arte
Veneta
69
/2012
Electa
arte
Veneta
Rivista di storia dell’arte fondata nel 1947
Redazione
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Irina Artemieva
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Giordana Mariani Canova
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La Bibliograia dell’arte veneta (2011)
è disponibile in ebook scaricabile
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SOMMARIO
11 Un Cristo attribuito ad Andriolo
de Santi nello Szépművészeti
Múzeum di Budapest
Szilárd Papp
23 I sottarchi di Altichiero
e la numismatica.
Il ruolo delle imperatrici
Ettore Napione
41 Un’opera giovanile di Tiziano:
il Ritratto d’uomo di Copenaghen
Matthias Wivel, Troels Filtenborg
55 Nuovi documenti sui rapporti
di Francesco Solimena
con la committenza veneta
e una proposta per l’Apollo e Dafne
Simona Carotenuto
71 Lo specchio di Armida: Giambattista
Tiepolo per i Corner di San Polo
Massimo Favilla, Ruggero Rugolo
107 Giambettino Cignaroli, Leda
e i re di Polonia
Andrea Tomezzoli
SEGNALAZIONI
118 Un San Michele arcangelo di Nanni
di Bartolo nel monastero femminile
di San Michele di Campagna
a Verona
Mattia Vinco
123 Vere da pozzo veneziane all’Avana
Samo Štefanac
128 Per la provenienza di un Cristo
benedicente di Giovanni Bellini
dal complesso agostiniano
di Santo Stefano a Venezia
Sara Menato
133 Marco Mantova Benavides
e l’allegoria della Pecunia:
una nuova interpretazione
del dipinto di Gualtiero
Padovano nella Gemäldegalerie
Alte Meister di Dresda
Sören Fischer
141 Due nuovi dipinti mitologici
di Giuseppe Salviati
David McTavish
144 Non Campagna, ma Cavrioli.
Una Madonna veneziana a Londra
Luca Siracusano
147 Giusto Le Court e il Monumento
Pesaro ai Frari: un bozzetto
per i “quattro bellissimi Africani”
Damir Tulić
151 Un inedito Langetti in territorio
veronese
Luca Fabbri
153 Giovanni Antonio Zonca: sulle tracce
dell’artista
Maria Chiara Sassu
157 Una pala d’altare di Giuseppe Nogari
a Favaro Veneto
Nina Kudiš, Damir Tulić
176 La Galleria Curtoni di Verona:
la sua dispersione e qualche recupero
Davide Dossi
184 Note minime per Federico Bencovich
Lino Moretti
186 Documenti e precisazioni attributive
riguardanti Giovanni Gai
Fabien Benuzzi
190 Un’aggiunta a Giambattista Tiepolo
per i Corner di San Cassiano
Massimo Favilla, Ruggero Rugolo
191 “Muchos orixinales del Bernini
y de Langarde”: sul possibile
apprendistato di Francisco de Goya
y Lucientes presso Ca’ Farsetti
a Venezia
Raquel Gallego
RESTAURI
197 Sul Ratto delle Sabine di Giambattista
Tiepolo a Helsinki
Eleonora Lanza
IN MEMORIAM
207 Italo Furlan
Giovanna Valenzano
CARTE D’ARCHIVIO
159 Precisazioni documentarie sui lapicidi
da Castello e sull’attività di Francesco
nel cantiere di San Giorgio in Braida
a Verona
Bruno Chiappa
169 Novità archivistiche sul pittore
Pietro Bellotti
Silvia Merigo
211 Giovanni Lorenzoni
Tiziana Franco
ebook Bibliograia dell’arte veneta
(2011)
a cura di Daniele D’Anza
Firenze 1972, p. 277) come allievo di
Andrea Voltolini e Louis Dorigny. Un
altrettanto misconosciuto “Danielo”
Tedeschi è ricordato nel 1672 tra gli
artisti attivi presso il monastero di
San Michele di Campagna (vedi nota
seguente).
12 Per la descrizione dei lavori in chiesa vedi B. Finetti, L’antico monastero…,
cit., pp. 59-60, 62, 64-66, 70 e M. Maimeri, San Michele Extra nella storia,
nell’arte, nella vita, Verona 1962, p. 71,
ig. n.n.
