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Isabella Teotochi Albrizzi

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Ritratto di Isabella Teotochi Albrizzi dagli "occhi scintillanti",[2] eseguito da Élisabeth Vigée Le Brun nel 1792.

Isabella Teotochi Marin Albrizzi, alla nascita Elisabetta Teotochi (in greco: Ελισάβετ Θεοτόκη) (Corfù, 16 giugno 1761Venezia, 27 settembre 1836), è stata una letterata, biografa e saggista italiana della Repubblica di Venezia di origine greca, amante delle arti e animatrice di un noto salotto letterario[1].

«Nell'isola degli antichi Feaci Isabella, o più presto Elisabetta Teotochi, l'anno 1760 aprì gli occhi alla luce[3]»

Elisabetta (o Elisa) Teotochi, detta poi anche Bettina o Isabella nasce sull'isola di Corfù, allora possedimento greco della Serenissima Repubblica di Venezia, nel 1760, forse il 16 giugno[4].

«Discendeva da famiglia principale tra le corciresi per nobiltà, e notabile dovizie. Zio paterno erale il conte Spiridione, Commendatore di S. Giovanni di Gerusalemme, principe e preside della Repubblica settentrionale[5]»

Le poche notizie sulla sua adolescenza sono per lo più inquinate dall'aneddotica ottocentesca: Luigi Carrer, dopo aver descritto il carattere dei genitori («II padre, conte Antonio Teotochi, avea sortita dalla natura una tempera mite e soave, lasciava andare le cose alla china; ma la madre, la contessa Nicoletta Veja, era donna del più fermo volere, e tale che le cose dimestiche dal suo cenno onninamente pendeano»[6]), narra ad esempio di uno scampato incidente con lo schioppo di uno dei suoi fratelli a causa del quale Elisa «fu presso a perdere uno per lo meno degli occhi tanto indi lodati».[5]

Elisabetta, di madrelingua greca, ricevette nozioni di letteratura italiana e francese.[7][8]

Matrimonio con Carlo Antonio Marin

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All'età di sedici anni, nel 1776, per volontà dei genitori sposò il Sopracomito di galea Carlo Antonio Marin, dal quale avrà, l'anno successivo, un figlio, Giovan Battista Marin, affettuosamente soprannominato Titta. Quest'unione, destinata a concludersi burrascosamente alcuni anni più tardi, viene per lo più descritta dai biografi come "infelice"[9]. Nel 1778 una nuova carica imponeva al Marin di far ritorno a Venezia, città che, pur oppressa dalla decadenza politica ed economica, ferveva di dibattiti culturali e scientifici. La coppia si stabilì nella casa a San Benedetto dove abitavano, oltre al padre e agli zii, anche gli altri fratelli di Carlo Antonio. Inevitabili furono le difficoltà d'inserimento della giovanissima sposa greca dalla «folta e inanellata chioma, col vivo lampo negli occhi, colle ingenue grazie del volto rivelanti il candore dell'anima [...] vera bellezza greca, vero modello di Fidia»[10]. Ricordando questi anni difficili e incerti, la dama, ormai abile femme d'esprit, scriverà:

«Non so poi che alle mie nozze sia accaduta guerra alcuna [...], né [...] in verità intesi mai a dire, che prodotto abbiano nessun tumulto, né il mio Carlo-Piriteo ebbe niuna guerra a sostenere, né i Centauri volsero insultare le Dame, né i Lapiti difenderle, né la picciola Bettina sapeva bene allora cosa fossero Centauri e Lapiti[11]»

Dopo un soggiorno di due anni, dal 1778 al 1780, a Salò, dove Carlo Antonio era stato nominato Provveditore e Capitano, i coniugi Marin fanno nuovamente ritorno a Venezia. Vista l'insopportabile prospettiva di ritornare ad abitare assieme alla numerosa parentela del Marin, Bettina convince il marito ad affittare una casa in calle delle Balotte, dietro la Chiesa di San Salvador. Incomincia dunque una nuova fase nella vita della donna.

Nascita del salotto

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A un secolo e mezzo dalla nascita del primo salotto che si conosca, l'Hôtel de Rambouillet, nel 1607, diretto dalla marchesa Catherine de Vivonne de Rambouillet, era ormai diffusa anche nella laguna la moda d'oltralpe del salon. In accordo con le nuove e rivoluzionarie idee che ormai permeavano la società veneziana, veniva dato grande significato alle capacità intellettuali della persona, riconosciute come forte elemento ugualitario. Anche alla donna quindi, qualora dimostrasse di esser colta, veniva riconosciuto un ruolo intellettuale paritario.

Andrea Appiani: Vincenzo Monti, 1809, Pinacoteca di Brera, Milano

Con l'ascesa del marito a più alte cariche, Isabella ha modo di affinare la propria cultura, spronata dal coniuge e dallo stesso ambiente che le si è creato intorno.

Lo «scelto crocchio»[12], composto da alcuni habitué e di pochi ospiti occasionali, si ritrova più volte alla settimana nello stanzino di compagnia[13] in calle delle Balotte e ben presto, da comparsa silenziosa, la dama diviene protagonista, in virtù di quell'attrayante malignité descritta da Denon nei propri carteggi[14].

Negli anni successivi, tra i frequentatori del salotto della Teotochi spiccarono Ugo Foscolo, Ippolito Pindemonte, Vincenzo Monti, Aurelio de' Giorgi Bertola, abate riminese, autore di liriche di ispirazione arcadica, Melchiorre Cesarotti, autore di una traduzione dell'Ossian, Anton Maria Lamberti, famoso per i suoi versi in dialetto veneziano, l'abate Francesco Franceschinis, rettore dell'Università di Padova, la salonnière veneziana Giustina Renier Michiel, Antonio Canova, il famoso teorico dell'arte Leopoldo Cicognara, i nobili Lauro e Angelo Querini, quest'ultimo senatore della Serenissima, sostenitore delle idee riformatrici di Scipione Maffei e proprietario di una splendida villa ad Altichiero, dove raccolse una grande quantità di reperti archeologici egizi, il patrizio padovano Costantino Zacco, i nobili Pesaro, Mocenigo, Dolfin, Tron, Stefano Arteaga, critico e autore de La Rivoluzione del teatro musicale italiano, lo storico e filologo corcirese Andrea Mustoxidi, Jean-Baptiste-Gaspard d'Ansse de Villoison, filologo francese impegnato in quegli anni nello studio dei manoscritti conservati alla Biblioteca Marciana, Dominique Vivant Denon, incisore e scrittore parigino futuro direttore del Louvre, la celebre Madame de Staël, Aubin-Louis Millin, Johann Wolfgang von Goethe, George Gordon Byron, Walter Scott, lo scozzese Sir William Hamilton, archeologo e vulcanologo, ambasciatore inglese a Napoli, il viaggiatore Michele Sorgo e altri ancora.

Sembra però che Carlo Antonio Marin, amante della vita in villa, non fosse troppo compiaciuto delle assemblee mondane; tale disprezzo si evince da una lettera in cui redige, ad uso privato della consorte, quasi un trattato sulla conversazione, criticando gli assidui frequentatori della sua stessa casa:

«Circa i dotti, gl'ignoranti che vi ho fatto cenno di riverire mi spiego. I mecanici non vogliono o non sanno comprendere la letteratura. Gl'indiferenti non vogliono saperne né di scienze né di lettere, perciò in certe disputazioni s'anojano sgridandole come poco adatte alla conversazione di buon gusto [...]. Salutate il Soranzo mecanico fisico, il Cavaliere Filologo. L'Arteaga critico filosofo sul dramma musicale. Il Querini indiferente a tutto come un dio ai contrasti de mortali quando dorme e alle loro querele non vuol badare [...]. Siate giusta a persuadervi delle verità ch'io vi dico. Se no in altra apposita lettera aggiungerò il vostro carattere, il più bello della conversazione.
Addio Moglie mia.

