Il conte di Montecristo

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Il conte di Montecristo
Titolo originaleLe Comte de Monte-Cristo
AutoreAlexandre Dumas (padre)
1ª ed. originale1846
Genereromanzo
Sottogenereromanzo d'appendice
Lingua originalefrancese
AmbientazioneFrancia, Italia e isole del Mar Mediterraneo (1815-1838)
ProtagonistiEdmond Dantès
AntagonistiFernand Mondego, Gérard de Villefort, Danglars
Altri personaggiFaria, Mercédès Herrera, Albert de Morcerf, Franz d'Epinay, Pierre Morrel, Maximilien Morrel, Julia Morrel, Hermine Danglars, Eugénie Danglars, Noirtier de Villefort, Héloise de Villefort, Valentine de Villefort, Édouard de Villefort, Luigi Vampa, Gaspard Caderousse, Benedetto/Andrea Cavalcanti, Haydée

Il conte di Montecristo (Le Comte de Monte-Cristo) è uno dei più famosi romanzi d'appendice attribuiti ad Alexandre Dumas[1]. Considerata la sua opera migliore insieme alla trilogia dei moschettieri (comprendente I tre moschettieri, Vent'anni dopo, Il visconte di Bragelonne), fu completata nel 1844 e pubblicata nei due anni successivi come una serie in 18 parti.

La storia è ambientata in Italia, in Francia e nelle isole del Mar Mediterraneo, durante gli anni tra il 1815 ed il 1838 (dalla fine del regno di Napoleone I al regno di Luigi Filippo). I principali temi trattati riguardano la giustizia, la vendetta, il perdono e la misericordia.

Trama

Lo stesso argomento in dettaglio: Trama de Il conte di Montecristo.
Veduta della prigione conosciuta come Castello d'If.

Edmond Dantès è un marinaio della nave Pharaon che sta per essere promosso a capitano; è, inoltre, in procinto di sposarsi con l'amata Mercédès, sua fidanzata. Mosso dall'invidia Danglars, scrivano della nave e aspirante da lungo tempo alla nomina di capitano, organizza una trappola per incastrare Edmond. Con la complicità di Fernand Mondego (cugino di Mercédès e dichiaratamente innamorato di lei, seppur respinto) e Gaspard Caderousse, Danglars scrive una lettera anonima, dove denuncia Edmond di essere un agente bonapartista. La missiva finisce nelle mani del sostituto procuratore del re Gérard de Villefort, che immediatamente si adopera per assicurare alla giustizia il giovane. Edmond Dantès viene arrestato e condotto nottetempo nella prigione del Castello d'If dove, per la gravità del reato imputatogli, vi avrebbe trascorso la vita. Qui fa la conoscenza di un altro prigioniero, l'abate Faria[2], che da anni sta scavando un tunnel sotterraneo, nella speranza che possa condurlo fuori dalla fortezza. Edmond decide di aiutare l'anziano, il quale - per contro - aiuta Dantès a fare luce sugli eventi che lo hanno condotto in prigione. Consapevole di essere stato vittima di un complotto, Edmond giura di vendicarsi di tutti quelli che lo hanno incastrato. In attesa di realizzare il suo piano si fa istruire da Faria in varie discipline, dall'economia alla matematica, dalle lingue straniere alla filosofia, almeno fino a quando l'anziano abate viene colpito da una serie di attacchi apoplettici che lo portano alla morte. Tuttavia, prima di morire e conscio della bontà d'animo di Dantès, gli rivela l'esatta ubicazione di un tesoro nascosto nei pressi dell'isola di Montecristo. Dantès vede nella morte di Faria l'unica occasione concreta per fuggire e così si sostituisce a lui all'interno del sacco in cui era stato messo per la sepoltura. Gettato in mare, Dantès riesce a liberarsi del sacco e a trarsi in salvo su un'isola lì vicino.

L'Isola di Montecristo vista dal suo lato nord.

Finalmente libero, dopo 14 lunghi anni di prigionia, e trovatosi in possesso di un'immensa fortuna grazie al ritrovamento del tesoro indicatogli da Faria, Dantès si costruisce una nuova identità e, sotto le mentite spoglie del Conte di Montecristo, ritorna a Marsiglia per attuare il piano di vendetta. Qui assume una serie di identità diverse, come quella dell'abate Busoni - con cui fa visita a Caderousse e da cui si fa raccontare i dettagli del complotto, della morte del padre, del destino dell'amata Mercédès e delle vicende degli altri congiurati - e quelle del nobile inglese Lord Wilmore e di Sinbad il marinaio, attraverso cui compie buone azioni nei confronti di coloro che gli sono sempre stati leali. Eppure solo a distanza di 10 anni dal ritorno a Marsiglia, passati a consolidare la sua presenza presso coloro di cui vuole vendicarsi, Dantès decide di attuare concretamente il regolamento di conti e così Fernand Mondego (che, divenuto conte de Morcerf grazie alla ricchezza accumulata come coscritto, era riuscito a sposare Mercédès) viene processato per aver tradito il Pascià Alì-Tebelen mentre era ufficiale in Grecia; indignati del suo comportamento, la moglie e il figlio decidono di abbandonarlo, portando Mondego al suicidio. Gérard de Villefort, colui che pur sapendo dell'innocenza di Dantès e pur avendo i mezzi per scagionarlo decide di lasciarlo in prigione per non mettere a rischio la propria carriera politica, viene spinto alla pazzia da una catena di avvelenamenti di cui furono vittime i membri della sua famiglia e dalla scoperta della vera identità del Conte. Caderousse, diventato un criminale bramoso di denaro, viene ucciso dal suo complice. Infine Danglars, colui che ordisce materialmente il complotto iniziale contro Dantès, divenuto il più ricco banchiere di Parigi (dopo aver abbandonato l'incarico di capitano della nave Pharaon), viene prima portato al tracollo finanziario, per poi essere rapito e imprigionato, costretto a dilapidare ciò che era rimasto del suo denaro per sfamarsi. Solo a questo punto il Conte di Montecristo gli rivela la sua vera identità e, di fronte al sincero pentimento di Danglars, gli concede il perdono.

