I colori
della
erenissima
S
Pittura veneta
del Settecento in Trentino
I colori
della
erenissima
S
Pittura veneta
del Settecento in Trentino
a cura di
Andrea Tomezzoli, Denis Ton
Castello del Buonconsiglio.
Monumenti e collezioni provinciali
2022
Scripta edizioni
MOSTRA
Maurizio Fugatti
Presidente Provincia autonoma
di Trento
Mirko Bisesti
Assessore all’Istruzione, Università
e Cultura
Roberto Ceccato
Dirigente generale Dipartimento
Istruzione e Cultura
Franco Marzatico
Dirigente generale dell’Unità
di missione strategica per la tutela
e la promozione dei beni
e delle attività culturali
Alessandra Schiavuzzi
Dirigente Servizio attività
e produzione culturale
Laura Dal Prà
Direttore
Museo Castello del Buonconsiglio.
Monumenti e collezioni provinciali
Comitato scientifico del Museo
Claudio Antonio Marco Salsi,
presidente
Peter Assmann
Andrea Bacchi
Laura Dal Prà
Annaluisa Pedrotti
Giovanni Carlo Federico Villa
Tiziana Gatti, segretaria
Revisori dei conti
Denise Pederiva, presidente
Mauro Angeli
Sabrina Nicolodi
Ufficio amministrativo
Paolo Mattivi, direttore
Sandra Carbone, Katia Fratton,
Elena Marmo, Elena Pegoretti,
Stefano Penasa, Doranna
Plotegher, Gabriella Silvestri,
Alessio Sommadossi, Stefano Speri
Supporto: Daniela Nieddu
Ufficio tecnico
Adriano Conci, direttore
Dario Andreis, Nicola Campara,
Alessandro Coppola, Franco
Franzoi, Andrea Gomarasca,
Marcella Mattivi, Ermanno
Moreschini, Matteo Morin,
Tiziano Pedrolli, Roberto Rizzi,
Nellj Sighel, Sonja Sottopietra,
Supporto: Sandro Diener,
Danilo Lisimberti, Claudio Tortora,
Sabrina Ubaldi
Servizi educativi
Francesca Jurman, coordinamento
Giorgia Sossass, Anna Paola Mosca
Supporto: Loredana Facchinelli
© 2022
Castello del Buonconsiglio.
Monumenti e collezioni
provinciali, Trento
Segreteria del museo
Anna Lisa Colanese, Enrico
Ducati, Mariagrazia Ferretti
Supporto: Ivana Bianchini
Edizione e distribuzione
Scripta edizioni, Trento
idea@scriptanet.net
ISBN 979-12-80581-19-8
Biblioteca
Alessandra Facchinelli, coordinamento
Attilio Fronza
Supporto: Sonia Cagol
Tutti i diritti sono riservati.
Nessuna parte di questa
pubblicazione può essere riprodotta
o trasmessa in qualsiasi forma
o con qualsiasi mezzo elettronico,
meccanico, digitale, se non nei
termini previsti dalla legge
che tutela il Diritto d’Autore
Settore storico-artistico
Elisa Colla, Maddalena Ferrari,
Tiziana Gatti, Mirco Longhi,
Elisa Nicolini, Roberto Pancheri,
Claudio Strocchi, Denis Ton
Settore archeologico
Annamaria Azzolini,
Morena Dallemule
Settore mostre
Franca Graziadei
Referente informatico e videomaker
Alessandro Ferrini
Archivio fotografico
e gestione collezioni
Roberta Zuech, coordinamento
Sara Caliari, Giovanni Pivato,
Chiara Zanotti
Promozione e rapporti con la stampa
Alessandro Casagrande,
Federica Rambelli, Michele Prencipe
Operatori di custodia del museo
Castello del Buonconsiglio
Carla Baldessari, Fiorenzo
Battistotti, Salvatore Bosco,
Cinzia Cadrobbi, Alessandro
Calovi, Rita Dorigatti, Antonino
Formica, Elena Franceschini,
Ivano Lucchi, Raffaella Minati,
Fausto Rossi, Arturo Svaldi
e il personale di supporto
alla custodia sale
Cooperativa Activa, Trento
I colori
della
erenissima
S
Pittura veneta
del Settecento in Trentino
Trento, Castello del Buonconsiglio
2 luglio - 23 ottobre 2022
Mostra e catalogo a cura di
Andrea Tomezzoli, Denis Ton
Comitato scientifico della mostra
Laura Dal Prà, presidente
Marco Bellabarba
Andrea Bonoldi
Domizio Cattoi
Alberto Craievich
Stefano Ferrari
Luciana Giacomelli
Michelangelo Lupo
Andrea Tomezzoli
Denis Ton
Testi di
Marco Bellabarba
Chiara Bombardini
Andrea Bonoldi
Serena Bugna
Paolo Delorenzi
Luca Fabbri
Maddalena Ferrari
Salvatore Ferrari
Stefano Ferrari
Tiziana Gatti
Alessandra Geromel Pauletti
Chiara Lo Giudice
Enrico Lucchese
Michelangelo Lupo
Vincenzo Mancini
Elvio Mich
Alessandro Morandotti
Roberto Pancheri
Emanuele Principi
Sara Retrosi
Giuseppe Sava
Francesca Stopper
Andrea Tomezzoli
Denis Ton
Ricerche d’archivio
Sara Retrosi, con la collaborazione
di Emanuele Principi
Segreteria organizzativa della mostra
Franca Graziadei, con la
collaborazione di Mirco Longhi,
con il supporto di Anna Lisa
Colanese, Ivana Bianchini
Cura redazionale del catalogo
Marco Mattedi, con la
collaborazione di Tiziana Gatti
Ricerche fotografiche
Chiara Zanotti, con la collaborazione
di Roberto Pancheri
Progetto espositivo
Emilio Alberti, Piero Beggiato,
Mauro Zocchetta
Grafica
Egidio Gariano
Organizzazione tecnica
dell’allestimento
Adriano Conci, con la collaborazione
di Sonja Sottopietra
e Danilo Lisimberti
Multimedia
Alessandro Ferrini
Allestimento
ARTEAM srl, Trento
Allestimento illuminotecnico
Tiziano Pedrolli, Matteo Morin
Coordinamento e attività
per la gestione delle opere
Franca Graziadei, Roberta Zuech,
Nicola Campara, Giovanni Pivato
Pannelli e didascalie in mostra
Francesca Jurman, con la
collaborazione di Emanuele Principi
Traduzioni
Scriptum srl, Roma
Promozione e rapporti con la stampa
Alessandro Casagrande, Federica
Rambelli e Michele Prencipe
Studio ESSECI
di Sergio Campagnolo
Trasporti e movimentazione opere
Apice Venezia Srl; Hungart
Logistik KFt; Dietle International;
Hizkia Van Kralingen
Assicurazioni
XL Insurance; Khun and Bullow
Berlino, Fine Art Advice SA;
AGE Assicurazioni
Condition report
OCRA restauri snc
Serigrafie
Win Sport srl, Ravina
Pitture
Bauflex srl, Trento
Materiale illuminotecnico
Erco srl, Milano
Luce e Design, Trento
Con il sostegno di
ENTI PRESTATORI
PRESTATORI PRIVATI
LOMBARDIA
Milano, Castello Sforzesco
Collezione Dr. Willem Dreesmann
TOSCANA
Firenze, Direzione Regionale
Musei della Toscana – Pinacoteca
Nazionale di Siena
Firenze, Gallerie degli Uffizi
TRENTINO ALTO-ADIGE
Bolzano / Bozen, Camera di
Commercio di Bolzano, Museo
Mercantile / Handelskammer,
Merkantilmuseum
Borgo Valsugana, Parrocchia della
Natività di Maria
Chiusa / Klausen, Museo Civico /
Stadtmuseum
Condino, Parrocchia di Santa
Maria Assunta
Daone, Parrocchia di San
Bartolomeo
Locca - Ledro, Parrocchia della
Presentazione di Maria
Madruzzo, Parrocchia di San Pietro
Roncegno, Parrocchia dei Santi
Pietro e Paolo
Rovereto, Casa natale Rosmini
Sacco di Rovereto, Parrocchia di
San Giovanni Battista
Storo, Parrocchia di San Floriano
Tiarno di Sopra, Parrocchia dei
Santi Pietro e Paolo
Tione, Parrocchia di Santa Maria
Assunta e San Giovanni Battista
Trento, Fondazione Biblioteca
San Bernardino
Trento, Museo Diocesano
Tridentino
Trento, Biblioteca Comunale
Torbole, Parrocchia di Sant’Andrea
Vigo di Ton, Parrocchia di Santa
Maria Assunta
VENETO
Venezia, Fondazione Musei Civici
di Venezia
Verona, Direzione Musei Civici,
Museo di Castelvecchio
UNGHERIA
Budapest, Szépművészeti Múzeum
USA
Toledo, Museum of Art
New York, The Morgan Library
& Museum
TRENTINO ALTO-ADIGE
Trento, Famiglia Lunelli - Ferrari
Trento
VENETO
Venezia, collezione Roberto Ferruzzi
SVIZZERA
Ginevra, collezione Jean Bonna
Si esprime inoltre gratitudine
verso i collezionisti privati che
hanno generosamente prestato
opere di loro proprietà ma hanno
preferito restare anonimi.