Il vostro Pseudo Critico Marito.
Dalla mia reggia di Gordigiano.
Anno 1786 febbraio li 20[15]

Madame de Staël

Elisabetta, disdegnando la "reggia" di Gardigiano, in realtà una rustica abitazione nella campagna veneziana, trascorre molto tempo a Venezia, affinando le proprie virtù, curando la bellezza, ampliando la cultura letteraria e apprendendo l'arte di colpire il debole delle persone e quella di assecondarle.

Carattere e filosofia di vita

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In questo periodo Elisa, com'era consuetudine per una dama di rango, dispone di un piccolo casino al ponte dei Bareteri, a pochi passi da Calle delle Balotte. È questa la destinazione che appare sulle lettere a lei indirizzate, almeno a partire dal 1785[16]. Qui, finalmente in un salotto tutto suo, può calarsi nell'impegnativo ruolo della salonnière: mettere in risalto le personalità che la attorniano, le loro idee più che se stessa, dando modo a ciascuno di sentirsi protagonista; un'arte che troverà seguito anche nel fittissimo intreccio delle sue corrispondenze. Tanto maggior successo otteneva poi la Marin che univa alle grazie dell'intelletto quelle della persona e stringeva a sé i migliori ingegni dell'epoca con i sottili lacci delle segrete relazioni mondane.

Pietro Longhi: La lezione di Geografia, 1752, Fondazione Querini Stampalia, Venezia

L'intrigante capacità della dama di parlare per fini allusioni, calibrate per chi possa intenderle, e nel tempo stesso prive di carica polemica per chi, invece, non sia in grado di apprezzarle, è rilevata da Stefano Arteaga nei termini di "acuta e maligna delicatezza"[17].

Per condurre la conversazione nel salotto le era poi necessario avere conoscenze generali ma puntuali di storia, scienze, arte, medicina, e saper dare ad ognuno la risposta appropriata. Scrive infatti Antonio Meneghelli: «chi eseguisce un'aria affidato agli orecchi, è malfermo cantore; ed ella volea conoscere per principii quanto raccoglieva dagli altri, per principii il molto che da' suoi studii traeva»[18].

L'essere al centro dell'attenzione, in modo discreto, da padrona di casa, proponendo di volta in volta l'argomento di discussione e gestendo con garbo e superiorità la conversazione, impone alla dama di dominare il suo temperamento "passionale e maschio"[19]. Elisabetta continua però allo stesso tempo a vivere le «belle passioni» e a cogliere appieno le gioie della vita, secondo convinzioni che troviamo enunciate nelle sue lettere:

«Dunque, se si vive per essere felici, non si vivrà meglio quattro anni felici al posto di sessanta molto tristemente e disgraziatamente? La nostra esistenza senza la passione non sarebbe che debole e languida. Gli uomini non sono stati realmente grandi che per le loro passioni. Tutti gli uomini dell'antichità che noi veneriamo, tutti senza eccettuarne uno solo, hanno avuto bisogno di qualche passione per diventare grandi. È necessario coltivare le belle passioni, cercando di reprimere le cattive, è ciò che dobbiamo fare con tutto l'interesse possibile ed è il modo migliore di renderci stimabili[20]

Alla filosofia di Bettina aderisce anche il conte Tomaetto Mocenigo Soranzo, il quale, scrivendole in proposito, esprime così la propria opinione:

«In Francia l'entusiasmo per la libertà tien luogo di tutto [...] ma in questo nostro piccolissimo terreno, convien sostituire alla gloria di farsi un nome i piaceri fisici della vita. Amabile Marini, è forse troppo libero questo mio modo di dire: è però conforme al cuore dell'uomo. Quando sono vero, sono anche giustificato, ed ella che ama la verità, che ha un genio filosofico, deve applaudire»

Compaiono in questo periodo anche le prime accattivanti ambiguità nell'intento celebrativo, ora a favore dell'ingegno, ora dell'avvenenza. Michele Sorgo scrive infatti:

«Due qualità che io ho sempre ammirato in lei, e che per ordinario si escludono a vicenda: la pura voluttà temperata dal nobile decoro. Se io fossi uno scultore non vorrei miglior modello per rappresentare una Venere, ma potrei valermi dello stesso per rappresentare anche Minerva»

Pietro Longhi: La lezione di danza, c. 1741

Stefano Arteaga evidenzia invece le sue debolezze:

«Bellissimo è l'entusiasmo che V. Ecc[ellen]za mostra per Roma, e per l'anime più che umane che in altri tempi l'abitarono; ma a dirne il vero una bella Greca, che tanto umana si mostra, nella disgrazia che sviene al più piccolo muovimento d'una gondola, che vi si smarrisce al primo dolor di capo che le sopragiunge, che piange dirottamente al comparir di una febbre benché leggiera, e che già si crede all'altro mondo all'apparir d'un raffreddore, non mi sembra ch'esser possa molto sincera quando dice di sentirsi innalzare sopra se stessa alla sola considerazione di questi luoghi sacri onorati dagli sguardi de' Bruti, de' Catoni, de' Cesari[23]

Sono invece di segno opposto le parole che la Marin indirizza a Vivant Denon, suo cicisbeo tra il 1788 e il 1793, durante un periodo in cui la laguna, ritiratasi, aveva trasformato i canali in strade di limo profondissimo, turbando così le abitudini galanti dei due:

«Se temete il fango, mio caro amico, non uscirete più da casa vostra [...] in questo paese che essendo fatto piuttosto per dei pesci che per degli uomini, occorre che quelli che lo hanno usurpato si abituino al modo di camminare dei primi abitanti, cioè a infradiciarsi nell'acqua e nel fango.
Ecco tre giorni disgraziati che non vi si vede da nessuna parte e tutto questo perché vi è del fango e perché la vostra gondola non può scostarsi da casa vostra.
Andiamo, andiamo, abbandonate la vostra pigrizia e uscite.
Vi aspetto questa sera da madame N., ove vi ripeterò che vi amo con tutto il mio cuore[20]

Al di sotto dell'apparente ed ostentata imperturbabilità e del "genio filosofico", in Elisa sembra dunque muoversi una mai sopita ansia di attività che, come nota Antonio Meneghelli, traspare dagli "occhi scintillanti"[2] del ritratto di Élisabeth Vigée Le Brun.

Abitudini letterarie

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Disegno di Denon raffigurante Isabella Teotochi Albrizzi

"Insolente"[24], resistente a ogni imposizione, agli esordi della sua lunga carriera di salonnière la contessa si mostrava assai poco incline a cedere alle opinioni altrui. Anche nello scegliere gli studi e le letture, in questi primi anni, più che da una rigorosa disciplina, Bettina sembrava guidata dal proprio intuito e dal proprio gusto.

Attenta all'influenza della letteratura francese, adottò per lo più nella corrispondenza la lingua transalpina, motivando la scelta in maniera originale:

(FR)

«La langue italienne exige un certain cérémonial qui n'est pas du tout propre à l'amitié, tandis que le française vous en dispense tout à fait. Cette raison que j'ai toujours crue bonne, quand j'ai écrit à mes amis, je la trouve d'autant plus excellente en vous écrivant que c'est précisément avec vous que je serais le plus embarrassé à soutenir la majesté de la langue italienne»

(IT)

«La lingua italiana esige un certo cerimoniale che non è del tutto adatto all'amicizia, mentre il francese ve ne dispensa del tutto. Questo motivo, che io ho sempre creduto buono, quando ho scritto ai miei amici, lo trovo tanto più eccellente scrivendo a voi che è precisamente con voi che io sarò la più imbarazzata a sostenere la maestà della lingua italiana.»

