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Patrizi veneziani e nobili imperiali: Giovanelli e Zenobio in Tirolo (XVII e XVIII secolo)

2022, I colori della Serenissima. Pittura veneta del Settecento in Trentino

I colori della erenissima S Pittura veneta del Settecento in Trentino I colori della erenissima S Pittura veneta del Settecento in Trentino a cura di Andrea Tomezzoli, Denis Ton Castello del Buonconsiglio. Monumenti e collezioni provinciali 2022 Scripta edizioni MOSTRA Maurizio Fugatti Presidente Provincia autonoma di Trento Mirko Bisesti Assessore all’Istruzione, Università e Cultura Roberto Ceccato Dirigente generale Dipartimento Istruzione e Cultura Franco Marzatico Dirigente generale dell’Unità di missione strategica per la tutela e la promozione dei beni e delle attività culturali Alessandra Schiavuzzi Dirigente Servizio attività e produzione culturale Laura Dal Prà Direttore Museo Castello del Buonconsiglio. Monumenti e collezioni provinciali Comitato scientifico del Museo Claudio Antonio Marco Salsi, presidente Peter Assmann Andrea Bacchi Laura Dal Prà Annaluisa Pedrotti Giovanni Carlo Federico Villa Tiziana Gatti, segretaria Revisori dei conti Denise Pederiva, presidente Mauro Angeli Sabrina Nicolodi Ufficio amministrativo Paolo Mattivi, direttore Sandra Carbone, Katia Fratton, Elena Marmo, Elena Pegoretti, Stefano Penasa, Doranna Plotegher, Gabriella Silvestri, Alessio Sommadossi, Stefano Speri Supporto: Daniela Nieddu Ufficio tecnico Adriano Conci, direttore Dario Andreis, Nicola Campara, Alessandro Coppola, Franco Franzoi, Andrea Gomarasca, Marcella Mattivi, Ermanno Moreschini, Matteo Morin, Tiziano Pedrolli, Roberto Rizzi, Nellj Sighel, Sonja Sottopietra, Supporto: Sandro Diener, Danilo Lisimberti, Claudio Tortora, Sabrina Ubaldi Servizi educativi Francesca Jurman, coordinamento Giorgia Sossass, Anna Paola Mosca Supporto: Loredana Facchinelli © 2022 Castello del Buonconsiglio. Monumenti e collezioni provinciali, Trento Segreteria del museo Anna Lisa Colanese, Enrico Ducati, Mariagrazia Ferretti Supporto: Ivana Bianchini Edizione e distribuzione Scripta edizioni, Trento idea@scriptanet.net ISBN 979-12-80581-19-8 Biblioteca Alessandra Facchinelli, coordinamento Attilio Fronza Supporto: Sonia Cagol Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte di questa pubblicazione può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo elettronico, meccanico, digitale, se non nei termini previsti dalla legge che tutela il Diritto d’Autore Settore storico-artistico Elisa Colla, Maddalena Ferrari, Tiziana Gatti, Mirco Longhi, Elisa Nicolini, Roberto Pancheri, Claudio Strocchi, Denis Ton Settore archeologico Annamaria Azzolini, Morena Dallemule Settore mostre Franca Graziadei Referente informatico e videomaker Alessandro Ferrini Archivio fotografico e gestione collezioni Roberta Zuech, coordinamento Sara Caliari, Giovanni Pivato, Chiara Zanotti Promozione e rapporti con la stampa Alessandro Casagrande, Federica Rambelli, Michele Prencipe Operatori di custodia del museo Castello del Buonconsiglio Carla Baldessari, Fiorenzo Battistotti, Salvatore Bosco, Cinzia Cadrobbi, Alessandro Calovi, Rita Dorigatti, Antonino Formica, Elena Franceschini, Ivano Lucchi, Raffaella Minati, Fausto Rossi, Arturo Svaldi e il personale di supporto alla custodia sale Cooperativa Activa, Trento I colori della erenissima S Pittura veneta del Settecento in Trentino Trento, Castello del Buonconsiglio 2 luglio - 23 ottobre 2022 Mostra e catalogo a cura di Andrea Tomezzoli, Denis Ton Comitato scientifico della mostra Laura Dal Prà, presidente Marco Bellabarba Andrea Bonoldi Domizio Cattoi Alberto Craievich Stefano Ferrari Luciana Giacomelli Michelangelo Lupo Andrea Tomezzoli Denis Ton Testi di Marco Bellabarba Chiara Bombardini Andrea Bonoldi Serena Bugna Paolo Delorenzi Luca Fabbri Maddalena Ferrari Salvatore Ferrari Stefano Ferrari Tiziana Gatti Alessandra Geromel Pauletti Chiara Lo Giudice Enrico Lucchese Michelangelo Lupo Vincenzo Mancini Elvio Mich Alessandro Morandotti Roberto Pancheri Emanuele Principi Sara Retrosi Giuseppe Sava Francesca Stopper Andrea Tomezzoli Denis Ton Ricerche d’archivio Sara Retrosi, con la collaborazione di Emanuele Principi Segreteria organizzativa della mostra Franca Graziadei, con la collaborazione di Mirco Longhi, con il supporto di Anna Lisa Colanese, Ivana Bianchini Cura redazionale del catalogo Marco Mattedi, con la collaborazione di Tiziana Gatti Ricerche fotografiche Chiara Zanotti, con la collaborazione di Roberto Pancheri Progetto espositivo Emilio Alberti, Piero Beggiato, Mauro Zocchetta Grafica Egidio Gariano Organizzazione tecnica dell’allestimento Adriano Conci, con la collaborazione di Sonja Sottopietra e Danilo Lisimberti Multimedia Alessandro Ferrini Allestimento ARTEAM srl, Trento Allestimento illuminotecnico Tiziano Pedrolli, Matteo Morin Coordinamento e attività per la gestione delle opere Franca Graziadei, Roberta Zuech, Nicola Campara, Giovanni Pivato Pannelli e didascalie in mostra Francesca Jurman, con la collaborazione di Emanuele Principi Traduzioni Scriptum srl, Roma Promozione e rapporti con la stampa Alessandro Casagrande, Federica Rambelli e Michele Prencipe Studio ESSECI di Sergio Campagnolo Trasporti e movimentazione opere Apice Venezia Srl; Hungart Logistik KFt; Dietle International; Hizkia Van Kralingen Assicurazioni XL Insurance; Khun and Bullow Berlino, Fine Art Advice SA; AGE Assicurazioni Condition report OCRA restauri snc Serigrafie Win Sport srl, Ravina Pitture Bauflex srl, Trento Materiale illuminotecnico Erco srl, Milano Luce e Design, Trento Con il sostegno di ENTI PRESTATORI PRESTATORI PRIVATI LOMBARDIA Milano, Castello Sforzesco Collezione Dr. Willem Dreesmann TOSCANA Firenze, Direzione Regionale Musei della Toscana – Pinacoteca Nazionale di Siena Firenze, Gallerie degli Uffizi TRENTINO ALTO-ADIGE Bolzano / Bozen, Camera di Commercio di Bolzano, Museo Mercantile / Handelskammer, Merkantilmuseum Borgo Valsugana, Parrocchia della Natività di Maria Chiusa / Klausen, Museo Civico / Stadtmuseum Condino, Parrocchia di Santa Maria Assunta Daone, Parrocchia di San Bartolomeo Locca - Ledro, Parrocchia della Presentazione di Maria Madruzzo, Parrocchia di San Pietro Roncegno, Parrocchia dei Santi Pietro e Paolo Rovereto, Casa natale Rosmini Sacco di Rovereto, Parrocchia di San Giovanni Battista Storo, Parrocchia di San Floriano Tiarno di Sopra, Parrocchia dei Santi Pietro e Paolo Tione, Parrocchia di Santa Maria Assunta e San Giovanni Battista Trento, Fondazione Biblioteca San Bernardino Trento, Museo Diocesano Tridentino Trento, Biblioteca Comunale Torbole, Parrocchia di Sant’Andrea Vigo di Ton, Parrocchia di Santa Maria Assunta VENETO Venezia, Fondazione Musei Civici di Venezia Verona, Direzione Musei Civici, Museo di Castelvecchio UNGHERIA