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Gary Cooper

Da Wikiquote, aforismi e citazioni in libertà.
Gary Cooper in una foto promozionale per Arriva John Doe (1941)

Il sergente York

  • Miglior attore protagonista (1942)

Mezzogiorno di fuoco

  • Miglior attore protagonista (1953)

Oscar alla carriera (1961)

Gary Cooper, pseudonimo di Frank James Cooper (1901 – 1961), attore statunitense.

Citazioni di Gary Cooper

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  • Mi studiai con attenzione. Non mi piacque quello che vidi. Gary Cooper. Un average Charlie che era diventato un divo del cinema – con riluttanza e con suo grande stupore.[1]
  • Le esperienze vanno valutate in base ai risultati. Siccome tornai sul set dopo aver fallito, mi aiutò a superare una naturale reticenza – una timidezza.[1]
  • Ho sviluppato uno stile, qualunque esso sia, solo perché recitare mi imbarazzava. Per me era doloroso fare un gesto più ampio del minimo indispensabile. Ma un attore deve enfatizzare i propri movimenti se vuole "farli arrivare"" al pubblico. Ero così timido che persino alzare un braccio per indicare qualcosa richiedeva tutto il mio coraggio.[1]
  • Lo chiamavano "underplaying". Non voglio dire che stessi facendo qualcosa di nuovo nel campo della recitazione. Dal momento che non mi ero mai trovato a dover raggiungere l'ultima fila di un teatro, non avevo mai imparato a iperenfatizzare un gesto o a urlare una battuta.[1]
  • [Sulle ambizioni della madre] Nella sua mente, un ragazzo a modo era un piccolo erudito in cappello a cilindro e colletto inamidato, attentamente sorvegliato da un precettore inglese. Arthur e io correvamo scatenati sulle montagne diretro casa. Indossavamo salopette, camicie di jeans e scarponcini. [...] Invece di giocare a cricket e collezionare farfalle, giocavamo a indiani e cowboy.[1]
  • [Mentre in Inghilterra indossava i colletti inamidati] Volevo sentire la rude giovinezza dell'America. Volevo il vento rumoroso delle pianure che fischiava e mi spettinava i capelli.[1]
  • Sono diventato attore solo per sbarcare il lunario, dopo aver fallito come disegnatore e caricaturista politico. Era questa infatti la mia vera ed unica vocazione giovanile.[2]
  • Come attore, sono esclusivamente un prodotto di Hollywood. Alle spalle non ho nessuna formazione né nessun altro metodo tradizionale per affermarmi in quella che chiamano arte drammatica.[1]
  • Sono diventato attore per caso, e ho continuato a esserlo solo grazie alla pazienza della gente che sborsava dei bei soldi al botteghino. Sono letteralmente "caduto" nella recitazione, cadendo da cavallo come stuntman. Volevo guadagnare dei soldi e studiare arte. Non avevo mai provato il benché minimo interesse per la recitazione. E sebbene quell'interesse si sia poi sviluppato, non sono mai diventato questo grande attore.[1]
  • Quando leggo che sono un talento naturale che non ha mai preso una lezione di recitazione in vita sua, mi chiedo cosa siano tutte quelle migliaia di ore che ho passato con [...] e la lista sarebbe ancora lunga. Se non erano lezioni prese in condizioni professionali competitive, allora non saprei riconoscere una lezione neppure se la vedessi.[1]
  • [Sul film L'idolo del sogno] Per cinquantanove minuti e quarantacinque secondi sull'ora di durata del film, avevamo recitato in silenzio. Ma per la scena del matrimonio studiai bene il copione, che conteneva questa nuova cosa chiamata dialogo, finché non imparai il testo alla perfezione. "Lo voglio", dissi. E la signorina Carroll concordò: "Lo voglio". Per quelle quattro parole "L'idolo del sogno" venne lanciato come un film sonoro.[1]
  • Era incredibile che, con tutto quel che stava succedendo nel mondo nel 1929 e nel 1930, i giornali dedicassero così tanto spazio a miss Velez e me, se avevamo litigato o fatto pace.[1]
  • Mi sballottavano senza posa da un ruolo all'altro [...]. Da farsi venire le vertigini. Nella primavera del 1930, vista la mole di impegni, mi fu concesso di lavorare di giorno in certi film e di notte in altri, un raro privilegio.[1]
  • Cominciai a chiedermi chi ero. Avevo ventinove anni ed era già stato fatto così tanto – a me, con me o da me – che non sapevo più cosa pensare. Ero una star solo perché avevo la fortuna di rendere bene sullo schermo? Ero un frammento della fantasia di un regista o avevo una mia consistenza? A voler essere onesti, la risposta pendeva dal lato del regista. Molto deprimente.[1]
  • Ero scontento di come andavano le cose allo studio. La mia vita privata era in crisi […]. Non mi ritroverò mai più in un simile stato mentale. La vita non può più farmi niente del genere. Ho imparato la lezione… Prima di tutto non permetterò più a nessuno di dominarmi, come avevo lasciato succedere fino a quel momento. Mi ero lasciato trascinare, avevo seguito i consigli, permesso alla gente di manovrarmi attraverso le mie emozioni, la mia comprensione, i miei affetti. […] Non ti accorgi del potere che dai agli altri finché non ti ritrovi impigliato e intrappolato e impotente. Devi scrollarti tutto di dosso, per tornare libero e ripartire da zero. Non è facile. Ma oggi sono di nuovo mio.[1]