Personaggi

Edmond Dantès e i suoi travestimenti

  • Edmond Dantès — Edmond è il protagonista della storia, durante la quale assume molteplici travestimenti per portare a termine l'elaborato piano di vendetta nei confronti di coloro che hanno provocato la sua rovina. Inizialmente Edmond è un esperto marinaio, devoto fidanzato della bella catalana Mercédès e futuro capitano della nave mercantile Pharaon. Dopo gli anni di prigionia diventa il Conte di Montecristo, nome preso da un'isola di cui è diventato proprietario dopo avervi trovato il tesoro indicato dall'abate Faria, un prigioniero conosciuto al Castello d'If. Sotto questa nascosta identità compirà la sua elaborata vendetta.
File:Coat of arms of the Count of Monte Cristo.png
Lo stemma del Conte di Montecristo, che il brano originale francese descrive come «une montagne d'or, posant sur une mer d'azur, avec une croix de gueules au chef».
  • Conte di Montecristo — La persona in cui Edmond cambia la sua identità per compiere la vendetta è un nobile italiano, la cui ricchezza va di pari passo solo con l'aura di mistero che lo circonda. Secondo il passato costruito da Edmond per il suo alter ego, dietro l'identità del Conte di Montecristo si celerebbe il signor Zaccone, figlio di un ricco armatore maltese, che vive nell'agio di una ricca rendita e che ha acquistato il titolo di "conte", assieme all'isola di Montecristo, per diletto. Egli avrebbe fatto la guerra nella marina e poi si sarebbe dedicato a notevoli opere di carità, sfruttando le sue enormi ricchezze. Il Conte appare come una persona gentile ed educata, sebbene restia a dare eccessive confidenze; ha molte conoscenze, è assai colto, ha viaggiato per il mondo, è amante degli agi più raffinati ed è capace di stupire con la sua eloquenza e con le sue stravaganze.
  • Lord Wilmore — Un nobile inglese interpretato da Edmond per compiere buone azioni e atti di generosità. Questo personaggio è l'esatto opposto del Conte di Montecristo e il romanzo fa supporre che i due siano rivali.

«Era un uomo piuttosto alto, aveva le basette rade e rosse, la pelle bianca, ed i capelli biondi grigiastri; era vestito con tutta la eccentricità inglese, cioè, un abito turchino coi bottoni d'oro e col colletto alto e imbottito, un gilè di cashmere bianco, ed un pantalone di nanchino, tre pollici troppo corto, ma a cui i sottopiedi della stessa stoffa impedivano di risalire fino alle ginocchia

«Indossava un costume tunisino, vale a dire una calotta rossa con una lunga nappa di seta turchina, una veste di panno nero tutta ricamata d'oro, pantaloni color sangue di bue larghi e gonfi, le ghette dello stesso colore orlate d'oro come la veste, ed i pianelli gialli, una magnifica sciarpa di cashmere gli cingeva la vita al disopra dei fianchi, e un piccolo cangiar acuto e ricurvo passava dentro la cintura.

Quantunque di un pallore quasi livido, quest'uomo aveva una fisionomia molto bella: gli occhi erano vivi e penetranti, il naso dritto [...] i denti bianchi come perle spiccavano mirabilmente sotto i baffi neri.»

  • Abate Busoni — L'identità che usa Edmond in alcune circostanze per la presunta autorità religiosa.

I servitori del Conte

  • Bertuccio — Intendente e braccio destro del Conte, stimato da quest'ultimo poiché in grado di eseguire al meglio ogni ordine che riceve. Bertuccio, prima di conoscere il Conte, dichiara vendetta a Gérard de Villefort per non aver aperto alcuna indagine sull'assassinio di suo fratello; convinto di averlo ucciso, salva il figlio illegittimo che Villefort ha avuto da Hermine Danglars e che crescerà, assieme alla cognata, con il nome Benedetto. Nel corso dell'opera Benedetto reciterà il ruolo di Andrea Cavalcanti.
  • Haydée — Principessa greca, salvata dalla schiavitù da Edmond e, al termine della vendetta del Conte, sua futura sposa. Haydée era figlia di Alì-Tebelen, Pascià di Giannina. Quando era ancora molto piccola il padre viene rovesciato dall'acerrimo nemico generale Kourchid, grazie al tradimento di Fernand Mondego. Ridotta in schiavitù assieme alla madre, dopo la morte di questa viene comprata dal Conte al mercato degli schiavi a Costantinopoli. Anche se lei è considerata una schiava, il Conte la tratta con il massimo rispetto. Haydée prova profondo amore per il Conte, che però la considera troppo giovane e non vuole precluderle la possibilità di una vita felice. Durante il processo di Fernand Mondego rivelerà la sua vera identità e porterà le prove per farlo condannare. Alla fine del romanzo Edmond capisce l'amore della donna per lui, e decide di partire con lei per farsi una nuova vita, possibilmente felice.

«La bellezza del viso era da beltà greca in tutta la purezza del tipo, coi grandi occhi neri vellutati, la fronte di marmo, il naso dritto, le labbra di corallo, e i denti di perle. E in questa graziosa donna il fiore della gioventù appariva in tutto il suo splendore e profumo. Haydée poteva avere diciannove o venti anni.»

  • Alì — Il fedele servitore del Conte di Montecristo. Egli è muto e totalmente dedito al suo padrone per avergli salvato la vita in Tunisia, dove era stato condannato - a causa di una sua "lussuriosa" incursione nell'harem del Bey - a subire la mutilazione prima della lingua, poi delle mani e infine della testa. Quel che Alì non sa è che Dantès aveva atteso a bella posta che la lingua gli venisse mozzata prima di offrirsi di riscattarlo, in modo da potersi avvalere di un servitore muto. Alì è un abilissimo domatore di cavalli.

««[...] non ha stipendio, non è un domestico, è uno schiavo, è il mio cane; se non facesse il suo dovere, non lo caccerei, ma lo ammazzerei!.» [...]
Alì ascoltò, sorrise, si avvicinò al padrone, mise un ginocchio a terra e gli baciò rispettosamente la mano.»

  • Baptistin — Servitore del Conte.
  • JacopoMarinaio conosciuto da Edmond a bordo della tartana genovese Giovane Amelia, che lo trae in salvo durante la sua fuga dal Castello d'If. Diventa, in seguito, il capitano dello yacht del Conte.