Budapest, Szépművészeti Múzeum USA Toledo, Museum of Art New York, The Morgan Library & Museum TRENTINO ALTO-ADIGE Trento, Famiglia Lunelli - Ferrari Trento VENETO Venezia, collezione Roberto Ferruzzi SVIZZERA Ginevra, collezione Jean Bonna Si esprime inoltre gratitudine verso i collezionisti privati che hanno generosamente prestato opere di loro proprietà ma hanno preferito restare anonimi. RINGRAZIAMENTI La realizzazione della mostra è debitrice della generosa collaborazione e disponibilità di soprintendenti, direttori di musei, funzionari, uffici d’arte sacra, parroci e collezionisti. Si ringrazia per la collaborazione Soprintendenza per i beni culturali di Trento Franco Marzatico, dirigente Luca Gabrielli, direttore Ufficio per i Beni storico-artistici e Katia Malatesta Stefania Franzoi, sostituto del direttore Ufficio per i Beni librari-archivistici In occasione della mostra interventi di restauro e di manutenzione straordinaria sono stati condotti per conto del museo Castello del Buonconsiglio. Monumenti e collezioni provinciali da Antonella Conte, Luigi Parma, OCRA restauri, Enrica Vinante Un particolare ringraziamento a: Katia Adamoli, Emanuela Carpani, Michl Ebner, Luca Gabrielli, John Marciari, Giorgio Marini, Andrea Piai, Antonella Ranaldi, Sandra Romito, Manja Rottink, Massimo Scala, Paola Strada, Nathalie Strasser, Devis Valenti E inoltre a: Matteo Agnolin, Giovanni Agosti, Beatrice Agostini, Giovanni Alliata di Montereale, Michele Andreaus, Claudio Andreolli, don Daniele Armani, Naoko Asano, Paola Attanasio, Luca Massimo Barbero, Maurizio Bassetti, Franca Belli, Gloria Bertoneri, Sabrina Bonato, Sebastian Cambi, Alessandra Campestrini, Elisabetta Carnielli, Davide Caroli, Stefano Casciu, Alessandra Cattoi, Domizio Cattoi, Enrico Cereghini, Maichol Clemente, Alessandro Cont, Antonella Conte, Alberto Craievich, Daniele D’Anza, Enrico Maria Dal Pozzolo, Giacomo Dellasega, Zsuzsanna Dobos, Anna Eccher, Nadia Emanuelli, Luca Fabbri, Chiara Facchin, Danisa Fantoni, don Andrea Fava, don Paolo Ferrari, Italo Franceschini, Graziano Gallo, Armando Gasperetti, Cristina Gasperotti, Christoph Gasser, Michela Gastaldello, don Roberto Ghetta, Luciana Giacomelli, Rossella Granziero, Simone Guerriero, Mauro Hausbergher, Axel Hémery, Mattia Jona, Mari Kawakami, Stefan Kékkö, Nikoletta Koruhely, Stefano Lavarini, Chiara Lo Giudice, Marco Lombardi, Fabrizio Lorenz, Enrico Lucchese, Osvaldo Maffei, Katia Malatesta, Giorgio Marini, Emmanuel Marty de Cambiaire, Franco Marzatico, don Luigi Mezzi, don Jgor Michelini, don Christian Moltrer, don Bruno Morandini, don Ferdinando Murari, Nicoletta Negri, Lawrence W. Nichols, Michele Nicolaci, Massimo Ongaro, Roberto Paoli, Giuseppe Pavanello, Daniela Pera, Ferdinando Peretti †, Roberto Perini, Martina Piacente, Filippo Piazza, Paola Pizzamano, Katia Pizzini, Ludivine Pladepousaux, Lorenzo Pontalti, Mark Ramirez, don Nicola Riccadonna, Enzo Righetti, Luca Rigotti, Silvano Romairone, Francesca Rossi, Xavier F. Salomon, Roberto Santoro, Giuseppe Sava, Maria Antonietta Spadaro, Helmut Stampfer, Marco Stenico, Jacopo Stoppa, Paola Strada, Lara Toffoli, Armando Tomasi, Barbara Tomasoni, Chiara Tomasoni, Radoslav Tomić, Debora Tosato, Renzo Tosi, Ilaria Turetta, Ilaria Turri, Claudio Vicenzi, Alice Zorzi, Gianni Zotta Con il patrocinio di Sommario 13 Patrizi veneziani e nobili imperiali: Giovanelli e Zenobio in Tirolo (XVII e XVIII secolo) Marco Bellabarba 25 Trento fra la Serenissima e l’Impero. Crocevia della pittura veneziana nel Sei e Settecento Denis Ton 55 Al di là dei confini, a nord di Verona. Dipinti e pittori veronesi nel Trentino del Settecento Andrea Tomezzoli 85 “Prese quindi consiglio di portarsi a Venezia”. Appunti sulla prassi formativa dei pittori trentini nel corso del XVIII secolo Roberto Pancheri 109 Francesco Fontebasso all’Annunziata: un pittore veneziano per una confraternita di mercanti Giuseppe Sava 127 La committenza del principe vescovo Francesco Felice Alberti d’Enno Michelangelo Lupo 147 Mercatura e committenza: artisti veneti e fiere di Bolzano tra Sei e Settecento Andrea Bonoldi 155 L’Accademia degli Agiati e i rapporti culturali tra la Repubblica di Venezia e il Trentino Stefano Ferrari Catalogo 165 195 204 221 241 259 271 I. Antefatti seicenteschi II. Un ciclo di tele per collezionisti colti III. Pittura devozionale per il territorio IV. I cicli pittorici degli anni trenta V. 1759 Fontebasso per il Castello del Buonconsiglio VI. L’alternativa veronese: Giambettino Cignaroli VII. Antonio e Francesco Guardi 303 Bibliografia a cura di Marco Mattedi 333 Crediti fotografici Patrizi veneziani e nobili imperiali: Giovanelli e Zenobio in Tirolo (XVII e XVIII secolo) Marco Bellabarba Nel primo Cinquecento i cronisti veneziani parlavano di “Germania”, “Impero” o del “paexe de Alemania” con sfumature diverse1. Il termine Impero poteva indicare i territori della dinastia degli Asburgo, la fascia di dominî ereditari che dalla contea tirolese si allungava verso Oriente fino all’arciducato della bassa Austria e piegava all’insù in direzione dei regni di Boemia e Ungheria. Ma in senso economico e commerciale, l’“Alemania” coincideva con un’ampia costellazione di città oltre le Alpi – Ratisbona, Colonia, Augusta, Norimberga, Francoforte – che dal XIII secolo occupavano il primo posto nelle relazioni d’affari veneziane: spezie in cambio di cotone e lana, manufatti di lusso o vino in cambio di argento, definivano un circuito di flussi commerciali che per Venezia non erano meno vitali di quelli intrattenuti con il Levante ottomano. I due spazi erano rimasti di fatto svincolati l’uno dall’altro nel corso del medioevo, poi le guerre con la contea del Tirolo nel 1487 e l’elezione di Massimiliano I a imperatore, nel 1495, spostando gli interessi asburgici verso la penisola, avevano causato una brusca interferenza fra logiche politiche e commerciali. Nella prima metà del Cinquecento, gradualmente l’asse dei conflitti europei creò una diversa geografia di ostilità. I contrasti tra i Valois francesi e Carlo V d’Asburgo, re di Spagna nonché imperatore tedesco, accompagnarono le ‘guerre d’Italia’ fino alla loro conclusione con la pace di Cateau Cambresis (1559), sancendo di fatto l’egemonia spagnola sulla penisola. Dopo la morte di Carlo V, tuttavia, la separazione definitiva dei dominî asburgici nel ramo tedesco dell’imperatore Ferdinando I e in quello spagnolo di Filippo II aprì scenari di confronto politico-militare che lambirono solo di striscio i territori italiani. Mentre la Spagna di Filippo II impegnava le ricchezze americane nello sforzo di fronteggiare la rivolta delle province olandesi e la sfida atlantica dell’Inghilterra di Elisabetta I, Ferdinando I doveva misurarsi in Germania con la partita sanguinosa delle guerre di religione e con le continue incursioni