Riccardo, Valentini·John L. Sievenpiper, Marta Antonelli· Katarzyna Dembska Editors, Achieving the Sustainable Development Goals Through Sustainable Food Systems, 2019
The 2014-2015 refugee crisis gave a sharp turn in the European policies on migration. The interna... more The 2014-2015 refugee crisis gave a sharp turn in the European policies on migration. The international development cooperation become a strategic tool for intervening on the so called “root causes” of migration with the aim of prevent further migration flows to Europe. The idea of the “root causes” have reduced the nexus among migration and development to a cause-and-effect relationship that sees the development of a country as a solution to stop migration without verifying the consistency of this relation. This vision has led to a justification among European immigration policies to increase funds for development cooperation in the origin and transit countries of migratory flows with the aim to curb with migration to Europe. In reality, in the short term, greater development generally constitutes a push factor to migrate, by putting people in conditions to move owing to the increased resources available. The migration and food and nutrition security nexus explored in this chapter is a perfect example for better understanding the complex nature of the relationship among migration and development. The potential role of migration for development been recognized in the 2030 Agenda for Sustainable development Agenda with a specific target 10.7, although remains silent on broader contribution of migration to development outcome. Further, the use of aid policies for security purposes has led to their instrumentalization which has been happening in three ways: (i) by inflating aid-spending, (ii) by diverting aid from its main purpose of alleviating poverty and instead making the interest of donor to prevent migration and (iii) by increasing conditionalities for recipient countries by binding aid to their effort in preventing migrants to come to Europe. Italy is being a perfect example of what this “instrumentalization of aid” for migration purposes. Migration is part of a wider development process and It is not its negative consequence. Considering migration as a development opportunity implies to go beyond the root causes idea which is being resulting in the manipulation of development assistance for security purposes and, at the same time, a blunt tool for reshaping migration patterns. It can only happen with a radical rethink of how success in migration and development policies itself is defined and in promoting policy able to maximize the positive effects of migration.
Bookmarks Related papers MentionsView impact
Uploads
Papers by Roberto Sensi
Emblema di questo vuoto sono le discussioni nell’ambito della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (UNFCC) riunita in questi giorni a Glasgow, in occasione di Cop26. Nonostante il tema della mobilità climatica sia stato affrontato all’interno dei negoziati - in particolare con riferimento alla questione dei meccanismi sui danni e le perdite, compresa l’istituzione di una task force dedicata agli sfollamenti - pochi sono i risultati raggiunti in termini di politiche e risorse impiegate in particolare sul fronte della risposta ai fenomeni migratori in relazione agli impatti e ai processi di adattamento ai cambiamenti climatici.
Eppure, le migrazioni climatiche sono già in atto: l’alterazione delle precipitazioni, l’aumento delle temperature e altri eventi ambientali estremi rendono le condizioni di vita delle popolazioni sempre più precarie, costringendole a spostarsi. Ne sono la prova i contadini e i lavoratori agricoli che dal Messico e dagli altri Paesi dell’America centrale migrano stagionalmente negli Stati Uniti, i pastori nella regione del Sahel che si spostano verso i sovraffollati centri urbani, i numerosi esodi rurali che interessano tutta l’Africa Sub-Sahariana, lo Sri Lanka, il Nepal, l’Afghanistan, il Pakistan e la Cina. Non solo, ma a preoccupare sono anche quelle comunità per cui spostarsi non è un'opzione, perché intrappolate all’interno di contesti degradati sotto il profilo socio-ambientale.
Il tentativo portato avanti dalle organizzazioni internazionali specializzate, prima fra tutte l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, di promuovere un approccio che vede la mobilità come una risposta agli impatti negativi dei cambiamenti climatici e non un problema causato da questi ultimi deve fare inoltre i conti con un contesto internazionale dove le migrazioni non sono sufficientemente governate, come nel caso della mobilità interna ai paesi, o lo sono in chiave di repressione dei flussi e restringimento delle opportunità di asilo e regolarizzazione. In questo senso, seppur con alcuni passi in avanti da parte della giurisprudenza nazionale e internazionale – come mostra una recente sentenza della Corte di Cassazione in merito alla domanda di protezione per ragioni ambientali da parte di un cittadino nigeriano - ad oggi ai migranti climatici non è riconosciuto né lo status di rifugiato né l’accesso a sistemi di protezione sussidiaria.
