Programmazione e Controllo PDF
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La dottrina economico aziendale afferma che la razionale conduzione dell’azienda si identifica nella
soluzione di due problemi:
- la definizione degli obiettivi da conseguire nel tempo ——> PROGRAMMAZIONE;
- la costante guida dell’azienda verso questi obiettivi ——> CONTROLLO;
Il binomio programmazione e controllo è quindi sinonimo di governo delle aziende: condurne la
gestione e guidarla verso il raggiungimento degli obiettivi. Nei processi di programmazione e
controllo si realizzano delle fasi in cui l’attività di verifica (auditing) costituisce un elemento
fondamentale ma strumentale alla verifica dei risultati. Come indica la denominazione stessa, il
concetto di programmazione e controllo è comprensivo sia dell’attività legata all’individuazione
degli obiettivi, sia quella rivolta al governo della implementazione e, quindi, alla conduzione della
gestione mediante la rilevazione e valutazione dei risultati. Si tratta dell’attività di DIREZIONE
AZIENDALE intesa in senso più ampio. Da questa prima analisi, risulta evidente l’inscindibilità del
binomio, infatti l’attività della programmazione degli obiettivi risulta inutile senza quella di controllo
del loro progressivo raggiungimento. Tuttavia, in prima approssimazione, è opportuno esaminarli
separatamente:
• Il processo del controllo di gestione fa sempre parte dell’attività di direzione aziendale ma può
essere separata e distinta da quella della definizione degli obiettivi; l’attività del controllo si
concentra nel guidare concretamente l’utilizzo delle risorse disponibili verso gli obiettivi prefissati.
Distinguiamo: il controllo strategico che è connesso alla verifica della validità della strategia
adottata, attuata dal vertice aziendale (pianificazione strategica); controllo direzionale, che
riguarda l’attuazione degli obiettivi fissati nel piano strategico: costituisce quindi un attività che
viene svolta ai vari livelli di gerarchia da chiunque abbia delle responsabilità (distribuzione degli
obiettivi per centri di responsabilità) in ordine al raggiungimento di obiettivi; il controllo
operativo che consiste nella deriva del corretto adempimento di compiti specifici da parte di
collaboratori di livello gerarchico inferiore, per promuovere una maggiore efficienza
nell’esecuzione. Nb: quando si parla di controllo di gestione senza ulteriori specificazioni, di
norma si intende fare riferimento al c.d. controllo direzionale
Programmazione e controllo sono processi che si pongono come fine fondamentale la conduzione
razionale delle aziende; detti processi costituiscono fondamentali strumenti per il governo
consapevole delle aziende. Governare significa dirigere secondo un principio o un programma
determinato, nel concetto di governo di un’azienda è implicito il riferimento ad un processo di
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conduzione e di guida consapevole della azienda. Una guida non consapevole risulterebbe,
teoricamente, assolutamente priva di senso; si affiderebbe, infatti, la prospettiva del successo
aziendale, a fatti esterni non controllarli e non controllati da colui o coloro che guidano il sistema,
ovvero ad eventi casuali ed occasionali, dai quali non sarebbe logico aspettarsi concrete, solide e
durature prospettive di successo.
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In realtà, riconoscere l’esigenza di un governo razionale e consapevole e quindi attribuire
importanza a questo atto, costituiscono dei presupposti del buon governo aziendale, che sta a monte
delle capacità imprenditoriali e manageriale, la scelta degli strumenti amministrativo-contabili del
controllo ed il loro utilizzo, costituiscono certamente componenti importanti. Se programmazione e
controllo è sinonimo di governo razionale e consapevole delle aziende, presupposto fondamentale
per l’attuazione di detti processi è la consapevolezza da parte della direzione aziendale della
necessitò e della possibilità di governare in modo razionale l’azienda .
Ulteriori presupposti di cui occorre prendere conoscenza sono da individuarsi:
- Nella consapevolezza della direzione aziendale di definire e diffondere gli obiettivi chiari e
concreti, da perseguire e da raggiungere nel tempo;
- Nella consapevolezza che occorre acquisire una conoscenza dei vari modi attraverso cui
perseguire gli obiettivi e gli strumenti che si sceglie di adottare perché ritenuti più efficaci;
- Nella consapevolezza che per attuare razionalmente e consapevolmente e quindi sulla base di dati
il più oggettivi possibili, occorre misurare le performance aziendali sia preventive che consuntive;
- Nelle consapevolezze degli strumenti di manovra da utilizzare e del loro modo di utilizzo;
Dette consapevolezze di base costituiscono condizioni necessari per implementare con successo i
sistemi di programmazione e controllo. Per governare, chi ha la responsabilità della direzione
aziendale deve prima rendersi conto che l’azienda è governabile ed è da governare, che il suo
funzionamento ha delle regole che vanno rispettare, che vi sono delle correlazioni di causa/effetto
che occorre conoscere, che l’esito dipende il più delle volte dalle proprie capacità e azioni e non da
fatti esterni, più o meno favorevoli.
Per governare occorre, quindi, che la direzione aziendale si renda prima di tutto consapevole del
proprio ruolo nei confronti dell’azienda; successivamente essa deve porsi al lavoro con una forte
disposizione a imparare conoscere, decidere e scegliere in modo consapevole e razionale, per
governare la direzione, deve poi, avere un progetto, un programma; deve assumere la responsabilità
globale, delegando più ridotte responsabilità parziali. Affrontare il tema della programmazione e del
controllo significa prendere in considerazione e mette sotto esame il complesso modo di gestire e di
governare le aziende da parte delle persone che, ai vari livelli di responsabilità, ne hanno il compito.
Il successo non è qualcosa che coinvolge solo l’imprenditore e i manager, ma molte altre categorie
sociali ne risultano direttamente coinvolte; e il buon livello di salute economica di un paese, dipende
da quello delle aziende che ne costituiscono il tessuto produttivo.
Sia struttura organizzativa che i meccanismi operativi sono mezzi necessari per condurre
l’organizzazione al successo della sua attività. Molteplici sono i meccanismi operativi di un
organizzazione: in genere, il sistema informativo, il sistema premio/sanzione, il sistema delle
comunicazioni e il sistema di programmazione e controllo. L’osservazione del ruolo dell’attività di
programmazione e controllo in rapporto al sistema organizzativo aziendale, consente di mettere in
luce la natura di meccanismo operativo, necessario per il buon funzionamento della struttura
organizzativa. Il sistema di programmazione e controllo è quindi, dal punto di vista organizzativo,
un meccanismo operativo ed è uno dei più importanti e presenta collegamenti con tutti gli altri
meccanismi operativi.
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CAPITOLO 2: LO SVILUPPO DI CONOSCENZA E LA RICERCA DI
CONSAPEVOLEZZA QUALI ASSI PORTANTI DELL’ATTIVITÀ DI GOVERNO DELLE
AZIENDE.
La qualità dell’attività direzionale è assolutamente importante in quanto è strettamente legata al
conseguimento della performance aziendale, ovvero al successo dell’azienda. La qualità dell’attività
di direzione è influenzata dalla qualità e dalla quantità delle conoscenze disponibili da parte di chi
ha il compito di dirigerla. La qualità del lavoro direzionale di coloro che hanno la responsabilità di
governare, risulta condizionata dalla qualità delle diagnosi che la direzione è in grado di compiere in
ordine alla situazione che l’azienda attraversa, sia con riguardo alla sua gestione interna che al suo
rapporto con l’ambiente. È, infatti, sulla base di questa diagnosi che chi dirige stabilisce cosa fare al
fine di mantenere, consolidare, oppure cercare di mutare la situazione individuata . Com’è noto
quello aziendale è infatti un sistema capace di divenire, cioè di trasformarsi, mediante
“meccanismi di autoregolamentazione”:
In un ambiente dinamico, l’intero processo descritti, deve tendere con continuità a ripetersi,
rinnovando contemporaneamente la situazione aziendale ed adeguandola costantemente a quelle
che nella mente di colui/coloro che le dirigono costituiscono le prospettive reali del successo per
l’azienda. Il processo illustrato, che descrive il normale procedere dell’attività di direzione aziendale,
è appunto un processo di programmazione e controllo. È facile notare come la diagnosi iniziale, cioè
la situazione globale e complessiva che l’azienda attraversa, di fatto influenza tutto il successivo
processo direzionale. L’effettiva, approfondita ed analitica conoscenza e la successiva comprensione
delle situazioni interne ed esterne all’azienda costituiscono la necessaria premessa per effettuare
corrette diagnosi. Ma, per garantire un efficace processo di direzione aziendale occorre un ulteriore
conoscenza dei meccanismi causali che spiegano la situazione attuale con quella passata e con quel
futura desiderata, suggerendo concreti programmi di azione. Alla base dell’attività di direzione di un
azienda vi deve essere una chiara consapevolezza dei meccanismi causali che sono in grado di
determinare i tre fondamentali e variegati processi (successo, sviluppo e crisi) che unitamente alla
capacità di sviluppare corrette diagnosi consentono di approfondire la natura dei problemi con cui ci
si deve di volta in volta confrontare. Pertanto, lo sviluppo della conoscenza e cioè, la progressiva
acquisizione di consapevolezza nell’attività direzionale è un processo portante nel governo aziendale.
Il successo per un’azienda consiste nella piena realizzazione della propria ragion d’essere e, quindi,
nel pieno raggiungimento degli obiettivi e degli scopi per i quali essa è stata istituita. La dottrina ha
da tempo affermato che la ragione d’essere delle aziende risiede nella loro capacità di soddisfare i
bisogni umani, e pertanto, di essere strumenti capaci di generare utilità e quindi valore. In prima
approssimazione si può affermare che i bisogni che l’azienda è in grado di soddisfare sono
riconducibili alle seguenti due categorie:
- Bisogni legati alla funzione d’uso dei prodotti/servizi che essa produce;
- Bisogni legati alle esigenze ed aspettative di coloro che collaborano, direttamente ed
indirettamente, alla sua vita;
I bisogni del primo tipo determinano delle richieste da parte di gruppi di clienti, e quindi, una
domanda di mercato (es. domanda di beni alimentari—>bisogno primario). Detta domanda può
diversificarsi e scomporsi, in rapporto a specifiche esigenze, gusti e necessità di più ristretti segmenti
di mercato. La capacità dell’azienda nel soddisfare questo primo tipo di bisogni, consiste nell’essere
in grado di offrire prodotti/servizi il più possibile rispondenti alle esigenze, gusti e necessità di
segmenti di domanda. Perché ciò accada, occorre che l’azienda sia in grado di cogliere i bisogni di
clienti, attuali e potenziali e di individuare sistemi e modi per soddisfarli meglio delle aziende
concorrenti (es- prezzi più bassi, qualità alta , rapporto prezzo/qualità ecc..). Per quanto detto, se i
prodotti dell’azienda non fossero in grado di soddisfare meglio degli altri, i bisogni dei clienti, non
avrebbero alcuna ragione d’essere, incapaci di generare alcuna utilità e quindi alcun valore. La
capacità dell’azienda di competere con i concorrenti, al fine di offrire prodotti il più possibile
rispondenti alle attese dei clienti, è appunto denominata competitività. Una ben intesa tensione
competitiva spinge l’azienda a cercare modi sempre nuovi, per dare ai prodotti, la capacità di essere
sempre più efficaci nel soddisfare i bisogni dei clienti.
La ragione per la quale sempre più clienti decidono di scegliere i prodotti di un’azienda anziché
quelli delle sue concorrenti, risiede nelle caratteristiche differenziali dei prodotti, ovvero nei cosi detti
vantaggi competitivi.
I vantaggi competitivi che devono caratterizzare i prodotti/servizi di un azienda che si impegna
nel perseguire la sua ragione d’essere, costituiscono fattori di attrattività , aspetti di particolare
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convenienza da parte di segmenti della domanda, che possono concretizzarsi in caratteristiche
materiali e immateriali da dare ai prodotti sul mercato. La competitività di un’azienda trova
origine e contemporaneamente effetto, nella qualità e quantità dei vantaggi dei quali
essa è capace di dotare i propri prodotti.
Ci si chiede allora da cosa possa rendere le aziende capaci di creare vantaggi competitivi.
DA COSA DIPENDE IL VANTAGGIO COMPETITIVO:
- Le competenze di coloro che collaborano, direttamente o indirettamente, all’output (
dette competenze devono riguardare fattori di rilievo nel giudizio di efficacia specifica del prodotti,
rispetto ai bisogni specifici dei clienti; deve trattarsi, di competenze relative ai costi di detti fattori
critici di successo nello specifico ambito competitivo relativo ai prodotti in questione, nonché di
competenze qualificabili come distintive e differenziali rispetto a quelle disponibili dagli altri). Se
la struttura dell’azienda è dotata di dette competenze distintive e difendibili e se queste vertono di
specifici fattori critici di successo, allora, è plausibile aspettarsi, che esse possano conferire ai
prodotti dell’azienda dei vantaggi competitivi, rispetto ai concorrenti, in termini di prezzo-qualità.
Questo determinerà un livello di dominanza, cioè di possesso di una certa quota di mercato da parte
dell’azienda. Il concetto di efficacia, riguarda in termini generali il grado di capacità dell’azienda di
soddisfare i bisogni che fanno parte della sua missione; in termini più particolari il concetto di
efficacia può attribuirsi ai prodotti dell’azienda, facendo riferimento alla loro maggiore o minore
competitività e cioè alla capacitò di soddisfare le attese dei clienti.
Pertanto, esiste una connessione biunivoca fra il livello di efficacia dell’azienda e quello dei suoi
prodotti e fra questo ed il livello di dominanza che esercita sul mercato.
È quindi possibile correlare casualmente il livello ed il grado di efficacia dell’azienda e del su ciclo
gestionale, al livello ed al grado di competitività, intesa questa come disponibilità di competenze di
qualità tale da assicurare au prodotti vantaggi competitivi rispetto a quelli dei concorrenti, nonché
progettare, prodotte e offrire prodotti sempre più rispondenti alle attese dei clienti. Si può
affermare che, una prima dimensione del cosiddetto successo aziendale, è quella della
competitività.
Occorre far riferimento al secondo tipo di bisogni, quelli legati alle aspettative di coloro che
collaborano nell’azienda, detti anche stakeholders e shareholders.
I shareholders conferiscono a titolo di capitale i propri risparmi, assumendosi cosi il rischio
economico e hanno l’aspettativa di vedere accresciuto il valore di detto capitale (non solo questo…
anche bisogni immateriali); la capacità dell’azienda di soddisfare questo bisogno è da individuare
nella sua economicità.
I stakeholders conferiscono all’azienda il proprio lavoro, ed hanno il bisogno di trarre da esso il
sostenimento per se e per la propria famiglia; il salario costituisce il modo in cui l’azienda soddisfa
detto bisogno (anche altri come posto di lavoro fisso , assistenza lavorativa ecc) .
La piena soddisfazione dei bisogni di chi conferisce all’azienda il proprio lavoro, determina un
elevato grado di coesione fra azienda e lavorati e fra i loro interessi. L’azienda , inoltre, peer essere
in grado di portare avanti la propria gestione e di soddisfare tutti i tipi di bisogni, necessità di una
serie vastissima di contributi da parte di soggetti esterni ad essa. Tutti questi soggetti partecipano,
seppur in maniera meno rilevante, alla vita aziendale, ad essa richiedono ricompense, correlate ai
loro specifici bisogni.
La capacità dell’azienda di rispondere positivamente anche a queste richiese, determina una
generale convergenza di interessi e, quindi, una coesione fra l’azienda e tutti coloro che, dall’interno
ed esterno, sono in condizione di metterla in grado di essere competitiva. Tutto questo non può che
attrarre verso l’azienda le migliori risorse disponibili: i migliori manager, tecnici, migliori tassi di
interesse e cosi via. Si puo affermare che, una seconda dimensione del cosiddetto successo
aziendale è quella della coesione fra azienda e stakeholders sulla base di una
convergenza dei reciproci interessi.
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4.COMPETITIVITÀ E SOCIALITÀ QUALI FATTORI DI ECONOMICITÀ.
La congiunta osservazione delle due dimensioni del successo aziendale già individuate, indica la
direzione per riconoscere una terza dimensione di successo, che si pone contemporaneamente,
in relazione di causa e di effetto con le prime due. Si tratta della dimensione dell’economicità
della gestione aziendale. L’economicità è causa ed effetto della competitività: ne è la causa,
perché in assenza di flussi di reddito non è possibile mantenere ed accrescere la capacità dei prodotti
aziendali di soddisfare i clienti; ne è l’effetto, perché se i clienti sono soddisfatti ripeteranno i loro
acquisti che consentiranno all’azienda di conseguire congrui flussi di reddito.
L’economicità è causa ed effetto della coesione fra azienda e partecipanti: ne è la causa, perché solo
la disponibilità di congrui flussi di reddito consente all’azienda di proporre ricompense attraenti; ne
è l’effetto, perché un elevato grado di efficienza che la coesione consente, non può non riflettersi sul
livello di efficacia dei prodotti e, quindi, sull’economicità della gestione.
Anche la capacità dell’azienda di conseguire la condizione di economicità può configurarsi come la
soddisfazione di un bisogno: si tratta di un bisogno dello stesso strumento aziendale, al quale si lega
la sua possibilità di sopravvivere e di svilupparsi nel tempo.
Dette tre dimensioni del successo, ne costituiscono altrettante condizioni; è infatti, dal livello che
l’azienda raggiunge su ciascuna di esse e dal loro concreto modo di configurasi nella realtà, che
dipende l’effettivo livello del successo conseguito dall’azienda. Dette tre dimensioni si pongono in
relazione di reciproca sinergia: i buoni risultati ottenuti su ciascuna, comportano benefici alle altre
——> buoni risultati economico-finanziari, alimentano le prospettive competitive, queste ridondano
le ricompense, questo aumento si ripercuote sulla competitività dei prodotti e anche sulla redditività,
si innesca cosi un processo di sviluppo della gestione aziendale. In analogo modo, i cattivi risultati
ottenuti lungo una qualsiasi dimensione, possono innescare l’inizio di un progressivo degrado.
In sintesi, è possibile ricostruire una sorte di catena di rapporti di casualità che spiegano la
dinamica del successo aziendale:
- La condizione fondamentale per la sopravvivenza e lo sviluppo è il rispetto del principio di
economicità, nonché di solvibilità;
- Le determinanti casuali delle quali derivano tali condizioni, risiedono nei gradi di efficace e di
efficienza di condurre il ciclo gestionale;
- Questi gradi, derivano dal livello di competitività dei prodotti, dal livello di coesione e
collaborazione fra i partecipanti;
- Il livello di competitività aziendale, dipende dalla natura, dalla qualità e dalla consistenza della
competenze distintive differenziali insite nella struttura organizzativa dell’azienda e dal livello di
tensione nel volerle applicare alle produzioni;
- Il livello di coesione aziendale, dipende dal grado di attrattivi delle ricompense;
In ultima istanza, quindi, si può affermare che fattore fondamentale per il successo dell’azienda è
costituito dalle persone che in essa operano al fine di trarne un beneficio comune. È dunque, se alla
base stanno le persone, il fine che va perseguito è la ricerca di un maggiore benessere, soddisfazione
di specifici bisogni per le stesse persone e per molte altre, alle quali può arrivare il servizio offerto
dall’azienda.
La ragione d’essere delle aziende è quella di creare valore totale: produrre non solo valore
economico (capitale) ma anche valore differente (soddisfazione morale, crescita culturale etc.) e non
solo per alcuni, ma per tutti, contribuendo allo sviluppo individuale e sociale dell’uomo. Sopratutto
nelle aree economicamente e culturalmente più progredite, si afferma progressivamente l’idea che
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l’impresa è un disegno che delle persone esprimono per conseguire un fine liberamente voluto. In
questa ottica le imprese sono essenzialmente attività umane, affrontate da persone che, per
realizzarle hanno a disposizione risorse, la loro intelligenza e la loro libertà. Per questo motivo
l’impresa è tornata ad acquisire un significato ed un valore maggiormente umanistico.
Questo nuovo modo, positivo di concepire il ruolo che l’azienda è chiamata a svolgere all’interno
della società, conferisce alle tematiche della programmazione e del controllo una valenza, una
rilevanza ed una diffusione anch’esse nuove rispetto al passato. Inoltre, la diffusione di un modello
culturale di tipo aziendalistico (cosiddetta aziendalizzazione), ha portato ad una maggiore
consapevolezza che anche l’amministrazione pubblica e le imprese no-profit, devono produrre
valore, nel senso che devono essere utili a soddisfare i bisogni di carattere pubblico, per il quale sono
state istituite .
Varia, per le aziende pubbliche e no-profit, la misurazione dell’utilità e, quindi, del valore del
prodotto. Nel caso delle imprese, infatti, detta misura è costituita dal reddito prodotto; nelle aziende
pubbliche proprio la loro funzione impedisce di utilizzare il medesimo parametro.
III. Sviluppo che trova origine nella tensione e nella capacità di apprendere da parte
di chi governa l’azienda—> in questo caso, quello appena indicato non è più solo un valore
imprenditoriale isolato, ma diviene un tratto fondamentale e caratteristico del tipo di cultura che
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viene condiviso da tutta l’organizzazione dell’azienda. Al contrario del primo, questo tipo di
sviluppo è frutto delle scelte strategiche consapevoli dell’azienda. Le manifestazioni esterne di questo
tipo di sviluppo non sempre si riscontrano in una crescita dimensionale dell’azienda, ma
sicuramente con il consolidamento e con la crescita di competenza atte ad apportare progressi nella
performance competitiva. A differenza del secondo tipo di sviluppo, quello in questione non è
trainato esclusivamente dalle particolari performance fornite da una specifica area della gestione
aziendale, la quale viene considerata come l’unica depositaria delle prospettive del successo
competitivo dell’azienda. Al contrario, tutta l’organizzazione dell’azienda, ad ogni livello, considera
il proprio come un ambito importante al fine del successo. - LIMITE: Il venir meno della
tensione all’apprendimento, indurrebbe l’azienda ad un comportamento di tipo inerziale.
Lo sviluppo dell’azienda può perseguirsi e realizzarsi anche in circostanze di ambiente nelle quali la
crescita dimensionale assume caratteri di particolare difficoltà. È ,quindi, possibile ipotizzare, uno
sviluppo senza crescita dimensionale. Ciò avviene quando un azienda coglie opportunità di facile
sfruttamento, determinatesi al di fuori della stessa e da essa non controllabile.
Si ha cosi un paradosso: se le condizioni esterne di ambiente e mercato sono favorevoli all’azienda,
la crescita dimensionale può essere relativamente facile, ma non sempre porta con se veri e propri
fenomeni di sviluppo; se, invece, si attraversa un periodo di depressione economica, la crescita
dimensionale è pressoché impossibile, ma lo sviluppo risulta assolutamente necessario, per consentire
all’azienda la sopravvivenza e il progresso.
In sintesi è possibile concludere che la dinamica casuale del successo aziendale e quella dello
sviluppo, trovano molti punti di contatto e di identità; potrebbe dirsi che lo sviluppo costituisce di
fatto l’aspetto dinamico e cioè il progredire del successo aziendale. Origine del successo aziendale
sono i circuiti casuali virtuosi che producono dei caratteristici fenomeni di accumulazione di risorse
per gran parte intangibili, che stanno alla base dei processi di sviluppo. Le determinanti casuali
dello sviluppo aziendale possono ritrovarsi proprio in quelle risorse, per lo più immateriali, che
sono il frutto e la causa di una gestione di successo.
Si tratta innanzitutto dell’accumulo di conoscenza: di carattere gestionale e organizzativo,
tecnologico e di mercato le quali si concretizzano in specifiche competenze a tutti i livelli
dell’organizzazione. Le aziende tese allo sviluppo sono organizzazioni capaci di apprendere, che
sanno accumulare conoscenza che ma mano sviluppano e che sanno trasmetterla alle nuove leve che
entrano in azienda.
In secondo luogo si tratta di accumulazione dei consensi che l’azienda ottiene sul versante dei
rapporti con la clientela e con gli altri interlocutori; detti consensi si traducono nell’accrescimento e
nel consenso di un patrimonio, intangibile, fatto di credibilità dell’azienda , fiducia e fedeltà dei
clienti, prestigio del marchio aziendale.
Da ultimo vi sono i fenomeni di accumulazione del capitale aziendale, anch’esso essenziale per
lo sviluppo aziendale.
L’accumulazione di dette risorse, conoscenza, dedizione e della credibilità (oltre le tangibili), che
sono manifestazione tipica del successo aziendale, sono essenziali per l’innesco di processi di
sviluppo.
Si è spesso abituati a identificare lo stato di crisi di una azienda con manifestazioni legate a perdite
economiche di esercizio, più o meno ingenti e reiterate e a stati di dissesto finanziario. Non si può
negare che aziende che si trovino nelle dette situazioni, siano in no stato di crisi, ma si vorrebbero
definire un concetto un pò più ampio di crisi, legato alle cause che lo determinano, più che gli effetti
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che ne discendono. Occorre risalire alla individuazione della ragione d’essere dell’azienda, infatti
solo in rapporto ad essa è possibile osservare l’incapacità di realizzazione e, quindi, la crisi. È
possibile affermare che l’azienda è in crisi quando non riesce a soddisfare la propria
ragione d’essere.
Se l’azienda persegue efficacemente i suoi obiettivi competitivi, sociali ed economico-finanziari potrà
affermarsi che la dinamica della sua gestione procede verso il successo, con un moto evolutivo teso al
consolidamento e sviluppo dei suoi risultati. Risultati buoni consentono di alimentare più elevate
prospettive competitive, l’aumentata competitività non può che tornare a ripercuotersi
positivamente sulla sua redditività.
Anlogalmente, risultati economici progressivamente decrescenti, non possono consentire a lungo
andare di mantenere il livello di competitività; ciò danneggia ulteriormente la stessa redditività della
gestione, creando squilibri all’interno della struttura.
Quando l’azienda su tutti e tre i versanti, o anche su uno solo, anziché progredire, regredisce, cioè
peggiora, allora emerge con evidenza un sintomo di crisi. Per individuare uno stato di crisi non
occorre necessariamente che si manifesti uno squilibrio economico-finanziario, ma basta un relativo
peggioramento dei risultati competitivi, sociali o economico-finanziari, tale da innescare un processo
involutivo.
All’origine della crisi vi è una o più disfunzioni, cioè, squilibri parziali, all’interno delle varie aree
particolari del più ampio sistema aziendale. Tuttavia, la semplice presenza di disfunzioni non
implica necessariamente uno stato di crisi. Uno squilibrio particolare che si verifica fra talune
componenti del sistema aziendale, a causa di reciproci nessi sistemici, innesca un processo di
trasmissione ad altre componenti elementari, ad esse collegate, di ulteriori disfunzioni.
Se tale processo infettivo non viene interrotto, porta necessariamente ad una inversione del moto
aziendale in senso negativo, e quindi, ad una crisi. Data l’oggettiva ineliminabilità degli eventi che
possono indurre delle disfunzioni all’interno della gestione, si può affermare che ogni azienda vive
sotto la costante minaccia di crisi potenziali, ma che la crisi diventa più remota qualora esistano,
all’interno dell’azienda, competenze, capacità nonché meccanismi che generano reazioni efficaci a
tali disfunzioni.
Risulta evidente come i sistemi di programmazione e controllo aziendale costituiscano l’arma più
appropriata, in quanto essi costituiscono proprio il più classico esempio di quei meccanismi
operativi.
I due processi costituiscono, due momenti diversi di un medesimo processo più ampio, nel quale si
concretizza in continuo sforzo di adeguamento aziendale ai mutamenti, interni ed esterni, che si
verificano nel corso della gestione. I processi di prevenzione in oggetto, non si congiurano come fatti
eccezionali, ma come componenti del complesso sistema di condizioni, di strumenti e di meccanismi
che consentono all’equilibrio aziendale di perdurare e migliorare nel tempo.
Questi processi non devono svilupparsi sporadicamente, ma devono fare parte
integrate della ordinaria attività di direzione. Il fisiologico processo di sviluppo del sistema
aziendale, deriva da un continuo ed efficace lavoro di eliminazione progressiva degli ostacoli che
frenano il moro di crescita e di sviluppo. Occorre sottolineare, come le disfunzioni, costituiscono
fattori di crisi ma, al contempo, possono agire come fattori di propulsione dello sviluppo aziendale,
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ai vari livelli di responsabilità, spinti da un diffuso atteggiamento creativo volto allo sforzo di
individuare ed eliminare le disfunzioni. La prevenzione della crisi si attua nella ricerca di un costante
miglioramento della gestione, come effetto:
- Della progressiva individuazione ed eliminazione delle disfunzioni esistenti a tutti i livelli;
- Dell’operativa ricerca di un progresso qualitativo a tutti i livelli e lungo le tre dimensioni della
competitività, economicità e della soddisfazione delle dei partecipanti.
Lotta alle disfunzioni e ricerca della qualità della performance gestionale costituiscono due aspetti di
una unitaria tensione verso il successo e lo sviluppo aziendale. Pertanto, è facile intuite come il
sistema di programmazione e controllo possa costituire al contempo l’origine e la destinazione di
tale conoscenza e consapevolezza. Origine, perché da esso possono trarsi dati ed informazioni
fondamentali sulle performances passate, attuali e programmate; la destinazione, perché attraverso
le ulteriori conoscenze acquisite attraverso l’analisi di detti dati è possibile governare con maggior
consapevolezza ed efficacia.
La conoscenza delle dinamiche “successo, “sviluppo” e crisi, delle loro determinanti casuali, dei
meccanismi casuali che spiegano lo stato e il divenire aziendale, debba costituire elemento
insostituibile del patrimonio professionale di chi governa l’azienda. Ciò, allo scopo di essere in grado
di corrette diagnosi e concreti programma di azione, atti a correlare la situazione passata con quella
attuale, e questa con quella desiderata.
Tale conoscenza, per poter essere efficace deve consistere nella capacità di identificare i rapporti di
causa-effetto esistenti fra le variabili del sistema da governare. La profonda conoscenza di dette
relazioni di causa-effetto costituisce condizione fondamentale per un efficace sviluppo dei processi di
programmazione e controllo e quindi di governo aziendale.
Si può affermare che il tessuto causale, rapporti causa-effetto fra le variabili del sistema da
governare, scaturisce della sovrapposizione di due diversi ordini di fattori:
- il primo legato ai principali generali che regolano i cicli tecnici, economici e finanziari in cui si
sostanzia l’attività gestionale di un’azienda;
- Il secondo legato alle particolari caratteristiche attraverso le quali si configurano l’impostazione e
la formula strategica nella specifica azienda considerata e, cioè la strategia competitiva, sociale e
economico-finanziaria .
Il primo dei due ordini di fattori indicato, determina una struttura di nessi casuali generalmente
valida ed applicabile a tutte le aziende, o, a gruppi aziende omogenee. Il secondo, è specifico e
particolare in ciascun azienda e crea una ulteriore rete di relazioni di casualità . Relativamente al
grado di conoscenza e consapevolezza del tessuto casuale di ogni azienda è, quindi, possibile
configurare due distinti livelli di approfondimento:
• Un primo livello per il quale al soggetto sono richieste le necessarie conoscenze di tipo tecnico,
economico, organizzativo, acquisibili mediante una idonea formazione; questo tipo di conoscenza
ha una portata generale;
• Un secondo livello di approfondimento delle relazioni di casualità, che è il risultato
dell’integrazione del bagaglio culturale con una chiara comprensione e consapevolezza della
strategia aziendale; le regole e i principi che da essa possono trarsi non hanno portata generale.
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Una chiara consapevolezza della formula strategica sulla quale l’azienda fonda le sue
prospettive di sviluppo costituisce un fattore fondamentale nella comprensione dei
meccanismi di casualità che regolano la vita dell’azienda stessa. L’analisi,
l’interpretazione e la comprensione del tessuto di relazioni di causa-effetto regolanti il
funzionamento del sistema aziendale, può essere agevolato dalla costruzione di modelli atti a
rappresentare schematicamente il meccanismo di funzionamento dinamico di dette
relazioni.Quanto detto trova uno strumento fondamentale nell’analisi dinamica dei sistemi ( System
Dynamics ) mediante la quale si possono costruire modelli che costituiscono strumenti fondamentali
per una reale e profonda comprensione del meccanismo casuale che regola il funzionamento di un
sistema aziendale.
Il modello che verrà a formarsi: in primo luogo, costringe le direzioni aziendali a fermarsi a riflettere
su quella che è la formula strategica sulla quale si basa la gestione dell’azienda; in secondo luogo, la
costruzione del modello implica un ulteriore sforzo di riflessione allo scopo di individuare quelli che
sono stati definiti fattori chiave di detta formula strategica, nonché le strutture i processi ed i flussi
che ad esse si riconnettono. Individuati i fattori chiave della formula strategica, non sarà
particolarmente difficile identificare le variabili esterne ed interne influenti su ciascuno di essi. Un
modello cosi costruito potrà essere di asilo nel processo di diagnosi della situazione aziendale,
tramite il quale si evolve continuamente il processo di direzione aziendale.
In conclusione, si può affermare che la via più concreta per perseguire il successo aziendale,
preoccupandosi di prevenire eventuali crisi, consista nello sforzo continuo di eliminazione
tempestiva di qualsiasi disfunzione; in secondo luogo, la più efficace modalità per il governo della
gestione dovrà consistere nell’attuazione di una attiva strategia tendente a formare e titolare una
cultura aziendale nella quale i valori della ricerca della qualità e della creatività acquistino una
rilevanza tale da permeare gli obiettivi, le scelte e le azioni dell’intera struttura personale
dell’azienda. Affinché tutto ciò possa realizzarsi risultano assolutamente necessari strumenti
concettuali ed operativi, atti a concretare due presupposti fondamenti: la diffusione a tutti i
livelli di responsabilità dell’azienda di una chiara conoscenza / consapevolezza dei
nessi di relazione di causa-effetto esistenti fra i sottoinsiemi aziendali; la diffusione a
tutti i livelli di responsabilità di una chiara consapevolezza/conoscenza della strategia
sulla quale l’azienda fonda le proprio prospettive di sviluppo. In assenza di tali
conoscenze, gli individui non saranno in grado di valutare e selezionare le direzioni sulle quali
incanalare i propri sforzi di miglioramento.
Negli ultimi due decenni si sono verificati, a livello mondiale, profondi cambiamenti, in ambiti
estremamente vari ed in forme estremamente variegate. Si tratta di fenomeni concomitanti, i cui
effetti si intrecciamo, interagiscono e determinano sinergie. Uno di questi è il fenomeno della
globalizzazione, quest’ultimo può essere osservato come causa prima di tutti gli altri
cambiamenti.
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2. NUOVI CONTESTI AMBIENTALI E ACCRESCIMENTO DELLA COMPLESSITÀ DI
GOVERNO DELLE IMPRESE : GLI EFFETTI DELLA GLOBALIZZAZIONE
DELL’ECONOMIA.
Prima dell’ultimo ventennio, le relazioni fra imprese dei diversi paesi consistevano nei flussi di
importazioni ed esportazioni e negli investimenti esteri diretti delle aziende multinazionali. Il così
detto sistema competitivo di ciascuna azienda era la maggior parte dei casi all’interno del contesto
nazionale o regionale in cui l’azienda esercitava la sua attività. La liberalizzazione dei movimenti
internazionali delle merci e dei fattori produttivi, ha modificato radicalmente le modalità con cui le
imprese appartenenti a diversi paesi interagiscono reciprocamente:
Un ulteriore cambiamento è riscontrabile nel fenomeno che viene definito come terziarizzazione
dell’economia. Detto fenomeno va individuato non soltanto in una crescita delle attività
economiche di produzioni di servizi, maggiore rispetto a quelle manifatturiere, ma sopratutto
nella crescente dematerializzazione dei fattori sui quali tendono a basarsi su vantaggi competitivi
conseguibile dalle imprese. In altri termini, il baricentro della cosiddetta catena del valore si
sposta sulle attività legate ai servizi: all’interno delle imprese acquistano maggior rilevanza
strategica le attività di servizio (progettazione, R&S, marketing, logistica) rispetto alle attività di
produzione in senso stretto. La ricerca della qualità e l’impregno nell’attuarla, diventano
fondamentali fattori di successo dell’impresa (Total Quality management). Causa-effetto di detto
cambiamento nel contesto competitivo è costituito dall’esigenza di rivolgere particolare attenzione
da parte del management ai clienti e alle risorse umane: imperativo —> soddisfazione del
cliente da la spinta e motivazione al personale.
Fattore chiave all’interno delle strategie competitive è la persona, sia come cliente che come
collaboratore, in generale lo stakeholders, in base alle sue conoscenze e competenze. Le componenti
terziarie legate alle conoscenze delle persone che lavorano in azienda diventano, quindi
maggiormente rilevanti per la creazione del vantaggio competitivo e prevalenti sulle attività
manifatturiere in senso stretto (know-ledge economy). Il carattere di immaterialità di dette
attività di servizio comporta che la loro produzione ed erogazione non necessiti più della contiguità
spaziale e temporale fra chi deve fornire e chi deve utilizzare. Ciò consente alle imprese di
concentrarsi sulle attività nelle quali eccellono, ricorrendo all’outsourcing per le altre.