RINGRAZIAMENTI
La realizzazione della mostra
è debitrice della generosa
collaborazione e disponibilità di
soprintendenti, direttori di musei,
funzionari, uffici d’arte sacra,
parroci e collezionisti.
Si ringrazia per la collaborazione
Soprintendenza per i beni culturali
di Trento
Franco Marzatico, dirigente
Luca Gabrielli, direttore
Ufficio per i Beni storico-artistici
e Katia Malatesta
Stefania Franzoi, sostituto
del direttore
Ufficio per i Beni librari-archivistici
In occasione della mostra
interventi di restauro e di
manutenzione straordinaria
sono stati condotti per conto del
museo Castello del Buonconsiglio.
Monumenti e collezioni provinciali
da Antonella Conte, Luigi Parma,
OCRA restauri, Enrica Vinante
Un particolare ringraziamento a:
Katia Adamoli, Emanuela Carpani,
Michl Ebner, Luca Gabrielli,
John Marciari, Giorgio Marini,
Andrea Piai, Antonella Ranaldi,
Sandra Romito, Manja Rottink,
Massimo Scala, Paola Strada,
Nathalie Strasser, Devis Valenti
E inoltre a:
Matteo Agnolin, Giovanni Agosti,
Beatrice Agostini, Giovanni Alliata
di Montereale, Michele Andreaus,
Claudio Andreolli, don Daniele
Armani, Naoko Asano, Paola
Attanasio, Luca Massimo Barbero,
Maurizio Bassetti, Franca Belli,
Gloria Bertoneri, Sabrina Bonato,
Sebastian Cambi, Alessandra
Campestrini, Elisabetta Carnielli,
Davide Caroli, Stefano Casciu,
Alessandra Cattoi, Domizio
Cattoi, Enrico Cereghini,
Maichol Clemente, Alessandro
Cont, Antonella Conte, Alberto
Craievich, Daniele D’Anza, Enrico
Maria Dal Pozzolo, Giacomo
Dellasega, Zsuzsanna Dobos, Anna
Eccher, Nadia Emanuelli, Luca
Fabbri, Chiara Facchin, Danisa
Fantoni, don Andrea Fava, don
Paolo Ferrari, Italo Franceschini,
Graziano Gallo, Armando
Gasperetti, Cristina Gasperotti,
Christoph Gasser, Michela
Gastaldello, don Roberto Ghetta,
Luciana Giacomelli, Rossella
Granziero, Simone Guerriero,
Mauro Hausbergher, Axel Hémery,
Mattia Jona, Mari Kawakami,
Stefan Kékkö, Nikoletta Koruhely,
Stefano Lavarini, Chiara Lo
Giudice, Marco Lombardi, Fabrizio
Lorenz, Enrico Lucchese, Osvaldo
Maffei, Katia Malatesta, Giorgio
Marini, Emmanuel Marty de
Cambiaire, Franco Marzatico, don
Luigi Mezzi, don Jgor Michelini,
don Christian Moltrer, don Bruno
Morandini, don Ferdinando
Murari, Nicoletta Negri, Lawrence
W. Nichols, Michele Nicolaci,
Massimo Ongaro, Roberto Paoli,
Giuseppe Pavanello, Daniela Pera,
Ferdinando Peretti †, Roberto
Perini, Martina Piacente, Filippo
Piazza, Paola Pizzamano, Katia
Pizzini, Ludivine Pladepousaux,
Lorenzo Pontalti, Mark Ramirez,
don Nicola Riccadonna, Enzo
Righetti, Luca Rigotti, Silvano
Romairone, Francesca Rossi, Xavier
F. Salomon, Roberto Santoro,
Giuseppe Sava, Maria Antonietta
Spadaro, Helmut Stampfer, Marco
Stenico, Jacopo Stoppa, Paola
Strada, Lara Toffoli, Armando
Tomasi, Barbara Tomasoni, Chiara
Tomasoni, Radoslav Tomić,
Debora Tosato, Renzo Tosi, Ilaria
Turetta, Ilaria Turri, Claudio
Vicenzi, Alice Zorzi, Gianni Zotta
Con il patrocinio di
Sommario
13
Patrizi veneziani e nobili imperiali:
Giovanelli e Zenobio in Tirolo (XVII e XVIII secolo)
Marco Bellabarba
25
Trento fra la Serenissima e l’Impero.
Crocevia della pittura veneziana nel Sei e Settecento
Denis Ton
55
Al di là dei confini, a nord di Verona.
Dipinti e pittori veronesi nel Trentino del Settecento
Andrea Tomezzoli
85
“Prese quindi consiglio di portarsi a Venezia”.
Appunti sulla prassi formativa dei pittori trentini
nel corso del XVIII secolo
Roberto Pancheri
109
Francesco Fontebasso all’Annunziata:
un pittore veneziano per una confraternita di mercanti
Giuseppe Sava
127
La committenza del principe vescovo
Francesco Felice Alberti d’Enno
Michelangelo Lupo
147
Mercatura e committenza:
artisti veneti e fiere di Bolzano tra Sei e Settecento
Andrea Bonoldi
155
L’Accademia degli Agiati e i rapporti culturali
tra la Repubblica di Venezia e il Trentino
Stefano Ferrari
Catalogo
165
195
204
221
241
259
271
I. Antefatti seicenteschi
II. Un ciclo di tele per collezionisti colti
III. Pittura devozionale per il territorio
IV. I cicli pittorici degli anni trenta
V. 1759 Fontebasso per il Castello del Buonconsiglio
VI. L’alternativa veronese: Giambettino Cignaroli
VII. Antonio e Francesco Guardi
303
Bibliografia
a cura di Marco Mattedi
333
Crediti fotografici
Patrizi veneziani e nobili imperiali:
Giovanelli e Zenobio in Tirolo (XVII e XVIII secolo)
Marco Bellabarba
Nel primo Cinquecento i cronisti veneziani parlavano di “Germania”, “Impero” o del “paexe de
Alemania” con sfumature diverse1. Il termine Impero poteva indicare i territori della dinastia degli Asburgo, la fascia di dominî ereditari che dalla contea tirolese si allungava verso Oriente fino
all’arciducato della bassa Austria e piegava all’insù
in direzione dei regni di Boemia e Ungheria. Ma
in senso economico e commerciale, l’“Alemania”
coincideva con un’ampia costellazione di città
oltre le Alpi – Ratisbona, Colonia, Augusta, Norimberga, Francoforte – che dal XIII secolo occupavano il primo posto nelle relazioni d’affari veneziane: spezie in cambio di cotone e lana, manufatti
di lusso o vino in cambio di argento, definivano
un circuito di flussi commerciali che per Venezia
non erano meno vitali di quelli intrattenuti con
il Levante ottomano. I due spazi erano rimasti di
fatto svincolati l’uno dall’altro nel corso del medioevo, poi le guerre con la contea del Tirolo nel
1487 e l’elezione di Massimiliano I a imperatore,
nel 1495, spostando gli interessi asburgici verso la
penisola, avevano causato una brusca interferenza
fra logiche politiche e commerciali.