dell’impero ottomano, che dalla pianura ungherese minacciavano le province austriache e boeme più orientali; raggiunta una pace provvisoria a Edirne con Solimano il Magnifico (1547) e qualche anno dopo, ad Augusta (1555), con la lega dei principi protestanti, l’“Alemania” cattolica di Ferdinando occupava adesso una parte molto più piccola e fragile del vecchio impero carolino. In queste veloci risistemazioni della politica europea la Serenissima non entrò più da protagonista. Riuscì faticosamente a ritornare in possesso delle città venete e lombarde perse dopo le sconfitte del 1509, ma il confronto con la consistenza numerica degli eserciti di terra reclutati dalle monarchie vicine la costringevano a una posizione periferica. A un’innegabile marginalità militare non corrispose il declino nei commerci o nei settori produttivi; l’isolamento subìto nelle fasi più acute delle guerre fu superato dalla ripresa degli scambi nelle due direzioni solite, da Oriente tramite le importazioni di cereali, olio e spezie dalle regioni ottomane, e verso Settentrione con il riattivarsi in entrambi i sensi degli scambi di tessuti (lana e seta) e manufatti ferrosi. Le “infinite sorte de marchadantie et robe de ogni condictione”2 ripresero a transitare lungo le vie di terra che attraversano le Alpi, “un passaggio obbligato dei flussi di merci tra area mediterranea ed Europa centro-occidentale, flussi che nel contesto dell’economia preindustriale erano piuttosto rilevanti, sia in termini di quantità che di valore”3. I conflitti di primo Cinquecento lasciarono tuttavia un’eredità di diffidenze tra Impero e Repubblica che anche la pace riacquistata non spazzò via del tutto. Benché non scoppiassero più scontri militari in campo aperto, se eccettuiamo la breve, e deludente per Venezia, guerra di Gradisca dal 1615 al 1617, il rifiuto della Germania protestante all’obbedienza verso gli imperatori costrinse gli Asburgo a concentrare i propri interessi attorno a quel nucleo di territori – come abbiamo visto le province austriache, il regno di Boemia e Moravia, l’Ungheria non occupata dagli ottomani – dove esercitavano un potere di natura dinastica. Prendere concretamente in mano il governo di queste aree fu 1. Castel Telvana a Borgo Valsugana 13 Marco Bellabarba un’opzione assunta già all’indomani della fine delle guerre in Italia. Durante le trattative imbastite con la Repubblica dopo la rotta di Agnadello, furono gli imperiali a imporre che la restituzione dello “Stado da terra” non comprendesse i territori del Trentino meridionale strappati al principe vescovo di Trento e ai suoi feudatari nei primi decenni del XV secolo. Le due podesterie create dai veneziani attorno ai borghi di Rovereto e Riva del Garda vennero soppresse ma ritornarono solo in parte al loro signore legittimo: gli Asburgo trattennero per loro Rovereto e la pretura circostante, trasformandola in un’enclave difensiva situata in mezzo alle terre vescovili come luogo di controllo della strada da e per il Brennero. Un’identica strategia orientò le decisioni riguardanti le giurisdizioni poste sulla via di comunicazione che da Trento costeggiando il fiume Brenta sboccava nella pianura veneta a Bassano del Grappa; e qui le soluzioni furono ancora più sbrigative, dato che il tratto inferiore della Valsugana, annesso storicamente alla diocesi di Feltre, era già da un secolo in mano tirolese. In questo modo l’intero corridoio della frontie2. Palazzo Donà Giovanelli a Venezia 14 ra meridionale trentina apparteneva o a famiglie feudali della contea o, nel caso di Rovereto, a suoi ufficiali stipendiati. Le linee di confine dell’impero germanico non cambiavano il loro disegno tradizionale, ma in certi snodi commerciali e politici più sensibili singoli frammenti del potere tirolese sostituivano la sovranità vescovile. Un paio di congressi diplomatici cinque-seicenteschi organizzati tra emissari veneziani e trentini sistemarono l’esistenza delle interfacce signorili poste ai confini veneziani, che nel lessico cancelleresco degli uffici di Innsbruck vennero raggruppate sotto la denominazione collettiva di Welsche Konfinen. Rispondevano ai ‘confini italiani’ tutte le giurisdizioni immediate tirolesi comprese all’interno del Principato vescovile di Trento: le contee di Arco e Lodron, i feudi di Castellalto, Ivano Telvana nella bassa Valsugana, la signoria del Primiero, Castelfondo e Spaur in val di Non, Folgaria, Gresta, Nomi, Penede, Castelpietra nel Trentino meridionale e da ultimo la città e pretura di Rovereto. I momenti in cui questi feudi avevano abbandonato la fedeltà al vescovo per passare a quella tirolese si erano sgranati in tempi diversi; Patrizi veneziani e nobili imperiali: Giovanelli e Zenobio in Tirolo (XVII e XVIII secolo) anche la storia familiare e politica dei Welsche Konfinen, per altro, dava a vedere sensibili divergenze. I possedimenti concessi a lignaggi influenti come i Thun nelle valli di Non e Sole, gli Arco e i Lodron nel Trentino occidentale, i Welsperg in Primiero, tutte famiglie con solidi agganci presso la corte imperiale o tirolese, non vennero mai rimossi dai loro patrimoni; tolta qualche divisione tra le linee della stessa discendenza, i cognomi delle famiglie investite di quei feudi restarono gli stessi fino all’invasione delle armate napoleoniche tra 1796 e 1797. Di fronte alla stabilità secolare di questi grossi corpi feudali, ci furono invece altre giurisdizioni esposte a un ricambio frenetico di titolari. Il feudo di Castelpietra, di piccole dimensioni ma strategico per il controllo delle strade di “Alemania” a nord di Rovereto, passa in un secolo e mezzo dai Wolkenstein, ai Girardi, ai Fedrigazzi, ai Barbi, e infine, nel 1662 al conte Giovanni Andrea Giovanelli4; a una trentina di chilometri più a nord, all’estremo opposto del confine episcopale con la contea del Tirolo, nel feudo di Königsberg/Montereale, a partire dal 1581 si succedono le famiglie Römer, Busio-Castelletti, Someda (che per qualche tempo la sublocarono ai Ceschi di Santa Croce), Thun e dal 1647 gli Zenobio5. Nella bassa Valsugana la signoria di Castellalto, appena estinta la famiglia eponima, transita ai Trautsmandorff, viene recuperata dalla Kammer di Innsbruck nel 1635, venduta agli Zambelli di Bassano, ceduta per qualche anno a Francesco Bartoli, un trentino risiedente a Venezia, e da ultimo stabilmente alla famiglia Buffa, originaria di Borgo Valsugana, imparentata con gli Zambelli ma forte soprattutto di un lungo rapporto di servizio con gli Asburgo. Una pressoché analoga successione di giusdicenti tocca alla vicina signoria di Castel Telvana che, amministrata dai conti Welsperg (i signori del Primiero) per un periodo lunghissimo, dal 1462 al 1653, viene ceduta dall’arciduca a Michele Fedrigazzi per sei anni, nel 1659 trasmessa a Giacomo e Marino Natali, patrizi veneziani