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La devo salvare: Diario di una Lolita sopra le righe
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La devo salvare: Diario di una Lolita sopra le righe
E-book169 pagine2 ore

La devo salvare: Diario di una Lolita sopra le righe

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Info su questo ebook

Come può una timida ragazza siciliana diventare una scafata hostess di un night-club? Ce lo racconta Chiara Maniaci nel suo primo romanzo, in cui descrive le emozioni, le paure, i motivi che spingono una ragazza a mettersi in gioco totalmente, sperimentando soddisfazioni e paure, esperienze positive ma anche molto, molto negative e pericolose. Un libro di forte impatto, che esplora angoli poco noti del mondo femminile, ma con una forte carica di positività e speranza per il futuro, per chi vuole prendere in mano il proprio destino.
LinguaItaliano
Data di uscita12 lug 2022
ISBN9788893782814
La devo salvare: Diario di una Lolita sopra le righe

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    Anteprima del libro

    La devo salvare - Chiara Maniaci

    L’amore non vince su tutto?

    Non sono abbastanza coraggiosa per l’amore? È un rischio che non posso correre?

    Mi ero sfinita di domande dopo il deragliamento della mia storia con Ivan, un finale degno di un thriller americano. Sentivo cocci ovunque. Quanto tempo mi sarebbe servito per guarire da tutte le ferite, da un senso di scoramento che a giorni mi immobilizzava del tutto? Ero digiuna da un dolore come questo.

    Forse non ero nata per amare ed essere contraccambiata, me ne sarei dovuta fare una ragione, pur essendo ancora nel fiore degli anni. La relazione con quell’uomo tanto più grande di me mi aveva traumatizzata, anche se facevo di tutto per non darlo a vedere.

    Fuori, un’apparente tranquillità; dentro, le montagne russe. Non dimostrare apertamente i propri sentimenti in qualche modo li ridimensiona: lo stavo imparando. Ma quel dolore non se ne voleva andare, restava lì, come una macchia di umidità che si espande dall’interno, e si faceva sentire soprattutto la sera.

    Prima di addormentarmi certe immagini sgomitavano per prendere posto in prima fila. Dentro la mia testa, un cinema in cui da troppo tempo davano lo stesso film.

    Non valeva a niente sforzarsi di pensare al presente, concentrarsi sui rumori della casa: la mamma che chiama mio padre, mio padre che finge di non sentire e poi dice eccomi, i profumi delle cose note: biancheria pulita, dopobarba di papà, passata di pomodoro e basilico.

    Ero nella mia vecchia camera, le travi in legno sul soffitto, i pennarelli colorati dentro i contenitori, il quadro astratto arancione e giallo regalatomi da una zia pittrice, eppure in certi momenti mi sembrava di essere ancora là, in quella casa maledetta, immobilizzata dallo sconcerto.

    Ci avevo creduto. Ivan mi era sembrato il compagno giusto arrivato al momento giusto, nonostante tutto: la mia strana vita e un lavoro che certamente non mi avrebbe aiutato a mantenere in piedi una relazione stabile. Ma, se non altro, con lui non avrei dovuto fingere, sapeva benissimo cosa facessi e come mi guadagnassi da vivere. Mi aveva scoperta lì.

    Era stato una specie di colpo di fulmine, il nostro, o qualcosa di simile. Avevo ritrovato me stessa nei suoi gesti, la sicurezza di cui avevo bisogno nelle mani senza indugi, nel modo di guardarmi come se fossi un’opera d’arte da proteggere.

    Possibile che la gelosia potesse guastare tutto?

    Grattare via le tenerezze che si acquisiscono con la convivenza, imbruttire persino una passione travolgente come la nostra?

    Ivan non mi era sembrato così insicuro all’inizio, così umorale e vendicativo. Era un uomo tenero, attento a ogni mio stato d’animo, sempre pronto a sorprendermi. Quando lo vedevo al bancone del bar mi salutava con un cenno della mano, quasi scusandosi per avermi prenotata per la sera. Era diverso dagli altri uomini del locale, gentile nello sguardo e nei gesti che riservava a tutti, indistintamente.

    Dopo quel primo incontro avevo preso l’abitudine di cercarlo in ogni angolo del Broadway, al bar, dietro un separé, nel passo degli altri uomini. Accanto a lui avevo avuto la sensazione di potermi, finalmente, fidare di un uomo. L’amore non vince sempre su tutto?

    Fino a un certo punto della mia vita, Chiara l’eterna sognatrice ci aveva anche creduto. I miei genitori si erano molto amati, pur con dei caratteri così diversi e il freno a mano sempre tirato sugli abbracci e le parole dell’amore. Ma era un sentimento sincero il loro, almeno così era parso sia a me che a mia sorella, fintanto che l’incantesimo non si era spezzato.

