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Testi Ungaretti

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G.

Ungaretti, L’allegria, Il porto sepolto


Il porto sepolto

Pubblicazione: 1942 La lirica, seconda dell’omonima sezione, porta il titolo della raccolta di esordio di
Metro: versi liberi Ungaretti, edita nel 1916 a Udine. L’autore ha ricordato che tra il 1904 il 1905
Argomento: come un (quando aveva tra i 16 e i17 anni), due ingegneri francesi, fratelli Jean e Henri
palombaro, il poeta riporta Thuile, suoi amici, gli avevano parlato di un antichissimo porto di Alessandria,
dall’abisso i tesori sepolti ignorato e dimenticato, sepolto dalla sabbia e sommerso dall’acqua, custodito in
fondo al mare. Il titolo deriva da questo leggendario porto sepolto, che per il poeta
significa la sostanza segreta della vita, la chiave che dà senso all’esistenza e che si
trova celata negli stati più profondi dell’animo umani.

Mariano il 29 giugno 1916

Vi arriva il poeta Dopo essersi immerso nella profondità della coscienza e dell’essere, il poeta
e poi torna alla luce con i riemerge alla luce portando con sé la poesia (“con i suoi canti“) che contiene
suoi canti squarci e schegge di verità.
e li disperde

Di questa poesia Della verità intuita dal poeta nella profondità della coscienza e dell’essere gli resta
mi resta nelle mani il frammento minimo (“quel nulla“), la porzione impercettibile, l’eco
quel nulla lontana ma tangibile di una verità difficile da decifrare (“segreto“) e senza fine
d’inesauribile segreto. (“inesauribile“).

L’immagine del “porto sepolto“, che deriva dal racconto dei due fratelli francesi Thuile, in merito all’antichissimo
porto sommerso di Alessandria d’Egitto, rinvia al lavoro di scavo operato dal poeta negli abissi della coscienza
individuale e collettiva, da cui emergono barlumi di verità. Solo in poesia si può cercare e trovare la libertà: Ungaretti
sostiene di sentire la responsabilità di scoprire un segreto e rivelarlo all’altro (la poesia assume così una funzione
etica) la poesia è scoperta della condizione umana nella sua essenza.

La prima strofa
Nella prima strofa viene descritto il viaggio del poeta compiuto contemporaneamente nel tempo e nello spazio. Dalle
profondità individuali e collettive che ha scandagliato, il poeta riemerge a fatica e “disperde i suoi canti”, come non se
ne curasse mettendoli però a disposizione di tutti. La prima strofa è una strofa collettiva. Il “Vi” iniziale indica il
“porto sepolto”, emblema della sostanza segreta dell’esistere che si può cogliere intuire soltanto attraverso la poesia;
con “li disperse“ il poeta regala all’umanità i suoi canti, giacché ciò che offre la poesia è prezioso, ma non è
monetizzaabile.

La seconda strofa
Nella seconda strofa si passa alla prima persona del poeta “mi resta“. Come i granelli che restano fra le dita di chi
risale in superficie, avendo cercato di raccogliere un pugno di sabbia dal fondo del mare, ciò che resta al poeta è un
frammento di verità, forse un “nulla“. La seconda strofa invece si presenta il bilancio che il poeta trae
dall’importanza del ruolo dello stesso poeta: il poeta è il soggetto in grado di cogliere i barlumi per poi elargirli in
versi. Il “mi” al v. 5 rappresenta l’io lirico ovvero la voce del poeta; gli ultimi due versi “quel nulla di inesauribile
segreto“ fanno riferimento a quella parte di segreto difficile da ricordare, “di inesauribile segreto“ è un’espressione
ossimorica.

I richiami mitologici
Da un lato, l’idea del poeta che scende negli abissi ritorna alla luce con i suoi canti richiama alla memoria il mito di
Orfeo. Dall’altro, la Sibilla Cumana, sacerdotessa di Apollo che scriveva i propri vaticini su fogli che poi disperdeva
il vento, rendendo indecifrabili i responsi. In entrambi i casi il rimando è un’idea altissima e sacra della poesia,
depositaria di verità tanto profonde quanto insondabili: nel “nulla“ rimasto al poeta, infatti, è contenuto un
“Inesauribile segreto”.
G. Ungaretti, L’allegria, Il porto sepolto
Veglia

Pubblicazione: 1942 Come indica la data, la lirica risale all’antivigilia di Natale, il poeta si trova al
Metro: versi liberi fronte, in una notte interminabile, vicino al cadavere di un compagno. Si noti la
Argomento: la notte è polivalenza del titolo, che indica sia la veglia della giornata prefestiva, sia la veglia
passata accanto un compagno funebre, nell’attesa dell’alba.
morto accende forte
l’attaccamento alla vita

Cima Quattro il 23 dicembre 1915

Un'intera nottata L’uso del participio passato “buttato“ fa riferimento al poeta che non è più un
buttato vicino uomo ma una cosa come il corpo del compagno “massacrato“. Il volto del
a un compagno compagno, illuminato nella notte dal chiarore della luna piena, è atroce e
massacrato folgorante atto di accusa contro la ferocia della guerra. Il contrasto tra la
con la sua bocca deformazione del corpo straziato, descritto con forza espressionistica, e il
digrignata sereno paesaggio lunare è drammatico e potente. Al verso sette “congestione
volta al plenilunio delle sue mani“ è una sinedrio che, con congestione se intendi la tumefazione
con la congestione e livido un fiore, dovuto al blocco della circolazione sanguigna, un
delle sue mani rigonfiamento delle mani che squarcia quasi il silenzio profondo di quel
penetrata luogo.
nel mio silenzio Il “silenzio“ è un silenzio di sicurezza, di sentimento, di rispetto per il
ho scritto compagno. Nel proprio esterrefatto silenzio interiore il poeta scrive parole
lettere piene d'amore piene di affezione per la vita in quanto lo spettacolo della morte ha lasciato
un segno indelebile.
Non sono mai stato
tanto L’ultima strofa è esemplificativa del percorso, il verso 15 composto da
attaccato alla vita “tanto“ è un distaccamento della forma avverbiale per stare enfasi

Il corpo massacrato di un compagno ucciso in combattimento suscita nel poeta un appassionata protesta contro la
ferocia assurda della guerra e, in un sottinteso ossimoro, ispira un appassionato attaccamento alla vita: non alla propria
vita di un individuo, ma la vita che è un bene collettivo, un fondamentale diritto di ogni creatura. Ungaretti ha
dichiarato: “ero in presenza di una natura che imparava a conoscere in maniera terribile“: la presa di coscienza della
fragilità umana fa emergere il bisogno di far prevalere la fratellanza dell’uomo nel momento della sofferenza.

