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Monteverdi - Madrigales
Monteverdi - Madrigales
Monteverdi - Madrigales
CICLO
MADRIGALES
DE MONTEVERDI
ENERO 2004
Fundación Juan March
CICLO
MADRIGALES DE
MONTEVERDI
Enero 2004
ÍNDICE
Pág.
Presentación .................................................................. 3
Introducción general
por Daniel Vega ...................................................... 10
Participantes ................................................................. 47
Claudio Monteverdi es uno de los más grandes
compositores de la Historia de la música, pero
desgraciadamente un gran desconocido para el público
normal. La causa es clara: El consumo musical se centra en
apenas dos siglos y medio, desde los últimos barrocos
(D. Scarlatti, J.S. Bach o Haendel) a los grandes maestros de
la primera mitad del siglo XX. Casi todo lo anterior a 1700,
despectivamente englobado en un rótulo enojoso (el de
“música antigua”), o lo posterior a 1950 (la llamada “música
contemporánea”) aparece en los programas con mucha
menor intensidad, independientemente de su valor histórico o
su belleza.
PRIMER CONCIERTO
Libro I (1587)
Ch’io ami la mia vita
Se per havervi, ohimè, donato il core
- Ardo, sì, ma non t’amo (Prima parte)
- Ardi o gela a tua voglia (Risposta, Seconda parte)
- Arsi et alsi a mia voglia (Contrarisposta, Terza parte)
Libro II (1590)
Non si levav’ancor l’alba novella
- Non si levav’ancor l’alba novella (Prima parte)
- E dicea l’una sospirando allora (Seconda parte)
Ecco mormorar l’onde
Non sono in queste rive fiori così vermigli
S’andasse amor a caccia
Dolcemente dormiva la mia Clori
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PRIMER CONCIERTO
II
Libro IV (1603)
Ah dolente partita!
Sfogava con le stelle un infermo d’amore
Anima mia, perdona
- Anima mia, perdona (Prima parte)
- Che se tu se’ il cor mio (Seconda parte)
Sí ch’io vorrei morire
SEGUNDO CONCIERTO
Libro V (1605)
Ch’io t’ami, e t’ami più de la mia vita
- Ch’io t’ami (Prima parte)
- Deh! bella e cara (Seconda parte)
- Ma tu, più che mai dura (Terza parte)
Ahi, come a un vago sol
Troppo ben può
Libro VI (1614)
Sestina (Lagrime d’amante al sepolcro dell’amata)
- Incenerite spoglie
- Ditelo, o fiumi, e voi
- Darà la notte il sol
- Ma te raccoglie
- O chiome d’or
- Dunque, amate reliquie
II
TERCER CONCIERTO
II
INTRODUCCIÓN GENERAL
La época de Monteverdi
El madrigal y Monteverdi
NOTAS AL PROGRAMA
Con esta obra da un paso más adelante, hasta tal punto que
Fetis, el tratadista francés del siglo XIX, opina que con esta obra
“Monteverdi concluyó la transformación de la tonalidad, creó
el acento expresivo y dramático a la vez que un nuevo sistema
armónico”. Acordes como los que denominamos de séptima y
novena dominante que definirán los pasos de la auténtica ca-
dencia perfecta tonal, las quintas y séptimas disminuidas y to-
do cuanto irritaba al Artusi (especialmente se ensaña con las
dos partes de Anima mia perdona del libro cuarto y Cruda
Amarilli y O Mirtillo del quinto) reafirman su presencia subs-
tantiva en el discurso musical, y no por prurito de originalidad,
sino por la necesidad de aportar nuevos recursos a la expre-
sión musical del texto.
PRIMER CONCIERTO
LIBRO I (1587)
LIBRO II (1590)
(Prima Parte)
Non si levava ancor l’alba novella
né spiegavan le piume
gli augelli al novo lume,
ma fiammeggiava l’amorosa stella,
quando i duo vaghi e leggiadretti amanti,
ch’una felice notte aggiunse insieme
come acanto si svolge in vari giri,
divise il novo raggio; e i dolci pianti,
ne le accoglienze estreme,
mescolavan con baci e con sospiri.
(Seconda parte)
E dicea l’una sospirando allora:
“Anima, a Dio, - le rispondea -
e Dio, rimanti!”. E non partitasi ancora
inanzi al novo sole.