Il presente studio è un’analisi multidimensionale che indaga la povertà alimentare a partire dai testimoni privilegiati, ovvero le famiglie che si rivolgono alle realtà di assistenza alimentare coinvolte ubicate sul territorio metropolitano di Milano, una provincia particolarmente colpita non sono dal punto di vista sanitario, ma anche socioeconomico. Con la costruzione di un nuovo quadro concettuale attorno al tema della povertà alimentare ne abbiamo analizzato, senza pretesa di esaustività, le diverse dimensioni, raccogliendo le sfide e le difficoltà che le famiglie a basso reddito affrontato per accedere a un cibo sufficiente nel contesto di una pandemia che ha ulteriormente precarizzato le loro esistenze.
L’Annuario della cooperazione allo sviluppo 2020, dati alla mano, fotografa lo stato di salute della cooperazione allo sviluppo italiana indicando alcuni percorsi per invertire il trend negativo e aumentarne l’efficacia.
europeo hanno contribuito a ridurre la dimensione del
ritorno in quella del rimpatrio, essendo quest’ultima
centrale dell’agenda europea di contrasto alla
cosiddetta immigrazione irregolare. La logica del
respingimento dà corpo anche alla maggioranza dei
programmi di rimpatrio e ritorno volontario assistito e
reintegro (RVA&R), cresciuti in modo significativo negli
ultimi anni e destinati ai migranti che non vogliono o non
possono restare nei paesi di destinazione e di transito
e che decidono di tornare al loro paese di origine.
Questa dinamica è evidenziata dal fatto che molti di
questi programmi europei sono destinati a persone che
hanno ricevuto provvedimenti di espulsione; seppur
considerati forme di ritorno più umane dei rimpatri
forzati, rimangono tuttavia funzionali agli stessi obiettivi.
L’Agenda 2030 ha introdotto nuove sfide per la cooperazione allo sviluppo. Se da un lato rimane una politica fondamentale per promuovere gli obiettivi di sviluppo sostenibile dall’altro deve riuscire ad affrontare le sfide di natura globale che la nuova agenda propone: migrazioni, cambiamenti climatici, conflitti, crescita demografica, ambiente, ecc. Tutto questo implica uno sforzo qualitativo e quantitativo che la cooperazione allo sviluppo deve realizzare per continuare a dimostrare il proprio valore aggiunto.
Queste tendenze emergono anche nella discussione che si sta svolgendo a Bruxelles sul prossimo Quadro Finanziario Pluriennale Europeo 2021-2027. Con la scelta di adottare un singolo strumento esterno per l’azione di sviluppo quello di Vicinato, Cooperazione allo sviluppo e cooperazione internazionale (NDICI) si è voluto rispondere all’esigenza di razionalizzare e rendere più efficiente e flessibile il finanziamento dell’azione esterna di sviluppo.
In conclusione, il sistema di cooperazione allo sviluppo italiano si trova ad affrontare sfide interne (risorse, governance, capacità di visione strategica e strumentalizzazione in chiave securitaria) ed esterne (sfide globali) di notevole portata. Tra le sfide esterne c’è sicuramente anche quella di riacquisire centralità nel dibattito pubblico e costruire una narrativa positiva che restituisca legittimità e rilevanza all’intero sistema, a partire dalle ONG.
Questo rapporto di ActionAid è un contributo in questa direzione, che si affianca al lavoro di advocacy e al sostegno concreto ai bisogni e ai percorsi di empowerment e mobilitazione per i diritti delle persone a fianco delle comunità di molti paesi poveri nel Sud del mondo.
The international community responded by allocating 9 billion dollars in aid for rebuilding. A part of this aid was destined for the economic relaunching of the country through the creationof the Caracol Industrial Park (CIP) in the north of the country, to produce textiles for export. The project was born out of a collaboration between the Haitian Government, the Inter-American Development Bank (IDB) ̶ the main financial sponsor with 242 million dollars, the US Department of State, and the South Korean global clothing manufacturer SAE-A, to date the main producer at the industrial park.
This project resulted in the overbuilding of 246 hectares of some of the country’s most fertile land, from which 3,500 people had made their living. The country is characterized by major food insecurity, with 50% of the population going hungry, including 22% of children under 5, and with 60% of the population living off agriculture. Land, which is a scarce resource in a country where half of the surface is mountainous, is therefore a source of subsistence for the majority of the population, unfortunately, their access rights are not properly protected however, being based on a system of informal control that is constantly under threat from unilateral action by the State.
