Surrealismo
Surrealismo
Surrealismo
La nascita della psicologia moderna, grazie a Freud, ha fornito molte suggestioni alla produzione artistica della prima
metà del Novecento. Soprattutto nei paesi dell’Europa centro settentrionale, le correnti pre-espressionistiche e
espressionistiche hanno ampiamente utilizzato il concetto di inconscio per far emergere alcune delle caratteristiche più
profonde dell’animo umano, di solito mascherate dall’ipocrisia della società borghese del tempo. Sempre da Freud, i
pittori, che dettero vita al Surrealismo, presero un altro elemento che diede loro la possibilità di scandagliare e far
emergere l’inconscio: il sogno. Il sogno è quella produzione psichica che ha luogo durante il sonno ed è caratterizzata
da immagini, percezioni, emozioni che si svolgono in maniera irreale o illogica. O, per meglio dire, possono essere
svincolate dalla normale catena logica degli eventi reali, mostrando situazioni che, in genere, nella realtà sono
impossibili a verificarsi. Il primo studio sistematico sull’argomento risale al 1900, quando Freud pubblicò :
«L’interpretazione dei sogni». Secondo lo studioso il sogno è la «via regia verso la scoperta dell’inconscio». Nel sonno,
infatti, viene meno il controllo della coscienza sui pensieri dell’uomo e può quindi liberamente emergere il suo
inconscio, travestendosi in immagini di tipo simbolico. La funzione interpretativa è necessaria per capire il messaggio
che proviene dall’inconscio, in termini di desideri, pulsioni o malesseri e disagi. Il sogno propone soprattutto immagini:
si svolge, quindi, secondo un linguaggio analogico. Di qui, spesso, la sua difficoltà ad essere tradotto in parole, ossia
in un linguaggio logico. La produzione figurativa può, dunque, risultare più immediata per la rappresentazione diretta
ed immediata del sogno. E da qui, nacque la teoria del Surrealismo. Il Surrealismo, come movimento artistico, nacque
nel 1924. Alla sua nascita contribuirono in maniera determinante sia il Dadaismo sia la pittura Metafisica. Teorico del
gruppo fu soprattutto lo scrittore André Breton. Fu egli, nel 1924, a redigere il Manifesto del Surrealismo. Egli mosse
da Freud, per chiedersi come mai sul sogno, che rappresenta molta dell’attività di pensiero dell’uomo, visto che
trascorriamo buona parte della nostra vita a dormire, ci si sia interessati così poco. Secondo Breton, bisogna cercare il
modo di giungere ad una realtà superiore (appunto una surrealtà), in cui conciliare i due momenti fondamentali del
pensiero umano: quello della veglia e quello del sogno. Il Surrealismo è dunque il processo mediante il quale si giunge
a questa surrealtà. Sempre Breton così definisce il Surrealismo: «Automatismo psichico puro col quale ci si propone di
esprimere, sia verbalmente, sia per iscritto, sia in qualsiasi altro modo, il funzionamento reale del pensiero. Dettato
dal pensiero, in assenza di qualsiasi controllo esercitato dalla ragione, al di fuori di ogni preoccupazione estetica o
morale». L’automatismo psichico significa quindi liberare la mente dai freni inibitori, razionali, morali, eccetera, così
che il pensiero è libero di vagare secondo libere associazioni di immagini e di idee. In tal modo si riesce a portare in
superficie quell’inconscio che altrimenti appare solo nel sogno. Al Surrealismo aderirono diversi pittori europei, tra i
quali Max Ernst, Juan Mirò, René Magritte e Salvador Dalì. Non vi aderì Giorgio De Chirico, che pure aveva fornito con
la sua pittura metafisica un contributo determinante alla nascita del movimento, mentre vi aderì, seppure con una
certa originalità, il fratello Andrea, più noto con lo pseudonimo di Alberto Savinio.
