Brigantaggio italiano

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Viaggiatori attaccati dai briganti, dipinto di Nicolaes Berchem (1670)

Per brigantaggio si suole definire una forma di banditismo caratterizzata da azioni violente a scopo di rapina ed estorsione, ma che ha avuto, in altre circostanze, risvolti insurrezionalisti a sfondo politico e sociale.

Sebbene il fenomeno abbia origini remote ed abbia interessato periodi storici e territori diversi, nella storiografia italiana, con questo termine, ci si riferisce, generalmente, alle bande armate presenti nel Mezzogiorno fra la fine del XVIII secolo e il primo decennio successivo alla proclamazione del Regno d'Italia. In particolare, l'attività brigantesca assunse connotati politici e religiosi con le sollevazioni sanfediste antifrancesi, fu duramente repressa in epoca napoleonica, borbonica e risorgimentale, allorquando, dopo essersi sviluppata ulteriormente, si contrappose alle truppe del neonato Stato italiano.

In questa fase storica, all'interno o al di fuori delle bande, agirono, mossi anche da motivazioni di natura sociale e/o politica, gruppi di braccianti ed ex militari borbonici[1].

Etimologia e definizioni

Lo stesso argomento in dettaglio: Brigante.

Il termine brigante è inteso, genericamente, come persona la cui attività è fuorilegge. Sono spesso stati definiti briganti, in senso dispregiativo, combattenti e rivoltosi in determinate situazioni sociali e politiche. L'origine della parola non è ancora chiara e diverse sono le ipotesi sulla sua etimologia.

Origini e cause

Il brigantaggio, sin dalla sua genesi, aveva come causa di fondo la miseria. Oltre ad una mera forma di banditismo (soprattutto nel Medioevo), il fenomeno ha spesso assunto i connotati di una vera e propria rivolta popolare. In età moderna, furono coinvolti vari strati sociali, con connessioni e complicità tra signori e banditi, investendo indifferentemente zone urbane e rurali. Il brigantaggio iniziò così a presentare una forza tale da vincere quella dello stesso Stato, incapace ancora di mediare tra i diversi ceti.[2] Francesco Saverio Sipari, che fu tra i primi a considerare anche l'origine sociale del fenomeno, nel 1863 scrisse: «il brigantaggio non è che miseria, è miseria estrema, disperata.».[3] e, anticipando anche analoghe osservazioni di Giustino Fortunato, riteneva che il brigantaggio potesse esaurirsi con la "rottura" dell'isolamento delle regioni meridionali, che era dato dall'assenza di una rete infrastrutturale adeguata, di strade e di ferrovie, e con l'affrancamento dai canoni del Tavoliere.

Giustino Fortunato lo considerò «un movimento spontaneo, storicamente rinnovantesi ad ogni agitazione, ad ogni cambiamento politico, perché sostanzialmente di indole primitiva e selvaggia, frutto del secolare abbrutimento di miseria e di ignoranza delle nostre plebi rurali».[4]

Accanto alla miseria, alcuni identificano il brigantaggio come un fenomeno di resistenza, soprattutto in epoca risorgimentale. Il deputato liberale Giuseppe Ferrari disse:«I reazionari delle Due Sicilie si battono sotto un vessillo nazionale, voi potete chiamarli briganti, ma i padri e gli Avoli di questi hanno per ben due volte ristabiliti i Borboni sul trono di Napoli.»[5]. Tuttavia il fenomeno era ben presente anche in altri stati preunitari all'alba dell'unità d'Italia, tra cui lo Stato Pontificio in cui ancor oggi si ricorda la figura del Passator Cortese, il Lombardo-Veneto con Carcini, il Regno di Sardegna con Giuseppe Mayno e Giovanni Tolu.

Storia del Brigantaggio in Italia

Salvator Rosa (1615-1673) raffigurato mentre ritrae un capo brigante, l'artista così riguadagnò la libertà dai briganti di Monte Gauro (Campi Flegrei)[6]

Impero Romano

Si inizia a parlare di brigantaggio già nell'antica Roma, quando a Taranto intorno al 185 a.C. avvenne un'insurrezione sociale composta perlopiù da pastori, che arrivarono a formare vere e proprie bande.[8] Per risolvere la questione, il pretore Lucio Postumio Tempsano attuò una dura repressione in cui furono condannati circa 7.000 rivoltosi, alcuni furono giustiziati e altri riuscirono a fuggire.[9] Anche Lucio Cornelio Silla prese provvedimenti contro i briganti (a quel tempo chiamati sicari o latrones)[10] con la promulgazione della Lex Cornelia de sicariis nel 81 a.C., che prevedeva pene capitali come la crocifissione e l'esposizione alle belve (ad bestias).[10]

Giulio Cesare affidò nel 35 a.C. al pretore Gaio Calvisio Sabino il compito di combattere con decisione il brigantaggio che infestava durante il suo impero.[11] Nel 26 a.C., Ottaviano Augusto combatté le rivolte brigantesche in Spagna dove agiva Corocotta, un legittimista della Cantabria,[12] mentre Tiberio deportò 4.000 ebrei in Sardegna per combattere i ribelli, nel timore che queste bande potessero tramutarsi in insorgenze istigate da rivali politici.[12]

Medioevo

In età medievale il brigantaggio si sviluppò in particolar modo nell'Italia centro settentrionale. Si formarono bande composte non solo da comuni banditi ma anche da avversari politici o persone agiate che venivano cacciati dalla loro residenza per subire la confisca dei loro patrimoni.[13] Per sopravvivere queste persone furono costrette a darsi alla macchia, aggredendo mercanti e viaggiatori.