Nella prima metà del Cinquecento, gradualmente
l’asse dei conflitti europei creò una diversa geografia di ostilità. I contrasti tra i Valois francesi e Carlo
V d’Asburgo, re di Spagna nonché imperatore tedesco, accompagnarono le ‘guerre d’Italia’ fino alla
loro conclusione con la pace di Cateau Cambresis
(1559), sancendo di fatto l’egemonia spagnola sulla
penisola. Dopo la morte di Carlo V, tuttavia, la separazione definitiva dei dominî asburgici nel ramo
tedesco dell’imperatore Ferdinando I e in quello
spagnolo di Filippo II aprì scenari di confronto
politico-militare che lambirono solo di striscio i
territori italiani. Mentre la Spagna di Filippo II impegnava le ricchezze americane nello sforzo di fronteggiare la rivolta delle province olandesi e la sfida
atlantica dell’Inghilterra di Elisabetta I, Ferdinando
I doveva misurarsi in Germania con la partita sanguinosa delle guerre di religione e con le continue
incursioni dell’impero ottomano, che dalla pianura
ungherese minacciavano le province austriache e
boeme più orientali; raggiunta una pace provvisoria a Edirne con Solimano il Magnifico (1547) e
qualche anno dopo, ad Augusta (1555), con la lega
dei principi protestanti, l’“Alemania” cattolica di
Ferdinando occupava adesso una parte molto più
piccola e fragile del vecchio impero carolino.
In queste veloci risistemazioni della politica europea la Serenissima non entrò più da protagonista.
Riuscì faticosamente a ritornare in possesso delle
città venete e lombarde perse dopo le sconfitte del
1509, ma il confronto con la consistenza numerica degli eserciti di terra reclutati dalle monarchie
vicine la costringevano a una posizione periferica.
A un’innegabile marginalità militare non corrispose il declino nei commerci o nei settori produttivi;
l’isolamento subìto nelle fasi più acute delle guerre
fu superato dalla ripresa degli scambi nelle due direzioni solite, da Oriente tramite le importazioni
di cereali, olio e spezie dalle regioni ottomane, e
verso Settentrione con il riattivarsi in entrambi i
sensi degli scambi di tessuti (lana e seta) e manufatti ferrosi. Le “infinite sorte de marchadantie et robe
de ogni condictione”2 ripresero a transitare lungo le
vie di terra che attraversano le Alpi, “un passaggio
obbligato dei flussi di merci tra area mediterranea
ed Europa centro-occidentale, flussi che nel contesto dell’economia preindustriale erano piuttosto
rilevanti, sia in termini di quantità che di valore”3.
I conflitti di primo Cinquecento lasciarono tuttavia un’eredità di diffidenze tra Impero e Repubblica che anche la pace riacquistata non spazzò via del
tutto. Benché non scoppiassero più scontri militari
in campo aperto, se eccettuiamo la breve, e deludente per Venezia, guerra di Gradisca dal 1615 al
1617, il rifiuto della Germania protestante all’obbedienza verso gli imperatori costrinse gli Asburgo
a concentrare i propri interessi attorno a quel nucleo di territori – come abbiamo visto le province
austriache, il regno di Boemia e Moravia, l’Ungheria non occupata dagli ottomani – dove esercitavano un potere di natura dinastica. Prendere concretamente in mano il governo di queste aree fu
1. Castel Telvana
a Borgo Valsugana
13
Marco Bellabarba
un’opzione assunta già all’indomani della fine delle
guerre in Italia. Durante le trattative imbastite con
la Repubblica dopo la rotta di Agnadello, furono
gli imperiali a imporre che la restituzione dello
“Stado da terra” non comprendesse i territori del
Trentino meridionale strappati al principe vescovo
di Trento e ai suoi feudatari nei primi decenni del
XV secolo. Le due podesterie create dai veneziani attorno ai borghi di Rovereto e Riva del Garda
vennero soppresse ma ritornarono solo in parte al
loro signore legittimo: gli Asburgo trattennero per
loro Rovereto e la pretura circostante, trasformandola in un’enclave difensiva situata in mezzo alle
terre vescovili come luogo di controllo della strada
da e per il Brennero. Un’identica strategia orientò
le decisioni riguardanti le giurisdizioni poste sulla
via di comunicazione che da Trento costeggiando il fiume Brenta sboccava nella pianura veneta
a Bassano del Grappa; e qui le soluzioni furono
ancora più sbrigative, dato che il tratto inferiore
della Valsugana, annesso storicamente alla diocesi
di Feltre, era già da un secolo in mano tirolese.
In questo modo l’intero corridoio della frontie2. Palazzo Donà
Giovanelli a Venezia
14
ra meridionale trentina apparteneva o a famiglie
feudali della contea o, nel caso di Rovereto, a suoi
ufficiali stipendiati. Le linee di confine dell’impero
germanico non cambiavano il loro disegno tradizionale, ma in certi snodi commerciali e politici
più sensibili singoli frammenti del potere tirolese
sostituivano la sovranità vescovile. Un paio di congressi diplomatici cinque-seicenteschi organizzati
tra emissari veneziani e trentini sistemarono l’esistenza delle interfacce signorili poste ai confini veneziani, che nel lessico cancelleresco degli uffici di
Innsbruck vennero raggruppate sotto la denominazione collettiva di Welsche Konfinen. Rispondevano
ai ‘confini italiani’ tutte le giurisdizioni immediate
tirolesi comprese all’interno del Principato vescovile di Trento: le contee di Arco e Lodron, i feudi di
Castellalto, Ivano Telvana nella bassa Valsugana, la
signoria del Primiero, Castelfondo e Spaur in val di
Non, Folgaria, Gresta, Nomi, Penede, Castelpietra
nel Trentino meridionale e da ultimo la città e pretura di Rovereto. I momenti in cui questi feudi avevano abbandonato la fedeltà al vescovo per passare
a quella tirolese si erano sgranati in tempi diversi;
Patrizi veneziani e nobili imperiali: Giovanelli e Zenobio in Tirolo (XVII e XVIII secolo)
anche la storia familiare e politica dei Welsche Konfinen, per altro, dava a vedere sensibili divergenze.
I possedimenti concessi a lignaggi influenti come i
Thun nelle valli di Non e Sole, gli Arco e i Lodron
nel Trentino occidentale, i Welsperg in Primiero,
tutte famiglie con solidi agganci presso la corte imperiale o tirolese, non vennero mai rimossi dai loro
patrimoni; tolta qualche divisione tra le linee della
stessa discendenza, i cognomi delle famiglie investite di quei feudi restarono gli stessi fino all’invasione delle armate napoleoniche tra 1796 e 1797.
Di fronte alla stabilità secolare di questi grossi
corpi feudali, ci furono invece altre giurisdizioni
esposte a un ricambio frenetico di titolari.