La famiglia Morcerf

  • Mercédès Herrera Mondego — Fidanzata di Edmond all'inizio dell'opera. In seguito sposerà suo cugino Fernand quando Edmond viene creduto morto in prigione. Lei non ama Fernand, ma lo considera suo fidato amico. Dopo la rovina del marito torna a Marsiglia e vivrà nella casa del padre di Dantès.
  • Fernand Mondego — Più tardi conosciuto come conte de Morcerf. Lui è innamorato di Mercédès e farebbe qualsiasi cosa per averla. Infatti, con l'aiuto di Danglars, progetta l'accusa contro Edmond. Dopo l'incarcerazione di Dantès parte per la guerra: durante le sue campagne militari guadagna denaro e reputazione. Una volta tornato in Francia, con il titolo di conte, sposa Mercédès. Diventato membro della Camera dei Pari, la sua vita viene rovinata dal processo che lo vede imputato per il tradimento, mentre era ufficiale in Grecia, del Pascià Alì-Tebelen, grazie anche alla decisiva testimonianza della figlia Haydée. Quando scopre che la moglie e il figlio lo hanno abbandonato, si suicida.
  • Albert de Morcerf — Figlio di Mercédès e Fernand. Conosce il Conte a Roma (quando è in compagnia di Franz d'Epinay) durante il carnevale. Qui vive un'esperienza di rapimento e prigionia ad opera del bandito Luigi Vampa. Viene liberato dal Conte di Montecristo, grazie alla lealtà e il rispetto che Vampa ha nei suoi confronti. Tornato in Francia, Albert viene costretto dal padre a sposare Eugenie Danglars, che però non ama. Quando il barone Danglars scopre il tradimento di Fernand a Giannina, fa saltare il matrimonio, preferendo dare la figlia in sposa ad Andrea Cavalcanti. Albert diventa grande amico di Dantès, finché egli non causa la rovina del padre: a quel punto sfida pubblicamente il Conte a duello, anche se poi gli porgerà - altrettanto pubblicamente - le sue scuse, grazie alle rivelazioni che la madre gli fa sull'identità reale del Conte e sulle giustificate motivazioni del suo comportamento. Alla fine del romanzo abbandonerà Fernand e partirà come soldato negli Spahis per l'Africa, per potersi ricostruire una nuova vita con il nome Herrera.

La famiglia Danglars

  • Barone Danglars — Inizialmente è lo scrivano di bordo della nave dove lavora Edmond, del quale è geloso perché l'armatore della nave, Pierre Morrel, lo vuole nominare capitano. Dopo aver incastrato il protagonista, viene promosso a capitano della nave Pharaon. Successivamente abbandona l'incarico e si trasferisce in Spagna dove lavora presso un banchiere. Qui, grazie ad una serie di speculazioni ed investimenti (in cui dimostra un'indiscussa abilità), diventa milionario. Acquistato il titolo di barone torna in Francia, dove ben presto diventa il più ricco banchiere di Parigi.

«Davvero quest'uomo è una laida creatura. Come mai, dalla prima volta che lo vedono, non riconoscono il serpente dalla fronte schiacciata, l'avvoltoio dal cranio rotondeggiante, lo sperviero dal becco acuto?»

  • Hermine Danglars — Moglie del barone Danglars. In gioventù, mentre il primo marito (il barone Louis de Nargonne) era assente, ha una relazione con Gérard de Villefort, dalla quale nasce il figlio Benedetto, creduto morto alla nascita, ma in realtà salvato e allevato da Bertuccio. Nel frattempo, prima della nascita del figlio, rimane vedova. Già abbastanza ricca prima di sposare il barone Danglars, con l'aiuto di Lucien Debray (ben informato sugli eventi politici in quanto lavora al Ministero degli Interni), amico e amante, riesce a mettere da parte un milione di franchi investendo il denaro del marito.
  • Eugenie Danglars — Figlia dei Danglars, con animo d'artista, è promessa sposa prima ad Albert de Morcerf, poi ad Andrea Cavalcanti. Ma lei non li ama, preferendo più o meno manifestamente le donne, e non ha nessuna intenzione di sposarsi: è infatti uno spirito ribelle, sogna una vita d'artista. Alla fine scappa di casa assieme alla sua amica del cuore, approfittando della confusione creatasi per la fuga di Andrea Cavalcanti, lo stesso giorno in cui i due dovevano firmare il contratto di matrimonio combinato. Verrà riportata a casa quasi subito, fra lo scherno generale degli ospiti dell'albergo.

«Eugenie Danglars era bella, ma [...] di una bellezza un poco sostenuta. I capelli erano di un bel nero, ma nell'ondulazione si notava una specie di ritrosia al pettine; gli occhi, neri come i capelli, sotto magnifiche sopracciglia, che non avevano che un difetto, quello cioè di aggrottarsi qualche volta, erano particolarmente notevoli per una espressione di fermezza rara in una donna; il naso aveva quelle proporzioni esatte che un bravo scultore darebbe alla statua di Giunone, soltanto la bocca era un po' grande, ma con bei denti che davano risalto alle labbra, il cui carminio troppo vivo spiccava sul pallore del viso; infine, un neo nero posto all'angolo della bocca, e più largo del naturale, finiva col dare a questa fisionomia un'indole risoluta [...]. [Era] una Diana cacciatrice, ma con qualche cosa di più fermo e di più maschio nella sua bellezza.»