Il Meneghelli descrive nella sua biografia le abitudini di Elisa:

«Nelle ore della mattina, meno qualche specialissimo caso, vivea interamente a sé stessa, si occupava della letteratura straniera o nazionale, secondo che il richiedea l'argomento prescelto, o esigeanlo i lavori intorno ai quali avea divisato di esercitare il suo ingegno»

Specifica inoltre come questo "vivere a sé" fosse anche per consiglio di Ippolito Pindemonte. Poi continua:

«studiava incessantemente a Vinegia, studiava nel suo villereccio soggiorno di Gardigiano, poche miglia discosto da Trevigi [...]. Era bello il vederla, nel dì che precedea la partenza, come affaccendata raccogliesse i libri in buon dato, e tanti che l'assenza ti sarebbe sembrata non già d'alquanti giorni, ma di molti mesi»

Primi tentativi letterari e artistici

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"Letterata per contatto di Letterati"[26], Isabella dà prova di continui tentativi poetici che a volte mostra agli ospiti delle proprie stanze, quasi a perpetuare la moda arcadica che, nonostante le suggestioni preromantiche, è molto forte nella dama. Suscita in tal modo la preoccupazione di Ippolito Pindemonte, vigile controllore delle fortune della giovane:

Ippolito Pindemonte, incisione di Eugenio Silvestri

«Ella mi scrive di aver fatto un sonetto, e poi d'aver fatto peggio, cioè d'averlo mostrato a molti[27]»

Nelle lettere come nei versi la dama è spesso influenzata dal destinatario, ora Pindemonte ora Bertòla. Nello scrivere a quest'ultimo, nota Cinzia Giorgetti, la marcata differenza rispetto alla abituale scrittura epistolare evidenzia quanto vi sia di consapevolmente ricercato nelle lettere all'abate, per le quali utilizza "un'inconsueta fraseologia e modulazione di sentimento". Tale adeguamento, più che un'esigenza tattica di piacere al destinatario, pare "una prima forma di comprensione del modello, preludio di una più acuta espressione critica".

Isabella in questo periodo trascorre molto del suo tempo a leggere e a stendere i primi abbozzi dei famosi Ritratti, facilitata dalla sua cultura e dalle conversazioni del salotto, attraverso le quali diviene maestra nel conoscere l'animo degli uomini. Nelle allusioni di Pindemonte ai caratteri degli ospiti del salon è possibile intravedere come nella Teotochi si sia delineato l'interesse alla descrizione di tipi ed atteggiamenti:

«Veramente veggiamo spessissimo piccolissimi nel circolo quegli uomini stessi che sono grandissimi al tavolino; ed anche riguardo alla ricchezza dell'ingegno e della dottrina altro è il possederne molto, ed altro il sapere spenderla[28]

Contemporaneo al delinearsi dell'interesse per lo schizzo psicologico è l'abbandono dell'incerta sperimentazione lirica:

«Ma io non ho il talento per far de' versi, né quella perseveranza nel farne de' cattivi che induce un giorno a farne de' tollerabili. Avrei desiderato di potermi ingannare fino a crederlo nell'illusione di quanto, e in verso e in prosa, mi dice di amabile e di grato»

Al di là degli influssi provenienti in parte dall'interesse per la letteratura francese, in parte dalle natie ascendenze corciresi, la prosa di Isabella è però maculata di evidenti imperfezioni, anche dialettali:

«Se la nostra presenza tratto tratto non avesse rattemprata la fiamma che ci procura la lontananza, e le lettere, noi, mio caro Bertola, saressimo [sic!] già pazzi d'amore»

Le licenze grafiche e grammaticali sono d'altronde le stesse del padre, il conte Antonio Teotochi. La parziale mancanza di padronanza espressiva ed il processo di adeguamento che Isabella affronta si rilevano nelle note lessicali e linguistiche che ella appone, fino ad età matura, qua e là nei suoi quaderni, precisazioni quali "Galeato vale elmato" o "spegazzo in italiano si dice sgorbio-sgorbj"[31].

Allontanamento di Denon e partenza di Marin

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Proprio in questo periodo, in tempi nei quali lo splendore e lo sfarzo nascondevano i germi del decadimento e la paura per i moti francesi irrigidiva anche i mondani costumi lagunari, Isabella era all'apice della celebrità: Marco Aurelio Soranzo scriverà nel 1791 un Ritratto di Isabella, mentre l'anno dopo verrà pubblicata, per volontà del conte Zacco, una silloge in onore della dama, L'originale e il ritratto, con testi di Denon, Bertòla, Giovanni ed Ippolito Pindemonte, Franzoia, Cesarotti, Pagani-Cesa, Zaramellino, Sibiliato, Lamberti e Mollo.

Vivant Denon in un autoritratto del 1823

A turbare la vita di Isabella, al punto da farla dimagrire vistosamente[32], è un'informativa inviata a Vivant Denon, sospettato di spionaggio, nella quale si legge:

«1793, 12 luglio, Denon sia sfrattato tempo tre giorni[33]

Lo si accusa di aver procurato degli incontri tra l'abate Zannini, già precettore d'Isabella, e d'Henin, ex-direttore del dipartimento degli Affari Stranieri francese e futuro ministro di Francia a Venezia nel periodo rivoluzionario, di aver costituito un club giacobino nelle stanze di Isabella, di aver impiantato traffici illeciti di vino e di ricavarne alti guadagni[32].

L'incisore partirà definitivamente da Venezia il 15 luglio 1793, ma il rapporto epistolare tra i due continuerà per molto tempo.

Per Isabella si prospetta inoltre un lungo allontanamento da Venezia: Carlo Antonio ha infatti ottenuto nel giugno 1793 l'alto incarico di Provveditore nelle isole di Cefalonia e Itaca. La dama oppone un netto rifiuto a questa eventualità, rifiuto motivato, sostiene, dalla necessità di rimanere a Venezia per poter seguire il figlio nel compimento dei suoi studi.

Invece, il Marin i primi di settembre, ritirato Giovan Battista Marin dal Collegio del Seminario vescovile di Treviso, decide di portarlo con sé nel lungo viaggio in carrozza da Venezia a Otranto, da dove si sarebbero imbarcati per la Grecia. Dopo aver percorso la penisola, fermandosi nelle maggiori città e facendo apprezzare a "Titta" le bellezze archeologiche di Napoli e Roma, Carlo Antonio arriva, verso la fine di ottobre, a Cefalonia. Da qui scrive all'amico Rocco Sardi, suo amministratore:

«Bramo sapere la condotta di mia moglie, sempre uguale nel suo carattere [...] scrive delle cose tenere ad uno zio, chiede elemosina dicendo che l'ho fatta star a Venezia a tradimento, lasciandola morir di fame. Ma quest'arte la rende più odiosa ai suoi[34]

Isabella scrive intanto al padre Antonio chiedendogli di raggiungerla a Venezia, sperando così di mettere a tacere le malelingue: egli vi giungerà alla fine di ottobre.

Nel frattempo, ospite presso la villa dell'Inquisitore di Stato Giovanni Battista VI Albrizzi, conosce Angela Veronese, in Arcadia Aglaia Anassilide, che più tardi racconterà con toni entusiastici l'incontro avvenuto all'ombra dei viali di villa Albrizzi:

«Questa bella Dama adorna di spirito, cultura e gentilezza passeggiava in giardino fra molti nobile ed eruditi cavalieri; mi accostai a lei presentandole un fiore e un epigramma, di cui non mi ricordo che la seconda parte, eccola:

Il favore ch'io domando
io ti prego non negar:
questo fior ti raccomando
sul tuo seno di posar.

La Dama gentilmente lo aggradì; anzi aggradì l'uno e l'altro. Mi regalò sul momento le bellissime canzoni del Savioli, che mi resero estatica di ammirazione[35]

Annullamento del matrimonio

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Nell'aprile del 1794 Isabella decide di sciogliere definitivamente i vincoli con il marito. In maggio presenta all'arcivescovo di Corfù un memoriale che annuncia ufficialmente la sua richiesta e viene fissata, per il mese di luglio, la data di presentazione dell'istanza di annullamento.

L'apertura della causa di annullamento da Carlo Antonio Marin non sembra turbare la consuetudine delle riunioni serali, ed anzi, proprio in questo periodo, le stanze di Isabella inglobano la porzione più attiva della cultura veneta di fine Settecento.

Nella primavera del 1795 l'incarico di provveditore sta ormai terminando e il Marin si prepara a tornare a Venezia, dove potrà difendere con più forza i propri diritti. È proprio in questo periodo che sale la tensione tra Isabella e Carlo Antonio, che fino a quel momento aveva continuato a sperare e a inviare doni, come olio e rosolio, alla consorte.