Nella seconda metà del XIV secolo, si registrarono numerose attività di banditismo nel cassinate, ad opera di briganti come Jacopo Papone da Pignataro e Simeone da San Germano, i quali, con azioni vessatorie e spoliazioni, perseguitarono le popolazioni locali. In Toscana operò Ghino di Tacco, che non esitava anche a depredare uomini clericali, sebbene personalità come Giovanni Boccaccio non lo considerarono crudele con le sue vittime,[14] tanto da essere definito, da una parte della storiografia, un "brigante gentiluomo".[15]

Secoli XVI e XVII

In età moderna si proliferarono gruppi di fuorilegge composti, particolarmente, da soldati mercenari sbandati, contadini ridotti alla fame e pastori che si diedero alla macchia rubando capi di bestiame ai latifondisti. Alle attività di brigantaggio parteciparono anche preti di campagna, simboli di un malcontento e di un malessere molto diffusi nel clero rurale, che andarono ad ingrossare le file dei banditi[senza fonte].

Nella seconda metà del cinquecento, operò nell'Italia centrale e meridionale il brigante abruzzese Marco Sciarra, che, riuscendo a raccogliere circa un migliaio di uomini, compì scorrerie e assalti, inimicandosi sia gli spagnoli che lo stato della Chiesa. Nello stesso periodo agiva Alfonso Piccolomini, un nobile appartenente ad un'illustre famiglia senese che scelse la strada del brigantaggio per combattere lo stato Pontificio, raccogliendo intorno a sé persone misere e compiendo atti fuorilegge tra Umbria, Marche e Lazio. Altre bande alla fine del Cinquecento operarono in Italia Centrale capeggiate da Battistello da Fermo, Francesco Marocco, Giulio Pezzola e Bartolomeo Vallante. Nello stesso periodo in Calabria agiva Marco Berardi noto col nomignolo di Re Marcone.

Nel 1557 con una notificazione del commissario di papa Paolo IV si ordina la distruzione del paese di Montefortino vicino a Roma, i suoi abitanti sono dichiarati fuori legge come "briganti", e sui resti dell'abitato distrutto viene sparso il sale [16]. Decenni dopo emerse nella scena del brigantaggio Cesare Riccardi (noto come "Abate Cesare"), costretto alla vita clandestina dopo aver ucciso un nobile nel 1669 e, nonostante la sua efferatezza, viene ricordato da alcuni come un eroe delle fasce più povere[senza fonte].

Alla fine del secolo XVI la campagna romana, particolarmente nelle province di Frosinone e Anagni era sottoposta a numerose azioni da parte di bandi di briganti, contro le quali nel 1595 papa Clemente VIII invio' alcune compagnie di cavalleria, la stessa azione repressiva venne ordinata dal viceré di Napoli, il conte Olivarez contro i briganti che infestavano il regno di Napoli. Costoro agivano principalmente aggredendo i viandanti e corrieri in agguati nei boschi o nei tratti montuosi delle strade, derubandoli e talvolta togliendo loro la vita, in altri casi catturando persone facoltose per chiederne riscatto, tra queste vennero rapite nel periodo due nobili rimani: Giambattista Conti e Alessandro Mantica, il vescovo di Castellaneta e l'arcivescovo di Taranto, liberati dopo il pagamento di un grosso riscatto [17]. La persistenza del brigantaggio, sempre vigoroso nonostante la repressione a cui era sottoposto, era in parte dovuta all'appoggio che trovava ora in questo ora in quello fra i governi del granduca di Firenze, di Roma e di Napoli poiché ogni qualvolta qualche dissidio, molto frequente, nasceva fra il Papa e il Granduca, o il Papa e il Viceré, alle ostilità diplomatiche si accompagnavano silenziosamente ostilità brigantesche favorite da Napoli o da Firenze ai danni di Roma e viceversa. Nel 1594 papa Clemente VIII si lamenta col Nunzio di Napoli per il comportamento del Vicerè di Napoli, che "mostrandosi favorire ai banditi di questo Stato [ossia quello papalino] mette S. B. nella necessità di continuare nelle gravi spese che si son fatte fin adesso nella persecuzione loro". [18].