originari di Ragusa, riscattata dall’arciduca per essere data in pegno il 30 settembre 1662 ai baroni Giovanni Andrea e Carlo Vincenzo Giovanelli6 (figg. 1-2). All’origine di questa continua alternanza familiare c’era, prima di tutto, un motivo legato alla loro ubicazione geografica. L’intento di controllare le aree di strada del Brennero e della Valsugana corrispondeva a un piano ideato già nel tardo medioevo dai conti del Tirolo, e riproposto con determinazione dai loro successori asburgici; per ottenere questo obiettivo si erano disseminati insediamenti signorili o fortificazioni militari ponendoli lontano dai confini della contea, senza preoccuparsi che per raggiungerli si dovesse passare in mezzo a terre di un altro signore. Se il principato ecclesiastico costituiva, non da adesso, la porta d’ingresso ai territori asburgici, i suoi accessi andavano presidiati in qualche modo. La complessa strategia fatta di nuove investiture, vendite temporanee, cessioni pignoratizie, funzionò su intervalli abbastanza lunghi fino ai primi decenni del Seicento; dopo di che, il tasso di ricambio nei feudi accelerò. Già in condizioni precarie a fine Cinquecento, allo scoppio della guerra dei Trent’anni le finanze della contea dovettero far fronte a richieste di donativi crescenti da parte della tesoreria imperiale. Nel 1646 il debito accumulato dalla Camera aulica di Innsbruck sfiorava i 4.500.000 fiorini, somma che comportava un esborso per soli interessi pericolosamente vicino al gettito ordinario. “Dotato di un sistema fiscale poco elastico e che aveva visto nel tempo ridursi fonti di gettito importanti come quelle legate all’attività mineraria”7, il Tirolo si trovò sull’orlo del collasso finanziario. La pressione delle spese causate dalla guerra (nel 1647 i francosvedesi minacciavano di invadere la contea), sommata all’inadeguatezza del prelievo fiscale, costrinse gli arciduchi a fare cassa con tutto quanto era pos- 3. Palazzo Zenobio a Egna/Neumarkt Marco Bellabarba 4. Iscrizione affrescata sulla facciata di palazzo Zenobio a Egna/ Neumarkt a ricordo dell’acquisto dell’edificio da parte di Carlo Zenobio nell’anno 1729 16 sibile vendere sul mercato. L’escamotage di cedere al miglior offerente le giurisdizioni demaniali fu una delle soluzioni approntate nella fretta di recuperare gettiti finanziari. A Innsbruck si aveva familiarità con la cessione dei feudi, pratica a cui gli uffici camerali erano ricorsi parecchie volte in passato; molti dei lignaggi feudali insediati nella cintura dei castelli di frontiera trentini provenivano dalle valli interne del Tirolo o da province ancora più lontane (gli stiriani conti Trapp a Beseno e Caldonazzo) e dovevano quelle investiture a una lunga fedeltà verso la dinastia asburgica: erano tendenzialmente famiglie ricche, ma il loro prestigio aveva un’origine politica, non patrimoniale; potevano essere nate al di fuori della contea, ma arrivavano da territori comunque posti all’interno dell’Impero. Fedeltà e origini asburgiche come requisiti alle infeudazioni divennero meno vincolanti nel primo Seicento. La novità apportata dalla crisi militare seicentesca fu che i canali di approvvigionamento monetario oltrepassarono i confini imperiali. Pressata dall’incubo del tracollo finanziario, la Camera aulica di Innsbruck arciducale allargò il campo del reclutamento a chiunque potesse alleggerire l’esborso di interessi causati dal debito pubblico. Tra i beni demaniali da cui si poteva ricavare un gettito sicuro, le giurisdizioni signorili (i Gerichte nel lessico amministrativo tirolese) erano la risorsa più a portata di mano; la somma dei diritti giurisdizionali, delle rendite fondiarie e dei dazi di commercio, costituiva un insieme di entrate facilmente vendibili al migliore offerente. Che nell’urgenza della crisi fiscale non si potesse sottilizzare troppo sulle origini geografiche del compratore, mise a tacere le voci – neppure troppo numerose a dire il vero – contrarie all’ingresso di famiglie ‘straniere’ nel novero della vassallità tirolese. Le crude ragioni dell’interesse economico passa- rono sopra agli scrupoli di natura politica. Il 10 marzo 1648, l’arciduca Ferdinando Carlo, reggente della contea del Tirolo, investiva il veronese Pietro Zenobio e i suoi discendenti come Gerichtsherren delle giurisdizioni di Enn e Caldiff (figg. 3-6), Salorno e Königsberg/Montereale, dietro il versamento di 336.000 fiorini. Nell’atto d’investitura, la Camera aulica giustificava la cessione dei due feudi, collocati in una posizione strategica nella valle dell’Adige e ai confini con il Principato vescovile di Trento8, adducendo i tempi della guerra e la necessità, “pro defendenda patria”. Pietro Zenobio saliva a prendere possesso delle giurisdizioni, presenti una commissione arciducale e i delegati delle comunità suddite, aggiungendo per altro l’acquisto della corte franca di Winkel, a Maia Alta presso Merano, per l’importo di 23.500 fiorini (che avrebbe rivenduto trent’anni dopo). La pratica dell’insediamento si chiudeva con l’elevazione di Pietro al grado di conte del Sacro Romano Impero, concessa il 14 marzo 1649, e con la conferma a titolo di “feudo nobile, regale e antico” da parte dell’imperatore Leopoldo I nel 1666, che alla morte dell’arciduca Sigismondo Francesco (1665) aveva ereditato il complesso dei beni spettanti fin lì al ramo tirolese degli Asburgo. Ma attorno alla metà del Seicento la fisionomia del paesaggio feudale tirolese stava cambiando velocemente anche altrove. Caldaro e Laimburg, non molto lontano dai possedimenti degli Zenobio, passarono nel 1648 dai cives trentini Del Monte al barone veneziano Giovanni Andrea Giovanelli (a nome del nipote Carlo Vincenzo) per la somma di 105.000 fiorini. Le due giurisdizioni, cedute in pegno “pro defensione eiusdem Provinciae arduis bellorum temporibus”, venivano consegnate definitivamente ai Giovanelli da Leopoldo I il 4 novembre 1662. Sempre in quell’anno, un identico trasferimento di soldi e di terre riguardò la giurisdizione Patrizi veneziani e nobili imperiali: Giovanelli e Zenobio in Tirolo (XVII e XVIII secolo) di castel Telvana, nella bassa Valsugana. Il primo passo fu la cessione in pegno del feudo9, passato velocemente di mano tra 1653 e 1662 dopo due secoli di possesso ininterrotto dei conti Welsperg. Il 30 settembre 1662, l’arciduca Ferdinando Carlo riceveva da Giovanni Andrea 92.000 fiorini pagati “in pronta pecunia” per il riscatto delle giurisdizioni di Telvana e San Pietro, impegnate fin lì a Giacomo Natali e Antonio Bartoli, “in subsidium Camerae nostrae”. Esattamente com’era accaduto nel caso dei feudi Zenobio, l’imperatore Leopoldo I tra il 6 e l’8 agosto del 1678 stabilizzava l’investitura dopo aver intascato da Giovanni Andrea ulteriori 300.000 fiorini da sborsarsi alla Camera tirolese, comandando ai sudditi di