 Ciò che colpisce di questa lirica è il suo svilupparsi attraverso un percorso che parte dall’oggettività arrivando alla
soggettività, dalla ferocia della morte al recupero del sentimento.
 Dal punto di vista stilistico-retorico, la lirica si presenta apparentemente semplice: tra il v.8 e il v.11 è presente
una sineddoche che si incrocia con una sinestesia “mani gonfie nel silenzio” pensare di associare il gonfiore delle
mani allo squarciamento del silenzio è interessante perché fonde due campi semantici.

Due strofe antitetiche


Con questa lirica irrompe nella raccolta il tema della guerra. Si distinguono (separati dal silenzio dello spazio bianco)
due strofe, antitetiche anche per lunghezza. La prima dominata dall’aspra descrizione espressionistica del compagno;
la seconda, breve e coincisa, esprime la resistenza del poeta, la sua energia vitale, la sua capacità di chiedere e donare
amore, come salvezza di fronte alla morte.

Stasi disumana
L’uso ripetuto dei partecipi passati pone il lettore di fronte al fatto in sé e privo di dinamica. Tutto è già accaduto, e
sembra ora disumanizzato da una feroce necessità, che non distingue tra uomini e cose, soldati e paesaggio: il poeta è
“buttato“; il compagno “massacrato“; la bocca “digrignante“ e “volta al plenilunio“, in una figurazione terrificante che
trasforma il povero cadavere in una deforme creatura. A tale atrocità il poeta risponde con la forza della poesia: la
scrittura continua a essere arma di difesa e di salvezza, energia interiore, testimonianza di attaccamento alla vita.

Slancio vitale e appetito di vivere


La guerra, nei versi di Ungaretti, è cruda e cieca distruzione, disumana ferocia.“Nella mia poesia“, ha confessato
l’autore, “non c’è traccia d’odio per il nemico, né per nessuno: c’è la presa di coscienza della condizione umana, della
fraternità degli uomini nella sofferenza, dell’estrema precarietà della loro condizione. C’è volontà di espressione,
necessità di espressione, c’è esaltazione, nel Porto sepolto, quell’esaltazione quasi selvaggia dello slancio vitale,
dell’appetito di vivere, che è moltiplicato dalla prossimità e dalla quotidiana frequentazione della morte”.

Interventista pentito
“Prima che scoppiasse la guerra ero un interventista. Posso essere un rivoltoso, ma non amo la guerra. Sono, anzi, un
uomo della pace. Non l’amavo neanche allora, ma pareva che la guerra si imponesse per eliminare finalmente la
guerra. Erano bubbole, ma volte gli uomini si illudono, e si mettono in fila dietro alle bubbole”.
G. Ungaretti, L’allegria, Il porto sepolto
I fiumi

Pubblicazione: 1942 Questo componimento, tra i più articolati e complessi della raccolta l’allegria, è
Metro: versi liberi come una “carta d’identità“, una sorta di romanzo autobiografico che il poeta
Argomento: in un momento formulato passando in rassegna i quattro fiumi a cui è legata la sua storia personale.
di riposo, il fronte, il poeta
ripercorre la propria vicenda
esistenziale, scandita dei
fiumi chi ha incontrato sul
suo cammino

Cotici il 16 agosto 1916 L’attacco laddove egli precisa di essere appoggiato ad un albero mutilato, la
personificazione dell’elemento della natura in quanto partecipe anche come
Mi tengo a quest’albero mutilato vittima degli orrori della guerra, cioè l’albero colpito dai colpi di artiglieria
abbandonato in questa dolina quindi mutilato, un albero che sopravvive in una solitudine in questa dolina,
che ha il languore la dolina è una cavità circolare tipica del Carso Che è una zona friabile, “che
di un circo ha il languore“ qui è illuminante Ungaretti, cioè la dolina comunica quel
prima o dopo lo spettacolo senso di vuoto, il languore di “un circo prima o dopo lo spettacolo” perché il
e guardo circo prima o dopo lo spettacolo è vuoto, è il momento più triste di vedere
il passaggio quieto questo luogo che è il circo, “e guardo il paesaggio quieto delle nuvole sulla
delle nuvole sulla luna luna” la quiete e la tranquillità e egli è lontana da noi, è in cielo.

La prima strofa richiama un momento tranquillo, notturno probabilmente,


ricorda quasi un notturno leoprardiano appena velato dal passaggio delle
nuvole che richiamano appunto la serenità con la sottolineatura dell’albero
dilaniato dalla guerra.

Stamani mi sono disteso Dopo la prima strofa di descrizione ambientale si passa ai fatti che avvengono
in un’urna d’acqua nella mattinata, “Stamani mi sono disteso in un’urna” il termine “urna” è un
e come una reliquia termine che richiama il sacrale insieme a “reliquia”, è ciò che rimane al poeta
ho riposato in una consunzione fisica data dagli stenti della guerra.

La seconda strofa richiama il bagno nell’Isonzo he appunto ha le


caratteristiche di un rituale sacro al quale il poeta si consegna in totale
serenità.

L’Isonzo scorrendo L’Isonzo nello scorrere lo leviga, cioè lo rende liscio come un sasso.
mi levigava
come un suo sasso

Ho tirato su “Ho tirato su le mie quattro ossa” riprende il suo stato del corpo magro, e il
le mie quattro ossa mio movimento era in un equilibrio instabile sui sassi.
e me ne sono andato
come un acrobata Nella quarta strofa ci si ricollega alla prima, al ricordo del circo prima o
sull’acqua dopo lo spettacolo, anche questa ha un velato senso di richiamo religioso.
Così come la quinta…

Mi sono accoccolato Attenzione ai verbi: mi sono accoccolato vicino ai miei panni sporchi di
vicino ai miei panni guerra, impuri, “come un beduino” e questo è un ricordo evidentemente
sudici di guerra d’infanzia, egli ricorda le figure di questi beduino che andavano e tornavano
e come un beduino dal deserto e che pregavano, infatti egli dice “mi sono chinato a ricevere il
mi sono chinato a ricevere sole” chinato in una posizione anche questa sacra. È un gesto quello del poeta
il sole quasi di preghiera nel ricevere il calore del sole.

… laddove egli si china davanti al sole in una sorta di posizione propria


della religione mussulmana del pregare verso la direzione della Mecca. Si
chiude qui la parte narrativa.
Le tre strofe che seguono conferiscono alla lirica un senso di pace, di
armonia con l’universo “docile fibra dell’universo”, questo essere docile
fibra il poeta può acquisirlo soltanto effettuando il bagno nelle acque
dell’Isonzo.

