta, osservando le case distrutte, prende atto con dolore che, se di esse rimane soltanto qualche brandello di muro,
di molti amici non resta alcuna traccia. Tra l’ambiente esterno e il suo cuore, quest’ultimo è il posto più straziato,
perché qui conserva il ricordo delle persone defunte a causa della guerra. La lirica si presenta come emblematica nel
trattare la violenza e la desolazione della devastazione provocata dalla guerra. Solo nel cuore del poeta sopravvivono
gli strazi dei compagni morti. Il tema principale è il rapporto tra contesto esterno e interno.
Dal punto di vista stilistico emerge l’assenza di punteggiatura, l’assenza di rima alla quale si sopperisce con la
ripetizione delle parole “tanti” e “tanto” (v.5 e v.8) “cuore” e “cuore” (v.9 e v.11). Sono questi in effetti elementi
ricorrenti all’interno della raccolta “Allegria”. In merito alla struttura sintattica le prime due strofe sono caratterizzate
dalla negazione mentre ciò è assente nelle altre due, l’ultima strofa in particolare propone una visione in positivo.
La struttura e lo stile
La poesia fa riferimento alla guerra ed è suddivisa in una prima parte di occasione oggettiva e in una seconda
interiormente riflessiva, saldate tra loro dal rapporto analogico tra “case” e “cuore”. Dal punto di vista metrico, è
possibile riconoscere nella poesia due quartine e due distici. Le prime due strofe, dall’andamento franto, presentano
richiami interni molto forti, nella ripetizione anaforica di parole (“di”, “che”) e intere frasi (“non è rimasto”). La
desolazione dello spettacolo bellico risuona nelle pause che spezzano il ritmo del testo, per farne risuonare le parole
isolate (“queste case”, “brandello di muro”, “tanti”, “tanto”). Ancora più drammatici risulatno i due distici finali, dove
ritornano il rilancio di un medesimo termine (“cuore”, v.9 e v.11) e il ritmo spezzato. Ma qui non si parta la aspetti
fisici (“case”, v.1, “muro”, v.4), bensì di un “paese” (v.12) interiore, disseminato di tragiche croci: si parla del cuore
(non solo del poeta, ma di tutti), dove lo strazio per la distruzione provocata dalla guerra scava ferite più profonde.
Desolazione e memoria
La desolazione di un paese distrutto (San Martino del Carso) suscita nel poeta lo spettacolo di una distruzione ancora
più radicale, quella delle persone a lui care. Di tante persone uccise non resta alcuna traccia, se non nel cuore dei
superstiti, dove sopravvive lo straziante ricordo dei morti. Il cuore diventa così luogo della memoria ossessiva e
tormentata. Diventa una sorta di cimitero.
Anno: 1942 Ungaretti offre qui un memorabile esempio di condensazione poetica, da Santa Maria
Metro: un settenario La Longa, località di riposo per i soldati, nelle retrovie del fronte. Con il titolo
suddiviso in due versi di 4 e Mattina il poeta fa riferimento al momento in cui la luce vince le tenebre della notte e
3 sillabe rivela le cose prima immerse nel buio.
Argomento: la fulminea
estasi lirica del poeta di
fronte allo spettacolo
dell’alba
Santa Maria La Longa il 26 Per poter comporre questa poesia si trova nel pieno di uno spostamento
gennaio 1917 militare, nel mezzo di migliaia di soldati: la sensazione che ha Ungaretti in
mezzo a migliaia di soldati è questa “ciascuno di noi era solo con se e con le
M’illumino vicende del cielo” e quindi si capisce che lo scatto iniziale ha origine nella
d’immenso solitudine interiore anche in un contesto di persone numerosissime, migliaia
di soldati, e di un rapporto interiore, di un discorso interiore, con qualcosa
che non è umano, con un miracolo interiore.
Leopardi va qui ricordato, laddove nei versi finali dell’Infinito egli dice “così
tra questa immensità s’annega il mio pensier e il naufragare me dolce in
questo mare” sono queste le parole di Leopardi, l’immenso di Ungaretti
richiama l’immensità leopardiana. (Immensità leopardiana: il concetto di
infinito come indefinito, cioè qualcosa che spiazzava i sensi comuni e che
portava l’uomo in un contesto che recava piacere per poco tempo perché poi
ritornava la forza della razionalità che spingeva a pensare alla natura come
soggetto che agiva contro l’uomo).