Il surrealismo è un movimento che pratica un’arte figurativa e non astratta. La sua figurazione non è ovviamente
naturalistica, anche se ha con il naturalismo un dialogo serrato. E ciò per l’ovvio motivo che vuol trasfigurare la realtà,
ma non negarla. L’approccio al surrealismo è stato diverso da artista ad artista, per le ovvie ragioni delle diversità
personali di chi lo ha interpretato. Ma, in sostanza, possiamo suddividere la tecnica surrealista in due grosse
categorie: quella degli accostamenti inconsueti e quella delle deformazioni irreali. Gli accostamenti inconsueti sono
stati spiegati da Max Ernst, pittore e scultore surrealista. Egli, partendo da una frase del poeta Comte de
Lautréamont: «bello come l’incontro casuale di una macchina da cucire e di un ombrello su un tavolo operatorio»,
spiegava che tale bellezza proveniva dall’«accoppiamento di due realtà in apparenza inconciliabili su un piano che in
apparenza non è conveniente per esse». In sostanza, procedendo per libera associazione di idee, si uniscono cose e
spazi tra loro apparentemente estranei per ricavarne una sensazione inedita. La bellezza surrealista nasce, allora, dal
trovare due oggetti reali, veri, esistenti (l’ombrello e la macchina da cucire), che non hanno nulla in comune, assieme
in un luogo ugualmente estraneo ad entrambi. Tale situazione genera una inattesa visione che sorprende per la sua
assurdità e perché contraddice le nostre certezze. Le deformazioni irreali riguardano invece la categoria della
metamorfosi. Le deformazioni espressionistiche nascevano dal procedimento della caricatura, ed erano tese alla
accentuazione dei caratteri e delle sensazioni psicologiche. La metamorfosi è invece la trasformazione di un oggetto in
un altro, come, ad esempio, delle donne che si trasformano in alberi (Delvaux) o delle foglie che hanno forma di
uccelli (Magritte). Entrambi questi procedimenti hanno un unico fine: lo spostamento del senso. Ossia la
trasformazione delle immagini, che abitualmente siamo abituati a vedere in base al senso comune, in immagini che ci
trasmettono l’idea di un diverso ordine della realtà.
Salvador Dalí
Salvador Dalí (1904-1989) nacque a Figueras, in Catalogna, nel 1904. A Madrid frequentò l’Accademia di Belle Arti ma
nel 1926 ne fu espulso per indegnità. L’anno successivo si recò a Parigi dove venne a contatto con il vivace ambiente
intellettuale della capitale francese. Qui conobbe Pablo Picasso, Juan Mirò, André Breton e il poeta Paul Eluard. È il
momento di maggior vitalità del movimento surrealista e Dalí ne venne immediatamente coinvolto. Egli infatti vide
nelle teorie del movimento la possibilità di far emergere la sua dirompente immaginazione. Rotti i freni inibitori della
coscienza razionale, la sua arte portava in superficie tutte le pulsioni e i desideri inconsci, dando loro l’immagine di
allucinazioni iperrealistiche. In Dalí non esiste limite o senso della misura, così che la sua sfrenata fantasia, unita ad
un virtuosismo tecnico notevole, ne fecero il più intenso ed eccessivo dei surrealisti al punto che nel 1934 fu espulso
dal gruppo dallo stesso Breton. Ciò tuttavia non scalfì minimamente la produzione artistica di Dalí, il quale, dopo
essersi professato essere lui l’unico vero artista surrealista esistente, intensificò notevolmente l’universo delle sue
forme "surreali". Il Surrealismo per Dalí era l’occasione per far emergere il suo inconscio, secondo quel principio
dell’automatismo psichico teorizzato da Breton. E a questo automatismo psichico Dalí diede anche un nome preciso:
metodo paranoico-critico. La paranoia, secondo la descrizione che ne dà l’artista stesso, è: «una malattia mentale
cronica, la cui sintomatologia più caratteristica consiste nelle delusioni sistematiche, con o senza allucinazioni dei
sensi. Le delusioni possono prendere la forma di mania di persecuzione o di grandezza o di ambizione». Dunque le
immagini che l’artista cerca di fissare sulla tela nascono dal torbido agitarsi del suo inconscio (la paranoia) e riescono
a prendere forma solo grazie alla razionalizzazione del delirio (momento critico). Da questo suo metodo nacquero
immagini di straordinaria fantasia, tese a stupire e meravigliare grazie alla grande artificiosità della loro concezione e
realizzazione. La tecnica di Dalí si rifà esplicitamente alla pittura del Rinascimento italiano, ma da esso prende solo il
nitore del disegno e dei cromatismi, non la misura e l’equilibrio formale. Nei suoi quadri prevalgono effetti illusionistici
e complessità di meccanismi che rimandano inevitabilmente alla magniloquenza ed esuberanza del barocco iberico.