Questo è l’Isonzo Ungaretti ci rende noto il nome del fiume, “mi sono riconosciuto docile fibra
e qui meglio dell’universo” un verso famosissimo perché egli acquisisce quella
mi sono riconosciuto consapevolezza di essere solo una parte dell’universo, una docile fibra, e si
una docile fibra adatta questa situazione di essere una parte del tutto.
dell’universo

Il mio supplizio Ungaretti poi precisa che il suo dolore, la sua sofferenza emerge quando egli
è quando riconosce di aver perso questa consapevolezza di armonia con l’universo.
non mi credo
in armonia

Ma quelle occulte Le mani nascoste, quelle del fiume, “che mi intridono” intridere è un verbo
mani inventato da lui, cioè che mi accolgono che mi bagnano e che mi
che m’intridono conferiscono quei pochi momenti di felicità, di appagamento interiore.
mi regalano
la rara
felicità

Ho ripassato Inizia qui il recupero della memoria, è la terza parte della lirica.
le epoche
della mia vita Al verso 42 “Ho ripassato” ha inizio il recupero della memoria, questo
momento che sia articola in almeno due fasi con il percorso del tempo che
Questi sono occupa la seconda metà del componimento (infatti si fa riferimento ai
I miei fiumi deittici, usati da Leopardi nell’”Infinito”, anche se poi il contesto e
l’organizzazione tematica della lirica non è proprio quella leopardiana).

Questo è il Serchio Ungaretti parte dal fiume del lucchese, quello che attraversa la Lunigiana
al quale hanno attinto Chiama una storia millenaria, duemila anni di storia di gente contadina,
duemil’anni forse quella gente che ha accomunato mio padre e mia madre.
di gente mia campagnola
e mio padre e mia madre.
Questo, attenzione ai deittici “questo” non dice quello dice questo perché tutti
Questo è il Nilo i fiumi sono nell’Isonzo e lo dice dopo quando dice “Questi sono i miei fiumi
che mi ha visto contati nell’Isonzo” cioè lui li vede vede tutti i suoi fiumi in quel fiume
nascere e crescere l’Isonzo; questo è il Nilo il fiume che mi ha visto nei momenti dell’infanzia e
e ardere d’inconsapevolezza della prima giovinezza quando prevale l’inconsapevolezza in quelle estese
nelle distese pianure pianure che sono proprie di quell’area geografica dell’Africa.

Questa è la Senna Dopo riflette sul torbido delle acque della Senna, il fiume in cui si è
e in quel suo torbido rimescolato e riconosciuto come poeta grazie all’apporto e alla conoscenza
mi sono rimescolato del panorama culturale francese ed europeo lì a Parigi.
e mi sono conosciuto

Questi sono i miei fiumi


contati nell’Isonzo

Questa è la mia nostalgia È la mia nostalgia questa, è una nostalgia che va a confluire in questo
che in ognuno momento in ciascuno dei fiumi e ora nel buio della notte cupa rispetto alla
mi traspare luce del giorno.
ora ch’è notte Nella notte il poeta vive in uno stato esistenziale paragonabile a una corolla
che la mia vita mi pare di tenebre, di buio.
una corolla
di tenebre Dopo aver ripercorso quanto detto relativamente alle caratteristiche dei
fiumi, l’ultima strofa è senza dubbio quella più complessa perché
quell’esperienza narrativa è conclusa, sia quella della mattina al risveglio
nella dolina, sia quella del bagno nell’Isonzo e in quella serenità che il poeta
esprime a metà della lirica invece lascia spazio alla nostalgia, al
sopraggiungere della notte che non è più serena e lunare come quella della
prima strofa ma diviene esistenzialmente cupa, parla di “corolla di tenebre”
che stringe interiormente il cuore del poeta.

La poesia è datata 16 agosto 1916 del resto questo è un diario di guerra in poesia, quindi è ovvio che Ungaretti abbia
dato le sue liriche. Ungaretti parla di un bagno nell’Isonzo, un fiume che attraversa il cazzo che era il fronte di guerra
del poeta, e questo bagno nell’Isonzo innesca un processo memoriale che porta il poeta a ripercorrere attraverso i
fiumi che accompagnano la sua esperienza di vita: il Nilo, la Senna, l’Isonzo, il Serchio. Ungaretti scrive nel 69,
quindi un anno prima della morte nell’ultima pubblicazione dell’intera raccolta poetica che ha per titolo Vita d’un
uomo “La poesia in cui so finalmente in modo preciso che sono lucchese e che sono anche un uomo sorto ai limiti del
deserto e lungo il Nilo e so anche che se non ci fosse stata Parigi non avrei avuto parola e so anche che se non ci fosse
stato l’Isonzo non avrei avuto parola originale” in queste poche frasi Ungaretti ci dà delle coordinate precise di
relazione tra i fiumi e la propria esperienza di vita e di poeta, la propria identità, è questo il tema fondamentale del
recupero memoriale, nel recupero memoriale c’è un momento difficile che è quello di vita al fronte. Una mattina di
serenità in cui il poeta anche il tempo e il modo per effettuare questa sorta di bagno purificatorio nell’Isonzo.

In un caldo giorno d’agosto, nel consueto scenario della guerra, ma in un momento di pausa e di riposo, il poeta si
immerge nelle acque del fiume Isonzo che, levigandolo “come un suo sasso“ (v. 15), lo purificano fino a farlo sentire
in armonia con la natura, “una docile fibra / dell’universo“ (vv. 30-31). Sospesa in questa dimensione di “rara/felicità“
(vv. 40-41), egli ripensa ai fiumi che rappresentano differenti stagioni e luoghi della sua esistenza (il Serchio, la terra
delle origini familiari, nei pressi di Lucca; il Nilo, la città natale, in Egitto; la Senna, gli anni della formazione
culturale a Parigi). Ognuno di questi fiumi evoca mondi vari e diversi. Con la memoria affiora la nostalgia, ora che al
fronte e sul Carso, in guerra, la vita appare al poeta come “una corolla / di tenebre“ (vv. 68-69).