Questa lirica possiamo definirla come una “manciata di sillabe”, però dal
punto di vista linguistico e lessicale in questi due versicoli vi sono un po’ di
cose, la paranomasia ad esempio ovvero quella figura fonica della “m” che
si ripete, sono due parole diverse costituite quasi dalle stesse lettere. I due
versicoli se posti in un unico verso costituirebbero un settenario (sette sillabe)
uno dei versi più utilizzati nella poesia italiana della tradizione, infatti
Ungaretti poi tornerà alla tradizione; in questo modo c’è un equilibrio
profondo tra i due versicoli, cioè nel leggerlo il componimento suona come
un vero e proprio componimento poetico nonostante la brevità. Altro
elemento fonico rilevante è il raddoppiamento della “l”.
“Ed è subito sera” di Quasimodo Anche questo un testo molto breve che condensa e che coglie l’attimo di un
Ognuno sta solo sul cuor della terra momento.
trafitto da un raggio di sole:
ed è subito sera.
“Phrases” di Rimbaud Altro riferimento si ha con Rimbaud, sono questi due versi alessandrini,
J'ai tendu des cordes de clocher à lunghi, della poesia francese. (Ho allungato le corde da un campanile all'altro;
clocher ; des guirlandes de fenêtre à ghirlande da finestra a finestra; catene d'oro da stella a stella, e danzo) Anche
fenêtre ; des chaînes d'or d'étoile à qui la condensazione della poesia e l’effetto che arriva al lettore, una magia, è
étoile, et je danse. questo la lezione del simbolismo francese che viene ripreso da Ungaretti e
dunque dall’Ermetismo vedi Quasimodo.
La luminosità d’un sereno mattino d’inverno suscita nel poeta un moto di commossa e fiduciosa esultanza.
L’io al centro
Il presente indicativo, precdeduto dalla particella pronominale di prima persona, pone l’io al centro del mondo, l’io
superstite e vittorioso contro la morte che incombe, l’io che ribadisce la sua voglia di vivere, la conquista di libertà
nelle due dimensioni fondamentali della luce (“illumino”) e dello spazio (“immenso”).
Anno: 1943 La lirica risale al 1930, scritta dal poeta in occasione della morte di sua madre.
Metro: cinque strofe di
endecasillabi e settenari, a
schema libero
Argomento: in occasione
della perdita della madre, il
poeta immagina di
rivederla nel giorno della
propria morte
E il cuore quando d'un ultimo battito Questa lirica si richiama alla dimensione religiosa che è caratteristica
avrà fatto cadere il muro d'ombra della seconda maniera ungarettiana. Il titolo “La Madre” caratterizza un
per condurmi, Madre, sino al Signore, documento di riconoscenza verso un affetto ancestrale, primordiale, che
come una volta mi darai la mano. è quello verso la madre, anche se la riflessione è principalmente legata al
soprannaturale e all’eterno. È questa senza dubbio una lirica d’effetto,
In ginocchio, decisa, l’effetto è dato da una serie di elementi, le scelte lessicali, la struttura
Sarai una statua davanti all'eterno, metrica perché qui ci troviamo di fronte a cinque strofe di endecasillabi e
come già ti vedeva settenari, quindi i due versi più impiegati nella tradizione poetica
quando eri ancora in vita. italiana, è interessante anche l’alternanza dei versi che non è casuale: gli
endecasillabi si concentrano soprattutto nella parte iniziale e conclusiva
Alzerai tremante le vecchie braccia, della poesia perché l’endecasillabo rimarca la sacralità del contenuto nei
come quando spirasti versi iniziali e conclusivi; nella parte centrale, laddove vi è lo sviluppo
dicendo: Mio Dio, eccomi. dei ricordi, del richiamo della madre, si utilizza il settenario che dà un
effetto di drammaticità al testo.
E solo quando m'avrà perdonato,
ti verrà desiderio di guardarmi. Questa lirica dal punto di vista retorico si ritrovano alcuni elementi non
molti, uno di questi è il “muro d’ombra” al v.2, una metafora che
Ricorderai d'avermi atteso tanto, sarebbe qual muro che divide la vita dalla morte; e l’ultimo verso con la
e avrai negli occhi un rapido sospiro. sinestesia del “rapido sospiro” che passa attraverso gli occhi a esprimere
un amore materno che non viene mediato dalla presenza divina.