13 Sull’antica chiesa romanica R.
Brenzoni, L’antica cappella di S. Michele
in Campagna, “Atti dell’Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti”, LXXXV,
1925-1926, pp. 519-553. Per la decorazione ad afresco e per la croce stazionale vedi E. Sandberg Vavalà, Pittura
veronese del Trecento e del primo Quattrocento, Verona 1926, pp. 102-104; F.
Piccoli, Altichiero e la pittura a Verona
nella tarda età scaligera, Caselle di
Sommacampagna (Verona) 2010, pp.
126-127.
14 B. Finetti, L’antico monastero…,
cit., p. 130. Questa trasformazione
va interpretata come conseguenza
dell’erezione della nuova chiesa parrocchiale, di cui venne posta la prima
pietra nel 1755 (ivi, p. 95).
15 Le pale della chiesa sono così descritte da G.B. Lanceni, Ricreazione
pittorica osia Notizia universale Delle
pitture nelle Chiese, e Luoghi Pubblici
della Città, e Diocese di Verona [Verona
1720], a cura di M. Polazzo, Verona
1986, p. 297: “La detta chiesa ha cinque altari: il Maggiore è dell’arcangelo in atto di scacciare Lucifero: opera
del vecchio Cesarino. Altro laterale
del Santissimo, con Santi Giuseppe
e Antonio: opera dello Spadarino.
Altro del Crociisso, ec. Dirimpetto
v’è la pala della Vergine, e Bambino,
con due santi in alto, sotto San Domenico, ed un santo vescovo: opera
di Giovanni Battista Bellotti, fatta del
1702. La seguente è di Santi Rocco e
Sebastiano: opera del Rossi detto il
Gobbini”. Questi dipinti sono ricordati
anche da G. Biancolini, Notizie storiche
delle chiese di Verona, Verona 1749, II,
pp. 483-484. Qualche scarna notizia
sullo Spadarino e su Cesarino il vecchio, alias Giulio Cesarini, è riportata
da D. Zannandreis, Le vite…, cit., pp.
333-334; R. Brenzoni, Dizionario…,
cit., pp. 86, 273. Sullo Spadarino vedi
da ultimo E.M. Guzzo, Vicende artistiche tra XII e XX secolo, in La venerabile
pieve dei Santi Apostoli in Verona: ricerche storiche nell’ottavo centenario della
consacrazione, a cura di P. Brugnoli,
Verona 1994, pp. 206, 216, nota 115.
Non resta invece più traccia degli altri
dipinti. Le notizie riportate dalle fonti
sull’esistenza di queste pale sono confermate anche dai documenti d’archivio consultati da don Finetto: “Donna
Anna Catterina Alberti [badessa nel
1712, deceduta il 23 settembre 1713]
si ebbe nel Capitolo del 1 Maggio
(1712) i voti maggiori, per cui fu eletta
badessa; ed ordinò a Francesco, forse
padre di Felice Cappelletto, o Cappelletti, distinto pittore, di accomodare
e rinfrescare a nuovo la pala dell’altar
maggiore, essendo tutta in pezzi, come
pure quella del Rosario. Nel 1703 aveva dipinte pel monastero quattro tele,
tra quelle una di S. Eurosia, protettrice per la liberazione della gragnuola.
Fece ripassare anche tutti i corami ad
oro delle colonne, delle arcate, degli
altari, ed i pali degli altari di tutte le
cappelle del Monastero […]. Fa restaurare i tre altari del coro, quello di
mezzo detto maggiore, che aveva il
122 / Segnalazioni
dipinto di S. Michele del celebre pittore Giulio Cesarini, che, pare, nato a
S. Michele; l’altare a destra, quello del
Sacramento, un tempo proprietà dei
Fratelli della Misericordia, detti anche
Negri, e volgarmente Frati Mori, che
teneva dipinto l’ostensorio in gloria
con alcuni santi in atto di adorazione,
opera del M[aestro] Spadarini, che si
ritiene nato pure a S. Michele; ed il
terzo della Madonna del Rosario con
altri dipinti in tela ed in afresco di
G.B. Bellotti” (B. Finetti, L’antico monastero…, cit., p. 76).