 Tema della guerra;


 Tema del bisogno di un bagno purificatorio ai fini religiosi;
 Tema del recupero della memoria, della propria identità, che è uno dei modelli di Ungaretti.
 Legame profondo tra uomo e natura intesa non solo come natura terrestre ma come natura universale, che ci
ricorda tanto tra i vari autori Baudelaire di “Corrispondece” ad esempio, perché la natura e l’uomo si corrispondo
sia nel senso che agli altri elementi della natura appunto viene garantita una sorta di status antropomorfo, uno stato
umano, vediamo “l’albero mutilato” non esiste la mutilazione per un albero come invece vi è per l’essere umano,
c’è quindi una personificazione diciamo dell’elemento naturale, sia nell’altro senso che l’uomo si sente parte della
natura “levigato come un suo sasso” quando parla del fiume che scorre.
 I due aspetti che sono connessi alla inquietudine, che ci richiama agli ultimi versi, che fa svanire ogni certezza
presente nelle altre strofe.

La lezione dannunziana influenza notevolmente Ungaretti, nonostante la sperimentazione linguistica propria di


Ungaretti: la sintassi franta, il versicolo, l’assenza di punteggiatura, quegli elementi propri della lezione futurista, il
participio passato, ecco però ci sono dei tratti in cui fa riferimento al D’Annunzio della raccolta Maya.

Si tratta di 69 versi strutturati in 15 strofe: una ricerca particolare la dedica alla suddivisione dei versi nelle varie
strofe, la prima e l’ultima strofa ad esempio corrispondo dal punto di vista simbolico, e poi l’utilizzo dei versi alternati
nei parisillabi e imparisillabi ad esempio che fa si che la poesia non abbia una cantabilità scorrevole.

A livello lessicale sono rilevanti alcuni termini che sono inclini all’ambiguità cioè evidenziano un doppio significato,
l’albero “mutilato” ad esempio per questi termini possono essere riferiti sul piano sintattico grammaticale sia
all’albero che all’uomo; altri termini “urna”, “reliquia” che danno alle gesta del poeta una valenza religiosa, un aspetto
sacrale, il camminare sulle acque nei vv. 16-18 e la metafora finale della “corolla di tenebre” laddove appunto è
ambiguo il campo semantico proprio del fiore che sembra alludere a una realtà tranquilla ma che così non è perché alla
corolla segue in giusta apposizione il termine “tenebra” che fa capire che il fiore è tutt’altro che qualcosa di sereno,
tranquillo e confortante, una sorta di “fiore del male” trapiantato nell’interiorità umana.

Un momento di riposo
Mentre il soldato Ungaretti si riposa nelle acque dell’Isonzo, il ricordo corre al Serchio, al Nilo, quindi alla Senna. Ma
è nell’Isonzo che tutti confluiscono: il fiume rappresenta la vicenda della guerra, in cui il poeta si è riconosciuto
minuscola frazione del creato, portando con sé la nostalgia degli anni passati.

Una sensibilità panica


L’inizio di questa lunga poesia colpisce per l’atmosfera pacifica e sospesa. Il solo drammatico accenno alla guerra è
dato dall’albero mutilato, ma l’immagine cede subito il passo all’altra, desolata ma non tragica, del circo vuoto, senza
pubblico, evocata per analogia della forma della dolina carsica, e alla quale rimanda più oltre la similitudine
dell’acrobata che si allontana camminando sulle acque. Il teatro di guerra diventa teatro in senso stretto, disposto di
fronte allo spettacolo maestoso del cielo nuvoloso e illuminato dalla luna. È un notturno ungarettiano, un’occasione,
di riflessione da parte del poeta sulla vicenda propria e altrui. Il bagno nell’Isonzo, è ormai divenuto sacro, è una sorta
di battesimo laico. Il poeta riconoscere se stesso, si conosce di nuovo, dopo essersi già conosciuto nella Senna.
Autocoscienza e rinascita, quindi: tutto, in questa prima parte del canto, rimanda alla sfera del sacro, dall’”urna” alla
“reliquia”, fino alla figura del “beduino” che si china “a ricevere / il sole” (vv. 25-26). Le acque del fiume (“occulte” /
“mani”) “intridono” il poeta, levigandolo come uno dei suoi sassi e regalandogli così la “rara / felicità” di sentirsi “in
armonia”, “docile fibra / dell’universo”.

La compresenza nell’Isonzo di tutti i fiumi


La ripetizione anaforica di “questo“ rende evidente il riconoscimento nelle diverse esperienze vissute. Non c’è
separazione o distanza tutto è contemporaneamente presente nel momento del canto e tutto concorre a creare un’unità
circolare che ha come esito l’identità del poeta. Il poeta ripercorre le tappe della propria vita sulle note struggenti di
una nostalgia che è presente anche essa come parte ineliminabile dell’esperienza.“L’Allegria di naufragi [1919]“ ha
commentato Ungaretti, “è la presa di coscienza di sé, è la scoperta che prima adagio avviene, poi culmina di
improvviso in un canto scritto il 16 agosto 1916 in piena guerra, in trincea, e che si intitola I fiumi. Vi sono enumerate
le quattro fonti che in me mescolavano le loro acque, i quattro fiumi il cui motto dettò i canti che allora scrissi“.

La “corolla di tenebre”
Da ultimo, il canto ritorna al notturno da cui è partito, con un’immagine enigmatica ed emblematica assieme: il fiore,
solitamente simbolo positivo di vita, qui si carica di inquietudine per quella “corolla / di tenebre“ che riporta il poeta
nella dimensione di solitaria disarmonia che è il suo vero “supplizio“.

Parole auliche e quotidiane


Si noti l’alternanza tra scelta lessicale aulica (“urna“; “reliquia“) e registro quotidiano (“albero“; “circo“; “sasso“;
“panni / sudici“), che conferisce alla lirica sia un tono alto (conforme alle modulazioni religiose e sacrali del testo,
per le quali si è anche parlato di una sorta di francescanesimo“ ), sia uno sfondo realistico e crudo (legato alla
violenza della guerra).
G. Ungaretti, L’allegria, Il porto sepolto
San Martino del Carso

Anno: 1942 San Martino del Carso, nel titolo, è un piccolo paese presso Gorizia, distrutto da
Metro: versi liberi diverse battaglie, durante la Grande Guerra.
Argomento: il cuore del
poeta rimane l’unico
sacrario per i tanti morti e
dispersi durante la guerra

Valloncello dell’Albero
Isolato il 27 agosto 1916

Di queste case Il dolore del paesaggio al v.2 “non è rimasto” corrisponde a quello umano al v.7. Il
non è rimasto “brandello di muro” costituisce un’umana corrispondenza scelta accuratamente per
che qualche sottolineare come la violenza accomuna tutte le cose, anche quelle che
brandello di muro oggettivamente non soffrono come l’uomo.