Telvana di riconoscere i Giovanelli in quanto loro veri signori, “sive Germanicis dictis Gerichtsherren”10. Dietro l’arrivo degli Zenobio e dei Giovanelli nei ranghi sempre sospettosi della feudalità tirolese premevano motivi finanziari: le formule ricorrenti nei testi delle investiture – “pro subventione et defensione Provinciae”, “pro defendenda Patria” – sembravano scritte apposta per mettere a tacere gli scrupoli creati dalle tensioni politiche con Venezia. I nuovi titolari dei feudi – e questo rendeva il trasferimento meno problematico – non erano dei perfetti estranei né in Tirolo né nell’impero germanico. I mercanti Zenobio, nel 1627 registrati al vertice della ricchezza tra i cittadini di Verona, erano presenze fisse dai primi anni del Seicento alle fiere di Bolzano. Pietro e il cugino Bartolomeo avevano ricoperto più volte la carica di consoli e consiglieri nel tribunale del magistrato mercantile11: mercanti di panni lana, imprenditori nel settore serico, grandi proprietari nel distretto veronese e soprattutto prestatori di denaro alla Camera arciducale – l’investitura pignoratizia dei feudi nel 1647 equivaleva a crediti dichiarati inesigibili a Innsbruck12 – gli Zenobio avevano quindi una lunga dimestichezza con le attività economiche al di fuori dei confini veneziani. Anche l’ascesa sociale ed economica dei Giovanelli si era snodata secondo un itinerario molto simile. Originari di Gandino nel Bergamasco si erano arricchiti con il commercio, la produzione e la tintura dei panni13, distribuendoli sia nelle città italiane, sia fra Germania, Ungheria e Boemia. I rapporti con le piazze commerciali tedesche avevano fatto da traino a investimenti in attività imprenditoriali nel regno di Ungheria (miniere per lo più) e nel finanziamento alle guerre condotte dagli Asburgo contro la minaccia ottomana: i titoli di barone e consigliere di corte, “Camergravio” d’Ungheria (responsabile delle miniere nella città slovacca di Banská Štiavnika) e “Supremo Commissario militaris expeditionis” raccontavano un’intimità con la corte di Leopoldo I che aveva reso facile a Giovanni Andrea aggirare ogni eventuale resistenza dell’aristocrazia tirolese14. Far parte del giro di uomini d’affari che finanziavano le casse imperiali non era l’unico tratto di somiglianza tra le due famiglie. Una seconda analogia, anche questa scaturita da ragioni finanziarie, era rintracciabile nell’acquisto della dignità patrizia veneziana, avvenuto per gli Zenobio nel marzo del 1647 e per i Giovanelli nell’aprile del 1668. L’estenuante campagna militare combattuta per la difesa di Candia (1645-1669) aveva costretto Venezia in uno stato di sofferenza finanziaria non molto diversa da quella subita nella contea tirolese più o meno nei medesimi anni. Nel tentativo di evitare il crollo del debito statale la Repubblica aveva deciso di vendere tutto quanto fosse possibile – feudi, beni comunali, dazi, appalti – e infine il titolo di patrizio veneziano, l’unica possibilità di accedere ai consigli di governo veneziano. L’apertura a titolo oneroso dell’ingresso al Maggior Consiglio (e di lì a tutti gli altri organismi direttivi) scardinava una tradizione di chiusura secolare e fu pertanto accompagnata da discussioni serrate che si prolungarono fino allo sblocco definitivo del 1646. Gli Zenobio furono tra i primi a presentare la loro supplica di aggregazione, ostentando un solido curriculum di fedeltà repubblicana e la disponibiltà immediata a pagare i 100.000 ducati (di cui 40.000 in deposito alla Zecca) stabiliti dal Maggior Consiglio affinché Pietro fosse “con li figli e descendenti in perpetuo honorato della Nostra Nobiltà”15. Tutto si svolse senza impedimenti anche per la richiesta presentata 5. Pittore ignoto, Armigeri, affresco. Egna/Neumarkt, palazzo Zenobio 17 Marco Bellabarba dai Giovanelli, nonostante fossero a quella data già baroni dell’Impero, mentre gli Zenobio, in una sequenza inversa, avrebbero ricevuto il titolo di conti tirolesi nel 1651 dopo quello patrizio. La mole di denaro di cui poteva disporre Giovanni Andrea a nome della famiglia fu distribuita oculatamente. Pochi mesi prima di comperare il rango patrizio investì a nome della famiglia 200.000 ducati nell’acquisto del titolo di conte di “Morengo e Carpenedo”, dove possedeva enormi proprietà fondiarie e sopravviveva una delle poche giurisdizioni feudali dei territori veneziani al di là del Mincio16. Sbrigata la partita fondiaria nel Bergamasco, la condizione di feudatario asburgico (c’erano d’altronde altre famiglie, come i Widmann carinziani, collocabili su un registro di doppia lealtà asburgica e veneziana) dovette essere derubricata nelle discussioni del Maggior Consiglio a semplice investimento patrimoniale. Non sappiamo per quali motivi Giovanni Andrea si convincesse ad approfittare della messa sul mercato dei feudi tirolesi solo attorno alla metà del Seicento; ma una volta al corrente della probabile vendita ponderò attentamente le modalità con cui impiegare la sua ricchezza. A fare da tramite per l’acquisto furono gli Zambelli, la famiglia di mercanti bassanesi che aveva tenuto per qualche anno il feudo di Castellalto. Il 13 maggio 1646, Mattia Zambelli scrive da Bassano ad Armenio Buffa che essendo “pervenuto all’orecchio di un mio Padrone che si retrova alla vendita il Borgo di Valsugana e il suo territorio desidera che io procuri averne la certezza di questa verità, il prezzo, le rendite in che consistono, il titolo, la qualità del loco, il sito, le li defici [sic!] dominicali, et finalmente brama averne quelle maggior informazioni che si può umanamente desiderare”17. Buffa, allora capitano di Castellalto, risponde con una descrizione così entusiastica della signoria di Telvana e San Pietro da far supporre che i suoi datori di lavoro a corte gli suggeriscano di calcare i toni: 18 La giurisdizione di Telvana è stimata una delle prime dopo quella di Lientz della Contea del Tirolo per qualità, nobiltà e rendita […]. Ha sotto di sé la grossa terra del Borgo, e molti altri villaggi a questa signoria sottoposti; ha mero e misto imperio; ha bellissime caccie tanto in pianura quanto in monte di selvatici, et pesche di laghi e di Brenta che passa per mezzo; il castello è in eminenza, benissimo situato sopra la terra del Borgo, copioso di stanze e comodità, una esterna con annesso il locale per le donne addette ai soldati: è l’aria bonissima. Al castello sono obbligati li sudditi mantenierlo di legne da focho et mantenimenti de coperte et fabbriche di quello et suoi rokami et altro oltre le fationi et pioveghi dalli sudditi si devono pioveghi ai vignali, et pradi etc. Le sue entrate consiste parte in dinari di certa colta annua, livelli di biade, vini, graspati, regalie di carne porcina, galline, polli, ovi; ma la maggior summa è in decima de vini, biade, per le quali decime li