Secondo Rovani, durante i due secoli di dominazione spagnola nel napoletano, i banditi dominavano la campagna, ed i nobili se non volevano subire vessazione da questi erano obbligati a proteggerli, sfruttandoli come scherani quando possibile ed attirandoli a Napoli nei momenti politicamente torbidi, come i sussulti filofrancesi del 1647 e 1672. Nel marzo 1645 a Napoli venne promulgato un indulto generale verso tutti i banditi, su cui pendeva una condanna di morte, a condizione che si arruolassero nella milizia, ed un contemporaneo stimo' che avrebbero potuto arruolarsi in 6000 su di una popolazione di 2 milioni di abitanti [19]. Nel 1760 le squadre di banditi arrivarono ad ordinare che la tasse fossero pagate ad essi, invece che al fisco e perfino il cardinale Innico Caracciolo venne catturato e liberato dopo il pagamento di 180 doppie come riscatto. La commistione fra nobili locali e banditi rendeva difficile ai vicere' combattere il banditismo, risultando anche costosa, per cui spesso la lotta contro i protettori dei banditi veniva tralasciata. [20] . Il processo ai banditi spesso era disposto ad modum belli, ovvero in forma sommaria e veloce: al reo veniva sollecitata la confessione dei crimini di cui era accusato (in genere appartenenza banda armata in campagna, omicidi, ricatti...), quindi tortura (sospensione alla fune e tiri di fune) per verificare quando affermato dall'imputato durante la confessione, quindi l'avvocato difensore aveva un'ora a disposizione per la difesa, a cui seguiva il pronunciamento della sentenza che veniva eseguita immediatamente; le teste degli condannati a morte, mozzate dal corpo, erano portate in mostra per vie di Napoli come ammonimento e conferma dell'avvenuta giustizia [21].

Regno di Napoli

Ancor prima dell'invasione francese nel Regno di Napoli, nei territori del regno borbonico vi furono episodi di brigantaggio. È il caso di Angelo Duca (noto come Angiolillo) che si distinse con azioni di banditismo tra Campania, Puglia e soprattutto in Basilicata, impiccato nel 1784 a Salerno. Le sue gesta furono ricordate positivamente da Pasquale Fortunato[22] (avo del meridionalista Giustino), che compose un poema su di lui, e da Benedetto Croce, che lo definì «di buona pasta, coraggioso, ingegnoso e di una certa elevatezza d'animo».[23]

Età napoleonica

Lo stesso argomento in dettaglio: Sanfedisti e Insurrezione calabrese (1806-1809).

Il brigantaggio venne fortemente combattuto nel periodo napoleonico. Con la conquista del Regno di Napoli, sorsero numerosi combattenti antigiacobini noti come sanfedisti, che furono appoggiati dai militari napoletani. Tra i rivoltosi si distinsero il cardinale Fabrizio Ruffo e Fra Diavolo, un pluriomicida che accettò di arruolarsi nell'esercito napoletano in cambio di una commutazione della pena.

Durante il decennio francese, vennero attuate dure repressioni contro i briganti, soprattutto in Basilicata e Calabria, le regioni in cui si concentrò maggiormente la resistenza. Nel 1806, i generali francesi André Massena e Jean Maximilien Lamarque, saccheggiarono le città lucane di Lagonegro, Viggiano, Maratea e Lauria, ove numerosi rivoltosi vennero afforcati e fucilati senza processo.[24] Il massacro di Lauria fu probabilmente il più feroce, in cui circa 1.000 persone furono trucidate per ordine di Massena.[25]

Nello stesso anno, nel comune calabrese di Soveria scoppiò una rivolta popolare antifrancese, guidata da Carmine Caligiuri. Un gruppo di soveritani, giunti nel comune limitrofo di Scigliano, uccise 10 soldati francesi. Il giorno seguente gli insorti comandati da Caligiuri tesero un'imboscata a 200 milizie transalpine, di cui una trentina furono assassinate.[26] Il generale Verdier preparò la rappresaglia, giustiziando i ribelli e dando alle fiamme Soveria e altri comuni che appoggiarono l'insurrezione.

Durante il regno di Gioacchino Murat, è nota l'opera repressiva del brigantaggio calabro-lucano da parte del colonnello francese Charles Antoine Manhès, ricordato da Pietro Colletta per i suoi metodi violenti e crudeli e che venne confermato nel suo incarico anche dopo il ritorno borbonico. La particolare avversione dei francesi nei confronti del brigantaggio, era dovuta all'utilizzo di queste bande da parte dei nobili latifondisti allo scopo di mantenere i loro contadini in uno stato di profonda sottomissione, al tempo paragonabile alla schiavitù.[senza fonte]

Seconda restaurazione borbonica

In seguito alla seconda restaurazione borbonica, il re Ferdinando I attuò una campagna repressiva nei confronti delle bande di briganti, attraverso l'opera del generale Richard Church, come nel caso di Papa Ciro, brigante delle Murge[27]. Il sovrano borbonico, in particolare nell'aprile 1816, aveva infatti emanato un decreto per lo sterminio dei briganti che infestavano Calabria, Molise, Basilicata e Capitanata, conferendo speciali poteri ai vertici dell'esercito[28].