La famiglia Villefort

  • Gérard de Villefort — Sostituto procuratore del re e, in seguito, procuratore del re. Figlio di un bonapartista (il signor Noirtier), arriva a rinnegare il padre (e a cambiare cognome in Villefort) per garantire la sua fedeltà alla monarchia ed entrare così nelle grazie del re e di tutto l'entourage monarchico, compresa la famiglia Saint-Méran (importante e nobile famiglia di cui vuole sposare la giovane discendente, Renata). È inoltre il responsabile materiale dell'incarcerazione di Edmond: pur riconoscendo la sua innocenza, Villefort si vede costretto ad incastrarlo per salvare la sua posizione e la vita del padre; Dantès, infatti, era l'unico testimone di una lettera destinata al signor Noirtier in cui si annunciava l'imminente ritorno di Napoleone (e quindi il suo indiscusso e attivo legame con l'usurpatore, appellativo con cui i filomonarchici chiamavano Napoleone); se quella lettera fosse finita in mani sbagliate, il padre sarebbe stato condannato a morte e lui avrebbe perduto per sempre quella posizione di rilievo presso il re così faticosamente conquistata.
Morta Renata (da cui aveva avuto una figlia, Valentine), Villefort si risposa in seconde nozze con una donna di nome Héloise, da cui nascerà il figlio Édouard. Ha pure una relazione con la signora Danglars (anche se all'epoca della relazione lei era sposata con un certo barone de Nargonne), da cui nasce il figlio illegittimo Benedetto (che, creduto morto, verrà seppellito in giardino). Quando Héloise, la sua seconda moglie, avvelena gli eredi del patrimonio di famiglia affinché il figlio Édouard diventi erede universale (non solo da parte di padre, ma anche da parte della sorellastra), Villefort scopertala, la spinge al suicidio. Ma lei deciderà di portare con sé anche suo figlio. Quelle due perdite, assieme a quella della primogenita Valentine, alla scoperta che il figlio illegittimo (Benedetto) è un assassino e che dietro all'identità del Conte di Montecristo si nasconde Edmond Dantès, spingeranno Villefort alla pazzia.
  • Valentine de Villefort — Figlia di Gérard de Villefort e Renata di Saint-Méran. Innamorata di Maximilien Morrel, è promessa, per volontà del padre, al barone Franz d'Epinay; vive isolata dal resto della famiglia, per l'indifferenza del padre e l'odio della matrigna Héloise. Unica vera compagnia familiare è costituita dal nonno Noirtier, che però è muto e paralizzato, e comunica con la nipote con i soli occhi. È proprio il nonno che fa di tutto per impedire il matrimonio della nipote con d'Epinay: predispone nel suo testamento che nel caso questa unione avvenisse, Valentine verrebbe diseredata. Poi, poiché il figlio Gérard persiste nell'intento di matrimonio, rivela che è lui l'assassino del padre di Franz: a quel punto il giovane d'Epinay rompe l'accordo di matrimonio. Rimasta unica erede della famiglia dopo gli omicidi dei marchesi di Saint-Méran, Valentine viene avvelenata da Héloise, la matrigna, ma grazie a Noirtier (che, dandole un poco della stessa sostanza mortale da lui assunta, la abitua al veleno neutralizzandolo parzialmente) l'attacco non le è fatale, per quanto la costringa a letto. Il Conte di Montecristo le dà una sostanza che la fa cadere in coma, inducendo tutti a crederla morta, in modo da poterla salvare dalla matrigna. Dopo il finto funerale, il Conte la porterà sull'isola di Montecristo in attesa dell'arrivo dell'amato Maximilien Morrel, che finalmente potrà sposare.
  • Noirtier de Villefort — Padre di Gérard e nonno di Valentine: attivo bonapartista durante la rivoluzione, uccide il generale d'Epinay. Durante i Cento giorni torna alla corte di Napoleone. Dopo essere stato colpito da un attacco apoplettico diviene muto e paralizzato, capace solo di comunicare con la nipote (a cui è legatissimo) ed il figlio attraverso il linguaggio degli occhi. Per salvare Valentine dal matrimonio forzato con Franz d'Epinay riesce a dettare il testamento, dando i suoi beni ai poveri (di fatto diseredando la nipote) nel caso in cui ella sposi il barone. Dal momento che il figlio Gérard continua a voler dare in sposa Valentine a Franz, Noirtier rivela di aver ucciso in duello il generale d'Epinay, padre del giovane, che a quel punto rompe il contratto di matrimonio. Scampa per caso al progetto di avvelenamento da parte di Héloise (solo perché il suo medico - il signor d'Avrigny - gli fa assumere ogni giorno un po' di veleno per contrastare la malattia) e, resosi conto del piano della donna, riesce a salvare Valentine dal successivo tentativo di omicidio, abituandola a piccole dosi giornaliere del veleno.
  • Héloise de Villefort — Seconda moglie di Gérard. Pensa solo a proteggere suo figlio Édouard e combatte per assicurargli una generosa eredità. Odia profondamente Valentine, destinata ad ereditare il patrimonio di famiglia. Per evitare ciò mette in atto un diabolico piano: prima avvelena i due marchesi di Saint-Méran, rendendo la giovane unica erede, poi tenta, senza successo, di fare lo stesso con il vecchio Noirtier e con la stessa Valentine. Convinta di averla uccisa, viene scoperta dal marito, che le impone una scelta: o il processo pubblico e il patibolo (assieme allo scandalo e il disonore che sarebbe caduto sulla famiglia), oppure il suicidio tramite il suo terribile veleno. Héloise opta per il suicidio, portando con sé l'amatissimo figlio Édouard.
  • Édouard de Villefort — Unico figlio maschio legittimo di Villefort, viene avvelenato dalla madre quando ella, scoperta dal marito colpevole di quattro omicidi, viene spinta al suicidio.

«Era piccolo, gracile, bianco di pelle come i bambini rossi, ad onta di una foresta di capelli neri, ribelli ad ogni acconciatura, che ne copriva la fronte rotondeggiante, e cadendo sulle spalle ne contornava il viso, e raddoppiava la vivacità degli occhi pieni di furba malizia e di giovanile cattiveria; la bocca appena ritornata vermiglia, era sottile nelle labbra, e larga nell'apertura: i lineamenti di questo ragazzino di otto anni, dimostravano un'età almeno di dodici.»

  • Benedetto alias Andrea Cavalcanti — Figlio illegittimo di Villefort e Hermine Danglars, salvato da sicura morte da Bertuccio, viene cresciuto dal còrso e da sua cognata Assunta. Malvagio e avido fin da piccolo, assieme a due compagni tortura la madre adottiva per ottenere del denaro: nella confusione la casa prende fuoco, i tre giovani fuggono con i soldi, lasciando morire la donna tra le fiamme. Conduce una vita criminale, finché non si ritrova in cella (nella prigione di Tolone) assieme a Gaspard Caderousse: grazie all'intervento di Lord Wilmore/Edmond Dantès i due fuggono. Benedetto ritorna a Parigi sotto il nome di Andrea Cavalcanti: crede che il suo vero padre sia il Conte di Montecristo, che quest'ultimo lo abbia fatto riconoscere dal maggiore Cavalcanti e che lo mantenga. In questo periodo conosce Eugenie Danglars e instaura buoni rapporti con il padre di lei, riuscendo a convincerlo a dargli in sposa la figlia; è lo stesso Conte di Montecristo ad elogiare le ricchezze e la nobile discendenza del Conte (in seguito chiamato anche principe) Andrea. Nel frattempo Caderousse lo scopre e lo ricatta; l'ex compagno di cella, però, non si accontenta e si fa descrivere la villa di Montecristo per poterla svaligiare. Andrea/Benedetto allora manda un messaggio anonimo al Conte per avvisarlo: la sera del furto si apposta fuori dalla casa e, quando Caderousse esce, risparmiato da Edmond, lo pugnala a morte. Il giorno del suo matrimonio con Eugenie Danglars i gendarmi vengono a prenderlo per arrestarlo: la sua fuga dura un solo giorno. In prigione Bertuccio gli svela l'identità del vero padre (Gérard de Villefort), che lui riferisce pubblicamente durante il processo, scioccando il procuratore.