    Probabilmente era normale, di ordinaria amministrazione; dopo anni di convivenza trascorsi a crescere figli e a far quadrare i conti anche le migliori relazioni possono deteriorarsi.

    Ero così inesperta quando Ivan entrò nella mia vita, alla ricerca di qualcosa che non sapevo nemmeno io cosa fosse: lo chiamavo Amore, senza averlo mai conosciuto.

    Poi mi ero imbattuta nei suoi strapiombi bui, in un disprezzo totale sempre verso qualcosa o qualcuno. Quando gli si chiudeva la vena – e gli bastava davvero poco – perdeva completamente le staffe e il Signor Hyde si trasformava nel diabolico Dottor Jekyll.

    Avevo sbagliato ad accettare così precipitosamente il lavoro in quel night club? Non ero ancora pronta per mettermi fino a quel punto alla prova? Come mi dicevano alcune ragazze del locale mi sarei dovuta limitare a lavorare, guadagnare più soldi possibile e farmi, al più, qualche storiella. Ma come ci si può barricare all’amore quando arriva? Come ci si difende?

    I comandamenti del Broadway non te li insegna nessuno, li impari strada facendo:

    1. Mostrarsi gentile con i clienti.

    2. Ascoltarli fingendo sempre interesse.

    3. Farli consumare il più possibile (più spendono loro, più ci guadagni tu).

    4. Non prometter loro niente in cambio, soprattutto nessuna relazione stabile.

    5. Decidi tu dove e quando arrestarsi.

    I soldi, ero lì soprattutto per quello e, infatti, nel giro di pochi giorni erano diventati un chiodo fisso per me. Ne dovevo guadagnare parecchi per poter esaudire almeno un paio di desideri e detergere le antiche frustrazioni. Avevo parecchie Chiare da accontentare e avrei voluto viziare un po’ mia sorella, mio padre, mia mamma, anche se sapevo bene che lei avrebbe storto il naso di fronte a un regalo acquistato in quel modo.

    Al Broadway avevo conosciuto molti uomini, di tutte le età, alcuni davvero gentili, altri più aridi e arroganti, ma avevo anche incontrato una parte di me stessa che ignoravo. E poi era arrivato Ivan, il mio principe blu notte, a bordo del suo cavallo zoppo.

    Non avrei dovuto cedere alle sue lusinghe: una che fa quel mestiere non si deve innamorare dei suoi clienti. Quante volte me l’ero detta dopo averlo sentito ripetere dalle ragazze del locale, ben più esperte di me. Mi avevano messa in guardia, ma io avevo fatto come sempre di testa mia.

    Dopo parecchi mesi di distacco da Ivan rivedevo il suo volto infuriato, ne risentivo le minacce: parole acide che mi scavano dentro. Mi sentivo una sopravvissuta. Fin dove si sarebbe potuto spingere Ivan con me? Avrei potuto essere una delle tante vittime di uomini violenti?

    D’ora in poi mi sarei tenuta alla larga dai ragazzi, figuriamoci dagli uomini più grandi! Non era in quel locale che mi sarei dovuta scegliere un fidanzato, aveva ragione Sandra.

    Tempo prima era stato tutt’altro che semplice decidere di abbandonare gli affetti più sinceri per affrontare una nuova vita. Ma ci dovevo provare. O ora o mai più, mi ero ripetuta fino allo sfinimento.

    E non era stato facile nemmeno dire addio al mio amato scoglio che per tanti anni mi aveva accolta e accudita. Da lì, in totale solitudine, avevo imparato a guardare il mio piccolo mondo, i dettagli che fanno la differenza, la superficie dell’acqua che cambia velocemente colore, come i sentimenti che sentivo di provare. Il bisogno di misurarmi con le mie insicurezze era stato più forte della paura di fallire. Il brutto anatroccolo doveva provare a trasformarsi in un bel cigno sennò avrebbe corso il rischio di restare per sempre quello che era.

    L’insegnante di danza, a dispetto di tutti, aveva creduto in me; mi aveva presa tra le sue ali, grezza come un pezzo di creta, e mi aveva riplasmata dimostrandomi che tutto è possibile, a patto che lo si voglia veramente. Ora spettava a Chiara fare il prossimo passo, la sua coreografia.

    Distacco

    Ero stata una bambina timidissima e impacciata e poi un’adolescente sognante con mille fantasie dentro la testa da dover tenere a freno. Oltre alla casa di famiglia, all’orizzonte che restavo incantata a guardare dal mio scoglio, oltre le compagne di scuola, i primi impacciati approcci con l’altro sesso, cosa c’era?

    Sarei dovuta diventare forte, lo sapevo, e sentivo di dovermelo.

    Forte e combattiva come certe eroine di cui avevo letto sui libri che divoravo la sera sotto le coperte. Giovanna d’Arco, Lucrezia Borgia, Coco Chanel, Evita Peròn.