16 Ivi, p. 98. Va detto che la scultura
di san Zeno vescovo – ma più probabilmente si tratta di san Benedetto −
non è afatto un “lavoro pregevolissimo”, ma una modesta scultura lignea
di primo Cinquecento. Fu merito della
priora Gesualda Negri, badessa nel
1776, aver fatto trasportare nel 1778
dal coro all’altare dell’odierna sacrestia l’afresco raigurante San Michele
di Paolo Farinati che “nel trasporto si
spezzò orizzontalmente, rovinandosi
la parte inferiore ove era dipinto il demonio ed una parte dell’inferno, che
per la verità artistica incuteva terrore
al solo vederlo” (ibidem). In questo
modo veniamo a conoscere i motivi
per cui l’afresco di Paolo Farinati, ancora in situ, si presenta mutilo.
17 La Crociissione dell’Hotel Due Torri
è pubblicata da G. Ericani, La scultura
a Verona al tempo di Pisanello, in Pisanello, catalogo della mostra (Verona,
Museo di Castelvecchio), a cura di P.
Marini, Milano 1996, p. 340 e assegnata al catalogo dei Maestri caronesi in
G. Gentilini, Virtù ed eroi di un’impresa
dimenticata: il monumento di Vitaliano
e Giovanni Borromeo, in Scultura lombarda del Rinascimento: i monumenti
Borromeo, a cura di M. Natale, Torino
1997, pp. 73, 82, nota 138; per la ricostruzione del trittico di Avesa vedi T.
Franco, “Statuit hoc d(omi)na Bea/trix
priorissa loci huius”: il trittico del 1436
per San Martino di Avesa, in Il cielo, o
qualcosa di più. Scritti per Adriano Mariuz, a cura di E. Saccomani, Cittadella
(Padova) 2007, pp. 39-45.
18 Queste datazioni sono proposte in
L. Bellosi, Nanni di Bartolo: soprattutto
le Madonne, in A. Markham Schulz,
Nanni di Bartolo e il portale di San Nicola a Tolentino, Firenze 1997, pp. 8198; Ead., Nanni di Bartolo e il portale di
San Nicola a Tolentino, ivi, pp. 19-80; G.
Gentilini, Donatello e Nanni di Bartolo.
Una inedita Madonna in terracotta, Firenze 2007. Sul restauro della Madonna con il Bambino di Ognissanti vedi C.
Fornari, M. Galeotti, F. Kumar, Ricerca
di nuovi materiali da integrazione per
la terracotta: il restauro della ‘Madonna
col Bambino’ di Nanni di Bartolo detto
il Rosso (noto 1419-1451), “OPD restauro”, 24, 2012, pp. 241-248; M. Bietti, C.
Fornari, Nanni di Bartolo detto il Rosso,
“Kermes”, XXV, 2012, 87, pp. 42-49.
Vedi inoltre la scheda di T. Mozzati,
in La primavera del Rinascimento. La
scultura e le arti a Firenze 1400-1460,
catalogo della mostra (Firenze, Palazzo Strozzi - Parigi, Musée du Louvre),
a cura di B. Paolozzi Strozzi, M. Bormand, Firenze 2013, pp. 384-385, cat.
IV.4. Per un riepilogo sul soggiorno
veneziano di Nanni di Bartolo mi permetto di rimandare da ultimo anche
a M. Vinco, Una Madonna col Bambino di Nanni di Bartolo, in Renaissance
Studies in honor of Joseph Connors, a
cura di M. Israëls, L.A. Waldman, Milano 2013, I, pp. 107-113. Per il Veneto, Nanni di Bartolo è autore anche
di una terracotta con la Madonna col
Bambino e un putto nella chiesa par-
rocchiale di Santa Maria a Pozzonovo
(vedi G. Ericani, La scultura…, cit., pp.
334-335); Ead., in Pisanello. I luoghi del
gotico internazionale nel Veneto, a cura
di F.M. Aliberti Gaudioso, Milano 1996,
pp. 222-223.
19 Sulla presenza di scultori iorentini
a Verona ci si limita a rimandare a T.
Franco, Michele Giambono e il monumento a Cortesia da Serego, Padova
1998, pp. 33-54; P. Brugnoli, Scultori
iorentini nella Verona del Quattrocento, “Verona Illustrata”, XXIV, 2011, pp.