Di tanti Nella seconda strofa al v.6 “che mi corrispondevano” richiama la poesia del
che mi corrispondevano passato, quella francese e richiama anche Leopardi e il Foscolo dei “Sepolcri”.
non è rimasto
neppure tanto

Ma nel cuore La congiunzione “Ma” scandisce il passaggio alla seconda parte della lirica: è
nessuna croce manca nell’anima del poeta che si consuma lo strazio della guerra.

È il mio cuore L’ultima strofa mostra la presenza di un paesaggio tutto interiore. Si contrappone
il paese più straziato coì al paesaggio esterno, descritto nelle prime due strofe, un microcosmo interno e
quindi un passaggio dall’affermazione di sofferenza universale al cimitero interiore
del poeta.

Il poeta, osservando le case distrutte, prende atto con dolore che, se di esse rimane soltanto qualche brandello di muro,
di molti amici non resta alcuna traccia. Tra l’ambiente esterno e il suo cuore, quest’ultimo è il posto più straziato,
perché qui conserva il ricordo delle persone defunte a causa della guerra. La lirica si presenta come emblematica nel
trattare la violenza e la desolazione della devastazione provocata dalla guerra. Solo nel cuore del poeta sopravvivono
gli strazi dei compagni morti. Il tema principale è il rapporto tra contesto esterno e interno.

Dal punto di vista stilistico emerge l’assenza di punteggiatura, l’assenza di rima alla quale si sopperisce con la
ripetizione delle parole “tanti” e “tanto” (v.5 e v.8) “cuore” e “cuore” (v.9 e v.11). Sono questi in effetti elementi
ricorrenti all’interno della raccolta “Allegria”. In merito alla struttura sintattica le prime due strofe sono caratterizzate
dalla negazione mentre ciò è assente nelle altre due, l’ultima strofa in particolare propone una visione in positivo.

La struttura e lo stile
La poesia fa riferimento alla guerra ed è suddivisa in una prima parte di occasione oggettiva e in una seconda
interiormente riflessiva, saldate tra loro dal rapporto analogico tra “case” e “cuore”. Dal punto di vista metrico, è
possibile riconoscere nella poesia due quartine e due distici. Le prime due strofe, dall’andamento franto, presentano
richiami interni molto forti, nella ripetizione anaforica di parole (“di”, “che”) e intere frasi (“non è rimasto”). La
desolazione dello spettacolo bellico risuona nelle pause che spezzano il ritmo del testo, per farne risuonare le parole
isolate (“queste case”, “brandello di muro”, “tanti”, “tanto”). Ancora più drammatici risulatno i due distici finali, dove
ritornano il rilancio di un medesimo termine (“cuore”, v.9 e v.11) e il ritmo spezzato. Ma qui non si parta la aspetti
fisici (“case”, v.1, “muro”, v.4), bensì di un “paese” (v.12) interiore, disseminato di tragiche croci: si parla del cuore
(non solo del poeta, ma di tutti), dove lo strazio per la distruzione provocata dalla guerra scava ferite più profonde.

Desolazione e memoria
La desolazione di un paese distrutto (San Martino del Carso) suscita nel poeta lo spettacolo di una distruzione ancora
più radicale, quella delle persone a lui care. Di tante persone uccise non resta alcuna traccia, se non nel cuore dei
superstiti, dove sopravvive lo straziante ricordo dei morti. Il cuore diventa così luogo della memoria ossessiva e
tormentata. Diventa una sorta di cimitero.

G. Ungaretti, L’allegria, Naufragi


Mattina

Anno: 1942 Ungaretti offre qui un memorabile esempio di condensazione poetica, da Santa Maria
Metro: un settenario La Longa, località di riposo per i soldati, nelle retrovie del fronte. Con il titolo
suddiviso in due versi di 4 e Mattina il poeta fa riferimento al momento in cui la luce vince le tenebre della notte e
3 sillabe rivela le cose prima immerse nel buio.
Argomento: la fulminea
estasi lirica del poeta di
fronte allo spettacolo
dell’alba

Santa Maria La Longa il 26 Per poter comporre questa poesia si trova nel pieno di uno spostamento
gennaio 1917 militare, nel mezzo di migliaia di soldati: la sensazione che ha Ungaretti in
mezzo a migliaia di soldati è questa “ciascuno di noi era solo con se e con le
M’illumino vicende del cielo” e quindi si capisce che lo scatto iniziale ha origine nella
d’immenso solitudine interiore anche in un contesto di persone numerosissime, migliaia
di soldati, e di un rapporto interiore, di un discorso interiore, con qualcosa
che non è umano, con un miracolo interiore.

La concentrazione poetica è qui affidata a un verbo, a una preposizione


semplice e a un sostantivo/aggettivo. È questa secondo Ungaretti una poesia
“laconica” ovvero breve e intensa allo stesso tempo.

Leopardi va qui ricordato, laddove nei versi finali dell’Infinito egli dice “così
tra questa immensità s’annega il mio pensier e il naufragare me dolce in
questo mare” sono queste le parole di Leopardi, l’immenso di Ungaretti
richiama l’immensità leopardiana. (Immensità leopardiana: il concetto di
infinito come indefinito, cioè qualcosa che spiazzava i sensi comuni e che
portava l’uomo in un contesto che recava piacere per poco tempo perché poi
ritornava la forza della razionalità che spingeva a pensare alla natura come
soggetto che agiva contro l’uomo).

Altro modello di riferimento è senza dubbio Arthur Rimbaud, altro poeta


simbolista, de Les illuuminations (le illuminazioni) e il richiamo alle
“illuminazioni” lo si ha proprio nel verbo reggente questa lirica
“M’illumino”. Rimbaud è stato il maestro del saper cogliere l’attimo nella
poesia, l’essenza: attimo = essenza, quella che cerca anche Ungaretti alla fine
anche quando riduce questa lirica che era inizialmente più lunga “M’illumino
d’immenso con un breve moto di sguardo”. La lezione, il modello di
Rimbaud fa si appunto che Ungaretti scorci ancor di più la lirica per giungere
alla sua essenza, all’attimo (che poi è una delle caratteristiche della poesia
simbolista), l’attimo inteso come un’apparizione, un miracolo, il momento in
cui l’uomo si scollega dal presente, si scollega dalla razionalità (appunto
Ungaretti si scollega dalla realtà circostante nel mentre compone i versi,
Ungaretti va in un altro contesto, in un’altra dimensione e coglie l’attimo,
coglie l’essenza).