Altri cambiamenti hanno riguardato il contesto finanziario, solo nell’ultimo decennio nel nostro
paese si è sviluppato un mercato finanziario. Questo ha determinato la possibilità di accesso alle
fonti di finanziamento parte delle imprese che proponevano progetti innovativi. Un ulteriore
cambiamento si è verificato nell’ambito delle aziende pubbliche, nelle quali si è evidenziata una
nuova attenzione ai risultati in termini di efficacia, efficienza ed economicità, si tratta di fenomeni di
aziendalizzazione.
Dette caratteristiche del contesto ambientale e competitivo hanno indotto un accrescimento della
complessità di governo delle imprese. Si possono individuare alcune fondamentali sfide che non
possono in alcun modo essere eluse dai vertici aziendali, pena l’emarginazione delle proprie aziende
dai mercati e dal gioco competitivo:
Occorre, quindi, rifocalizzare gli aspetti fondamentali per il successo della propria azienda e lavorare
su questi, dedicando studio, approfondimenti, sforzo di apprendimento continuo da parte
dell’imprenditore e di tutta l’organizzazione. Sul fronte di detto impegno è possibile individuare una
importante linea di demarcazione. Infatti, chi governa l’impresa può trovarsi con una sufficiente
conoscenza/consapevolezza della complessità sistematica in cui si trova ad operare, nonché delle
condizioni da cui dipendono la sopravvivenza e lo sviluppo.
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Si possono individuare due limiti estremi in ordine al livello di conoscenza/consapevolezza delle
condizioni di funzionamento e di successo della propria azienda, che inducono a due opposti modi
di rapportarsi ad essa:
I. Azienda come scatola nera, della quale non si conoscono i contenuti ed i meccanismi di
funzionamento ed i cui risultati sono affidati all’incerto verificarsi di eventi esterni favorevoli;
II. Azienda come scatola trasparente, quale obiettivo finale di una continua e progressiva opera
di presa di conoscenza e di consapevolezza, allo scopo di acquisire ed accrescere le capacità di
governo efficace;
Nel lungo itinerario di crescita che dalla prima porta alla seconda, si posso individuare due tappe
fondamentali da conseguire al fine di conquistare un livello sufficiente di conoscenza/
consapevolezza:
1. L’acquisizione della conoscenza delle condizioni generali di successo del sistema aziendale;
2. L’acquisizione della conoscenza delle condizioni particolari di successo;
Uno strumento primario e fondamentale che aiuta ad acquisire, mantenere e sviluppare conoscenza
e consapevolezza lesionale è il sistema di programmazione e controllo. È utile approfondire
quali possano essere i riflessi dell’istituzione di un sistema di programmazione e controllo, in ordine
all’accrescimento del livello di consapevolezza gestionale da parte del vertice aziendale. Le
conseguenze dell’istituzione di un sistema di programmazione e controllo sono:
- Miglioramento della velocità dei processi, qualità, meno costi;
- Scoperta di nuove opportunità;
La programmazione e controllo divengono strumenti per la ricerca della consapevolezza nel
governo delle imprese e divengono per l’imprenditore uno strumento di sviluppo delle proprie
capacità di governo. Nelle piccole-medie imprese il processo di programmazione e controllo deve
dotarsi di strumenti leggeri, semplici ma solidi, capaci di attivare circoli virtuosi. Né la
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programmazione e il controllo della gestione può da solo essere sufficiente, occorre porre estrema
attenzione su cosa, all’interno dell’azienda, si pone attenzione. Da ciò deriva l’esigenza di un altro
tipo di controllo: sulla dinamica strategica dell’azienda.
Fra le conoscenze assolutamente necessarie per poter aspirare al raggiungimento del successo
aziendale, quelle legate alla chiara conoscenza e consapevolezza della propria azienda, del sistema
mercato e del modo scelto per affrontarlo, costituiscono le prime e le più elementari delle
conoscenze. Ciò risulta trascurato in ambiti economico-sociali sottosviluppati, dove si continua ad
appoggiare sviluppo e successo su modelli operativi obsoleti, come economie di costi o opportunità
di fattori esterni.
Per dare crescita e successo a queste imprese, bisogna che si dotino di sistemi di conoscenza e
diagnosi interna, e quindi, sistemi di programmazione e controllo, sia gestionale che strategico.
Osserviamo la realtà delle imprese manifatturiere localizzare nella Sicilia occidentale,
attraverso l’esame dei dati delle informazioni è possibile tentare di pervenire all’individuazione di
taluni fondamentali nodi critici; questi nodi critici derivano dalle seguenti cause :
1. Vantaggi competitivi, su cui esse dovrebbero poggiare le proprie prospettive di affermazione
sui mercati, sono di scarso spessore, perché costituiti facendo riferimento a specificità
elementari della singola impresa e del suo patrimonio di risorse;
2. Le imprese sono caratterizzate da una debole specializzazione produttiva, esse sono collocate
in punti estremi, iniziali o finali, delle filiere produttive, sviluppando cicli di trasformazione
integrati, incapaci di attivare legami produttivi a monte o a valle;
3. Le imprese adottano modelli organizzativi accentrati e poco aperti
all’apprendimento, ciò pregiudica l’evoluzione delle competenze all’interno dell’azienda e
tende a circoscrivere le potenzialità di sviluppo;
In poche parole , si può dire che i nodi critici di sviluppo dell’impresa osservati , si
manifestano innanzitutto nella fragilità dei suoi vantaggi competitivi. Ciò deriva dal fatto
che questi sono costruiti non su competenze distintive forti e difendibili. La debolezza delle dette
sono dovute a carenze legate alla visione strategica di chi governa l’impresa. Dette carenze
imprenditoriali trovano supporto nella mancanza di una chiara consapevolezza da parte di chi
governa l’impresa: della propria strategia; dei fattori che possono determinare il successo, o
fallimento; dei nessi di correlazione casuale che legano reciprocamente gli elementi della strategia.
In assenza di detta consapevolezza , imprenditore non è in grado di individuare con chiarezza quali
sono le vere ragioni del proprio successo, o della crisi. Pertanto, condizione fondamentale per il
successo e lo sviluppo dell’impresa è una forte tensione capace di innescare e implementare intesi
processi di apprendimento individuali e collettivi.
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4. SCHEMA LOGICO SEGUITO NELL’ESPOSIZIONE DELLA MATERIA.
Il primo obiettivo acquista rilevanza quando il sistema ambientale non presenta caratteristiche di
particolare dinamismo, quando invece di verificano tali discontinuità, allora il secondo obiettivo
diviene fondamentale. In questo tipo di situazioni, il ruolo di controllo strategico si fonde con quello
di programmazione. La dottrina riconosce due tipologie di controllo strategico:
Molti strumenti del controllo strategico devono concentrarsi sul rapporto fra azienda e il suo
ambiente esterno, analizzando il sistema competitivo e il suo ruolo rivestito in esso dall’azienda
medesima , nella costante ricerca dei modi per competere al meglio con le altre unità economica . Si
tratta di verificare , innanzitutto: l’esistenza stessa di un disegno strategico; la sua completezza e
coerenza interna ed esterna ; il grado di consapevolezza del medesimo in seno alla direzione e a
tutta l’organizzazione; la sua compatibilità con le condizioni delle quali può discendere il successo e
lo sviluppo dell’azienda; il modo concreto di realizzarlo.
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L’efficacia del disegno strategico aziendale non va esaminata solamente in rapporto all’ambiente
competitivo, ma vanno ricercate anche all’interno il tipo di cultura e di valori della mentalità e nel
modo di essere e di condurre la gestione.
Fare controllo strategico significa diffondere la dimensione strategica all’interno della. Struttura
organizzativa in modo tale che non vi sia separazione tra la formulazione della strategia e la sua
realizzazione, il controllo rappresenta un spirito di fondo, in grado di permeare l’agire dell’impresa,
che conduce al monitoraggio del processo graduale lungo le dimensioni strategiche rilevanti e alla
eventuale modifica della strategia sulla base di tale valutazione. Esso è quindi anche uno strumento
dell’impatto delle piccole decisioni quotidiane sulle scelte strategiche d’impresa.
Dal punto di vista organizzativo, il controllo strategico costituisce un attività che deve impegnare
primariamente il vertice aziendale, al quale viene richiesto di accrescere la propria capacità di auto-
esame, auto-controllo e di veridica del proprio operato. Secondariamente, l’alta direzione deve
impegnarsi nella diffusione al resto dell’organizzazione aziendale della necessaria consapevolezza e
tensione strategica a tutti i livelli gerarchici ai fattori critici di successo.
DIFFERENZA TRA CONTROLLO DIREZIONALE E CONTROLLO STRATEGICO :
- Controllo direzionale offre informazioni prevalentemente di tipo quantitativo, è focalizzato su
un orizzonte temporale di breve termine, si articola in tempificazioni fisse e periodiche;
- Controllo strategico offre informazioni prevalentemente qualitative, è focalizzato su un
orizzonte temporale di medio-lungo periodo, costituisce un’attività continua ed ininterrotta;
1. IL RAPPORTO AZIENDA-AMBIENTE.
Il successo dell’azienda si gioca sopratutto sul campo del rapporto che essa riesce ad istituire con
l’ambiente in cui opera e, in particolare, sulle sue capacità di dare un impronta positiva alle
caratteristiche e modalità del rapporto che essa deve instaurare con i due gruppo di interlocutori,
costituenti i principali protagonisti del cosiddetto ambiente competitivo (segmenti di domanda), i
primi, e del cosiddetto ambiente sociale (attori sociali), i secondi. Quindi, occorre che l’azienda si
doti di un disegno strategico, cioè di un progetto chiaro e articolato, sulla base del quale essa possa
essere in grado di appoggiare le proprie prospettive di successo su elementi concreti ed individuati,
su prospettive reali.
Risulta assolutamente imprescindibile uno studio volto ad impostare consapevolmente un disegno
strategico coerente e verificabile successivamente con l’effettivo livello di efficacia. Quella descritta è
l’attività di pianificazione e controllo strategico. Il governo aziendale deve dunque in questa previa e
necessaria fase di pianificazione affrontare il problema relativo a quali caratteristiche dare ai
rapporti da instaurare con l’ambiente competitivo e con quello sociale, all’interno dei quali essa
sceglie di operare ed alle modalità attraverso le quali conseguirle.
Il rapporto che deve instaurarsi fra l’azienda e l’ambiente competitivo si pone l’obiettivo di offrire
dei prodotti e/o servizi capaci di soddisfare aspettative da parte di consumatori attuali e/o
potenziali. Detto rapporto deve trovare espressione concreta nel modo di progettare, produrre e
commercializzare il prodotto o il servizio che viene offerto dell’azienda. Per approfondire detto
rapporto è necessario prima chiarire ciò che costituisce il fulcro centrale del rapporto, cioè: prodotto,
o servizio offerto. La dottrina ha elaborato il concetto di sistema di prodotto o di servizio, cioè
le scelte da effettuare al fine di centrare il possibile le aspettative dei consumatori, dovranno
riguardare un variegato ed eterogeneo insieme di aspetti interconnessi, che si riflettono tutti sulle
caratteristiche dell’offera che viene proposta ai consumatori.
Non si tratta solo di caratteristiche materiali ma anche e sopratutto di caratteristiche immateriali ai
servizi legati al prodotto e alle caratteristiche economiche dello scambio. Risulta evidente come dalla
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sintonia fra le scelte effettuate su tali aspetti e le aspettative dei segmenti di domanda, dipenderà il
successo del sistema di prodotto, e quindi, del rapporto fra azienda e ambiente competitivo.
È questo quindi, il campo della strategia competitiva che l’azienda decide di perseguire e delle
relative scelte competitive che devono costituire il contenuto della relativa pianificazione. Sarà la
maggiore tensione competitiva ad indurre i responsabili di fare maggiori sforzi per elaborare sistemi
di prodotto sempre più efficaci nel soddisfare i bisogni dei clienti. Una attenzione particolare deve
essere rivolta da parte di chi governa l’impresa nei confronti dei concorrenti; nei confronti di questi
l’azienda deve presentare dei consistenti vantaggi competitivi.
Ogni azienda può essere in grado di scegliere il proprio ambito competitivo e quindi i propri
concorrenti in base alle sue scelte . In aggiunta ai concorrenti in ogni settore sono presenti delle
ulteriori forze competitive la cui influenza può determinare effetti, positivi o negativi, nel modo di
instaurarsi del rapporto fra azienda e ambiente competitivo.
Ed infatti concorrenti, clienti, fornitori, potenziali entranti e i produttori di prodotti sostitutivi, sono
attori che risultano di fondamentale importanza nel decretare il successo o la crisi di un sistema di
prodotto: l’obiettivo da perseguire nel pianificare dette scelte legate alle caratteristiche istintive dei
prodotti aziendali è quello di trovare nel settore una posizione nella quale l’impresa possa meglio
difendersi da tali forze, o possa influenzarle a proprio vantaggio. Chi governa l’impresa deve tener
conto dei vantaggi competitivi su quali intende puntare per dare al proprio sistema di prodotto
l’efficacia differenziale sulla quale egli basa le proprie prospettive di successo.
3. I VANTAGGI COMPETITIVI.
- Deve svolgere un determinato processo in maniera più efficiente rispetto ad un concorrente, senza
togliere al prodotto qualità ed efficienza nei confronti dell’acquirente (vantaggio di costo);
- Deve realizzare il prodotto in una maniera assolutamente esclusiva, quindi una maggiore utilità,
desiderabilità, cosi da indurre l’acquirente a pagare un premium price pur di ottenerlo
(vantaggio di differenziazione);
Le attività che l’azienda svolge possono schematicamente raggrumarsi in categorie che costituiscono
la catena del valore:
• Attività di supporto: input acquistati dall’esterno;
• Attività primarie: logistica etc.. ;
Tutte le attività della catena dei valori di un’azienda contribuiscono a determinare l’utilità e il valore
del prodotto o servizio che ne costituisce l’output, contribuendo cosi, a creare utilità e valore per
l’acquirente. Le aziende acquisiscono il vantaggio competitivo inventando nuovi modi di condurre le
loro attività, impiegando nuove procedure e tecnologie.
Le attività di un’azienda costituiscono un sistema interdipendente, che costituiscono una rete, in
quanto sono reciprocamente connesse da svariati collegamenti. Detti collegamenti spesso creano
situazioni di
Trade-off nell’esecuzione di attività diverse, che devono essere ottimizzati.
I collegamenti fra le varie attività impongono un accurata attività di coordinamento fra le stesse.
Coordinando bene le attività collegate si riducono i costi e si possono ottenere rilevanti risparmi di
tempo. La conquista di un vantaggio competitivo richiede, quindi, che la catena del valore di
ciascuna impresa sia studiata e gestita come un sistema e non come un insieme di parti separate.
Una riconfigurazione della catena del valore è spesso all’origine di un radicale miglioramento nella
posizione competitiva aziendale.
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4. LE COMPETENZE DISTINTIVE.
In ordine al rapporto fra l’azienda ed il sistema competitivo nel quale essa si trova inserita, può dirsi
che:
- Il successo di detto rapporto deriva dalla capacità dell’azienda di offrire a più o meno ampi
segmenti di domanda, sistemi di prodotto o servizio in grado di soddisfare le varie attese;
- I prodotti, o i servizi, saranno tanto più in grado di svolgere detto ruolo, quanto più l’azienda
stessa sarà in grado di dotarli di vantaggi competitivi differenziali;
- I vantaggi competitivi potranno essere tanto più differenziali e difendibili, quanto più
l’organizzazione dell’azienda sia dotata di competenze distinti valide, riguardanti specifici fattori
critici di successo del settore.
È facile intuire come tali condizioni regolano il raggiungimento di livelli o dominanza sul mercato.
Il successo del rapporto fra l’azienda e l’ambiente sociale nel quale essa è inserita deriva dalla felice
fusione dei bisogni e delle esigenze reciproche; fra gli interlocutori sociali rientrano in primo luogo
coloro che all’azienda conferiscono il loro capitale e coloro che ad essa conferiscono il loro lavoro; ad
essi si aggiungo: banche ed istituiti di credito, amministratori, dirigenti sindacali, quindi tutte le
persone che per le loro finalità entrano in contatto con l’azienda e delle quali essa necessità in quale
misura per il conseguimento delle proprie.
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7. LA COESIONE SOCIALE.
Il livello di dominanza all’interno del suo specifico sistema competitivo e quello di coesione con gli
interlocutori del suo ambiente sociale, costituiscono le principali determinanti casuali e dei
fondamentali indicatori di performance. Inoltre costituiscono la causa e l’effetto dell’efficienza e
dell’efficacia gestionale che costituiscono la causa e l’effetto della maggiore o minore redditività. La
performance aziendale non può che essere valutata in chiave economica-finanziaria, cioè dando un
peso ai risultati conseguiti dall’azienda in termini di livelli di economicità, non disgiunti da quelli i
solvibilità e di equilibrio finanziario.
In conclusione, le competenze e i caratteri distintivi dell’azienda, che danno origine al suo livello di
dominanza del mercato e di coesione sociale, costituiscono l’origine e la causa dell’economicità della
sua gestione.
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- L’impostazione classica del processo di formulazione della strategia desunto dagli
studi di strategia aziendale;
- L’impostazione del governo strategico come attività di Learning by doing;
Secondo la 1) la strategia , in un’impresa consapevolmente e razionalmente governata, deriva da
un processo di formulazione che trova nell’acquisizione di conoscenza e nella conseguente decisione
i suoi momenti fondamentali. Detto processo conoscitivo-decisionale comporta:
I. Identificazione delle opportunità/minacce ambientali;
II. L’identificazione dei punti di forza/debolezza aziendali;
III.Il riconoscimento del ruolo e delle conseguenti responsabilità sociali dell’azienda;
IV. L’esplicazione dei valori/aspirazioni individuali della direzione.
L’impostazione strategica costituisce un progetto del modo in cui chi ha la responsabilità del governo
aziendale intende caratterizzare il rapporto che deve instaurarsi fra l’azienda stessa e l’ambiente nel
quale esse ha in programma di operare. Detto progetto deve tradursi in una strategia aziendale. La
strategia aziendale viene definita come il modello di ricerca del successo
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imprenditoriale che l’impresa di fatto ha adottato o che intende adottare, dove il
successo imprenditoriale non è definito a priori, ma è parte integrante del modello al
cui interno trova definizione. In base a questa definizione la strategia costituisce la via che
l’imprenditore ha scelto di seguire nel condurre la propria azienda, in quanto, percorrendola egli
ritiene e si attende di raggiungere il successo della stessa. Secondo detta definizione il contenuto del
concetto di successo, che costituisce la mera e il movente della strategia, non è definibile a priori, ma
è quello che ciascun imprenditore ritiene che sia soggettivamente perseguibile in rapporto alle
proprie aspettative (modello mentale). Questo modo di definire la strategia consente di
individuare al suo interno due differenti elementi:
1. L’uno legato alla specifica e soggettiva idea di successo dell’imprenditore, che informa di sé e
motiva l’insieme delle scelte strategiche operate o da operare;
2. L’altro legato al modo di conseguire il successo legato alla scelta delle vie, cioè delle modalità
ritenute opportune per conseguirlo.
Qualsiasi strategia aziendale è quindi costituita da due diversi fattori o elementi: il primo di carattere
astratto e intangibile , costituito dall’insieme di valori che guidano l’agire dell’imprenditore, dalla sua
cultura e la sua personalità e i tratti del suo carattere che influenzeranno il successo proprio e
dell’azienda. Questa parte intangibile della strategia aziendale che ne costituisce l’anima invisibile,
viene definita come l’orientamento strategico di fondo dell’imprenditore e/o della sua impresa.
Il secondo fattore è costituito dalle scelte strategiche che da questo orientamento di fondo
scaturiscono . Questa è la parte visibile della strategia aziendale, un insieme di scelte che secondo
l’imprenditore sono funzionali e conducono agli obiettivi di successo che egli si prefigura. Questa
seconda componente della strategia aziendale è definita come la formula imprenditoriale
dell’impresa.
La maggiore o minore bontà di una strategia può dipendere: dal modo di configurare
dell’orientamento strategico di fondo di coloro che sono chiamati a formularla; dal modo di
esplicitarsi di quest’ultimo in una specifica formula imprenditoriale.
DEFINIZIONE: Identità profonda dell’impresa, la parte nascosta ed invisibile del suo disegno
strategico, che sta al di sotto delle scelte concrete che si esplicano poi nella formula imprenditoriale;
detto orientamento di fondo è invisibile ed intangibile perché costituito da elementi immateriali che
per loro natura non possono manifestarsi direttamente, ma solo attraverso le scelte ed i componenti
concreti che essi determinano. Le idee e i valori che ciascun individuo ha in sé influiscono sugli
obiettivi che egli si pone. Le stesse idee e valori, trasfusi in obiettivi, scelte e comportamenti che
realizzano all’interno e/o per mezzo di un’azienda, entrano nell’ambito dell’economia aziendale; le
idee ed i valori di tutti gli individui che operano nell’azienda hanno una indubbia influenza sulla vita
e sul successo della stessa.
Il rapporto dei singoli individui con l’azienda influenza indubbiamente l’operare di ciascuno e
influenza la performance della gestione. In tale visione la persona che ricopre il ruolo
imprenditoriale, assume essenziale rilievo in quanto responsabile e propulsore dell’intera vita della
coordinazione produttiva.
- Ci si riferisce ai valori intesi come mete da raggiungere per l’imprenditore, come filosofia di
fondo, alla luce della quale egli interpreta , sia in senso passivo e ciò intende, sia in senso attivo e
quindi attua, la propria funzione imprenditoriale. I valori imprenditoriali intesi in tal senso
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costituiscono i pilastri che sostengono la propria ragione d’essere dell’imprenditore. In rapporto a
tali valori l’imprenditore misurerà il grado del proprio successo, mentre il successo aziendale
dipenderà dal grado di compatibilità di detti valori all’ambiente interno ed esterno dell’azienda;
- Le idee, i valori, gli atteggiamenti dell’imprenditore, il suo rapporto con l’azienda, possono essere
vari ed influenzati da fattori personali (stato sociale, formazione, tradizioni etc) e da fattori
ambientali (caratteristiche e dimensioni dell’impresa, mercato);
In modo sintetico, si può individuare e rappresentare tramite un modello analitico-descrittivo,
l’oggetto di riferimento ed il comune denominatore delle idee, valori e atteggiamenti che vanno a
costituire il cosi detto orientamento strategico di fondo di ciascuna impresa, in tre
elementi cruciali , fra loro interconnessi, che individuano dove, perché e come l’attività
aziendale viene di fatto esercitata:
- Dove l’autore vuole fare riferimento al campo di attività in cui l’azienda è impegnata o intende
impegnarsi; per campo di attività deve qui intendersi non soltanto il settore ma anche le
coordinate spazio-temporali e quali-quantitative attraverso le quali esse intende caratterizzare la
propria operatività; le caratteristiche spaziali dell’attività aziendale si riconnettono
prevalentemente all’ampiezza del mercato all’interno del quale l’azienda intende operare; quelle
temporali, invece, alla maggiore o minore lungimiranza che contraddistingue l’orizzonte
temporale delle scelte strategico-gestionali; le caratteristiche quali-quantitative dell’operare
aziendale hanno riferimento spalle alle aspirazioni e alla tensione in ordine al conseguimento di
livelli di qualità delle attività gestionali, sia alle aspirazione in ordine allo sviluppo dimensionale
perseguito. Il dove, quindi, sintetizza il modo di configurarsi nelle prospettive mentali
dell’imprenditore di quella che è la sua attività e quantificarne alcune fondamentali
caratteristiche di operatività;
- Perché racchiude le ragioni che finalizzano, motivano e giustificano la propria attività
imprenditoriale; le idee, i valori e gli atteggiamenti che si riferiscono a questo aspetto si
riconnettono direttamente al modo in cui si configura nella mentalità dell’imprenditore, la
ragione d’essere e, quindi, lo scopo e il ruolo della propria azienda;
- Come individua idee, convincimenti, orientamenti in ordine al modo di gestire ed organizzare
l’azienda;
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2. ORIENTAMENTO STRATEGICO DI FONDO E CULTURA AZIENDALE.
È possibile che un particolare orientamento strategico di fondo possa rilevarsi non più valido; lo
stesso può dirsi per la cultura aziendale. I fattori del successo aziendale mutano col mutare del
sistema aziendale e con l’evolversi dell’ambiente esterno. Risulta di estrema importanza nell’ambito
della programmazione e del controllo aziendale che i contenuti dell’orientamento strategico di fondo
e dalla cultura aziendale vengano portati nella sfera della consapevolezza (solo cosi si possono
esaminare ed eventualmente modificarli). Quelle di adeguare, da parte dell’imprenditore, il proprio
grado di consapevolezza dell’orientamento strategico di fondo e dalla cultura aziendale è un
problema di non facile soluzione. Riguardo alla possibilità di cambiamento
dell’orientamento tragico di fondo si rileva, una particolare problematicità, a motivo di
una frequente chiusura del medesimo, ai mutamenti ambientali; detta chiusura si manifesta il più
delle volte in una sorta di cecità e sordità di fronte a qualsiasi segnale che dovrebbe stimolare un
profondo ripensamento della strategia.
Ciò si verifica tutte le volte in cui all’interno della scala dei valori ed atteggiamenti che costituisce
l’orientamento strategico di fondo del management aziendale, quello di conoscere non occupi una
posizione particolare di rilievo.
La possibilità di un cambiamento e di un adeguamento dell’orientamento strategico di fondo che di
fatto opera all’interno di un azienda deriva da processi di apprendimento innovativo che portano
all’individuazione e alla soluzione dei problemi, che l’evoluzione ambientale pone davanti a chi ha la
responsabilità di governare. La tensione alla conoscenza e all’apprendimento da parte
dell’imprenditore costituiscono precondizioni fondamentali per l’effettiva possibilità di mantenere
sempre viva l’attenzione circa la coerenza e la compatibilità fra l’orientamento strategico di fondo,
cultura aziendale, sistema aziendale e sistema ambientale.
È possibile identificare alcuni punti di riferimento generale che debbono porsi come condizioni
fondamentali e necessarie per la continuità della compatibilità fra orientamento strategico
di fondo dell’imprenditore e le prospettive di successo aziendale. Tali condizioni debbono
configurarsi, per l’imprenditore, come valori, idee ed atteggiamenti dai quali derivare obiettivi. Fra
tali valori se ne individuano due che sembrano rivestire caratteristiche di fondamentale importanza,
questi sono costituita da:
1. Una adeguata percezione del proprio ruolo imprenditoriale;
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2. Una adeguata percezione del sistema aziendale, nella sua struttura, nei suoi
processi e nei nessi e vincoli che li regolano;
È infatti l’imprenditore, nella sua funzione di garante della continuità della vita aziendale, del suo
sviluppo, che spetta la responsabilità di innescare di continuo e di controllare quei processi di
conoscenza ed apprendimento. Occorre pertanto, che egli abbia una chiara percezione del proprio
ruolo. È necessario che il grado di percezione che l’imprenditore ha della propria azienda e della
cultura che in essa vige, sia profondo e si sviluppi parallelamente e concomitantemente alla crescita
dell’azienda stessa. La ricerca di una adeguata percezione del sistema aziendale non può limitarsi al
semplice aggiornamento sulle vicende esterne e interne della gestione, ma deve estendersi
all’acquisizione di una particolare sensibilità imprenditoriale, da acquisire mediante l’esperienza di
lavoro, la conoscenza degli organi e delle persone ed aspettative che ciascuno ripone nel proprio
lavoro.
Per analizzare la maggiore o minore funzionalità al successo aziendale del vario configurarsi di detto
orientamento strategico di fondo, si ritiene opportuno seguire l’ordine indicato individuando il dove
di fatto viene esercitata l’attività aziendale.
Si inizia l’esame dalla influenza dell’orientamento strategico di fondo sulla definizione del campo di
attività dell’azienda. Il modo di atteggiarsi dell’orientamento strategico di fondo esercita certamente
una rilevante influenza su tutte le scelte imprenditoriali e strategiche che hanno a che fare con la
definizione del campo di attività in cui l’azienda deve considerarsi impegnata. Un elemento
importante nell’influenzare le scelte legate al campo di attività aziendale è certamente costituito
dalla maggiore o minore rilevanza che nella mentalità della direzione e, quindi, nel suo
orientamento strategico di fondo, vengono attribuite alle origini e al patrimonio genetico
dell’azienda.
Per questi ultimi, si intende essenzialmente fare riferimento al patrimonio di competenze
tecnologiche , commerciali e direzionali che l’azienda ha conquistato ed accumulato nel corso della
sua più o meno lunga storia. Da parte di chi ha la responsabilità della definizione del capo di attività
, a detto patrimonio di competenze può dare maggiore o minore rilevanza, dando cosi luogo a scelte
strategiche diverse. In sintesi, possono individuai in tal senso due tipi di approccio
assolutamente diversi ed opposti:
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1. Non è possibile valutare l’attrattività di un settore in astratto, senza cioè tener conto
dell’esperienza e delle competenze che l’azienda ha acquistato in passato——> sulla base di
questa premessa non esistono di fatto settori più interessanti o meno interessanti;
2. Nel valutare l’attrattività dell’operare in un determinato settore, basa il suo giudizio su strumenti
del tipo matrici di portafoglio, guardando essenzialmente all’aspetto finanziario e di
diversificazione del rischio aziendale.
Le direzioni che seguono il primo tipo di approccio sono direzioni che danno prevalente rilievo
strategico ed operativo alle problematiche relative alla gestione tipica (produzione, commercio ,
R&S) delle diverse aree di affari. Le direzioni del secondo tipo di approccio sono caratterizzate da
prevalenti competenze in ambiti di finanza e amministrazione, maggiormente abituati a formare il
proprio giudizio essenzialmente sulla base di analisi numeriche (bilanci) che si fondano sulla
considerazione di aspetti prettamente quantitativo-monetari ed economico.finanziari. I contrapposti
modi di vedere sopra detti conducono a differenti definizioni del campo di attività. Risulta evidente
che l’estremizzazione dei due diversi tipi di orientamento strategico di fondo conduce a situazioni di
crisi aziendali. Se, invece, i due approcci trovano adeguato contemperamento, e quindi, l’idea di una
crescita diversificata di fonde con la consapevolezza dell’importanza del patrimonio di conoscenze e
di esperienze aziendali, può allora, prendere corpo un sentiero di apprendimento imprenditoriale
coerente che conduce allo sviluppo aziendale;
Un ulteriore elemento dell’orientamento strategico di fondo è da ricercare dalle idee circa i possibili
sviluppi degli scenari di settore percepiti dal management e dei diversi possibili atteggiamenti di
fronte a cambiamenti ambientali di carattere strumentale. È ,infatti , di vitale importanza per la
sopravvivenza e lo sviluppo dell’azienda che l’orientamento strategico di fondo si caratterizzi:
- Per una concezione realistica e ampia dell’evoluzione futura del proprio settore e dei
rischi connessi ad una definizione troppo angusta del proprio campo di attività;
- Per un atteggiamento positivo nei confronti del mutamento ambientale, e quindi, per
una disponibilità a percepire e a cogliere le opportunità che esso offre;
Entrambe queste condizioni presuppongono un orientamento strategico di fondo ed una cultura
aziendale che non siano rigidamente ancorati ad un definito paradigma tecnologico o commerciale.
Fra le idee, gli atteggiamenti ed i modi di intendere la realtà che costituiscono l’orientamento
strategico di fondo presente in ciascuna azienda si può individuare anche quelli che hanno influenza
sulle coordinate quali-quantitative cui detta conduzione tende e che riguardano, innanzitutto i
maggiori o minori livelli di eccellenza che la direzione aziendale intende conseguire. Il concetto di
eccellenza imprenditoriale non va confuso con quello di competenze distintive. Detta
eccellenza si genera quando le superiori capacità che contraddistinguono l’impresa rispetto ai suoi
concorrenti generano e sostengono un vantaggio concorrenziale difendibile; in questo caso le
competenze distintive aziendali divengono i fattori fondanti della sua eccellenza. L’eccellenza
imprenditoriale non va considerato in un’ottica solamente di tipo qualitativo, esso va valutata anche
in un’ottica di tipo quantitativo, nel senso che dette competenze distintive devono effettivamente
determinare uno sviluppo dimensionale degli spazi competitivi dominanti.
L’ideale di eccellenza più o meno consapevolmente perseguito all’interno di ciascuna azienda, può
assumere configurazioni e significai molto diversi in relazione a tre fondamentali variabili:
Sotto l’aspetto del suo grado di pervasività(1), l’ideale di eccellenza insito nell’ordinamento
strategico di fondo di un azienda, può essere:
A. Concentrato e focalizzato solo su una o poche variabili competitive e sulle risorse e competenze
ad esse collegate (la tensione all’eccellenza caratterizzerà soltanto l’attività di una o di poche aree
di responsabilità);
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B. Aperto a diffondersi su tutte le variabili competitive, anche su quelle che in seno all’azienda e nel
suo settore sono dotate di minore rilevanza (tutte le aree di responsabilità dell’azienda saranno
virtualmente coinvolte da questa diffusa tensione all’eccellenza gestionale).
La scarsa pervasività della tensione alla ricerca dell’eccellenza in seno all’orientamento strategico di
fondo dell’imprenditore e la focalizzazione di essa soltanto su taluni aspetti della gestione, trova
spesso origine nella storia delle aziende, nelle vicende e nelle condizioni che hanno condotto
ciascuna di esse a determinati livelli di competitività, di immagine e di successo. Vi sono, invece
imprese guidate da un orientamento strategico di fondo di tipo diverso, che si caratterizza per effetto
di idee e di modi di concepire la realtà in base ai quali qualsiasi area gestionale e qualsiasi
dimensione operativa ha titolo per diventare un area di eccellenza. All’interno di un orientamento
strategico di fondo di questo secondo tipo, si riscontrano certamente idee, atteggiamenti e modi di
concepire la realtà secondo cui la ricerca e la promozione della produttività, della qualità e della
creatività, in tutte le dimensioni della gestione, costituiscono valori imprenditoriali fondamentali per
il successo dell’impresa. Quindi produttività, qualità e creatività costituiscono concetti chiave
dell’orientamento strategico di fondo aziendale.
L’ideale di eccellenza insito all’orientamento strategico di fondo può, anche, differenziarsi in ragione
della dimensione della porzione di mercato (2) al cui domino l’imprenditore ed il management
tendono.
Sotto questo secondo aspetto, si possono differenziare:
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verificarsi se il tipo di cultura dell’azienda in questione è caratterizzata da un buon livello di
flessibilità. Il livello di rigidità/flessibilità della cultura aziendale dipende
essenzialmente da due circostanze:
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9. L’ANALISI DELL’ORIENTAMENTO STRATEGICO DI FONDO: ESAME DELLA
FUNZIONALITÀ AL SUCCESSO AZIENDALE DEGLI ELEMENTI RELATIVI ALLA
CONCEZIONE DEI FINI DELL’AZIENDA.
Seguendo l’ordine individuato nel dove, perché e come l’attività aziende viene di fatto esercitata,
continuiamo ad esaminare gli elementi riconducibili al perché. Iniziamo l’analisi della concezione
del finalismo azienda.
Si è osservato cimeli finalismo aziendale sia complesso e composito, poiché coinvolge
contemporaneamente diverse dimensioni e diversi fruitori; esso, infatti , riguarda :
- La produzione di beni/ servizi (dimensione competitiva del finalismo);
- La soddisfazione delle attese dei partecipanti (dimensione sociale);
- La produzione della ricchezza, cioè del reddito (dimensione economica);
Tutte queste dimensioni si compongono divenendo ciò che in concreto costituisce e qualifica il
paradigma del finalismo specifico di ciascuna azienda, nella mente del suo management. Detta
convenzione particolare e specifica del finalismo, costituisce un elemento fondamentale
dell’orientamento strategico di fondo.
È possibile affermare che le concezioni del finalismo aziendale più funzionali al successo, si possono
riscontrare nei casi in cui:
- C’è nell’azienda una forte consapevolezza di cosa costituisce il patrimonio genetico sul quale
puntare nelle scelte inerenti agli ambiti di attività;
- L’attenzione del management è focalizzata sul futuro a lungo termine dell’azienda;
- Opera al suo interno un ideale di eccellenza pervasivo e diffuso;
- Opera anche una tensione allo sviluppo dimensionale basato su valide premesse;
Tutte le dimensione del finalismo aziendale, sono egualmente rilevanti e che, tuttavia, quella
economica occupa una posizione centrale . È perciò opportuno, partire dalla dimensione del
profitto al fine di esaminare i possibili significati e ruoli nelle varie concezioni del finalismo
aziendale, cominciando da quelle che presentano caratteri di disfunzionalità in rapporto al
perseguimento del successo aziendale. Cercando di sintetizzare al massimo le possibili concezioni
patologiche del profitto all’intero del finalismo aziendale , è possibile individuare due
situazioni estreme:
- Una, che possiamo definire di assolutizzazione del ruolo del profitto, nella quale questo
costituirebbe il fine fondamentale;
- Un’altra , di declassamento del ruolo del profitto, in base alla quale il profitto costituirebbe
uno solo secondario dell’azienda.