5-14; M. Vinco, Integrazioni all’attività
veronese di Pietro di Niccolò Lamberti
e Nanni di Bartolo, “Prospettiva”, 138,
2010, pp. 16-27. In questo contesto mi
pare sia utile ricordare, oltre ai guerrieri caronesi del monumento funebre di Vitaliano e Giovanni Borromeo,
anche i due San Giorgio del Museo
dell’Opera del Duomo di Ferrara e del
Museo Nazionale di Ravenna, pubblicati da G. Gentilini, Virtù ed eroi…, cit.,
p. 70, igg. 142-143.
20 G.M. Varanini, L’autore dell’arca
Guantieri in Santa Maria della Scala di
Verona, in La cappella Guantieri in S.
Maria della Scala a Verona. Il restauro degli afreschi di Giovanni Badile e
dell’Arca, a cura di M. Cova, Verona
1989, pp. 113-121; sul restauro P. Bacchin, Relazione tecnica sul restauro degli afreschi e dell’arca, in La cappella
Guantieri…, cit., pp. 125-126. La fortuna di san Michele arcangelo in questo
torno d’anni a Verona è testimoniata
anche dalla cuspide centrale dell’“Ancona Fracanzana” − un polittico della
bottega di Giovanni Badile, ora conservato al Museo di Castelvecchio ma
proveniente dal monastero femminile
di San Martino ad Avesa − commissionato nel 1428 da suor Lucia Fracanzani (vedi da ultimo G. Peretti, in Museo
di Castelvecchio. Catalogo generale dei
dipinti e delle miniature delle collezioni
civiche veronesi, I. Dalla ine del X all’inizio del XVI secolo, a cura di P. Marini, G.
Peretti, F. Rossi, Cinisello Balsamo [Milano] 2010, pp. 104-105, cat. 64).
21 B. Finetto, L’antico monastero…,
cit., p. 34; G. Biancolini, Notizie storiche…, cit., V/1, p. 165.
Vere da pozzo veneziane all’Avana
Samo Štefanac
Nei campi e nelle corti di Venezia si trovano tuttora centinaia di vere da pozzo, solo una piccola parte di quelle
originariamente presenti nella città lagunare. Secondo
le statistiche, nel 1858 a Venezia c’erano più di seimila
pozzi, ma in seguito all’introduzione dell’acquedotto nel
corso dell’Ottocento e nel primo Novecento moltissimi
caddero in disuso e vennero interrati e le vere da pozzo
furono vendute sul mercato antiquario. Non sappiamo
quanti puteali siano stati alienati né quanti rimangano
in città, e un ulteriore ostacolo alla ricerca è rappresentato dal fatto che non tutte le corti private sono accessibili
agli studiosi1.
Le vere da pozzo erano oggetto dell’interesse dei collezionisti già dal Seicento ma, con l’estendersi nell’Ottocento del mercato delle antichità, molte sono inite sia in
collezioni private (di solito nei giardini e spesso utilizzate
come vasche per coltivare le piante) sia nei maggiori
musei, come ad esempio lo Szépművészeti Múzeum di
Budapest, il Musée Jacquemart-André di Parigi o il Victoria and Albert Museum londinese2. Non meno importante del mercato europeo era, per i puteali, quello americano, dove oltre a dipinti, sculture e pezzi “ornamentali”
come vere da pozzo, stemmi, formelle e patere, hanno
trovato fortuna anche frammenti architettonici e perino arredi di interi palazzi veneziani3. Presentiamo qui tre
vere da pozzo veneziane sinora sfuggite all’attenzione
degli studiosi e recuperate a Cuba, nel centro storico
dell’Avana (Habana Vieja).
