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78 | parte prima |
ferite, fra le minacce della fame e della prigione per debiti. Non sono infrequenti i casi di poeti, che si ridono dei proprii travagli, ma è rarissimo quello di un poeta sventurato, che impiega la sua attività artistica in un’opera, nella quale il riso non si vela mai di pianto. È un miracolo, nel quale probabilmente ebbe qualche parte l’influsso della Rinascenza».
Confesso di passata ch’io non riesco a veder così giocondo lo spirito del nostro Rinascimento, come il Momigliano insieme con tanti altri lo vede. Diffido degli inviti a godere, specialmente quando son così insistenti e vogliono aver l’aria d’essere spensierati; diffido di chi vuol esser gajo ad ogni costo. Il Trionfo di Bacco e d’Arianna? Ma è il carpe diem d’Orazio:
Tu ne quaesieris, scire nefas, quem mihi, quem tibi
finem Di dederint...
E può dirsi giocondità quella di chi si stordisce per non pensare? Potrebbe esser, se mai, filosofia di saggi, non giocondità di giovani. E quante cose tristi non dicono i famosi canti carnascialeschi a chi sappia leggervi ben addentro!
Ma lasciamo star questo, che per il momento sarebbe questione oziosa, tanto più che per me il Pulci ritrae tutto dall’aspetto caratteristico dell’indole fiorentina e la sua è la lingua buffona del popolo, e le idee e il sentimento del popolo, rispetto alla materia epica e cavalleresca, nelle espressioni d’un cantastorie, egli vuol contraffare e parodiare nel suo Morgante, il quale per me, ripeto, non è poi tutto quel monumento di giocondità che il Momigliano ci vorrebbe far credere.
Per spiegarci il miracolo, di cui parla il Momigliano, basta pôr mente a questo, cioè più allo scopo che il Pulci s’è proposto, che alla sua indole. Se la vita del poeta è tristissima, se egli nel componimento Io vo’ dire una frottola confessa: «I’ ho mal quand’i’