Il feudo di Castelpietra, di piccole dimensioni ma
strategico per il controllo delle strade di “Alemania”
a nord di Rovereto, passa in un secolo e mezzo dai
Wolkenstein, ai Girardi, ai Fedrigazzi, ai Barbi, e infine, nel 1662 al conte Giovanni Andrea Giovanelli4; a una trentina di chilometri più a nord, all’estremo opposto del confine episcopale con la contea del
Tirolo, nel feudo di Königsberg/Montereale, a partire dal 1581 si succedono le famiglie Römer, Busio-Castelletti, Someda (che per qualche tempo la
sublocarono ai Ceschi di Santa Croce), Thun e dal
1647 gli Zenobio5. Nella bassa Valsugana la signoria
di Castellalto, appena estinta la famiglia eponima,
transita ai Trautsmandorff, viene recuperata dalla
Kammer di Innsbruck nel 1635, venduta agli Zambelli di Bassano, ceduta per qualche anno a Francesco Bartoli, un trentino risiedente a Venezia, e da
ultimo stabilmente alla famiglia Buffa, originaria di
Borgo Valsugana, imparentata con gli Zambelli ma
forte soprattutto di un lungo rapporto di servizio
con gli Asburgo. Una pressoché analoga successione di giusdicenti tocca alla vicina signoria di Castel
Telvana che, amministrata dai conti Welsperg (i signori del Primiero) per un periodo lunghissimo, dal
1462 al 1653, viene ceduta dall’arciduca a Michele
Fedrigazzi per sei anni, nel 1659 trasmessa a Giacomo e Marino Natali, patrizi veneziani originari
di Ragusa, riscattata dall’arciduca per essere data in
pegno il 30 settembre 1662 ai baroni Giovanni Andrea e Carlo Vincenzo Giovanelli6 (figg. 1-2).
All’origine di questa continua alternanza familiare
c’era, prima di tutto, un motivo legato alla loro
ubicazione geografica. L’intento di controllare le
aree di strada del Brennero e della Valsugana corrispondeva a un piano ideato già nel tardo medioevo
dai conti del Tirolo, e riproposto con determinazione dai loro successori asburgici; per ottenere
questo obiettivo si erano disseminati insediamenti
signorili o fortificazioni militari ponendoli lontano dai confini della contea, senza preoccuparsi che
per raggiungerli si dovesse passare in mezzo a terre
di un altro signore. Se il principato ecclesiastico
costituiva, non da adesso, la porta d’ingresso ai
territori asburgici, i suoi accessi andavano presidiati in qualche modo. La complessa strategia fatta
di nuove investiture, vendite temporanee, cessioni pignoratizie, funzionò su intervalli abbastanza
lunghi fino ai primi decenni del Seicento; dopo di
che, il tasso di ricambio nei feudi accelerò.
Già in condizioni precarie a fine Cinquecento, allo
scoppio della guerra dei Trent’anni le finanze della
contea dovettero far fronte a richieste di donativi crescenti da parte della tesoreria imperiale. Nel
1646 il debito accumulato dalla Camera aulica di
Innsbruck sfiorava i 4.500.000 fiorini, somma che
comportava un esborso per soli interessi pericolosamente vicino al gettito ordinario. “Dotato di
un sistema fiscale poco elastico e che aveva visto
nel tempo ridursi fonti di gettito importanti come quelle legate all’attività mineraria”7, il Tirolo si
trovò sull’orlo del collasso finanziario. La pressione
delle spese causate dalla guerra (nel 1647 i francosvedesi minacciavano di invadere la contea), sommata all’inadeguatezza del prelievo fiscale, costrinse
gli arciduchi a fare cassa con tutto quanto era pos-
3. Palazzo Zenobio
a Egna/Neumarkt
Marco Bellabarba
4. Iscrizione affrescata
sulla facciata di palazzo
Zenobio a Egna/
Neumarkt a ricordo
dell’acquisto dell’edificio
da parte di Carlo Zenobio
nell’anno 1729
16
sibile vendere sul mercato. L’escamotage di cedere al
miglior offerente le giurisdizioni demaniali fu una
delle soluzioni approntate nella fretta di recuperare
gettiti finanziari. A Innsbruck si aveva familiarità
con la cessione dei feudi, pratica a cui gli uffici
camerali erano ricorsi parecchie volte in passato;
molti dei lignaggi feudali insediati nella cintura dei
castelli di frontiera trentini provenivano dalle valli
interne del Tirolo o da province ancora più lontane (gli stiriani conti Trapp a Beseno e Caldonazzo)
e dovevano quelle investiture a una lunga fedeltà
verso la dinastia asburgica: erano tendenzialmente
famiglie ricche, ma il loro prestigio aveva un’origine politica, non patrimoniale; potevano essere nate
al di fuori della contea, ma arrivavano da territori
comunque posti all’interno dell’Impero.
Fedeltà e origini asburgiche come requisiti alle infeudazioni divennero meno vincolanti nel primo
Seicento. La novità apportata dalla crisi militare
seicentesca fu che i canali di approvvigionamento
monetario oltrepassarono i confini imperiali. Pressata dall’incubo del tracollo finanziario, la Camera
aulica di Innsbruck arciducale allargò il campo del
reclutamento a chiunque potesse alleggerire l’esborso di interessi causati dal debito pubblico. Tra
i beni demaniali da cui si poteva ricavare un gettito sicuro, le giurisdizioni signorili (i Gerichte nel
lessico amministrativo tirolese) erano la risorsa più
a portata di mano; la somma dei diritti giurisdizionali, delle rendite fondiarie e dei dazi di commercio, costituiva un insieme di entrate facilmente
vendibili al migliore offerente. Che nell’urgenza
della crisi fiscale non si potesse sottilizzare troppo sulle origini geografiche del compratore, mise a
tacere le voci – neppure troppo numerose a dire il
vero – contrarie all’ingresso di famiglie ‘straniere’
nel novero della vassallità tirolese.
Le crude ragioni dell’interesse economico passa-
rono sopra agli scrupoli di natura politica. Il 10
marzo 1648, l’arciduca Ferdinando Carlo, reggente
della contea del Tirolo, investiva il veronese Pietro
Zenobio e i suoi discendenti come Gerichtsherren
delle giurisdizioni di Enn e Caldiff (figg. 3-6),
Salorno e Königsberg/Montereale, dietro il versamento di 336.000 fiorini. Nell’atto d’investitura, la
Camera aulica giustificava la cessione dei due feudi, collocati in una posizione strategica nella valle
dell’Adige e ai confini con il Principato vescovile di
Trento8, adducendo i tempi della guerra e la necessità, “pro defendenda patria”. Pietro Zenobio saliva
a prendere possesso delle giurisdizioni, presenti una
commissione arciducale e i delegati delle comunità
suddite, aggiungendo per altro l’acquisto della corte franca di Winkel, a Maia Alta presso Merano, per
l’importo di 23.500 fiorini (che avrebbe rivenduto
trent’anni dopo). La pratica dell’insediamento si
chiudeva con l’elevazione di Pietro al grado di conte del Sacro Romano Impero, concessa il 14 marzo
1649, e con la conferma a titolo di “feudo nobile,
regale e antico” da parte dell’imperatore Leopoldo I
nel 1666, che alla morte dell’arciduca Sigismondo
Francesco (1665) aveva ereditato il complesso dei
beni spettanti fin lì al ramo tirolese degli Asburgo.
Ma attorno alla metà del Seicento la fisionomia
del paesaggio feudale tirolese stava cambiando velocemente anche altrove. Caldaro e Laimburg, non
molto lontano dai possedimenti degli Zenobio,
passarono nel 1648 dai cives trentini Del Monte al
barone veneziano Giovanni Andrea Giovanelli (a
nome del nipote Carlo Vincenzo) per la somma di
105.000 fiorini. Le due giurisdizioni, cedute in pegno “pro defensione eiusdem Provinciae arduis bellorum temporibus”, venivano consegnate definitivamente ai Giovanelli da Leopoldo I il 4 novembre
1662. Sempre in quell’anno, un identico trasferimento di soldi e di terre riguardò la giurisdizione
Patrizi veneziani e nobili imperiali: Giovanelli e Zenobio in Tirolo (XVII e XVIII secolo)
di castel Telvana, nella bassa Valsugana. Il primo
passo fu la cessione in pegno del feudo9, passato
velocemente di mano tra 1653 e 1662 dopo due
secoli di possesso ininterrotto dei conti Welsperg.