Il primo di questi puteali (ig. 1) si trova nel chiostro
maggiore dell’ex convento di San Francisco de Asís, ora
sede del Museo d’arte sacra. Si tratta di un manufatto in
pietra d’Istria a forma di capitello, a pianta circolare con
coronamento ottagonale, composto da abaco, toro e listello; sul guscio, le foglie di cavolo formano una specie
di voluta, gli spazi intermedi sono ornati da rosette e
ospitano due stemmi e due monogrammi IHS4. Il puteale è posto su un basamento ottagonale, ma questo probabilmente non è coevo, in quanto è di pietra diversa e
non identiicabile a vista. Con tali caratteristiche, questo
esemplare ben si inserisce nella tipologia delle vere da
pozzo veneziane: la forma deriva presumibilmente dai
capitelli della loggia di Palazzo Ducale ed è assai difusa
nel Tre e Quattrocento: tra gli esemplari tuttora presenti
a Venezia, due sono particolarmente vicini. Due vere,
tuttora esistenti a Venezia, presentano ainità stilistiche
e tipologiche: una si trova in campiello Barozzi nel sestiere di San Marco5 e l’altra in campiello delle Strope a
San Giacomo dell’Orio nel sestiere di Santa Croce6. Questi tre puteali hanno molti punti in comune: oltre alla
forma con coronamento ottagonale e all’andamento
della cornice (che nell’esemplare in campiello delle Strope è purtroppo quasi completamente distrutta), vale la
pena di menzionare anche il modellato e la tecnica di
lavorazione delle foglie e delle rosette con l’uso del trapano. Tutto questo suggerisce che siano opera della
stessa bottega, sebbene il confronto dei soli elementi
ornamentali, peraltro molto comuni tra i lapicidi
dell’epoca, non possa rendere sicura l’attribuzione7. Di
struttura molto simile alle nostre vere da pozzo, per
quanto è possibile giudicare dalle foto d’epoca, erano
anche due pezzi (dispersi): il primo in una corte vicino al
ponte della Donna Onesta nella parrocchia di San Pantalon8 e l’altro al palazzo del Cammello alla Madonna
dell’Orto9.
Rimane aperto il problema della datazione del puteale
dell’Avana. I primi pozzi a forma di capitello con coronamento ottagonale appaiono nel Trecento e sono caratterizzati da foglie acquatiche: esemplari di questo tipo si
trovano nella corte di Coregio (Santa Croce)10, nel campiello del Basegò al Malcanton (Dorsoduro)11 e nel Museo Correr, proveniente da calle Cavallerizza ai Santi Giovanni e Paolo12. Per le due vere da pozzo che abbiamo
messo a confronto con la nostra, Alberto Rizzi ha proposto una datazione tra il tardo Trecento e il primo Quat-
1. Vera da pozzo, XV secolo.
L’Avana, ex convento di San
Francisco de Asís, primo chiostro.
123 / Segnalazioni
trocento e in base allo stile questa ipotesi potrebbe andare bene anche per la vera del convento di San Francisco de Asís all’Avana, ma la presenza dei monogrammi
IHS (con la croce sopra la “H”) che si possono leggere come emblemi di san Bernardino da Siena, suggerisce una
datazione probabilmente non anteriore al secondo
quarto del Quattrocento13. Possiamo pure escludere la
possibilità che gli emblemi siano stati aggiunti in un secondo memento in quanto i caratteri, in minuscola gotica, non sono incisi bensì scolpiti in bassorilievo e quindi
coevi al resto della decorazione scolpita.
A prima vista, lo spostamento della datazione del puteale non è compatibile con l’ipotesi che la vera da pozzo
ora all’Avana sia opera della stessa bottega che ha realizzato anche quelle dei campielli Barozzi e delle Strope,
ma un particolare presente in queste ultime mette in
dubbio anche la loro datazione precoce. Entrambe sono
ornate da scudi “a mandorla”, una forma considerata rinascimentale14; in efetti, si può notare come nessuno
degli scudi di questo tipo ancora a Venezia sia datato al
Trecento e i più antichi esempi databili paiono quelli della tomba del doge Tommaso Mocenigo (Santi Giovanni
e Paolo), eseguita nel 1423 da Pietro di Niccolò Lamberti
e Giovanni di Martino da Fiesole15. Questo termine cronologico può servire come punto di riferimento per la
nuova datazione che, però, ancora una volta avvicina
cronologicamente le tre vere da pozzo, lasciando aperta
l’ipotesi di un’esecuzione nella medesima bottega16.