Nel 1817 nel Cilento la banda dei Fratelli Capozzoli inizio' le sue scorribande, che proseguirono fino al 1828, quando costoro si unirono ai Filadelfi durante i Moti del Cilento, la dura repressione ad opera di Del Carretto stronco' la rivolta, i Capozzoli furono catturati l'anno seguente, giustiziati a Salerno e loro teste mozzate portate in mostra nei paesi circostanti[29].

Il fenomeno interessò in generale tutta la durata della permanenza della dinastia borbonica sul trono napoletano:«...La crisi economica del 1825-1826 prostrò il mondo delle campagne diede via alla ripresa della guerriglia rurale e a clamorosi episodi di brigantaggio.» [30] Spagnoletti segnala, in età borbonica, un «...ribellismo endemico, spesso sfociato nel brigantaggio di estese zone delle Calabrie e del Principato Citra...»,[31].

Anche nella Puglia settentrionale, in Capitanata, il brigantaggio era particolarmente attivo (soprattutto nel distretto di Bovino) «...fino ad assumere connotati di massa. Ad esso si dedicavano alacremente migliaia di individui, padri e figli, che nell'assalto ai viaggiatori, alle diligenze e al procaccio trovavano la fonte primaria del proprio sostentamento». [32]. Nel 1818 fu inviato in Puglia il generale Guglielmo Pepe per organizzare le milizie provinciali da impiegare contro i briganti [33].

Ancora nell'ottobre 1859, pochi mesi prima della fine del Regno delle Due Sicilie, il re Francesco II conferì a Emanuele Caracciolo, comandante in seconda della gendarmeria, destinato nelle tre Calabrie, il potere di arrestare e far processare coloro che si erano macchiati del reato di brigantaggio[34].

Stato pontificio

Il continuo imperversare dei briganti negli stati pontifici obbligo' il cardinale Fabrizio Spada, segretario di stato di Innocenzo XIII ad emanare il 18 Luglio 1696 un apposito editto contro "Grassatori, banditi, facinorosi e malviventi" per obbligare la popolazione alla delazione dei criminali, minacciando galera o pena della vita per chi tacesse e promettendo un premio di 100 scudi d'oro per chi avesse permesso la cattura di un criminale ricercato [35]. .

Nonostante questo editto la situazione non miglioro' nel tempo e all'inizio del secolo XIX l'area inclusa fra l'Aquila, Terracina, il fiume Tevere e il Garigliano era soggetta a frequenti attività da parte dei briganti.

Fra questi il brigante piu' famoso fu Antonio Gasbarrone detto Gasperone il cui aiutante Tommaso Transerici fu l'artefice del tentato sequestro di Luciano Bonaparte dalla sua villa tuscolana in Frascati nel 1817. Sei banditi penetrarono nella sua villa e non trovandolo rapirono il suo segretario, per quale chiesero il pagamento di un riscatto entro 24 ore, pena l'uccisione dell'ostaggio; al rapito spiegarono che, sia pur con rincrescimento sarebbe stato ucciso in caso di non pagamento, in quanto i briganti dovevano salvaguardare la loro fama di uomini d'onore nel mantenere la parola data; i banditi nei loro rapimenti non distinguevano fra uomini e donne, tant' è vero che nello stesso periodo una giovane donna, rapita tra Velletri e Terracina, venne uccisa nelle montagne non essendo stato pagato il suo riscatto [36].

A seguito di queste azioni delittuose il cardinale Ercole Consalvi emise un proclama invitando i banditi ad arrendersi, promettendo loro una debole pena di sei mesi di prigionia a Castel Sant'Angelo, il pagamento loro di una somma di denaro per i giorni di imprigionamento e quindi il loro rilascio. Un certo numero di costoro si consegnarono, furono imprigionati nel castello, dove furono posti in mostra al popolo come animali selvaggi in gabbia e non vennero liberati al termine del periodo promesso[37].

Tuttavia queste misure non servirono a ridurre il brigantaggio particolarmente attivo nella provincia di Campagna e Marittima al confine col Regno di Napoli, e il 18 luglio 1819 il cardinale Consalvi emise un duro editto, con il quale decretava la distruzione del paese di Sonnino, giudicato il principale luogo di rifugio dei briganti nel basso Lazio, attirante anche i malfattori del vicino regno borbonico, e punto di riferimento per le bande dei banditi di Fondi e di Lenola e contemporaneamente imponeva l'allontanamento forzato dei suoi abitanti. Il comune sarebbe stato suddiviso fra quelli circostanti non interessati dal brigantaggio. La distruzione del comune venne sospesa dopo l'abbattimento di venti case e l'ordine di distruzione del paese definitivamente annullato l'anno seguente. [38].