La prima concezione: profitto come scopo primario, porta a strumentalizzare al profitto stesso
tutti i rapporti vitali di cui si intesse la vita dell’azienda e dai quali dipende il realizzarsi del suo
successo ; fra questi, principalmente : rapporti con i clienti, fornitori. Se, infatti, in seno alla
concezione del finalismo aziendale il profitto costituisce l’obiettivo fondamentale ed assoluto, allora
si cercheranno tutte le possibili occasioni ed opportunità per conseguirlo anche a scapito di altri
interessi. In realtà , la finalità aziendale del profitto non può essere mai definita univocamente in
base alla sua quantità assoluta, ma deve ulteriormente qualificarsi in base: all’origine della quale
detto profitto deve scaturire; alla destinazione prioritaria che esso deve avere; alla sua capacità di
durare nel tempo e di avere una certa continuità —> logiche di lungo periodo e non di breve
periodo —> profitto di breve periodo può entrare in crisi in ogni momento;
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per quanto buono e bello, che l’impresa possa permettersi di perseguire senza coniugarlo con la
redditività ; una redditività dalle basi solide e durature non può prescindere da una forte
competitività e da un elevato grado di coesione sociale attorno all’impresa, conseguenza di ciò , lo
scopo di reddito deve essere a sua volta coniugarsi con le finalità competitive e sociali; il reddito da
perseguire come fine non può che essere il reddito di lungo periodo, perché solo nel lungo periodo si
possono attivare dei circoli virtuosi in cui risultati economici, competitivi, sociali si allineano
sinergicamente; il reddito di breve va perseguito con determinazione, ma senza sacrificare le basi del
successo duraturo.
Conseguenza di questa fisiologia concezione del finalismo aziendale è che il profitto non deve di
fatto collocarsi al vertice di una sorta di scala di priorità fra le finalità dell’impresa; esso deve essere
inserito in un movimento circolare di fini e obiettivi altrettanto importanti. In una concezione del
genere, il profitto si qualifica perché originato da una superiore capacità di servire i bisogni dei
clienti e alimenta una superiore capacità di soddisfare le attese degli interlocutori sociali , la quale,
produce coesione e fiducia che sono necessari per ottenere una superiore performance competitiva.
La dimensione umana dell’impresa e la sua dimensione economica vengono a compenetrarsi. In tale
modo il profitto non viene più assolutizzato, perché è in funzione del benessere e del progresso
umano; ma neppure viene sottovalutato, in quanto elemento essenziale per il raggiungimento di
quest’ultimo. Il conclusione, l’orientamento strategico di fondo delle imprese è
caratterizzato da una forte tensione all’economicità , la quale si focalizza da un lato,
sui bisogni del cliente, e dall’altro , sulle esigenze del proprio personale.
Passiamo all’esame della seconda componente di quello che è stato definito come l’ambito del
perché l’attività aziendale viene di fatto esercitata.
Si tratta della concezione che l’imprenditore ha del tipo di rapporti che devono instaurarsi fra
l’azienda ed il sistema competitivo nel quale essa è inserita, ossia, della filosofia competitiva che
caratterizza l’azienda. Elemento essenziale di una filosofia competitiva è quello di tendere ad una
dominanza di livello, su una porzione del mercato. Supposto , che vi sia detta tensione alla
dominanza , essa può qualificarsi in modi diversi sulla base di differenti elementi. Fra questi ce ne
sono due rilevanti:
1. Il tipo di vantaggio competitivo verso cui l’azienda è indirizzata;
2. L’ampiezza dell’ambito competitivo che essa intende dominare;
In ordine al primo aspetto (tipo) , si rileva che all’interno dell’orientamento strategico di fondo delle
imprese competitive trovano di norma posto idee, atteggiamenti e valori legati al modo di gestire le
variabili sulle quali si svolge la lotta competitiva . Abbiamo due modi di conseguire vantaggi
competitivi : di costo e di differenziazione. Sui primi l’azienda punta su obiettivi di efficienza e di
standardizzazione dei prodotti al fine di incrementare i volumi di produzione e abbassare i costi; con
il secondo si avranno scelte volti all’affermazione dell’unicità del prodotto aziendale in rapporto alle
sue particolari qualità. Si individua il rischio che una troppa intensa tensione alla dominanza sia di
costo che di differenziazione possa determinare una eccessiva enfatizzazione sulle variabili coinvolte
e di trascurare le alte anche se secondarie.
Se si persegue la crescita dei volumi e la riduzione dei costi, non bisogna dimenticare il
miglioramento dei prodotti; se si persegue la differenziazione, bisogna non dimenticare l’attenzione
alla riduzione dei costi.
Una filosofia competitiva funzionale al successo aziendale, pur enfatizzando le variabili legate ai
propri vantaggi competitivi, tuttavia non perde mai di vista il panorama globale all’interno del quale
si svolge la competizione e in particolare :
- Le esigenze dei propri clienti attuali e potenziali;
- I comportamenti della concorrenza;
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Per quanto riguarda il secondo elemento di differenziazione delle formule competitive , cioè quello
relativo alla dimensione dell’ambito competitivo (ampiezza) alla cui dominanza l’impresa è
indirizzata, l’orientamento strategico di fondo delle aziende interpreta di norma una delle due
seguenti possibilità:
- O una strategia di specializzazione, che porta alla dominanza di una nicchia di mercato;
- O una strategia di crescita perseguita fino al raggiungimento della dominanza totale;
Il rischio di disfunzionalità in rapporto al conseguimento del successo aziendale, nella prima
strategia è quello di una definizione troppo ristretta dell’ambito competitivo; nella seconda strategia
è quello di una crescita aziendale non guidata da significative interrelazioni tra i segmenti in cui
l’ambito competitivo si articola.
L’analisi della funzionalità o disfunzionalità al successo aziendale dei contenuti dell’orientamento
strategico di fondo aziendale in ordine all filosofia competitiva prosegue poi con l’esame dei modi
di concepire il rapporto con i singoli attori del sistema competitivo;
Terzo ed ultimo elemento di quello che è stato definito come l’ambito del perché all’interno
dell’orientamento strategico di fondo e costituito dal modo di concepire il rapporto con gli
interlocutori del sistema sociale.
Il problema centrale in seno a detto rapporto è quello del consenso interno agli obiettivi ed indirizzi
di gestione che il management intende perseguire il consenso determina un problema quando il
livello di consenso reale di cui l’impresa gode è inferiore al livello di consenso necessario per
realizzare l’indirizzo strategico prescelto.
Le alternative di base che il management ha a disposizione per affrontare una crisi di
consenso sono di due tipi:
1. Intervenire sul progetto strategico rendendolo meno esigente nei riguardi degli
interlocutori critici;
2. Intervenire sul rapporto di collaborazione cercando di accrescere l’attrattività percepita,
influenzando positivamente le attese dei interlocutori.
Si esaminano poi diversi possibili modi di configurarsi del rapporto con gli interlocutori sociali, al
fine di esaminare la maggiore o minore funzionalità al raggiungimento del successo. Si individuano
nel modo di configurarsi di tale rapporto 3 fondamentali discriminanti:
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1. Consapevolezza che il management ha del problema del consenso; dall’attenzione che vi dedica;
dall’impregno professionale che sprofonda nello sviluppare un processo di apprendimento
capace di pervenire crisi di consenso;
2. Livello di soddisfazione delle attese degli interlocutori che la direzione aziendale è impegnata a
conseguire;
3. Qualità del consenso;
Di tutti i possibili modi che possono essere utilizzati allo scopo di ottenere il consenso da parte degli
interlocutori sociali, solo quello basato sulla persuasione e, cioè mediante un approfondito confronto
sul progetto strategico, è in grado di produrre un consenso di superiore qualità, perché duraturo e
fondato sulla consapevolezza.
Quanto sinora esposto sulla filosofia del consenso all’interno dell’orientamento strategico di fondo,
deve poi declinarsi diversamente in relazione alle specifiche categorie di interlocutori sociali nei
confronti dei quali detto rapporto deve istaurarsi (es. rapporto con i lavoratori, deve essere impostato
come rapporto di collaborazione, la filosofia di fondo di questa collaborazione può compendiarsi
come segue: attenzione alle persone, alle famiglie, profitto per lo sviluppo aziendale, rapporto
ecologico col territorio- rapporto con i creditori, istaurato con trasparenza, correttezza).
Conclusione, lo stile di comportamento è l’espressione diretta di una impostazione etica
più che di specifiche competenze di management.
Quanto detto sulla maggiore o minore funzionalità al successo dell’orientamento strategico di fondo,
viene riassunto con: le imprese migliori sono governate con un orientamento di fondo di
lungo periodo, le imprese mediocri con un orientamento solo parzialmente di lungo
oppure con un orientamento di breve.
Un orientamento di lungo periodo assume, quindi, valore centrale la sopravvivenza dell’impresa ed
il suo sviluppo; tali obiettivi non possono essere realizzati in assenza di un profitto dalle solide basi,
che scaturisce dalla capacità di competere e di attrarre risorse dal mercato. La produzione di un
profitto di qualità presuppone, a sua volta, lo sviluppo di un progetto strategico di vasto respiro, che
sia l’espressione:
- Di una continua ricerca di consonanza fondata sui principi di servizio al cliente e di rispetto e
valorizzazione delle risorse;
- Di una costante salvaguardia dell’autonomia aziendale e dell’economicità gestionale;
- Di un apprendimento diffuso e pervasivo, finalizzato ad un eccellenza di prestazioni individuali ed
aziendali;
- Di un bisogno di trasparenza, necessaria in quanto l’efficienza e l’efficacia della realizzazione di
tale progetto, esige dagli interlocutori interessati una adesione convinta e matura;
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formula imprenditoriale di un azienda deriva dalla combinazione coerente fra le scelte attuate in
ordine ad un ampia e variegata serie di oggetti, che potrebbero enumerarsi come segue:
- Scelte relative ai singoli aspetti in cui si estrinseca la configurazione dei c.d. sistemi di prodotto
o di servizio che l’azienda intende offrire al mercato;
- Quelle relative alla determinazione dei diversi, specifici, vantaggi competitivi sui quali si intende
puntare al fine di rendere competitivi detti sistemi di prodotto o servizio;
- Quelle relative all’individuazione di specifici rivali di mercato e degli interlocutori del sistema
competitivo al quale si intende fare riferimento;
- Quelle relative alla cura dei rapporti da intrattenere con gli interlocutori del cosi detto sistema
sociale;
- Quelle relative ai modi per rendere attraenti le offerte di ricompensa che si intendono prospettare
agli interlocutori sociali, in cambio dei loro contributi;
- Quelle relative all’individuazione e alla difesa e allo sviluppo delle competenze e dei caratteri
distintivi che costituiscono il patrimonio più prezioso di cui l’azienda possa disporre;
- Quelle economico-finanziarie, causa ed effetto di tutte le altre;
In pratica le scelte elencate si coagulano attorno ai cinque elementi principali del disegno
strategico:
- Struttura aziendale;
- Sistema di prodotto;
- Sistema competitivo;
- Sistema degli attori sociali;
- Il binomio contributi richiesti/prospettive di ricompensa offerte a questi ultimi.
Questi sono elementi funzionali al successo dell’azienda.
I. Dal punto di vista dell’analisi della strategia competitiva, la coerenza delle scelte competitive
effettuate deriva essenzialmente dal fatto che: le competenze ed i caratteri distintivi siano in grado di
conferire realmente al sistema di prodotto i vantaggi competitivi desiderati; che i vantaggi
competitivi sui quali si punta siano reali, consistenti e tali da determinare una effettiva differenza
con quelli dei concorrenti; che il sistema di prodotto, arricchito dai vantaggi competitivi, sia
convenzionalmente offerto ad un mercato; che tutto ciò possa avere come effetto la conquista da
parte del sistema di prodotto, di un consistente livello di dominanza all’interno del mercato e di
conseguire risultati reddituali significativi.
Dal punto di vista della strategia sociale, la coerenza delle scelte si manifesta: nella circostanza
che i caratteri distintivi dell’azienda siano effettivamente tali da conferire alle ricompense proposte ai
vari interlocutori sociali cui si richiede un contributo, un elevato livello di attrattivi; che dette
ricompense siano effettivamente attraenti e tali da determinare una differenza fra quelle aziendali e
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quelle dei concorrenti; che sulla spinta di detta attrattivi delle ricompense offerte, risorse sociali di un
certo livello qualitativo , siano motivate a collaborare attivamente con l’azienda; che tutto ciò possa
determinare una coesione fra ambiente ed aziende e all’interno di quest’ultima di generare livelli di
efficace ed efficienza gestionale; che detti livelli determinino consistenti risultati reddituali.
Quanto alle scelte relative alla strategia economico-finanziaria, queste possono determinare
alternativamente fattori di vincolo o di propulsione per quelle relative alle strategie competitiva e
sociale. Risulta evidente, infatti, come qualsiasi tipo di scelta strategica competitiva o sociale,
implichi un determinato volume di investimenti, che devono essere compatibili con la struttura, la
situazione e le potenzialità economico-finanziarie dell’azienda.
In sostanza, il mantenimento e lo sviluppo delle potenzialità competitive e sociali dell’azienda,
comporta l’esigenza di una adeguata redditività, che venga primariamente destinata
all’autofinanziamento dello stesso sistema aziendale. In ordine alla destinazione del reddito, potrà
sottrarsi a quelle destinate ad autofinanziamento, soltanto l’eventuale quota che risulti eccedente le
necessità di alimentazione del sistema aziendale stesso.
Comunque , non vi è dubbio che il livello di redditività del sistema aziendale deve essere tale da
consentire di alimentare, consolidare e sviluppare, mediante autofinanziamento, la struttura
aziendale, con riferimento alle competenze ed ai caratteri distintivi aziendali, che costituiscono il
vero patrimonio, la vera radice e origine del successo aziendale e delle sue prospettive future. Quelli
descritti costituiscono gli elementi generali e le logiche fondanti, attraverso le quali è possibile
ricavare e valutare la coerenza interna delle strategie competitive, sociali ed economiche-finanziarie,
considerate singolarmente.
II. Occorre però, riscontrare un ulteriore coerenza, relativa al disegno strategico globale che
racchiude in un unico progetti imprenditoriale le tre strategie menzionate. Si tratta di un’intuizione
imprenditoriale capace, sul piano logico e su quello operativo, di mettere a sistema gli obiettivi, le
scelte, e gli aspetti competitivi, sociali ed economico-finanziari, della gestione aziendale, in modo tale
che emerga un sistema capace di soddisfare in pieno le ragioni per le quali è stato istituito. Sulla base
di quando detto, confrontando gli elementi teoria delle formule imprenditoriali, con le realtà
aziendali, si può stilare una classifica di tipologie di forme imprenditoriali, inflazione al loro grado di
validità ; cominciando dalle meno efficaci, si avranno le seguenti formule imprenditoriali:
- Formule imprenditoriali che non hanno alla base alcun fattore di successo;
- Formule imprenditoriali che si basano su circostanze e condizioni esterne favorevoli;
- Formule imprenditoriali che si fondano su talune effettive competenze e caratteri distintivi
difendibili, ma che si focalizzano solo ed esclusivamente sulle aree gestionali da esse coinvolte;
- Formule imprenditoriali che si fondano sul combinarsi innovativo e coerente di tutti gli elementi;
2. FORMULE IMPRENDITORIALI CHE NON HANNO ALLA BASE ALCUN FATTORE DI
SUCCESSO.
Può essere utile descrivere i tratti di un tipo di azienda, molto presente sui nostri territori,
caratterizzata da una formula imprenditoriale che non ha alla base alcun fattore di successo.
Questa azienda è di piccole dimensioni; di norma produce un solo prodotto; si muove in un ottica di
diversificazione fortemente correlata, che comporta, nel prodotto, una completa sovrapposizione di
materie prime di processi produttivi e di canali di distribuzione. Questa azienda imposta la propria
strategia partendo dall’idea di puntare a vendere ciò che è in grado di produrre; non si rende conto
che il percorso è sostanzialmente inverso: imparare a produrre ciò che è opportuno vendere,
partendo dalla osservazione dei bisogni dei clienti. Ciò richiederebbe all’azienda una ricerca ed
acquisizione di nuove competenze e una tensione all’apprendimento. L’azienda si accontenta,
invece, di un atteggiamento passivo, legato a schemi di azione e comportamento che si considerano
tradizionali, quindi sicuri.
In essa si evidenzia una mentalità orientata al prodotto e non al mercato. I limiti e le difficoltà che
essa incontra nel rapportarsi al proprio sistema competitivo si manifestano su diversi fronti. l’azienda
non ha una approfondita conoscenza di chi sono, o potrebbero essere gli utilizzatori finali dei propri
prodotti, ne dei concorrenti. Ciò la porta a non individuare le esigenze dei clienti in modo analitico
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e differenziato, non vengono, quindi percepite specificità che potrebbero determinare scelte
competitive vincenti in una visione di sviluppo dei mercati di sbocco.
Pertanto, le scelte competitiva si concentrano sulla costruzione di vantaggi competitivi elementari,
basati sulla riduzione dei costi. Il concetto di qualità di collega nella mente dell’imprenditore
prevalentemente alla generica capacità della propria struttura produttiva di eseguire puntualmente
le richieste di prodotto che vengono specificate dai clienti.
Detta maniera di intendere la qualità risulta assai distante dai più evoluti contesti. L’attività
innovativa dell’impresa è pressoché assente; essa non è in grado di costruire o fare evolvere i
vantaggi competitivi sostenibili e difendibili. Si nota, quindi, ancora una volta, la mancanza di una
cultura della sperimentazione e dell’apprendimento. L’azienda, inoltre incontra notevoli ostacoli ad
aprirsi verso l’esterno, attraverso lo sviluppo di relazioni produttive che intersechino in più punti
diversi la propria catena del valore. Le ragioni per cui queste opportunità non si traducono in
effettivi processi di decentramento e di specializzazione produttiva possono essere fra l’altro
determinare, anche dalla mancanza di informazioni e da vincoli riconducibili alla presunta scarsa
affidabilità dei potenziali fornitori. La struttura aziendale si manifesta priva di particolari
competenze e caratteri distintivi; ciò non conferisce al sistema di prodotto aziendale alcun sensibile
vantaggio competitivo. Lo stesso sistema di prodotto, non risulta il frutto della ricerca attiva di
modalità di soddisfazione dei bisogni dei clienti, le cui esigenze specifiche sono per altro ignote e
indistinte per l’impresa.
La strategia sociale è del tutto assente e in balia delle circostanze e del carattere delle persone. Tutto
ciò è riconducibile all’essenza di visione strategica, di chi governa l’impresa che risulta carente sia
per quanto riguarda l’orientamento strategico di fondo da cui promana, sia per la formula
imprenditoriale che di fatto esprime.
Vi sono aziende che fondano le proprie prospettive di successo sull’idea di cogliere una opportunità
relativamente semplice di fare profitti, determinata da condizioni favorevoli esterne (es. disponibilità
di mano d’opera a basso costo, usufruire di contributi a fondo perduto, agevolazioni). Dette
particolari condizioni esterne favorevoli possono effettivamente generare delle congrue correnti di
reddito, ma questo successo si contraddistingue per la precarietà delle condizioni stesse che lo
determinano, se infatti, le condizioni ambientali favorevoli vengo meno, crolla l’unico effettivo
supporto sul quale si fonda l’intera strategia aziedale.
Impostazioni imprenditoriali del genere descritto non derivano da competenze
distintive esistenti all’interno dell’azienda (meriti), non mettono in moto nessun
meccanismo di apprendimento e crescita del patrimonio intangibile. Pertanto all’interno
di aziende del genere è difficile che si inneschino processi che consentano di arricchire o consolidare
le attuali basi del successo. Quello descritto è forse il più grave difetto delle formule imprenditoriali
in parola; esse sono frutto di un orientamento strategico caratterizzato da un orizzonte
temporale di breve respiro, che, rinuncia a impegnarsi a fondo su tutti gli aspetti e fronti
gestionali che non siano ad essa direttamente collegati.
Vi sono poi ulteriori tipologie di formule imprenditoriali, che fondano le loro prospettive di successo
su effettive competenze distintive, molto spesso in ambito tecnico produttivo, o commerciale,
anche di elevato spessore.
Dette formule si caratterizzano per una esclusiva focalizzazione sugli ambiti gestionali correlati a
dette competenze, trascurando tutti gli altri aspetti della gestione. Queste particolari specializzazione
derivano dalle aziende, dalle competenze personali del fondatore, il quale imprese alla cultura
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aziendale una impronta legata all’ambito di competenza. Il vantaggio competitivo che detta
specializzazione riesce a conferire al prodotto offerto è consistente e difendibile; tuttavia, il sistema
prodotto che l’azienda offre al mercato risente di gravi lacune, determinate da carenze su altri
versanti della gestione.
Il limite di questo tipo di formula imprenditoriale, sta di fatto nella eccessiva ed esclusiva
focalizzazione su alcune aree ed attività gestionali e nella corrispondente trascuratezza di
altre, determinando uno sbilanciamento strategico ed organizzativo. Il successo aziendale sarà
precario, in quanto legato all’efficacia degli attacchi competitivi che i concorrenti vorranno sferrare.
Il modello rappresentativo della formula imprenditoriale, può essere utilizzato quale strumento di
programmazione e controllo strategico. Esso, infatti, può essere valido punto di riferimento in fase di
pianificazione e scelta della variabili strumentali, competitive e sociali che determinano il modo
dell’azienda di porsi sul mercato e nei confronti del sistema sociale, nonché utile strumento di
controllo, al fine di valutare la validità e l’efficacia. Il metodo di valutazione della formula
imprenditoriale, separando:
- La valutazione della formula competitiva;
- Dalla valutazione della formula sociale (unica per tutta l’azienda);
La valutazione della formula competitiva(1) , ripetuta per ciascuna area strategica di affari in
cui l’azienda si trovi impegnata;
L’impostazione che viene data all’indagine valutativa è quindi scomposta in tre momenti ideali:
1. Osservazione del presente, individuazione dei risultati competitivi e reddituali e valutazione
della situazione attuale in relazione alle due dimensioni;
2. Osservazione del passato, ricostruzione storia delle cause che hanno indotto detta
situazione;
3. Osservazione del futuro, verifica delle probabilità di sussistenza della situazione riscontrata,
se positiva; individuazione delle innovazioni da apporta, se negativa;
La formula imprenditoriale risulta valida se la situazione attuale può essere considerata positiva, sia
sono il profilo competitivo, sia sotto quello reddituale; se la formula è valida essa non necessità di
rinnovamenti, ma può essere consolidata e migliorata. Si passa poi all’esposizione del metodo
di valutazione della formula competitiva. Si tratta di determinare l’attuale livello di successo
reddituale e competitivo dell’azienda.
In relazione al successo competitivo, potrà utilizzarsi la quota di mercato assoluta e
quella relativa; per il successo reddituale, invece, l’indice ROI. Sulla base dei risultati
ottenuti, bisogna posizionare l’azienda all’interno di una matrice che abbia ascissa il successo
reddituale e in ordinata il successo competitivo, progressivamente graduate, da un livello
altro ad un livello basso. Una volta posizionata l’azienda all’interno della matrice, occorre
passare alla valutazione del passato cercando di spiegare la collocazione dell’azienda nella matrice:
- Successo competitivo alto e successo reddituale alto : formula competitiva di successo
internamente coerente. Ciò si deve ad una formula competitiva valida, fondata sul possesso si
competenze e caratteri distintivi capaci di dare al sistema di prodotto un forte vantaggio
competitivo, il quale le consente di acquisire un buon livello di dominanza sul mercato. Si tratta,
allora, di prendere consapevolezza dei fattori portanti di detto successo: - quali sono dette
competenze e caratteri distintivi che di fatto costituiscono il più prezioso patrimonio a sua
disposizione; - quali sono i vantaggi competitivi che caratterizzano i nostri prodotti; - qual è la
nicchia di mercato all’interno della quale si gode di una leadership.
- Successo competitivo basso e successo reddituale alto : successo economico dipendente
da condizioni esterne di particolare vantaggio. In questo caso il buon livello dei risultanti
reddituali non può provenire da un elevato successo competitivo, che di fatto non esiste, l’elevata
redditività andranno ricercare in qualche condizione favorevole all’azienda, ma non inerente alle
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sue specifiche competenze e caratteri distintivi. La formula competitiva delle imprese di questo
tipo è elementare e povera di contenuti imprenditoriali.
- Successo competitivo alto e successo reddituale basso: formula competitiva
internamente coerente. Tali aziende se pur dotate di una formula competitiva capace di generare
un buon successo non riescono a tradurre la propria affermazione sul mercato in significativi flussi
reddituali. Ciò è causato da incoerenza e disfunzioni interne alla formula imprenditoriale, come,
ad esempio, un differenziale positivo di qualità cui non corrisponde un congruo differenziale di
prezzo.
- Successo competitivo basso e successo reddituale basso: mancanza di una ragione
d’essere ricompensata dal sistema di mercato. Le aziende che si collocano qui, sono quelle che
non hanno successo né competitivo, né reddituale; sono aziende alle quali manca un effettiva
ragione d’essere giustificata da un mercato.
Da queste indagini si determinano tutta una serie di osservazione e riflessioni che consentono la
maturazione di un giudizio più consapevole circa la validità e l’efficacia della formula
imprenditoriale stessa , nonché l’individuazione delle direzioni verso le quali l’impresa deve
rinnovarsi e trasformarsi.
Conclusa l’analisi e la valutazione della formula competitiva, si passa a quella sociale, unica
per l’intera azienda. Anche qui si comincia col posizionare la stessa all’interno di una matrice le
cui dimensioni sono costituite dal successo sociale e da quello reddituale. La prima
dimensione è difficile da misurare in modo oggettivo, si tratta di cogliete il livello di soddisfazione
degli attori sociali. La dimensione reddituale è espressa dal ROE . Anche in questo caso, dopo
avere posizionato l’azienda in uno dei quattro quadranti della matrice, occorre ricercarne le ragioni
(ovvero il passato), sulla base delle ipotesi guida indicate nella matrice:
- Successo sociale alto e successo reddituale alto: economicità della gestione e soddisfazione
dei partecipanti si alimentano a vicenda. Se l’azienda si colloca qui, è plausibile ritenere che il
successo reddituale si fondi su elevati livelli, di soddisfazione degli interlocutori sociali e che questi
possano essere consentiti dalle elevate prestazioni reddituali della gestione.
- Successo sociale basso e successo reddituale alto: successo economico ottenuto con
sacrifico delle attese di una o più categorie di partecipanti. Qui si trovano aziende nelle quali il
successo economico è la risultante della sistemata sottovalutazione delle aspettative di una o più
categorie di interlocutori sociali.
- Successo sociale alto e successo reddituale basso: successo sociale ottenuto a scapito del
ruolo economico dell’impresa. Si tratta di aziende molto sensibili alle istanze di promozione
sociale ed economica dei lavoratori.
- Successo sociale basso e successo reddituale basso: diseconomicità della gestione e
insoddisfazione di partecipanti si alimentano a vicenda.
Le fasi cosi percorse dell’analisi e della valutazione della formula sociale, dovranno determinare, una
serie di osservazioni e riflessioni che potranno consentire la maturazione di un giudizio più
consapevole circa la validità e l’efficacia della formula imprenditoriale, nonché delle direzioni verso
le quali l’impresa deve rinnovarsi e trasformarsi. In conclusione, il modello analitico descrittivo della
formula imprenditoriale costituisce uno strumento di grande utilità in un approccio valutativo di
programmazione e controllo.
39
La programmazione e controllo direzionale , o della gestione, o controllo di gestione è un attività
mediante la quale la direzione aziendale governa di fatto la gestione accertandosi che
essa si stia svolgendo in modo tale da permettere il raggiungimento degli obiettivi
stabili in sede di pianificazione strategica. Il controllo di gestione è l’attività digiuna
svolta dai manager, applicando il meccanismo della retroazione e fondandosi sulla
contabilità direzionale, per assicurarsi l’acquisizione l’impiego delle risorse in modo
efficace ed efficiente al fine di conseguire gli obiettivi economici prestabiliti.
Secondo tale definizione, il controllo si estrinseca in un attività di guida svolta dai manager volta a
fare in modo che le risorse aziendali siano acquisite ed impiegate secondo gli obiettivi prestabiliti nel
piano strategico. La verifica si attua mediante il meccanismo della retroazione o feed-back e si avvale
del cosi detto sistema informativo aziendale. Gli obiettivi il cui raggiungimento entra in gioco nel
controllo di gestione, sono obiettivi di natura economica la verifica del loro raggiungimento si
fonda esclusivamente su parametri di tipo economico. In tal senso diventa rilevante il sistema di dati
quantitativo-monetario che forma la cosiddetta contabilità direzionale.
L’efficacia e l’efficienza sono le modalità che devono caratterizzare le varie attività oggettive del
controllo e che devono essere verificare, in quanto costituiscono la fondamentale condizione per il
conseguimento degli obiettivi economici prestabiliti. Si parla di efficacia per esprimere il grado con
cui gli obiettivi prestabilì vengono raggiunti, e di efficienza con riguardo al rapporto tra risorse
impiegate e risultati ottenuti.
40
Gli output cioè i risultati che scaturiscono dall’utilizzo del sistema di controllo sono: l’efficienza/
efficacia direzionale, la motivazione , il morale.
Risulta evidente che il sistema di programmazione e controllo ha eletto sulla qualità del lavoro
manageriale: esso, infatti, influenza positivamente la capacità di guidare e governare razionalmente
e consapevolmente l’azienda (efficacia/efficienza). Influenzano, inoltre, anche la motivazione dei
membri dell’organizzazione, intesa come la determinante interna che spinge un individuo a svolgere
una certa azione. Il morale, o clima organizzativo costituisce il terzo risultato del sistema di
programmazione e controllo; detto sistema può procurare nell’organizzazione, situazioni di clima
diverse che vanno dalla pressione alla soddisfazione nel lavoro. La motivazione ed il morale dei
componenti dell’organizzazione aziendale non dipendono esclusivamente dai processi di
programmazione e controllo, sebbene questo meccanismo operativo ne possa costituire un
fondamentale elemento di rinforzo.
I tre output i influenzano vicendevolmente; essi sono elementi che incidono sul comportamento
organizzativo, che rappresenta l’oggetto fondamentale del controllo.
I risultati ottenuti in termini di efficienza/efficacia direzionale, motivazione e morale
diventano input del sistema grazie al meccanismo di feedback (retroazione).
Il modello del sistema di programmazione e controllo ha una valenza quale strumento interpretativo
e valutativo oltre che strumento descrittivo. Esso, permette di analizzare un sistema di controllo di
gestione al fine di individuare le aree, o i fattori, di incongruenza sui quali è necessario effettuare
interventi.
Il processo di programmazione e di controllo della gestione si esercita non solo sull’azienda nel suo
complesso, ma anche e sopratutto sulle singole parti in cui è suddivisa, cioè sulle unità organizzative
tra le quali è ripartito e coordinato il lavoro gestionale ai vari livelli della gerarchia.
La struttura organizzativa dell’impresa è costituita da un insieme coordinato di ambiti di autorità,
che sono stati assegnati ai vari organi componenti, assieme alle correlative responsabilità.
L’elemento fondamentale da tenere in considerazione, nella progettazione della struttura
organizzativa del controllo di gestione, è la coerenza fra i compiti dei singoli responsabili e la
responsabilità economica che viene loro assegnata. L’approccio che seguiremo sarà quello di
esaminare distintamente la responsabilità economica individuale e il criterio in base al quale
accertare la congruenza della strutta organizzativa del controllo con l’azienda e l’ambiente (teoria
della continenza).
I tipi di responsabilità economica assegnabili ad una unità organizzativa, corrispondente ad una
porzione dell’azienda, che definiremo centro di responsabilità, possono essere i seguenti :
- Responsabilità di centro di spesa;
- Responsabilità di centro di costo;
- Responsabilità di centro di ricavo;
- Responsabilità di centro di profitto;
- Responsabilità di centro di investimento;
Ciascun centro di responsabilità si caratterizza per l’attività che svolge, per i risultati richiesti, quelli
ottenuti e per le risorse impiegate. In termini economici, i risultati di ciascun centro di responsabilità
possono dare origine : a ricavi e/o costi.
Il centro di spesa è caratterizzato principalmente dall’impossibilità di quantificare in termini
monetari i risultati conseguiti, e per, conseguenza, impossibilità di definire e misurare in modo
oggettivo la relazione tra le risorse impiegate e i risultati conseguiti (es. centri che svolgono attività di
servizio: amministrazione, personale, ricerca).
La responsabilità in termini economici ricadente sui capi di detti centri si concretizza, quindi,
nell’assegnazione di un limite di spesa, entro quale il manager responsabile deve operare(leva
limitata). In altri termini, l’assegnazione di responsabilità di spesa significa stimolare in termini di
professionalità, cioè della capacità di produrre idee affinché l’impresa si sviluppi.
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Per i centri di costi, invece, è necessario partire da una considerazione: ogni unità organizzativa,
in quanto impiega risorse, influenza con il proprio operato il sostenimento di certi costi. Pertanto
qualunque unità può essere definita un centro di costo in senso ampio. In senso stretto, però, si
possono definire centri di costi le aree di responsabilità in grado di influenzare in via diretta ed
immediata solo i costi.
In tali centri, i risultati finali possono esprimersi in termini di costi-obiettivo, o standard, cioè i costi
che si sarebbero dovuti sostenere per il volume di beni prodotti. Nel centro di costo vi è la possibilità
di prestabilire: un coefficiente di impiego, per ciascuno dei fattori produttivi che occorre utilizzare
per ottenere una unità di prodotto; nonché un prezzo unitario prefissato a ciascuno dei detti fattori
produttivi impiegati.
Il prodotto di queste due unità fornisce il costo unitario obiettivo, o standard, da
moltiplicare per i volumi prodotti al fine di ottenere una misura, a costo, dei risultati
del centro. La responsabilità dell’operatore è di rendere minimo lo scostamento tra
costi standard e costi effettivi ——> EFFICIENZA.
Per circoscrivere in modo corretto ed analitico l’effettivo ambito di responsabilità dell’operatore del
centro di costo, occorre stabilire: - quali voci di costo risultano effettivamente influenzabili del
responsabile del centro; - quali componenti di tali voci influenzabili sono effettivamente sotto il
controllo del responsabile di centro.
Circa il primo punto, occorre effettuare una accurata analisi organizzativa e non solo contabile. Tale
analisi organizzativa porta di regola ad escludere dai costi cosiddetti controllabili: - i costi comuni a
più centri;- certi costi specifici di centro. I restanti costi attribuibili ad un centro si definiscono
controllabili quando sono influenzabili in modo diretto ed in misura significativa dal responsabile del
centro.
Il criterio della significatività si comprende meglio passando al secondo punto. In altre parole, per
ogni voce di costo controllabile si devono individuare le effettive leve d’intervento dei responsabili.
Le leve di intervento a disposizione del responsabile si identificano nei fattori determinanti i costi, i
coefficienti unitari di impiego dei fattori produttivi per unità di prodotto, il volume di produzione.
Siccome il volume di produzione da effettuare e i prezzi di acquisto vengono controllati da centri di
responsabilità di livello gerarchico superiore, le leve di intervento, di fatto possono ridursi ad una
sola : il coefficiente di impiego dei vari fattori produttivi.
Fra le responsabilità dell’operatore, particolare rilievo può anche essere assegnato all’efficienza
nell’impiego del capitale. L’importanza della delimitazione della responsabilità effettiva
dell’operatore capo di ciascun centro ai soli costi da lui controllabili, manifesta la sua importanza
sopratutto in fase di reporting, cioè al momento di confronto tra i risultati attesi con quelli effettivi, al
dine di realizzare gli scostamenti.
Anche nel centro di ricavo i risultati vengono espressi monetariamente, ma a differenza di quello
di costo, questi sono determinati dai beni e servizi ceduti a terzi, valorizzati a prezzo di vendita.
Il ricavo diventa l’obiettivo da perseguire e caratterizza la responsabilità assegnata a questo centro.
Si tratta di centri dell’area commerciale, che sostengono anche costi relativi al funzionamento
dell’unità stessa. Per la prevalenza della responsabilizzazione sul livello dei ricavi rispetto a quella sui
costi, detti centri sono definiti centri di ricavo.
Il principio base è ancora il seguente: un corretto controllo esige una chiara individuazione delle leve
di intervento nelle mani del responsabile del centro.