E inanzi a l’alba che nel ciel sorgea,
e questa e quella impallidir vedea
le bellissime rose,
ne le labbra amorose,
e gli occhi scintillar come facella.
E come d’alma che si parta e svella
fu la partenza:
“A Dio, ché parto e moro!”.
Dolce languir, dolce partita e fella!
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(Prima parte)
Vivrò fra i miei tormenti e le mie cure,
mie giuste furie, forsennato, errante;
paventarò l’ombre solinghe e scure
che ‘l primo error mi recheranno inante,
e del sol che scoprí le mie sventure,
a schivo ed in orrore avrò il sembiante.
Temerò me medesmo; e da me stesso
sempre fuggendo, avrò me sempre appresso.
(Seconda parte)
Ma dove, oh lasso me!, dove restaro
le reliquie del corpo e bello e casto?
Ciò ch’in lui sano i miei furor lasciaro,
dal furor de le fère è forse guasto.
Ahi troppo nobil preda! ahi dolce e caro
troppo e pur troppo prezioso pasto!
ahi sfortunato! in cui l’ombre e le selve
irritaron me prima e poi le belve.
(Terza parte)
Io pur verrò là dove sète; e voi
meco avrò, s’anco sète, amate spoglie.
Ma s’egli avien che i vaghi membri suoi
stati sian cibo di ferine voglie,
vuo’ che la bocca stessa anco me ingoi,
e ‘l ventre chiuda me che lor raccoglie:
onorata per me tomba e felice,
ovunque sia, s’esser con lor mi lice.
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(Prima parte)
Rimanti in pace a la dolente e bella Fillida
Tirsi sospirando disse:
Rimanti io me ne vo’tal mi prescrisse
legge empio fato aspra sorte e rubella,
ed ella horada l’una al’altra stella
stillando a mar’humore
horada l’una e l’altra stella
ne i lumi del suo Tirsi e glitrafisse
il cor di pietosíssime qua drel la.
(Seconda parte)
Ond’ei di morte la sua faccia impressa
disse ahí come n’andro senz’il mio sole
di martir in martir di doglieindo.
Ed ella da singhiozzi e piant’oppressa
fievolmente formo queste parole,
deh cara anima mia cimi ti toglie
LIBRO IV (1603)
(Prima parte)
Anima mia, perdona
a chi t’è cruda sol dove pietosa
esser non può; perdona a questa, solo
nei detti e nel sembiante
rigida tua nemica, ma nel core
pietosissima amante;
e, se pur hai desio di vendicarti,
deh! qual vendetta aver puoi tu maggiore
del tuo proprio dolore?
(Seconda parte)
Che se tu se’ il cor mio,
come se’ pur mal grado
del cielo e della terra,
qualor piagni e sospiri,
quelle lagrime tue sono il mio sangue,
que’ sospiri il mio spirto e quelle pene
e quel dolor, che senti,
son miei, non tuoi, tormenti.
SEGUNDO CONCIERTO
LIBRO V (1605)
(Prima parte)
Ch’i’ t’ami, e t’ami più de la mia vita,
se tu nol sai, crudele,
chiedilo a queste selve,
che tel diranno, e tel diran con esse
le fère loro e i duri sterpi e i sassi
di questi alpestri monti,
ch’i’ ho sí spesse volte
inteneriti al suon de’ miei lamenti.
(Seconda Parte)
Deh! bella e cara e sí soave un tempo
cagion del viver mio, mentre a Dio piacque,
volgi una volta, volgi
quelle stelle amorose,
come le vidi mai, cosí tranquille
e piene di pietà, prima ch’i’ moia,
ché ‘l morir mi sia dolce.
E dritto è ben che, se mi fûro un tempo
dolci segni di vita, or sien di morte
que’ begli occhi amorosi;
e quel soave sguardo,
che mi scorse ad amare,
mi scorga anco a morire;
e chi fu l’alba mia,
del mio cadente dí l’espero or sia.
(Terza parte)
Ma tu, più che mai dura,
favilla di pietà non senti ancora;
anzi t’inaspri più, quanto più prego.
Cosí senza parlar dunque m’ascolti?
A chi parlo, infelice? a un muto marmo?
S’altro non mi vuoi dir, dimmi almen: «Mori!»
e morir mi vedrai.
Questa è ben, empio Amor, miseria estrema,
che sí rigida ninfa
[e del mio fin sí vaga,
perché grazia di lei
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LIBRO VI (1614)
I.