Questa lirica possiamo definirla come una “manciata di sillabe”, però dal
punto di vista linguistico e lessicale in questi due versicoli vi sono un po’ di
cose, la paranomasia ad esempio ovvero quella figura fonica della “m” che
si ripete, sono due parole diverse costituite quasi dalle stesse lettere. I due
versicoli se posti in un unico verso costituirebbero un settenario (sette sillabe)
uno dei versi più utilizzati nella poesia italiana della tradizione, infatti
Ungaretti poi tornerà alla tradizione; in questo modo c’è un equilibrio
profondo tra i due versicoli, cioè nel leggerlo il componimento suona come
un vero e proprio componimento poetico nonostante la brevità. Altro
elemento fonico rilevante è il raddoppiamento della “l”.

“Ed è subito sera” di Quasimodo Anche questo un testo molto breve che condensa e che coglie l’attimo di un
Ognuno sta solo sul cuor della terra momento.
trafitto da un raggio di sole:
ed è subito sera.

“Phrases” di Rimbaud Altro riferimento si ha con Rimbaud, sono questi due versi alessandrini,
J'ai tendu des cordes de clocher à lunghi, della poesia francese. (Ho allungato le corde da un campanile all'altro;
clocher ; des guirlandes de fenêtre à ghirlande da finestra a finestra; catene d'oro da stella a stella, e danzo) Anche
fenêtre ; des chaînes d'or d'étoile à qui la condensazione della poesia e l’effetto che arriva al lettore, una magia, è
étoile, et je danse. questo la lezione del simbolismo francese che viene ripreso da Ungaretti e
dunque dall’Ermetismo vedi Quasimodo.

(Raffronto molto importante per l’esame tra Phrases, Ed è subito sera,


Mattina)

La luminosità d’un sereno mattino d’inverno suscita nel poeta un moto di commossa e fiduciosa esultanza.

Frammento di un insieme e l’io al centro


Questo distico acquista significato soltanto se letto come frammento di un insieme, come contrappunto alla
desolazione del soldato dal cuore straziato. Mattina introduce un soprassalto di vitalità, la rivincita disperata dell’io
che non si arrende e si scopre in armonia con l’universo.

L’io al centro
Il presente indicativo, precdeduto dalla particella pronominale di prima persona, pone l’io al centro del mondo, l’io
superstite e vittorioso contro la morte che incombe, l’io che ribadisce la sua voglia di vivere, la conquista di libertà
nelle due dimensioni fondamentali della luce (“illumino”) e dello spazio (“immenso”).

Una sinestesia straordinaria


L’accostamento sinestetico tra percezione visiva e spaziale, dilata i confini dell’orizzonte e crea una dimensione
senza confini.
Raccolta del Sentimento del tempo
La raccolta del Sentimento del tempo viene pubblicata in dieci anni (all’incirca tra il 1923 e 1933), poi c’è una prima
pubblicazione nel 1936 complessiva e poi diciamo la piena compiutezza dell’intera opera la si avrà nel 1943. La
raccolta si compone di cinque sezioni. L’aspetto in portante sono le innovazioni che vengono introdotte rispetto alla
prima raccolta dell’Allegria perché, liquidare questa raccolta come il solo ritorno all’ordine sarebbe troppo riduttivo;
innanzitutto un ritorno all’ordine di Ungaretti non è un ritorno all’ordine soltanto formale, ma è anche esistenziale, il
ritorno all’ordine segna ad esempio la sua adesione al cattolicesimo mentre nell’Allegria avevamo un poeta non
credente, adesso invece vi è stata la conversione e anche il trasferimento a Roma che coincide con la scoperta del
Barocco, Roma è il modello del Barocco: le piazze, le fontane, le chiese, sono modelli di quello stile, di quella cultura,
di uno spazio armonico e non derivante dal conflitto, lo spazio dell’Allegria è invece uno spazio del conflitto, della
guerra e del dolore, qui si ha lo spazio dell’armonia.
 La prima raccolta è infetti scandita dal binomio vita-morte, in questa seconda raccolta cambia il binomio che
diviene innocenza-peccato: l’innocenza dell’uomo si colloca nel passato, non tanto dell’individuo in quanto tale
ma quello dell’umanità e quando parliamo di innocenza dell’umanità non possiamo non pensare all’ambito
mitologico, la mitologia è il modello dell’innocenza umana, nella mitologia ritroviamo la tensione dell’uomo
verso l’assoluto che ovviamente nel mondo pagano non trova una soluzione ma in quello cristiano sì, del resto
questa raccolta è scandita dalla conversione al cattolicesimo. Innocenza/passato —> Peccato/presente, peccato del
singolo e della dimensione collettiva come ad esempio l’atrocità della guerra, ma anche la sopraffazione dei deboli
e la violenza come strumento di sopraffazione. Un ritorno all’ordine ma un ritorno altrettanto dirompente, un
cambiamento non solo formale inteso come il recupero di forme poetiche tradizionali ma anche un cambiamento
esistenziale.
Nel ritorno all’ordine ovviamente non si può prescindere dai modelli poetici della letteratura italiana ma anche
europea, anche qui abbiamo un ulteriore binomio Petrarca-Leopardi che richiama appunto a una metrica tradizionale,
ma non è l’unico, Ungaretti che aveva una profonda conoscenza della letteratura francese richiama anche non solo il
Simbolismo ma una serie di poeti tra l’Ottocento e il Novecento francesi che non sono neanche tanto noti sono i poeti
della Pléiade cioè quelli che riprendono le forme tradizionali quelle del petrarchismo, uno in particolare Derenié era
stato un poeta che tra l’altro aveva richiamato anche D’Annunzio nel poema paradisiaco, e poi c’è nel Sentimento del
tempo anche richiami a poeti del Barocco, quelli spagnoli, quelli che erano molto più aderenti anche alla tradizione
religiosa, De Góngora è uno di questi, è il poeta appunto che ricostruisce dei modelli poetici che per Ungaretti si
attagliano bene all’architettura armonica del Barocco e appunto della tradizione seicentesca romana.
G. Ungaretti, Sentimento del tempo, Leggende
La Madre

Anno: 1943 La lirica risale al 1930, scritta dal poeta in occasione della morte di sua madre.
Metro: cinque strofe di
endecasillabi e settenari, a
schema libero
Argomento: in occasione
della perdita della madre, il
poeta immagina di
rivederla nel giorno della
propria morte