L’analisi delle grandezze controllabili in questi centri va cosi articolata: per quanto riguarda le
principali componenti dei ricavi di vendita sono le seguenti:
- Il volume di vendita;
- Il prezzo di vendita;
- Il mix dei prodotti;
Anche nel caso di questo tipo di centri di responsabilità v è una realtà abbastanza complessa sul
piano dev’effettiva responsabilità economica dell’unità organizzativa. La misura in cui il
responsabile di un centro di vendita può influenzare le suddette variabili dipende dal disegno
organizzativo dell’impresa e dai poteri decisionali di cui egli dispone. Spesso nella pratica aziendale
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il prezzo e il mix sono già decisi ai livelli organizzativi superiori. Le leve a disposizione del
responsabile si riducono ad una sola: il volume di vendita, variabile sulla quale egli deve intervenire
impiegando gli strumenti di marketing e le risorse che egli controlla nel rispetto dei vincoli posti
dalla direzione.
Per quando concerne i costi controllabili, nei centri di vendita si tratta di costi prevalentemente
discrezionali: si pensi alle spese di pubblicità o spese per imballaggi.
Dalla professionalità dei centri di spesa, dall’efficienza dei centri di costo, si passa per i rapiti di
vendita, ad una responsabilità di efficacia parziale, in quanto si persegue soltanto l’obiettivo del
ricavo e non del profitto.
Il centro del profitto racchiude in sé le responsabilità che erano considerate distintamente. Il
responsabile è tenuto a realizzare la migliore combinazione possibile tra costi e ricavi, agendo sulle
connesse leve di intervento. L’obiettivo perseguito è di rendere massimo il profitto che costituisce il
tipico parametro di efficacia e di efficienza dal punto di vista economico. La responsabilità di
profitto nella realtà assume varie connotazioni, in relazione alla concreta manovrabilità dei costi e
dei ricavi, da parte del responsabile della sezione; si può parlate di responsabilità di profitto quando
vi sia una effettiva possibilità di intervento sulle variabili chiave del profitto: prezzi di acquisto delle
risorse, prezzi di vendita dei prodotti, volumi, mix ed efficienza .
Il centro di investimento: il responsabile è tenuto , non solo a produrre il reddito, ma anche a
rispettare un certo volume di capitale investito in crediti, scorte e impianti. L’indice che sintetizza
queste due quantità economiche è il ROI , cioè il tasso di redditività del capitale investito. Il centro
di investimento, non rappresenta ancora il massimo della responsabilità economica delebile ad una
sezione dell’impresa: il responsabile possiede tutte le leve di intervento eccetto quelle relative alla
raccolta al capitale. Quando si delega, anche questa leva, la responsabilità della sezione diventa
completa ed il suo paramento oche la sintetizza è la redditività del capitale netto, ROE, cioè il tasso
di rendimento del capitale proprio. In tal caso si parla di responsabilità d’impresa.
Per analizzare la struttura organizzativa del sistema di controllo è utile considerare le variabili che
interagiscono con la struttura. Fra queste, le variabili costituite da fattori organizzativi, risultano
fondamentali. Il criterio che deve guidare la valutazione è quello della coerenza tra detta struttura
organizzativa del controllo e le altre variabili del sistema.
Il giudizio sulla coerenza fra struttura organizzativa del controllo di gestione e le altre variabili del
sistema, può articolarsi su 4 diverse dimensioni attraverso le quali detta coerenza deve essere
osservata:
- Profondità;
- Orientamento;
- Integrazione;
- Rilevanza;
Il primo aspetto riguarda la profondità del sistema: tramite questa dimensione si accerta fino a che
livello della scala gerarchica si spinge verso il basso il controllo di gestione, al fine di trarre un
giudizio sulla coerenza con il grado di decentramento dell’autorità attuata dall’impresa. La
definizione del grado di decentramento costituisce una modalità essenziale per governare
l’organizzazione. Il controllo di gestione interviene come supporto e completamento del processo di
delega.
Con riguardo al grado di decentramento, si fa riferimento a due ipotesi estreme:
1. La struttura organizzativa accentrata;
2. La struttura decentrata;
La prima è specifica di aziende di dimensione non grande e concentrate dal punto di vista della
localizzazione, operanti in settori con condizioni tecnologiche ed ambientali stabili. In questa
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eventualità, il controllo di gestione si limita di fatto ad appoggiare esclusivamente l’attività dell’alta
direzione, o, può anche costituire un supporto nel processo di comunicazione con livelli inferiori. I
risultati del controllo di gestione, in ipotesi di struttura organizzativa accentrata, si avvertono
sopratutto in termini di accrescimento di efficienza/efficacia direzionale, determinato dal flusso
informativo per controllare l’andamento della gestione. Il morale e la motivazione vengono
influenzati, in questa prima ipotesi, dal controllo di gestione. Nelle strutture accentrate quindi
il controllo è essenzialmente interpersonale, cioè fondato sui rapporti personali che
intercorrono tra superiore e subordinato.
La seconda ha caratteristiche opposte: grande dimensione, dispersione geografica, instabilità
tecnologica e ambientale. Il decentramento può assumere diverse connotazioni, in relazione
all’ampiezza e alla qualità della delega. Il sistema di controllo di gestione rientra nel processo di
decentramento, quale completamento della delega. Questa prassi agisce sulla motivazione dei
responsabili con l’interiorizzazione di obiettivi economici e l’orientamento ai risultati, in quanto in
un istituto come quello aziendale, l’aspetto economico è condizione e vincolo di sopravvivenza e di
sviluppo. Come si può costatare, il giudizio sulla profonditi del controllo di gestione si traduce
sempre in un analisi di coerenza tra delega e controllo di
gestione.
La seconda dimensione di analisi si riferisce all’orientamento del sistema di controllo. Con detta
espressione si intende esprimere il criterio secondo cui viene distribuita la responsabilità economica
all’interno dell’organizzazione.
Il compito globale (task) dell’impresa viene suddiviso in un insieme di compiti parziali e questo
processo si sviluppa fino a pervenire all’individuazione dei compiti di ciascun individuo all’interno
dell’azienda. Diversi sono i criteri che si possono usare per questa ripartizione. Vi sono imprese che
adottano il criterio funzionale, cioè ripartiscono il task globale per funzioni; altre che ricorrono al
criterio geografico. La scelta del criterio è in funzione dell’ambiente e della natura del task globale
dell’impresa; la base per la scelta del criterio dominante è costituita da fattori critici di successo da
tenere sotto controllo nell’esecuzione del compito.
Si può parlare di orientamento del sistema di controllo, per indicare, i settori che devono essere
tenuti sotto osservazione con questo strumento: si ha cosi in alternativa un orientamento al progetto,
all’efficienza e alle aree geografiche.
Nel processo di suddivisione dei compiti e delle responsabilità, il controllo di gestione interviene
come elemento di rinforzo e di completamento dei task elementari: - è un elemento di rinforzo in
quanto precisa in termini economici il compito affidato all’unità organizzativa; - è pure un
completamento poiché stabilisce un livello di prestazione e ne consente la misura.
La terza dimensione di analisi si identica nell’integrazione: vale a dire nella capacità del sistema
di controllo di gestione di svolgere una integrazione tra le diverse unità operative esistenti
nell’organizzazione. Il legame, in questo caso, è tra controllo e divisione verticale del lavoro.
L’attribuzione delle responsabilità economiche alle unità organizzative dell’impresa svolge anche un
ruolo di integrazione, dal momento che con tele operazione si considerano e si focalizzano le
relazioni che avvengono tra le diverse unità.
In fase di progettazione di un sistema di controllo interessa tuttavia considerare sopratutto le
esigenze di integrazione che si intendono perseguire proprio con il sistema di controllo. È chiaro che
un impresa per conseguire i suoi obiettivi nell’ambiente in cui opera avverte anche bisogni di
integrazione che possono essere soddisfatti, da vari mezzi alternativi e complementari: dalla
struttura, gerarchia e meccanismi di integrazioni e agli stessi meccanismi operativi, fra i quali figura
il controllo di gestione.
Il quarto aspetto è quello della rilevanza specifica. Mentre con i primi tre si effettua una analisi
generale del ruolo del controllo nell’organizzazione, con quest’ultimo criterio della rilevanza ,
l’analisi si incentra specificamente sulle singole unità organizzative.
Questo criterio va, quindi, riferito ad una specifica unità organizzativa per la quale si voglia
progettare un sistema di controllo, o formulare un giudizio di coerenza tra responsabilità economica
ed effettive leve a disposizione. L’analisi di rilevanza è volta appunto a verificare, centro per centro,
questa coerenza tra responsabilità economica e leve disponibili. Questa analisi di rilevanza deve
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effettuarsi anche con riguardo agli altri tipi di responsabilità perché anche per i centri di costo e per i
centri di ricavo possono valere le medesime osservazioni.
Con l’espressione struttura tecnico-contabile del controllo di gestione, si vuole fare riferimento
all’insieme di strumenti contabili di misurazione economica degli obiettivi, delle prestazioni e dei
risultati che di fatto consentono lo svolgimento dei processi di controllo di gestione; si parla anche di
contabilità direzionale, come della parte del sistema informativo a valore, che fornisce gli
elementi necessari per esercitare il processo di controllo.
In particolare, con tali strumenti, si raccolgono e si elaborano dati quantitativo-monetari che sono
essenziali per il controllo di gestione.
In linea generale, la contabilità direzionale si compone dei seguenti sistemi:
- Contabilità generale e bilancio di esercizio;
- Contabilità analitica, o industriale, o dei costi;
- Sistema di budget e dei costi standard;
- Sistema di analisi degli scostamenti;
La contabilità generale è quell’insieme di rilevazioni finalizzate alla determinazione del reddito
netto di esercizio e del correlato capitale di funzionamento dell’azienda. Essa si completa e si
conclude con il bilancio di esercizio. Il bilancio è il punto di partenza per l’elaborazioni mediante le
quali si ha un idea precisa dello stato di salute dell’azienda, sotto il profilo economico e finanziario .
La contabilità generale, con il bilancio di esercizio e le analisi di bilancio è uno strumento di
controllo e di gestione che presenta le seguenti caratteristiche: - permette di rilevare i risultati
effettivi della gestione, da confrontare con i risultati attesi; - rileva risultati riferiti
all’azienda nella sua globalità. Tale contabilità da sola non è sufficiente al controllo di gestione.
La contabilità analitica è anch’essa un sistema di valori consuntivi, che a differenza dalla
contabilità generale che fornisce valori globali riferiti all’azienda nel suo insieme, essa compie
aggregazioni di valori per settori o per aree. La contabilità analitica è un sistema di
rilevazioni di carattere economico, con le quali imputano i costi effettivamente
sostenuti, alle singole parti in cui si è suddivisa la struttura aziendale ed i singoli
prodotti. Con questo sistema contabile, si perviene alla determinazione dei costi di prodotti, dei
costi di centro, dei ricavi e alla definizione di risultati parziali per settore, divisione o per gruppi di
prodotti.
I budget e I costi standard costituiscono un sistema di valori che assolve a due importanti
compiti: - fornire un supporto quantitativo-monetario al processo decisionale; - appontando
strumento di misurazione e di rappresentazione degli obiettivi economici, generali, globali, parziali
o particolari, da assegnare ai vari responsabili delle singole aree.
Il budget è quindi, un documento che evidenzia i risultati/obiettivo economico-
finanziari che l’azienda intende perseguire e raggiungere nel successivo esercizio. In
particolare, si tratta degli obietti economici assegnati ai diversi centri di responsabilità. Sulla base di
quanto esposto, può dirsi che il budget presenta i seguenti caratteri: - determina gli obiettivi di
gestione, da confrontare con i risultati effettivi; - riferisce tali obiettivi all’azienda nel suo insieme e
nelle sue singole parti. In assenza del budget, il controllo di gestione si trova di fatto privo degli
strumenti operativi con cui operare, quanto vengono a mancare gli obiettivi da raggiungere.
Il quarto sistema costituente la contabilità direzionale è quello relativo all’analisi delle variazioni cioè
all’analisi degli scostamenti tra valori-obiettivo e valori-consuntivi. Trattasi di un
insieme di variazioni elementari che mettono in evidenza le variabili influenti sui costi
di produzione e sui ricavi di vendita che derivano da un processo di scomposizione
fondato su una logica differenziale.
I quattro sistemi componenti la contabilità direzione si integrano ta loro : la contabilità generale
svolge un ruolo di raccolta di dati quantitativo-monetari di carattere consuntivo, che
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vengono elaborati nella contabilità analitica. Il sistema di budget accoglie dati preventivi,
sia per fornire un supporto informativo alle decisioni, sia per dare una misura agli
obiettivi economici. Il quarto sistema, infine, utilizza i dati monetari consuntivi e quelli
preventivi per calcolare degli scostamenti necessari per screditare i controlli.
6. IL SISTEMA DI REPORTING.
La fase della programmazione si traduce nel sistema dei budget e degli standard, mentre la fase del
controllo si fonda sui risultati della gestione, rappresentati attraverso un complesso di dati
quantitativo-monetari, derivante sempre dalla predetta contabilità direzione, che viene denominato
rapporto di gestione, o sistema di reporting.
Nella dimensione dinamica del processo di programmazione e controllo di gestione, mentre la
programmazione costituisce l’input del sistema di contabilità direzionale, il reporting ne rappresenta
la naturale sintesi, o output.
Il reporting contiene essenzialmente le informazioni riguardanti l’andamento
trascorso della gestione dell’impresa, rispetto agli obiettivi prestabilì e le tendenze
evolutive in atto. Gli elementi che concorrono a determinare la struttura del reporting sono:
- Il contenuto: ossia la natura ed il volume dei dati da inserire nel rapporto di gestione;
- L’articolazione: cioè la suddivisione in documenti elementari del rapporto di gestione in
relazione ai destinatari utilizzatori;
- La forma: ovvero le modalità di presentazione dei dati;
- La frequenza: cioè la periodicità con cui il rapporto di gestione e le sue parti devono essere
prodotte;
- La tempestività: ossia il periodo di tempo che intercorre tra l’accadimento dei fenomeni ed il
momento in cui i relativi dati sono disponibili per l’analisi;
Il contenuto del rapporto di gestione dipende dalla corretta applicazione di due principi:
1. Il principio della rilevanza : individuare soltanto i dati e le informazioni che servono per
conseguire gli specifici obiettivi che l’area di attività dell’azienda deve conseguire;
2. Il principio della selettività: fra queste informazioni, soltanto quelli effettivamente
significativi ed utili utili in relazione ai risultati finali;
7. IL PROCESSO DI CONTROLLO.
Scomposto nelle sue fasi essenziali il processo di controllo di gestione può essere cosi descritto:
I. Formulazione di obiettivi e programmi di breve periodo che: - indichino in anticipo ai
vari organi aziendali le azioni da intraprendere nel futuro immediato; - consentano di verificare
in anticipo se la gestione si svilupperà secondo le linee direttrici del piano strategico;
II. Verifica sistematica, mediante l’analisi degli scostamenti: - del grado di realizzazione
del programma medesimo e di raggiungimento dei suoi obietti; - dalla validità stessa del
programma di gestione;
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III. Individuazione di adeguati provvedimenti correttivi nel caso di disfunzioni
gestionali;
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La profondità del controllo se è poco pronunciata, se la delega di responsabilità non viene attuata
il controllo di gestione non può che essere essenzialmente uno strumento di gestione per l’alta
direzione;
Il sistema premiante, invece, deve considerare il controllo di gestione come strumento di
misurazione e di valutazione delle prestazioni dei manager, sul quale impostare la politica
retributiva, di avanzamento di carriera o di godimento di alcuni benefits. Il controllo di gestione in
questo caso si riduce così ad un complesso di informazioni utilizzato per gestire secondo un’ottica
più di sostegno che di base coordinata e strutturata su cui si innestano tutti i meccanismi operativi.
Ciò dipende dai valori presenti nell’organizzazione e nell’ambiente in cui quest’ultima è inserita e
con il quale è in relazione reciproca.
Lo stile di direzione rappresenta il tipo di comportamento della direzione nei confronti dei
collaboratori. È chiaro che il processo di controllo dipende dai comportamenti degli attori che vi
sono coinvolti, il dipendente, il quale a sua volta, dallo stile di leadership.
Si individuano, inoltre, tre diversi stili di direzione:
- Incentrato sul capo(totalitario);
- Incentrato sulle norme e procedure;
- Incentrato sulla programmazione e sul controllo di gestione;
Solo il terzo stile, però, consente di applicare il controllo di gestione come strumento anche
valutativo delle prestazioni.
L’utilizzazione del controllo come procedura valutativa dei manager si fonda su due assunti di base
fondamentali, il primo consiste nel considerare che esiste un messo di casualità tra i risultati di un
area di responsabilità e la prestazione del manager che ne è a capo. Il secondo, consiste nel
considerazione che, il confronto fra i dati quantitativo-monetari della contabilità analitica consuntiva
e quelli della stessa natura contenuti nel budget consentono di dare un carattere di oggettività alla
procedura di valutazione. Questi due assunti, in realtà, nascondono numerose insidie.
Gli obiettivi quantitativo-monetari presentano due gravi manchevolezze: in primo luogo, il dato
monetario non riesce compiutamente ad esprimere quanto bene un manager ha fatto il suo lavoro;
in secondo luogo, una singola misura monetaria riflette il risultato di un certo periodo di tempo,
ignorando gli effetti che le azioni attuali possono produrre sulla prestazione futura.
I budget monetari, inoltre, spesso si rilevano insoddisfacenti per misurare il comportamento dei
manager. La validità dei parametri monetari per valutare le prestazioni manageriali è in funzione di
tre fattori, se:
- È ridotto il grado di libertà d’azione del manager responsabile;
- È elevata la possibilità di controllo e risulta limitato il grado di incertezza delle variabili critiche in
incidono sulla prestazione del manager;
- È limitato il periodo di tempo massimo in cui il manager ha una certa discrezionalità prima di
essere valutato in termini economico-finanziari;
Dall’insieme di questi fattori appare evidente che il controllo risulta tanto più efficace come
strumento valutativo quanto più si scende lungo la piramide aziendale e quanto meno la prestazione
dipende da variabili esterne.
I dati quantitativo-monetari sono in grado di esprimere il livello di raggiungimento dell’obiettivo, ma
non sono in grado di fornire alcuna informazione sulle effettive modalità seguite, tanto più che per
valutare le prestazioni manageriali, al fine di cambiare i comportamenti, occorre sapere non solo e
non tanto se l’obiettivo è stato o meno raggiunto, ma anche e sopratutto il come esso sia stato
raggiunto.
Il problema non è quello di ricercare strumenti più corretti, ma quello di stabilire i modi di utilizzo
di questi strumenti che hanno la possibilità di incidere, attraverso, la motivazione ed il morale, sui
comportamenti futuri dei manager. La fase del controllo ha un grande effetto sulla sfera
motivazionale dei manager .
Infatti, il controllo (feedback), oltre a favorire un generale clima di fiducia reciproca a seguito del
completamento del processo informativo connesso con i budget, rinforza i comportamenti conformi
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agli obiettivi e penalizza quelli difformi. Il controllo incide sulla motivazione, sul livello di obietti
interni dei manager e questo ha grosse implicazioni nella definizione dei nuovi obiettivi di budget.
Il bilancio di esercizio, può essere oggetto di numerose elaborazioni, attraverso le quali si può
giungere ad avere una più precisa consapevolezza relativamente all’andamento economico della
gestione e a quello finanziario. Le analisi di bilancio che costituiscono il più classico strumento
del controllo direzionale si distinguono di norma in:
- Analisi di bilancio mediante indici segnaletici;
- Analisi di bilancio mediante flussi finanziari;
Lo sviluppo di entrambi i tipi di analisi implica opportune riclassificazioni dei valori in esso
contenuti, sia per quanto riguarda la situazione patrimoniale, che per il conto economico, secondo i
particolari criteri che variano in funzione degli scopi conoscitivi che vengono perseguiti.
Lo stato patrimoniale costituisce uno strumento fondamentale per le analisi sulla situazione
economica e finanziaria della gestione aziendale. Occorre che i suoi valori siano impostati secondo
un criterio di tipo finanziario; qualora ciò non si verifichi occorre procedere ad una riclassificazione
delle sue poste.
Sulla base del criterio di tipo finanziario i valori dell’attivo patrimoniale vengono
intesi come investimenti, cioè , come impieghi finanziari; quelli del passivo e del
capitale netto vengono intesi come le correlative fonti di finanziamento.
Lo stato patrimoniale quindi viene reinterpretato come un prospetto fonti/impieghi che dal lato
delle passività Elena le fonti alle quali sono state attinte le risorse finanziarie necessarie per la
gestione dell’azienda; e dal lato delle attività sono elencati gli impieghi cioè gli utilizzi che sono stati
dati a dette risorse finanziare. Per la riclassificazione dei valori dell’attivo acquista rilevanza la
nozione di durata del ciclo di reintegro finanziario di un investimento, si potranno pertanto
avere:
I. Impieghi a rapido ciclo di reintegro finanziario che verranno definiti come componente
del capitale circolante ( ritornano in forma liquida in un intervalli inferiore ad un anno);
II. Impieghi a lento ciclo di reintegro finanziario che verrano definiti come componente del
capitale fisso o delle immobilizzazioni (permangono immobilizzati per periodi temporali più
lunghi);
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degli investimenti in mezzi finanziari deve essere coordinato nei tempi e nelle quantità, ai tempi ed
alle qualità che derivano dagli obblighi di rimborso dei capitali dovuti a terze economie.
Acquista rilevanza fondamentale per la vita stessa della gestione la connessione tra i
tempi di reintegro finanziario degli investimenti e i tempi di rimborso dei
finanziamenti acquisiti. Per mettere in evidenza tale relazione, occorre riclassificare anche
il passivo patrimoniale in base alla maggiore o minore permanenza delle fonti stesse a
disposizione della gestione.
Si avranno in tal senso:
- Capitale proprio (mezzi finanziari disponibili senza obbligo di rimborso);
- Debiti a lungo termine (mezzi finanziari originati da mutui, accantonamenti, etc. Destinati ad
essere rimborsati);
- Debiti a breve termine (con scadenza ravvicinata);
La forma che il bilancio assume in seguito alla riclassificazione potrà sintetizzarsi come nello
schema:
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2. CONTENUTO DELLO STATO PATRIMONIALE, REDATTO SECONDO L’ART. 2424 DEL
CODICE CIVILE: LE ATTIVITÀ.
ATTIVITÀ
B) IMMOBILIZZAZIONI:
** ( Al netto delle rettifiche di valore —> fondo ammortamento, mondo svalutazione
crediti etc.) **
Si suddividono in 3 classi:
- B.I Immobilizzazioni immateriali;
- B.II Immobilizzazioni materiali;
- B.III Immobilizzazioni finanziarie;
—> B.I. Immobilizzazioni immateriali.
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—> B.III. Immobilizzazioni finanziarie.
3. ALTRI TITOLI: Vi rientrano tutti i titoli che non sono azioni, e che rappresentano un
investimento durevole per la società.
4. AZIONI PROPRIE: Le troviamo sia tra le immobilizzazioni finanziarie che tra l’attivo circolante,
il criterio discretivo è quello citato dall’art 2424-bis.
C) ATTIVO CIRCOLANTE:
C.II. - CREDITI: Si deve specificare se gli importi sono esigibili entro o oltre l’esercizio:
- Verso i clienti;
- Verso imprese controllate;
- Verso imprese collegate;
- Verso imprese controllanti;
- Crediti tributari ;
- Imposte anticipate;
- Verso altri;
L’ammontare dei crediti deve essere iscritto in bilancio al netto delle eventuali rettifiche di valore.
C.III. - ATTIVITÀ FINANZIARIE CHE NON COSTITUISCONO IMMOBILIZZAZIONI: Questa
voce racchiude i titoli destinati a costruire un impiego provvisorio di risorse finanziare e quindi ad
essere negoziati in tempi più brevi:
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- Partecipazione in imprese controllate;
- Partecipazione in imprese collegate;
- Partecipazione in imprese controllanti ;
- Azioni proprie, con indicazione del valore nominale complessivo;
- Altri titoli;
C.IV - DISPONIBILITÀ LIQUIDE: Questa voce racchiude valori già liquidi di cui l’impresa
dispone; si dividono in:
- Depositi bancari e postali;
- Assegni;
- Denaro e valori in cassa;
D) RATEI E RISCONTI.
Questa voce è formata da:
- Ratei attivi : sono quote di ricavo di competenza dell’esercizio di chiusura, originati da
operazioni gestionali che non hanno ancora avuto la loro manifestazione numeraria, in quanto
questa si verificherà nell’esercizio successivo.
- Risconti attivi: sono quote di costi di competenza dell’esercizio futuro, anche se l’operazione di
gestione è stata rilevata nel corso dell’esercizio in chiusura.
In diretta contropartita dei primi (ratei attivi) si registrano delle integrazioni di ricavi; mentre in
contropartita dei secondi (risconti attivi) si registrano delle rettifiche di costo.
- Risconti attivi pluriennali: sono normali risconti, solo che sono di competenza non solo
dell’esercizio successivo ma anche di due o più esercizi futuri;
- Disaggio su prestiti: perdita di emissione che si verifica al momento dell’emissione di prestiti
obbligazionari sotto la pari (prezzo di emissione< valore nominale, al momento del collocamento
del prestito obbligazionario); art 2426 c.c dice che il disagio va inserito nell’attivo ed
ammortizzato in ogni esercizio per tutta la durata del prestito.
PASSIVITÀ
I. CAPITALE;
II. RISERVA DA SOPRAPREZZO DELLE AZIONI;
III. RISERVA DI VALUTA;
IV. RISERVA LEGALE;
V. RISERVA PER AZIONI IN PORTAFOGLIO;
VI. RISERVE STATUTARIE;
VII. ALTRE RISERVE, DISTINTAMENTE INDICATE;
VIII. UTILI(PERDITE) PORTATI A NUOVO;
IX. UTILI (PEDITE) DELL’ESERCIZIO;
Il Capitale: valore nominale del capitale sociale della società sottoscritto dai soci.
La Riserva da sovrapprezzo azioni accoglie la differenza tra il prezzo di emissione e il valore
nominale delle azioni emesse in caso di aumento di capitale sociale sopra la pari.
Le Riserve di rivalutazione accoglie la somma algebrica dei plusvalori attribuibili ai componenti
patrimoniali sottoposti ad una procedura di rivalutazione monetaria (inflazione) oppure di
rivalutazione economica (derivanti da speciali ragioni);
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La Riserva legale è costituita da utili accantonati nella misura del 5% annuo (1ventesimo) finche
detta riserva non raggiunge la misura di 1/5 del capitale sociale (art. 2430 c.c.); serve per coprire
perdite d’esercizio;
La Riserva per azioni proprie in portafoglio è riserva indisponibile di importo pari al valore
delle azioni proprie costituita nel caso di acquisto di azioni proprie o della società controllata, creata
attraverso l’accantonamento di utili o da storno da riserva disponibile; si chiude quando non vi sono
più azioni proprie;
Le Riserve statutarie vengono costituite mediante l’accantonamento di utili, sulla base di specifici
obblighi previsti dello statuto speciale;
Le Altre riserve (distintamente indicate) contengono tutte le altre riserve eventualmente
presenti nel patrimonio netto della società. ( es. riserve facoltative, riserve per contributi etc.);
La voce Utile(perdite) portate a nuovo è costituita da utili eccedenti l’ammontare dei dividenti
distribuiti ai soci (avanzo utili) ed accantonamenti in riserva (riserva stabilizzazione dividendi),
ovvero le perdite in attesa di copertura contabile;
La voce Utile(perdite) dell’esercizio contiene il risultato, positivo o negativo, di competenza
dell’esercizio in chiusura (voce 23 del conto economico);
Il totale delle voci sopra enumerate costituisce il valore del netto patrimoniale, ossia della
differenza fra le attività e le passività patrimoniali dell’azienda.
I fondi sono, quindi accantonati allo scopo di coprire determinati rischi e determinati oneri futuri.
I Fondi per trattamento di quiescenza e obblighi simili riguardano di norma fondi di
pensione personale, interni alla società, sostitutivi o integrativi, rispetto al trattamento previdenziale
INPS.
I Fondi per imposte (anche differite) contengono accantonamenti per debiti fiscali solo
probabili o ancora indeterminati, come, ad esempio, imposte relative a probabili accertamenti.
Caratteristiche fra gli altri fondi per rischi ed oneri sono:
- Fondi rischi su cambi nel quale vengono a predisporsi degli accantonamenti a fronte
dell’eventualità di differenze negative fra utili su cambi e perdite su cambi;
- Fondi generici di autoassicurazione, per rischi (es. incendi, furti) autoassicurati e non assicurati
presso terzi;
- I fondi rischi per controversie legali in corso;
- Fondi manutenzione ciclica;
C) TRATTAMENTO DI FINE RAPPORTO (T.F.R.)
In questa voce va indicato l’importo del T.F.R. calcolato secondo l’art. 2120 c.c. al netto di eventuali
acconti erogati; è un fondo spese future che evidenzia un debito a lungo termine a scadenza
indeterminata in base al rapporto di lavoro con i dipendenti.
D) DEBITI, (con separata indicazione, per ciascuna voce, degli importi esigibili oltre
l’esercizio successivo) è cosi articolata:
1. Obbligazioni;
2. Obbligazioni convertibili;
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3. Debiti v/soci per finanziamenti;
4. Debiti v/banche;
5. Debiti v/altri finanziatori;
6. Acconti;
7. Debiti v/fornitori;
8. Debiti rappresentati da titolo di crediti;
9. Debiti v/ imprese controllate;
10. Debiti v/imprese collegate;
11. Debiti v/controllanti;
12. Debiti tributari;
13. Debiti v/istituiti di previdenza e di sicurezza;
14. Altri debiti;
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Cosi come la corrispondente voce (D) nell’attivo dello stato patrimoniale, questa posta non è
articolata esplicitamente; il suo contenuto, comunque, può essere costituito da ratei passivi, risconti
passivi, aggio su prestiti e risconti pluriennali.
I Ratei passivi sono quote di costi di competenza dell’esercizio in chiusura, originati da operazioni
gestionali che non hanno ancora avuto la loro manifestazione numeraria, in quanto questa si
verificherà nell’esercizio successivo;
I Risconti passivi sono quote di ricavi di competenza dell’esercizio futuro, originati da operazioni
gestionali che hanno avuto la loro manifestazione numeraria nell’esercizio in chiusura;
I Risconti passivi pluriennali si determinano quanto l’operazione di gestione ha avuto la sua
manifestazione numeraria nell’esercizio in chiusura, ma quote del ricavo sono di competenza non
solo del successivo esercizio, ma anche di due o più esercizi futuri;
Tipico esempio di risconto passivo pluriennale è costituito dall’agio su prestiti che si verifica in
occasione dell’emissione di prestiti obbligazionari sopra la pari.
Occorre adesso applicare i criteri generali di riclassificazione allo schema previsto dell’art. 2424 c.c.,
al fine di verificare se esso sia direttamente idoneo ad essere utilizzato per le analisi di bilancio,
ovvero debba essere sottoposto ad ulteriori elaborazioni.
Si tratta, in altri termini di confrontare la coerenza fra lo schema di stato patrimoniale previsto del
codice civile, rispettivamente nella sua struttura sintetica e in quella analitica , quello di stato
patrimoniale riclassificato sulla base di criteri finanziari.
La prima voce dell’ATTIVO dello stato patrimoniale secondo lo schema del codice civile è costituita
da:
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- A lungo ciclo di reintegro finanziario, se invece, si riferisce a forniture di beni ad utilizzazione
ripetuta;
In ambito di riclassificazione finanziaria dei valori, nel primo caso, l’anticipo a forniture deve
inserirsi fra le componenti del capitale circolante, nel secondo caso, fra le componenti delle
immobilizzazioni.
- I crediti esigibili entro l’esercizio successivo , sia di finanziamento o di funzionamento, sia, cioè,
che si trovino originariamente fra le immobilizzazioni, o nell’attivo circolante, vanno all’interno
del capitale circolante al punto 2.2. dello schema dello stato patrimoniale riclassificato;
- I crediti esigibili oltre l’esercizio successivo, sia che siano di finanziamento o di funzionamento,
sia, cioè, che si trovino originariamente fra le immobilizzazioni o nell’attivo circolante, vanno
all’interno delle immobilizzazioni finanziare, al punto 1.3. dello schema dello stato patrimoniale
riclassificato.
Passando all’ATTIVO CIRCOLANTE , il primo gruppo di voci è quello costituito dalle
RIMANENZE.
Dal punto di vista finanziario, le rimanenze si configurano di norma come attività a rapido ciclo di
reintegro e, quindi, come classiche componenti del capitale circolante. Fra queste, tuttavia,
costituiscono spesso la componenti meno liquida, o comunque, più incerta quanto al suo valore di
bilancio. Una eccezione a questo esposto potrebbe configurarsi nel caso dei lavori in corso su
ordinazione (voce C.13) relativi a prestazioni indivisibili (in base alla commessa completata).
In questo caso, qualora il contratto avesse una durata pluriennale e non fossero previsti dei
corrispettivi intermedi da liquidare a titolo definitivo, la rimanenza costituita dalle opere realizzate e
non ancora consegnate al committente , o la parte di forniture eseguite e non ancora ultimate, non
potrebbe considerarsi a rapido ciclo di reintegro finanziario e, pertanto, andrebbe collocata fra le
immobilizzazioni.
Anche per (la voce C.I. 5) ACCONTI , può ripetersi quanto detto per i lavori in corso su
ordinazione.
Per quanto riguarda (la voce C.III.) CREDITI è opportuno richiamare quanto già detto a proposito
della natura e della scadenza.
Una ulteriore annotazione deve farsi in merito ai crediti verso imprese controllate, collegate,
controllanti; occorre tener conto del fatto che, per queste voci, potranno configurarsi delle situazioni
in cui la scadenza fissata negli atti abbia un valore meramente formale e differente da quello
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sostanziale, occorre, dunque, in sede di analisi economiche finanziarie tenere conto delle scadenze
effettivamente previste e non di quelle formali (principio della prevalenza della sostanza sulla forma).
Sulla riclassificazione delle attività finanziarie che non costituiscono immobilizzazioni (C.III) e delle
disponibilità liquide (C.IV), non occorre far nulla.
I RISCONTI PLURIENNALI e il DISAGGIO SU PRESTITI, comportano alcune importanti
conseguenze in ordine alla riclassificazione finanziarie del bilancio ai fini della sua analisi: mentre, i
ratei e risconti attivi possono senz’altro trovare allocazione all’interno del capitale circolante quali
componenti a rapido ciclo di reintegro finanziario, non altrettanto può dirsi per i risconti pluriennali
e per il disaggio su prestiti, il cui ciclo finanziario è necessariamente più lungo. Dette componenti
vanno, quindi collocate fra le immobilizzazioni immateriali (voce 1.2. dello schema di S.P.
riclassificato).
Per quanto riguarda il PASSIVO della situazione patrimoniale , il PATRIMONIO NETTO
contrassegnato con la lettera A nello schema di bilancio civilistico, va a riclassificarsi nella
corrispondente voce (punto 3.1) dello schema di riclassificazione.
Dal punto di vista finanziario esso costituisce una delle tipiche componenti dei capitali permanenti,
ossia di quella parte di fonti finanziarie disponibili da parte dell’azienda per periodi temporali di
durata lunga o indefinita.
La successiva classe di voci è costituita dai FONDI PER RISCHI ED ONERI (B).
Dal punto di vista finanziario, gli esborsi relativi ai fondi rischi e oneri possono essere previsti tempi
brevi (entro 12 mesi) e/o in tempi medio-lunghi (oltre 12 mesi); in sede di riclassificazione del
bilancio, detti fondi dovrebbero essere distinti in due quote, da includere, rispettivamente, fra le
passività consolidate.
Tale distinzione in quote non è agevole e risulta estremamente incerte; in tali situazioni, qualora non
si disponga di alcuna informazione extra-bilancio, converrà classificare ciascun fondo fra le passività
correnti, o fra quelle consolidate, secondo che si presuma che il rischio o l’onere corrispondente si
manifesti entro un anno, o oltre tale periodo.
Il FONDO TFR (C) , dal punto di vista finanziario, si configura come un debito a lungo termine ed
è, pertanto, da collocarsi al punto 3.2. dello schema di stato patrimoniale riclassificato.
La successiva classe di valori del passivo è costituito dai DEBITI (D).
Per quanto riguarda queste poste, il codice prescrive la separata indicazione, per ciascuna voce, degli
importi esigibili oltre l’esercizio , consentendo, per conseguenza, l’individuazione anche degli
importi che scaturiscono entro l’esercizio.
In sede di analisi finanziaria del bilancio, potrà essere agevole separare, in prima approssimazione, i
debiti a medio-lungo termine, da quello a breve termine.
Annotazioni particolari possono farsi in merito dei debiti verso controllate, collegate, controllanti;
talvolta debiti formalmente a breve scadenza vengono dilazionati in tempi più lunghi, se di queste
circostanze si rilevano dei sicuri indizi se ne dovrà tenere conto in sede di riclassificazione
finanziaria, considerando detti debiti, in tutto o in parte, come componenti delle passività
consolidate.
