La festa di oggi ha per oggetto la glorificazione di tutti i Santi che sono in cielo: Angeli, Martiri, Confessori, Vergini. La sua origine viene dalla commemorazione di tutti i martiri che fin dal secolo quarto si faceva in alcune chiese particolari.
Bonifacio IV nel secolo sui chiese ed ottenne dall'imperatore Foca il Pantheon che Marco Agrippa aveva dedicato a Giove Vendicatore e lo consacrò dedicandolo a Maria SS. Regina di tutti i Martiri. Il tempio venne chiamato S. Maria ad Martires e nella Chiesa di Roma fu stabilita la festa della dedicazione per il giorno 13 maggio.
Terminata l'epoca della persecuzione, si senti il bisogno di presentare all'imitazione dei fedeli anche le anime che si erano santificate nelle condizioni di tempo e di luogo comuni a tutti. Con questo nuovo indirizzo, la festa di tutti i Martiri venne trasportata dal 13 maggio al I novembre, e dedicata a tutti i Santi del paradiso.
Per quanto sia grande il numero dei Santi di cui la Chiesa celebra la festa nel corso dell'anno, è certo molto più grande il numero di coloro dei quali non conosce il nome, le virtù, i meriti. Quante anime sante di tutte le età, di tutte le condizioni sociali, presso tutti i popoli! Santi nella gerarchia ecclesiastica, nei deserti, nei monasteri, tra i professionisti, tra gli operai, tra le donne di casa, tra i poveri, tra gli ammalati! Quanti servi fedeli di Dio nascosti nell'oscurità di una vita umile e sconosciuta! Quante anime grandi pur tra le occupazioni più basse e più comuni! Santi che Dio ha pienamente ricompensati! Era quindi giusto che la Chiesa li celebrasse ed onorasse, e ciò fece con l'istituzione della presente solennità.
In tal modo, tra quella immensa folla di cui parla l'evangelista S. Giovanni, « che nessuno può contare, di tutte le genti,_ tribù e popoli e lingue che stanno davanti al trono e davanti all'Agnello, rivestiti di bianche vesti, con le palme nelle mani » noi veneriamo quei virtuosi che nell'oscurità della loro condizione e tra privazioni di ogni sorta condussero una vita innocente e santa; quelli che non si sono lasciati abbagliare dalle cose del mondo, ma le hanno stimate nella loro realtà; rendiamo omaggio a quelle persone che pur tra gli splendori e gli onori mondani si sono conservate umili e pure; veneriamo quelli che si son fatti santi seguendo con purità di cuore le massime del Vangelo; onoriamo i nostri fratelli, che nella stessa casa, con le stesse regole di vita, con le medesime passioni, con le stesse tentazioni ed ostacoli, hanno raggiunto il cielo ed ora godono perfetta felicità. Certo, questa folla immensa che noi oggi festeggiamo, questa turba innumerevole di eroi che hanno raggiunto la mèta, pur passando attraverso le difficoltà della vita presente, devono essere per noi di grande consolazione e di incitamento ad imitarli.
PRATICA.
Solleviamo spesso, in questa giornata, il nostro pensiero al Paradiso, nostra futura è vera patria. PREGHIERA.
O Dio eterno ed onnipotente, che ci permetti di venerare i meriti di tutti i tuoi Santi in una unica solennità, ti preghiamo che, moltiplicati gli intercessori, ci conceda la desiderata abbondanza della tua propiziazione. MARTIROLOGIO ROMANO.
Solennità di tutti i Santi uniti con Cristo nella gloria: oggi, in un unico giubilo di festa la Chiesa ancora pellegrina sulla terra venera la memoria di coloro della cui compagnia esulta il cielo, per essere incitata dal loro esempio, allietata dalla loro protezione e coronata dalla loro vittoria davanti alla maestà divina nei secoli eterni.
I santi sono persone simili a noi
Pur seguendo con fedeltà l'ispirazione della grazia divina, tuttavia i santi non cessano di essere persone simili a noi, e di solito le loro azioni e le loro parole portano in sé le impronte caratteristiche del loro ambiente, del loro paese, della loro patria.
Ad esempio, s. Caterina da Siena - la quale sentiva scorrere nelle vene il “sangue senese” che, secondo un'espressione di s. Bernardino, è un “sangue dolce” - talvolta copriva i bambini di baci; una volta, allorché fu chiamata presso un condannato a morte per consolarlo e convincerlo a confessarsi, per tutta la notte tenne la testa di lui stretta al petto, come una madre fa con il proprio figlio.
In s. Teresa, invece, si fa strada lo spirito cavalleresco. Nata ad Avila, “città di cavalieri” era profondamente compenetrata dello spirito della propria città e della propria nazione; per questo appunto noi troviamo spesso nei suoi scritti le espressioni: “Dio delle battaglie”, “lo stendardo di Dio”, “servire Dio con coraggio virile”.
Lo stesso atteggiamento è possibile ravvisare nel connazionale di s. Teresa, s. Ignazio di Loyola, che era stato un soldato.
Molti santi furono amanti della musica.
S. Francesco talvolta, quando si sentiva ispirato, prendeva due pezzi di legno in mano e li sfregava l'uno sull'altro, come se suonasse un violino.
Nei giorni di festa s. Teresa suonava un piccolo flauto e percuoteva un tamburello, mentre s.
Ignazio di Loyola si lasciava talmente trascinare dalla musica che non sentiva più alcun dolore.
Di solito i santi si comportavano in modo del tutto naturale; tuttavia, per amore di una virtù più elevata, ma soprattutto per sfuggire le lodi e l'approvazione degli uomini, sotto l'influsso della grazia decidevano di compiere delle azioni che, secondo il parere dei circostanti, erano irragionevoli e umilianti.
Autentico maestro in questo campo fu s. Filippo Neri. Ad esempio, un giorno alcuni delegati polacchi che si erano recati in visita dal Papa, essendo venuti a sapere che a Roma c'era un “santo”, vollero vederlo: informato della cosa, s. Filippo si fece preparare uno sgabello con dei libri e, circondato da alcuni fanciulli, incaricò uno di essi di leggere un volume di contenuto umoristico ed egli si mise ad ascoltarlo con grande serietà. I delegati entrarono con molta riverenza, tuttavia il santo non permise al ragazzo di interrompere la lettura, ma pregò gli ospiti di attendere. Dato, però, che egli faceva leggere un capitolo dopo l'altro e non era possibile aspettare fino alla conclusione della lettura, indignati e scandalizzati, i delegati si allontanarono, mentre il santo ringraziava Dio per aver evitato la lode degli uomini.
Vediamo, dunque, che i santi procedevano per strade diverse, che avevano un comportamento differente nei confronti dei doni di natura. Una cosa avevano tutti in comune ed era il fatto di subordinare sempre tali doni alla grazia, quella grazia che tante volte li aveva sollevati da una prolungata svogliatezza o perfino dalla schiavitù del peccato. Tutti, perciò, hanno vissuto una vita superiore e soprannaturale, indipendentemente dal fatto che la grazia avesse loro imposto di camminare su una strada conforme o contraria alla natura: il loro unico scopo era Dio e il suo santo amore, mentre tutto il resto - fatti naturali o soprannaturali, piacevoli o meno - erano dei mezzi che conducevano allo scopo. In tal modo nulla si trasformava in loro danno, ma anzi da ogni cosa essi traevano vantaggi infiniti, poiché erano vantaggi spirituali: infatti “tutto concorre al bene di coloro che amano Dio, di coloro che sono stati chiamati santi secondo il suo disegno” [Rom 8, 28].
San Massimiliano Maria Kolbe