Nel 1929 Dalì dipinse il suo primo quadro surrealista: «Il gioco lugubre». In esso appare in primo piano una figura
maschile di spalle con mutande sporche di escrementi. Questo particolare suscitò notevole sconcerto tra gli altri
surrealisti decretando già le prime distanze tra Dalí e il gruppo di Breton. In questa fase della sua pittura Dalí fa largo
ricorso agli spazi prospettici molto dilatati in cui inserisce una notevole quantità di elementi (uomini, animali, oggetti)
secondo procedimenti combinatori irrazionali. In queste figure, e nei loro rapporti, la deformazione si inserisce come
ulteriore elemento di sconcerto. Allo stesso 1929 risale il suo legame con Gala Deluvina Diakonoff, moglie del poeta
Paul Eluard. Ella fu prima amante e poi moglie di Dalí, divenendo la sua musa ispiratrice. Appare in numerosissimi
quadri, per lo più nuda e sensuale, rappresentando nel mondo figurativo di Dalí uno degli ingredienti più certi del suo
inconscio: la libido. In seguito la sua pittura tende a trovare una sinteticità più netta, in cui la concentrazione su pochi
elementi permette al quadro di esprimere contenuti più chiari ed univoci. È il caso di un quadro come «La persistenza
della memoria» dove Dalì crea una delle sue immagini più celebri: quella degli orologi deformi. Al metodo paranoico-
critico si collegano una serie di immagini di virtuosistico effetto. Si tratta di immagini doppie, dove la combinazione
delle figure fa apparire più cose simultaneamente. Scrisse Dalí: «Attraverso un processo nettamente paranoico è
possibile ottenere un’immagine doppia, rappresentazione di un oggetto che, senza la minima modificazione figurativa
o anatomica, sia al tempo stesso la rappresentazione di un oggetto assolutamente diverso». In questo gruppo di
opere rientrano alcuni dei quadri più famosi di Dalí, quali «Figure paranoiche», «Cigni che riflettono elefanti»,
«Apparizione di un volto e di una fruttiera sulla spiaggia», «L’enigma senza fine». Nel 1939 si trasferì negli Stati Uniti
dove rimane per quasi un decennio. Negli ultimi decenni della sua vita egli ha continuato ad alimentare a dismisura la
sua fama di artista eccentrico, originale e a volte delirante, fino a diventare prigioniero del suo stesso personaggio:
sempre più scostante, altezzoso e imprevedibile. Dalí si è spento a Figueras il 23 gennaio 1989
Sicuramente uno dei quadri più famosi di Dalì, nel quale l’invenzione degli «orologi
molli» diviene una felice intuizione di grande fascino. Il tempo, inteso nella razionale
successione di istanti meccanicamente determinati, viene messo in crisi dalla
memoria umana, che del tempo ha una percezione che, in fondo, tanto razionale
non è. La dilatazione o la contrazione del senso del tempo è una caratteristica che
dipende dalla singola individualità, ma è sensazione certamente universale quella di
avvertire lo scorrere del tempo secondo metri assolutamente personali. Dipinto dopo
aver mangiato un formaggio molle e una forte emicrania. Si intravede il suo viso sull’orologio.
Salvador Dalì, Cristo di San Giovanni della Croce, 1951 - Negli ultimi periodi della sua
attività, Salvador Dalì stempera il suo ossessivo surrealismo producendo immagini che, pur
conservando il gusto di invenzioni spettacolari, hanno composizioni più sobrie ed equilibrate. È il
periodo della riscoperta del rinascimento italiano e di un avvicinamento al misticismo religioso. In
questa tela, una delle più famoso del suo periodo religioso, l’effetto spettacolare è dato dalla
insolita prospettiva in cui mette il crocefisso, visto con uno scorcio ardito dall’alto verso il basso.
Questa prospettiva, memore delle invenzioni analoghe di Andrea Mantegna, cambia
improvvisamente direzione nella parte inferiore, per dar luogo ad una veduta paesaggistica
occupata da un lago con una barca e dei pescatori. La composizione, ripartita su due livelli
sovrapposti (il piano nero dal quale emerge la croce in prospettiva e il piano del paesaggio) che
rappresentano ovviamente lo spazio celeste e quello terreno, è anche questa una citazione di artisti
rinascimentali quali Pietro Perugino o Raffaello.