sudditi sono anco obbligati a condurgliele. La somma delle entrate agricole e delle decime, assieme ai proventi delle condanne criminali, tocca i 10.000 fiorini austriaci all’anno, come provano i ricavi dei luogotenenti arciducali, e non si possono avere dubbi secondo Buffa circa la reddività di Telvana: una delle più grandi, più pingue et più dovitiosa che sii nel Contado del Tyrol, essendo situata alla via Imperiale che passa da Germania a Venetia, nei Confini d’Italia, fra Trento, Vicenza, Feltre, Padova e Bolgiano, come in centro. Ha un castello assai forte e munito di artiglieria et armi con il vantaggio che li sudditi sono obbligati mantenirlo in campi, fabbriche, fontane et in tutto quello occorre anche per legne da fuocho anche per orti et altre servitù che disobbligano il Patrone d’ogni spesa fuori che la cibaria ai servitori. Nonostante le trattative sfumassero per il momento, i vantaggi decantati da Armenio Buffa convinsero i Giovanelli a perfezionare l’acquisto nel 1662. Anche a distanza di anni, l’ordinata tabella delle “Annue entrate del Castello di Telvana” presentata nel 1646 (poco più di 10.000 fiorini d’entrata a fronte di soli 952 d’uscita), manteneva evidentemente tutta la sua forza di persuasione. La gran parte dei proventi ricavabili dai terreni infeudati, 7.320 fiorini in tutto, venivano dalle biade e dal “vino graspato buono”, alle quali si aggiungeva la voce (750 fiorini circa) delle condanne “per violazioni di mude” e le multe esigite dalla corte di giustizia. Un bilancio economico per quanto frettoloso orientò dunque i Giovanelli a ritenere i cespiti agrari più appetibili del prestigio derivante dal titolo di giusdicenti; e nel loro orizzonte di compatte ambizioni familiari, l’ubicazione di Telvana sulla “via Imperiale” tra Venezia, Padova e Bolzano doveva pesare più di quanto pensasse un uomo d’arme a tutto tondo come Armenio Buffa. A pochi chilometri da Telvana, superati i confini con Venezia, si apriva una proficua area di smercio per i prodotti della giurisdizione, che i Giovanelli pensarono subito di rimpinguare tramite l’acquisto di beni allodiali18. Su Bassano convergeva da secoli il mare di legnami proveniente dai boschi del Primiero e fluitato sul Brenta in direzione della terraferma; compagnie commerciali locali gestivano il mercato Patrizi veneziani e nobili imperiali: Giovanelli e Zenobio in Tirolo (XVII e XVIII secolo) 6. Il salone di castel Enn a Montagna/Montan alla fine del XIX secolo del legname con l’apporto di capitale finanziario veneziano in un reticolo densissimo di scambi che scavalcava facilmente il confine politico. Tra Cinque e Seicento “una politica di condivisione di affittanze di boschi, comproprietà o subaffitto degli impianti per la trasformazione della materia prima, consorzi per la ripartizione delle spese amministrative e gestionali”19, aveva spinto attori economici delle nationes veneta e tirolese dentro un giro d’affari lucroso; gli investimenti dei mercanti e dei patrizi veneziani erano stati ampiamente remunerati dagli utili delle vendite, mentre le famiglie degli imprenditori locali sfruttavano il traffico del legname per veloci ascese dentro gli apparati tirolesi. La vicinanza delle giurisdizioni della bassa Valsugana con le terre della Serenissima, una vera e propria ‘divoratrice di boschi’ in quei secoli, consolidò un tessuto comune d’interessi basato sul commercio del legname. Trafficatissimo era anche il porto fluviale di Lavis, nel feudo di Königsberg/Montereale appartenente agli Zenobio, dove si preparavano le zattere con i tronchi arrivati dalla val di Fiemme e le si facevano fluitare verso il corso dell’Adige in direzione di Verona. “E ogn’anno in tal modo – scriveva Michelangelo Mariani nel 1673 – ne anderanno alcune decine di migliaia in ciò acudendo i Mercanti et Appaltatori che in parte li lavorano nelle numerosissime segherie del paese”20. Se le somme prelevate sui dazi del legname costituivano una buona fonte d’entrata per i giusdicenti, non abbiamo tracce di un interesse durevole delle due famiglie in questo settore; forse per non entrare in un comparto già saturo di operatori, gli interessi dei Giovanelli voltarono altrove, verso Bassano, un luogo centrale per differenti attività manifatturiere. Mentre faticosamente nello Stato veneziano la produzione serica riprendeva vigore, una serie di tempestivi provvedimenti offrirono la possibilità ai mercanti di diventare produttori di filati e di disporre liberamente dei corsi d’acqua, sui quali costruire mulini o filatoi grazie “all’esenzione delle corvées reali e personali per gli immigrati”21. I Giovanelli ne approfittano e il 26 agosto del 1685 Giovanni Benedetto (il figlio di Giovanni Andrea, scomparso nel 1673) stipulò un contratto con il bassanese Domenico Bricito al fine di “erigere un edificio per lavorar orsogli alla bolognese nella terra del Borgo”22; decisi a irrobustire la loro presenza imprenditoriale, negli anni seguenti i Giovanelli aggiunsero al moderno filatoio ‘alla bolognese’, in rapida successione, oltre agli acquisti di arativi e prati, una sega per lavorare il legno e una fornace. I grandi edifici del filatoio e della “fabricha per il castello” che s’intravedono nella “Veduta del Borgo di Valsugana” lambire la strada imperiale a poca distanza dal convento di Sant’Anna sono ricordati con ammirazione nel Viaggio d’Italia in Inghilterra del cosmografo Vincenzo Coronelli pubblicato a Venezia nel 1697. Oltrepassato il corso del Brenta scrive Coronelli: 19 Marco Bellabarba 7. Disegnatore ignoto del XVIII secolo, Delineazione della Giurisdizione di Telvana. Trento, Castello del Buonconsiglio. Monumenti e collezioni provinciali 20 ch’è quivi assai picciolo, sopra tre Ponti di pietra, e colla corrente delle di lui limpide acque girano di continuo quattro grandi Edifici, di ben artificiosa struttura, fabbricati già dieci anni coll’esborso di dodicimila ducati dal Conte Gio: Benedetto Giovanelli. Lavorano questi per conto del celebre negotiante di Venetia, ed illustre per la sua eruditione Francesco Avogadro, che gli tiene ad affitto per quattrocento ducati annui, otto o novemila libbre di seta, che formano il principale commercio di detta terra, oltre quello degli armenti.23 L’investimento nella lavorazione della seta collega il feudo trentino dei Giovanelli alle manifatture di Bassano, uno dei distretti serici più attivi della Repubblica che dà lavoro nei primi anni del XVIII secolo a un migliaio di donne e ragazzi; inserisce allo stesso tempo la manifattura di Borgo nei flussi di merci che lasciano la terraferma diretti verso le piazze urbane dell’Impero. Le lamentele per le spedizioni spesso illegali “di sete semilavorate in trame e in orsogli alle fiere di Bolzano” o al ducato di Baviera, dove “viene espedita la maggiore et migliore parte delle sete che si fabbricano