La famiglia Morrel e dipendenti

  • Pierre MorrelArmatore della nave mercantile Pharaon, di cui Edmond era membro dell'equipaggio all'inizio del romanzo. Uomo d'affari onesto, si fida di Edmond e gli propone di diventare capitano della nave. Dopo che Edmond viene arrestato cerca in tutti i modi di aiutarlo ma, essendo accusato di bonapartismo, la cosa diventa impossibile. Negli anni dal 1825 e 1830 subisce gravi perdite e solo grazie a Sinbad il Marinaio (ovvero Edmond Dantès) risolleva i suoi affari.
  • Maximilien Morrel — Figlio di Pierre, capitano nel reggimento degli Spahis e ufficiale della Legion d'Onore. Maximilien conosce il Conte di Montecristo a Parigi, in occasione di una colazione a casa di un amico comune, Albert de Morcerf. Riconoscendo in lui l'onestà del suo antico armatore, il Conte gli si affeziona come se fosse suo figlio. Il cuore del giovane Morrel arde per Valentine de Villefort, la quale lo ricambia, ma i due devono incontrarsi in segreto, essendo la giovane promessa a Franz d'Epinay. Quando Valentine muore, o almeno così crede, cade nella disperazione e decide di uccidersi; il Conte (di cui si fidava ciecamente) lo fa, però, desistere dal proposito, promettendogli di aiutarlo se accetterà di ritardare di un mese la propria fine. Alla scadenza del periodo prefissato Edmond gli fa incontrare l'amata Valentine sull'isola di Montecristo, che ora potrà sposare.
  • Julie Herbault — Figlia di Pierre, sposata con Emmanuel Herbault.
  • Emmanuel Herbault — Marito di Julie, ha lavorato per lungo tempo alla Morrel & Figlio come contabile: è genero di Pierre e cognato di Maximilien.
  • Coclite — Fedele e scrupoloso commesso della casa Morrel e Figlio.

I marchesi di Saint-Méran

  • Marchesi di Saint-Méran — Genitori di Renata, fedeli monarchici, avversi ai bonapartisti e non disposti a mischiare la loro nobiltà con persone di classe sociale diversa dalla loro. Danno in sposa la figlia Renata a Gérard de Villefort, e poi cercano di maritare la nipote Valentine, loro unica erede, con il nobile barone Franz d'Epinay. Entrambi i marchesi vengono avvelenati a morte dalla signora Villefort, per rendere Valentine unica erede del patrimonio.
  • Renata di Saint-Méran — Figlia ed unica erede dei marchesi di Saint-Méran, sposa Gérard de Villefort: il matrimonio è coronato dalla nascita di Valentine, ma qualche anno dopo Renata muore.

Altri personaggi importanti

  • FariaAbate[2] ed erudito italiano, in giovinezza fu precettore dei figli del Conte Spada, grazie al quale venne a conoscenza dell'immenso tesoro di famiglia. Mentre è imprigionato nel Castello d'If, nel tentativo di scavare un tunnel che, secondo i piani, avrebbe dovuto condurlo fuori dalla fortezza, sbuca invece nella cella di Edmond Dantès, con il quale stringe amicizia. Diventato come un padre per Edmond, insegna al giovane le lingue e le scienze, e gli rivela il suo tesoro nascosto sull'isola di Montecristo. Muore in prigione colpito da un letale attacco apoplettico. Edmond riesce a fuggire di galera sostituendosi al suo cadavere.
  • Luigi VampaBandito italiano e amico del Conte di Montecristo, aiuterà quest'ultimo nel suo piano di vendetta. Nato da una famiglia di pastori, ben presto mette in evidenza un'intelligenza fuori dal comune, al punto che il conte della zona si prende cura di lui e gli insegna a leggere e a scrivere. Comincia inoltre ad intagliare piccoli oggetti destinati ai venditori di giocattoli; con il ricavato compra regali alla sua cara amica, la contadina Teresa, la sola che riesce a tenere a bada lo spirito ardente e burbero del giovane. A soli diciassette anni Luigi Vampa aveva fama di essere il più bravo contadino dei dintorni, oltre che un eccellente tiratore con il suo fucile. Nel medesimo periodo una banda di briganti si nascondeva sui monti vicini, guidata dal celebre Cucumetto, tanto audace quanto brutale; un giorno, mentre erano soli, Teresa e Luigi salvano la vita al capobandito, nascondendolo ai gendarmi. Un giorno Vampa incontra Sinbad il marinaio (Edmond Dantès) che, persa la strada, lo ferma per chiedergli indicazioni. Tornato dove aveva lasciato Teresa, Vampa vede che è stata rapita: scorto il rapitore, lo uccide con un colpo di fucile; egli era Cucumetto, che si era invaghito della giovane fin dalla prima volta che l'aveva vista. A quel punto Vampa prende con sé Teresa e si unisce ai banditi, facendosi eleggere loro capitano: il brigantaggio permetterà a Luigi di garantire a Teresa, invidiosa della bella vita della nobiltà della zona, una vita lussuosa, seppur pericolosa. Il Conte di Montecristo ha occasione di aiutarlo in diverse situazioni e questo gli permette di avere una sincera riconoscenza da parte del bandito, che gli si mette a completa disposizione. Durante il carnevale romano, rapisce Albert de Morcerf, ma quando scopre che era amico del Conte, lo libera immediatamente. Analogamente rapisce, questa volta su ordine di Dantès, il banchiere Danglars quando questi si reca a Roma per riscuotere il credito, e lo libera solo quando il piano di vendetta di Edmond si conclude.