In sede di riclassificazione del bilancio, mentre i ratei e risconti passivi possono essere allocati fra
i debiti a breve termine (o passività correnti), non altrettanto sarà corretto per i risconti passivi
pluriennali; questi costituiscono fonti finanziare permanentemente disponibili per la gestione e ,
pertanto , vanno riclassificati all’interno del capitale netto, in una apposita voce del gruppo 3.1. dello
stato patrimoniale riclassificato.
SCHEMI PAGINA 361-362-363-364.
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1.LA RICLASSIFICAZIONE DEI VALORI DEL CONTO ECONOMICO AI FINI DELLE
INDAGINI REDDITUALI SULLA GESTIONE.
L’obiettivo principale che si pone nel riclassificare un conto economico al fine di sottoporlo ad una
analisi reddituale è quello di esaminare la progressiva formazione del reddito netto globale
attraverso il raffronto fra componenti positivi e negativi relativi a specifici aree in cui la gestione
globale può essere scomposta.
La conoscenza del reddito netto globale, che scaturisce dalla contrapposizione fra tutte le
componenti negativa e positive di competenza del periodo, da sola, non sufficiente per trarre giudizi
fondati sulla economicità della gestione e sulla durabilità dell’imprese nel tempo.
Per analizzare efficacemente la situazione economica dell’impresa e le prospettive, occorre
scomporre la gestione globale, individuando il contributo (negativo o positivo) di ciascuna area.
Le aree della gestione si identificano in rapporto a sub-sistemi relativamente autonomi di
operazioni omogenee, che possono fare riferimento:
A. Alla gestione tipica, o caratteristica, o operativa;
B. Alle gestioni atipiche, o accessorie;
C. Alla gestione finanziaria;
D. Alla gestione straordinaria;
E. All’area fiscale, o tributaria;
La gestione tipica, o caratteristica, o operativa in relazione alla quale si individuano costi e ricavi
operativi, comprende le operazioni di esercizio volte alla realizzazione degli obiettivi di gestione
connessi con l’oggetto che caratterizza l’attività economica svolta dall’impresa.
La gestione atipiche, o accessorie, sono costituite da operazioni che esulano dal caratteristico
oggetto dell’attività aziendale, e che costituiscono, invece, attività collaterali.
La gestione finanziaria, attiene alle operazioni di finanziamento e di gestione della liquidità
aziendale, comporta oneri finanziari connessi con l’indebitamento e proventi ed oneri connessi con
la gestione della liquidità.
La gestione straordinaria, è costituito da operazioni non ricorrenti, che determinano costi e/o
ricavi proventi, straordinari.
L’area tributaria, attiene al prelievo delle imposte sul reddito.
Questo esposto più sintetizzarsi nella seguente espressione: Rn=Ro+Ra+Rs-Of-I
Nella quale:
Rn: reddito netto globale;
Ro: reddito operativo;
Ra: reddito atipico;
Rs: reddito straordinario;
Of: oneri finanziari;
I: imposte sul reddito;
Un’azienda può considerarsi dotata di solidità economica quando l’utile netto di esercizio deriva in
massima parte da un risultato positivo ottenuto nell’ambito della gestione tipica o caratteristica.
La scomposizione del reddito netto globale nei vari risultati parziali riferite alle diverse aree di
gestione, consente, di individuare e misure con termini economici il contributo positivo o negativo di
ciascuna di esse al risultato generale.
Se, ad esempio, il risultato netto globale fosse negativo , detta analisi consentirebbe di
rilevar:
- Se la perdita si verifica già a livello operativo: questa è l’ipotesi più grave, in quanto
manifesta l’incapacità dell’azienda di svolgere in maniera economica l’oggetto caratterizzante la
propria attività caratteristica;
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- Se la perdita si verifica, a livello di gestioni atipiche o accessorie: situazione questa più
rara e meno grave della perdita a livello operativo , in quanto risolvibile in maniera relativamente
facile, anche attraverso l’eliminazione, data la loro accessorietà, delle attività atipiche non
remunerative;
- Ovvero se essa deriva dalla gestione finanziaria: gli oneri finanziari netti superano i
margini, più o meno esigui, derivanti dalla gestione tipica e dalla eventuale gestione atipica;
situazione questa assai frequente, che denota di norma, una disfunzione a livello di struttura
finanziari dell’azienda (es. indebitamento eccessivo, o troppo oneroso, ecc.);
- Se infine la perdita deriva da fatti di operazioni straordinarie: che data la loro non
ricorrenza, non si presume si ripeteranno negli esercizi futuri.
Premessa fondamentale per l’analisi reddituale del conto economico è la sua riclassificazione, al fine
di individuare le aree gestionali e di evidenziare i loro rispettivi risultati parziali.
Gli schemi di riclassificazione più in uso sono:
- Quello c.d. a ricavi e costo del venduto (destinazione);
- Quello c.d. a ricavi e costi della produzione del periodo (natura);
STRUTTA SINTETICA DI C/E A RICAVI E COSTO DEL VENDUTO (costi riclassificati per
destinazione)
1) RICAVI DI VENDITA
2) Rimanere iniziale di materie prime, semilavorati e prodotti finiti
3) Acquisti di materie prime
4) Retribuzioni industriali, oneri relativa a accantonamento T.F.R.
5) Costi industriali per lavori, forniture e servizi vari
6) Ammortamenti industriali
7) Altri costi industriali
8) Produzione interne capitalizzate
9) Rimanenze finali di materie prime, semilavorati e prodotti finiti
10) Costo industriale del venduto (2+3+4+5+6+7+8-9)
11) RISULTATO LORDO INDUSTRIALE (1-10)
12) Costi commerciali
13) Costi amministrativi
14) RISULTATO OPERATIVO (11-12-13)
15) Saldo proventi e oneri atipici
16) Saldo proventi e oneri finanziari
17) Saldo proventi e oneri straordinari
18) RISULTATO ANTE IMPOSTE (14+15+16+17)
19) Oneri tributari
20) RISULTATO NETTO (18-19)
1. PRODUZIONE COMPLESSIVA:
1) ricavi netti di vendita
2) variazione delle rimanenze di semilavorati e prodotti finiti
3) produzione interne capitalizzate
4) altri proventi tipici
Totale produzione complessiva (1+2+3+4)
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2) variazione delle rimanenze di materie prime
Consumi di materie prime (2.1+2.2)
3) retribuzioni, oneri e accantonamenti T.F.R.
4) costi per lavori, forniture e servizi vari
5) ammortamenti
6) altri oneri tipici
Totale costo complessivi della produzione (1+2+3+4+5+6)
Come risulta dall’esame delle due strutture di C/E , in entrambe si perviene alla determinazione del
risultato netto di esercizi attraverso la progressiva accumulazione di componenti, raggruppati in
modo da consentire la misurazione del contributo (positivo o negativo) di ciascuna area (operativa,
atipica, finanziaria, straordinaria, tributaria) alla redditività complessiva dell’azienda.
Le differenze, riguardano i criteri adottati nella formulazione dei diversi raggruppamenti di poste,
essenzialmente per quanto riguarda la determinazione del risultato operativo.
Nel primo schema, tale risultato è ottenuto per differenza fra ricavi netti di vendita ed i costi
corrispondenti classificati per destinazione (costi industriali, costi commerciali, costi amministrativi);
nel secondo schema, invece, lo stesso risultato è ottenuto per differenza fra il valore della produzione
complessiva ed i costi corrispondenti classificati per natura.
La riclassificazione dei costi secondo il criterio della destinazione può realizzarsi soltanto in presenta
di una contabilità analitica; in assenza di quest’ultima sorgono evidenti difficoltà, ad esempio, in
relazione ai costi per il personale, agli ammortamenti e ad altri costi analoghi, che occorre ripartire
fra le varie classi di costi (industriali, commerciali, amministrativi).
In caso riclassificazione dei costi secondo il criterio della natura ,da questo punto di vista, le
incertezze e le difficoltà di riclassificazione sono più limitate. Di questo secondo tipo è il C/E
previsto dall’art. 2425 del c.c.
Non è possibile riclassificare consapevolmente e correttamente i valori del conto economico al fine di
sottoposti ad una analisi reddituale, senza una approfondita conoscenza delle voci da riclassificare,
della loro natura e del loro contenuto. Lo SCHEMA NUMERO 8 pagina 373 rappresenta la
struttura sintetica dello schema di contro economico previsto dall’art 2425 c.c.; lo SCHEMA
NUMERO 8-bis pagina 373-374 presenta il medesimo schema in forma analitica.
La prima classe di valori del conto economico è costituita dal valore della produzione A, detta
classe di valori è costituita dalle seguenti voci:
1. Ricavi delle vendite e delle prestazioni;
2. Variazioni delle rimanenze di prodotti in corso di lavorazione, semilavorati e finiti;
3. Variazione dei lavori in corso su ordinazione;
4. Incrementi di immobilizzazioni per lavori interni;
5. Altri ricavi e proventi, con separata indicazione dei contributi in conto esercizio;
Totale.
La prima voce raccoglie i proventi relativi alla cessione dei prodotti, ovvero alla prestazione dei
servici, la cui produzione costituisce l’attività tipica dell’azienda. La seconda voce manifestando le
variazioni scaturisce dalla differenza fra il valore iniziale e quello finale delle stessa, tale valore è il
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risultato della differenza tra il valore delle rimanenze finali di prodotto in corso di lavorazione,
semilavorati e finiti, e il valore delle rimanenze iniziale dei medesimi beni. Tale variazione potrà
risultare positiva se il valore delle rimanenze finali supera quello delle rimanenze iniziali; negati al
caso opposto, il valore delle rimanenze finali di prodotti in corso di lavorazione e semilavorati
corrisponde a quello della voce C.I.2 dell’attivo dello stato patrimoniale; quello, invece dei prodotti
finiti, costituisce parte della voce C.I.4. nell’attivo dello stato patrimoniale . Considerazioni simili si
possono fare per la terza voce. Alla quarta voce è costituito dall’insieme deo costi sostenuti per
l’acquisto dei fattori produttivi utilizzati per la produzione interna di cespiti patrimoniali , si tratta
della capitalizzazione di costi di mano d’opera, materiali servizi e cosi via, relativi alla produzione in
economica di immobilizzazioni materiali e immateriali. La voce 5 è destinata a contenere i proventi
derivanti dalla cosiddetta gestione atipica escludendo quindi quelli derivanti dalla gestione tipica e
straordinaria. Tale voce, inoltre, fa riferimento alla separata indicazione dei contributi in conto
esercizio. Questi ultimo sono contributi finalizzati alla copertura di determinati costi di gestione. Il
totale, dato dalla somma delle 5 voci, costituisce il valore della produzione effettuata dall’azienda
nel corso dell’esercizio.
La seconda classe di voci dello schema di conto economico è costituita dai costi di produzione B
cosi articolati:
6. Per materie prime, sussidiarie, di consumo e di merci;
7. Per servizi;
8. Per godimento di beni di terzi;
9. Per il personale;
10. Ammortamenti e svalutazioni;
11. Variazioni delle rimanenze di materie prime, sussidiarie, di consumo e merci;
12. Accantonamenti per rischi;
13. Altri accantonamenti;
14. Oneri diversi gestione;
Totale
La voce 6 raccoglie l’ammontare degli acquisti di beni effettuati dall’azienda nell’esercizio
considerato. Tali acquisti non si riferiscono solo all’attività di produzione, ma all’intera attività
aziendale. La voce 7 fa riferimento a servizi legai alla lavorazione industriale dei prodotti, alla
commercializzazione e altri tipi di servizi. La voce 8 contiene essenzialmente canoni relativi a fitti
passivi e a lesina. La voce 9 si collocano i costi per il personale: -salari e stipendi; - oneri sociali; -
TFR; -altri costi. La voce 10 contiene ammortamenti delle immobilizzazioni immateriali e
materiali, altre svalutazione delle immobilizzazioni e svalutazione dei crediti compresi nell’attivo
circolante nelle disponibilità liquide. Il contenuto della voce 11 deriva dalla differenza fra le
rimanenze finali e quelle iniziali delle categorie di beni contenute alla voce C.I.1 dell’attivo dello
stato patrimoniale e alla voce C.I.4. soltanto però per il valore merci. La voce 12 si possono trovare
accantonamenti per rischi su cambi, al fondo autoassicurazione. Alla voce 13 si possono trovare
accantonamenti a fondo manutenzione. Infine, la voce 14 conterrà i componenti negativi di reddito
che non trovano collocazione ione in alcuna delle voi precedenti. La differenza fra il valore e costi
della produzione (A-B) dovrebbe svolgere il ruolo di risultato della gestione caratteristica.
Lo schema di conto economico passa poi all’analisi dell’area finanziaria della gestione; la classe di
valori C denominata proventi e oneri finanziari, cosi articolata:
15. Proventi da partecipazione, con separata indicazione di quelli relativi ad imprese controllate e
collegate;
16. Altri proventi finanziari;
17. Interessi ed altri oneri finanziari, con separata indicazione di quelli verso imprese controllate e
collegate e verso controllanti;
Totale.
La voce 15 contiene i dividenti relativi agli investimenti in partecipazione, occorrerà separate : i
dividendi da partecipazione in società controllate , collegare e in altre società. La voce 16 è
articolata cosi:
62
- Da crediti iscritti nelle immobilizzazioni, con separata indicazione di quelli da imprese controllate
e collegate e di quelli da controllanti;
- Da titoli iscritti nelle immobilizzazioni che non costituiscono partecipazioni;
- Da titoli iscritti nell’attivo circolante che non costituiscono partecipazioni;
- Proventi diversi dai precedenti, con separata indicazione di quelli da imprese controllate e
collegate e di quelli da controllanti;
La voce 17 contiene i componenti negativi di reddito derivanti dalla gestione finanziaria. Il totale
scaturente dalla somma delle singole voci mette in evidenza il risultato della gestione
finanziaria che può essere positivo nel caso in cui i proventi superino gli oneri, o negativo , nel caso
contrario.
La successiva classe di voci è costituita dalle rettifiche di valore di attività finanziarie D
articolata cosi:
18. Rivalutazione;
19. Svalutazioni;
Totale delle rettifiche.
La voce 18 si articola a sua volta in rivalutazioni di partecipazioni e rivalutazioni di
immobilizzazioni finanziarie che non costituiscono partecipazioni; rivalutazioni di titoli iscritti
nell’attivo circolante che non costituiscono partecipazioni. La voce 19 si articola in svalutazioni di
partecipazioni, di immobilizzazioni finanziarie che non costituiscono partecipazioni e rivalutazioni
di titoli iscritti nell’attivo circolante che non costituiscono partecipazioni. Il totale delle rettifiche
scaturisce dalla loro somma.
Esaurita l’analisi dell’area finanziaria della gestione aziendale, lo schema di conto economico passa
all’esame delle componenti positive e negative di reddito legate alla cosiddetta gestione
straordinaria. La classe di voci E denominata proventi e oneri straordinari si articola in :
20. proventi, con separata indicazione delle plusvalenze da alienazioni i cui ricambi non sono
scrivibili al n. 5;
21. oneri, con separata indicazione delle minusvalenze da alienazioni, i cui effetti contabili non
sono ascrivibili al n.14, e delle imposte relative a esercizi precedenti;
Totale delle partite straordinarie.
Il contenuto della voce 20 potrebbe essere costituito da: plusvalenze derivanti dalla cessione di beni
patrimoniali, o di titoli e partecipazioni e cosi via. Il contenuto della voce 21 è costituito da
minusvalenze da alienazioni e imposte relative ad esercizi precedenti nonché da sopravvenienze
passive. Il totale risultante dalla somma, potrà essere postivi o negativo.
Dopo il totale appena menzionato, lo schema di C/E prevede la voce RISULTATO PRIMA
DELLE IMPOSTE, che, sulla base di quanto appena detto, è risultato dal seguente calcolo:
Adesso applichiamo i criteri generali di classificazione allo schema dell’art. 2425 c.c., al fine di
verificare se esso sia direttamente idoneo ad essere utilizzato per le analisi reddituali, ovvero se debba
essere sottoposto ad ulteriori elaborazioni.
Lo schema civilistico di C/E , prevede che componenti positivi e negativi di reddito si compongano
nei raggruppamenti di poste, dando luogo ai seguenti risultati parziali:
- Differenza tra valore e costi della produzione;
- Differenza tra proventi e oneri finanziari;
- Differenza tra proventi e oneri straordinari;
- Risultato prima delle imposte;
- Imposte sul reddito dell’esercizio;
In prima approssimazione sembrerebbe possibile individuare delle corrispondenze biunivoche fra le
aree gestionali, ma ad un esame più attento emergono delle discrasie. In primo luogo, lo schema di
C/E non prevede alcun raggruppamento di voci dove allocare proventi e oneri relativi all’area
atipica—> li troveremo in parte all’interno del valore della produzione, proventi finanziari, rettifiche
di valore di attività finanziarie, analogamente avviene per i componenti negativi.
In secondo luogo, i costi della produzione che dovrebbe contenere solo componenti relativi alla
gestione caratteristica, contengono, invece, componenti relativi all’area straordinaria.
Per far si che la differenza tra A e B dia luogo al risultato operativo come da riclassificazione, è
necessario togliere la voce : A.5. altri ricavi e proventi, con separata indicazione dei contributi in
conto esercizio (data la loro appartenenza alla gestione atipica) ma non solo, è necessario rettificare,
riguardo la classe B) costi della produzione, anche la voce B.10.c altre rivalutazioni delle
immobilizzazioni (rientrano nella gestione straordinaria).
La successiva classe di valori è costituita da Proventi e oneri finanziari (C)
In tale raggruppamento troviamo voci proprie dell’area finanziaria ma anche voci relative all’area
atipica, è necessario dunque separarle in 2 gruppi:
1. Il primo costituito dai proventi legati alla struttura finanziaria dell’azienda, dai quali si
detrarranno gli oneri finanziari legati alla medesima struttura, ottenendo cosi il saldo tra
proventi e oneri finanziari propriamente detti;
2. Il secondo costituito da proventi legati agli investimenti finanziari in senso lato da inserire tra i
proventi atipici;
Conto economico redatto secondo il dettato dell’art. 2424 c.c. riclassificato a ricavi e costo della produzione del periodo.
1. PRODUZIONE COMPLESSIVA
A. Valore della produzione:
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1) ricavi delle vendite e delle prestazioni;
2) variazioni delle rimanenze di prodotti in corso di lavorazione, semilavorati e finiti;
3) variazione di lavori in corso su ordinazione;
4) incrementi di immobilizzazioni per lavori interni;
Totale.
2. COSTO COMPLESSIVO DELLA PRODUZIONE
B. Costi della produzione:
6) per materie prime, sussidiarie, di consumo e merci;
7) per servizi;
8) per godimento di beni di terzi;
9) per il personale:
a) salari e stipendi;
b) oneri sociali;
c) trattamento di fine rapporto;
d) trattamento di quiescenza e simili;
e) altri costi;
10) ammortamenti e svalutazione:
a) ammortamento delle immobilizzazioni immateriali;
b) ammortamento delle immobilizzazioni materiali;
d) svalutazioni dei crediti compresi nell’attivo circolante e delle disponibilità liquide;
11) variazione delle rimanenze di materie prime, sussidiarie, di consumo e merci;
12) accantonamenti per rischi;
13) altri accantonamenti;
14) oneri diversi di gestione;
Totale.
3. RISULTATO OPERATIVO (1-2)
4) saldo proventi e oneri atipici:
A.5. altri ricavi e proventi, con separata indicazione dei contributi nel conto esercizio;
C.15. proventi da partecipazioni, con separata indicazione di quelli relativi ad imprese controllate e
collegate;
C.16. altri proventi finanziari:
a) da crediti iscritti nelle immobilizzazioni, con separata indicazione di quelli da imprese
controllate e
Collegate e di quelli da controllanti;
b) da titoli iscritti nelle immobilizzazioni che non costituiscono partecipazioni;
c) da titoli iscritti nell’attivo circolante che non costituiscono partecipazioni;
18. Rivalutazioni:
a) di partecipazioni;
b) di immobilizzazioni finanziarie che non costituiscono partecipazioni;
c) di titoli iscritti nell’attivo circolante che non costituiscono partecipazioni;
19. Svalutazioni:
a) di partecipazioni;
b) di immobilizzazioni finanziarie che non costituiscono partecipazioni;
c) di titoli iscritti nell’attivo circolante che non costituiscono partecipazioni;
Totale
5) saldo, proventi e oneri finanziari
C.16.d proventi diversi dai precedenti, con separata indicazione di quelli da imprese controllate e
collegate e di quelli da controllanti;
C.17. interessi ed altri oneri finanziari;
Totale
65
6) saldo proventi e oneri straordinari.
E. Pronti e oneri straordinari:
20. Proventi;
21. Oneri;
I 3 aspetti della situazione finanziaria (liquidità, equilibrio e struttura) legati tra loro, si riconnettono
all’esame:
- Della solvibilità aziendale;
- Delle relazioni esistenti tra le diverse forme di finanziamento cui l’azienda attinge e i fabbisogni di
capitale derivanti dai diversi tipi d’impieghi di cui la gestione necessita.
- All’esame della composizione, tra capitale proprio e di capitale di terzi, delle fonti finanziarie
dell’azienda e quindi dell’indebitamento della stessa;
Questo margine, consente di misurare il valore assoluto, dall’eccedenza, o la deficienza, del capitale
circolante rispetto alle passività a breve.
Nella realtà, l’indice di disponibilità, quale indicatore di solvibilità della gestione, presenta non
trascurabili limitazioni ——> LIMITI:
1. Una prima limitazione è la mutabilità del numeratore e del denominatore: le variazioni
sensibili possono dare origine a risultati estremamente variabili nel tempo. Inoltre l’indice viene
calcolato annualmente pertanto permette di esaminare il livello di solvibilità alla fine del periodo
considerato ma non quello esistente durante il periodo stesso.
Questo risulta particolarmente importante nelle aziende caratterizzate da una gestione
stagionale. In
queste aziende CC e PC variano sensibilmente nei vari periodi dell’anno, in corrispondenza con
la
stagionalità cui è legate la loro attività.
Ancora, l’indice si basa su un quoziente tra fondi e non flussi di detti fondi: pertanto il risultato
non
prende in considerazione la sincronizzazione delle entrate e delle uscite nel corso del periodo
interconnesso tra due successive rilevazioni —> ne deriva che anche se il risultato è>1 (e quindi
entrate presunte future>uscite presunte future) esso non può garantire che le prime
precederanno
cronologicamente le seconde. È pur vero che questa situazione non denota assenza di solvibilità,
in
quanto in questa situazione le aziende fanno ricorso ad istituti di credito al fine di ottenere le
disponibilità momentaneamente necessarie —> dette attività denominate per elasticità di cassa
sono
operazioni che costituiscono attività ordinarie.
2. Eterogeneità della composizione del numeratore —> Rimanenze + Liquidità differite+
Liquidità immediate.
Le rimanenze rivestono caratteri di liquidabili diversi dalle liquidità differite ed immediate.
Le rimanenze non sempre sono liquidabili nel breve periodo; inoltre, na quota di esse deve restare in
magazzino come scorta minima —> detta quota è piu simile all’immobilizzazione che al CC.
Per tanto considerare, rimanenze , liquidità differite e liquidità immediate alla stessa stregua dal
punto di vista della liquidità dei rispettivi valori, porta ad avere una visione distorta della realtà che
si riflette in una visione della solvibilità aziendale eccessivamente ottimistica.
• Per tenere conto di ciò si calcola un ulteriore INDICE DI LIQUIDITÀ o di tesoreria o acida
test
Questo indice verificherà l’attitudine dell’azienda a soddisfare gli impegni finanziari a breve con le
liquidità correnti senza tenere conto delle rimanenze.
A tale indice di tesoreria corrisponde il MARGINE DI TESORERIA:
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Oppure:
LIQUIDITÀ IMMEDIATE + LIQUIDITÀ DIFFERITE — PASSIVITÀ CORRENTI
Lo strumento più idoneo per verificare l’equilibrio finanziario è dato dal confronto fra l’attivo ed il
passivo riclassificato a valori percentuali. Il confronto delle percentuali di composizione degli
impieghi (immobilizzazioni e CC) con quelle delle fonti (capitali permanenti e passività correnti)
permette di individuare i sintomi di equilibrio o squilibrio finanziario in essere al momento della
chiusura del bilancio.
Oppure
Capitale Netto + Passività consolidate
Immobilizzazioni materiali, immateriali, finanziarie
Oppure : (CAP. NETTO+ PASS. CONSOLID.) — (IMM. MAT.+ IMM. IMMAT.+IMM. FINANZ.)
Indice e margine verificano come viene finalizzato l’attivo fisso di bilancio: in quali proporzioni tra
mezzi propri, passività consolidate e debiti a breve termine.
Esso permette di accertare se le forme di finanziamento a lungo termine sono in grado di soddisfare
la porzione del fabbisogno durevole derivante dalle immobilizzazioni.
• Se l’indice è>1 vuol dire che i capitali permanenti consentono di coprire integralmente le
immobilizzazioni ed una parte del capitale circolante;
• Se l’indice è<1 vuol dire che i capitali permanenti non coprono interamente le immobilizzazioni
e che una porzione di esse viene finanziata dai debiti a breve e ciò è in contrasto con le condizioni
richieste per un corretto equilibrio finanziario.
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Un primo modo di esaminare la situazione finanziaria aziendale può farsi attraverso l’esame della
situazione patrimoniale riclassificata misurando il peso % del capitale di rischio sul totale
delle fonti di finanziamento nonché il perso & del capitale di terzi sul totale delle fonti di
finanziamento:
La significatività dei risultati di detti indici varia da azienda ad azienda in rapporto alle condizioni in
cui opera.
Tuttavia si può affermare che livelli di indebitamento >70% (autonomia finanziaria al 30%)
denotano situazioni finanziare assai fragili ed al di là del quale non bisognerebbe mai spingere la
situazione finanziaria —> livello limite.
Un ulteriore indice di indebitamento è costituito dal rapporta tra capitale investito e capitale
netto —> totale passività + netto
Tale indice costituisce il reciproco matematico dell’indice di autonomia finanziaria.
Se il valore dell’indice è=1 vuol dire che l’azienda ha un indebitamento =0; al di là di questa ipotesi
l’indice tenderà a crescere a valori superiori all’unità al crescere dell’indebitamento.
Rn= CE riclassificato
Cn= ST riclassificato (media aritmetica tra capitale netto iniziale e finale)
ROE —> misura il tasso di redditività del capitale di rischio e costituisce un primo indice
che consente di individuare sintomi e formulare giudizi di prima approssimazione sull’economicità
complessiva della gestione del periodo considerato.
I fattori che determinano la dimensione del R.O.E. sono 2:
1. La redditività netta del capitale investito: è data da REDDITO NETTO/TOTALE
ATTIVITÀ che esprime il rendimento dell’intero capitale impiegato nell’attività gestionale, a
prescindere dalla sua provenienza da fonti proprie o di terzi (CAPITALE PROPRIO o
CAPITALE CREDITO);
2. Il grado di indebitamento: è dato dal TOTALE ATTIVITÀ / CAPITALE NETTO;
La correlazione matematica è RN= RN x CI
CN CI CN
Quindi il R.O.E. è uguale al prodotto fra la redditività netta del capitale investito e il grado di
indebitamento.
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Cosi scomposto il ROE se ne può distinguere la sua determinante finanziaria (indebitamento) da
quella economica (redditività netta del CI); sarà pertanto possibili analizzare le variazioni del ROE
nel tempo, attribuendone la causa a corrispondente variazioni del grado di indebitamento (CI/CN)
e/o della RN del CI (RN/CI).
Mettendo da parte quella finanziaria si può procedere all’esame della situazione economica.
È possibile a questo punto distinguere all’interno della RN del CI la componente relativa alla
gestione operativa e quella relativa alla gestione extra-operativa.
Ro= CE riclassificato
Ci= SP riclassificato (media aritmetica delle attività totali iniziali di periodo e di quelle finali).
Tale quoziente indica il rendimento economico dell’intero capitale impiegato nel periodo con
riferimento esclusivo alla gestione operativa.
L’INCIDENZA DEL RISULTATO NETTO SUL RISULTATO OPERATIVO è dato dal quoziente:
Risultato Netto
Risultato Operativo
Esprime il peso esercitato dalle componenti reddituali extra-operative (cioè il saldo proventi e
oneri atipici, finanziari e straordinari e dagli oneri tributari) sulla redditività netta.
La correlazione matematica fra i 3 quozienti è : Rn= Ro x Rn
Ci Ci Ro
L’incidenza del risultato operativo può avere un effetto moltiplicativo o riduttivo nella relazione
che lega la redditività netta e quella del capitale investito. Infatti:
• Se Rn=Ro l’incidenza del risultato netto sul risultato operativo è=1 e pertanto Rn del Ci e Ro
sono equivalenti;
• Se Rn<Ro l’incidenza del risultato operativo è<1 e tale rapporto svolge un effetto riduttivo sulla
Ro del Ci influendo negativamente sulla Rn dello stesso;
• Se Rn>Ro l’incidenza del Rn sul Ro è>1 e svolge un effetto moltiplicativo sulla Ro del Ci
influendo positivamente sulla Rn.
Il R.O.E. può essere inteso come prodotto dell’azione congiunta dei 3 fattori:
- La redditività operativa, espressa dal R.O.I. ;
- Il peso degli oneri finanziari e degli altri componenti non operativi, espresso dal tasso di
incidenza del risultato netto sul risultato operativo;
- La struttura finanziaria, espressa dal rapporto di indebitamento;
In termini di variazione ne deriva che, a parità di tasso di incidenza del risultato netto sul risultato
operativo e di rapporto di indebitamento, il R.O.E. varia in relazione diretta al variare del R.O.I.
viceversa, a parità di R.O.I., le modificazione del R.O.E. dipendono direttamente dalle variazioni
intervenuto nel tasso di incidenza del risultato netto sul risultato operativo e del rapporto di
indebitamenti.
Il tasso di incidenza dei risultato netto sul risultato operativo, assume, di norma, valori
inferiori all’unità, via via decrescenti all’aumentare del peso dei componenti extra-operativi. Esso,
quindi, svolge un effetto riduttivo sulla relazione in esame;
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Il rapporto di indebitamento, assume valori superiori all’unità, via via crescenti all’aumentare
dell’indebitamento stesso. Esso, svolge un’evidente effetto moltiplicativo nella relazione medesima.
Da questa considerazione trae origine il concetto di leva finanziaria attraverso il quale si specifica
l’azione svolta dall’indebitamento e quindi dalla struttura finanziaria dell’azienda, sulla redditività
del capitale proprio della stessa: facendo leva sull’indebitamento, l’impresa può migliorare a
determinare condizioni, la redditività netta del proprio capitale.
Scomponendo, quindi, il R.O.E. nei tre indici sarà possibile analizzarne le variazioni nel tempo,
attribuendo le cause a corrispondenti variazioni del R.O.I. ,del rapporto di indebitamento e/o
dell’incidenza del risultato netto sul risultato operativo
La REDDITIVITÀ DELLE VENDITE dette R.O.S (Return on sales) è data dal quoziente:
Reddito operativo
Vendite
Ro= CE riclassificato
V= ricavi delle vendite e prestazioni —> CE riclassificato
Questo indice esprime la capacità remunerativa del flusso dei ricavi operativi dell’azienda, ossia il
margine di reddito operativo per ogni euro di fatturato. Tale risultato viene spesso espresso
in %.
Vendite
Capitale investito
Questo indice esprime la velocità di rigiro (turnover) del CAPITALE INVESTITO; riflette cioè il
numero di volte in cui il capitale mediamente impiegato ruota nel periodo considerato per effetto
delle vendite effettuate e quante volte nell’arco annuale il capitale ritorna in forma liquida attraverso
le vendite nette.
Se il risultato è=1 vuol dire che il totale delle vendite effettuate nell’anno è pari al valore del capitale
impiegato e che questo ruota mediamente 1 volta l’anno; risultati >0< all’unità denotano velocità di
rotazione superiore, o inferiore, a 12 mesi.
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Una volta sviluppato il ROI l’analisi prosegue su 2 direttrici:
• L’esame della relazione tra prezzi di vendita e costi (ROS) che può essere approfondita
attraverso l’analisi comparata dei CE a valori %;
• Lo sviluppo del V/Ci;
La prima si realizza ponendo in evidenza l’incidenza economica dei diversi fattori produttivi
impiegati in rapporto alla produzione ottenuta; esaminando la diversa incidenza % dei singoli costi
operativi sulla produzione complessiva del periodo è possibile analizzate la struttura di detti costi
e le modificazioni nel tempo.
I tassi di incidenza dei costi operativi sul valore della produzione complessiva sono
espressi dai quozienti:
CONSUMO MATERIE PRIME/PRODUZIONE COMPLESSIVA
COSTI DEL PERSONALE / PRODUZIONE COMPLESSIVA
COSTI PER SERVIZI / PRODUZIONE COMPLESSIVA
AMMORTAMENTI / PRODUZIONE COMPLESSIVA
ONERI DIVERSI GESTIONE / PRODUZIONE COMPLESSIVA
Affiancando detti tassi di incidenza alle singole voci di costo corrispondenti nel CE riclassificato a R
e C del venduto dei vari esercizi esaminati si ottengono i CE percentualizzati; l’analisi di questi
ultimi potrà essere condotta esaminando la variazione della struttura dei costi da un bilancio
all’altro, ovvero esaminando le variazioni della medesima da un periodo ad un altro.
La seconda può essere sviluppata in 2 direzioni:
1. La prima attraverso la quale si scompone il tasso di rotazione del capitale investito
complessivo, calcolando gli indici di rotazione specifici per le singole classi di componenti
dello stesso;
2. La seconda, che utilizza la percentualizzazione delle attività della situazione
patrimoniale, allo scopo di determinare l’incidenza delle diverse forme di impiego di fondi e,
cioè, la struttura degli impieghi.
I denominatori di questi indici vanno composti attraverso la media aritmetica fra i valori iniziali e
finali delle varie classi di componenti patrimoniali desumibili dai bilanci correlativi.
Il significato di detti indici deve essere interpretato in termini di numero di volte in cui le
immobilizzazione tecniche, il CC, le scorte, i crediti vs clienti si sono mediamente rinnovati
nell’esercizio in esame attraverso il flusso dei ricavi.
Per quanto riguarda l’indice di durata media dei crediti nella prima versione il numeratore
dovrebbe essere costituito esclusivamente dalle vendite effettuate a credito; qualora non fosse
disponibile questo dato si utilizza l’importo delle vendite nette complessive.
Per il denominatore della seconda versione si ripetono le stesse considerazioni inoltre in esso le
vendite effettuate nell’esercizio vengono divise per 365 giorni ottenendo l’importo medio delle
vendite effettuate giornalmente dall’azienda.
L’indice va letto in termini di numero medio di giorni di dilazione concessi ai clienti.
Il secondo iter di indagine consiste nel raffronto fra le attività dei bilanci riclassificati e
percentualizzati.
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Questo tipo di analisi permette di verificare il peso specifico di ciascuna classe di componenti
patrimoniali sul totale degli impieghi individuando la struttura di questi ultimi e le sue variazioni
nei vari esercizi considerati, ovvero consente di individuare le variazioni delle singole classi di
impieghi da un periodo all’altro.
Le analisi istantanee o statiche, svolte attraverso gli indici di bilancio, possono essere utilmente
integrate dalle analisi dinamiche dei movimenti o flussi finanziari, che ne costituiscono un
necessario supporto, in quanto spiegano le cause della situazione determinatasi, mostrando quali
sono stati i movimenti finanziari intervenuti, che segno e che dimensione hanno avuto.
È noto che fondamentale obiettivo della gestione finanziaria di un’azienda consiste nel risolvere nella
maniera più economica problemi di coordinazione fra:
- Immobilizzi (impieghi finanziari)= (quantità valori relativi a fattori della produzione acquisiti
mediante uscite di messi moderati o assimilati, che restano vincolati alla gestione per periodi
temporali più o meno lunghi);
- Smobilizzi= (entrate di mezzi monetari o assimilati, determinate dalle vendite di prodotti o
fattori produttivi);
- Acquisizioni di capitali (entrate relativi a finanziamenti con vincolo di pieno rischio o di
prestito) determinanti fonti finanziarie.
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Un ulteriore e più complesso livello di analisi della dinamica finanziaria potrà consentire di mettere
in relazione i movimenti finanziari di particolari classi di componenti patrimoniali (Capitale
circolante netto) , con determinate operazioni dotate di specifiche significatività —> gestione
operativa (essa consiste nel fatto che tali classi di operazioni sono caratterizzate da una particolare
ripetitività nonché da una particolare centralità nell’ambito gestionale —> gestione tipica/
caratteristica); si potrà cioè determinare se dette operazioni hanno nel periodo considerato prodotto,
consumato, distrutto nuove risorse finanziarie.