  • Ero stato docile per così tanto tempo, avevo fatto tutto quello che mi avevano chiesto per così tanto tempo, che nessuno credeva che avrei smesso. Mi davano per scontato.[1]
  • Ho imparato che non serve a nulla avere delle idee se poi non le si esprime. Nessuno avrà mai rispetto per le tue idee finché tu non vorrai veramente lottare per difenderle.[1]
  • [Su Cary Grant, il sostituto che la Paramount vuole contrapporgli] In Africa, sull'altipiano, avevo riflettuto un po', e avevo deciso che forse, dopo tutto, ero un attore del cinema. Non so se me ne convincerò mai davvero. Ma un mucchio di gente lo pensava. Compreso il mio studio, che mi riteneva abbastanza importante da giustificare un nuovo Gary Cooper. […] Avvisai la Paramount che l'articolo originale era pronto a tornare al lavoro.[1]
  • Mi chiese di interpretare la parte di Rhett Butler in Via col vento, [...] io però rifiutai. Non mi vedevo così focoso e in seguito, quando vidi Clark Gable recitare il ruolo alla perfezione, seppi di aver avuto ragione.[1]
  • [Su Helen Hayes sua partner in "Addio alle armi"] Lei mi spaventava a morte [...]. Eravamo tutti e due atterriti quando ci incontrammo per la prima volta nell'ufficio di Frank Borzage, che ci avrebbe diretto nel film. Lieto di conoscerla Miss Hayes. Lieta di conoscerla Mr. Cooper. Frank si accorse del gelo polare e non ne fu affatto contento. Quando gli attori non si trovano bene tra loro, spesso ti ritrovi con un "set freddo" e in breve tempo l'intero cast si schiera da una parte o dall'altra, in una faida. Le scene d'amore, che dovrebbero essere interpretate con calore, sono ricoperte da una patina di ghiaccio.[1]
  • Il sergente York e io avevamo diverse cose in comune, anche prima che lo interpretassi sullo schermo.[1]
  • Ormai vengo talmente identificato con l'eroe western dello schermo, da essere diventato un prototipo. Accetto volentieri il complimento. Anche se ho fatto tanti ruoli sullo schermo.[1]
  • Come la maggior parte degli attori sviluppa idee tutte sue sulle storie e vorrebbe poter avere voce in capitolo riguardo a suddette idee. Registi e produttori non prestano molta attenzione ai suggerimenti degli attori. Se faccio anche il produttore, magari mi ascolteranno.[1]
  • Uno dei motivi della brutta aria che tira a Hollywood è che si stanno facendo troppi remake. È quasi sempre materiale poco coraggioso, troppo prudente.[1]
  • [Nel 1938, sulla scelta di Clark Gable per il ruolo di protagonista, che lui aveva rifiutato] Via col vento sarà il fiasco più clamoroso della storia di Hollywood.[3] [Ultime parole famose]
  • [Su Clark Gable nel ruolo di protagonista in Via col vento] Sono contento che sarà Clark Gable che perderà la faccia e non io.[4] [Ultime parole famose]
  • Vorrei tanto aver studiato recitazione, dopo tutti questi anni passati a brancicare in quest'arte. [...] Gli studenti di mister Strasberg danno delle interpretazioni realistiche perché credono in quello che fanno. Alcuni attori del Metodo caricano le loro performance di infiorettature. [...] Ma trucchetti del genere sono irrilevanti in confronto all'effetto che ha il Metodo sui ragazzi di talento. Quei giovani si emancipano da quei trucchi. [...] Mister Strasberg in persona una volta ha detto che, senza saperlo, sono un attore del Metodo. Non so se abbia torto o ragione, ma è un gran bel complimento.[1]
  • La voglia di recitare non ti abbandona. A volte nel bel mezzo di una scena mi sorprendo a dire battute di dialogo di quindici anni fa. Le situazioni tendono a ripetersi, e c'è un limite alle cose che puoi fare con una faccia e una carcassa. Per un po' ho pensato di ritirarmi. A volte lo penso ancora, di solito verso le cinque del pomeriggio. Ma darei di matto.[1]
  • [Dalla testimonianza al richiamo della Commissione governativa per le attività antiamericane (HUAC)][1]
    Mr. Smith: Ha mai notato delle informazioni comuniste nei copioni?
    Mr. Cooper: Be', ho rifiutato alcune sceneggiature perché pensavo che alludessero velatamente a idee comuniste.
    Mr. Smith: Può farci il titolo di qualcuna di queste sceneggiature?
    Mr. Cooper: No, non me ne viene in mente nessuno.
    Mr. Smith: Può dirci....
    Mr. Cooper: I titoli.
    Presidente: Un momento, mister Cooper, la sua memoria non dev'essere così cattiva.
    Mr. Cooper: Mi scusi?
    Presidente: Ho detto, la sua memoria non dev'essere così cattiva, giusto? Deve per forza ricordare qualcuna delle sceneggiature che ha rifiutato perché le riteneva comuniste.
    Mr. Cooper: Be', non le so proprio dire neanche un titolo, no.
    Presidente: Forse potrebbe pensarci e poi fornire alla commissione la lista di quelle sceneggiature?
    Mr. Cooper: Non credo.