«[...] è un bandito, vicino al quale i Decesaris e i Gasperoni sono specie di chierichetti

  • Gaspard CaderousseSarto e vicino di casa del padre di Edmond, partecipa - da ubriaco - al piano per incastrare Dantès. Dopo aver fallito come sarto, gestisce un albergo a Ponte di Gard e collabora con dei contrabbandieri. Caderousse è il primo, fra i vecchi "conoscenti" di Dantès, ad essere rintracciato e ricontattato dal giovane marinaio dopo la fuga dalla prigione, e lo fa presentandoglisi sotto le mentite spoglie dell'abate Busoni. L'abate gli racconta come sia stato mandato dal giovane Dantès (essendo stato il suo confessore prima della "prematura morte") con l'incarico di scoprire la verità sulla sua ingiusta incarcerazione e per dividere il valore di un enorme diamante da cinquantamila franchi (che aveva con sé) tra le uniche persone che lo avevano sinceramente amato: il padre, la fidanzata e i suoi tre migliori amici (Danglars, Fernand e lo stesso Caderousse). Il vecchio Gaspard, allora, inizia a raccontare come andarono veramente le cose all'epoca dell'arresto di Dantès, raccontando anche le vicende successive dei singoli individui, sottolineando come solo lui sia stato veramente amico di Edmond e, di certo, l'unico ad avere bisogno del diamante (essendo gli altri diventati molto ricchi). L'abate/Dantès, allora, decide di consegnare il diamante interamente a Caderousse. Ma la cupidigia sua e della moglie Carconta è insaziabile e porterà all'omicidio del gioielliere a cui avevano venduto la gemma, in modo da tenere per sé non solo il denaro corrispondente al valore del diamante, ma conservando pure la pietra preziosa. Arrestato parecchio tempo dopo, Caderousse viene rinchiuso in galera per complicità con la moglie, riconosciuta come colpevole materiale dell'omicidio. Liberato da Lord Wilmore (Dantès), che voleva far evadere il suo compagno di cella (Benedetto, figlio di Gérard de Villefort e della signora Danglars), Caderousse diventa un criminale. A Parigi ritrova Benedetto, che all'epoca si faceva chiamare Andrea Cavalcanti, e lo ricatta in cambio del suo silenzio: ma i soldi ben presto non gli sono più sufficienti, così decide di compiere una rapina nella villa del Conte di Montecristo. Dantès viene però avvertito da Andrea (tramite un biglietto "anonimo"); così, travestito da abate Busoni, lo coglie in flagrante per poi lasciarlo andare, sapendo che fuori c'è Benedetto che lo aspetta, pronto per pugnalarlo. I gridi di Caderousse richiamano Edmond: durante l'agonia Dantès riesce a fargli firmare la denuncia contro Benedetto e, rivelatosi a lui come Edmond Dantès, ne ottiene il sincero pentimento. Questo personaggio è differente dagli altri autori della congiura, perché vi ha partecipato senza volerlo (era ubriaco), ma è troppo vigliacco (in quanto coinvolto, seppur involontariamente) per raccontare la verità. Edmond gli darà più volte la possibilità di redimersi dai suoi peccati, ma egli, mal consigliato e trascinato dalla cupidigia, dalla pigrizia e dall'orgoglio, continua a compiere malefatte.

«[...] alto, secco e nerboruto, vero tipo meridionale, cogli occhi infossati e vivaci, col naso a becco d'aquila e i denti bianchi come quelli di un animale carnivoro.»

  • Louis Dantès — Padre di Edmond, è molto affezionato al figlio. Durante la prigionia di Edmond rimane senza soldi, ma l'orgoglio lo costringe a lasciarsi morire di fame piuttosto che chiedere un aiuto che gli avrebbe fatto scoprire la sua indigenza.
  • Barone Franz Quesnel d'Epinay — Figlio del generale d'Epinay (ucciso in duello nel 1815 da Noirtier de Villefort), è grande amico di Albert de Morcerf. Conosce Dantès sotto l'identità di Sinbad il marinaio, durante una sosta all'isola di Montecristo, poi lo ritrova durante i festeggiamenti del carnevale a Roma, assieme ad Albert. Promesso sposo, anche se non innamorato, di Valentine de Villefort, il suo matrimonio salta quando Noirtier, nonno della giovane, gli svela di essere stato lui ad uccidere il padre.

Personaggi minori

  • Lucien Debray — Segretario del Ministro dell'interno, nonché amico di Albert de Morcerf e confidente e amante della signora Danglars. Debray è, inoltre, in affari con la signora Danglars: questa, infatti, incomincia ad investire (dietro suggerimento di Lucien) parte del denaro del marito, ottenendo ottimi rendimenti da spartire con il suo amante. Così, Debray diventa milionario, mentre la signora Danglars può vivere agiatamente nonostante la bancarotta e l'annessa fuga del marito.
  • BeauchampGiornalista amico di Albert de Morcerf: scopre per primo il segreto di Fernand Mondego e del suo tradimento del Pascià Alì-Tebelen, ma non diffonde la notizia in nome dell'amicizia con Albert.
  • Barone Raoul de Château-Renaud — Altro amico di Albert de Morcerf, gli salvata la vita in Africa da Maximilien Morrel.

Critica

  • La prima parte di Montecristo, fino alla scoperta del tesoro, è un pezzo perfetto di racconto a effetto; non c'è mai stato un uomo che abbia partecipato a queste commoventi avventure senza un fremito, eppure Faria è un personaggio di cartapesta e Dantès poco più di un nome. Il seguito non è che il dilungarsi di un errore, cupo, sanguinoso, innaturale e stupido; ma quanto a questi primi capitoli, non credo esista un altro volume nel quale si possa respirare la stessa inconfondibile atmosfera di romanzo. (R.L. Stevenson)[3]
  • [Il Conte di Montecristo] è forse il più «oppiaceo» dei romanzi popolari: quale uomo del popolo non crede di aver subito un'ingiustizia dai potenti e non fantastica sulla «punizione» da infliggere loro? Edmondo Dantès gli offre il modello, lo «ubbriaca» di esaltazione, sostituisce il credo di una giustizia trascendente in cui non crede più «sistematicamente». (A. Gramsci)[4]
  • Ancora oggi può interessare la grossa ma genuina facoltà inventiva, che associa, in un rapido susseguirsi, senza preoccupazioni di una trama ragionata e verosimile, le più straordinarie avventure, raccontate con l'ausilio di uno stile che non manca di agilità e di movimento, anche se numerosi luoghi comuni guastino la verità psicologica dei caratteri e la coerenza delle vicende. (Amelia Bruzzi)[5]
  • Il Conte di Montecristo è senz'altro uno dei romanzi più appassionanti che siano mai stati scritti e d'altra parte è uno dei romanzi più mal scritti di tutti i tempi e di tutte le letterature. (U. Eco)[6]
  • Il Conte di Monte-Cristo è una sterminata hilarotragedia, dove il riso e il delitto, il gioco e il Male Assoluto si sfiorano e si intrecciano. Il lieve tocco ironico, lo spirito settecentesco, l'allegretto sono presenti in ogni capitolo. (P. Citati)[7]
  • Il quadro socio-storico, nel Conte di Montecristo, forse è la componente di maggiore rilievo: la facilità del guadagno, dello sperpero di danaro, delle corse irrefrenabili su per la scala sociale di affaristi spregiudicati e funzionari di mezza tacca che sapevano sfruttare la politica, le amicizie di qualità a unico profitto personale; quindi il precipizio in cui tante improvvise fortune finanziarie piombavano a terra con la velocità del suono, e travestimenti conseguenti, lacrime per alcuni e per altri gioie: questa la vera sostanza del romanzo. (E. Siciliano)[8]
  • Un motivo che riveste un fascino perenne: il nesso maestro-allievo. Tra Faria e Dantès si stabilisce il rapporto, l'intesa, la complicità, la devozione che nasce tra maestro e allievo. Dantès deve tutto al vecchio: ma non importa tanto il tesoro abbagliante; gli deve la conoscenza. (L. Canfora)[9]