Incenerite spoglie, avara tomba,
fatta del mio bel Sol, terreno Cielo,
ahi lasso! I’ vegno ad inchinarvi in terra.
con voi chius’è ‘l mio cor a marmi in seno,
e notte e giorno vive in foco, in pianto,
in duolo, in ira, il tormentato Glauco.
II.
Ditelo, o fiumi, e voi ch’udiste Glauco
l’aria ferir dì grida in su la tomba,
Erme campagne - e’l san le Ninfe e ‘l Cielo:
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III.
Darà la notte il sol lume alla terra,
splenderà Cintia il di, prima che Glauco
di baciar, d’honorar lasci quel seno
che fu nido d’Amor, che dura tomba
preme. Nel sol d’alti sospir, di pianto,
prodighe a lui saran le fere e ‘l Cielo!
IV.
Ma te raccoglie, O Ninfa, in grembo ‘l Cielo,
io per te miro vedova la terra
deserti i boschi e correr fium’il pianto.
E Driade e Napee del mesto Glauco
ridicono i lamenti, e su la tomba
cantano i pregi dell’amante seno.
V.
O chiome d’or, neve gentil del seno
o gigli della man, ch’invido il cielo
ne rapì, quando chiuse in cieca tomba,
chi vi nasconde? Ohimè! Povera terra,
il fior d’ogni bellezza, il Sol di Glauco
nasconde! Ah! Muse! Qui sgorgate il pianto!
VI.
Dunque, amate reliquie, un mar di pianto
non daran questi lumi al nobil seno
d’un freddo sasso? Eco! L’afflitto Glauco
fa rissonar «Corinna»: il mare e ‘l Cielo,
dicano i venti ogn’or, dica la terra:
«Ahi Corinna! Ahi Morte! Ahi tomba!»
Tirsi:
Per monti e per valli, bellissima Clori,
già corrono a balli le ninfe e’ pastori.
Già lieta e festosa ha tutto ingombrato
la schiera amorosa il seno del prato.
Clori:
Dolcissimo Tirsi, già vanno ad unirsi,
già tiene legata l’amante l’amata.
Già movon concorde il suono a le corde.
Noi soli negletti qui stiamo soletti.
Tirsi:
Su, Clori mio core, andianne a quel loco,
ch’invitano al gioco le Grazie ed Amori
Già Tirsi distende la mano e ti prende,
che teco sol vole menar le carole.
Clori:
Sì, Tirsi, mia vita, ch’a te solo unita
vò girne danzando, vò girne cantando.
Pastor, bench’è degno, non faccia disegno
di mover le piante con Clori sua Amante
Clori e Tirsi:
Già, Clori gentile, noi siam nella schiera.
Con dolce maniera seguiam il lor stile.
Balliamo ed intanto spieghiamo col canto,
con dolci bei modi del ballo le lodi.
Solisti e Coro:
Balliamo, ch’el gregge, al suon de l’avena
che i passi corregge il ballo ne mena
e ballamo e saltano snelli i capri e gli agnelli.
Balliam, che nel Cielo con lucido velo,
al suon de le sfere or lente or leggiere
con lumi e facelle su danzan le stelle.
Balliam, che d’intorno nel torbido giorno,
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TERCER CONCIERTO
LIBRO VIII
(Prima parte)
Or che’l ciel e la terra e’l vento tace,
e le fere e gli augelli il sonno affrena,
notte il carro stellato in giro mena
e nel suo letto il mar senz’onda giace;
vegghio, penso, ardo, piango; e chi mi sface
sempre m’è inanzi per mia dolce pena:
guerra è’l mio stato, d’ira et di duol piena;
et sol di lei pensando ò qualche pace.
(Seconda parte)
Così sol d’una chiara fonte viva
move’l dolce e l’amaro ond’io mi pasco;
una man sola mi risana e punge.
Et perché’l mio martir non giunga a riva,
mille volte il dí moro e mille nasco;
tanto da la salute mia son lunge.
(Prima Parte)
Coro
Non aveva Febo ancora recato al mondo il dì,
ch’una donzella fuora del proprio albergo uscì;
sul pallidetto volto scorgea se il suo dolor:
spesso gli venia sciolto un gran sospir dal cor.
Sì, calpestando fiori, errava hor qua, hor là;
i suoi perduri amor così piangendo va:
(Seconda parte)
La Ninfa
Amor (dicea) Amor
(il ciel mirando, il piè fermò)
Amor, amor, dov’è la fe’
ch’el traditor giurò?