Citazioni su Gary Cooper

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  • A volte la sua faccia magra e fotogenica sembra lasciare tutto all'obiettivo, ma non ci sono dubbi, qui non c'è recitazione.[5] (Graham Greene)
  • Che recitasse l'innocente bello, quasi bellissimo, o l'adulto ansioso e curvo il cui volto rugoso rappresentava un incerto codice morale, il westerner di Cooper sembra essere sia completo sia capace di ulteriore evoluzione, stoico eppure capace di forti emozioni, calmo eppure profondamente preoccupato, navigato eppure vulnerabile, una figura trascendente, magica eppure anche totalmente umana.[6] (S. Tatum)
  • Coop scrive la sua performance con un inchiostro invisibile direttamente sulla pellicola. Avevo lavorato con attori che sul set erano magnifici, ma che per qualche motivo quando li guardavi in sala di proiezione risultavano deludenti. Gary era l'esatto contrario. Quando stampavi una ripresa non eri sicuro che la scena fosse venuta bene, ma poi proiettavi i giornalieri, ed era perfetta. Cooper aveva adattato l'arte della recitazione all'obiettivo della macchina da presa invece che al pubblico. (Charles Brackett)
  • Cooper è la risposta alle preghiere di ogni fanciulla.[1] (L.O. Parsons)
  • [Sulla testimonianza di Cooper davanti all'HUAC] Cooper non era un idiota. Era un uomo semplice e buono, la perfetta incarnazione di un grande mito americano. La politica era sempre stata un enigma per lui, e la puzza di urina dell'aula affollata della Commissione, a Washington, non poteva competere con l'aria inebriante della stagione di caccia in Montana. [...] Cooper non avrebbe dovuto essere lì, a snocciolare "yup" e "nope" davanti a un uomo che non era degno neppure di allacciargli le scarpe.[7] (E. Dmytryk)
  • Era una grande star dello schermo, nessuno può negarlo. Ma durante le riprese ho scoperto che era anche un attore. In effetti è l'attore che, nel suo caso, ha creato la star. Il modo di parlare lento, esitante, con gli occhi bassi, l'andatura apparentemente goffa, sono tutti atteggiamenti inventati dall'attore, per affrontare la cinepresa con quell'apparenza di realismo che questo mezzo esige. Nella vita era completamente diverso. (Otto Preminger)
  • Gary Cooper può essere considerato un attore di grande raffinatezza e profondità che solo di rado ha lavorato nel western.[6] (S. Tatum)
  • Il ruolo di Cooper in "Marocco" è quello di essere guardato e di essere desiderato, relegato talvolta a un ruolo passivo, e femminilizzato. In frac e cilindro, lei (Marlene Dietrich) gli lancia uno sguardo fermo e indagatore dall'alto del palcoscenico. Cooper si trova nella posizione passiva, femminile, e diventa un oggetto feticizzato, esaltato da un primo piano bidimensionale.[8] (G. Studlar)
  • Il suo istinto d'attore ci azzecca sempre. Cooper sa qual è la cosa giusta senza sapere come o perché lo sa. È un attore molto più bravo di quanto potrebbe mai pensare – quindi non diteglielo. (Helen Hayes)
  • Iniziammo la nostra ricerca sul tema "Cosa pensa la gente di Gary Cooper" accettando l'immagine ben pubblicizzata di ragazzo fantastico che presumibilmente non aprirà bocca. [...] Eravamo anche stati avvisati che possiede un vocabolario di cinquemila parole – di cui quattromilanovecentonovantanove sono yep e nope.[9] (W.F. French)
  • L'immagine di Cooper trascendeva la restrizione binaria di maschio e femmina, dimostrando che i tratti associati alle due categorie non si escludono a vicenda. Non voglio dire che Cooper fosse una specie di effeminato, ma un caso di innata fusione di tratti sessuali che di solito vengono attribuiti all'uno o all'altro sesso.[10] (Jeffery A. Brown)
  • L'"acting natural" dell'esordiente Gary Cooper era l'unica cosa che lui potesse fare, considerato che non ne sapeva nulla.[1] (Jim Tully)
  • L'immagine di vulnerabilità che Cooper riusciva a esprimere pur portando ruvidi abiti da cowboy, diventò il suo inconfondibile marchio di fabbrica; dava un senso di profondità ai suoi ruoli western mai eguagliato da nessun altro attore. Cooper riusciva a trasmettere la potente mascolinità indispensabile ai western in virtù della storia e del suo stile naturale in sella, ma quel personaggio ammorbidito, più dubbioso, più vulnerabile che si veniva a creare filmando Cooper come un oggetto sessualmente desiderabile lo rendeva un eroe western complesso.[10] (Jeffrey Brown)