Il 30 settembre 1662, l’arciduca Ferdinando Carlo
riceveva da Giovanni Andrea 92.000 fiorini pagati
“in pronta pecunia” per il riscatto delle giurisdizioni di Telvana e San Pietro, impegnate fin lì a
Giacomo Natali e Antonio Bartoli, “in subsidium
Camerae nostrae”. Esattamente com’era accaduto
nel caso dei feudi Zenobio, l’imperatore Leopoldo
I tra il 6 e l’8 agosto del 1678 stabilizzava l’investitura dopo aver intascato da Giovanni Andrea
ulteriori 300.000 fiorini da sborsarsi alla Camera
tirolese, comandando ai sudditi di Telvana di riconoscere i Giovanelli in quanto loro veri signori,
“sive Germanicis dictis Gerichtsherren”10.
Dietro l’arrivo degli Zenobio e dei Giovanelli nei
ranghi sempre sospettosi della feudalità tirolese
premevano motivi finanziari: le formule ricorrenti nei testi delle investiture – “pro subventione et
defensione Provinciae”, “pro defendenda Patria”
– sembravano scritte apposta per mettere a tacere
gli scrupoli creati dalle tensioni politiche con Venezia. I nuovi titolari dei feudi – e questo rendeva il
trasferimento meno problematico – non erano dei
perfetti estranei né in Tirolo né nell’impero germanico. I mercanti Zenobio, nel 1627 registrati al vertice della ricchezza tra i cittadini di Verona, erano
presenze fisse dai primi anni del Seicento alle fiere
di Bolzano. Pietro e il cugino Bartolomeo avevano
ricoperto più volte la carica di consoli e consiglieri
nel tribunale del magistrato mercantile11: mercanti
di panni lana, imprenditori nel settore serico, grandi proprietari nel distretto veronese e soprattutto
prestatori di denaro alla Camera arciducale – l’investitura pignoratizia dei feudi nel 1647 equivaleva
a crediti dichiarati inesigibili a Innsbruck12 – gli Zenobio avevano quindi una lunga dimestichezza con
le attività economiche al di fuori dei confini veneziani. Anche l’ascesa sociale ed economica dei Giovanelli si era snodata secondo un itinerario molto
simile. Originari di Gandino nel Bergamasco si
erano arricchiti con il commercio, la produzione e
la tintura dei panni13, distribuendoli sia nelle città italiane, sia fra Germania, Ungheria e Boemia.
I rapporti con le piazze commerciali tedesche avevano fatto da traino a investimenti in attività imprenditoriali nel regno di Ungheria (miniere per lo
più) e nel finanziamento alle guerre condotte dagli
Asburgo contro la minaccia ottomana: i titoli di
barone e consigliere di corte, “Camergravio” d’Ungheria (responsabile delle miniere nella città slovacca di Banská Štiavnika) e “Supremo Commissario
militaris expeditionis” raccontavano un’intimità
con la corte di Leopoldo I che aveva reso facile a
Giovanni Andrea aggirare ogni eventuale resistenza
dell’aristocrazia tirolese14.
Far parte del giro di uomini d’affari che finanziavano le casse imperiali non era l’unico tratto di
somiglianza tra le due famiglie. Una seconda analogia, anche questa scaturita da ragioni finanziarie,
era rintracciabile nell’acquisto della dignità patrizia
veneziana, avvenuto per gli Zenobio nel marzo del
1647 e per i Giovanelli nell’aprile del 1668. L’estenuante campagna militare combattuta per la difesa
di Candia (1645-1669) aveva costretto Venezia in
uno stato di sofferenza finanziaria non molto diversa da quella subita nella contea tirolese più o
meno nei medesimi anni. Nel tentativo di evitare
il crollo del debito statale la Repubblica aveva deciso di vendere tutto quanto fosse possibile – feudi,
beni comunali, dazi, appalti – e infine il titolo di
patrizio veneziano, l’unica possibilità di accedere ai
consigli di governo veneziano. L’apertura a titolo
oneroso dell’ingresso al Maggior Consiglio (e di lì
a tutti gli altri organismi direttivi) scardinava una
tradizione di chiusura secolare e fu pertanto accompagnata da discussioni serrate che si prolungarono
fino allo sblocco definitivo del 1646. Gli Zenobio
furono tra i primi a presentare la loro supplica di
aggregazione, ostentando un solido curriculum di
fedeltà repubblicana e la disponibiltà immediata a
pagare i 100.000 ducati (di cui 40.000 in deposito
alla Zecca) stabiliti dal Maggior Consiglio affinché
Pietro fosse “con li figli e descendenti in perpetuo
honorato della Nostra Nobiltà”15. Tutto si svolse
senza impedimenti anche per la richiesta presentata
5. Pittore ignoto, Armigeri,
affresco. Egna/Neumarkt,
palazzo Zenobio
17
Marco Bellabarba
dai Giovanelli, nonostante fossero a quella data già
baroni dell’Impero, mentre gli Zenobio, in una sequenza inversa, avrebbero ricevuto il titolo di conti
tirolesi nel 1651 dopo quello patrizio. La mole di
denaro di cui poteva disporre Giovanni Andrea a
nome della famiglia fu distribuita oculatamente.
Pochi mesi prima di comperare il rango patrizio investì a nome della famiglia 200.000 ducati nell’acquisto del titolo di conte di “Morengo e Carpenedo”, dove possedeva enormi proprietà fondiarie e
sopravviveva una delle poche giurisdizioni feudali
dei territori veneziani al di là del Mincio16. Sbrigata la partita fondiaria nel Bergamasco, la condizione di feudatario asburgico (c’erano d’altronde altre
famiglie, come i Widmann carinziani, collocabili
su un registro di doppia lealtà asburgica e veneziana) dovette essere derubricata nelle discussioni del
Maggior Consiglio a semplice investimento patrimoniale. Non sappiamo per quali motivi Giovanni
Andrea si convincesse ad approfittare della messa
sul mercato dei feudi tirolesi solo attorno alla metà
del Seicento; ma una volta al corrente della probabile vendita ponderò attentamente le modalità con
cui impiegare la sua ricchezza.
A fare da tramite per l’acquisto furono gli Zambelli, la famiglia di mercanti bassanesi che aveva tenuto per qualche anno il feudo di Castellalto. Il 13
maggio 1646, Mattia Zambelli scrive da Bassano
ad Armenio Buffa che essendo “pervenuto all’orecchio di un mio Padrone che si retrova alla vendita
il Borgo di Valsugana e il suo territorio desidera
che io procuri averne la certezza di questa verità,
il prezzo, le rendite in che consistono, il titolo, la
qualità del loco, il sito, le li defici [sic!] dominicali,
et finalmente brama averne quelle maggior informazioni che si può umanamente desiderare”17.
Buffa, allora capitano di Castellalto, risponde con
una descrizione così entusiastica della signoria di
Telvana e San Pietro da far supporre che i suoi datori di lavoro a corte gli suggeriscano di calcare i toni:
18
La giurisdizione di Telvana è stimata una delle
prime dopo quella di Lientz della Contea del
Tirolo per qualità, nobiltà e rendita […]. Ha
sotto di sé la grossa terra del Borgo, e molti altri villaggi a questa signoria sottoposti; ha mero
e misto imperio; ha bellissime caccie tanto in
pianura quanto in monte di selvatici, et pesche
di laghi e di Brenta che passa per mezzo; il castello è in eminenza, benissimo situato sopra la
terra del Borgo, copioso di stanze e comodità,
una esterna con annesso il locale per le donne
addette ai soldati: è l’aria bonissima. Al castello
sono obbligati li sudditi mantenierlo di legne da
focho et mantenimenti de coperte et fabbriche
di quello et suoi rokami et altro oltre le fationi
et pioveghi dalli sudditi si devono pioveghi ai
vignali, et pradi etc. Le sue entrate consiste parte in dinari di certa colta annua, livelli di biade,
vini, graspati, regalie di carne porcina, galline,
polli, ovi; ma la maggior summa è in decima de
vini, biade, per le quali decime li sudditi sono
anco obbligati a condurgliele.