nel Trevigiano e nel Bassanese et le maestranze più perfette”, sono un motivo comune nei dispacci dei rettori veneziani24. Ma la quota delle esportazioni di seta è una voce così importante dei bilanci pubblici che i divieti restano disattesi. Le locazioni del filatoio proseguono indisturbate nel corso del Settecento, sot- toscritte dai Giovanelli a Venezia o, come capita più spesso, delegate a qualcuno dei loro agenti sul posto. Che il possesso del feudo trentino escluda un trasferimento stabile dei Giovanelli nel castello di Telvana è un dettaglio subito notato da Coronelli; in realtà, appena a ridosso della concessione imperiale, la gestione del feudo risulta affittata per 4.000 fiorini a un capitano “il quale ha le appellazioni in seconda istanza”, riscuote le decime e i livelli, provvedendo in cambio alle spese ordinarie della gestione25. L’assenza s’interrompe di tanto in tanto, durante la stagione estiva, quando il capofamiglia o qualche suo congiunto soggiornano a Borgo (figg. 7-8); si tratta comunque di un atteggiamento che stona con i costumi della feudalità vescovile o tirolese, per le quali la residenza nei castelli è un’abitudine e uno status irrinunciabile. “È gran tempo che noi fedelissimi suoi sudditi stiamo con sommo desiderio et allegrezza aspettando la bramata sua venuta”, supplicano gli uomini della comunità di Borgo nel 1672 al conte Giovanelli26, ma è una richiesta destinata a cadere nel vuoto. A confronto dei Giovanelli, gli Zenobio sono padroni molto più assenteisti; a Egna o a Lavis si fanno vedere di rado, e un capitano coadiuvato dalla sua piccola corte di salariati sbriga la gestione del feudo: solo in qualche caso, “atteso l’impedimenti che prohibiscono a Noi di ciò fare in persona”, gli Zenobio delegano un uomo di fiducia a visitare la giurisdizione, cedendo nelle mani di notabili locali “il buono et pacifico governo”27 del feudo. A partire Patrizi veneziani e nobili imperiali: Giovanelli e Zenobio in Tirolo (XVII e XVIII secolo) dagli ultimi decenni del Seicento, il meccanismo di scambio fra protezione nobiliare e obbedienza dei sudditi su cui si regge la vita quotidiana delle signorie mostra segni di allentamento in altri contesti della periferia imperiale: attratti dagli incarichi militari o dalle occasioni d’impiego ottenute a corte, anche lignaggi con un radicamento secolare nelle campagne trentine (Thun, Arco, Lodron, Spaur) stanno abbandonando le loro residenze; alcuni castelli lentamente si spopolano mentre in altri s’insediano rami cadetti o secondogeniture create ad hoc. Per la più parte sono processi di riposizionamento interni alle famiglie, tesi a ramificare la discendenza in luoghi diversi senza però distruggere del tutto i legami di sangue originari. I contratti d’affitto stipulati da subito con i capitani delle giurisdizioni a Telvana, Lavis e Caldaro segnalano al contrario una presa di distanza più radicale. Non è un indizio di disinteresse per quanto accade nei loro possedimenti. I continui litigi scoppiati con le comunità rurali testimoniano un’attenzione ostinata alle prerogative signorili. La suscettibilità dei Giovanelli per ogni minima lesione dei loro diritti si disperde in un numero quasi ingovernabile di fascicoli processuali: controversie per i pagamenti delle decime o contestazioni sulle corvée al castello intasano le carte dell’archivio di famiglia, combinate alle cause contro il vescovo di Feltre per il giuspatronato sulle chiese di Borgo28 e a quelle per i diritti sulla caccia che li vedono contrapposti ai feudatari vicini. Quando, nel 1782, i Giovanelli devono fronteggiare il rifiuto dei “nobili matricolati” tirolesi a riconoscere l’esclusività del loro privilegio di cacciare nel feudo, non esitano a interpellare il celebre intellettuale bassanese Giovanni Battista Verci affinché scovi nei diplomi imperiali più antichi un aiuto alle loro rivendicazioni29. L’insieme delle azioni giudiziarie offre una solida testimonianza della strategia patrimoniale messa a punto dai Giovanelli così come, a pochi chilo- 8. Disegnatore ignoto del XVIII secolo, Veduta del Borgo di Valsugana e Castel Telvana. Trento, Castello del Buonconsiglio. Monumenti e collezioni provinciali 21 Marco Bellabarba 22 metri di distanza, dagli Zenobio. Per entrambe, a maggior ragione dopo l’ingresso nel corpo patrizio, il “palcoscenico privilegiato della loro ascesa sociale”30 era Venezia. Con l’assillo tipico dei patrizi per il possesso di una dimora che offriva una misura visibile della loro ricchezza, comprarono i sontuosi palazzi di San Stae e Santa Fosca (acquistati dai due rami dei Giovanelli) o quello ai Carmini degli Zenobio abbellito da un “delizioso e amplo giardino”, che divennero le residenze abituali delle due famiglie. Poco propensi a spendere denaro nel rifacimento delle dimore feudali – al castello di Borgo ci si limitò all’ordinaria manutenzione31 –, Giovanelli e Zenobio mostrarono un disinteresse di fondo anche verso la società e la cultura feudale dei lignaggi aristocratici con cui confinavano. Tranne qualche scambio di corrispondenza, innescata per lo più da contese giurisdizionali, le relazioni si fermarono sulla soglia di contatti abbastanza freddi. Se mancò del tutto una politica orientata a stabilire legami matrimoniali con la nobiltà trentina o tirolese, a Venezia, invece, i matrimoni di giovani donne Zenobio con casate patrizie antiche arrivarono in fretta: nel 1664 Margherita, figlia di Pietro, sposava un Donà Riva di Blasio, discendente del doge Leonardo, e nel 1668 Virginia si accasava con un Lando San Luca, famiglia meno prestigiosa ma che poteva comunque vantare il titolo di procuratore di San Marco. Versamenti di dote cospicui permettevano nel frattempo ai Giovanelli di accedere al circuito matrimoniale veneziano: con minore disponibilità degli Zenobio, non potendo al momento “maritar due donne in Case vecchie e prendere in casa delle più conspicue per sangue”32, si imparentarono con i Gambara bresciani e i Valmarana vicentini, due altre famiglie nuove benché tra le più antiche delle rispettive città di terraferma. Nemmeno la dignità comitale aprì a una presenza nelle diete provinciali di Innsbruck, l’istituzione più importante della politica tirolese, o a qualche ufficio nella burocrazia asburgica, un terreno di ascesa sociale che i feudatari loro dirimpettai frequentavano assiduamente. Come ricordano le carte di famiglia, i conti (imperiali) Giovanelli erano prima di tutto “domiciliati in Venezia”33, “di Venezia”34, o semplicemente “Giovanelli di San Stae”35, e quel genitivo locativo definiva un’identità aristocratica che sopravanza le altre. Il senso di attaccamento repubblicano avrebbe influito sulla scelta di farsi strada dentro le cariche politiche, contando sulla solidità patrimoniale, la capacità di conservarla “e sull’ambizione di voler