Ottenuto da Corfù un primo verdetto negativo all'annullamento[36], Isabella non rinuncia ai propri propositi: forte dell'aiuto, anche economico, dell'influente inquisitore Albrizzi e grazie alla mediazione di Pietro Pesaro, ambasciatore della Serenissima Repubblica a Roma, Isabella ottiene l'interessamento del pontefice. Per intercessione di Pio VI, il vescovo di Belluno Sebastiano Alcaini riceve infatti l'incarico di rivedere il processo di annullamento del matrimonio.

Il 6 luglio 1795 arriva finalmente da Belluno risposta positiva all'annullamento.[36]

Isabella decide dunque di abbandonare le stanze in Calle delle Balotte e di trasferirsi negli angusti locali del suo casino. È in questo periodo che Isabella si apre all'amore per un ragazzo che ha la metà dei suoi anni, il diciassettenne Niccolò Ugo Foscolo.

L'amore iniziatico: Ugo Foscolo

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Il giovane, dalla "solcata fronte, il crin fulvo, le emute guance e l'ardito aspetto, sobrio, umano, leal, prodigo, schietto"[37], nato nel possedimento veneziano greco di Zante nel 1778, è in quel tempo confinato a vivere in povertà in campo de le gate con la madre Diamantina Spathis e la sorella Rubina. Nel salotto di Isabella era sbocciato prestissimo in lui un caldo sentimento verso l'esperta, affascinante compatriota.

Non era un uomo facile, anzi "d'indole bizzarra, tetra, selvaggia, ma uno sguardo, un sorriso d'Isabella lo rendeva amabile, dolce, faceto"[38]. Ottenuto l'annullamento, la dama accoglie il giovane nel suo appartamento.

Si è discusso a lungo, soprattutto durante il XIX secolo, sull'interpretazione di un frammento dell'incompiuto romanzo autobiografico, Sesto tomo dell'io, nel quale una "celeste Temira" inizia il giovane poeta all'amore:

«A questa sacerdotessa di Venere ho consacrato le primizie della mia gioventù. Ella amava le buone qualità delle donne, e sfuggiva senza maldicenza i lor vizi. Ammirava in taluna lo spirito, in tal altra il cuore, in questa la gioventù, in quella i vezzi, ed ammirava tutti questi doni in sé stessa... Ma non n'era avara per questo. Viveva e lasciava vivere. Il mistero apriva e chiudeva le cortine del suo letto: – il mistero, intendi? – Era amante per cinque giorni, ma amica per tutta la vita.
[...] Io – proseguì [Temira] – stava tra il sì e il no sul pensiero d'offrire io medesima il tuo primo sacrificio alla natura. Temeva di aprire al tuo cuore inesperto ed impetuoso la via del dissipamento. Io già sentiva il rimorso di sviarti dalle utili discipline e di rapirti gli amabili vaneggiamenti di un amore non ancor conosciuto... Ma d'altra parte mi parea di vederti trascinato dalla prepotenza del tuo naturale a comprare i baci da una bocca affannata, guastando la tua salute e la tua gioventù. Talvolta ti sentiva, a piedi di una superba, maledire l'amore, e gemere respinto e sprezzato. Le donne virtuose nei sospiri de' loro amanti sfortunati non altro alimentano che una perfida compiacenza... Vien' dunque, vieni. Gli abbracciamenti d'una donna che t'ama t'ammaestrino nel vivere e t'allontanino dal vizio.
Bada!... non innamorarti! –
(Oh! avessi creduto a Temira, non avrei tentato di offrire a' tuoi piedi, o Teresa, il mio cadavere senza neppure la speme di una lagrima)»

Per primo Ippolito Pindemonte, forse ricordando lo pseudonimo arcadico (Temira Parraside) della famosa salottiera livornese Fortunata Sulgher, aveva attribuito a Isabella il soprannome di "saggia Temira" e già ne Il tempio di Cnido di Montesquieu una Temira sacerdotessa di Venere induceva all'amore.

«Temira era dunque Isabella? Manca ogni rigore di certezza storica, ci si deve fermare alle supposizioni»[39].

In questo periodo Isabella, non potendo contare che sulle esigue rendite del padre e sui prestiti degli amici, in particolare di Iseppo Albrizzi, è costretta a sospendere le riunioni nel suo famoso salotto:

«Malgrado la nostra filosofia capisco che il maledetto articolo dinaro ci tormenta. Così è. Possiamo legger Seneca, e mille altri, quando non c'è dinaro, le pieghe non possono mantenersi orizzontali[40]

Nuovo matrimonio

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Antonio Meneghelli, nella sua opera biografica, sottolinea fermamente che:

«chi si avvisasse che un vagheggiato imeneo avesse condotto Isabella a quel passo [l'annullamento], non darebbe nel vero, infatti, il matrimonio con Giuseppe Albrizzi a que' dì non potea essere neppure un pensiero, perché recentissima era la sua relazione [...]. Gli affetti che deono decidere di un matrimonio, non si destano in un istante; e l'opera di un istante non potea essere per Isabella, che sapeva quanto valesse quel vincolo»

La decisione è comunque per lo meno prefigurata già tre mesi dopo la conferma dell'annullamento, il 10 ottobre 1795, quando Isabella informa Denon dell'intenzione di unirsi al conte Albrizzi. Denon, nel frattempo sempre più impegnato a dirigere la politica culturale di Napoleone e a radunare le migliori opere d'arte di Francia, le risponderà da Parigi:

«Amica mia, tutto quello che mi dici sul Duca mi turba. Ci avevo spesso pensato, ma era sempre vagamente, [...] amica mia, quando penso che puoi essere felicissima grazie ad una ottima sistemazione grazie ad una grande fortuna, grazie ad un essere buono che ti ama, che non posso sostituire [...] se il Duca non avesse più mezzi di me, ti disputerei a lui, impiegherei tutto ciò che potrei per persuaderti e anche per sedurti[42]

Aggiunge infatti Meneghelli che "...l'Albrizzi vedea a malincuore non lontana la morte del padre di lei, molto inoltrato negli anni, e quindi vicino il momento in cui sola, e a prezzo di una dote non pingue, avrebbe dovuto condurre la vita. Trovava perciò necessario un punto di appoggio"[43].

Il matrimonio venne celebrato in segreto il 28 marzo 1796: "...per istendere un velo sulla cosa, per far lacere que'molti che troppo si occupano de' fatti altrui" e probabilmente per allontanarla dai dissapori nati tra i fratelli a causa dell'unione, "...l'Albrizzi s'avvisò di far imprendere alla dolce compagna un viaggio"[44].

"Preceduta dalla fama, scortata da molte e molte lettere"[45] Isabella parte da Venezia in aprile, accompagnata dal precettore Sebastiano Salimbeni e dal padre, per un classico grand tour.

Visita dapprima Bologna, Firenze, Pisa, città nelle quali la dama si concentra soprattutto nella visita di gallerie e musei. Durante il tour scrive diari di viaggio ispirandosi a modelli quali ad esempio Johann Wolfgang von Goethe, da lei ospitato nel maggio del 1790.

Canaletto: Il Colosseo

Isabella rimane particolarmente affascinata dalla capitale toscana, dove arriva il 27 aprile e vi si trattiene più del previsto: ricevuta a corte il primo maggio, non riesce invece a incontrare Vittorio Alfieri e la contessa d'Albany. Solo grazie ad una lettera di presentazione di Melchiorre Cesarotti vedrà poco dopo l'Alfieri.[46]

In maggio arriva a Roma, città che in seguito definirà «il più bel sogno della mia vita»[47]. Entra in contatto con «molti maestri nello studio dell'erudizione e nel retto giudicare dei lavori d'arte»[47], tra cui l'ambasciatore veneto Pietro Pesaro, Daniele Francesconi, futuro bibliotecario all'università di Padova, il critico teatrale Stefano Arteaga e l'archeologo Ennio Quirino Visconti, direttore del Museo Pio-Clementino.