La somma delle entrate agricole e delle decime, assieme ai proventi delle condanne criminali, tocca
i 10.000 fiorini austriaci all’anno, come provano i
ricavi dei luogotenenti arciducali, e non si possono avere dubbi secondo Buffa circa la reddività di
Telvana:
una delle più grandi, più pingue et più dovitiosa
che sii nel Contado del Tyrol, essendo situata alla
via Imperiale che passa da Germania a Venetia,
nei Confini d’Italia, fra Trento, Vicenza, Feltre,
Padova e Bolgiano, come in centro. Ha un castello assai forte e munito di artiglieria et armi con il
vantaggio che li sudditi sono obbligati mantenirlo in campi, fabbriche, fontane et in tutto quello
occorre anche per legne da fuocho anche per orti
et altre servitù che disobbligano il Patrone d’ogni
spesa fuori che la cibaria ai servitori.
Nonostante le trattative sfumassero per il momento, i vantaggi decantati da Armenio Buffa
convinsero i Giovanelli a perfezionare l’acquisto
nel 1662. Anche a distanza di anni, l’ordinata tabella delle “Annue entrate del Castello di Telvana”
presentata nel 1646 (poco più di 10.000 fiorini
d’entrata a fronte di soli 952 d’uscita), manteneva
evidentemente tutta la sua forza di persuasione. La
gran parte dei proventi ricavabili dai terreni infeudati, 7.320 fiorini in tutto, venivano dalle biade e
dal “vino graspato buono”, alle quali si aggiungeva la voce (750 fiorini circa) delle condanne “per
violazioni di mude” e le multe esigite dalla corte
di giustizia. Un bilancio economico per quanto
frettoloso orientò dunque i Giovanelli a ritenere
i cespiti agrari più appetibili del prestigio derivante dal titolo di giusdicenti; e nel loro orizzonte di
compatte ambizioni familiari, l’ubicazione di Telvana sulla “via Imperiale” tra Venezia, Padova e
Bolzano doveva pesare più di quanto pensasse un
uomo d’arme a tutto tondo come Armenio Buffa.
A pochi chilometri da Telvana, superati i confini
con Venezia, si apriva una proficua area di smercio
per i prodotti della giurisdizione, che i Giovanelli
pensarono subito di rimpinguare tramite l’acquisto
di beni allodiali18. Su Bassano convergeva da secoli il
mare di legnami proveniente dai boschi del Primiero e fluitato sul Brenta in direzione della terraferma;
compagnie commerciali locali gestivano il mercato
Patrizi veneziani e nobili imperiali: Giovanelli e Zenobio in Tirolo (XVII e XVIII secolo)
6. Il salone di castel Enn
a Montagna/Montan
alla fine del XIX secolo
del legname con l’apporto di capitale finanziario
veneziano in un reticolo densissimo di scambi che
scavalcava facilmente il confine politico. Tra Cinque e Seicento “una politica di condivisione di affittanze di boschi, comproprietà o subaffitto degli
impianti per la trasformazione della materia prima,
consorzi per la ripartizione delle spese amministrative e gestionali”19, aveva spinto attori economici
delle nationes veneta e tirolese dentro un giro d’affari lucroso; gli investimenti dei mercanti e dei patrizi
veneziani erano stati ampiamente remunerati dagli
utili delle vendite, mentre le famiglie degli imprenditori locali sfruttavano il traffico del legname per
veloci ascese dentro gli apparati tirolesi.
La vicinanza delle giurisdizioni della bassa Valsugana con le terre della Serenissima, una vera e propria
‘divoratrice di boschi’ in quei secoli, consolidò un
tessuto comune d’interessi basato sul commercio
del legname. Trafficatissimo era anche il porto fluviale di Lavis, nel feudo di Königsberg/Montereale
appartenente agli Zenobio, dove si preparavano le
zattere con i tronchi arrivati dalla val di Fiemme e
le si facevano fluitare verso il corso dell’Adige in
direzione di Verona. “E ogn’anno in tal modo –
scriveva Michelangelo Mariani nel 1673 – ne anderanno alcune decine di migliaia in ciò acudendo
i Mercanti et Appaltatori che in parte li lavorano
nelle numerosissime segherie del paese”20. Se le
somme prelevate sui dazi del legname costituivano
una buona fonte d’entrata per i giusdicenti, non
abbiamo tracce di un interesse durevole delle due
famiglie in questo settore; forse per non entrare in
un comparto già saturo di operatori, gli interessi
dei Giovanelli voltarono altrove, verso Bassano, un
luogo centrale per differenti attività manifatturiere.
Mentre faticosamente nello Stato veneziano la
produzione serica riprendeva vigore, una serie di
tempestivi provvedimenti offrirono la possibilità
ai mercanti di diventare produttori di filati e di
disporre liberamente dei corsi d’acqua, sui quali
costruire mulini o filatoi grazie “all’esenzione delle corvées reali e personali per gli immigrati”21. I
Giovanelli ne approfittano e il 26 agosto del 1685
Giovanni Benedetto (il figlio di Giovanni Andrea,
scomparso nel 1673) stipulò un contratto con il
bassanese Domenico Bricito al fine di “erigere un
edificio per lavorar orsogli alla bolognese nella terra del Borgo”22; decisi a irrobustire la loro presenza
imprenditoriale, negli anni seguenti i Giovanelli
aggiunsero al moderno filatoio ‘alla bolognese’, in
rapida successione, oltre agli acquisti di arativi e
prati, una sega per lavorare il legno e una fornace.
I grandi edifici del filatoio e della “fabricha per il
castello” che s’intravedono nella “Veduta del Borgo di Valsugana” lambire la strada imperiale a poca
distanza dal convento di Sant’Anna sono ricordati
con ammirazione nel Viaggio d’Italia in Inghilterra
del cosmografo Vincenzo Coronelli pubblicato a
Venezia nel 1697.
Oltrepassato il corso del Brenta scrive Coronelli:
19
Marco Bellabarba
7. Disegnatore ignoto
del XVIII secolo,
Delineazione della
Giurisdizione di Telvana.
Trento, Castello
del Buonconsiglio.
Monumenti e collezioni
provinciali
20
ch’è quivi assai picciolo, sopra tre Ponti di pietra, e colla corrente delle di lui limpide acque
girano di continuo quattro grandi Edifici, di
ben artificiosa struttura, fabbricati già dieci anni coll’esborso di dodicimila ducati dal Conte
Gio: Benedetto Giovanelli. Lavorano questi per
conto del celebre negotiante di Venetia, ed illustre per la sua eruditione Francesco Avogadro,
che gli tiene ad affitto per quattrocento ducati
annui, otto o novemila libbre di seta, che formano il principale commercio di detta terra, oltre
quello degli armenti.23
L’investimento nella lavorazione della seta collega
il feudo trentino dei Giovanelli alle manifatture di
Bassano, uno dei distretti serici più attivi della Repubblica che dà lavoro nei primi anni del XVIII secolo a un migliaio di donne e ragazzi; inserisce allo
stesso tempo la manifattura di Borgo nei flussi di
merci che lasciano la terraferma diretti verso le piazze urbane dell’Impero. Le lamentele per le spedizioni spesso illegali “di sete semilavorate in trame e in
orsogli alle fiere di Bolzano” o al ducato di Baviera,
dove “viene espedita la maggiore et migliore parte delle sete che si fabbricano nel Trevigiano e nel
Bassanese et le maestranze più perfette”, sono un
motivo comune nei dispacci dei rettori veneziani24.