Quanto sin ora esposto fa riferimento ad analisi di flussi finanziari e non solo monetari; in altre
parole, i movimenti finanziari di cui si è parlato, non tengono conto solo delle entrate e uscite
monetarie verificare nel periodo considerato, ma anche di quelle che si presume si verificheranno
entro un certo intervallo , quindi i movimenti non riguardano le sole disponibilità immediate di
cassa e di banca, ma anche le modificazioni di crediti e debiti, nonché delle scorte.
Gli obiettivi dell’analisi della dinamica finanziaria della gestione aziendale possono ricondursi a 2
classi:
1. Informazione esterna;
2. Programmazione e controllo aziendale;
Affinché la rilevazione della variazione delle fonti e degli impieghi finanziari possa essere utilmente
adoperata nelle analisi della dinamica finanziaria dell’impresa, occorre che essa risulti
analiticamente scomposta in movimenti parziali, tali da riflettere le vicende delle singole componenti
delle fonti e degli impieghi finanziari, la cui somma algebrica ha determinato la variazione globale
rilevata. Esistono a tale scopo delle metodologie che consento di rappresentare in maniera analitica
la dinamica finanziaria dell’impresa, tali metodologie sono note sotto la denominazione di analisi dei
flussi finanziari.
L’analisi dei flussi finanziari si avvale di strumenti rappresentativi detti rendiconti finanziari
, i quali, dal raffronto di 2 situazioni patrimoniali cronologicamente successive, opportunamente
riclassificate in base a criteri finanziari, consentono di rilevare le variazioni analitiche che, nel
periodo considerato, hanno modificato i valori di investimenti e di finanziamenti; esse
consentono di spiegare e valutare le modificazioni subite nel tempo della struttura e dalla situazione
finanziaria dell’azienda.
La tecnica utilizzata consiste nell’affiancare in appositi prospetti voci analoghe di 2 SP successivi,
dopo averli riclassificati in base a criteri finanziari, e si rilevano poi per ciascuna voce l’eventuale
incremento o decremento subito nel periodo.
Le variazioni cosi determinate per le singole voci verranno classificate in apposite colonne come
impieghi di mezzi finanziari —> se consistenti in incrementi di poste dell’attivo patrimoniale o in
decrementi del passivo e del netto — o come fonti di mezzi finanziari —> se consistenti in
incrementi del passivo patrimoniale e del netto o in decrementi dell’attivo.
Si avrà:
FONTI IMPIEGHI
Incrementi di Passività Incrementi di Attività
Decrementi di Attività Decrementi di Passività
Incrementi del Netto. Decrementi del Netto
Tale classificazione delle variazioni che vengono a calcolarsi si basa sull’ipotesi che:
• Gli incrementi delle attività patrimoniale costituiscono di norma incrementi di
investimenti; essi comportano quindi impieghi di capitale alla stessa maniera dei rimborsi
di finanziamenti evidenziati da decrementi delle passività;
• Le riduzioni del netto patrimoniale costituiscono, a loro volta, impieghi di risorse
finanziarie in quanto comportano l’utilizzo per il rimborso di quote, o per il pagamento dei
dividendi, ecc.
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• Le riduzioni dell’attivo patrimoniale costituiscono fonti finanziarie perché, mediante
disinvestimenti, si verifica la liberazione di risorse prima immobilizzate;
• L’aumento delle passività costituisce ancora una fonte determinata da incrementi di debiti di
qualsiasi tipo, cosi come gli aumenti del netto determinati da apporti di nuovo capitale da parte
dei soci.
Le variazioni scaturenti dai raffronti vengono definite grezze in quanto per potere fornire utili
info sull’effettiva dinamica dei fondi finanziari esse devono subire delle opportune rettifiche al fine
di escludere tutte le variazioni che non rappresentato reali movimenti finanziari, ma semplici
operazioni contabili, e di scomporre altre variazioni che costituiscono il saldo di una serie di
movimenti aumentativi e riduttivi di componenti patrimoniali che altrimenti non verrebbero rilevati.
Le variazioni che non rappresentano effettivi movimenti finanziari si riferiscono:
- A rivalutazioni o svalutazioni di cespiti patrimoniali; tali variazioni di valore consistono
solamente in operazioni di tipo contabile;
- Agli aumenti virtuali di capitale sociale realizzati mediante semplici trasferimenti di riserve
o di utile al capitale.
Le variazioni che costituiscono il saldo di una serie di movimenti attivi e passivi da mette in
luce possono riferirsi :
- Alla vendita di cespiti patrimoniali con il realizzo di plus o minus- valenze;
- All’accantonamento ed al pagamento di indennità di anzianità;
- All’accantonamento ed all’utilizzazione dei fondi svalutazione;
- Al rimborsi e accensioni di muti;
- Alla destinazione dell’utile d’esercizio, qualora l’analisi venga svolta dopo la ripartizione
degli utili.
Analisi di questo tipo possono essere attuate sia su dati storici 1) sia su dati preventivi
2).
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• Di verificare l’aderenza della gestione finanziaria attuata rispetto ai piani e programmi preventivi;
• Di approfondire l’analisi di circa l’origine delle fonti finanziarie e dei relativi flussi, permettendo
eventuali correzioni di tendenza.
1.ORIGINE
FONTI IMPIEGHI
Gestione Residuale Aumento di attività immobilizzate
Aumento del Capitale proprio Aumento di attività circolanti
Aumento passività a m/l termine Riduzione passività a m/l termine
Aumento passività a breve termine Riduzione passività a breve termine
Riduzione attività immobilizzate Riduzione di capitale netto
Riduzione attività circolanti
TOTALE FONTI TOTALE IMPIEGHI
2.DESTINAZIONE
FONTI IMPIEGHI
Interne: Aumenti di attività:
Gestione reddituale Immobilizzate
Riduzione di attività Circolanti
Esterne : Riduzioni di passività:
Apporti dei soci A m/l termine
Aumento passività A breve termine
Riduzione di capitale netto
TOTALE FONTI TOTALE IMPIEGHI
Fonti provenienti dalla gestione reddituale —> la gestione d’impresa comporta la formazione
di ricavi costi dalla cui contrapposizione scaturisce l’utile.
Se si considerano non tutti i R e C ma solo quelli al cui conseguimento o sostentamento abbia fatto
riscontro una variazione di cassa, di crediti, o di debiti e, cioè, una variazione finanziaria si
perverrà mediante la contrapposizione di questi ad una configurazione di utile al lordo dei C e
dei R che non hanno determinato movimenti finanziari.
Questi ultimi sono costituiti dagli ammortamenti e dagli accantonamenti a fondi
svalutazione di elementi patrimoniali.
Si perviene ad una configurazione di UTILE LORDO comprendente:
- UTILI NETTI;
- AMMORTAMENTI;
- ACCANTONAMENTI A FONTE DI SVALUTAZIONE;
Gli altri accantonamenti ai fondi per rischi ed oneri o al fondo TFR in quanto esprimono , in
un certo senso, debiti, non possono essere annoverati fra i costi che non comportamento movimenti
finanziari.
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Nei suddetti tra elementi risiede l’origine del flusso netto di autofinanziamento prodotte dalla
gestione; esso consiste nel flusso finanziario originato dai R che residua dopo la copertura del
fabbisogno finanziario relativo ai C d’esercizio e che resta per concorrere alla copertura del
rimanente fabbisogno di capitale.
Le fonti provenienti dalla gestione reddituale sono il risultato della somma algebrica delle voci
traibili dalla situazione patrimoniale e dalla nota integrativa:
- UTILE D’ESERCIZO;
- AMMORTAMENTI;
- ACCANTONAMENTI A FONTI DI SVALUTAZIONE di elementi patrimoniali.
Gli ulteriori accantonamenti non fanno parte delle fonti generate dalla gestione reddituale in quanto
esprimono debiti o aspettative di debiti, essi sono già conglobati nelle variazioni delle passività.
Se la gestione avesse dato come risultato una PERDITA d’esercizio superiore agli ammortamenti ed
agli accantonamenti a fonte di svalutazione ciò avrebbe determinato un IMPIEGO DI RISORSE,
anziché una FONTE—> in tal caso la voce GESTIONE REDDITUALE comparirebbe nella
sezione destra del prospetto.
Le analisi di flussi finanziari totali non consentono di distinguere particolari classi di componenti
patrimoniali; si vuole fare riferimento al Capitale Circolante (CC): esso esprime la capacità
dell’impresa di soddisfare con puntualità ed in maniera economica i suoi impegni finanziari a
breve termine. È opportuno, pertanto, rendersi conto dei flussi che hanno concorso a modificare
questa grandezza, allo scopo di individuare i fattori che hanno influito sull’equilibrio finanziario e,
dunque , sulla solvibilità dell’impresa.
In rapporto alla dinamica del CC le operazioni di gestione possono classificarsi in 2 ampie categorie:
A. Operazioni gestionali che determinano flussi finanziari incidenti sul CC;
B. Operazioni gestionali che determinano flussi finanziari non incidenti sul CC;
La dinamica del CC netto può essere determinata sia da variazioni intervenute nelle sue componenti
che quindi ne producono direttamente una modificazione; sia da variazioni intervenute al di fuori
di esso che tuttavia per effetto dell’equazione di bilancio ( CCN= Capitale Netto + Passività
Consolidate - Immobilizzazioni), ne producono indirettamente una modificazione.
Le operazioni che modificano direttamente (a.1.) il CCN sono:
- Le operazioni tipiche o caratteristiche —> acquisto di fattori produttivi ad utilità singola;
vendita dei prodotti; variazioni delle rimanenze; crediti e debiti di regolamento e cassa;
- Altre operazioni —> liquidazione rate in scadenza di debiti a lungo termine; TFR; imposte;
accantonamenti a fondi; crediti e debiti di finanziamento a breve termine; ecc.
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Fra le operazioni che non influiscono direttamente (b) sul CC si possono individuare:
- I conferimenti di cespiti patrimoniali a fronte di aumento di Capitale Sociale;
- I conferimenti di cespiti patrimoniali in altre società a fronte di azioni della società;
- Le permute di elementi del capitale fisso;
- Le acquisizioni di beni patrimoniali a seguito di fusioni;
- La trasformazioni di obbligazioni convertibili in Capitale Sociale;
- L’assegnazione gratuita di azioni ai soci;
Tali operazioni pur potendo comportare movimenti di fondi finanziari non hanno tuttavia alcun
riferimento alle componenti di CCN; in altri termini sono estranee alla sua dinamica.
Dopo aver identificato i 2 tipi di operazioni è possibile che l’insieme delle prime, in un dato periodo
di tempo, trasforma le componenti del CC, tal ché il raffronto tra i saldi netti delle sue componenti
attive e passive misurati dall’inizio alla fine del periodo considerato, consente di determinare se
l’insieme di tali operazioni ha incrementato o decremento il CCN.
Se si punta l’attenzione sui flussi finanziari relativi al CCN si possono misurare in primo luogo di
effetti finanziari determinati, nel periodo considerato, dalle operazioni di gestione che
influiscono su di esso; separare in secondo luogo i risultati finanziari di particolari
raggruppamenti significativi di tali operazioni gestionali e analizzare, in terzo luogo, i singoli
risultati ottenuti.
La costruzione del Rendiconto Finanziario dei flussi di CCN ricalca le fasi seguite per la costruzione
del rendiconto finanziario dei flussi totali con una fondamentale differenza: le rettifiche
apportate alle variazioni grezze saranno più numerose, in quanto oltre ad escludere le variazioni
che non hanno effettiva natura di movimento finanziario esse dovranno annullare tutti quei
movimenti che non incidono sul livello del CC.
Il prospetto dei flussi di CCN è facilmente desumibile da quello dei flussi totali.
Nel prospetto dei flussi di CCN la voce gestione reddituale risulta dalla somma algebrica di:
UTILE D’ESERCIZIO (o PERDITA);
AMMORTAMENTI;
ACCANTONAMENTI;
ACCANTONAMENTO A F. DI SVALUTAZIONE del CAPITALE IMMOBILIZZATO;
ACCANTONAMENTO A F. DI PER RISCHI ED ONERI;
ACCANTONAMENTO AL F.DO TFR;
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La differenza si riferisce agli accantonamenti a fondi svalutazione di componenti patrimoniali, i
quali rientravano prima interamente nel calcolo mentre, in questo caso, vi rientrano solo per la parte
relativa alle componenti delle immobilizzazioni.
Infatti, gli accantonamenti a fondi svalutazioni relativi a componenti del CC non devono essere
considerate fra le fonti originate dalla gestione reddituale.
Per la stessa ragione non devono considerarsi gli altri accantonamenti ai fondi per rischi e oneri
allocati fra i debiti a breve termine.
Qualora nel CE fossero presenti plusvalenze o minusvalenze derivanti dalla valutazione dei beni
dell’attivo dello SP tali valori devono essere portati a rettifica del risultato di periodo, non costituito
dei flussi finanziari. Le plusvalenze vanno portate in diminuzione dell’utile (o incremento di
perdita) e le minusvalenze in aumento dell’utile (o riduzione di perdite).
A questo punto dell’analisi possono raggiungersi fondamentali obiettivi conoscitivi:
- Se il CCN è incrementato o decrementato —> se cioè le operazioni hanno prodotto o consumato
risorse finanziarie;
- In che misura tale produzione o consumo è aumentata;
- Quali sono stati i singoli movimenti di impieghi o di fonti che hanno determinato il risultato
positivo o negativo;
- Quale contributo ha dato a suddetto risultato la gestione reddituale;
- In che maniera è cambiata la composizione interna delle componenti del CCN e in che misura
ciascuna di esse;
Ulteriore strumento per la programmazione e il controllo è costituito dal budget. Il budget sintetizza
in sé le caratteristiche i strumento idoneo al governo delle condizioni generali del successo aziendale,
ma anche, di quelle particolari.
79
Il programma che costituisce il budget possiede talune fondamentali caratteristiche:
1. Globalità: il budget non riguarda soltanto specifici aspetti dell’attività aziendale, ma, al
contrario, deve coinvolgere tutta l’azienda, tutti i livelli della sua scala gerarchico-organizzativa.
Esso pertanto costituisce ed esprime, il comportamento globale dell’azienda che lo adotta;
2. Articolazione per centri di responsabilità: il programma che sta alla base del budget, deve
essere predisposto in maniera analitica ed articolata e non sintetica, al fine di contemplare ed
indirizzare l’attività di ogni centro di responsabilità in cui è distribuita la struttura organizzativa
che attua l’attività complessa dell’azienda. Ciò vuol dire che il budget aziendale deve essere
scomponibile in tanti budget settoriali, al fine d guidare e responsabilizzare il comportamento
dei singoli manager e capi di centro;
3. Articolazione per intervalli di tempo infrannuali: è frutto di 2 importanti esigenze: la
prima deriva dal fatto che, sopratutto nelle aziende ad andamento stagionale, le vicende della
gestione possono configurare risultati diversi in diversi periodi dell’anno; in tali aziende, se non si
articolasse il budget in periodi infrannuali, il riferimento ai risultati obiettivo potrete basarsi
soltanto su criteri di media, rendendo meno inefficace il ruolo di programmazione e controllo
dell’attività che detto strumento nasce per svolgere; la seconda deriva dalla necessità del
riscontro fra risultati attesi ed effettivi, sia a livello settoriale che globale. Se il riscontro tra i
risultati consuntivi preventivi viene effettuato ad intervalli mensili, trimestrali, semestrali ecc, si
può avere la consapevolezza dell’effettivo andamento dei risultati e intervenire tempestivamente
al fine di raggiungere i risultati attesi. La verifica frequente è un atteggiamento positivo e attivo
nei confronti della possibilità di raggiungere gli obiettivi fissati, se vi pone impegno e diligenza.
Un’impostazione attenta, consapevole e responsabile del genere è perfettamente coerente con la
finalità di governo razionale e consapevole della gestione che l’attività di programmazione e
controllo si propone;
4. Traduzione in termini economico-finanziari: l’insieme delle scelte e delle previsioni
inerenti ai comportamenti futuri contenuti nei vari programmi settoriali e nel programma
globale che li sintetizza, devono essere espresse non solo in termini descrittivi, ma anche in
termini quantitativo-monetari, ciò al fine di:
A. Disporre di un’unità di misura omogenea, necessaria per poter consolidare i programmi
settoriali;
B. Determinare all’interno dell’azienda la consapevolezza delle conseguenze economico-finanziarie
dei propri-comportamenti;
C. Essere in grado di redigere il bilancio preventivo di cui si sostanzia il budget;
Il budget è un programma e non una semplice previsione. La differenza tra questi due
termini è sostanziale, sono due orientamenti strategici di fondo molto diversi. Concepire il budget
come previsione implica un atteggiamento di tipo passivo nei confronti della realtà, e quindi, della
gestione, caratterizzato da una tendenza a subite i trend in atto ed a escludere l’ipotesi di
promuovere autonomamente tentativi di miglioramento o di inversione di tendenza se i risultati sono
negativi.
Concepire, invece, il budget come programma da attuare al fine di conseguire determinati risultati,
implica un atteggiamento di impegno al miglioramento, al cambiamento, ad operare nel senso di
governare la gestione e non farsi governare dagli eventi.
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risorse e i mesi tramite i quali raggiungerli, in tal modo l’attività e i comportamenti di ciascuno
risultano : -finalizzati in modo chiaro e consapevole, a livello del personale, verso gli obiettivi
particolari assegnati; - finalizzati in modo coerente e congruente, a livello generale, verso il
conseguimento degli obiettivi globali di gestione.
3. Fornire i parametri quantitativo-monetari, economico-finanziari con cui
confrontare i risultati di gestione effettivamente ottenuti; assume particolare rilievo
nella gestione del personale, predispone mezzi per valutare la capacità e meriti dei manager e
responsabili ai fini dell’attuazione di politiche retributive, di incentivazione e di carriera legati a
parametri oggettivi.
4. Coordinare ed integrare i vai organi dell’azienda ed i loro specifici programmi;
programmando le attività future, riduce l’incertezza della gesione, permette di gestire
razionalmente la complessità della gestione stessa.
5. Motivare i manager ed i responsabili, i quali per il fatto stesso di essere consapevoli degli
obiettivi chiari e precisi che vengono loro richiesti, sono stimolati verso un’attività di
responsabilizzazione, impegnandosi ne miglioramento delle loro rispettive prestazioni.
In generale, può affermarsi che il ruolo risulta estremamente rilevante lungo 2 diverse
dimensioni:
La prima organizzativa, il budget è lo strumento mediante il quale la compagna aziendale trova
un accordo in termini di compiti da svolgere nell’immediato futuro e di allocazione delle risorse al
fine di perseguire la stabilità organizzativa;
La seconda economica il budget è un determinante di un gran numero di decisioni economiche
che riguardano le diverse aree funzionali; il budget si traduce in obiettivi economici. La definizione
di budget coinvolge diversi centri di responsabilità. La gerarchia e la natura economica dei diversi
centri di responsabilità si riflette , sulla gerarchia e sulla natura degli obiettivi del budget. La
formulazione del budget pone in essere una catena tra obiettivi e mezzi, in quanto gli obiettivi dei
centri intermedi costituiscono non soltanto la finalità per l’attività di quei ventri, ma anche i mezzi
per conseguire gli obiettivi dei centri di livello più elevato. Questo coordinamento verticale è di
difficile attuazione per il corretto funzionamento del budget.
Il budget crea una complessa connessione fra aspetti organizzativi, economici, umani e personali
della gestione aziendale, il cui complesso ed articolato intreccio non è facile da illustrare. Può essere
utile analizzare il processo di definizione degli obiettivi di budget considerando due specifici
problemi: il primo, riguarda la modalità di fissazione degli obiettivi da parte degli organi coinvolti; il
secondo, riguarda invece il livello di difficoltà degli obiettivi stessi. Entrambi questi problemi hanno
influssi sui risultati del sistema di controllo.
Se si considerano i diversi livelli gerarchici si nota che ai volumi richiesti di risorse ,in rapporto agli
obietti loro assegnati, si contrappongono i volumi di risorse offerte da parte di questi ultimi. Gli
obiettivi di alti livelli gerarchici discendono lungo la struttura e vengono in contatto cosi con le
esigenze e con le richieste che si manifestano ai diversi livelli da parte dei manager. Se tra richieste e
offerte c’è compatibilità, allora il budget viene determinato, in caso contrario sorge un conflitto, che
trova soluzione in vari modi e situazioni, dettati da una serie molto estesa di fattori, come le
differenze di personalità tra gli individui coinvolti, il potere derivante dalla posizione e dal livello
gerarchico , il potere personale, il sistema di interrelazioni sociali esistenti nell’organizzazione, il
flusso di informazioni, e cosi via.
Sulla negoziazione degli obiettivi e delle risorse ad esse connesse, esserci una rilevate influenza
l’ambiente culturale in cui l’impresa opera e i valori e le aspirazioni che vi sono presenti. L’altro
problema è il livello di difficolta degli obiettivi. A questo proposito vanno considerati i diversi ruoli
assegnati dal budget, in primo luogo è un obiettivo sul quale si imposta l’azione direzionale futura ,
che è uno strumento per gestire le operazioni, in secondo luogo è un mezzo per motivare le persone,
per spingerle a compierà una data attività.
Sulla base del primo ruolo gli obiettivi di budget dovrebbero essere i più realistici, i più probabili.
Sulla base del secondo ruolo dovrebbe essere più difficile di quello valido per la gestione ordinaria
fino a quel momento condotta. Tra questi due ruoli sorge un conflitto.
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I budget deboli difficilmente riescono a contenere obiettivi vali come strumenti per gestire e come
mezzi di motivazione; devono essere attuati vari accorgimenti: dai due livelli di budget applicati
contemporaneamente, ad un solo budget considerato come livello di compromesso tra i due, ad un
budget unico piuttosto impegnativo e quindi motivante, ma con la consapevolezza che questo
difficilmente verrà conseguito e quindi con una gestione attenta e tempestiva per individuare lo
scarto tra budget e livello realizzabile. I due ruoli di budget danno effetti rilevanti sui risultai del
sistema di controllo e solo la loro presa di coscienza, potrà individuare ed applicare gli accorgimenti
ritenuti più opportuni ed adeguati.
Il processo di formulazione si articola in più fasi ed ha una natura iterativa, nel senso che sono
necessarie continue elaborazioni e aggiustamenti prima che possa dirsi compiuto; i singoli
programmi settoriali debbono risultare coerenti e compatibili con gli obiettivi generali dell’azienda.
Il punto di partenza è costituito dall’analisi del piano strategico: è infatti dagli obiettivi generali del
budget. Tali obiettivo sono di varia natura, devono comunque essere tradotti ed espressi in termini
economico-finanziari.
È possibile immaginare alcuni obiettivi di fondo, estremamente sintetici, che costituiscono il
riferimento fondamentale di tutti gli altri che sono misurati da specifici indicatori. Possono poi
scomporsi in sotto-obiettivi più analitici. Tra gli obiettivi di fondo una posizione fondamentale è
costituita dal ROE (tasso globale di redditività del capitale netto) e dal ROI (tasso di redditività del
capitale investito) , che a sua volta dipende dal ROS (tasso di redditività delle vendite) e dall’indice di
rotazione del capitale investito. Oltre a questi obiettivi ve ne sono altri di carattere finanziario
inerenti al livello di solvibilità e al grado di indebitamento.
5. IL BUDGET COMMERCIALE.
Il budget commerciale è il punto di partenza dell’iter logico del processo di programmazione del
budget e il primo programma settoriale, quindi, che occorre predisporre è quello dell’area
commerciale. È, infatti, in funzione delle possibilità di assorbimento del mercato che si
deve programmare tutta l’attività dell’azienda.
Detto budget si riferisce:
- Ai programmi delle vendite e dei ricavi;
- E a quello dei costi commerciali;
1. Il programma delle vendite consiste nel fissare gli obiettivi delle quantità fisiche di prodotti,
o di produzioni, da collocare sul mercato nel corso dell’esercizio di riferimento del budget. Per
passare dal programma dei volumi di vendita al budget dei ricavi occorre moltiplicare le
quantità fisiche determinate per i relativi prezzi unitari. La determinazione del prezzo di vendita
dei prodotti è un problema al quanto complesso (infatti, il volume delle vendite di un prodotto è,
ad esempio, variabile in funzione del prezzo di vendita che si deciderà di adottare a prezzi più
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bassi vendere quantità maggiori e viceversa). Il prezzo di vendita, se si vogliono mantenere
determinati margini remunerativi, dovrà essere variabile in funzione dei volumi che si ritiene si
potranno vendere.
Un contributo alla soluzione del problema della fissazione del prezzo di vendita può essere dato dal
tentativo di individuare una sorta di intervallo di valori, delineato da un massimo ed un minimo,
all’interno del quale determinare il prezzo del prodotto. Il valore massimo da attribuire al prezzo
di vendita di un prodotto, con riferimento al suo costo-economico-tecnico=(costo
complessivo del prodotto+costi virtuali+certo margine a titolo di profitto) il limite
minimo, in presenza di determinate condizioni di copertura di costi a livello globale di azienda,
potrebbe essere costituito dal costo primo o dal costo primo variabile di prodotto. Nessuna delle due
determinazione è corretta, in quanto ciascuna prende in considerazione soltanto alcune variabili e
ne trascura altre; tuttavia tali valori possono costituire valori di prima approssimazione, da
sottoporre ad ulteriori verifiche e sperimentazioni. Un ulteriore strumento per la determinazione del
prezzo può essere quello dell’analisi del punto di pareggio o break evenpoint, che viene svolta con
l’ausilio del diagramma di redditività. Un’altra scelta fondamentale al fine di predisporre questo
budget è quella relativa al mix di prodotti da vendere e a tal proposito lo strumento fondamentale è,
in una prospettiva di breve periodo, quello del margine di contribuzione o margine lordo.
Dal punto di vista operativo le fasi di formazione del budget commerciale si possono
schematizzare come segue:
1. Definizione della gamma dei prodotti;
2. Determinazione dei prezzi di vendita;
3. Comunicazione di questi agli organi operativi di vendita;
4. Formulazione delle previsioni di vendita dagli organi operativi, tenuto conto di tali
storici e di tendenze attuali e future;
5. Esame di dette previsioni dalla direzione commerciale;
6. Discussione sulle previsioni e formulazione degli obiettivi di vendita, mediante
negoziazione tra la direzione commerciale e gli organi operativi di vendita;
7. Approvazione del budget delle vendite;
Per quanto riguarda il budget dei costi commerciali esso dovrà comprendere costi di svariata
natura. L’ammontare di alcuni di essi potrà essere preventivato in conseguenza del programma delle
vendite: spese di trasporto, imballaggi, provvigioni, ecc.
Altri tipi di costi commerciali derivano invece da politiche e scelte direzionali effettuate dalla
direzione aziendale: spese di promozione e pubblicità. Altri ancora derivano da scelte attuate in base
al piano strategico: costi per il personale direttivo ed impiegatizio nell’area commerciale, automezzi
commerciali, ecc.
Il budget commerciale globale deve essere articolato in: periodi di tempo infrannuali; prodotti, o
famiglie di prodotti; centri di responsabilità; eventuali altre dimensioni.
Il budget della produzione segue quello commerciale, in quanto l’azienda imposta la propria
produzione sulla base delle prospettive di vendita. L’essenza del budget della produzione consiste
nella determinazione del volume fisico di produzione da realizzare nell’anno del budget. L’input
iniziale di tale determinazione è dato dal budget delle vendite, ma assume ulteriore rilevanza
fondamentale un ulteriore budget, quello delle scorte di prodotti, che ha il ruolo di correlare il
programma delle vendite a quello da preventivare per la produzione occorre tenere conto delle
rimanenze attuali e future di magazzino cioè dell’entità effettiva e desiderata delle scorte di prodotti
finiti.
Con riferimento al volume di produzione da programmare nel budget si avrà:
Volume programmato di vendita di prodotto
+ rimanenze finali di prodotto programmate
- rimanenze iniziali di prodotto stimate
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= volume di produzione di prodotto programmato
Le rimanenze finali programmate sono costituite dalla quantità fisica di prodotto che si
desidera rimanga in magazzino in attesa di vendita al fine dell’anno di budget; mentre le
rimanenze iniziali stimate sono costituite dall’ammontare fisico di prodotto che si stima si
troverà in magazzino in attesa di vendita all’inizio dell’anno di budget. Anche il budget della
produzione deve essere articolato e analizzato per: periodi infrannuali; prodotto, o famiglie di
prodotto; centri di responsabilità.
Stabilito il programma delle quantità di prodotto da produrre si passa alla redazione del budget dei
costi delle risorse e dei fattori produttivi necessari per produrli.
Tali costi si distinguono in:
I. Costi relativi alle materie prime ed ai materiali diretti;
II. Costi relativi alla mano d’opera;
III.Spese generali industriali (mano d’opera indiretta, energia, stipendi tecnici);
Mentre l’ammontare programmato delle prime due è quantificabile tecnicamente o
parametricamente in rapporto al volume produttivo programmato, l’entità della terza categoria di
costi non può essere determinata sulla base di un calcolo tecnico in rapporto al volume della
produzione. Per i primi sarà possibile calcolare dei costi standard, per i secondi no.
I costi standard sono uno strumento indispensabile per determinare i valori da attribuire ai costi
del budget di produzione; essi sono costi predeterminati in modo rigoroso sulla base di specifiche
ipotesi sullo svolgimento futuro della gestione.
I costi standard, proprio perché presuppongono e incorporano l’effetto delle condizioni operative,
costituiscono contemporaneamente, gli obiettivi da raggiungere per assicurare sufficienti livelli di
economicità alla gestione. La loro essenza sta nel fatto che il mantenersi allineati al loro valore
presuppone il raggiungiygimento di precisi livelli di prestazione predeterminati, che i responsabili
dei vari centri devono conseguire nell’anno di budget. Tali livelli di prestazione si possono
differenziare in rapporto al grado di efficienza che il loro conseguimento comporta; pertanto nella
definizione preventiva delle condizioni operative di standard si può avere:
- Un livello ideale di efficenza —> corrisponde a condizioni ottimali in cui tutti gli sprechi ed
inefficienze sono stati eliminati; il loro corrispondente costo standard raggiunge i livelli minimi;
- Un livello di efficienza conveniente —> consente determinati livelli di inefficienza, ma
implica, tuttavia, un concreto impegno da parte dei manager; ad esso corrisponde un costo
maggiore rispetto al precedente;
- Un livello previsto di efficienza —> è quel livello di prestazione che si raggiungerebbe
ugualmente anche in assenza di costi standard, è una stima del futuro manifestarsi delle tendenze
manifestatesi in passato.
Il costo standard di un prodotto è la sintesi di calcoli analitici riferiti ai costi di ciascun componente
del prodotto e a quelli dell’attività di centro di costo attraverso le varie parti componenti.
Il costo standard di un determinato fattore produttivo si esprime cosi:
C.u.s. è il costo unitario standard del fattore produttivo ad una singola unità di prodotto o
comunque un’unità di output che costituisce e misura il volume di produzione del centro
determinato;
Q.u.s. è il coefficiente unitario standard di consumo, ossia la quantità di quel fattore che occorre
impiegare per ottenere una unità di prodotto;
P.u.s. è il prezzo unitario standard del fattore produttivo;
84
Per calcolare il costo totale standard occorrerà moltiplicare il costo unitario standard per il volume
di produzione programmato , o standard (previsto per quel mese).
- Il calcolo del costo standard comporta l’adozione di tre diverse ipotesi, efficienza nell’impiego del
fattore, sintetizzata dal coefficiente unitario standard di consumo; efficienza ed efficacia del
processo di acquisto, dal quale dipende l’entità e l’economicità del prezzo unitario standard del
fattore; l’ultima relativa all’efficienza del complessivo processo di produzione , sintetizzata nel
volume di produzione standard.
- La determinazione di un costo standard determina la fissazione di 3 importanti obiettivi:
1) chi ha la responsabilità del consumo di quel fattore specifico deve riuscire a conseguire il
livello di efficienza previsto: una minore efficienza determinerebbe l’innalzamento del
coefficiente unitario effettivo di consumo determinando uno scostamento negativo rispetto a
quello standard;
2) Chi ha la responsabilità degli acquisiti deve riuscire ad acquistare il fattore produttivo a
costi non superiori a quelli preventivati, se non vuole determinare uno scostamento negativo fra
il prezzo unitario effettivo del fattore e quello standard;
3) Chi ha la responsabilità del volume della produzione deve attenersi alle quantità
preventivate dei valori prodotti; il mancato rispetto di questo obiettivo può determinare
conseguenze, talvolta positive, ma altre volte estremamente negative sui risultati economici e su
quelli competitivi dell’azienda.
La formula per il calcolo del costo standard non è però applicabile a tutti i tipi di fattori produttivi,
bensì , soltanto, a quelli per i quali è possibile calcolare in modo tecnico la quantità di fattore
occorrente per ottenere una unità di prodotto (materie prime, materiali diretti, mano d’opera
diretta); non è invece applicabile agli altri costi industriali, e cioè , alle spese generali industriali.
Detti costi hanno di norma un peso inferiore rispetto a quelli trattati prima e pertanto si considerano
come un unico raggruppamento.
Al suo interno si ritroveranno costi fissi (ammortamenti, stipendi del personale. tecnico, ecc.) e costi
variabili (energia elettrica, materiali ausiliari, mano d’opera indiretta, ecc.)
In relazione ai primi non si può determinare in modo oggettivo un costo standard per unità di
prodotto, in quanto questo varierebbe in funzione del volume produttivo programmato, occorre
basarsi su stime e previsioni più o meno soggettive. Per quelli variabili è possibile determinare un
costo standard in modo simile a come si è fatto per le materie prime e la mano d’opera diretta;
tuttavia, spesso, la parte variabile delle spese generali industriali non viene commisurata
direttamente ad una unità di produzione espressa in unità di output, bensì collegandosi ad altre
unità di misura che indirettamente esprimono pur sempre quantità di produzione.
La determinazione delle spese generali di fabbricazione secondo tale criterio corrisponde alla
tecnica del c.d. budget flessibile.In definitiva:
Per i costi variabili, prima si determina il costo standard unitario e poi lo si moltiplica per il volume
di produzione programmato;
Per i costi fissi, se ne determina dapprima l’importo totale sulla base di scelte e stime che
prescindono dall’entità della produzione programmata per il periodo e poi si divide per il volume di
produzione programmato.
Occorre aggiungere un importante elemento in ordine al budget dei costi di produzione con
particolare riferimento a quello delle materie prime di altri costi industriali variabili.
Ampliando quanto detto prima alla determinazione della quantità standard di materie prime
occorrenti per ottenere la produzione standard, si può affermare che questa si ottiene
moltiplicando il coefficiente unitario standard delle materie prime per il volume di
produzione programmato o standard. Il risultato di questo prodotto è il preventivo delle
materie prime che si consumeranno per la produzione della quantità programmata; il dato cosi
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ottenuto però non è ancora indicativo della quantità di materie prime che occorrerà acquistare
nell’anno del budget.
Questo, infatti, dipende anche dalla quantità delle rimanenze iniziali di materie che esisteranno
all’inizio dell’anno di budget e di quella che si desidera rimanga come rimanenza finale alla fine
dell’anno di budget.
Ed infatti le scorte di materie prime svolgono un ruolo di raccordo fra il programma di consumi e
quello degli acquisti:
Quantità standard di materie prime da consumare
+ rimanenze finali programmate di materie prime
- rimanenze iniziali stimate di materie prime
= budget delle materie prime da acquistare.
Le quantità da programmare per le scorte sono influenzate da numerose variabili di ordine tecnico-
produttivo, commerciale, logistico, economico e finanziario. Oltre alle quantità, occorre che
vengano programmati anche i tempi dell’acquisto, in modo che esse siano disponibili in rapporto
coerente con le rispettive esigenze.
Il risultato mette in evidenza il numero di unità di personale necessario per ottenere la produzione
programmata.
A questo punto occorrerà confrontare l’organico cosi determinato, con quello effettivo, dopo aver
depurato quest’ultimo dato di eventuali dismissioni e pensionamenti, previsti entro l’inizio
dell’esercizio del budget. Qualora il confronto faccia emergere l’esigenza di assunzioni occorrerà
esaminare la compatibilità con il piano strategico. Se detta compatibilità è verificata occorrerà poi
esaminare tutte le ulteriori conseguenze sul piano economico e su quello finanziario.
L’eventuale incompatibilità renderà necessaria la ricerca di strade alternative, come ad esempio le
lavorazioni presso terzi. Nel caso in cui l’organico effettivo sia esuberante rispetto a quello standard,
il maggior costo dovrà essere indicato nel budget della produzione. La determinazione degli organici
riguarda anche la mano d’opera indiretta, nonché il personale impiegatizio ed i dirigenti. Per la
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parte variabile del costo della mano d’opera indiretta valgono le stesse considerazioni fatte per la
mano d’opera indiretta.