onorare il titolo patrizio impegnandosi in quelle magistrature” che nella seconda metà del Seicento cominciavano ad aprirsi alle “case fatte per soldo”36. Già negli an- ni ottanta del Seicento, gli Zenobio occuparono castellanie e reggimenti minori della terraferma, le podesterie di Chioggia, Rovigo, Feltre, Treviso, per salire a metà Settecento al capitanato di Verona, “raggiungendo l’apice con Carlo (1673-1733), che nel 1716, primo fra i membri delle nuove famiglie, venne eletto in Senato, venendo successivamente riconfermato fino alla sua morte”37. Benché vivessero “splendidamente et alla grande”, dividendosi tra i palazzi di Venezia e Verona, non si può dire che gli Zenobio, tolta la presenza in Senato, appartenessero all’élite politica marciana, una dimostrazione però che “si poteva occupare una posizione brillante e farsi un nome anche al di fuori della vita politica”38. Insolitamente brillante, tenuto conto della discriminazione a cui erano soggette le case aggregate al tempo di Candia, fu la carriera politica dei Giovanelli, che oltre a servire nei reggimenti di Crema, Vicenza, Treviso e Padova, ottennero una proiezione pubblica prestigiosa tra i patrizi “fatti per soldo”: Ferrigo di Zuanne Polo, del ramo di San Stae, divenne nel 1776 l’ultimo patriarca di Venezia, mentre il fratello Giovanni Benedetto fu eletto nel 1778 procuratore di San Marco de Citra, dignità vitalizia seconda solo a quella dogale e concessa a personalità distintesi particolarmente nelle cariche politiche o militari39. Legati così intimamente alle dinamiche politiche veneziane, per Giovanelli e Zenobio le giurisdizioni signorili “a parte Imperii” restavano quelle che erano state fino a quel momento, dei buoni investimenti finanziari e un titolo, comunque prestigioso, da aggiungere a una collezione già ricca di dignità nobiliari. Negli ultimi decenni del Settecento, i regolamenti emanati da Giuseppe II sull’amministrazione interna di tutti i feudi imperiali gravarono sulle spese richieste ai Gerichtsherren; sembra infatti che gli Zenobio, di fronte alle intromissioni governative, volessero disfarsi di Königsberg/Montereale e cederlo al conte Migazzi di Trento40, ritenendolo non più un buon affare. La vendita tuttavia naufragò e i contorni giurisdizionali fissati dalle investiture seicentesche non cambiarono. Fermi in questo tracciato li trovarono nel 1806 i funzionari del regno di Baviera, subentrati in Tirolo al dominio austriaco a seguito della vittoria di Napoleone ad Austerlitz. Pochi mesi dopo aver assunto il governo della contea, i bavaresi ordinarono una minuziosa ricognizione delle rendite feudali, al fine di assorbirle nel demanio regio di tutte le signorie dinastiali presenti in Tirolo, per lo meno di quelle censite: le più redditizie in assoluto risultavano possedute dai conti Zenobio, fra Königsberg, Salorno ed Egna; al secondo posto, con un certo distacco, il Gericht di Telvana dei patrizi e conti veneziani Giovanelli41. Patrizi veneziani e nobili imperiali: Giovanelli e Zenobio in Tirolo (XVII e XVIII secolo) NOTE Casetti 1981, p. 60. Becker 2000, p. 438; Segnana 2005, pp. 23-24. 14 Tra il 1662 e il 1663 Giovanni Andrea, oltre a rifornire l’armata, aveva partecipato in prima persona alle battaglie contro i Turchi, come quartiermastro generale, al comando di un reggimento di fanteria da lui stesso reclutato (Becker 2000, p. 439). 15 Casetti 1981, p. 243. 16 Zamperetti 2016, p. 68. Il paese di Morengo era in condominio con il vescovo di Bergamo e i procuratori di San Marco; Giovanni Andrea acquistò infatti la metà veneziana, che includeva il giuspatronato sulla parrocchia. 17 BCTn, BCT1-2687, c. 149; una prima segnalazione del manoscritto in Nequirito 1988. 18 ASTn, Archivio Giovanelli, b. 18, fasc. 36: “Acquisti de’ beni allodiali in Borgo Valsugana”. Il fascicolo inizia con acquisti nel 1685 e prosegue fino agli sessanta del Settecento. 19 Occhi 2013. 20 Il passo da Trento con il Sacro Concilio et altri notabili di Michelangelo Mariani è citato da Casetti (1981, p. 106), che documenta la straordinaria presenza di segherie e mulini a Lavis lungo tutta l’età moderna. 21 Mattozzi 1997, p. 445. 22 ASTn, Archivio Giovanelli, b. 7, fasc. 629/18. 23 Coronelli 1697, p. 78 Ringrazio Denis Ton per avermi segnalato l’interessantissimo passo del Coronelli. 12 13 Cozzi 1986, p. 11. Così, nei diari del veneziano Gerolamo Priuli, a pochi mesi dalla battaglia di Agnadello (Priuli [1499-1512] 1949, p. 191). 3 Bonoldi 2020b. 4 von Voltelini [1918] 1999, pp. 127-128. 5 Casetti 1981, pp. 57-61. 6 von Voltelini [1918] 1999, pp. 214-220. 7 Bonoldi 2020b, p. 247. 8 Per una ricostruzione dettagliata delle vicende si veda Bonoldi 2020b, accanto al più datato Tolomei 1942. 9 Beimrohr 2015, pp. 33-61; le entrate prodotte dai redditi giurisdizionali venivano calcolate come interessi del capitale versato; proprio a partire dal XVII secolo la pratica di acquistare o ricevere in pegno i feudi per tempi molto lunghi aumentò in maniera considerevole. In generale, sulla forte mobilità signorile tra Impero e Italia in questo periodo, si veda Taddei 2020. 10 ASTn, Archivio Giovanelli, b. 6, fasc. 3/527: “dictos Giovanellios pro illorum veris et determinatis Dynastis sive Germanicis dictis Gerichtsherren agnoscant, iussibus eorum pareant”. I fascicoli 569 e 571 della busta contengono altre copie sette-ottocentesche, delle investiture di Telvana e Caldaro/Laimburg. Sulle fasi dell’insediamento in Valsugana si rimanda a Segnana 2005. 11 Bonoldi 2020b, p. 239. 1 2 Mattozzi 1997, pp. 454-455. Coronelli 1697, p. 77. 26 ASTn, Archivio Giovanelli, b. 6, fasc. 3, n. 526, 23 aprile 1672. 27 Casetti 1981, p. 71. 28 Di cui trattano ampiamente Federico 2006; Segnana 2002, p. 34. 29 La risposta del Verci in ASTn, Archivio Giovanelli, b. 18, fasc. 28. Lo stesso Verci descrive negli anni settanta la vitalità dei rapporti economici fra la sua Bassano e le regioni tedesche: “Sopra ogni cosa sorprendente, è il commercio della seta, che di giorno in giorno diviene sempre più considerabile. Incredibili sono le spedizioni che da questa città si fanno per l’Inghilterra, per la Germania, per la Francia e per l’Olanda”; si veda Berti 1988, p. 62. 30 Bonoldi 2020b, p. 250. 31 Lavori che dovevano essere forniti dalle comunità del feudo (ASTn, Archivio Giovanelli, b. 20, n. 533, filza 62). 32 Sabbadini 1995, pp. 77-79, 104, 106. 33 ASTn, Archivio Giovanelli, b. 6, fasc. 28. 34 Ivi, b. 18, fasc. 33. 35 Ivi, b. 7, fasc. 628/20. 36 Sabbadini 1995, p. 137. 37 Bonoldi 2020b, p. 244. 38 Hunecke 1997, p. 353. 39 Dal Borgo 2000, pp. 441-442. 40 Bonoldi 2020b, p. 244. 41 von Hörmann 1816, p. 445. 24 25 23 PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO Castello del Buonconsiglio Monumenti e collezioni provinciali Castel Beseno Castel Caldes Castel Stenico scripta edizioni