E il cuore quando d'un ultimo battito Questa lirica si richiama alla dimensione religiosa che è caratteristica
avrà fatto cadere il muro d'ombra della seconda maniera ungarettiana. Il titolo “La Madre” caratterizza un
per condurmi, Madre, sino al Signore, documento di riconoscenza verso un affetto ancestrale, primordiale, che
come una volta mi darai la mano. è quello verso la madre, anche se la riflessione è principalmente legata al
soprannaturale e all’eterno. È questa senza dubbio una lirica d’effetto,
In ginocchio, decisa, l’effetto è dato da una serie di elementi, le scelte lessicali, la struttura
Sarai una statua davanti all'eterno, metrica perché qui ci troviamo di fronte a cinque strofe di endecasillabi e
come già ti vedeva settenari, quindi i due versi più impiegati nella tradizione poetica
quando eri ancora in vita. italiana, è interessante anche l’alternanza dei versi che non è casuale: gli
endecasillabi si concentrano soprattutto nella parte iniziale e conclusiva
Alzerai tremante le vecchie braccia, della poesia perché l’endecasillabo rimarca la sacralità del contenuto nei
come quando spirasti versi iniziali e conclusivi; nella parte centrale, laddove vi è lo sviluppo
dicendo: Mio Dio, eccomi. dei ricordi, del richiamo della madre, si utilizza il settenario che dà un
effetto di drammaticità al testo.
E solo quando m'avrà perdonato,
ti verrà desiderio di guardarmi. Questa lirica dal punto di vista retorico si ritrovano alcuni elementi non
molti, uno di questi è il “muro d’ombra” al v.2, una metafora che
Ricorderai d'avermi atteso tanto, sarebbe qual muro che divide la vita dalla morte; e l’ultimo verso con la
e avrai negli occhi un rapido sospiro. sinestesia del “rapido sospiro” che passa attraverso gli occhi a esprimere
un amore materno che non viene mediato dalla presenza divina.

Il rapporto è senza dubbio quello tra madre e figlio, un rapporto


ancestrale, infatti una lettura psicoanalitica va tenuta in considerazione
relativamente a questa lirica, il concetto di figure genitoriali, quella del
padre che è minacciosa, potente, forte e che è mediata proprio dalla
figura materna che si frappone tra bambino e padre, tuttavia quella
paterna è importante perché nella lettura psicoanalitica freudiana
controbilancia la possibile insidia del rapporto edipico tra il figlio e la
madre. Forse questa lettura psicoanalitica non è neanche proprio prima
istanza della poesia, ma ci serve per capire la differenza di analisi tra la
prima raccolta e la seconda raccolta: nella prima raccolta l’analisi di
“Porto sepolto” dove egli scendeva negli abissi del mistero, quelli che il
poeta riporta in superficie e fa si che vengano elargiti, qui invece il
rapporto è interiore e personale. Relativamente a questa relazione
profonda ritroviamo due elementi in apertura e in chiusura della lirica, e
questo è appunto la sottolineatura del rapporto personale, c’è parte della
critica che in questo rapporto tra madre e figlio riprende quella famosa
corrispondenza d’amorosi sensi di matrice foscoliana in “Morte del
fratello Giovanni” sonetto di Ugo Foscolo in cui il poeta richiamando la
morte del fratello immagina la madre sulla tomba a piangere, questo è un
modello che Ungaretti sicuramente recupera, un topos letterario che
Ungaretti riprende.

Il resto della lirica invece è incentrato sul rapporto tra uomo e


soprannaturale, eterno, con il Dio padre, davanti al Dio la madre non è
altro che una “statua”, cioè la donna può incrociare lo sguardo del figlio
soltanto dopo il perdono di Dio, quindi è il perdono di Dio che permette
il recupero dello sguardo tra figlio e madre e il perdono è ovviamente
uno dei temi fondamentali di questa raccolta del Sentimento del tempo
perché alla luce del perdono l’uomo può recuperare quella innocenza del
binomio innocenza-peccato.

Modelli poetici: Petrarca, Leopardi, Foscolo, Montale il quale scrive “A


mia madre”, Pier Paolo Pasolini con “La supplica a mia madre”,
Umberto Saba che scrive “Preghiera alla madre”, quindi la letteratura del
Novecento è ricca di questo tema pieno di sfaccettature perché ogni
poeta legge questo rapporto alla luce della propria coscienza esistenziale,
si è mostrato in questa lirica quello ungarettiano, propria della seconda
raccolta il Sentimento del tempo, propria del suo processo di
conversione al cattolicesimo.

Il poeta immagina l’ora della propria morte, quando la madre appena defunta lo prenderà per mano per condurlo
dinanzi a Dio. Solo quando il perdono sarà stato concesso, la madre rivolgerà contenta lo sguardo verso il figlio.

Le strofe e le immagini
La prima strofa propone le immagini centrali sulle quali si articola l’intera lirica: la prefigurazione della morte del
poeta, la caduta del “muro d’ombra“ che separa la vita terrena dall’aldilà; l’incontro con la madre (v.4) che pregherà
perché il figlio possa ottenere il persono e la salvezza di Dio. La seconda e la terza strofa rappresentano la madre in
preghiera per implorare da Dio il perdono del figlio. Le ultime due strofe si basano sul tema del perdono concesso da
Dio e sullo sguardo materno rivolto finalmente al figlio, unito a lei per sempre.

Guida spirituale
La figura materna è per il figlio-poeta la guida spirituale verso Dio in vita e dopo la morte. Il ritorno alla fede è
avvertito dal poeta come avvicinamento al sentimento religioso materno. Perciò la morte della madre fa subito
immaginare al poeta la propria morte, come momento del nuovo incontro con la madre defunta. In primo piano passa
il sentimento religioso e non l’affetto filiale.

Pascoli e Ungaretti
Anche in Pascoli vediamo spesso il colloquio con i propri defunti, ma gli affetti familiari sono sempre rappresentati
come affetti non vissuti e impediti dalla morte, perciò nostalgici e malinconici. In Ungaretti invece la fede religiosa
rasserena e tranquillizza, tanto che il colloquio con la madre è sereno e lei manifesta infine (v.15) con gli occhi “un
rapido sospiro” (come la Beatrice dantesca, nel più famoso sonetto della Vita nuova, Tanto gentile e tanto onesta pare,
v.14).

La scelta lessicale e espressiva


Il linguaggio è essenziale e trasparente, con scelte lessicali anche quotidiane e colloquiali. Per quanto riguarda
l’organizzazione della frase, si nota un impiego sintattico regolare, scandito dalla ripresa della congiunzione
temporale “quando” (vv. 1,8,10,12), ma con una forte inversione dell’ordine delle parole, ai vv. 1-4, accentuata dalla
posizione al centro del v.3 del termine “Madre”. Sul piano metrico-ritmico le strofe libere di endecasillabi e settenari
si riducono gradualmente da quattro a tre versi e poi a due, per sottolineare il progressivo sconfinamento dal tempo
terreno all’eternità. Il ritmo invece si anima, alternando la lentezza narrativa (vv. 1-4, 5-8) a improvvise accelerazioni
emotive(vv. 9-11).
G. Ungaretti, Il dolore, I ricordi
Non gridate più

Anno: 1947 Nella raccolta Il dolore, il tema della sofferenza privata convive con il tema della
Metro: due quartine, tragedia pubblica, legato alle vicende della Seconda guerra mondiale, come nel
composte la prima da componimento che segue.
novenari, la seconda da un
endecasillabo, due settenari
e un novenario.
Argomento: la follia della
guerra rende l’uomo
incapace di ascoltare il
messaggio di pace che
arriva dai defunti.