Ma la quota delle esportazioni di seta è una voce
così importante dei bilanci pubblici che i divieti
restano disattesi. Le locazioni del filatoio proseguono indisturbate nel corso del Settecento, sot-
toscritte dai Giovanelli a Venezia o, come capita
più spesso, delegate a qualcuno dei loro agenti sul
posto. Che il possesso del feudo trentino escluda
un trasferimento stabile dei Giovanelli nel castello
di Telvana è un dettaglio subito notato da Coronelli; in realtà, appena a ridosso della concessione
imperiale, la gestione del feudo risulta affittata per
4.000 fiorini a un capitano “il quale ha le appellazioni in seconda istanza”, riscuote le decime e i
livelli, provvedendo in cambio alle spese ordinarie
della gestione25. L’assenza s’interrompe di tanto in
tanto, durante la stagione estiva, quando il capofamiglia o qualche suo congiunto soggiornano a
Borgo (figg. 7-8); si tratta comunque di un atteggiamento che stona con i costumi della feudalità
vescovile o tirolese, per le quali la residenza nei castelli è un’abitudine e uno status irrinunciabile. “È
gran tempo che noi fedelissimi suoi sudditi stiamo
con sommo desiderio et allegrezza aspettando la
bramata sua venuta”, supplicano gli uomini della
comunità di Borgo nel 1672 al conte Giovanelli26,
ma è una richiesta destinata a cadere nel vuoto.
A confronto dei Giovanelli, gli Zenobio sono padroni molto più assenteisti; a Egna o a Lavis si fanno vedere di rado, e un capitano coadiuvato dalla
sua piccola corte di salariati sbriga la gestione del
feudo: solo in qualche caso, “atteso l’impedimenti
che prohibiscono a Noi di ciò fare in persona”, gli
Zenobio delegano un uomo di fiducia a visitare la
giurisdizione, cedendo nelle mani di notabili locali
“il buono et pacifico governo”27 del feudo. A partire
Patrizi veneziani e nobili imperiali: Giovanelli e Zenobio in Tirolo (XVII e XVIII secolo)
dagli ultimi decenni del Seicento, il meccanismo
di scambio fra protezione nobiliare e obbedienza
dei sudditi su cui si regge la vita quotidiana delle
signorie mostra segni di allentamento in altri contesti della periferia imperiale: attratti dagli incarichi
militari o dalle occasioni d’impiego ottenute a corte, anche lignaggi con un radicamento secolare nelle campagne trentine (Thun, Arco, Lodron, Spaur)
stanno abbandonando le loro residenze; alcuni castelli lentamente si spopolano mentre in altri s’insediano rami cadetti o secondogeniture create ad hoc.
Per la più parte sono processi di riposizionamento
interni alle famiglie, tesi a ramificare la discendenza
in luoghi diversi senza però distruggere del tutto i
legami di sangue originari. I contratti d’affitto stipulati da subito con i capitani delle giurisdizioni a
Telvana, Lavis e Caldaro segnalano al contrario una
presa di distanza più radicale.
Non è un indizio di disinteresse per quanto accade
nei loro possedimenti. I continui litigi scoppiati
con le comunità rurali testimoniano un’attenzione
ostinata alle prerogative signorili. La suscettibilità
dei Giovanelli per ogni minima lesione dei loro diritti si disperde in un numero quasi ingovernabile
di fascicoli processuali: controversie per i pagamenti delle decime o contestazioni sulle corvée al
castello intasano le carte dell’archivio di famiglia,
combinate alle cause contro il vescovo di Feltre per
il giuspatronato sulle chiese di Borgo28 e a quelle
per i diritti sulla caccia che li vedono contrapposti
ai feudatari vicini. Quando, nel 1782, i Giovanelli
devono fronteggiare il rifiuto dei “nobili matricolati” tirolesi a riconoscere l’esclusività del loro privilegio di cacciare nel feudo, non esitano a interpellare il celebre intellettuale bassanese Giovanni
Battista Verci affinché scovi nei diplomi imperiali
più antichi un aiuto alle loro rivendicazioni29.
L’insieme delle azioni giudiziarie offre una solida
testimonianza della strategia patrimoniale messa
a punto dai Giovanelli così come, a pochi chilo-
8. Disegnatore ignoto
del XVIII secolo,
Veduta del Borgo
di Valsugana e Castel
Telvana. Trento, Castello
del Buonconsiglio.
Monumenti e collezioni
provinciali
21
Marco Bellabarba
22
metri di distanza, dagli Zenobio. Per entrambe, a
maggior ragione dopo l’ingresso nel corpo patrizio, il “palcoscenico privilegiato della loro ascesa
sociale”30 era Venezia. Con l’assillo tipico dei patrizi per il possesso di una dimora che offriva una
misura visibile della loro ricchezza, comprarono
i sontuosi palazzi di San Stae e Santa Fosca (acquistati dai due rami dei Giovanelli) o quello ai
Carmini degli Zenobio abbellito da un “delizioso
e amplo giardino”, che divennero le residenze abituali delle due famiglie. Poco propensi a spendere
denaro nel rifacimento delle dimore feudali – al
castello di Borgo ci si limitò all’ordinaria manutenzione31 –, Giovanelli e Zenobio mostrarono
un disinteresse di fondo anche verso la società e
la cultura feudale dei lignaggi aristocratici con cui
confinavano. Tranne qualche scambio di corrispondenza, innescata per lo più da contese giurisdizionali, le relazioni si fermarono sulla soglia di
contatti abbastanza freddi. Se mancò del tutto una
politica orientata a stabilire legami matrimoniali
con la nobiltà trentina o tirolese, a Venezia, invece, i matrimoni di giovani donne Zenobio con casate patrizie antiche arrivarono in fretta: nel 1664
Margherita, figlia di Pietro, sposava un Donà Riva
di Blasio, discendente del doge Leonardo, e nel
1668 Virginia si accasava con un Lando San Luca, famiglia meno prestigiosa ma che poteva comunque vantare il titolo di procuratore di San
Marco. Versamenti di dote cospicui permettevano
nel frattempo ai Giovanelli di accedere al circuito
matrimoniale veneziano: con minore disponibilità
degli Zenobio, non potendo al momento “maritar
due donne in Case vecchie e prendere in casa delle
più conspicue per sangue”32, si imparentarono con
i Gambara bresciani e i Valmarana vicentini, due
altre famiglie nuove benché tra le più antiche delle
rispettive città di terraferma.