Oltre agli emblemi di san Bernardino da Siena, sul fusto
del puteale dell’Avana ci sono due stemmi gentilizi, entrambi negli scudi “a tacca”, che potrebbero servire per
rintracciare l’origine del manufatto nel caso si potessero
identiicare. Uno è interzato in banda, con la croce greca
scolpita in alto e una stella in basso. Le croci e le stelle
sono elementi comuni nelle insegne di molte famiglie e
proprio questo rende l’identiicazione particolarmente
diicile; ma nei vari repertori araldici veneziani non troviamo esempi che abbiano la stessa combinazione17.
L’altro, pure di forma “a tacca” e spartito nella stessa maniera, reca la raigurazione di un orso, accompagnato
da un ornamento vegetale sulla banda. Nemmeno questa composizione si trova negli stemmari, anche se la
presenza dell’animale suggerisce che si tratti di uno
“stemma parlante”, da associare con nomi come Orso
oppure Orseolo18. Ma se gli stemmi non ofrono alcun
indizio utile circa l’origine del nostro puteale, gli emblemi di san Bernardino fanno ipotizzare che appartenesse
originariamente a un convento francescano.
Il secondo puteale (ig. 3) si trova nel Patio de los laureles
del Colegio universitario San Jerónimo de la Habana,
ediicio costruito negli anni cinquanta del Novecento
nel centro storico dell’Avana tra le calli Obispo, Mercaderes, O’Reilly e San Ignacio e recentemente ristrutturato. È
una vera da pozzo tardogotica in pietra d’Istria, dal fusto
cilindrico a coronamento quadrato la cui cornice è decorata con abaco, fregio a punta di diamante e listello; il
fusto è ornato da foglie grasse angolari, mentre negli
spazi intermedi sono inseriti due vasi con iori, una rosetta e uno stemma sormontato da un elmo con la igura
di un grifone. Lo scudo è di forma insolita, sembra uno
scudo a tacca sempliicato, diviso in sbarra con due rosette19. Il puteale è posto sul basamento a due gradini,
decorati con tortiglione, e non si può afermare con sicurezza se il basamento sia coevo alla vera da pozzo o una
imitazione moderna.
La vera da pozzo del Colegio San Jerónimo fa parte di un
nutrito gruppo di puteali veneziani, databili per lo più al
secondo quarto del Quattrocento e spesso associati alla
124 / Segnalazioni
2. Vera da Pozzo, XV secolo (?).
Venezia, campiello delle Strope.
bottega di Bartolomeo Bon, il più importante scultore e
architetto veneziano protagonista del gotico iorito. La
vera da pozzo nel cortile della Ca’ d’Oro, opera eseguita
da Bon e documentata al 1427-142820, è caratterizzata
da una ricca decorazione scultorea con la raigurazione
delle Virtù e di altre teste che emergono dalle foglie angolari. Pur non avendo la certezza che questa vera da
pozzo, per l’alta qualità e la rainatissima lavorazione,
sia stata la fonte d’ispirazione principale per le altre, è
evidente che igure di Virtù, arcieri e teste umane o leonine appaiono frequentemente sui puteali dell’epoca.
Probabilmente a causa della decorazione scultorea di livello, l’interesse per questo tipo di vere da pozzo era, tra
i collezionisti, secondo solo all’interesse per gli esemplari altomedioevali e romanici, con la conseguenza che ne
sopravvivono solo pochi pezzi. Gli acquerelli settecenteschi di Jan Grevembroch raigurano molti puteali di
questo tipo, ma a eccezione di quelli tuttora in situ o ricoverati nei musei, della maggior parte di loro non rimane traccia21.
La nostra vera da pozzo non si può identiicare con nessuna di quelle documentate da Grevembroch né è rintracciabile nella raccolta dell’Ongania, ma possiamo
confrontarla con quelle note (agli studi) e conservate in
3. Vera da pozzo, XV secolo.
L’Avana, Colegio universitario
San Jerónimo de la Habana,
Patio de los laureles.