Per la parte fissa del costo, come per quello dei dirigenti ed impiegati, non è possibile calcolare le ore
da impiegare per ottenere un’unità di output, e ciò non è possibile determinare i coefficienti unitari
di consumo o impiego, ed è quindi necessario formulare programma di organico in base a parametri
soggettivi sulla base dei vincoli posti dalla pianificazione strategica.
Il budget delle aree di supporto corrisponde essenzialmente alla direzione generale, all’area di R&S,
all’area finanziaria, a quella di amministrazione e controllo, a quella di gestione del personale e
organizzazione.
ciò che accomuna queste aree di attività è la prevalenza in esse di costi di carattere
discrezionale e non parametrico.
L’entità di tali costi è assolutamente svincolata dai volumi di produzione. Per taluni di essi il calcolo è
affidato al giudizio soggettivo dei manager, per altri invece, è vincolato dall’utilizzo delle risorse
strutturali alle quali detti cosi si riconnettono.
11. IL BUDGET DEGLI INVESTIMENTI. ( in realtà è il punto 12 nel libro, manca il punto 11)
Il budget degli investimenti riguarda l’acquisto delle risorse poliennali che vengono richiese dalle
varie aree funzionali per rendere possibile la realizzazione dei propri programmi.
All’interno di questi budget, gli investimenti in oggetto sono espressi in termini monetari, e cioè,
sulla base del fabbisogno finanziario necessario per la loro realizzazione.
I programmi delle varie aree funzionali alle quali detti investimenti si riferiscono, possono riguardare
progetti di sostituzione di immobilizzazioni obsolete, progetti di razionalizzazione tesi ad ottenere
una maggiore efficienza, progetti di sviluppo e di espansione, o investimenti di carattere strategico,
che daranno i loro frutti nel lungo periodo.
Tutti i vari budget settoriali devono essere aggregati e consolidati in un unico programma
complessivo, al fine di avere una visione d’insieme delle prospettive che da essi possono scaturire, di
conoscerne i risultati globali, di verificare il rispetto o meno degli obiettivi del pianto strategico.
A tele scopo vengono redatti: il budget economico, il budget finanziario e il budget patrimoniale. Il
primo è il riepilogo dei costi e dei ricavi già contenuti nel budget commerciale, in quello della
produzione e in quello delle altre aree funzionali. Il budget finanziario mira a verificare la
compatibilità fra i mezzi finanziari occorrenti per realizzare tutte le operazioni programmata e le
fonti di mezzi finanziari presso cui attingere per procurarli. Il budget patrimoniale, in fine, mostra la
situazione del patrimonio alla fine del periodo di budget.
Detto budget si sostanzia in un riepilogo dei costi e ricavi contenuti nel budget commerciale, in
quello della produzione ed in quello delle aree funzionali di supporto. Il budget economico assume
la forma di un CE preventivo, con struttura a scalare che permette di evidenziare il reddito a diversi
livelli della sua formazione.
Nello schema si trovano 2 voci di costo il cui valore non può essere determinato se non dopo la
redazione del budget finanziario.
Tali costi sono: gli oneri finanziari la quale entità dipende dai tassi e dai tempi correnti
sull’indebitamento previsto per l’azienda; e le imposte sul reddito che potranno calcolarsi sulla base
del reddito prima delle imposte, che non può essere conosciuto fino a che non daranno determinati
gli oneri finanziari.
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Esempio di budget economico.
BUDGET ECONOMICO.
Ricavi di vendita
- Costi industriali:
Rimanenze di magazzino iniziali
Acquisti materie prime ed ausiliari
Costi accessori di acquisto (trasporti, ecc.)
Mano d’opera
Costo del personale impiegatizio tecnico
Energia e combustibili
Altri costi industriali
Ammortamenti immobilizzazioni tecniche
- Rimanenze finali di magazzino .
Utile industriale
- Spese commerciali
- Spese amministrative
- Spese generali varie
Utile operativo del venduto
+/- Saldo oneri e proventi finanziari
Utile prima delle imposte
- Imposte sul reddito
Utile netto.
([costo annuo d’acquisto materie prime + costi accessori annui d’acquisto)/12] x durata
media di consumo espressa in mesi.
(costo annuo materie prime, sussidiarie ecc/365) per dilazione media concessa dai
fornitori espressa in giorni.
La configurazione di capitale circolante cosi calcolata in via preventiva è quella del capitale
circolante netto relativo alla gestione corrente. Determinati gli immobilizzi finanziari medi
prospettici relativi al capitale fisso ed al CCN si sarà in grado di dare contenuto alla sezione
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impieghi degli impieghi e delle fonti. Per la previsione delle fonti basta considerare che esso dovrà
contenere: l’autofinanziamento; i finanziamenti mediante capitale proprio; i finanziamenti mediante
capitale di credito; i disinvestimenti di capitale fisso o circolante.
L’eventuale saldo negativo tra impieghi e fonti denota il fabbisogno finanziario ancora
da coprire. Si dovrà procedere quindi alla decisione per la copertura del fabbisogno finanziario
residuo; una volta determinata detta copertura si potrà redigere la versione definitiva del budget.
IMPIEGHI FONTI
- Investimenti in capitale fisso - Autofinanziamento
- Investimenti in capitale circolante - Finanziamento con capitale proprio
- Rimborsi di debiti - Finanziamento con capitale di terzi
- Rimborsi di capitale proprio - Disinvestimenti.
Totale Totale
Il budget patrimoniale è uno SP preventivo riferito alla data di chiusura del budget. Le sue voci sono
di norma strutturate secondo criteri finanziari. A differenza del budget finanziario che accoglie i
flussi finanziari derivanti dal programma di budget, il budget patrimoniale evidenzia la struttura e
l’entità degli investimenti e delle fonti di investimenti alla fine dello stesso periodo.
Redatto tale prospetto sarà possibile stimare per ciascuna fonte finanziaria il costo relativo la cui
sommatoria costituirà l’ammontare degli oneri relativi all’indebitamento previsto. Aggiungendo tale
dato nel budget economico si potrà calcolare il risultato prima delle imposte. Applicando la % di
imposta della normativa fiscale si determinerà l’ammontare delle imposte sul reddito detraendo il
quale emergerà il risultato netto preventivo.
Budget patrimoniale
ATTIVITÀ
Immobilizzazioni:
- Immobilizzazioni tecniche;
- Immobilizzazioni immateriali;
- Immobilizzazioni finanziarie;
Capitale circolante:
- Rimanenze;
- Clienti;
- Cassa;
Totale capitale investito
PASSIVITÀ E NETTO
90
Capitale proprio:
- Capitale sociale;
- Riserve;
- Utile di esercizio;
Debiti a medio e lungo termine:
- Debiti obbligazionari;
- Mutui passivi;
- Fondo TFR;
- Ecc.;
Debiti a breve termine:
- Scoperte di c/c;
- Fornitori;
- ecc.;
Totale passività e netto
Il processo di formazione del budget coinvolge di solito molti organi della struttura aziendale; la
profondità del budget è estesa. Spesso il budget aziendale è il frutto di una serie di negoziazioni tra
superiori e subordinati, nel senso che ogni organo discute e contratta con gli organi superiori, i
programmi da attuare, gli obiettivi da raggiungere e le risorse che gli vengono assegnate. Al termine
del processo di formazione del budget, che può durare anche diversi mesi, avviene l’approvazione
finale di esso da parte degli organi dell’alta direzione aziendale.
Come già più volte detto, l’attività di programmazione e controllo della gestione, o direzionale,
comporta l’utilizzo di strumenti contabili che risultano particolarmente idonei a svolgere la
programmazione e il controllo delle condizioni particolari di successo del sistema aziendale, e questi
sono: l’analisi e la contabilità dei costi; l’analisi degli scostamenti fra risultati effettivi e risultati
standard —> (vengono utilizzati al fine di un governo consapevole e razionale dell’azienda, poiché
senza dati utili sui fenomeni interni all’azienda riguardanti ad es. economicità, solvibilità, efficacia/
efficienza non si potrebbe attuare detto governo consapevole.. tali dati non si trovano nel bilancio
civilistico).
È facile rilevare come sia la programmazione sia il controllo di gestione comportino informazioni,
elaborazioni ed analisi, aventi come oggetto i costi.
Il costo di un oggetto di riferimento può essere definito come il valore espressivo delle
risorse utilizzate e consumate per ottenerlo.
L’analisi dei costi può essere affrontata secondo le seguenti fasi progressive:
- Classificazione degli elementi di costo;
- Determinazione dei costi elementari, o elementi di costo;
- Elaborazione dei costi elementari per giungere alle sintesi, o configurazioni, richiese dallo scopo
particolare perseguito.
CLASSIFICAZIONE DEI COSTI:
Le principali classificazioni dei costi utilizzate dalla dottrina e dalla pratica aziendale, sono in primo
luogo: costi diretti, o speciale; costi indiretti, o comuni.
• I costi diretti, sono costi per i quali è possibile stabilire un rapporto diretto di casualità fra il loro
sostenimento e l’oggetto di riferimento.
91
• I costi indiretti, sono quelli per cui un nesso di casualità diretta è più difficile da trovare. Tali
costi si riferiscono in comune a più oggetti di riferimento e a ciascuno di questi vengono imputati
pro quota, cioè dividendo il costo in quote e imputarlo ai singoli oggetti mediante una base di
ripartizione. Per tanto la differenza tra costi diretti e indiretti deriva dal tipo di relazione casuale
che lega il costo con l’oggetto di riferimento. In generale, all’aumento delle dimensioni
dell’oggetto, aumentano le classi di costi diretti; all’opposto, riducendosi tali dimensioni,
aumentano le classi di costi indiretti. Un ulteriori classificazione in seno all’attività di
programmazione e controllo è quella fra costi fissi e costi variabili.
• I costi fissi, sono costi il cui ammontare totale non varia, qualunque sia il volume dell’attività
realizzata dall’azienda, nel periodo di riferimento.
• I costi variabili, sono costi il cui ammontare varia in misura proporzionale ai volumi di attività
dell’impresa.
La distinzione in oggetto è applicabile solo a quei costi riconducibili alla gestione operativa.
Infine,
abbiamo un ulteriore distinzione fra costi controllabili e costi non controllabili:
- I costi controllabili, sono quei costi il cui ammontare dipende dalle scelte e dal modo di
operare dei singoli responsabili dei differenti centri di costo dell’azienda, detti costi sono quindi
controllabili in quanto i responsabili hanno la possibilità di influire su essi;
- I costi non controllabili, sono quei costi il cui ammontare non dipende dalla scelta del
responsabile del centro (es. stipendio capo centro).
La contabilità è relativa, in quanto un costo che non è controllabile per un centro, lo è per un altro
di livello superiore. A livello aziendale, tutti i costi sono controllabili.
Per configurazione di costo si intende la sommatoria di più elementi di costo che, caratterizzati
da relativa omogeneità, possono riferirsi ad uno stesso oggetto (ci serve per conoscere il costo
particolare di un oggetto specifico)
Le più utilizzate, in rapporto ad un oggetto sono:
- Costo primo, definito dalla sommatoria dei costi diretti attribuiti ad uno stesso oggetto;
- Costo complessivo, definito dal costo primo dell’oggetto + la sommatoria delle quote di costi
indiretti ad esso imputate;
- Costo economico-tecnico, definito dal costo complessivo dell’oggetto + i costi virtuali ad esso
attribuibili e la quota di profitto.
Con riferimento ad un prodotto: - il costo primo è costituito dai costi di materie prime dirette, dai
costi di mano d’opera diretta e dagli latri costi diretti; - costo complessivo deriva dalla sommatoria
del costo primo con le quote di costi comuni amministrativi, commerciali e di distribuzione imputati
al prodotto; - costo economico-tecnico deriva dal raggruppamento di elementi di costo effettivi e di
elementi di costo figurativi. Per la loro configurazione si muove dal costo complessivo e si
aggiungono a questo gli interessi di computo, gli affitti figurativi, il salario direzionale. Tutte le
determinazioni di costo esaminate, in rapporto al tempo cui si riferiscono, possono configurarsi
come determinazioni preventive o consuntive.
92
costo totale. Il sistema in oggetto accoglie il principio secondo il quale tutti i costi (diretti e indiretti)
sostenuti per l’ottenimento e la vendita di un prodotto devono concorrere alla determinazione del
suo costo totale.
Le argomentazioni a sostegno del pieno, sono le seguenti: - i costi di un dato oggetto devono
riflettere tutti i fattori impiegati per ottenerlo; - la valutazione delle rimanenze da portare in bilancio,
per essere significativa, deve riflettere il costo pieno; - il confronto ricavi-costi riguardante un dato
oggetto non può avere il significato di risultato economico netto se questi ultimi non includono tutti
gli elementi di costo; - nelle decisioni di breve periodo si deve tener conto non solo dei costi sostenuti
monetariamente, ma anche della reintegrazione economica graduale dei costi sostenuti in passato e
che sono stati capitalizzati a motivo della loro utilità pluriennale.
Il sistema di contabilità a costi variabili muove da una premessa fondamentale diversa,
secondo la quale, ai fini delle determinazioni dei costi sono rilevanti solo quegli elementi di costo che
si modificano al variare dei livelli di attività produttiva; cioè i costi fissi non sono rilevanti e non si
attribuiscono ad un dato prodotto, e sono considerati come costi di periodo.
Il sistema di contabilità a costi variabili e costi fissi diretti si basa sulla stessa premessa del
sistema di contabilità a costi variabili, solo che esso nelle determinazioni dei costi riguardanti oggetti
ben definiti (es. differenti produzioni) prevede l’inclusione, in aggiunta ai costi variabili, anche dei
costi fissi direttamente loro attribuibili (costi diretti fissi).
Il valore del costo complessivo che deriva dalla sommatoria dei costi diretti ed indiretti, non potrà
essere determinato oggettivamente, ma in modo più o meno congruo in funzione dei criteri scelti
per la scissione in quote dei costi indiretti, esso è un costo congetturato.
I principali metodi di scissione in quote dei costi indiretti e la loro imputazione, sono:
- Il metodo di imputazione su base unica, che consiste nell’utilizzare un’unica base di
ripartizione per scindere in quote simultaneamente tutti i costi indiretti. Detti costi vengono prima
di tutto sommati; questo valore è successivamente diviso per l’ammontare dell’unica base di
ripartizione; il costo indiretto per unità di base di ripartizione cosi ottenuto, viene poi distribuito
in proporzione all’ammontare che la base prescelta assume nei diversi oggetti di calcolo.
93
Limite: consiste nel fatto che l’unica base di ripartizione non esprime adeguatamente il concorso
di tutte
le classi di costi indiretti dell’azienda all’ottenimento dei singoli oggetti di riferimento. Questo
metodo
si caratterizza per un elevato livello di soggettività, anche se risulta di semplice attuazione.
- Il metodo di imputazione dei costi indiretti su base multipla aziendale, si fonda
essenzialmente su un meccanismo complessivo identico a quello precedente, ma si distingue da
esso, in quanto, questo procedimento si propone di conferire maggiore attendibilità
all’imputazione dei costi indiretti, differenziando opportunamente la base di imputazione secondo
il carattere delle varie voci di costo. Tale metodo rimane comunque molto soggettivo (basi di
imputazione più frequenti: costo delle materie prime, le ore di lavoro diretto, le ore-macchina e le
unità prodotte).
- Il metodo commerciale, per l’imputazione dei costi indiretti è un metodo su base unica di
azienda, il quale utilizza come un’unica base di ripartizione i margini di contribuzione (ricavi
meno costo primo) dei singoli tipi di prodotti. Quindi, dopo aver sommato tutti i costi indiretti
(come nel primo metodo) ed aver determinato il costo indiretto complessivo, lo si divide per il
margine di contribuzione complessivo; il coefficiente di ripartizione cosi ottenuto viene
moltiplicato per il margine di contribuzione di ciascun tipo di prodotto. Questo metodo, in
quanto si fonda di dati oggettivi, gode di una minore soggettività rispetto ai precedenti. Limiti:
tuttavia produce un livellamento del costo complessivo, in quanto, i prodotti che hanno un
maggior margine di contribuzione, vengono imputate maggiori dosi di costi indiretti. In tal modo
i risultati delle determinazioni non risultano idonei.
- Il metodo di imputazione dei costi attraverso la localizzazione dei costi, è quello che
consente l’ottenimento di maggiori livelli di attendibilità nelle determinazione dei costi. Detto
metodo prende a base del ragionamento la ricerca del costo dell’attività globale stessa
dell’azienda; sarà poi l’analisi dell’assorbimento di tale attività da parte dei diversi oggetti di
riferimento, che consentirà di determinare il rispettivo costo. Il metodo di localizzazione dei costi
costituisce la base metodologica per la costruzione di uno dei sistemi contabili fondamentali da
utilizzare nelle aziende che intendono implementare un sistema efficace di controllo di gestione: si
tratta di contabilità dei costi.
94
Le fasi del procedimento di determinazione del costo pieno di un oggetto mediante un
sistema di contabilità analitica per centri di costo sono le seguenti: 7-8-9-10, ovvero: -
individuazione dei centri di costo; - localizzazione dei costi/e ricavi nei centri; -
ribaltamento dei costi dei centri indiretti sui centri diretti; - la determinazione del
costo del prodotto.
Il metodo della localizzazione dei costi comporta la suddivisione dell’attività dell’azienda in aree
omogenee denominate centri di costo o di ricavo. I criteri che devono essere tenuti in considerazione
nell’individuazione di detti centri, possono sintetizzarsi come segue: - coerenza dei centri identificati
con la struttura organizzativa aziendale e con le responsabilità gestionali assegnate; - omogeneità
dell’attività svolta relativamente ai processi e/o fattori produttivi utilizzati; - possibilità di individuare
i costi specifici del centro; - significatività dei relativi costi; - rilevanza del servizio erogato e/o dei
processi svolti.
Il grado di analiticità del piano dei centri di costo può variare in rapporto alle esigenze informative
della direzione aziendale, in rapporto alle caratteristiche specifiche dei processi produttivi attuati e
dalla disponibilità di un adeguata infrastruttura informatica
Il piano dei centri di costo deve essere dotato di una certa flessibilità, al fine di adeguarsi
costantemente all’evoluzione dell’azienda. Tale flessibilità, al fine di adeguarsi costantemente
all’evoluzione dell’azienda. Tale flessibilità è una caratteristica necessaria affinché il piano in
questione possa costantemente adeguarsi ad esigenze diverse e fornire sempre elementi utili per il
processo decisionale. In ordine all’attività svolta dai vari centri di costo, possono in prima
approssimazione individuarsi:
- Centri di costo che svolgono un attività che ha una funzione direttamente produttiva, detti
centri si denominano centri produttivi o diretti;
- Centri di costo che svolgono un attività che ha funzione di supporto, ossia producono servizi
utilizzati dai centri produttivi, detti centri si denominano centri di servizio, o ausiliari, o
indiretti.
Dopo avere individuato i centri di costo, occorre localizzarvi i relativi costi, imputando i costi dei
fattori produttivi ai centri in cui sono stati sostenuti i costi stessi. I costi cosi localizzati in ciascuna
area di attività dell’azienda, o centro di costo saranno, costi diretti in rapporto al centro medesimo.
Dopo aver localizzato tutti i costi nei relativi centri, si potrà disporre della configurazione del costo
primo di ciascun centro.
La conoscenza dei costi primi di centro, ha un enorme rilevanza in seno all’attività di governo della
gestione, in quanto essa costituisce strumento fondamentale per la programmazione e il controllo
della performance dei singoli centri, attraverso il confronto tra preventivo e consuntivo, o tra risultati
di periodi successivi.
Per giungere alla determinazione del costo complessivo di ulteriori oggetti di riferimento, occorre
compiere due fasi del complesso procedimento:
1. La prima è costituita dal ribaltamento dei costi dei centri indiretti su centri diretti;
2. La seconda è costituita dall’imputazione finale dei costi complessivi dei centri diretti sugli oggetti
di riferimento.
Per il ribaltamento dei costi dovrà scegliere un parametro (base di ripartizione) per ciascun
centri, atto ad esprimere l’utilità tratta da dette attività di supporto o accessorie, da parte dei centri
di costo diretti. I costi dei centri di servizio sono infatti indiretti per i centri operativi e devono quindi
essere ripartiti utilizzando la logica del servizio redo a questi ultimi.
95
A tal fine occorrerà: - individuare un indicatore in grado misurate l’output di ciascuna delle unità
organizzative ausiliarie; - misurare il volume di attività raggiunto dalle medesime nell’intervallo
temporale preso a riferimento; - determinare il costo totale di dette unità organizzative , o centri
ausiliari, ne intervallo temporale considerato; - determinare il costo unitario da utilizzare per
ripartire il costo del centro
Indiretto.
Per quando riguarda i centri di costo relativi alle unità organizzative centrali, possono individuarsi
due diverse metodologie di ribaltamento:
1. Ribaltare il costo totale di detti centri su tutte le altre unità organizzative;
2. Ribaltare il costo, divenuto complessivo, dei centri indiretti sui centri operativi.
Una volta completare tutte le operazioni di ribaltamento, i centri indiretti si saranno svuotati dei
costi in essi contenuti; i centri diretti, invece si troveranno a contenere: - il rispettivo costo primo del
centro, che era già stato determinato nella fase precedente; - le quote di costi provenienti da
ribaltamenti dei centri diretti. La somma di questi valori attuata all’interno di ciascun centro diretto,
consente di determinare il costo complessivo di ciascuno di essi,
L’imputazione finale dei costi complessivi dei centri diretti ai prodotti si configura in modo differente
a seconda che l’impresa sia rivolta all’ottenimento di un unico prodotto, di più prodotti identici, o
differenti. Nel primo caso, i costi riguardano un unico oggetto, e possono essere riferiti interamente
ad esso; lo stesso accade in più prodotti identici, in quanto si tratta di configurare il costo medio del
prodotto facendo la media del costo totale.
Nell’ultimo caso, l’imputazione si presenta più complessa, in quanto deve essere configurata in modo
specifico per ciascun tipo di prodotto.
• Se tutti i tipi di prodotti sono ottenuti mediante un unico processo produttivo, allora la
distribuzione dei costi complessivi dei vari centri diretti ai diversi prodotti potrà avvenire
semplicemente.
• Se, invece, i processi produttivi differiscono, allora occorrerà determinare il costo dei diversi
processi produttivi.
Quando la determinazione dei costi avvenga per processo, dopo tutto l’iter analizzato
precedentemente, occorre attribuire i centri diretti ai processi riguardanti l’ottenimento dei differenti
prodotti. Se un medesimo centro diretto opera per diversi processi, occorrerà scinderne il costo e
attribuirlo in quote.
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12. I COLLEGAMENTI TRA LA CONTABILITÀ GENERALE E LA CONTABILITÀ
ANALITICA.
Limiti: la debolezza di tale sistema consiste nella difficoltà di riconciliazione dei risultati elaborati da
2 sistemi.
2. Sistema duplice misto: lo utilizzano le aziende che hanno scelto di sviluppare la contabilità
dei costi al di fuori della contabilità generale, in modo extra-contabile. Tale sistema prevede che il
calcolo dei costi di produzione si basi su rilevazioni extra-contabili (come quelle statistiche). La
contabilità generale deve fornire i dati riguardanti i costi di periodo. Tale sistema si definisce misto
perché la contabilità generale utilizza la partita doppia.
3. Sistema unico integrato: prevede la gestione unitaria, nell’ambito di un unico piano dei
contri, dell’informativa civilistico-fiscale e dell’informativa gestionale. Prevede un’unica contabilità,
tenuta secondo il sistema patrimoniale (= contabilizzazione degli acquisti di materiali come
incrementi di magazzino e il consumo come prelievo di magazzino, pertanto la rimanenza sarà data
dal saldo dei conti magazzino) un CE per destinazione con evidenza del costo del venduto e dei costi
per funzione;
97
Il piano dei conti prevede tre tipi di conto:
—> civilistici e gestionali;
—> gestionali;
—> civilistici;
L’obiettivo primario dell’analisi degli scostamenti è quello di mettere in grado la direzione aziendale
di operare delle tempestive correzioni alle modalità di svolgimento effettivo delle varie attività
gestionali. Perché ciò avvenga in maniera efficace, occorre che detta analisi venga effettuata
ripetutamente durante tutto il periodo di riferimento del programma da attuare e ad intervalli
temporali piuttosto ravvicinati, in modo tale che i responsabili hanno il tempo di intervenire con i
necessari provvedimenti di correzione.
La fase di controllo, che sia sta esaminando, si basa sui risultati generali e particolari della gestione,
cosi come vengono rappresentati attraverso il complesso di dati quantitativo-monetari, che derivano
dalla contabilità direzionale e che costituiscono il rapporto di gestione, denominato anche: sistema
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di reporting. Lo strumento tecnico in base al quale si effettua il confronto fra i risulti standard e
quelli effettivi è costituito dal report, o rapporto di gestione.
Il report contiene le informazioni riguardanti l’andamento della gestione dell’impresa, rispetto agli
obiettivi prestabiliti. Sulla base di detti report avviene il confronto tra budget e risultati effettivi, è
pertanto lo scostamento globale, sopratutto a livello di ciascun centro di responsabilità. Lo
scostamento globale può essere negativo, nel caso il costo effettivo sia superiore a quello preventivo;
oppure positivo, nel caso inverso.
Ma tutto ciò non è sufficiente, adesso bisogna scomporre i singoli scostamenti globali, in scostamenti
elementari, questo può avvenire con metodologie diverse a seconda che si tratti di costi variabili, fissi
o di ricavi.
- SCOSTAMENTO DI VOLUME:
Volume di produzione programmato x consumo unitario standard della materia x
prezzo unitario della materia
Meno
Volume di produzione effettivo x consumo unitario standard della materia x prezzo
unitario standard della materia.
Uno scostamento di volume non è giudicabile un fatto necessariamente negativo; esso può esserlo,
ma può anche costituire un fatto positivo, qualora il mercato sia in grado di recepirlo e qualora detta
maggiore produzione non comporti riflessi di tipo finanziario, negativi per l’azienda.
- SCOSTAMENTI DI EFFICIENZA:
Volume di produzione effettivo x consumo unitario standard della materia x prezzo unitario
standard della materia
99
Meno
Volume di produzione effettivo x consumo unitario effettivo della materia x prezzo
unitario standard della materia
- SCOSTAMENTO DI PREZZO:
Volume di produzione effettivo x consumo unitario effettivo della materia x prezzo
unitario standard della materia
Meno
Volume di produzione effettivo x consumo unitario effettivo della materia x prezzo
unitario effettivo della materia.
Effettuati i calcoli relativi agli scostamenti parziali è possibile ricostruire lo scostamento globale dalla
cui analisi si è partiti.
La formula per il calcolo del costo variabile standard, precedentemente analizzata, non è applicabile
a tutti i tipi di fattori produttivi, ma soltanto a quelli per i quali è possibile calcolare in modo univoco
la quantità di fattore occorrente per ottenere una unità di prodotto. Quindi, l’analisi dello
scostamento dei costi fissi risulta assai meno articolata rispetto a quella dei costi variabili. Di fatto,
essa consiste nel semplice confronto fra valore di budget e quello effettivo, dalla cui differenza deriva
lo scostamento globale di spesa.
Per detta categoria di costi è possibile determinare un ulteriore e diverso tipo di scostamento, che
viene denominato come scostamento di volume, o di assorbimento. Esso si determina quanto
il volume della produzione effettiva si discosta da quello programmato. Ed infatti, pur se, a livello
della loro entità complessiva, o totale, detti costi non risentono delle variazioni del volume di
produzione, dette variazioni tuttavia, incidono a livello di costi fissi unitari (costo fisso/volume di
produzione= costo fisso unitario).
Questi ultimi: - aumentano, in relazione al loro ammontare previsto, se la produzione effettiva è
inferiore a quella programmata; - diminuiscono, se si realizza l’ipotesi opposta (produzione effettiva
maggiore rispetto a quella programmata). Nel primo caso, si parla di scostamento negativo di
volume dei costi fissi, ovvero sotto-assorbimento dei medesimi; nel secondo, si parla di scostamento
positivo di volume dei costi fissi, o sopra-assorbimento dei medesimi.
La formula è costituita da due elementi: - un primo termine (costo fisso di budget), che costituisce il
minuendo della sottrazione; - un secondo termine (c.f. budget/ v.p. x volume effettivo) che ne
costituisce il sottraendo.
• Se la produzione effettiva supera quella programmata, il secondo termine risulterebbe maggiore
del primo, determinando un sopra-assorbimento.
• Se la produzione effettiva è minore di quella programmata, il secondo termine è minore del
primo, determinando un sotto-assorbimento.
Anche per i ricavi lo scostamento globale deve essere scomposto in scostamenti elementari.
La scomposizione differisce se l’azienda produce un solo o più prodotti.
100
Se l’azienda produce un solo prodotto, allora le principali componenti dei ricavi di vendita
saranno costituite da: il volume di vendita; il prezzo unitario di vendita.
- SCOSTAMENTO DI PREZZO:
Volume di vendita effettivo x prezzo standard unitario di vendita
Meno
Volume di vendita effettivo x prezzo effettivo unitario di vendita
Nell’ipotesi, invece, che l’azienda produce più prodotti alla due componenti elementari dei
ricavi già prima di individuare si aggiunge:
- Mix dei prodotti (composizione percentuale dei prodotti da vendere, cioè peso percentuale del
prodotto A, del prodotto B, sul totale delle vendite).
Se, infatti, l’azienda produce una pluralità di prodotti e li vende a prezzi diversi, allora a parità di
volumi complessi di vendita, potranno corrispondere ricavi complessivi diversi, sulla base di diversi
mix di prodotti venduti.
Tale scostamento elementare è ulteriormente scomponibile, per determinare quanta parte di esso
derivi dalla variazione del volume complessivo e quanta dalla variazione del mix delle vendite.
101
L’analisi degli scostamenti è un’utile strumento per verificare le cause di tali differenze tra valori
programmati e valori consuntivi e di imputare le relative responsabilità ai responsabili, che sono, il
più delle volte soggetti operanti all’interno dell’azienda. Però non è sempre possibile individuare il
responsabile in quanto molti scostamenti possono essere il risultato di decisioni ed operazioni
intraprese da più persone facenti capo ad aree di responsabilità differenti. In secondo luogo uno
scostamento può essere la conseguenza di fenomeni esterni all’azienda non imputabili a nessuno.
Per quanto riguarda l’analisi degli scostamenti dei costi variabili, nell’analizzare le responsabilità
si fa riferimento al centro produttivo in cui la manodopera ed i materiali vengono impiegati e cioè si
fa riferimento al modo in cui ha saputo gestire le risorse, però può accadere che la responsabilità del
capo del centro produttivo sia limitata, in quanto lo scostamento deriva dalla qualità del materiale
scadente. Nel caso di scostamenti di volume e di prezzo si fa attenzione agli enti addetti
all’acquisizione e gestione delle risorse. In merito ai costi fissi per quanto riguarda lo scostamento
di spesa il responsabile è il capo del centro produttivo, in quanto influenza direttamente costi come
la manodopera indiretta, gli stipendi, la manutenzione, però si tratta anche di risorse il cui costo
dipende in buona misura da scelte di lungo periodo, nelle quali si fa sentire il peso di organi di livello
superiore.
Sullo scostamento di assorbimento si può notare che il capo del centro produttivo è il
responsabile del sotto-assorbimento, in quanto non ha saputo frenare fenomeni come l’assenteismo.
Nel caso dei ricavi di vendita l’attenzione di sofferma sull’area commerciale ed in particolare
centri di ricavo. Perché il comportamento di tali organi sia rivolto verso la giusta direzione è
opportuno che gli scostamenti, ed in particolare quello di mix, vengano espressi in termini di
margine lordo di contribuzione anziché in termini di ricavo.
Le aziende consapevolmente e razionalmente governate, pongono tutto il loro impegno nella ricerca
e nella sperimentazione continua di nuove strategie per migliorare le proprie potenzialità di sviluppo
e di successo, mediante la programmazione e controllo della propria performance economica. La
performance economica dell’azienda costituisce la sintesi dei risultati del variegato impegno
dell’organizzazione, mediante un certo disegno strategico; essa è misurata dal grado di economicità
raggiunto, per effetto dei livelli di efficacia ed efficienza, conseguiti nello svolgimento delle proprie
attività gestionali,
Vi sono tre fasi, a cui corrispondono, con il passare del tempo, livelli crescenti di complessità
gestionale, e modalità di misurazione delle prestazioni sempre più differenziate e multidimensionali.
1. Fase: ORIENTAMENTO ALLA PRODUZIONE E ALL’EFFICIENZA: questa fase si colloca
nei primi anni 50-60, si caratterizza per dei tassi di crescita dei mercati in continua espansione.
La domanda in continua ascesa ha come riferimento prodotti legati a bisogni di tipo primario e
poco differenziati. Il prezzo costituisce l’elemento di competitività principale per acquisire ed
espandere la quota di mercato. In questo scenario vi è una marcata stabilità, e la strategia delle
imprese è volta alla massimizzazione dei volumi di vendita, e al contempo a standardizzare il più
possibile le produzioni allo scopo di ridurre i costi. L’attenzione è focalizzata sull’economia di
scala. Questo tipo di impostazione è nota come Fordista. In questa fase storica, la produzione è
la funzione più rilevante all’interno dell’azienda. La programmazione e il controllo aziendale
vengono in questo periodo, dedicati ad approfondimenti di carattere contabile cioè le
performance sono misurate da parametri monetari. Secondo questa prospettiva i costi
102
rappresentano la variabile cruciale è per questo motivo che l’attenzione del sistema di
misurazione si articola attorno ad essi;
2. Fase: ORIENTAMENTO AL MERCATO: a partire dagli anni 70’, la progressiva saturazione
dei mercati determina una correlativa riduzione della domanda, che assume sempre maggiori
esigenze di differenziazione. La risposta strategia delle imprese di fronte a detta riduzione dei
tassi di sviluppo della domanda consiste in un maggiore orientamento ai bisogni del mercato. Le
aziende si orientano verso un progressivo processo di differenziazione dei comportamenti
competitivi. Nasce la necessità di trovare la soluzione su misura per ciascuna realtà, la cui
validità non permane stabile per lunghi periodi di tempo. Il prezzo non costituisce più il fattore
critico di successo per eccellenza e affiorano altri termini quali la capacità di offrire un prodotto
diverso nei sui contenuti intrinseci o nei servizi che lo compongono. Dal punto di vista tecnico-
produttivo, il venir meno delle possibilità di standardizzazione determina una riduzione nei
livelli di efficienza e di produttività e un aumento dei costi. Uno strumento di difesa contro
l’aumento dei costi viene individuato nell’innovazione tecnologica. Ulteriori soluzioni vengono
individuare nell’adozione di configurazioni organizzative decentrate e divisionali e di filosofie
produttive di tipo just in time. A fronte di questi profondi mutamenti, il sistema di misurazione
delle performance aziendale è ancora focalizzato su parametri di natura contabile monetaria.
Progressivamente si manifestano i sintomi di una crisi dell’apparato contabile della
programmazione e del controllo, detta crisi deriva dal venir meno del paradigma della crescita
dimensionale continua come fondamentale causa ed effetto del successo aziendale, nonché del
prezzo di vendita quale unico strumento ed arma competitiva. In particolare, del budget muta
l’utilizzo: da strumento informativo e decisionale a strumento organizzativo, inteso come
generatore di comportamenti da parte dei responsabili orientati agli obiettivi. Di fatto, l’aspetto
contabile del budget va perdendo rilievo; il controllo budgetario, viene in questa fase utilizzato
per sviluppare tensione verso gli obiettivi aziendali.
3. Fase: ORIENTAMENTO AL CLIENTE: con questa fase si giunge ai giorni nostri; si assiste a
una ulteriore saturazione dei mercati e a condizioni di instabilità più intense, ciò determina cicli
di vita dei prodotti sempre più brevi. Il contesto competitivo si modifica continuamente e
rapidamente e la ricerca di condizioni di efficienza ed efficacia sono sempre più esasperate. La
strategia di differenziazione è ora orientata al cliente, tesa a cogliere i suoi specifici bisogni:
l’azienda pero lo sviluppo di un prodotto, deve analizzare le aspettative e le preferenze del suo
cliente, cercano di soddisfare le sue esperienze; i clienti ricercano la soddisfazione dei propri
bisogni, che possono essere di vario tipo. Ogni scelta dell’impresa viene coi presa sulla base del
presumibile valore che essa genera per il cliente; questi dispone di migliori informazioni e valuta
ciò che gli viene proposto. L’attenzione e l’impegno per la soddisfazione del cliente, produce
effetti positivi a beneficio del medesimo, ma anche a beneficio dell’azienda, infatti un cliente
soddisfatto tende a : essere fedele; accettare di pagare un premium price; rappresentare una
barriera all’entrata per i concorrenti; svolgere una azione promozionale per l’impresa;
presentare inferiori costi di gestione e di servizio rispetto ai nuovi clienti.