    Quella bimbetta timorosa e riservata che aveva già subito tante ingiustizie sarebbe stata orgogliosa della nuova Chiara; in sogno la vedevo fare il tifo per lei. Forza, non mollare! Io sono con te!

    Sogni. Sogni. Di quanti sogni si era nutrita, la piccola Chiara!

    In cima alla lista: essere ben voluta da tutti. Accettata e compresa, ma non solo: una specie di leader che viene ascoltato e ammirato. E poi, diventare una ballerina e danzare sul palcoscenico di un teatro importante, la Scala di Milano, la Fenice di Venezia.

    Essere applaudita dalla mia famiglia e da tutti quei ragazzini che mi avevano sempre derisa. Se c’era un bersaglio da colpire, quello ero io. Un capro espiatorio contro cui riversare rabbia e delusione: ecco che arriva Chiara la impacciata!

    Pagine e pagine di delusioni e flebili speranze: racchiudevo tutto nel mio diario, il migliore amico a cui ogni giorno mi affidavo, certa che lui non mi avrebbe mai tradita. Almeno qualcuno di quei sogni che annotavo con tanta convinzione si sarebbe realizzato? Scrivere significava acciuffarli e fermarli sulla carta, poi qualcosa – avendoli così vicini – sarebbe successo.

    Mi vuoi dire chi diavolo hai visto oggi?

    Non tornerai in quel locale, Chiara, né rivedrai le tue colleghe poco di buono, ci puoi giurare! Ti ho vista ieri sera in macchina con quello, non lo devi rivedere mai più, o saranno guai!

    Ivan. Certe notti non mi lasciava in pace. Risentivo il tono ruvido della sua voce, le parole intimidatorie con cui azzittiva ogni mio tentativo di rivalsa. Non avevo accettato quel lavoro per sentirmi più in trappola di quanto non mi sentissi a casa. Lo avevo fatto per poter spiccare il volo, diventare autonoma, più forte… ma quale più forte?

    Ero terrorizzata dalla sua voce rancorosa, anche se ora mi trovavo al sicuro, circondata dal calore della famiglia, a pochi metri dal mare e dal mio amico scoglio a cui già avevo raccontato tutto.

    Basta uomini! Non sarei mai più ricaduta in una situazione simile, a costo di restare per sempre sola.

    Sola. Ora questa parola non mi faceva più così paura, sapevo di poter contare su una forza interiore – più spirito di adattamento, a dire il vero – che mai avrei pensato di possedere.

    Lontana da casa, in un ambiente surreale abitato da uomini strani e da colleghe di lavoro asservite a una scala di valori così diversi dai miei, avevo saputo fronteggiare molti ostacoli. Quella notte, nella casa di famiglia, il ricordo della mia infanzia aveva trascinato via il brutto ghigno di Ivan come un’onda anomala. Sprazzi di giovinezza, di adolescenza, erano venuti a farmi visita; una successione di volti, amici e nemici, di tentativi mal riusciti, di continui imbarazzi. Non era stato per nulla facile crescere con quel carattere chiuso e taciturno mentre dentro mi gridava una sinfonia di colori accesi.

    Se solo fossi riuscita a dichiarare quello che pensavo, che volevo, non avrei sofferto in quel modo. Ma nessuno sembrava avesse voglia di restare ad ascoltarmi. Ascoltavano gli altri, non me; ascoltavano mia sorella, lei sì che era speciale, e sapeva fascinare con i suoi modi affabili. Gli amici pendevano dalle sue labbra, non certamente da quelle insipide di Chiara, quella dei lunghi silenzi, delle guance che si infuocavano a ogni parola pronunciata e le mani sudaticce.

    Possibile fossimo tanto diverse, noi due?

    Eravamo davvero sorelle? Tanto da una parte e niente dall’altra. Non che ne fossi mai stata gelosa, l’ho sempre amata e ho tentato in tutto e per tutto di somigliarle, perdendo di vista me stessa.

    All’improvviso… quelle immagini sconce mi avevano fatta trasalire e ne avevo provato vergogna. Di nascosto, sotto le lenzuola, per anni avevamo giocato sul divano del soggiorno, fino a raggiungere un piacere sconosciuto di cui, poi, non avevamo più potuto fare a meno. Le nostre piccole mani, frenetiche, ingorde di nuove vibrazioni corporee; il gioco dei fidanzatini, lo scambio dei ruoli, le posizioni audaci: tutto per ricevere ed elargire piacere. Temevamo solo di poter essere scoperte dai nostri genitori, ma quella paura rendeva il tutto più elettrizzante.

    Dopo la fine della scuola superiore – che aveva coinciso col periodo più difficile della mia vita – avevo conosciuto Marco;

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