Nemmeno la dignità comitale aprì a una presenza
nelle diete provinciali di Innsbruck, l’istituzione
più importante della politica tirolese, o a qualche ufficio nella burocrazia asburgica, un terreno
di ascesa sociale che i feudatari loro dirimpettai
frequentavano assiduamente. Come ricordano le
carte di famiglia, i conti (imperiali) Giovanelli erano prima di tutto “domiciliati in Venezia”33, “di
Venezia”34, o semplicemente “Giovanelli di San
Stae”35, e quel genitivo locativo definiva un’identità aristocratica che sopravanza le altre. Il senso di
attaccamento repubblicano avrebbe influito sulla
scelta di farsi strada dentro le cariche politiche,
contando sulla solidità patrimoniale, la capacità di
conservarla “e sull’ambizione di voler onorare il titolo patrizio impegnandosi in quelle magistrature”
che nella seconda metà del Seicento cominciavano
ad aprirsi alle “case fatte per soldo”36. Già negli an-
ni ottanta del Seicento, gli Zenobio occuparono
castellanie e reggimenti minori della terraferma, le
podesterie di Chioggia, Rovigo, Feltre, Treviso, per
salire a metà Settecento al capitanato di Verona,
“raggiungendo l’apice con Carlo (1673-1733), che
nel 1716, primo fra i membri delle nuove famiglie,
venne eletto in Senato, venendo successivamente
riconfermato fino alla sua morte”37. Benché vivessero “splendidamente et alla grande”, dividendosi
tra i palazzi di Venezia e Verona, non si può dire
che gli Zenobio, tolta la presenza in Senato, appartenessero all’élite politica marciana, una dimostrazione però che “si poteva occupare una posizione
brillante e farsi un nome anche al di fuori della vita
politica”38. Insolitamente brillante, tenuto conto
della discriminazione a cui erano soggette le case
aggregate al tempo di Candia, fu la carriera politica dei Giovanelli, che oltre a servire nei reggimenti
di Crema, Vicenza, Treviso e Padova, ottennero
una proiezione pubblica prestigiosa tra i patrizi
“fatti per soldo”: Ferrigo di Zuanne Polo, del ramo
di San Stae, divenne nel 1776 l’ultimo patriarca
di Venezia, mentre il fratello Giovanni Benedetto
fu eletto nel 1778 procuratore di San Marco de
Citra, dignità vitalizia seconda solo a quella dogale
e concessa a personalità distintesi particolarmente
nelle cariche politiche o militari39.
Legati così intimamente alle dinamiche politiche
veneziane, per Giovanelli e Zenobio le giurisdizioni signorili “a parte Imperii” restavano quelle
che erano state fino a quel momento, dei buoni
investimenti finanziari e un titolo, comunque prestigioso, da aggiungere a una collezione già ricca
di dignità nobiliari. Negli ultimi decenni del Settecento, i regolamenti emanati da Giuseppe II
sull’amministrazione interna di tutti i feudi imperiali gravarono sulle spese richieste ai Gerichtsherren; sembra infatti che gli Zenobio, di fronte alle intromissioni governative, volessero disfarsi di
Königsberg/Montereale e cederlo al conte Migazzi
di Trento40, ritenendolo non più un buon affare.
La vendita tuttavia naufragò e i contorni giurisdizionali fissati dalle investiture seicentesche non
cambiarono. Fermi in questo tracciato li trovarono
nel 1806 i funzionari del regno di Baviera, subentrati in Tirolo al dominio austriaco a seguito della
vittoria di Napoleone ad Austerlitz. Pochi mesi
dopo aver assunto il governo della contea, i bavaresi ordinarono una minuziosa ricognizione delle
rendite feudali, al fine di assorbirle nel demanio regio di tutte le signorie dinastiali presenti in Tirolo,
per lo meno di quelle censite: le più redditizie in
assoluto risultavano possedute dai conti Zenobio,
fra Königsberg, Salorno ed Egna; al secondo posto,
con un certo distacco, il Gericht di Telvana dei patrizi e conti veneziani Giovanelli41.
Patrizi veneziani e nobili imperiali: Giovanelli e Zenobio in Tirolo (XVII e XVIII secolo)
NOTE
Casetti 1981, p. 60.
Becker 2000, p. 438; Segnana 2005, pp. 23-24.
14
Tra il 1662 e il 1663 Giovanni Andrea, oltre
a rifornire l’armata, aveva partecipato in prima persona alle battaglie contro i Turchi, come
quartiermastro generale, al comando di un reggimento di fanteria da lui stesso reclutato (Becker
2000, p. 439).
15
Casetti 1981, p. 243.
16
Zamperetti 2016, p. 68. Il paese di Morengo
era in condominio con il vescovo di Bergamo e i
procuratori di San Marco; Giovanni Andrea acquistò infatti la metà veneziana, che includeva il
giuspatronato sulla parrocchia.
17
BCTn, BCT1-2687, c. 149; una prima segnalazione del manoscritto in Nequirito 1988.
18
ASTn, Archivio Giovanelli, b. 18, fasc. 36:
“Acquisti de’ beni allodiali in Borgo Valsugana”.
Il fascicolo inizia con acquisti nel 1685 e prosegue fino agli sessanta del Settecento.
19
Occhi 2013.
20
Il passo da Trento con il Sacro Concilio et altri
notabili di Michelangelo Mariani è citato da Casetti (1981, p. 106), che documenta la straordinaria presenza di segherie e mulini a Lavis lungo
tutta l’età moderna.
21
Mattozzi 1997, p. 445.
22
ASTn, Archivio Giovanelli, b. 7, fasc. 629/18.
23
Coronelli 1697, p. 78 Ringrazio Denis Ton
per avermi segnalato l’interessantissimo passo del
Coronelli.
12
13
Cozzi 1986, p. 11.
Così, nei diari del veneziano Gerolamo Priuli,
a pochi mesi dalla battaglia di Agnadello (Priuli
[1499-1512] 1949, p. 191).
3
Bonoldi 2020b.
4
von Voltelini [1918] 1999, pp. 127-128.
5
Casetti 1981, pp. 57-61.
6
von Voltelini [1918] 1999, pp. 214-220.
7
Bonoldi 2020b, p. 247.
8
Per una ricostruzione dettagliata delle vicende
si veda Bonoldi 2020b, accanto al più datato Tolomei 1942.
9
Beimrohr 2015, pp. 33-61; le entrate prodotte
dai redditi giurisdizionali venivano calcolate come interessi del capitale versato; proprio a partire
dal XVII secolo la pratica di acquistare o ricevere
in pegno i feudi per tempi molto lunghi aumentò
in maniera considerevole. In generale, sulla forte
mobilità signorile tra Impero e Italia in questo
periodo, si veda Taddei 2020.
10
ASTn, Archivio Giovanelli, b. 6, fasc. 3/527:
“dictos Giovanellios pro illorum veris et determinatis Dynastis sive Germanicis dictis Gerichtsherren agnoscant, iussibus eorum pareant”. I fascicoli 569 e 571 della busta contengono altre copie
sette-ottocentesche, delle investiture di Telvana e
Caldaro/Laimburg. Sulle fasi dell’insediamento
in Valsugana si rimanda a Segnana 2005.
11
Bonoldi 2020b, p. 239.
1
2
Mattozzi 1997, pp. 454-455.
Coronelli 1697, p. 77.
26
ASTn, Archivio Giovanelli, b. 6, fasc. 3, n.
526, 23 aprile 1672.
27
Casetti 1981, p. 71.
28
Di cui trattano ampiamente Federico 2006;
Segnana 2002, p. 34.
29
La risposta del Verci in ASTn, Archivio Giovanelli, b. 18, fasc. 28. Lo stesso Verci descrive negli
anni settanta la vitalità dei rapporti economici fra
la sua Bassano e le regioni tedesche: “Sopra ogni
cosa sorprendente, è il commercio della seta, che
di giorno in giorno diviene sempre più considerabile. Incredibili sono le spedizioni che da questa
città si fanno per l’Inghilterra, per la Germania,
per la Francia e per l’Olanda”; si veda Berti 1988,
p. 62.
30
Bonoldi 2020b, p. 250.
31
Lavori che dovevano essere forniti dalle comunità del feudo (ASTn, Archivio Giovanelli, b. 20,
n. 533, filza 62).
32
Sabbadini 1995, pp. 77-79, 104, 106.
33
ASTn, Archivio Giovanelli, b. 6, fasc. 28.
34
Ivi, b. 18, fasc. 33.
35
Ivi, b. 7, fasc. 628/20.
36
Sabbadini 1995, p. 137.
37
Bonoldi 2020b, p. 244.
38
Hunecke 1997, p. 353.
39
Dal Borgo 2000, pp. 441-442.
40
Bonoldi 2020b, p. 244.
41
von Hörmann 1816, p. 445.
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PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO
Castello del Buonconsiglio
Monumenti e collezioni provinciali
Castel Beseno
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Castel Stenico
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