Accompagnata da Pesaro e Visconti visita lo studio di Antonio Canova, a Roma dal 1781, in via del Babuino e ha modo di ammirare villa Adriana a Tivoli. Nonostante l'asprezza del percorso e l'esperienza inconsueta per una dama di aprirsi la strada tra le macerie, Isabella si fa calare con le corde all'interno degli ampi ambienti scoperti nel '500 presso la Basilica di Santa Prassede e allora non ancora identificati con la Domus Aurea.

Scriverà in proposito:

«Si possono leggere le opere del giorno, si possono ammirare le pitture e le sculture degli autori viventi, per mode, per capriccio, per parlarne nelle conversazioni e nei caffè, ma non si leggono gli autori antichi, non si contemplano le antiche pitture e sculture che a solo oggetto di studiar e d'ottenere dallo universal degli uomini, il prezioso titolo di colto, di letterato. Ecco dunque una delle cause ch'è fortissima, io credo, per determinare chiunque sia avido di tal nome, allo studio e quindi all'esagerata ammirazione anco delle più mediocri opere dell'antichità[48]

Isabella è però tormentata dai timori:

«Datemi nuove de' francesi: io sono dispostissima a non restare a Roma, se c'è il minimo dubbio del loro avanzamento verso quella parte. Qui c'è grande costernazione, si dice lo stesso di Venezia, e io sono senza nuove, perché gli altri mi scrivono che voi me le mandate[49]

Tramonto della Serenissima: la vita in villa e il salotto

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Il primo giugno 1796 le truppe francesi entrano in Verona: per la prima volta, dopo tre secoli di tranquillità, un esercito straniero turbava le campagne della Serenissima Repubblica di San Marco.

Pressata da queste drammatiche notizie Isabella interrompe il proprio grand tour italiano per recarsi precipitosamente a Venezia. Pochi giorni dopo il suo rientro, i coniugi Albrizzi si trasferiscono in campagna.

Villa Albrizzi, costruita attorno al 1670, pochi anni dopo l'iscrizione della famiglia nel Libro d'Oro della Nobiltà, sorge lungo il Terraglio, l'ampia strada che collega Mestre a Treviso, all'altezza di San Trovaso. È affiancata da due eleganti barchesse progettate dall'architetto palladiano Andrea Pagnossin verso il 1710. La barchessa sud fu decorata nel corso del settecento con un ampio ciclo mitologico che doveva illustrare agli ospiti la gloria degli Albrizzi, il loro amore per la pittura, l'architettura, la scultura e la musica, oltre che per la caccia e l'agone fisico: la sala centrale è infatti decorata con la Corsa con le bighe, il Lancio del disco, il Pugilato e la Lotta libera. Un ciclo di affreschi dedicati ai giochi non era consueto nelle ville venete e stupì piacevolmente Goethe[50].

In villa la vita trascorre serena: in una delle due barchesse Isabella fa erigere un teatrino dove recita, insieme all'amico Louis-François Benoiston de Châteauneuf, le migliori tragedie di Voltaire.

Pietro Longhi: Il risveglio mattutino o la cioccolata del mattino

In ottobre giunge ospite in villa anche Foscolo. Dopo pochi mesi però, forse proprio a causa del matrimonio di Isabella, recide in modo netto, per anni, ogni occasione di contatto con lei. Poco tempo dopo avrebbe iniziato la stesura delle Ultime lettere di Jacopo Ortis e quasi certamente, risultando vistosa la componente autobiografica, Isabella influì nella sofferta e impetuosa composizione del romanzo.

In particolare sembra puntuale riferimento all'amata la lettera datata Padova, 11 dicembre:

«Ho conosciuto la moglie del patrizio M*** che abbandona i tumulti di Venezia e la casa del suo indolente marito per godersi gran parte dell'anno in Padova. Peccato! la sua giovane bellezza ha già perduto quella vereconda ingenuità che sola diffonde le grazie e l'amore. Dotta assai nella donnesca galanteria, si studia di piacere non per altro che per conquistare; così almeno giudico. Tuttavolta, chi sa! Ella sta con me volentieri, e mormora meco sottovoce sovente, e sorride quando la lodo; tanto più ch'ella non si pasce come le altre di quell'ambrosia di freddure chiamate be' motti, e frizzi di spirito, indizj sempre d'animo nato maligno»

Jacopo Ortis racconta poi di essere andato a trovare la dama per recarle «un certo libro di cui ella mi richiese»:

«Io sentiva l'aere d'improvviso odorato di mille quintessenze, e vedeva madama tutta molle e rugiadosa entrarsene presta e quasi intirizzita di freddo, e abbandonarsi sovra una sedia d'appoggio che la cameriera le preparò presso al fuoco. Mi salutava più con le occhiate, che con la persona - e mi chiedea sorridendo s'io m'era dimenticato della promessa. Io frattanto le porgeva il libro osservando con meraviglia ch'ella non era vestita che di una lunga e rada camicia la quale non essendo allacciata radeva quasi il tappeto, lasciando ignude le spalle e il petto ch'era per altro voluttuosamente difeso da una candida pelle in cui ella stavasi involta. I suoi capelli benché imprigionati da un pettine, accusavano il sonno recente; perché alcune ciocche posavano i loro ricci or sul collo, or fin dentro il seno, quasi che quelle picciole liste nerissime dovessero servire agli occhi inesperti di guida [...]. M'alzai chiedendole perdono ch'io fossi venuto fuor d'ora; e la lasciai quasi pentita - certo; di gaja e cortese si fe' un po' contegnosa - del resto non so. Quando fui solo, la mia ragione, che è in perpetua lite con questo mio cuore, mi andava dicendo: Infelice! temi soltanto di quella beltà che partecipa del celeste: prendi dunque partito, e non ritrarre le labbra dal contravveleno che la fortuna ti porge. Lodai la ragione; ma il cuore aveva già fatto a suo modo»

Nella Venezia inebriata dall'ultimo, effimero Carnevale, Isabella, potendo contare su maggiori disponibilità finanziarie, riapre il proprio salotto, ormai tra i più illustri d'Italia, tra calle Cicogna e calle lunga di San Moisé, presso la corte di Ca' Michieli.

Lord Byron, frequentatore del salotto di Isabella durante i suoi soggiorni lagunari, trarrà da queste riunioni mondane dettagliate conoscenze sulle vicende e sulle abitudini dei salotti veneziani trasponendole in seguito nel poema satirico Beppo, a Venetian story[51].

Pietro Longhi: La toilette mattutina

La fine della Repubblica è prossima: il 16 maggio 1797, dopo l'abdicazione del Maggior Consiglio, le truppe francesi sfilano in piazza San Marco.

Anche se amica di molti sostenitori delle idee rivoluzionarie e di uomini legati al governo della Repubblica Francese, e apertamente incline alla cultura d'oltralpe, Isabella guardava nel più profondo silenzio gli avvenimenti. Ha infatti più fiducia nell'assolutismo illuminato che non nella rivoluzione francese. «E fu a prezzo di quel nobile e avveduto silenzio, che libera continuava a conversare co'suoi»[52].

Ma a soli trenta chilometri dalla capitale, la vita in villa trascorre serena.

È proprio qui che Isabella, impegnata nella stesura dei Ritratti, riapre il proprio salotto, recita opere francesi, organizza balli e cavalcate lungo gli ombrosi viali.

Grazie all'interessamento di Denon i possedimenti di Iseppo rimangono intatti anche dopo il passaggio sotto l'Austria. Diversamente avverrà per molte altre famiglie di spicco come i Bragadin, i Labia, i Giustinian, i Pisani Santo Stefano, i Marin e i Tiepolo.

Secondo viaggio

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Dopo la firma del Trattato di Campoformio la situazione a Venezia sembra essersi stabilizzata: non avendo nulla da temere dal nuovo governo asburgico, Iseppo e Isabella decidono nell'estate 1798 d'intraprendere un nuovo viaggio lungo la penisola.

Johann Zoffany: Tribuna degli Uffizi

Giunta a Firenze, Isabella s'immerge nell'arte e nella storia: le frenetiche visite dimostrano come il breve soggiorno di due anni prima non fosse riuscito ad appagare la sua curiosità. La dama rimane particolarmente incantata dal Gabinetto Fisico e dalla Galleria degli Uffizi.