Il poeta immagina l’ora della propria morte, quando la madre appena defunta lo prenderà per mano per condurlo
dinanzi a Dio. Solo quando il perdono sarà stato concesso, la madre rivolgerà contenta lo sguardo verso il figlio.
Le strofe e le immagini
La prima strofa propone le immagini centrali sulle quali si articola l’intera lirica: la prefigurazione della morte del
poeta, la caduta del “muro d’ombra“ che separa la vita terrena dall’aldilà; l’incontro con la madre (v.4) che pregherà
perché il figlio possa ottenere il persono e la salvezza di Dio. La seconda e la terza strofa rappresentano la madre in
preghiera per implorare da Dio il perdono del figlio. Le ultime due strofe si basano sul tema del perdono concesso da
Dio e sullo sguardo materno rivolto finalmente al figlio, unito a lei per sempre.
Guida spirituale
La figura materna è per il figlio-poeta la guida spirituale verso Dio in vita e dopo la morte. Il ritorno alla fede è
avvertito dal poeta come avvicinamento al sentimento religioso materno. Perciò la morte della madre fa subito
immaginare al poeta la propria morte, come momento del nuovo incontro con la madre defunta. In primo piano passa
il sentimento religioso e non l’affetto filiale.
Pascoli e Ungaretti
Anche in Pascoli vediamo spesso il colloquio con i propri defunti, ma gli affetti familiari sono sempre rappresentati
come affetti non vissuti e impediti dalla morte, perciò nostalgici e malinconici. In Ungaretti invece la fede religiosa
rasserena e tranquillizza, tanto che il colloquio con la madre è sereno e lei manifesta infine (v.15) con gli occhi “un
rapido sospiro” (come la Beatrice dantesca, nel più famoso sonetto della Vita nuova, Tanto gentile e tanto onesta pare,
v.14).
Anno: 1947 Nella raccolta Il dolore, il tema della sofferenza privata convive con il tema della
Metro: due quartine, tragedia pubblica, legato alle vicende della Seconda guerra mondiale, come nel
composte la prima da componimento che segue.
novenari, la seconda da un
endecasillabo, due settenari
e un novenario.
Argomento: la follia della
guerra rende l’uomo
incapace di ascoltare il
messaggio di pace che
arriva dai defunti.
Cessate di uccidere i morti Smettete di uccidere nuovamente chi è già morto, smettete anche di gridare,
non gridate più, non gridate soprattutto perché la società a lui contemporanea è fin troppo urlatrice e quindi
se li volete ancora udire, non sviluppa più un dialogo con i morti improntato sul silenzio.
se sperate di non perire.
Hanno l'impercettibile sussurro, I morti infatti hanno una voce fioca, debole, non fanno un rumore che supera
non fanno più rumore quello dell’erba che cresce, è quindi una voce che può prosperare e anche il
del crescere dell'erba, crescere dell’erba solo dove l’uomo non passa, dove non c’è sua orma.
lieta dove non passa l'uomo.
Ungaretti afferma: “So che cosa significa la morte, lo sapevo anche prima in
verità, ma quando mi è stata strappata la parte migliore di me la esperimento in
me da quel momento la morte; il dolore dunque è il libro che amo di più, il libro
che ho scritto negli anni orribili stretto alla gola, se ne parlassi mi parrebbe
d’essere impudico, quel dolore non finirà mai più di straziarmi.” Il dolore è
molto più consapevole sul piano personale dopo le vicende di lutto, sul piano
collettivo era stata sempre lucido il dolore.
La lirica si presta al tema e alla riflessione della guerra e del binomio guerra-
pace con tutto ciò che ne consegue in termini valoriali e in termini di senso
esistenziale dell’uomo.
Traendo spunto da un fatto di cronaca (il bombardamento alleato del cimitero romano del Verano), Ungaretti si
rivolge ai superstiti della Seconda guerra mondiale e li esorta a non rendere vana la morte di milioni di essere umani.
Per nulla resi migliori dalla catastrofe bellica, i vivi continuano infatti a sopraffarsi con odio, nel clima minaccioso
della Guerra Fredda. In tal modo non solo tradiscono la memoria dei morti, ma possono andare incontro a una
distruzione definitiva.