Con lo stesso editto il Consalvi, tentando di coinvolgere i comuni nella lotta contro il brigantaggio, li obbligo' a difendere il loro territorio dalle incursioni dei briganti, a rimborsare i derubati del denaro pagato a seguito di estorsioni, contemporaneamente decreto' riduzioni temporanee di due anni delle imposte sul sale e sul macinato per quei paesi che avessero collaborato nella cattura o uccisione dei briganti, un incremento delle taglie poste sulla testa dei ricercati e la pena di morte per chi aiutasse i banditi [39], le guardie armate antibrigantaggio, già istituite il 4 maggio 1818, vennero rafforzate e fu concesso il porto d'armi gratuito a tutti i loro componenti. Ad ogni comune venne richiesto di dotarsi di una torre campanaria da utilizzare per segnalare le incursioni banditesche e chiamare a raccolta per la difesa, chiunque non rispondesse all'appello della campana era da considerarsi complice dei malviventi e soggetto a pene pecuniarie e corporali. La resistenza alla forza armata e l'aiuto ai briganti erano punibili fino alla pena di morte, ogni azioni militare completata con successo contro i briganti comportava un automatico avanzamento di grado dell'ufficiale al comando, viceversa la sua degradazione o l'espulsione era prevista in caso di mancanza di coraggio o disonore nel corso del servizio. L'editto annunciva che nessun ulteriore amnistia sarebbe stata promulgata, ma lasciava un mese di tempo per arrendersi ed appellarsi alla clemenza del Pontefice [40].

Legazione di Romagna

Stefano Pelloni, detto il Passatore, fu un noto brigante dello Stato pontificio particolarmente attivo in Romagna nella prima metà del secolo XIX, finendo ucciso in uno scontro con le truppe papaline a Russi nel 1851. Nonostante la sua ferocia, seppe dare di sé un'immagine di combattente contro i soprusi dei ricchi e potenti; tale immagine fu poi divulgata da una certa cultura popolare romagnola che esagerò volutamente nel descrivere Pelloni come un giustiziere difensore di oppressi e miserabili[41].

Italia postunitaria

Lo stesso argomento in dettaglio: Brigantaggio postunitario.

«Per le plebi meridionali il brigante fu assai spesso il vendicatore e il benefattore: qualche volta fu la giustizia stessa. Le rivolte dei briganti, coscienti o incoscienti, nel maggior numero dei casi ebbero il carattere di vere e selvagge rivolte proletarie. Ciò spiega quello che ad altri e a me e accaduto tante volte di constatare; il popolo delle campagne meridionali non conosce assai spesso nemmeno i nomi dei fondatori dell'unità italiana, ma ricorda con ammirazione i nomi dell'abate Cesare e di Angelo Duca e dei loro più recenti imitatori.»

Carmine Crocco, uno dei più famosi briganti post-unitari

Con la nascita del Regno d'Italia, nel 1861 iniziarono a sorgere insurrezioni popolari contro il nuovo governo, che interessarono le ex province del Regno delle Due Sicilie. Le condizioni economiche peggiorate, l'incomprensione della nuova classe dirigente, l'aumento delle tasse e dei prezzi dei beni di prima necessità, l'aggravarsi della questione demaniale dovuta all'opportunismo dei ricchi proprietari terrieri[43] furono le cause principali del brigantaggio post-unitario[44]. Il brigantaggio postunitario fu, secondo alcuni, una delle prime guerre civili dell'Italia contemporanea[45] e fu soffocato con metodi brutali, tanto da scatenare polemiche persino da parte di esponenti liberali[46] e politici di alcuni stati europei.[47]

Per alcune correnti di pensiero,[48] viene considerato una sorta di guerra di resistenza; tale ipotesi, comunque, è molto controversa.

I briganti del periodo erano principalmente persone di umile estrazione sociale ed ex soldati dell'esercito delle Due Sicilie, la loro rivolta fu incoraggiata e sostenuta dal governo borbonico in esilio, dal clero e da movimenti esteri come i carlisti spagnoli. Numerosi furono i briganti del periodo che passarono alla storia. Carmine "Donatello" Crocco, originario di Rionero in Vulture (Basilicata), fu uno dei più famosi briganti di quel periodo. Egli riuscì a radunare sotto il suo comando circa duemila uomini, compiendo scorribande tra Basilicata, Campania, Molise e Puglia,[49] affiancato da luogotenenti come Ninco Nanco e Giuseppe Caruso.

Da menzionare è anche il campano Cosimo Giordano, brigante di Cerreto Sannita, che divenne noto per aver preso parte all'attacco (e al successivo massacro) ai danni di alcuni soldati del regio esercito, accadimento che ebbe come conseguenza una violenta rappresaglia sulle popolazioni civili di Pontelandolfo e Casalduni, ordinata dal generale Enrico Cialdini. Altri noti furono Luigi "Chiavone" Alonzi, che agì tra l'ex Regno borbonico e lo Stato Pontificio, e Michele "Colonnello" Caruso, uno dei più temibili briganti che operarono in Capitanata. Anche le donne parteciparono attivamente alle rivolte postunitarie, come le brigantesse Filomena Pennacchio, Michelina Di Cesare, Maria Maddalena De Lellis e Maria Oliverio.