È proprio nella capitale toscana che Isabella prende spunto, da un'occasione di salotto, per la prima prova letteraria ufficiale, la Risposta della Signora Isabella Teotochi Albrizzi all'Abate Stefano Arteaga. Nel giugno del 1799 le Lettere dovevano già circolare ampiamente: il giudizio di Isabella travalicava ormai l'ambito del salotto.

Le vicende politiche resero impossibile proseguire il viaggio verso Roma: già nel febbraio 1798 l'esercito napoleonico era entrato in Roma e vi aveva favorito l'instaurazione di una Repubblica. Di lì a pochi mesi sarebbe stata la volta del regno di Napoli.

Il 4 ottobre 1798 i coniugi Albrizzi ripartono alla volta di Venezia; vi arrivano alla fine del mese.

È durante l'inverno di quell'anno che Isabella rimane incinta di Iseppo Albrizzi: gli amici la vedranno, splendida della sua bellezza materna, come la dea Cerere:

«È contentissima d'essere Cerere. Dice che è una dea saggia e assai utile agli uomini[53]

Giovanni Battista Giuseppe nasce il 26 agosto 1799 a Padova nel palazzo Albrizzi nella Parrocchia di San Lorenzo. Affettuosamente amato dagli amici di casa Albrizzi, è soprannominato da Foscolo "Pippi". L'anno successivo il "nobile putello" sarà il primo, a Venezia, a essere sottoposto alla vaccinazione antivaiolo.

Giovanni Francesco Romanelli: Cerere, 1660

Intanto Isabella continua a dar vita al suo splendido salotto. Troviamo infatti in questi anni tra gli ospiti di Isabella il principe Oscar, futuro re di Svezia, il principe Hohenzollern, Carlo Luigi di Borbone duca di Lucca, il principe ereditario di Baviera, Johann Simon Karl Morgenstern, professore di letteratura greca e bibliotecario all'Università di Tartu, Johan David Åkerblad, antiquario e poliglotta svedese, lo storico dalmata Vincenzo Drago, il marchese di Maisonfort, intimo di Luigi XVIII di Francia, e il barone d'Hancarville, elegante avventuriero, detto il Casanova delle conversazioni.

È in questo periodo che l'amicizia tra Isabella e il conte Tommaso Mocenigo Soranzo, risalente alla prima fase del salotto in Calle delle Balotte, si evolve in un rapporto d'amore. Alla «saggia Isabella» pindemontiana, alla Circe sensuale, aristocratica, che emerge dal Sesto tomo dell'io e dall'Ortis e all'assennata consigliera dell'epistolario, si oppone un'ulteriore persona della Teotochi, depurata da ogni trasfigurazione letteraria, «una donna intelligente e acuta, gelosa e collerica, talora dimentica dei dettami di prudenza e accortezza»[54].

Le intime frequentazioni tra Isabella e Soranzo non sfuggono a Ippolito Pindemonte il quale, scrivendo all'amico Zacco, se ne rammarica profondamente: «D'Isabella non parlo. Ringrazio l'acido vegetale che fa bene al bambino, ma non quegli affari, che non vorrei facesser del male a suo padre»[55] Rintraccia in Tomaetto la causa per cui Isabella è attaccata alla sua Venezia "come un'ostrica [...] dell'Arsenale"[56].

Nel salotto di Isabella avviene la discussione tra Pindemonte e Foscolo sull'editto di Saint Cloud emesso da Napoleone: Foscolo, soldato napoleonico seppur critico, si dichiara d'accordo, poi cambia idea e realizza il carme Dei sepolcri.

La morte dell'Albrizzi e i rapporti con Soranzo

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Nell'estate del 1810 Iseppo Albrizzi si ammala e la famiglia incomincia a trovarsi in ristrettezze economiche. È Soranzo a intervenire in soccorso dell'amata:

«Nordio ti darà mille ducati, sono i primi dei tremila che tu sai sono destinati per te, o per tuo marito[57]

Il rapporto tra i due è sempre più intimo, si avvia verso un ménage quasi familiare[58]. Isabella è comunque sposata all'Albrizzi e dunque, almeno in apparenza, la forma va salvata.

Nel 1812 Iseppo Albrizzi, da tempo malato, si spegne. Pochi mesi dopo anche il conte Antonio Teotochi, ospite da alcuni anni a palazzo Albrizzi, muore a Padova. "Bettina" è di nuovo sola, libera, ma senza alcun appoggio: le preoccupazioni per l'avvenire del figlio la assillano in questo periodo in maniera pressante:

«Intanto la mia salute se ne va e il povero Giuseppino resterà senza fortuna e senza scorta al mondo. Suo padre l'ha tradito, avendo impiegata la sua propria esistenza a pro nostro. Io lo benedico perché il suo cuore era quello di un angelo, del resto non gli chiedo conto[59]

Sembra accertato che in questo periodo Isabella dovette contare su Tomaetto Mocenigo Soranzo, «tutore di fatto se non di nome di Pippi», il quale aveva posto le proprie finanze a disposizione della famiglia dell'amica già da prima del decesso dell'Albrizzi. Anche se non vi è cenno nelle lettere dell'intenzione di nuove nozze, un provvedimento del governo impediva comunque ogni progetto, prevedendo la perdita dei titoli nobiliari per ogni vedova che si risposasse[60].

Thomas Phillips: Lord Byron in Albanian dress

Isabella passa sempre meno tempo nell'amata villa sul Terraglio, direttrice troppo spesso percorsa delle truppe, e si rifugia nel palazzo di Padova. Manifesta nel frattempo a Denon il desiderio di raggiungerlo a Parigi.

Nel 1814 Tomaetto, divenuto Ciambellano dell'Impero, si trova però in difficoltà economiche. Scrive allora ad Isabella:

«[Nordio] mi fa un quadro assai triste della mia economia. Né vi dissimulo che un articolo importante riguarda voi pure, mettendomi sottocchio i denari spesi per aggravi della vostra famiglia, e quelli che dovette trovare per provvedere al vostro mantenimento[61]

Nella primavera del 1817 Isabella riceve la visita del poeta William Stewart Rose, autore, tra l'altro, di una traduzione dell'Orlando Furioso, e rivede Lord Byron, che la definirà come la "Staël veneziana".

Viaggio a Parigi

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Nel maggio 1817 l'Albrizzi decide di intraprendere il lungo viaggio per Parigi. A spingerla è il desiderio di visitare la capitale della cultura e dell'eleganza, di vedere con i propri occhi l'immensa collezione raccolta al Louvre, ma anche far conoscere una realtà diversa al figlio e rivedere un vecchio amico.

Isabella trascorre cinque mesi nella capitale francese, alloggiata all'Hotel des deux Sicilie in Rue Richelieu «la strada da attraversare per essere nel cuore del Louvre, venticinque passi da fare per essere alle Tulieries, a trecento passi per la Commedia Francese»[62].

«L'istante in cui rivide gli amici fu il più delizioso della sua vita, l'aspetto di Parigi un vero prodigio a'suoi occhi.»[63] Non riesce però a rendere omaggio a Madame de Staël, «già conosciuta e trattata a Venezia colla maggiore ospitalità; la nobildonna infatti al suo arrivo stava per mettere l'estremo respiro»[63]. Stringe invece amicizia con Madame de Genlis, già amante del Duca di Chartres, amica di Jean-Jacques Rousseau e di Talleyrand, il biologo Georges Cuvier, Alexander von Humboldt, esploratore, biologo e botanico tedesco, l'insigne grecista Adamantios Korais e François-Joseph Talma, attore che rivoluzionò il teatro francese.

A Parigi Isabella incontra anche Ennio Quirino Visconti. Il Carrer riporta che il nobiluomo, rivedendola dopo molto tempo, le disse: «Contessa, ella non cangia mai come le statue che eccellentemente descrive»[64].