(miserella)
Fa’ che ritorni il mio
amor com’ei pur fu,
tu m’ancidi ch’io
non mi tormenti più;
(Miserella ah più, no,
tanto gel soffrir non può)
Non vo’ ch’ei più sospiri
se non lontan da me.
No no, che i suoi martiri
più non dirammi, affé!
(Ah miserella. Ah più no, no)
Perché di lui mi struggo?
Tutt’orgoglioso sta;
che sì, che sì, s’il fuggo
ancor mi pregherà.
(Miserella, ah, più non
tanto gel soffrir non può)
Se ciglio ha più sereno
colei che il mio non è,
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(Terza parte)
Sì, tra sdegnosi pianti,
spargea le voci al ciel:
così ne’ cori amanti
mesce Amor fiamma e gel.
(Prima parte)
Altri canti di Marte, e di sua schiera
gli arditi assalti, e l’honorate imprese,
le sanguigne vittorie, e le contese,
i trionfi di morte horrida, e fera.
Io canto, Amor, da questa tua guerriera
quant’hebbi a sostener mortali offese,
com’un guardo mi vinse, un crin mi prese:
historia miserabile, ma vera.
(Seconda Parte)
Due begli occhi fur l’armi, onde traffitta
giacque, e di sangue invece amaro pianto
sparse lunga stagion l’anima afflitta.
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Il Ballo
Movete al mio bel suon (a 5 voci con due violini)
Movete al mio bel suon le piante snelle
sparso di rose il crin leggiadro e biondo;
e, lasciato dall’Istro il ricco fondo,
vengan l’umide Ninfe al ballo anch’elle.
Fuggan in si bel di nembi e procelle
d’aure odorate al mormorar giocondo;
fatt’Eco al mio cantar, rimbombi il mondo
l’opre di Ferdinando eccelse e belle.
Ei l’armi cinse, e su destrier alato
corse le piaggie, ei su la terra dura
la testa riposò sul braccio armato;
là torri eccelse e là superbe mura
al vento sparse, e fe’ vermiglio il prato,
lasciando ogn’altra gloria al mondo oscura.
47
PARTICIPANTES
Oscar Gershensohn
INTRODUCCIÓN GENERAL Y
NOTAS AL PROGRAMA
Daniel Vega
Además de otros estudios superiores, realiza los también
superiores de Composición, Piano, Musicología, Dirección de
Orquesta y Pedagogía Musical en el Real Conservatorio de
Madrid, formación que completa con diversos cursos en España
y en el extranjero. La concesión de una beca del gobierno aus-
tríaco y la de investigación de la Fundación March marcan el
punto de arranque de una labor investigadora que se proyec-
ta en artículos, cursos, conferencias, y la realización de una se-
rie de programas para Radio Clásica de RNE que durante 6 años
se centró en la obra vocal íntegra de Bach, y posteriormente
las de Emanuel Bach, Mozart y Haydn.
Fue Secretario de la Sociedad Española de Musicología, y
en la actualidad lo es de la Asociación Española de Centros
Superiores de Enseñanzas Artísticas y miembro de la Comisión
Permanente de la Europea de Conservatorios. Desde 1972 es
Catedrático de Contrapunto y Fuga y desde 1988 Vicedirector
del Real Conservatorio Superior de Música de Madrid.
Creada en 1955 por el financiero
español Juan Marh Ordinas, la
Fundación Juan March es una
institución familiar, patrimonial
y operativa, que desarrolla sus
actividades en el campo de la cultura
humanística y científica. Organiza
exposiciones de arte, conciertos
musicales y ciclos de conferencias y
seminarios. En su sede en Madrid, tiene
abierta una biblioteca de música y
teatro. Es titular del Museo de Arte
Abstracto Español, de Cuenca,
y del Museu d´Art Espanyol
Contemporani, de Palma de Mallorca.
En el ámbito de la sociología y la
biología, a través de sendos Centros,
promueve la docencia y la
investigación especializada y la
cooperación entre científicos españoles
y extranjeros.
Depósito Legal: M. 1.701-2003
Imprime: Gráficas Jomagar. MOSTOLES (Madrid)
Fundación Juan March
Salón de actos
Castelló, 77 28006 Madrid
Entrada libre
http://www.march.es
E-mail: Webmast@mail.march.es.