  • Nessuna star del cinema è mai stata più astuta di Gary, e le piramidi sono come piume spazzate via dal vento in confronto a Mr. Cooper quando ha preso la sua decisione. Alto, timido, e sorridente, è di poche parole ma quando le urla si placano e il fumo si dirada, eccolo lì, esattamente nello stesso punto, sempre timido e sorridente, ma irremovibile.[11] (A. Rogers St. Johns)
  • Quel ragazzo è il più grande attore del mondo. Riesce a fare, senza sforzo, quello che la maggior parte di noi ha impiegato anni a cercare di imparare: essere perfettamente naturale. (John Barrymore)
  • Quando facevo un film con Gary Cooper, dopo aver girato una scena mi voltavo dall'altra parte e sbottavo: "Oddio"; il giorno dopo la riguardavo e filava tutto come volevo io. Lì per lì non me ne accorgevo ma era la macchina da presa a lavorare per lui. (Howard Hawks)
  • Si, Gary Cooper era un uomo veramente virile, nel senso più femminile del termine. Dolce. Gentile. Incapace di odiare. Pieno di umorismo e modestia. (Romain Gary)
  • Agli esordi viveva e lavorava, come lui stesso afferma "in un'agonia di insicurezza". Quello che nasce come un limite finisce per trasformarsi in una caratteristica fondamentale della sua recitazione, addirittura in uno stile. Non enfatizzare, limitare l'azione alla sua stretta funzionalità rende il suo agire quasi impercettibile agli occhi degli astanti (registi, attori, troupe) ma straordinariamente efficace quando viene proiettato sullo schermo.
  • [Sull'interpretazione di "Ali"] In questi due minuto e mezzo è possibile riconoscere alcuni degli ingredienti della figura eroica che incarnerà molte volte nel prosieguo della carriera: laconicità, essenzialità dei gesti, mobilità dello sguardo, una virilità addolcita da tratti ingenui, scanzonati e dal portamento elegante.
  • Dopo il ritorno negli Stati Uniti il percorso scolastico di Frank Cooper prosegue a singhiozzo; nel 1916, a causa di un grave incidente, abbandonò la scuola per due anni. [...] Il medico, senza averlo sottoposto ad alcuna radiografia, gli aveva consigliato di cavalcare per riprendersi dall'incidente. In realtà Cooper si era fratturato l'anca, e la cura suggerita determinò quel particolare modo di camminare inconfondibile, rigido e leggermente claudicante.
  • C'è una certa levità, una certa acutezza, il tentativo di dire qualcosa di insolito, di spremere il massimo dalla vita senza però perdere del tutto la timidezza.
  • Il giorno dopo, a mezzogiorno, andai a vedere i giornalieri, ed ecco quella meravigliosa personalità riempire lo schermo. Tutto il resto cadde nel dimenticatoio. Era un uomo che sullo schermo ti incantava.
  • [Sull'interpretazione di Cooper ne "La fonte meravigliosa"] Naturalmente Gary non era il personaggio che aveva portato sullo schermo, non lo collegavi all'idea dell'arroganza. Forse quando leggi il romanzo pensi a una recitazione più sfrontata, qualcosa che avrebbe potuto fare Bogart. Tracy non era adatto alla parte, Gable forse sì. Sarebbero stati più arroganti di Cooper, che aveva una voce dolce e pacata. E invece, è stato un vantaggio. Non era arroganza, era solo sicurezza di sé, la fiducia che aveva nel proprio operato. La sicurezza di sé non dev'essere per forza arroganza. Ci ho impiegato un po a rendermene conto. Solo un paio di anni dopo la fine del film ho capito che la forza pacata di Cooper funzionava meglio sullo schermo di un'interpretazione più arrogante del personaggio.
  • [Alla domanda di Bogdanovich se esista qualcosa che si chiama recitazione cinematografica] Esistono attori cinematografici. Cooper era un attore cinematografico, il caso classico. Lo vedevi lavorare sul set e pensavi: "Dio mio, questa dovranno rigirarla!". Praticamente, sembrava che non ci fosse. E poi vedevi i giornalieri, e riempiva lo schermo.
  • Personalità. Non presumo di risolvere questo mistero. Ma conta sempre più della tecnica. Per esempio, chi conosce la tecnica meglio di Olivier? Certo che, se la recitazione cinematografica dipendesse in modo significativo da una tecnica particolare Larry se ne sarebbe impadronito. Eppure per quanto bravo sia al cinema, è solo un'ombra dell'attore che impone la sua presenza sulle scene teatrali. Perché la macchina da presa sembra diminuirlo? E ingrandire Gary Cooper, che di tecnica non ne sapeva un bel niente?