Per acquietare la ribellione meridionale, furono necessari massicci rinforzi militari e promulgazioni di norme speciali (come la legge Pica), dando origine uno scontro che porterà migliaia di morti. La repressione del brigantaggio postunitario fu molto cruenta e fu condotta da militari come Enrico Cialdini, Alfonso La Marmora, Pietro Fumel, Raffaele Cadorna e Ferdinando Pinelli, che destarono polemiche per i metodi impiegati.


Fine ottocento e inizio novecento

Fenomeni di brigantaggio, seppur di diversa natura da quelli che coinvolsero l'Italia meridionale a seguito dell'annessione al regno sabaudo, si svilupparono o continuarono ad essere presenti in diverse regioni d'Italia tra la seconda metà dell'Ottocento e i primi anni del Novecento.

In Maremma, area a cavallo tra la Toscana e il Lazio le cause erano da ricercare ad un forte malcontento che si era diffuso nella popolazione, nei primi anni dopo l'Unità d'Italia, quando vennero interrotti, per un certo periodo di tempo, i grandi lavori di bonifica idraulica e la riforma fondiaria. Tutto ciò determinò un nascente sentimento nostalgico diffuso per le precedenti politiche dei Lorena che, nelle campagne, fu terreno fertile per la diffusione del fenomeno del brigantaggio.

Tuttavia, sia in Provincia di Grosseto che nel Viterbese, il fenomeno, a differenza del brigantaggio meridionale, non divenne mai organizzato, in quanto ogni brigante era solitario, aveva i propri allievi, cercava di diffondere il suo stile ma non aspirava mai al controllo di un piccolo "esercito". Le scorrerie e gli atti criminali erano prevalentemente rivolti ai simboli che rappresentavano i grandi proprietari latifondisti e il nuovo Stato italiano; bersagli delle loro azioni, che non erano mai mirate verso la popolazione, erano guardiani, guardiacaccia, grandi tenute padronali e carabinieri.

Tra i briganti della Tuscia viterbese, è famoso il brigante Luigi Rufoli detto "Rufolone" il quale, originario di Sant'Angelo, piccolo borgo tra Roccalvecce e Graffignano, si era trasferito nella vicina Grotte Santo Stefano ed in particolare, si era insediato presso la macchia di Piantorena, proprietà della famiglia Doria Pamphili, dove era facile incontrare viandanti più o meno facoltosi che si spostavano sulle poche strade che collegavano tra loro i paesi intorno.

Nell'Italia settentrionale Francesco Demichelis, detto il Biondin fu attivo con la sua banda soprattutto nella zona delle risaie del novarese. Sul finire dell'ottocento si distinse in Calabria Giuseppe Musolino, che si diede al brigantaggio dopo essere stato condannato per omicidio (nonostante si dichiarò innocente), vendicandosi di coloro che lo incastrarono e tradirono con l'aiuto delle popolazioni locali, le quali videro in lui un simbolo contro le ingiustizie di quel tempo.

Lo Stato italiano iniziò una lotta serrata per arginare e debellare questo fenomeno, che si ridusse con l'inizio del Novecento.