René Magritte
Il pittore belga René Magritte (1898-1967) è tra i pittori surrealisti più originali e famosi. Dopo aver studiato
all’Accademia di Bruxelles, i suoi inizi di pittore si muovono nell’ambito delle avanguardie del Novecento, assimilando
influenze dal cubismo e dal futurismo. Secondo quando egli stesso ha scritto, la svolta surrealista avvenne dopo aver
visto il quadro di De Chirico «Canto d’amore», dove sul lato di un edificio sono accostati la testa enorme di una statua
greca e un gigantesco guanto di lattice. Nel 1926 prese contatto con Breton, capo del movimento surrealista, e l’anno
successivo si trasferì a Parigi, per restarvi tre anni. Dopo di che la sua vita artistica si è svolta interamente in Belgio.
Magritte è l’artista surrealista che, più di ogni altro, gioca con gli spostamenti del senso, utilizzando sia gli
accostamenti inconsueti, sia le deformazioni irreali. Ciò che invece è del tutto estraneo al suo metodo è l’automatismo
psichico, in quanto egli, con la sua pittura, non per vuole far emergere l’inconscio dell’uomo ma vuole svelare i lati
misteriosi dell’universo. Ed è proprio su questo punto che la sua poetica conserva lati molto affini con quelli della
Metafisica. I suoi quadri sono realizzati in uno stile da illustratore, di evidenza quasi infantile. Volutamente le sue
immagini conservano un aspetto "pittorico", senza alcuna ricerca di illusionismo fotografico. Già in ciò si avverte una
delle costanti poetiche di Magritte: l’insanabile distanza che separa la realtà dalla rappresentazione. E spesso il suo
surrealismo nasce proprio dalla confusione che egli opera tra i due termini. È il caso del quadro «Ceci n’est pas une
pipe», dove una riproduzione perfetta di una pipa è accompagnata dalla scritta "questa non è una pipa". L’iniziale
mistero di una simile incongruenza va ovviamente sciolto nella constatazione che un quadro, anche se rappresenta
una pipa, è qualcosa di molto diverso da una pipa reale. In altri quadri Magritte gioca con il rapporto tra immagine
naturalistica e realtà, proponendo immagini dove il quadro nel quadro ha lo stesso identico aspetto della realtà che
rappresenta, al punto da confondersi con esso. Di notevole suggestione poetica sono anche i suoi accostamenti o le
sue metamorfosi. Combina, nel medesimo quadro, cieli diurni e paesaggi notturni. Accosta, sospesi nel cielo, una
nuvola ed un enorme masso di pietra. Trasforma gli animali in foglie o in pietra. Il suo surrealismo è dunque uno
sguardo molto lucido e sveglio sulla realtà che lo circonda, dove non trovano spazio né il sogno né le pulsioni
inconsce. L’unico desiderio che la sua pittura manifesta è quello di "sentire il silenzio del mondo", come egli stesso
scrisse. In ciò quindi il surrealismo di Magritte si colloca agli antipodi di quello di Dalí, mancandovi qualsiasi
esasperazione onirica o egocentrica.
René Magritte, Questa non è una pipa, 1948 - Il rapporto tra linguaggio ed
immagine, ovvero tra rappresentazioni logiche ed analogiche, è un tema sul quale
Magritte gioca con grande intelligenza ed ironia. In questo caso, guardando l’immagine
di una pipa e leggendo la scritta sottostante che dice: "questa non è una pipa", la prima
reazione è di chiedersi: "ma allora, cosa è?". Il sottile inganno si svela ben presto, se si
riflette che si sta guardando solo un’immagine, non l’oggetto reale che noi chiamiamo
"pipa". Magritte, anche in questo caso, tende a giocare con la confusione tra realtà e
rappresentazione, per proporci un nuova riflessione sul confine, non sempre
coscientemente chiaro, tra i due termini.
René Magritte, Gli amanti, 1928 - Uno dei meccanismi utilizzati da Magritte, per
giungere alla rappresentazione surreale, è quello di coprire il volto dei personaggi
ritratti per cancellarne l’identità. Ai volti sovrappone delle colombe, a volte delle mele,
in questo caso copre i due volti con due lenzuoli. L’effetto è tanto più sorprendente se,
come in questo caso, i due personaggi si stanno baciando. La sensazione che ne deriva
è di malinconia per la crudeltà imposta ai due personaggi, ai quali viene negata la
piena potenzialità del gesto compiuto.
Galconda, 1953, raffigura una serie di uomini in bombetta che cadono dal cielo, come
se si trattasse di pioggia. Magritte spiega nell'articolo Les mots et les images ("Le parole
e le immagini"), pubblicato nel dicembre 1929 sul numero 12 della rivista La révolution
surréaliste, che «un oggetto non possiede il suo nome al punto che non si possa
trovargliene un altro che gli si adatti meglio».