Note

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  1. a b c d e f g h i j k l m n o p q r s t u v w x y z aa ab Citato in Mariapaola Pierini, Gary Cooper, il cinema dei divi, l'America degli eroi, Le Mani-Microart'S, 2011.
  2. Citato in Mary Jo Pace, I magnifici di Hollywood, Milano, Editoriale Albero, 1980.
  3. Citato in Focus n.121, p. 200.
  4. Citato in Martino Campanaro, A furor di polipo, Piemme.
  5. G. Greene, The Pleasure Dome, Secker & Warbug, London, 1972, p. 262; citato in Mariapaola Pierini, Gary Cooper, il cinema dei divi, l'America degli eroi, Le Mani-Microart'S, 2011.
  6. a b S. Tatum, The Classic Westerner: Gary Cooper, Shooting Stars; citato in Mariapaola Pierini, Gary Cooper, il cinema dei divi, l'America degli eroi, Le Mani-Microart'S, 2011.
  7. E. Dmytryk, It's a Hell of a Life, but not a Bad Living, New York Times Book Company, New York, 1978, p. 96-97; citato in Mariapaola Pierini, Gary Cooper, il cinema dei divi, l'America degli eroi, Le Mani-Microart'S, 2011.
  8. G. Studlar, In the Realm of Pleasure. Von Sternberg, Dietrich and the Masochistic Aesthetic, p. 64; citato in Mariapaola Pierini, Gary Cooper, il cinema dei divi, l'America degli eroi, Le Mani-Microart'S, 2011.
  9. W.F. French, What Hollywood Thinks of Gary Cooper, in Photoplay combined with Movie Mirror, 1942, p. 39; citato in Mariapaola Pierini, Gary Cooper, il cinema dei divi, l'America degli eroi, Le Mani-Microart'S, 2011.
  10. a b J.A. Brown, Putting on the Ritz: Masculinity and the Young Gary Cooper, in Screen, 1995, p. 195; citato in Mariapaola Pierini, Gary Cooper, il cinema dei divi, l'America degli eroi, Le Mani-Microart'S, 2011.
  11. St. Johns, Gary the Great, in Photoplay, 1938, p. 19; citato in Mariapaola Pierini, Gary Cooper, il cinema dei divi, l'America degli eroi, Le Mani-Microart'S, 2011.

Filmografia

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Altri progetti

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