Cessate di uccidere i morti Smettete di uccidere nuovamente chi è già morto, smettete anche di gridare,
non gridate più, non gridate soprattutto perché la società a lui contemporanea è fin troppo urlatrice e quindi
se li volete ancora udire, non sviluppa più un dialogo con i morti improntato sul silenzio.
se sperate di non perire.

Hanno l'impercettibile sussurro, I morti infatti hanno una voce fioca, debole, non fanno un rumore che supera
non fanno più rumore quello dell’erba che cresce, è quindi una voce che può prosperare e anche il
del crescere dell'erba, crescere dell’erba solo dove l’uomo non passa, dove non c’è sua orma.
lieta dove non passa l'uomo.

La poesia appartiene alla raccolta de Il dolore e pubblicata nel 1947, in effetti il


poeta qui dà voce al proprio dolore interiore: la morte del figlio e la morte del
fratello, questi due eventi sono espressione di dolore individuale a questo dolore
egli associa un dolore collettivo sul piano storico prodotto dai fatti legati al
secondo conflitto mondiale, legati all’occupazione di Roma da parte dei nazisti.

Ungaretti afferma: “So che cosa significa la morte, lo sapevo anche prima in
verità, ma quando mi è stata strappata la parte migliore di me la esperimento in
me da quel momento la morte; il dolore dunque è il libro che amo di più, il libro
che ho scritto negli anni orribili stretto alla gola, se ne parlassi mi parrebbe
d’essere impudico, quel dolore non finirà mai più di straziarmi.” Il dolore è
molto più consapevole sul piano personale dopo le vicende di lutto, sul piano
collettivo era stata sempre lucido il dolore.

Sul piano stilistico il linguaggio è più accessibile anche rispetto a quello


impiegato nella seconda raccolta.

La poesia è dedicata ai sopravvissuti della Seconda guerra mondiale, in effetti


anche il dire “non gridate più” e quindi utilizzare l’imperativo non è una forma
di comando ma una vera e propria implorazione agli uomini, egli si rivolge agli
uomini a cuore aperto, l’umanità va salvata innanzitutto alla luce del sentimento
della pietà che quando si innesca un conflitto scompare immediatamente: la
spietatezza è uno dei fattori che ha sempre nominato le guerre, ma poi Ungaretti
invita gli uomini anche a cessare il linguaggio violento che di norma viene
utilizzato ed accettare invece l’ascolto delle voce debole dei defunti perché
bisogna superare questa fase e entrare in un’altra nella quale si reca dignità alla
pace e a ciò che la pace offre all’uomo in termini di valori, per il presente e per il
futuro.
La lirica si apre con una sorta di paradosso “cessate di uccidere i morti” che
tecnicamente è una figura retorica di nome adynaton, ovviamente non si può
uccidere chi è già morto anche se lo si potrebbe “uccidere” infangando la
memoria che è una maniera per uccidere per una seconda volta una persona.
Pregevole è anche l’anafora al v.3-4 con la ripetizione del “se” e le allitterazioni
ai vv. 4-6 “sperate di non perire” “l’impercettibile” “non fanno più rumore” e poi
la iterazione del disperato urlo “non gridate più”, e la figura del crescere
dell’erba, si dà una sorta di intonazione umana all’erba è quindi una
personificazione.

La lirica si presta al tema e alla riflessione della guerra e del binomio guerra-
pace con tutto ciò che ne consegue in termini valoriali e in termini di senso
esistenziale dell’uomo.

Riflessione tra questa lirica e il concetto di dolore nell’Allegria la raccolta


dedicata per lo più al primo conflitto mondiale, qui il dolore viene confluito alla
luce della perdita di affetti vicini mentre il dolore di Ungaretti nella prima
raccolta si sviluppa sul concetto di dolore universale.

Traendo spunto da un fatto di cronaca (il bombardamento alleato del cimitero romano del Verano), Ungaretti si
rivolge ai superstiti della Seconda guerra mondiale e li esorta a non rendere vana la morte di milioni di essere umani.
Per nulla resi migliori dalla catastrofe bellica, i vivi continuano infatti a sopraffarsi con odio, nel clima minaccioso
della Guerra Fredda. In tal modo non solo tradiscono la memoria dei morti, ma possono andare incontro a una
distruzione definitiva.

Una poesia civile


La lirica è di ispirazione civile e si accosta alla contemporanea letteratura dell’impegno, sorta nel secondo dopo
guerra con il Neorealismo. Il poeta si rivolge ai superstiti del conflitto mondiale, perché non vogliano prolungare
l’effetto delle armi con i loro rancori e loro risentimenti, perché non vogliano uccidere di nuovo quei morti,
tradendone la memoria e rendendone inutile il sacrificio. È questa una poesia di matrice civile, espressione di una
letteratura d’impegno, di sicuro il tema fondamentale è quello della pace.

Una voce di pace


Fatte tacere le grida, occorre dare ascolto alla voce di pace che viene da quei defunti, se si vuole salvare la terra dal
caos della distruzione. Quella voce è però lieve e impercettibile, è nemica del clamore, richiede antenne di particolare
sensibilità, perciò sfugge agli individui di oggi, divenuti incapaci di riscoprire la propria umanità.

Le strofe, i temi, lo stile


La lirica si sviluppa in due strofe, nella prima (vv.1-4), con la forma imperativa dell’implorazione sconfortata, il poeta
chiede di non tradire la memoria dei caduti. Nella seconda (vv.5-8), allude al monito silenzioso implicito
nell’esempio di quanti sono morti a causa della guerra. La loro voce e appena udibile (v.5): per riuscire a sentirla,
occorre recuperare una sensibilità nuova e accostarsi a un diverso modello di umanità. La breve lirica è di classica
compostezza. La coincidenza tra metro e sintassi genera un andamento prosastico di intensa musicalità, sottolineata
dalla ripetizione di “gridate” (v.2), dall’anafora del “se“ (vv.3-4), dalla rima baciata in “-ire” (vv.3-4). Il ritmo
prosastico accentua il tono di protesta disillusa, di sconsolato ammonimento.

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