The building of the industrial park caused a systematic violation of essential rights of the local populations: housing, free, prior and informed consent, food, and fair compensation, all of which significantly contributed to a deterioration in living conditions for the local inhabitants.
Emblema di questo vuoto sono le discussioni nell’ambito della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (UNFCC) riunita in questi giorni a Glasgow, in occasione di Cop26. Nonostante il tema della mobilità climatica sia stato affrontato all’interno dei negoziati - in particolare con riferimento alla questione dei meccanismi sui danni e le perdite, compresa l’istituzione di una task force dedicata agli sfollamenti - pochi sono i risultati raggiunti in termini di politiche e risorse impiegate in particolare sul fronte della risposta ai fenomeni migratori in relazione agli impatti e ai processi di adattamento ai cambiamenti climatici.
Eppure, le migrazioni climatiche sono già in atto: l’alterazione delle precipitazioni, l’aumento delle temperature e altri eventi ambientali estremi rendono le condizioni di vita delle popolazioni sempre più precarie, costringendole a spostarsi. Ne sono la prova i contadini e i lavoratori agricoli che dal Messico e dagli altri Paesi dell’America centrale migrano stagionalmente negli Stati Uniti, i pastori nella regione del Sahel che si spostano verso i sovraffollati centri urbani, i numerosi esodi rurali che interessano tutta l’Africa Sub-Sahariana, lo Sri Lanka, il Nepal, l’Afghanistan, il Pakistan e la Cina. Non solo, ma a preoccupare sono anche quelle comunità per cui spostarsi non è un'opzione, perché intrappolate all’interno di contesti degradati sotto il profilo socio-ambientale.
Il tentativo portato avanti dalle organizzazioni internazionali specializzate, prima fra tutte l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, di promuovere un approccio che vede la mobilità come una risposta agli impatti negativi dei cambiamenti climatici e non un problema causato da questi ultimi deve fare inoltre i conti con un contesto internazionale dove le migrazioni non sono sufficientemente governate, come nel caso della mobilità interna ai paesi, o lo sono in chiave di repressione dei flussi e restringimento delle opportunità di asilo e regolarizzazione. In questo senso, seppur con alcuni passi in avanti da parte della giurisprudenza nazionale e internazionale – come mostra una recente sentenza della Corte di Cassazione in merito alla domanda di protezione per ragioni ambientali da parte di un cittadino nigeriano - ad oggi ai migranti climatici non è riconosciuto né lo status di rifugiato né l’accesso a sistemi di protezione sussidiaria.
Il presente studio è un’analisi multidimensionale che indaga la povertà alimentare a partire dai testimoni privilegiati, ovvero le famiglie che si rivolgono alle realtà di assistenza alimentare coinvolte ubicate sul territorio metropolitano di Milano, una provincia particolarmente colpita non sono dal punto di vista sanitario, ma anche socioeconomico. Con la costruzione di un nuovo quadro concettuale attorno al tema della povertà alimentare ne abbiamo analizzato, senza pretesa di esaustività, le diverse dimensioni, raccogliendo le sfide e le difficoltà che le famiglie a basso reddito affrontato per accedere a un cibo sufficiente nel contesto di una pandemia che ha ulteriormente precarizzato le loro esistenze.
L’Annuario della cooperazione allo sviluppo 2020, dati alla mano, fotografa lo stato di salute della cooperazione allo sviluppo italiana indicando alcuni percorsi per invertire il trend negativo e aumentarne l’efficacia.
europeo hanno contribuito a ridurre la dimensione del
ritorno in quella del rimpatrio, essendo quest’ultima
centrale dell’agenda europea di contrasto alla
cosiddetta immigrazione irregolare. La logica del
respingimento dà corpo anche alla maggioranza dei
programmi di rimpatrio e ritorno volontario assistito e
reintegro (RVA&R), cresciuti in modo significativo negli
ultimi anni e destinati ai migranti che non vogliono o non
possono restare nei paesi di destinazione e di transito
e che decidono di tornare al loro paese di origine.
Questa dinamica è evidenziata dal fatto che molti di
questi programmi europei sono destinati a persone che
hanno ricevuto provvedimenti di espulsione; seppur
considerati forme di ritorno più umane dei rimpatri
forzati, rimangono tuttavia funzionali agli stessi obiettivi.