città e in laguna, sia per la tipologia sia per la lavorazione
della pietra. A queste presentano caratteristiche tipologiche molto simili la vera nella Corte Petriana alla Madonetta (sestiere di San Polo), datata intorno alla metà del
Quattrocento22, quella ritratta da Grevembroch e rintracciata da Rizzi in un cortile vicino alla chiesa di Santa Maria
Formosa23, quella a Ca’ Cappello-Malipiero sul Canal
Grande a San Samuele24, nonché la vera già nella Corte
delle Muneghe, ora al Museo Stibbert di Firenze25. Queste
sponde sono vicine a quella dell’Avana, ma la decorazione della cornice è più ricca – il fregio a punta di diamante
è accompagnato da tortiglione – e le foglie sono scolpite
con maggiore morbidezza e plasticità, mentre l’uso del
trapano è meno evidente. Esiste un altro gruppo di vere,
con una lavorazione lievemente più rozza, che potrebbero spettare alla stessa bottega della nostra, ma quasi tutte
sono oggi disperse o inaccessibili: per quanto riguarda la
lavorazione delle foglie è quasi identica alla nostra la vera
proveniente da Murano e, al tempo dell’Ongania, già nelle mani di un antiquario26, ma vale la pena di menzionare
pure quella di casa Lazzari (Madonna dell’Orto)27, a palazzo Soranzo (San Polo)28 e la vera tuttora in Campo San
Pietro Martire a Murano, sebbene di datazione incerta29.
Naturalmente, da questo punto di vista non possiamo
prendere in esame gli acquerelli di Grevembroch che, nonostante l’accuratezza, non possono fornire informazioni
sulla resa qualitativa dei particolari30.
La terza vera da pozzo dell’Avana si trova di fronte alla
nuova chiesa ortodossa greca consacrata nel 2004, nel
giardino dietro l’ex convento di San Francisco de Asís,
chiamato oggi giardino di Madre Teresa di Calcutta31.
Anche questa sponda è di pietra d’Istria, ma molto diversa dalle due già esaminate: il fusto d’insolita forma a ciotola è posto su un basamento decorato con quattro teste di ariete, fregio di foglie e tortiglione. Il fusto è suddiviso dalle arcate, sorrette da semicolonnine tortili, e decorato con scene di animali combattenti eseguite a bassorilievo sullo sfondo in mosaico dorato. Sebbene
l’aspetto dell’insieme sia romanico, appare evidente il
carattere eclettico di questo puteale: il basamento imita
le basi delle colonne romaniche, anche se tra le vere romaniche non troviamo esempi di fusto “a ciotola”; inoltre, quest’ultimo è fessurato e della decorazione musiva
rimangono solo alcune tracce. All’interno non si vedono
però i segni di un suo uso regolare e continuato. Non c’è
dubbio che si tratta di opera neoromanica del tardo Ottocento o del primo Novecento, sin dall’origine destinata al mercato antiquario.
I falsi otto-novecenteschi di sponde altomedievali e romaniche sono numerosissimi e dimostrano chiaramente come l’interesse dei collezionisti per questo tipo di
puteali fosse assai maggiore dell’oferta32. Anche come
falso, il puteale del giardino di Madre Teresa si può inserire bene nel contesto di produzione delle vere da pozzo
dell’epoca. L’opera si può con certezza attribuire alla
stessa anonima bottega che ha eseguito una vera conservata oggi nel Museo Archeologico del Castello Sforzesco di Milano33: oltre alla forma “a ciotola”, è da notare
il basamento con teste di arieti, la suddivisione della supericie e la scelta degli elementi decorativi architettonici e, inine, il medesimo sfondo a into mosaico34. L’unica
diferenza si trova nel repertorio dei motivi a bassorilievo: mentre all’Avana tutti i rilievi rappresentano animali, a Milano questi soggetti si alternano con quelli vegetali. Di forma simile, ma di proporzioni leggermente diverse e priva del basamento, forse perduto, è la vera da
pozzo di Častá–hrad Červený Kameň in Slovacchia, che
potrebbe spettare alla stessa bottega di lapicidi35.
125 / Segnalazioni
La presenza di puteali veneziani nell’ambiente coloniale
dell’Avana vecchia apre inevitabilmente il problema circa la loro origine e le circostanze del loro arrivo a Cuba.