Note

  1. ^ Brigantaggio (XML), in Treccani.it. URL consultato il 6 febbraio 2011.
  2. ^ Giuseppe Galasso, Unificazione italiana e tradizione meridionale nel brigantaggio del Sud, in Il brigantaggio postunitario nel Mezzogiorno d'Italia, Atti del convegno di studi storici (Napoli, 20-21 ottobre 1984), edito dall'«Archivio Storico per le Province Napoletane», terza serie, a. XXI-CI dell'intera collezione (1983), p. 4.
  3. ^ Benedetto Croce, Storia del Regno di Napoli, Adelphi, Milano 1992, p.4 73 riporta per stralci la Lettera ai censuari del Tavoliere pubblicata dallo zio materno, Francesco Saverio Sipari, riproposta integralmente da L. Arnone Sipari, Francesco Saverio Sipari e la «Lettera ai censuari del Tavoliere», in R. Colapietra (a cura di), Benedetto Croce ed il brigantaggio meridionale: un difficile rapporto, Colacchi, L'Aquila 2005, pp. 87-102,
  4. ^ Giustino Fortunato, Emilio Gentile, Carteggio: 1927-1932, Laterza, 1981, p.14
  5. ^ Teodoro Salzillo, Roma e le menzogne parlamentari, Malta, 1863, p.34.
  6. ^ Cfr. Salvatore Muzzi, pag 148, in Figli del popolo venuti in onore: operetta storico-morale, 1867
  7. ^ cfr pag. 154-155 Maria Calcott , Maria Graham, Three months passed in the mountains east of Rome, 1820
  8. ^ Tarquinio Maiorino, Storia e leggende di briganti e brigantesse, Piemme, 1997, p.16.
  9. ^ Clara Gallini, Protesta e integrazione nella Roma antica, Laterza, 1970, p.41.
  10. ^ a b Giovanni De Matteo, Brigantaggio e Risorgimento, Guida, 2000, p.13.
  11. ^ Giuseppe Pennacchia, L'Italia dei briganti, Rendina, 1998, p.17.
  12. ^ a b Giuseppe Pennacchia, L'Italia dei briganti, Rendina, 1998, p.18.
  13. ^ Brigantaggio, in www.laciociaria.it. URL consultato il 30-11-2010.
  14. ^ Giovanni Boccaccio, Novelle di Giovanni Boccaccio, G. Barbèra, 1869, p.167
  15. ^ Giovanni Cherubini, Scritti toscani, Salimbeni, 1991, p.242.
  16. ^ cfr Cesare Cantù, Storia universale di Cesare Cantù , Volume 2; Volume 8, libro decimoquinto, cap. XXVII, nota 6, Unione Tipografico-Editrice, 1888
  17. ^ cfr pag 16-17 di Antonio Coppi, Discorso sul Brigantaggio dell'Italia media e meridionale dal 1572 al 1825 Tip.Salviucci, Roma, 1867
  18. ^ Cfr. Pag 455-456, Francisco Protonotari, Nuova antologia, Rivista di scienze, lettere ed arti, Volume 54, Anno XV, Direzione della Nuova Antologia, Roma, 1880
  19. ^ Cfr. Pag 455, Francisco Protonotari, Nuova antologia, Rivista di scienze, lettere ed arti, Volume 54, Anno XV, Direzione della Nuova Antologia, Roma, 1880
  20. ^ cfr 292-293 in Giuseppe Rovani, Storia delle lettere e delle arti in Italia: giusta le reciproche loro rispondenze ordinata nelle vite e nei ritratti degli uomini illustri dal secolo XIII fino al nostri giorni, Volume 2, Borroni e Scotti, Milano, 1856
  21. ^ Cfr. Marco Corcione, Modelli processuali nell'antico regime: la giustizia penale nel tribunale di campagna di Nevano, Istituto di Studi Atellani, Frattamaggiore, 2002
  22. ^ Benedetto Croce, Il brigante Angiolillo, Osanna, 1986, p.33.
  23. ^ Benedetto Croce, Il brigante Angiolillo, Osanna, 1986, p.57.
  24. ^ Tommaso Pedio, Storia della Basilicata raccontata ai ragazzi, Congedo, 1994, p.133.
  25. ^ Tommaso Pedio, Brigantaggio meridionale, Capone, 1987, p.28.
  26. ^ Massimo Viglione, Rivolte dimenticate: le insorgenze degli italiani dalle origini al 1815, Città Nuova, 1999, p.277.
  27. ^ Antonio Lucarelli, Il brigantaggio politico del Mezzogiorno d'Italia (1815-1818), Laterza, Bari, 1942.
  28. ^ Cfr. Decreto n. 343 del 22 aprile 1816, in «Collezione delle leggi e decreti reali del Regno di Napoli», semestre I, Stamperia reale, Napoli 1816, pp. 256-258.
  29. ^ cfr. Charles Didier (1831)
  30. ^ Cit. da Angelantonio Spagnoletti, Storia del Regno delle Due Sicilie, Bologna, Il Mulino, 1997, p. 53.
  31. ^ cit. da Angelantonio Spagnoletti op. cit., p. 57
  32. ^ Cit. da Angelantonio Spagnoletti, op. cit., p. 222
  33. ^ Cfr. Angelantonio Spagnoletti, op. cit., p. 222
  34. ^ Cfr. Decreto n. 424 del 24 ottobre 1859, in «Collezione delle Leggi e de' decreti reali del Regno delle Due Sicilie», semestre II, Stamperia Reale, Napoli 1859, pp. 274-275
  35. ^ cfr pag 17-18 di Antonio Coppi, Discorso sul Brigantaggio dell'Italia media e meridionale dal 1572 al 1825 Tip.Salviucci, Roma, 1867
  36. ^ cfr pag 414-415 in 5William Hendry Stowell, The Eclectic review, Volume 15; Volume 33, 1821
  37. ^ cfr pag 415 in 5William Hendry Stowell, The Eclectic review, Volume 15; Volume 33, 1821
  38. ^ cfr. p. 423 Paolo Macry, Angelo Massafra, Fra storia e storiografia: scritti in onore di Pasquale Villani, Mulino, 1994
  39. ^ cfr pag 88-89, Archivio storico per la Calabria e la Lucania,, Volume 48,1981
  40. ^ cfr pag. 231-237 Maria Calcott , Maria Graham, Three months passed in the mountains east of Rome, 1820
  41. ^ Massimo Dursi, Stefano Pelloni detto il passatore Cronache popolari: Cronache popolari. 1963
  42. ^ Francesco Saverio Nitti, Scritti sulla questione meridionale, Laterza, 1958, p. 44
  43. ^ G. Fortunato, Il Mezzogiorno e lo stato italiano, vol. II
  44. ^ Carlo Alianello, La conquista del Sud, Rusconi, 1972, p.247.
  45. ^ Gilles Pécout, Il lungo Risorgimento, Mondadori, 1999, p.238.
  46. ^ «Si è inaugurato nel Mezzogiorno d'Italia un sistema di sangue. E il Governo, cominciando da Ricasoli e venendo sino al ministero Rattazzi, ha sempre lasciato esercitare questo sistema» (Nino Bixio). Citato in Giovanni De Matteo, Brigantaggio e Risorgimento, Guida Editore, 2000, p. 263.
  47. ^ Tra i politici europei che espressero critiche nei confronti dei provvedimenti contro il brigantaggio vi furono lo scozzese McGuire, il francese Gemeau e lo spagnolo Nocedal. Citato in Gigi Di Fiore, Controstoria dell'Unità d'Italia, p.244-245.
  48. ^ Vedi anche i seguenti articoli on-line, oltre ai testi in bibliografia:
  49. ^ Carmine Crocco, Come divenni brigante, Trabant, 2008, p. 87.