In una logica orientata alla customer satisfaction assumono rilievo oltre al prezzo, il servizio,
l’assistenza, la qualità la capacità di introdurre nuovi prodotti in anticipo rispetto ai concorrenti. Il
valore aggiunto che l’azienda è in grado di produrre viene cosi a concretizzarsi anche tramite
l’acquisizione di vantaggi competitivi sempre più complementari al mercato produttivo; assumono
importanza sopratutto i fattori immateriali: ricerca e sviluppo, risorse umane, qualità; il baricentro
del processo di creazione del valore si sposta dalla produzione alla commercializzazione. Tale nuovo
orientamento porta alla formulazione di nuovi modelli organizzativi di competitività in grado di
allineare il sistema aziendale con i reali bisogni espressi dai clienti.
Tra le risposte organiche vi sono quelle basate sulla qualità totale (total quality management), sul
fattore tempo (time based competition) e sull’apprendimento. Contemporaneamente , si assiste a
una progressiva focalizzazione della ricerca della competitività sulle competenze distintive di base
dell’azienda (core competencies) che costituiscono l’apprendimento collettivo nel coordinare e
integrare know-how diversi in modo da acquisire e sviluppare vantaggi competitivi. La ricerca di
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efficienza porta ad una reintegrazione dei processi aziendali, ricercando modalità e soluzioni in
grado di ridurre i costi tramite la progressiva eliminazione di tutte le attività non necessarie, e la
creazione di valore per il cliente.
La citata strategia, la ricerca della flessibilità, la ricerca dell’innovazione, rendono sempre più
evidente l’insufficienza degli strumenti contabili tradizionali del controllo ad assumere decisioni e
scelte coerenti con la predette strategie. I parametri per la misurazione dei risultati basati
esclusivamente su indicatori monetari di tipo contabile devono essere integrati con altri, di tipo
qualitativo, espressivi del nuovo comportamento strategico orientato, non solo all’efficienza, ma
anche all’efficacia dei processi. I paramenti da utilizzare per la misurazione dei risultati che
scaturiscono da dette strategie devono, possedere caratteristiche diverse rispetto al passato:- devono
essere capaci di focalizzarsi sui nuovi fattori critici di successo; - devono essere utili non solo a
misurare i risultati interni dell’azienda, ma devono essere maggiormente orientati verso l’esterno; -
devono essere tali da applicarsi a nuove tipologie di oggetti di riferimento, per nuovi obiettivi
conoscitivi. Le misure di performance vogliono un ruolo volto a permettere di gestire e migliorare i
processi organizzativi e gestionali dell’azienda.
La performance aziendale non va quindi solamente misurata, essa va gestita e migliorata. Misurare
la performance significa comprendere se quanto ipotizzato è stato raggiunto. Gestire la performance
riguarda il governo degli enti, attività, processi aziendali che ne sono alla base. Migliorare la
performance significa conseguire obiettivi di miglioramento dell’efficacia ed efficienza dei processi
aziendali.
Negli anni 70’ le metodologie di rilevazione e controllo dei costi erano entrate in una profonda crisi.
Ciò era dovuto, da un lato al fatto che sembrava che non vi fossero più margini per un ulteriore
affinamento contabile poiché strumenti e metodi erano stati ampiamente sviscerati; dall’altro, si
sottolineava l’inettitudine del controllo budgetario e, quindi, della contabilità direzionale, ad assistere
le aziende nei loro percorsi strategici, divenuti assai dinamici in risposta ai mutamenti ambientali. La
contabilità analitica misura efficacemente i costi variabili, consentendone il controllo attraverso gli
standard. La determinazione e l’utilizzo di questi ultimi consente l’esplicitazione della rilevazione tra
leve decisionali azionate e risultati ottenuti.
L’importanza nella realtà delle imprese, in quel periodo, per cui i costi variabili facilmente
controllabili diminuivano la loro incidenza, mentre crescevano i costi fissi. A causa di ciò, nel nostro
paese, molte aziende che avevano introdotto il budget non fecero il passo successivo, della
introduzione della contabilità analitica, considerata troppo costosa. Acquistava spazio all’interno
delle aziende più evolute, l’introduzione del controllo strategico, quale tentativo di orientare i
manager verso orizzonti di lungo periodo. I due sistemi di programmazione e controllo,
direzionale e strategico, crescevano separati nelle aziende. Il controllo budgetario
rispondeva ad un preciso orientamento strategico (crescita dell’efficienza produttiva) e la contabilità
analitica riproduceva un ambiente produttivo ancora scarsamente automatizzato e quindi con una
incidenza significativa dei costi variabili.
La ricomposizione dell’efficacia e dell’efficienza nel budget avvenivano grazie alla misurabilità, dei
fenomeni rilevanti, in termini quantitativo-monetari e alla rappresentabilità del loro
contemperamento tramite lo strumento del bilancio. La relativa stabilità ambientale faceva si che le
strategie si sviluppassero per evoluzioni graduali e progressive e assegnando un ruolo centrale al
governo dei volumi di produzione e di vendite. Fissare e realizzare correttamente gli obiettivi di
budget significava muoversi nella direzione indicata dalle strategie.
Il controllo direzionale si aggancia strettamente al budget, attraverso confronti con i risultati
effettivi, mentre quello strategico si focalizza sulla direzione di marcia, piuttosto che sulla
realizzazione dei programma e dei piani aziendali. Il budget resta, ad oggi, uno strumento
fondamentale, e il controllo direzionale deve affiancare ai parametri quantitativo-monetari, altri
indicatori qualitativi e comunque aggiuntivi rispetto al budget.
104
La contabilità dei costi, che parte da un assunto di neutralità-oggettività dal dato rilevato, tende ad
ottenere la maggiore precisione del dato medesimo, attraverso l’individuazione delle determinanti di
costo, rimanendo, comunque influenzata dalla logica dei volumi. Nasce l’esigenza di passare da
questa contabilità tradizionale, ad una nuova contabilità dove, di volta in volta si individuano le vere
relazioni tra consumo delle risorse ed attività realizzate. Fra le metodologie innovative in questo
senso si possono individuare quelle differenti al vasto ambito del cost management, e in particolare
quella dell’attivity based costing.
Per Activity based costing si intende una metodologia di determinazione, del costo di prodotto
che si basa su una configurazione di costo pieno, o complessivo, sui generis. Gli elementi
fondamentali sui quali poggia detta metodologia sono rappresentati dal concetto di attività (come
insieme elementare di operazioni tecnicamente omogenee), e da quello di cost driver
(determinante dei costi sostenuti per lo svolgimento di un’attività).
L’idea di base su quale si fonda detto approccio alla determinazione dei costi può essere cosi
sintetizzato:
Per tanto il costo ABC è un costo caratterizzato da misurazioni per ottenere le quali
non si ricorre ad alcuna ripartizione.
Ciò implica che dovrebbero essere esclusi dal calcolo del costo tutti i costi di quelle attività che non
hanno legami con lo specifico prodotto, ovvero che non influenzano il cost driver (costi attività
amo.ve, ricerca e sviluppo, marketing).
L’assenza del metodo ABC della necessità di ricorrere a ripartizione di costi acquista particolare
importanza se si pensa che la principale critica che colpisce i tradizionali metodi di determinazione
del costo di prodotto è dovuta all’arbitrarietà con cui vengono ripartiti i costi indiretti ed alle
conseguenti distorsioni provocate alla misura del costo complessivo. Ma un più rilevante pregio
consiste nel fornire informazioni di costo maggiormente significative rispetto al metodo tradizionale;
esso consente in altri termini, di adottare decisioni manageriali più corrette in rapporto alla strategia
prescelta.
Oggi in un era non più di produzione di massa, orientata ai volumi, ma di differenziazione, l’attività
delle diverse aree funzionali può essere estremamente diversa per i diversi prodotti. Inoltre in molti
casi i costi di maggior livello nella gestione non sono più quelli di produzione ma sono quelli delle
cosi dette attività di supporto, sviluppate dall’aree funzionali di ricerca e sviluppo, marketing , ecc.
Sono quindi centri di costo indiretti rispetto ai prodotti. Questi ultimi addobbano l’attività, e quindi,
105
i costi di detti centri indiretti, non in modo omogeneo, ma in rapporto alla loro diversa complessità
gestionale.
In effetti, l’analiticità del metodo ABC, consente di evidenziare molteplici metodologie di motivi di
consumo, o di assorbimento, delle varie attività da parte dei diversi prodotti; cioè consente di
evidenziare il diverso grado di complessità gestionale insita nella produzione di ciascuno di essa. La
molteplicità dei mercati, delle linee di prodotti, dei tipi e dei segmenti di clientela, spingono alla
crescita dei costi aziendali e fanno emergere l’esigenza di comprenderne le cause sottostanti; detta
complessità è diretta conseguenza delle nuove e più complesse logiche competitive tendente ad una
sempre più marcata differenziazione. I costi di prodotto misurati attraverso la metodologia ABC
realizzano un raccordo tra strategie perseguite e livello di efficienza, mediante la determinazione del
costo delle attività.
La novità emergente è quella di considerare i costi variabili o fissi, non in base al variare del volume
produttivo, bensì al variare della complessità gestionale definita in termini di differenziazione della
gamma produttiva. Utilizzando questa prospettiva i costi variabili risultano essere più numerosi
rispetto a quanti ne risultano utilizzando la visione tradizionale; detti costi sono denominati costi
variabili nel lungo periodo, di un prodotti (costi legati a nuove esigenze, per la progettazione). I
costi in considerazione subiscono variazioni, di norma, non immediate, in quanto frutto di decisioni
discrezionali non automaticamente esecutive proprio per questo si parla di costi variabili nel lungo
periodo.
Il calcolo del costo di prodotto mediante il sistema ABC che ne determina appunto, il costo pieno,
tenendo conto dei differenti gradi di complessità gestionale che li caratterizza, può quindi, essere
visto come strumento da utilizzare per l’applicazione più corretta del ragionamento differenziale
nelle decisioni aziendali.
Il report del costo di prodotto con ABC si articola tale da favorire una pronta ed efficace presa di
coscienza da parte della direzione aziendale.
- Si passa da una struttura di costi tradizionale: materie dirette, lavoro diretto, altri costi diretti,
costi entro produttivo X, costi entro produttivo Y, costi centro produttivo Z;
- Ad una struttura per attività: materie dirette, lavoro diretto, altri costi diretti, costi attività A, costi
attività B, costi attività C.
Mentre la prima struttura riflettere una chiave di lettura organizzativa la seconda ne rispecchia una
gestionale, e quindi più idonea a rappresentare efficacemente le informazioni necessarie per il
governo razionale e consapevole della gestione. Conoscere, infatti, i processi gestionali, cioè,
analizzare le caratteristiche delle risorse impiegate e delle metodologie utilizzate, significa acquisite
tutte le informazioni necessarie al fine di capire le determinanti di una migliore performance e
quindi governare più efficacemente e concretamente.
Le fasi logiche della metodologia ABC possono essere sintetizzate nel modo seguente:
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impiegate; l’output associabile a ciascuna delle attività individuate; i fattori in grado di
influenzare in modo diretto l’insorgere e l’intensità delle diverse attività (cost driver). Particolare
rilevanza assume la capacità di identificare i fattori che sono in grado di influenzare lo
svolgimento delle attività. Questi fattori sono detti cost driver e la loro corretta individuazione
rappresenta uno dei passaggi fondamentali per la costruzione del sistema ABC. I cost drivers
rappresentano l’elemento di collegamento tra le singole attività e l’oggetto di riferimento; con
riferimento alle attività, essi rilevano l’intensità con cui queste ultime vengono svolte, mentre con
riferimento all’oggetto di riferimento, esse descrivono le modalità di consumo di tali attività.
Occorre, inoltre, prendete in considerazione anche il costo di misurazione del cost driver; detto
costo potrebbe, infatti, risultare eccessivo e non conveniente, se la rilevazione fosse
eccessivamente complicata e difficile. A ciò si aggiunga il rischio che si può correre
nell’individuazione delle varie attività, quando l’analisi sente eccessivamente nel dettaglio. Si può
a tal fine sottoporre l’azienda ad una preventiva analisi volta ad individuare aree funzionali e
attività che generano costi indiretti particolarmente rilevanti e crescenti nel tempo. Ciò
consentirebbe di disporre di una mappa delle criticità cui fare riferimento in fase di definizione
di livello di dettaglio con cui condurre l’analisi. Le aree critiche saranno quelle che
richiederanno maggiore attenzione in termini sia di dettaglio di rappresentazione che di cost
drivers da attivare.
C. Determinazione dei costi delle attività: il costo delle attività viene determinato come
somma dei costi delle risorse che le attività stesse assorbono nel orso del loro svolgimento. Le
categorie di spesa maggiormente significative sono: costi del personale, costi della tecnologia,
servizi esterni, energia. Il calcolo del costo delle varie attività può essere realizzato
essenzialmente in 2 modi: il primo impiega il piango dei conti dell’azienda e attraverso
parametri di ribaltamento provvede ad eliminare i valori di costo delle singole attività (pag 6126);
il secondo metodo si avvale di eventuali sistemi di contabilità analitica e utilizza i report sui
costi esistenti, riclassificando i dati in essi contenuti; cioè i costi totali relativi ai vari centri di
costo sono ripartiti con riferimento alla realizzazione delle singole attività svolte all’interno dei
centri di costo stessi (pag 613).
D. Attribuzione dei costi delle attività all’oggetto di riferimento: i cost driver individuati
nella fase precedente vengono ora utilizzati allo scopo di aggregare le varie attività in base alla
capacità dei medesimi di spiegarne l’insorgere e l’intensità- dette aggregazioni (activity cost pool)
consistono, quindi, nel sommare il costo di tutte le attività che si trovano ad avere il medesimo
cost driver, essi costituiscono delle mere costruzioni contabili utili per attribuire i costi agli oggetti
di riferimento. I valori riportati nei singoli ACP vengono distribuiti sugli oggetti di costo in
relazione al consumo che essi fanno delle attività associate all’ACP sulla base appunto del
medesimo cost driver. In questo modo i costi delle attività vengono attribuiti all’oggetto di
riferimento effettuando una stima del costo per unità di attività che è uguale al rapporto tra il
costo totale delle attività e la frequenza di ripetizione dei cost driver.
Qualora la capacità produttiva non sia completamente utilizzata, nasce il problema legato alla
scelta del valore di frequenza; questo può avere due distinte soluzioni:
- Quando l’azienda opera in condizioni pressochè costanti di capacità produttiva satura, si
considera il valore di frequenza del cost driver effettivamente rilevato nel periodo considerato;
- Quanto, invece, si verifichino frequenti fasi di non saturazione della capacità produttiva, si
considera, allora un valore standard, prevedendo cioè un ragionevole livello di impiego della
capacità produttiva disponibile. In questo modo agli oggetti di riferimento è attribuita soltanto la
quota di costi comuni correlativi alla capacità produttiva effettivamente utilizzata, e la parte
residua è considerata un costo di periodo.
107
costituisce, l’origine del consumo delle risorse tecnologiche, materiali, di know-how e di lavoro
umano, che determinano i costi aziendali. Lo svolgimento delle attività, in altre parole, è la ragione
per la quale un organizzazione aziendale sostiene dei costi.
Un’attività viene definita come un aggregazione di operazioni elementari, nello svolgimento della
quale si combinano gli apporti di persone, materiali, tecnologie, attrezzature, strutture che
rispondendo ad un know-how specifico, trasformano input fisici per ottenere output fisici.
Dal punto di vista organizzativo ogni attività si colloca in un area funzionale sulla base di una logica
di specializzazione funzionale.
Sul piano operativo, invece, le attività volte alla creazione di valore per i clienti mediante la
produzione di prodotto o servizi, non è il risultato di lavoro di singole funzioni ma di processi
gestionali, costituiti da attività svolte in modo coordinato dalla diverse unità organizzative. I
prodotti, o servizi, infatti fluiscono lungo il sistema aziendale e arrivano al cliente attraversando
orizzontalmente le varie aree funzionali.
Il processo gestionale può essere definito come un sistema di attività logicamente correlate per
produrre una specifica output rivolto a soddisfare un determinato cliente.
In linea teorica, quindi, un insieme di operazioni costituisce un attività mentre un insieme di attività
costituisce un processo.
Gli elementi che caratterizzano un attività/processo gestionale sono cosi riassumibili: - ogni attività/
processo ha un’unica finalità ed un unico output; - ogni attività/processo ha specifici clienti ai quali
sono destinati gli output; - l’attività o il processo attraversa i confini organizzativi nel senso che può
richiedere la partecipazione di diverse unità organizzative. L’intero funzionamento di un’impresa
può essere rappresentato attraverso un sistema di processi o di attività tra loro collegati. Un analisi
sui diversi modelli di lettura dell’organizzazione aziendale in termini di processi è svolta da
Toscano. Nel suo studio si fa riferimento a Davenport che suggerisce un interessante schema
generale che articola l’azienda in 12 processi distinti tra processi operativi e direzionali (vedi pag.
618).
Toscano propone un quadro generale riassuntivo, secondo il quale si identificano 5 macro processi
espressivi dei principali momenti che caratterizzano il funzionamento di un azienda, tali processi poi
si articolano a loro volta in sotto processi (vedi pag. 619).
Toscano fa notare come nel modello si procede ad una descrizione dell’azienda focalizzando
l’attenzione su ciò che viene fatto dalla risorse che operano nell’azienda stessa. Si tratta di quei
processi necessari per il funzionamento di qualunque tipologie di imprese, ovvero: sviluppare un
nuovo prodotto sevizio, approvvigionarsi di materie prime, fattura al cliente ed incassare, acquisire e
sviluppare risorse umane, acquisire e mantenere le tecnologie.
L’avere analizzato le attività e mappato i processi, consente di disporre di una conoscenza della
gestione molto più approfondita. Il passo successivo deve essere quello di intraprendere gli opportuni
interventi di misurazione ed intervento con l’eventuale ridisegno e semplificazione dei processi.
L’individuazione dei cost drivers costituisce un altro momento fondamentale della metodologia
ABC. Essi rappresentato il motivo per cui si svolgono le attività, si sottendono i costi e si verificano le
variazioni nel loro ammontare.
Occorre, innanzitutto stabilire gli obiettivi della misurazione: - nel caso di una rilevazione finalizzata
alla determinazione del costo di un determinato oggetto, quasi sempre la scelta del cost drivers è
costituita delle misura di attività; - nel caso in cui, l’analisi si ponga come obiettivo la gestione dei
costi, il ragionamento è più articolato.
La gestione del costo e i tentativi per un suo contenimento posso riguardare, infatti, sia la ricerca di
modalità alternative di svolgimento delle attività al fine di aumentare l’efficienza e l’efficacia, sia la
ricerca dei fattori a monte dell’insorgenza al fine di operare su di essi. L’analisi del cost driver
potrebbe essere ulteriormente ristretta ai fattori produttivi impiegati per svolgere le suddette attività.
108
Si tratta di entrare nel merito delle risorse impiegate per compiere tali attività ricercando i motivi
alla base della loro presenza.
Shank-Govindarajan approfondiscono il tema della tipologia di cost driver ai fini della gestione
dei cost e ne propongono una classificazione basata su due livelli:
1. Strutturale;
2. Operativo;
Le opportunità che l’ABC offre alla direzione come strumento per il governo razionale e
consapevole delle aziende possono ricondursi essenzialmente:
1. Alla formulazione di valutazioni di convenienza economica nelle decisioni aventi
per oggetto i prodotti;
2. Al controllo dell’efficienza nello svolgimento delle varie attività della gestione e alla
conseguente formulazione di eventuali decisioni riguardanti le attività stesse;
3. Alla razionale programmazione del budget dei costi;
Per quanto riguarda il primo punto occorre osservare che la configurazione di coso che si ottiene
mediante l’impiego della metodologia in oggetto, è una configurazione di costo complessivo; esso
include sia i costi diretti che i costi indiretti imputabili al prodotto sulla base delle attività dalle quali
esso deriva e dai cost driver che ne misurano l’assorbimento. Il costo di prodotto ABC include
risorse dirette e indirette, attività produttive e di supporto, nel suo importo complessivo costituisce
una informazione corretta e utile se per la decisione sotto esame sono rilevanti anche i costi indiretti.
Questa condizione si verifica per le decisioni cosiddette strategiche o di lungo periodo.
Il secondo tipo di possibilità applicativa dell’ABC riguarda il monitoraggio dell’efficienza
economica della gestione ai fini del miglioramento della stessa, mediante interventi che mirano a
ridurre il consumo di risorse, individuando eventuali sprechi, mediante interventi che mirano a
ridurre il consumo di risorse, individuando eventuali sprechi o utilizzi non economici. La
109
localizzazione di detti sprechi risulta agevolata dal fatto che l’analisi viene svolta sulla base di attività
anziché da centri di responsabilità. Il vantaggio offerto dall’ABC rispetto ad un sistema basato sui
centri di costo, sta nel fatto che, con il primo è possibile risalire ai costi delle singole attività, con il
secondo si riesce a quantificare in termini economici il contributo che ogni unità organizzativa ha
dato alla produzione stessa.
Le considerazioni fin ora svolte si riferiscono ai costi dei prodotti; tuttavia indipendentemente dal
calcolo del costo di prodotto, l’attribuzione dei costi alle varie attività ha di per se una grande utilità
ai fini dell’acquisizione e della crescita manageriale. In questo caso, quando le attività sono
aggregate ai processi ai fini della verifica della loro efficienza ed efficacia strategica, ci si muove in
una logica definita Activity based management: mediante questa modalità di gestione è
possibile decidere in modo razionale e consapevole le modifiche da apportare ai vari processi
gestionali, conoscendone analiticamente i costi effettivi. In sintesi, si può affermare che gli approcci
basati sulle attività possono rappresentar un utile strumento a disposizione del management per
affrontare il tema della riduzione dei costi.
Il terzo campo di applicazione della metodologia ABC è quello della corretta programmazione
delle risorse indirette nella predisposizione del budget dei costi generali. Sono note le difficoltà
oggettive nel quantificare le risorse occorrenti al funzionamento dei centri di staff dell’area
amministrativa, commerciale, produttivo-logistica o di altre funzioni. Si tratta in sostanza di costi
non parametrizzabili con analisi e calcoli tecnici. Sono note anche le tecniche con cui le aziende
hanno tentato in passato di minimizzare il rischio di tenere in piedi strutture esuberanti, senza
cadere nell’errore di operare tagli indiscriminati di risorse: il budget a base zero (ZBB) e l’over head
value analysis (OVA), ne sono esempi emblematici.
Una volta quantificato il corretto fabbisogno di risorse indirette mediante le informazioni ricavate
dall’ABC, ciò non significa automaticamente che quello sarà il costo da iscrivere a budget. Pertanto,
a livello di budget è possibile che si iscrivano costi il cui ammontare non riflette ancora la struttura
economica ottimale auspicata.
Occorre cioè del tempo affinché sia fattibile la riduzione di risorse in eccesso. Risulta acquisita
grazie all’ABC, la consapevolezza del giusto ammontare del fabbisogno delle risorse in questione e si
è in grado di pianificare la graduale razionalizzazione economica di aree aziendali che spesso
sfuggono ad un serio processo di pianificazione e controllo.
Risulta assai difficile attribuire ai prodotti, i costi di quella attività che con essi non hanno alcuna
significativa relazionale (critiche di carattere operativo/oggettivi): si tratta principalmente della
quantificazione: del cost driver nel suo volume totale, attività per attività; del cost driver di attività, a
livello di prodotto.
Difficoltà legate alla individuazione delle attività. Le attività possono essere migliaia e quindi
difficilmente rappresentabili in modo organico; in questo senso il sistema ABC si manifesta
eccessivamente analitico e complesso e richiede tempi di analisi e di intervento assai lunghi.
Ulteriori critica riguarda l’analisi dei cost driver per la riduzione dei costi. Spesso, intervenendo con
iniziative finalizzate a contenere la frequenza di tali determinanti e quindi l’insorgenza di costi, si
può correre il rischio di compromettere la fonte di vantaggio competitivo o di differenziazione
dell’impresa. Al di la delle suddette critiche di carattere operativo e teorico, può affermarsi che nel
complesso la disponibilità di un sistema di cost accounting basato su logiche ABC rappresenta un
importante elemento di base per sviluppare significativi progetti di cost management. È pero
importante sottolineare che gli approcci basati sulle attività non devono essere accolti in modo
meccanicistico, ma in termini strumentali e cioè come una possibile modalità per acquisite
conoscenza e consapevolezza e per avviare analisi più complesse e articolate all’interno dell’impresa.
L’utilizzo di dette metodologie dovrebbe presupporre l’interiorizzazione delle seguenti
considerazioni: i costi non possono essere valutati in termini assoluti, ma in relazione al valore che
essi procurano all’utilizzatore delle corrispondenti risorse; le decisioni di costo in una determinata
area possono comportare scompensi in altre aree aziendali; le condizioni di funzionamento di un
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area sono influenzate da quelle delle altre con cui è posta in relazione; ogni decisione di costo va
valutata in relazione al suo impatto sulle variabili strategiche e organizzative dell’azienda.
Alla fine di tale ampia illustrazione della metodologia ABC, è lecito chiedersi se essa debba sostituire
la contabilità per centri di costo, o se possano coesistere in due sistemi all’interno della contabilità
direzionale di un’azienda. Tale coesistenza non è solo possibile ma è anche auspicabile,
dato che i due sistemi rispondono ad esigenze conoscitive diverse e complementari per
il governo aziendale. L’ABC svolge una funzione preziosa quale anello di congiunzione fra
efficacia strategica ed efficienza operativa. La contabilità per centri di costo è, invece, strettamente
correlata alla ricerca di conoscenze ed informazioni legate all’organizzazione dell’azienda e al
sistema di responsabilità che risulta definito dal disegno strutturale della medesima. In concreto, può
affermarsi che chi ha la responsabilità del governo dell’azienda ha bisogno di strumenti contabili
articolati e differenziati in funzione di una pluralità di scopi.
Il processo di evoluzione degli strumenti tradizionali del controllo di gestione, la ricerca di nuove
modalità e soluzioni innovative, al fine di trovare forme di adeguamento alle nuove esigenze della
programmazione e del controllo aziendale, ha determinato una progressiva nascita dei cost
management. Il termine cost accounting, o contabilità dei costi, delimita un contenuto ormai
troppo ristretto e insufficiente rispetto alle necessità gestionali che l’analisi e il calcolo dei costi
devono aiutare a soddisfare.
Il termine cost management sembra individuare meglio un’area di studio e applicazione che non
ha più come oggetto l’individuazione di metodologie per la misurazione dei costi, ma che fa della
misurazione lo strumento per la gestione dell’impiego delle risorse con obiettivi di massimizzazione
del rapporto tra risorse impiegate e risultati ottenuti. Sostanzialmente, il cost management, è
costituito da un insieme di modelli e di studenti di programmazione e controllo, che si pongono
l’obiettivo di dotare il management delle conoscenze e delle informazioni idonee ed impiegare
proficuamente le risorse in modo da realizzare prodotti competitivi in termini di costo, qualità,
funzionalità e tempestività. Suo può affermare che uno degli aspetti salienti del cost
management è quello di annoverare metodologie che legano l’efficacia all’efficienza, il
breve con il lungo periodo, la strategia con l’operatività, le condizioni generali del successo aziendale
con quelle particolari.
Si parla di cost management da quando si sono cominciati a sviluppare studi e ricerche di modelli di
management utilizzati dalle imprese giapponesi, nell’ambito della contabilità dei costi, che si
differenziano con il modo di operare delle imprese anglosassoni. Queste ultime imprese focalizzate
sul calcolo di oggetti di costo tradizionali, impiegavano le informazioni di costo essenzialmente per il
controllo della gestione mediante l’analisi degli scostamenti tra dati stima e consuntivi. Nelle imprese
giapponesi l’interesse più che sul calcolo dei costi è incentrato sulla loro riduzione e sulla loro
gestione in fase preventiva e di pianificazione. La pianificazione, la riduzione e il controllo dei costi
venivano realizzati in modo coerente con gli obiettivi strategici del miglioramento continuo e dalla
qualità totale. Modelli tipici di questa differente logica di analisi dei costi sono: il target costing, il
Life cyclecosting , la value analysis.
Gli eletti che consentono di individuare nel cost management un’area di studio autonoma rispetto
alla tradizionale contabilità direzionale, possono sintetizzati nella propria attenzione che viene
rivolta ai processi di riduzione, pianificazione, prevenzione e controllo dei costi, nonché negli
sviluppi degli approcci di determinazione dei costi basati sulle attività (ABC), più aderente alle nuove
logiche competitive delle imprese. Non esiste ancora una definizione condivisa di cost management.
Brinker introduce il manuale di cost management definendo tale ambito come l’insieme delle
tecniche e delle metodologie finalizzate a pianificare, misurare e fornire un feedback per migliorare
prodotti e processi di un’impresa, con lo scopo di dotare il management di informazioni per fornire
il valore, la qualità e la tempestività richiesti dai clienti.
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Beliner- Brimson, i quali evidenziano nel cost management la funzione di predisposizione di
informazioni per aiutare le imprese a impiegare proficuamente le risorse in modo da produrre
servizi o prodotti competitivi in termini di costo, qualità, funzionalità e tempestività. Altri studiosi,
individuano nel cost management, una funzione più ampia di gestione dei costi, che diventa governo
e processo finalizzato incrementare l’efficienza e l’efficacia aziendale.
Shank e Govidarajan definiscono il cost management come l’utilizzo di dati di costi nei processi
gestionali di formulazione e comunicazione della strategia a tutta l’organizzazione, di sviluppo e
attuazione delle stesse e di sviluppo e realizzazione di sistemi di controllo.
Horngren- Foster- Datar concepiscono il cost management come insieme delle azioni svolte dai
manager per il soddisfacimento dei clienti, tramite una riduzione e un controllo continuo dei costi.
Yoshikawa- innes- Mitchell- Tanaka interpretano il cost management come insieme delle
iniziative finalizzate e minimizzare i costi a incrementare l’efficienza nell’uso delle risorse.
Nell’analizzare i contenuti del cost management possono individuarsi alcune caratteristiche di base
ed alcuni ambiti di applicazione ricorrenti.
- Pianificazione, riduzione e controllo dei costi. Nella fase di pianificazione, il cost
management fa proprio il modello dell’analisi dei costi lungo l’intero ciclo di vita del prodotto (il
Life cycle costing), al quale può legarsi il target costing. Il primo modello definisce una
metodologia finalizzata alla pianificazione e alla riduzione dei costi complessivi di un prodotto,
tenendo presenta la prospettiva temporale legata al suo intero ciclo di vita. Il secondo modello,
individua un costo obiettivo tale da costituire un limite massimo di costo, congruente rispetto agli
obiettivi di redditività perseguiti dall’azienda. In fase di pianificazione risulta utile l’analisi del
costo della non qualità e si propone di mettere in evidenza il costo che di fatto si è costretti a
sostenere a causa dell’attuazione di un processo operativo caratterizzato da livelli qualitativi scarsi.
L’analisi del costo della mancanza di qualità, parte dal presupposto che l’entità del medesimo può
stimarsi come risultato della somma di quattro differenti categorie di costo, cioè, dei costi di
prevenzione, dei costi di valutazione, dei costi relativi a difetti interni, e costi relativi a difetti
esterni. L’analisi è la gestione di questi costi viene successivamente focalizzata su quei fattori che
ne determinano l’insorgenza, al fine di ricercare e avviare concreti progetti di miglioramento volti
a ridurre i difetti di produzione, di processo e di servizio. Infatti, mentre costi di prevenzione di
valutazione sono controllabili dell’intesa, i costi legati ai difetti sono conseguenze degli errori
commessi nella valutazione del processo e non sono da essa controllabili. È facili intuire come con
l’aumentare dei costi di prevenzione e di valutazione, quelli risultanti da errori tendono a
diminuire. La scelta del punto ottimale di equilibrio, che consente di minimizzare il costo
complessivo derivante dalla somma di tutte e quattro le categorie di costo, deve essere effettuata in
relazione al tipo di business e alla strategia perseguita dall’impresa. Una decisione di costo
controllabile va infatti considerata in relazione al beneficio che essa procura in termini di minor
costo. Ed è la riduzione dei costi che costituisce il secondo significativo ambito di
azione del cost management. Sheld-young individua nella tecnologia, nelle procedure,
nell’organizzazione della produzione e nell’integrazione tra le imprese alcune possibili fonti di
riduzione dei costi e in tal senso possono essere annoverate quelle innovazioni organizzative
produttive riconducibili ad esempio, al totalquality management e just in time. Un notevole
stimolo metodologico e operativo è pervenuto dallo sviluppo e dalla progressiva introduzione negli
studi e nella prassi degli approcci basati sull’attività. Gli approcci basati sulle attività possono
rappresentare un potente strumento a disposizione del management per affrontare il tema della
riduzione dei costi poiché essi, sono in grado di cogliere in modo più immediato le attività svolte, i
costi ad essi collegati i fattori che ne determinano l’insorgenza. Tramite questo tipo di approccio,
è possibile individuare attività superflue, oppure incidere sulla struttura dei costi aziendali tramite
interventi sui cost driver o innalzare la qualità dell’output erogato dall’unità organizzativa a favore
di altre unità interne o esterne. Il controllo dei costi rappresenta, infine, l’ultimo ambito
applicativo del cost management dal punto di vista in oggetto. Tramite tale attività ci si
112
assicura che le iniziative di cost management vengono realizzare in modo coerente rispetto agli
obiettivi e ai piani aziendali. Risulta evidente che il sistema di controllo del cost management deve
essere supportato da adeguati sistemi di valutazione e incentivazione delle prestazioni e dei
reporting.
- Estensione all’interno della catena del valore del business. Un altro significativo aspetto
del cost management è costituito dalla possibilità di estensione spaziale dell’analisi dei costi. Con i
cost management l’analisi può partire dal presupposto che i costi di un’impresa sono anche in
funzione delle logiche di funzionamento dell’impresa fornitrici, poste a monte, e di quelle clienti,
poste a valle del cosiddetto sistema del valore e i costi di queste ultime imprese sono in funzione
delle logiche di funzionamento all’impresa considerata. Ampliando l’analisi dei costi si possono
comprendete meglio le cause che sono alla base dell’insorgenza dei costi e cogliere notevoli
opportunità di miglioramento in termini di riduzione dei costi e di innalzamento del valore del
servizio realizzato. L’approccio in questione presenta numerosi punti di contatto con quelli basati
sull’analisi delle attività visti in precedenza. La lettura ampliata spazialmente nella dimensione
del costo presuppone, infatti, l’analisi delle attività e nell’analisi delle determinanti di costo delle
imprese coinvolte nel sistema di valore. Un elemento distintivo è però costituito dal fatto che gli
interventi tramite queste logiche debbano comportare dei vantaggi e dei benefici per tutte le
imprese coinvolte e un atteggiamento collaborativo tra le varie parti, non confinato ai singoli
aspetti contrattuali. L’efficacia di questo approccio risiede nell’effettiva creazione di valore per
tutti gli attori coinvolti nel sistema, dove ciascun cerca di comprendere come alleggerire i propri
costi e quelli del fornitore del cliente tramite una più efficace predisposizione di prodotti, servizi e
informazioni che permettono al partner di svolgere talune attività in modo più efficiente.
- Logica organizzativa interfunzionale. L’approccio presentati hanno in comune un aspetto
fondamentale. Essi presuppongono che le iniziative di cost management vengono promosse e
realizzare con il contributo di tutte le unità organizzative rilevanti al conseguimento di
determinati obiettivi di performance. Gli approcci possono essere realizzati in modo efficace solo
se si adotta la logica organizzativa di tipo interfunzionale, in cui ciascun progetto di cost
management vede il coinvolgimento operativo di tutte le funzioni aziendali, non solo a livello delle
singole imprese, ma anche a livello interaziendale. La centralità delle risorse umane è
fondamentali negli approcci di cost management. Le persone devono essere
adeguatamente formate, rese autonome nelle loro decisioni e devono essere motivate a realizzare
gli obiettivi aziendali. Il patrimonio di conoscenze e di informazioni del personale dell’azienda
può essere estremamente utile per attivare interventi, assolutamente impensabili da una sola unità
organizzativa.
- L’estensione a qualsiasi categoria d’azienda. L’ultimo aspetto significativo del cost
management è rappresentato dalla possibile applicazione a qualsiasi categoria d’azienda: da
quella di produzione quella di erogazione, da quella manifatturiera a quella di servizi, da quella
orientata al profitto a quella senza scopo di lucro. La pianificazione, la prevenzione, riduzione e
controllo dei costi possono essere riferite indifferentemente a tutte le tipologie di azienda.
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natura contabile e non; più che come apparato metodologico e strumentale il cost management
deve essere considerato come una filosofia del modo di concepire l’attività aziendale,
detta filosofia si innesta nel modo di attuare la formula imprenditoriale prescelte, e quindi, nel modo
di gestire le risorse umane, di sviluppare i processi innovativi, di attuare la strategia aziendale; un
aspetto rilevante del cost management è che in esso, i costi debbano essere analizzati con un
andamento delle variabili strategiche e organizzative su cui si basa il funzionamento dell’azienda.
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