Declino e morte

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La fama continua a far accorrere al salotto della contessa numerose personalità. Nel 1821 riceve la visita del visconte François-René de Chateaubriand, considerato il fondatore del Romanticismo letterario francese, il conte polacco Franz Anton von Kolowrat-Liebsteinsky, il duca di Ragusa Auguste Marmont, il poeta Luigi Carrer, il critico d'arte e giornalista Tommaso Locatelli.

Ugo Foscolo, di François-Xavier Fabre, 1813

Da luglio a settembre si reca a Firenze e Pisa. Da questo momento, infatti, la vita della dama è costellata da brevi viaggi, come quello a Verona, dove nell'autunno del 1822 si festeggia la presenza dei reali d'Austria.

Continua inoltre ad intrattenere una fitta corrispondenza con Foscolo, al quale non manca sollecitudine e premura neppure nell'illustre miseria di Edward Square Kensington":

«Scrivetemi pure quanto più spesso potete col mezzo di questi esseri erranti che trottano spesso per l'Europa sbadatamente come noi per la piazza di San Marco. Amatemi sempre, ed aggradite i saluti di Giuseppino. Addio, bello e sublime ingegno, addio. Isabella»

È questa l'epoca in cui la dama redige il testamento: assieme ai figli Giovan Battista Marin e Giuseppino Albrizzi, l'Albrizzi nomina erede «l'ottimo e costante amico Conte Tomá Mocenigo Soranzo»[66]. Già da tempo gli accenti della passione tra i due erano stati sostituiti da più pacate dimostrazioni d'amicizia. Nel 1827 Soranzo sposerà, ormai sessagenario, Rachele Londonio. La «saggia Isabella» tempera ancora una volta i propri ardori, proseguendo gli scambi epistolari. L'amicizia si ricrea e le nozze di Tomaetto non sembrano essere altro che una breve parentesi nelle abitudini di entrambi; con ritrovata signorilità e distacco ella invia «saluti e rispetti alla famiglia Soranzo e signora»[67].

Altre amarezze attendono però Isabella: nel 1827 muore Foscolo, l'anno successivo Pindemonte.

Nel 1829 Giacomo Leopardi, comprendendo la Contessa all'interno della lista di autrici italiane degne di menzione, le tributa un indubbio riconoscimento.

Walter Scott è, nel 1832, tra gli ultimi grandi personaggi a onorare Isabella.

Nel giugno 1835 inizia per l'Albrizzi un triste declino fisico e morale. Scrive a Vincenzo Drago:

«Non avvezza ad essere malata si aggiunse in me tale una tristezza, per cui, quasi direi avere più che vissuto, vegetato[68]

Alla chiusura non più procrastinabile del salotto farà seguito la visita dell'Arciduchessa Elisabetta d'Austria, giunta appositamente a Venezia per rendere onore all'Albrizzi poco prima della morte, avvenuta il 27 settembre 1836.

La chiesetta delle Grazie, situata nei pressi di villa Albrizzi, ha accolto i resti della contessa.

Risposta della Signora Isabella Teotochi Albrizzi all'Abate Stefano Arteaga

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Il Meneghelli ha così ricostruito nella sua opera biografica la nascita della Lettera sulla Mirra dell'Abate Arteaga e della Risposta della Contessa:

«Ma la tragedia [di Alfieri] contro cui l'Arteaga maneggiava con più di forza e di ostinazione la sferza, era la Mirra. Indegno della pubblica scena sembravagli il tema, poco felice la condotta, l'intreccio nullo o senza interesse, lo sviluppo circoscritto a pochi monosillabi dubbii ed oscuri, lo stile non sempre tragico, e talora maniere non del tutto italiane. Gli altri, e più degli altri Isabella prendeva le parti dell'Alfieri [...] E tanto crebbe il calore del dialogo, che l'acre censore assunse di far pubbliche le accuse, a condizione che pubbliche pur si rendessero le discolpe. [...] Scrissero entrambi, ma con risultati molto diversi. Lo scritto dell'Arteaga fu riguardato dai più discreti qual opera di chi non avea potuto mancare alla già data parola, e l'apologia d'Isabella parve in ogni senso felice»

A credere alle parole dell'Arteaga, l'occasione fu invece con insistenza provocata dai replicati comandi dell'Albrizzi.

La struttura risente dell'originaria discussione: "smontando punto per punto le accuse, le serrate interrogative retoriche di Isabella intessono il filo di una logica a tratti incalzante. Anche se la preoccupazione moralistica è presente, Isabella difende la Mirra soprattutto dalle obiezioni culturali e letterarie"[70].

Nel giugno del 1799 le Lettere dovevano già circolare ampiamente: il giudizio dell'Albrizzi travalicava ormai l'ambito del salotto.

Lo stesso argomento in dettaglio: Ritratti (Isabella Teotochi Albrizzi).

Dopo la Risposta della Signora Isabella Teotochi Albrizzi all'Abate Stefano Arteaga del 1798,[71] la seconda opera di Isabella Teotochi Albrizzi è una raccolta di brevi descrizioni fisiche e morali dei più illustri amici che frequentavano il suo salotto, i Ritratti.

Opere di scultura e di plastica di Antonio Canova

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Lo stesso argomento in dettaglio: Opere di scultura e di plastica di Antonio Canova.

Se una descrizione di Canova compare nei Ritratti nell'edizione Bettoni del 1808, la prima formulazione del progetto per un'opera di più ampio respiro risale presumibilmente, come si deduce dalla bibliografia dei manoscritti pubblicata da Giorgetti, già a prima del 1794. In quell'anno Vivant Denon scrive infatti a Isabella:

(FR)

«Tu fais si bien la descriptions des ouvrages de sculpture que je regrette de n'être pas sculpteur au lieu d'être graveur. Sans compliments un artiste n'aurait pas mieux décrit son propre ouvrage que tu l'as fait de ceux de Canova.»

(IT)

«Tu fai così bene la descrizione delle opere di scultura che rimpiango di non essere scultore invece che incisore. Senza complimenti un artista non avrebbe descritto meglio la sua opera come hai fatto di quelle del Canova»

L'opera maggiore della "colta dama", le Opere di scultura e di plastica di Antonio Canova, vede dunque la luce nel 1809, edita prima a Venezia, poi a Firenze. Grato, il Canova la ringrazierà alcuni anni più tardi regalandole un busto di Elena.

Vita di Vittoria Colonna

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Nel 1812 Isabella Teotochi Albrizzi riceve una gratificante commissione: l'editore Niccolò Bettoni le chiede di scrivere una Vita di Vittoria Colonna da inserire nella collana Vite e ritratti di donne illustri che verrà edita in Padova nel 1815.

Ritratto di Giustina Renier Michiel

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Nel 1833 la scrittrice affronta un nuovo cimento, il Ritratto di Giustina Renier Michiel, scrittrice e salonniére morta l'anno precedente.