Le traduzioni italiane

Tagli e censure nella traduzione d’«Emilio Franceschini»

Lo stesso argomento in dettaglio: Emilio Franceschini.

La traduzione attribuita a Emilio Franceschini, più volte pubblicata da Mondadori e BUR, e per molto tempo la più diffusa, presenta numerosi tagli e censure. Solo le edizioni più recenti del romanzo riportano una corretta traduzione del testo di Dumas. Tuttavia, anche Oscar Mondadori ha provveduto, negli ultimi anni, a rivedere il testo includendo le parti mancanti e correggendo quelle differenti per garantire che la propria edizione fosse fedele all’originale[senza fonte].

Un primo esempio di censura riguarda il capitolo XVI, «Lo scienziato», incentrato sul personaggio di Faria. Nel testo originale, egli viene descritto come «abbé, savant, homme d’église», cioè «abate, erudito, uomo di chiesa»; curiosamente, nella traduzione di Franceschini, Faria diventa semplicemente «scienziato [e] uomo di studi», spogliato così d’ogni connotazione religiosa.

Ulteriori censure sono state adottate ogniqualvolta nel testo originale un personaggio viene paragonato a un dio. Così, nel capitolo XXXI («L’Italia e Sindbad il Marinaio») Edmond Dantès non si presenta a Franz come «le roi de la création», «il re della creazione»; né poco più avanti, nel capitolo XXXIII («I briganti»), Luigi Vampa appare «beau, fier et puissant comme un dieu», bensì solo «bello, superbo e potente».

Inoltre, nella traduzione di Franceschini sono assenti intere frasi o paragrafi, come, ad esempio, il finale del suddetto capitolo XXXI:

(FR)

«Alors ce fut une volupté sans trêve, un amour sans repos comme celui que promettait le Prophète à ses élus. Alors toutes ces bouches de pierre se firent vivantes, toutes ces poitrines se firent chaudes, au point que pour Franz, subissant pour la première fois l'empire du haschich, cet amour était presque une douleur, cette volupté presque une torture, lorsqu'il sentait passer sur sa bouche altérée les lèvres de ces statues, souples et froides comme les anneaux d'une couleuvre; mais plus ses bras tentaient de repousser cet amour inconnu, plus ses sens subissaient le charme de ce songe mystérieux, si bien qu'après une lutte pour laquelle on eût donné son âme, il s'abandonna sans réserve et finit par retomber haletant, brûlé de fatigue, épuisé de volupté, sous les baisers de ces maîtresses de marbre et sous les enchantements de ce rêve inouï.»

(IT)

«Allora, per Franz che subiva la prima volta l’effetto dell’hashish, fu una voluttà, un amore come quello che prometteva il Vecchio della Montagna ai suoi seguaci.»

Anche il finale del capitolo XL («La presentazione») è incompleto, seppur in misura minore:

(FR)

««Décidément», dit-il, «les hommes ne sont pas égaux; il faudra que je prie mon père de développer ce théorème à la Chambre haute.»»

(IT)

««Davvero» disse, «gli uomini non sono tutti eguali.»»

Di portata decisamente maggiore è lo stravolgimento del capitolo XXXV, già a partire dal titolo: «La mazzolata» in francese, «Il patibolo» in italiano. La «mazzolat(ur)a» è un tipo d’esecuzione pubblica molto cruento, inflitto per mezzo d’una mazza percossa sul cranio del condannato. Nell’edizione italiana, l’intera descrizione della «mazzolata» è sostituita da una più blanda impiccagione:

«I due aiutanti avevano portato a grande stento il paziente ai piedi della scala fatale. Il misero si dibatteva, si contorceva, e puntava i piedi, gettandosi con tutta la persona all'indietro. Uno di quei due tentò d'acquistare qualche vantaggio col salire alcuni scalini dalla sua parte, e tirarlo a sé mentre l'altro lo avrebbe sospinto all'insù. In quell'attimo il carnefice lo afferrò per la vita e lo sollevò da terra. Il misero, senza punto d'appoggio e tirato e sospinto, in un attimo fu sotto al laccio.»

Nel testo originale, la descrizione della «mazzolata» è molto più cruenta, e giustifica la reazione di Franz – che si trova a cadere mezzo svenuto – di fronte al turpe spettacolo:

(FR)

«Les deux valets avaient porté le condamné sur l'échafaud, et là, malgré ses efforts, ses morsures, ses cris, ils l'avaient forcé de se mettre à genoux. Pendant ce temps, le bourreau s'était placé de côté et la masse en arrêt; alors, sur un signe, les deux aides s'écartèrent. Le condamné voulut se relever, mais avant qu'il en eût le temps, la masse s'abattit sur sa tempe gauche; on entendit un bruit sourd et mat, le patient tomba comme un bœuf, la face contre terre, puis d'un contre-coup, se retourna sur le dos. Alors le bourreau laissa tomber sa masse, tira le couteau de sa ceinture, d'un seul coup lui ouvrit la gorge et, montant aussitôt sur son ventre, se mit à le pétrir avec ses pieds. A chaque pression, un jet de sang s'élançait du cou du condamné.»

(IT)

«I due aiutanti avevano portato il condannato al patibolo e là, malgrado i suoi sforzi, i suoi morsi, le sue grida, lo avevano costretto a mettersi in ginocchio. Intanto il boia si era messo di lato con la mazza sollevata; poi a un suo cenno i due aiutanti si spostarono. Il condannato volle rialzarsi, ma prima di averne avuto il tempo la mazza si abbatté sulla sua tempia sinistra; si udì un rumore sordo e cupo, il condannato cadde come un bue con la faccia a terra e poi, per il contraccolpo, si rivoltò sulla schiena. Allora il boia lasciò cadere la mazza, prese il coltello dalla cintura e con un colpo solo lo sgozzò. Quindi salitogli sul ventre, si mise a pestarlo con i piedi. A ogni pressione un fiotto di sangue sprizzava dal collo del condannato.»