L’Agenda 2030 ha introdotto nuove sfide per la cooperazione allo sviluppo. Se da un lato rimane una politica fondamentale per promuovere gli obiettivi di sviluppo sostenibile dall’altro deve riuscire ad affrontare le sfide di natura globale che la nuova agenda propone: migrazioni, cambiamenti climatici, conflitti, crescita demografica, ambiente, ecc. Tutto questo implica uno sforzo qualitativo e quantitativo che la cooperazione allo sviluppo deve realizzare per continuare a dimostrare il proprio valore aggiunto.
Queste tendenze emergono anche nella discussione che si sta svolgendo a Bruxelles sul prossimo Quadro Finanziario Pluriennale Europeo 2021-2027. Con la scelta di adottare un singolo strumento esterno per l’azione di sviluppo quello di Vicinato, Cooperazione allo sviluppo e cooperazione internazionale (NDICI) si è voluto rispondere all’esigenza di razionalizzare e rendere più efficiente e flessibile il finanziamento dell’azione esterna di sviluppo.
In conclusione, il sistema di cooperazione allo sviluppo italiano si trova ad affrontare sfide interne (risorse, governance, capacità di visione strategica e strumentalizzazione in chiave securitaria) ed esterne (sfide globali) di notevole portata. Tra le sfide esterne c’è sicuramente anche quella di riacquisire centralità nel dibattito pubblico e costruire una narrativa positiva che restituisca legittimità e rilevanza all’intero sistema, a partire dalle ONG.
Questo rapporto di ActionAid è un contributo in questa direzione, che si affianca al lavoro di advocacy e al sostegno concreto ai bisogni e ai percorsi di empowerment e mobilitazione per i diritti delle persone a fianco delle comunità di molti paesi poveri nel Sud del mondo.
The international community responded by allocating 9 billion dollars in aid for rebuilding. A part of this aid was destined for the economic relaunching of the country through the creationof the Caracol Industrial Park (CIP) in the north of the country, to produce textiles for export. The project was born out of a collaboration between the Haitian Government, the Inter-American Development Bank (IDB) ̶ the main financial sponsor with 242 million dollars, the US Department of State, and the South Korean global clothing manufacturer SAE-A, to date the main producer at the industrial park.
This project resulted in the overbuilding of 246 hectares of some of the country’s most fertile land, from which 3,500 people had made their living. The country is characterized by major food insecurity, with 50% of the population going hungry, including 22% of children under 5, and with 60% of the population living off agriculture. Land, which is a scarce resource in a country where half of the surface is mountainous, is therefore a source of subsistence for the majority of the population, unfortunately, their access rights are not properly protected however, being based on a system of informal control that is constantly under threat from unilateral action by the State.
The building of the industrial park caused a systematic violation of essential rights of the local populations: housing, free, prior and informed consent, food, and fair compensation, all of which significantly contributed to a deterioration in living conditions for the local inhabitants.
Per le caratteristiche socio-economiche e la loro storia di sviluppo, i paesi poveri sono stati quelli che hanno maggiormente pagato il prezzo della crisi ma, allo stesso tempo, sono anche i principali destinatari della nuova ondata di investimenti in terra conseguenza di questa stessa crisi.
Inizialmente accolti positivamente dalla Comunità Internazionale in quanto forieri di un’inversione del trend storico decrescente di investimenti registrato nel settore agricolo negli ultimi anni, sono stati successivamente oggetto di crescenti critiche in quanto caratterizzati da dinamiche di appropriazione delle risorse a spese delle comunità locali. In ragione di queste criticità, i movimenti sociali e contadini, le Ong e i media hanno cominciato a denunciare pubblicamente questi investimenti coniando il termine di “land grabbing”.
Il presente lavoro ha l’obiettivo di rispondere alla domanda se e in che modo questi investimenti rappresentino un’opportunità o una minaccia per lo sviluppo dei paesi poveri. A tal fine, abbiamo analizzato i driver e le dinamiche che sottendono a questi investimenti in terra, accennando al complesso rapporto che sussiste tra la produzione di commodity e lo sviluppo nei paesi poveri. Tale passaggio si rileva necessario a comprendere le cause profonde dell’ultima crisi alimentare, che non solo ha prodotto conseguenze nel breve termine: instabilità politica, economica e sociale e aumento del numero degli affamati, ma sembra mostrare i segnali di una transizione verso una nuova geopolitica ed economia del cibo e dei sistemi agricoli della quale il land grabbing è espressione significativa.