Bibliografia

  • Marc Monnier, Notizie storiche documentate sul brigantaggio nelle provincie napoletane dai tempi di frà Diavolo sino ai giorni nostri, aggiuntovi l'intero giornale di Borjès finora inedito, Firenze, G. Barbera, 1863.
  • Marc Monnier, Il Brigantaggio da Fra’ Diavolo a Crocco, Lecce, Capone.
  • Massimo Dursi, Stefano Pelloni detto il passatore: cronache popolari, Giulio Einaudi Editore, 1963.
  • Gaetano Cingari, Brigantaggio, proprietari e contadini nel Sud (1799-1900), Reggio Calabria, Editori Riuniti, 1976.
  • Leonida Costa, Il rovescio della medaglia: storia inedita del brigante Stefano Pelloni detto il Passatore, Fratelli Lega, 1976.
  • Francesco Barra, Cronache del Brigantaggio Meridionale (1806-1815), Salerno, S.E.M., 1981.
  • Antonio Lucarelli, Il brigantaggio politico del Mezzogiorno d'Italia (1815-1818), Milano, Longanesi, 1982.
  • Timoteo Galanti, Dagli sciaboloni ai piccioni - Il "brigantaggio" politico nella Marca pontificia ascolana dal 1798 al 1865, Sant'Atto di Teramo, Edigrafital, 1990.
  • Carlo Alianello, La conquista del Sud: Il Risorgimento nell'Italia Meridionale, Milano, Edilio Rusconi, 1994, ISBN 978-88-18-70033-6.
  • Carmine Donatelli Crocco, Come divenni brigante - Autobiografia, a cura di Mario Proto, Manduria, Lacaita, 1995.
  • Denis Mack Smith, Storia d'Italia, Roma-Bari, Giuseppe Laterza e figli, 2000, ISBN 88-420-6143-3.
  • Salvatore Vaiana, Una storia siciliana fra Ottocento e novecento. Lotte politiche e sociali, brigantaggio e mafia, clero e massoneria a Barrafranca e dintorni, Barrafranca, Salvo Bonfirraro editore, 2000, ISBN 978-88-6272-003-8.
  • Giovanni De Matteo, Brigantaggio e Risorgimento - Legittimisti e Briganti tra i Borbone e i Savoia, Napoli, Alfredo Guida Editore, 2000, ISBN 978-88-7188-345-8.
  • Francesco Gaudioso, Il banditismo nel Mezzogiorno moderno tra punizione e perdono, Galatina, Congedo Editore, 2001, ISBN 978-88-8086-402-8.
  • Francesco Gaudioso, Brigantaggio, repressione e pentitismo nel Mezzogiorno preunitario, Galatina, Congedo, 2002, ISBN 978-88-8086-425-7.
  • Luigi Capuana, La Sicilia e il brigantaggio, Roma, Stabilimento Tipografico Italiano, 1892.
  • Francesco Gaudioso, Il potere di punire e perdonare. Banditismo e politiche criminali nel Regno di Napoli in età moderna, Galatina, Congedo, 2006, ISBN 978-88-8086-675-6.
  • Raffaele Nigro, Giustiziateli sul campo. Letteratura e banditismo da Robin Hood ai giorni nostri, Milano, Rizzoli Editore, 2006, ISBN 978-88-17-00984-3.
  • Michele Ferri e Domenico Celestino, Il brigante Chiavone - Storia della guerriglia filoborbonica alla frontiera pontificia (1860-1862), Centro Studi Cominium, 1984.
  • Michele Ferri, Il brigante Chiavone - Avventure, amori e debolezze di un grande guerrigliero nella Ciociaria di Pio IX e Franceschiello, APT - Frosinone, 2001.
  • Charles Didier, Les Capozzoli et la police napolitaine, in Revue des Deux Mondes, Tome II, 1831, pp. 58-69

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