  1. ^ Antonio Pilot, Isabella Teotochi Albrizzi, in Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1937. URL consultato il 21 maggio 2023.
  2. ^ a b Meneghelli, p. 12.
  3. ^ Meneghelli, p. 10.
  4. ^ Due sono i documenti, conservati nella Biblioteca Comunale di Verona, che riportano le informazioni desunte dal libro della chiesa di Sant'Antonio: nel primo, redatto in greco e corredato di traduzione, si legge: «1760 ultimo Aprile [...] il padre le diede nome Elisabetta»; nel secondo, datato 1807, troviamo invece scritto: «1760. Millesettecento sessanta. Sedici giugno. Ho battezzato io sottoscritto Cappellano della chiesa di S. Antonio una fanciulla [...] e venne nominata Isabella» Il 16 giugno pare in effetti essere la data esatta di nascita, riportata anche nell'iscrizione tombale presente nella chiesetta delle Grazie a San Trovaso di Preganziol (TV). Il nome Isabella è forse un adeguamento dell'anonimo all'onomastica ormai diffusa nell'anno in cui scriveva. Cfr. Giorgetti, p. 4
  5. ^ a b Carrer, p. 5.
  6. ^ Meneghelli, pp. I-II.
  7. ^ "Alberto Zaramellino e l'abate Zannini le insegnavano letteratura italiana e francese". V. Malamani, Isabella Teotochi Albrizzi..., p. 5 (p. 6 on line e pdf)
  8. ^ Meneghelli, p. 11.
  9. ^ «La natura si era mostrata tanto avara con lui, quanto generosa colla nostra Isabella. Unire quegli estremi sapea di tirannide» in Meneghelli, p. 12
  10. ^ V. Malamani, Isabella Teotochi Albrizzi..., Favaro, p. 33
  11. ^ Biblioteca Comunale di Forlì, Raccolta Piancastelli, Coll. aut. sec. XIX, Teotochi Isabella, cass. 193, fas. XVI, s.n., senza data, a Costantino Zacco, cfr. Giorgetti, p. 6
  12. ^ L'espressione è tratta da una lettera di Bertola, Giorgetti, p. 95
  13. ^ La definizione è della stessa Elisabetta e risale al 1793, cfr. V. Malamani, Isabella Teotochi Albrizzi. I suoi amici. Il suo tempo. cit. p. 176 e Giorgetti, p. 96
  14. ^ Giorgetti, p. 96.
  15. ^ Biblioteca Comunale di Verona, Carteggi Albrizzi, b. 193, Marini, 1, Gordigiano 20 febbraio 1786, cfr. Giorgetti, p. 98 e Favaro, p. 49
  16. ^ Giorgetti, p. 94.
  17. ^ Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, Carteggi vari, 448, 3.11, Roma 15 febbraio 1788, cfr. Giorgetti, p. 107
  18. ^ p. 22.
  19. ^ Il conte Mocenigo Soranzo le scrive: «Voi per altro diete la Donna più maschia, e quella che i latini dicevano virago con voce loro propria, che io m'abbia mai conosciuto.» Biblioteca Comunale di Verona, B. 196, Carteggi Albrizzi, cfr. Favaro, p. 71
  20. ^ a b Biblioteca Comunale di Verona, B. 199, Seriez vous [...], cfr. Favaro, p. 71
  21. ^ Biblioteca Comunale di Verona, B. 196, Carteggi Albrizzi, Soranzo, [fasc. 2], venerdì 7, Padova, cfr. Favaro, p. 71
  22. ^ Biblioteca Comunale Verona, Carteggi Albrizzi, b. 196, Sorgo, 2, Padova 11 marzo 1787, cfr. Giorgetti, p. 7
  23. ^ Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, Carteggi vari, 448, 3.7, Roma 24 marzo 1787, cfr. Giorgetti, p. 8
  24. ^ Così Elisabetta pareva a Costantino Zacco, nell'ottobre del 1797 (cfr N. Vaccaluzzo), Fra donne e poeti nel tramonto della Serenissima, cit. p. 9.
  25. ^ a b Meneghelli, p. 22.
  26. ^ Giorgetti, nota 21 p. 226.
  27. ^ Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, Carteggi Vari, 449, 17. 21, Aversa 25 settembre 1786, cfr. Giorgetti, p. 104
  28. ^ p. 104. Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, Carteggi Vari, 449, 17. 38, Aversa 6 giugno 1788, cfr. Giorgetti, p. 110
  29. ^ Biblioteca Comunale di Forlì, Carte Romagna, 62. 174, cfr. Giorgetti, p. 111
  30. ^ Biblioteca Comunale di Forlì, Raccolta Piancastelli, Carte Romagna, 62. 185, Venezia, 2 marzo 1793, cfr. Giorgetti, p. 117
  31. ^ Biblioteca Comunale di Forlì, Lascito Azzolini, Teotochi, cass. 57, fasc. Manoscritti vari (32), s.n. quaderno di 15 cc. legate, cfr. Giorgetti, p. 117
  32. ^ a b Favaro, p. 79.
  33. ^ Archivio di Stato di Venezia, Inquisitori di Stato, Denon, b. 1240 c. 166, cfr. Favaro, p. 77
  34. ^ 7 novembre 1793, cfr. Favaro, p. 85
  35. ^ Favaro, p. 85.
  36. ^ a b Vanna Maria Fonsato, Giudizi letterari di Isabella Teotochi Albrizzi nel carteggio inedito della raccolta Piancastelli, Montreal, Mg Gill University, 1992, p. 35, ISBN. URL consultato il 5 gennaio 2013.
  37. ^ Sonetti (Foscolo).
  38. ^ V. Malamani, p. 55.
  39. ^ A. Chiades, Addio bello e sublime ingegno, addio, p. 18.
  40. ^ Biblioteca Comunale di Forlì, Lascito Azzolini, Teotochi, cass. 56, fasc. Lettere a Vari, senza data, mercoledì 1804, Padova, Favaro, p. 100
  41. ^ Meneghelli, p. 24.
  42. ^ Favaro, p. 110.
  43. ^ Meneghelli, p. 27.
  44. ^ Meneghelli, pp. 27-28.
  45. ^ Meneghelli, p. 28.
  46. ^ «Si direbbe quasi che in quel volto l'immagine respiri di una divinità corrucciata. Quel certo splendore che dopo d'avergli quasi dorati i capelli pare che si diffonda per tutta la faccia e l'irradi: e quegli occhi che ora ci rivolge con lunghi sguardi al cielo, ed ora tiene immobilmente confitti al suolo, un essere ti annunziano straordinario del tutto...» L'Albrizzi conclude accennando ai «varii e disparatissimi giudizi che di lui daranno quanti saranno gli uomini» (citato in Mario Fubini, Vittorio Alfieri)
  47. ^ a b Favaro, p. 119.
  48. ^ Biblioteca Comunale di Forlì, Raccolta Piancastelli, cfr. Favaro, p. 77
  49. ^ Biblioteca Comunale di Verona, Carteggi Albrizzi, b. 190, 4 maggio 1796, cfr. Favaro
  50. ^ Johann Wolfgang von Goethe, Viaggio in Italia, 15 marzo 1783
  51. ^ G. Gordon Byron, Beppo, Una storia veneziana, Traduzione e cura di Roberto Mussapi, I Classici Universale Economica Feltrinelli, Milano, 2009. Cit. pp. 44-45, 72-75.
  52. ^ Meneghelli, p. 20.
  53. ^ È Pindemonte ad annotare in una lettera questo aneddoto; Giorgetti, p. 31
  54. ^ Giorgetti, p. 220.
  55. ^ Favaro, p. 155.
  56. ^ Giorgetti, p. 231.
  57. ^ Biblioteca Comunale di Verona, Carteggi Albrizzi, b. 196, Soranzo, [fasc. 1,2], 13 giugno 18010, cfr. Favaro, p. 166
  58. ^ Favaro, p. 167.
  59. ^ Biblioteca Comunale di Forlì, Raccolta Piancastelli, Coll. aut. sec. XIX, Teotochi Isabella, cass. 194, fasc. XXXV, cfr. Favaro, p. 170
  60. ^ Giorgetti, p. 243.
  61. ^ C. Giorgetti, Ritratto di Isabella. Studi e documenti su Isabella Teotochi Albrizzi, Firenze, Le Lettere, 1992, cit. p. 243. Biblioteca Comunale di Verona, Carteggi Albrizzi, b. 196, Soranzo, [fasc. 3], 34, Vienna 26 ottobre 1814, cfr. Giorgetti, p. 246
  62. ^ Favaro, p. 174.
  63. ^ a b Meneghelli, p. 47.
  64. ^ Carrer, p. 14.
  65. ^ A. Chiades, Addio, bello e sublime ingegno, addio, cit. p. 79.
  66. ^ Giorgetti, p. 248.
  67. ^ Giorgetti, p. 253.
  68. ^ Giorgetti, p. 256.
  69. ^ Meneghelli, p. 17.
  70. ^ Giorgetti, p. 132.
  71. ^ Isabella Teotochi Albrizzi, Ritratti scritti da Isabella Teotochi Albrizzi arricchita di due ritratti e due lettere sulla Mirra di Alfieri e della vita di Vittoria Colonna, Pisa, Niccolò Capurro, 1826, p. 139. URL consultato il 5 gennaio 2014.

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