Significativo è anche il taglio della spiegazione che Faria dà a Dantès circa i motivi della sua reclusione (capitolo XVI):

(FR)

«Moi? parce que j'ai rêvé en 1807 le projet que Napoléon a voulu réaliser En 1811; parce que, comme Machiavel, au milieu de tous ces principicales qui faisaient de l'Italie un nid de petits royaumes tyranniques et faibles, j'ai voulu un grand et seul empire, compact et fort: parce que j'ai cru trouver mon César Borgia dans un niais couronné qui a fait semblant de me comprendre pour me mieux trahir. C'était le projet d'Alexandre VI et de Clément VII; il échouera toujours, puisqu'ils l'ont entrepris inutilement et que Napoléon n'a pu l'achever; décidément l'Italie est maudite!»

(IT)

«Perché ho sognato nel 1807 il progetto che Napoleone ha tentato di realizzare nel 1811.»

La figura del traduttore Emilio Franceschini possiede tratti assai incerti. Il suo nome comparve per la prima volta in un’edizione degli Oscar Mondadori del 1984, in tutto simile a un’anonima traduzione italiana dell’Ottocento pubblicata da Salani. Secondo la ricostruzione effettuata dall’editore Donzelli, Franceschini non sarebbe mai esistito, e tale nome di fantasia sarebbe stato impiegato solo al fine di firmare la traduzione anonima, che resiste da ormai due secoli.[10]

Altre traduzioni

Negli anni 2010 e 2011 sono state pubblicate due traduzioni integrali, filologicamente corrette e senza censure: la prima condotta da Gaia Panfili per Donzelli Editore; l’altra, da Lanfranco Binni per Garzanti. Entrambe sono state effettuate basandosi sull’edizione critica di Claude Schopp, autorevole studioso di Dumas, pubblicata in Francia dall’editore Robert Laffont nel 1993. Nel 2012 è stata pubblicata una nuova edizione del romanzo – formato Universale Economica Feltrinelli – sempre basata sulla traduzione di Gaia Panfili. Nel 2013 è stata la Rizzoli (formato Biblioteca Universale Rizzoli) a proporre una nuova traduzione, a firma di Guido Paduano. Infine, nell’aprile 2014 è uscita la traduzione di Margherita Botto per Einaudi, collana Supercoralli.

Tuttavia, anche la precedente traduzione di Giovanni Ferrero, pubblicata inizialmente da San Paolo (1975) e poi da Fabbri Editori (2001), è stata segnalata come rispettosa dell’originale[11], sebbene non sia basata sul testo stabilito dallo Schopp, il quale – consultando, quando possibile, il manoscritto di Dumas – ha emendato diverse imperfezioni tipografiche, comprese le rimozioni d’interi capitoli[12].

Elementi storici e leggendari

  • Per il personaggio di Edmond Dantès Dumas potrebbe essersi ispirato alla storia di Pierre Picaud, un personaggio realmente esistito.

Adattamenti cinematografici, televisivi e teatrali

Adattamento a fumetti statunitense del romanzo (Classic Comics n.3, 1942)

Edizioni italiane

  • Alessandro Dumas, Il conte di Montecristo, traduzione di C. Siniscalchi, Milano, Editrice Lucchi, 1974, p. 668.
Riporta il nome dell'autore italianizzato. Composta da soli 96 dei 107 capitoli dell'originale.
Prima edizione integrale.
  • Alexandre Dumas, Il conte di Montecristo, traduzione di Lanfranco Binni, Garzanti, 2011.
  • Alexandre Dumas, Il conte di Montecristo, traduzione di Gaia Panfili, Feltrinelli, 2012.
  • Alexandre Dumas, Il conte di Montecristo, traduzione di Guido Paduano, BUR, 2013, p. 1249.
  • Alexandre Dumas, Il conte di Montecristo, traduzione di Margherita Botto, Einaudi, 2014, p. 1264.

Note

  1. ^ Infatti, secondo una diffusa tradizione letteraria partita dalla Francia (in particolare dalla penna di Eugène de Mirecourt), mutuata in Italia e oggetto di una nota polemica fra Dumas e Francesco De Sanctis, il vero autore dell'opera sarebbe stato Pier Angelo Fiorentino. Cfr. B. Croce, Alessandro Dumas a Napoli, in Uomini e cose della vecchia Italia, s. II, Laterza, Bari 1927, specie pp. 360-362, che la ritenne comunque una leggenda, tenendo conto anche della congrua smentita dello scrittore francese. Il tema è ricordato da ultimo nell'articolo di L. Croci, La vera storia del Conte di Montecristo, in «Il Giornale» del 9 luglio 2010
  2. ^ a b Curioso notare come la traduzione italiana di Emilio Franceschini, per molto tempo la più diffusa in Italia, abbia omesso in tutto il testo il termine "abate" associato a Faria, attribuendogli invece il laico titolo di "scienziato". Il solo abate presente nella suddetta traduzione è quello interpretato da Edmond Dantés: l'abate Busoni.
  3. ^ Trad. it. Flaminia Cecchi, Memorie, Roma, Editori Riuniti, 1997, p. 145.
  4. ^ Ciò che è «interessante» nell'arte in Letteratura e vita nazionale, Roma, Editori Riuniti, 1996.
  5. ^ Conte di Montecristo (Il) in Dizionario Bompiani delle opere e dei personaggi.
  6. ^ Elogio del Montecristo in Sugli specchi e altri saggi, Bompiani, 2001.
  7. ^ «Il conte di Montecristo» in la Repubblica, 7 giugno 2010, pp. 34-35.
  8. ^ In Alias, supplemento de Il manifesto, 2004.
  9. ^ Introduzione a Il conte di Montecristo, Corriere della Sera, 2002.
  10. ^ Mario Baudino, Il fantasma di Montecristo, in La Stampa, 24 giugno 2010. URL consultato il 5 maggio 2015.
  11. ^ È definita testualmente «aderente traduzione italiana del romanzo» da Clara Miccinelli; Carlo Animato, Il Conte di Montecristo. Favola alchemica e massonica vendetta, Roma, Edizioni Mediterranee, 1991, p. 17, nota 6.
  12. ^ Cfr Il conte di Montecristo, Donzelli, p. VIII.

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