La collocazione della vera da pozzo con emblemi di san
Bernardino da Siena nell’ex convento francescano porta
a ipotizzare che essa facesse parte dell’inventario dei
suoi beni sin dai tempi in cui il convento era ancora attivo, ma la storia del complesso prova altrimenti. I francescani erano presenti all’Avana già prima del 1570 e il
convento di San Francisco de Asís fu fondato nel 157436,
ma il complesso odierno è interamente opera settecentesca (1719-1738)37. Dopo la soppressione, nel 1842
l’ediicio fu trasformato in magazzino della dogana, destinato all’inizio del Novecento a centro di comunicazione telegraica e telefonica; nel 1992 hanno preso il via i
lavori di restauro, condotti dalla Soprintendenza ai beni
culturali dell’Avana, che hanno trasformato la chiesa in
sala da concerti e il resto del complesso in Museo di arte
sacra. La vera da pozzo è stata collocata nel chiostro solo
4. Vera da pozzo, XIX-XX secolo.
L’Avana, Jardín Madre Teresa
de Calcuta.
5. Vera da pozzo, XIX-XX secolo.
Milano, Castello Sforzesco.
al termine dei lavori e quindi non si trovava originariamente nel convento38.
Simile è la situazione dell’altro puteale quattrocentesco Il
Colegio Universitario de San Gerónimo de La Habana ha
sede in un ediicio moderno, costruito sul terreno dove
prima sorgeva il convento domenicano di San Juan de
Latrán, fondato nel XVI secolo e noto per essere stato la
prima sede dell’università dell’Avana nel 1728. Il complesso venne demolito per fare spazio a un ediicio per uici
con eliporto sul tetto costruito nei tardi anni cinquanta;
recentemente è stato ristrutturato e i lavori hanno portato a una ricostruzione approssimativa del campanile e del
portale principale39. Qui nel 2006 ha trovato la sua sede il
Colegio de San Gerónimo, istituto universitario per i beni
culturali. Il puteale, che prima del termine dei lavori si trovava accanto al complesso, di fronte all’albergo Ambos
Mundos, venne collocato nel cortile nel 2006; purtroppo
non abbiamo altre indicazioni sulla sua provenienza40.
Sembra quindi che il destino delle vere da pozzo “cubane” sia simile a quello di altre vere del mercato antiqua-
1 Giovanni Marangoni, nell’introduzione a Raccolta delle vere da pozzo in
Venezia, Venezia 1975, p. 8 (ristampa
dell’edizione ridotta del 1911 della
Raccolta delle vere da pozzo in Venezia,
a cura di F. Ongania, Venezia 1889); A.
Rizzi, Vere da pozzo di Venezia. I puteali
pubblici di Venezia e della sua laguna =
The Well-Heads of Venice. Public WellHeads in Venice and the Islands of its
Lagoon, Venezia 20073, pp. 7, 52-53,
301-332: secondo la stima di Rizzi potrebbero essere ancora presenti in città all’incirca duemilacinquecento vere.
Nonostante le ricerche e l’impegno
degli studiosi, è praticamente impossibile schedare tutte le vere da pozzo. I
numerosi repertori apparsi su internet
non sono completi e tutti sono privi
dell’apparato scientiico; sono però disponibili le immagini di numerosi puteali di cortili interni, inora inediti (cfr.
ad esempio L. Zanon, Le vere da pozzo:
raccolta on-line relativa a questa tradizione veneziana, http://veredapozzo.
com (copyright 2011); BluOscar, Vere
da pozzo, http://bluoscar.blogspot.
com/2010/03/le-vere-da-pozzo.html
(aggiornato 9-3-2010); Vere da Pozzo di
Venezia, http://www.venise-serenissime.com/home/planinteractif/puits_
venise/puits_venise1.htm;
http://
www.webalice.it/menin.giorgio/Vdp.
pdf (aggiornato 8-2-2012).
2 Recentemente Anna Tüskés è intervenuta su vari aspetti della questione,
concentrandosi in particolare sulle
falsiicazioni ottocentesche e sulla
fortuna delle vere da pozzo in Ungheria (A. Tüskés, A Schmidt-cég “pozzói”nak problémája. The Well-Heads of the
Schmidt Company, in Omnis creatura
signiicans. Tanulmányok Prokopp
Mária 70. születésnapjára. Essays in
Honour of Mária Prokopp, a cura di A.
Tüskés, Budapest 2009, pp. 291-296;
Ead., Comprare un pezzo di Venezia:
vere da pozzo nella letteratura e nel
commercio d’arte, “Zbornik za umetnostno zgodovino”, XLV, 2009, pp.
111-132; Ead., La fortuna letteraria e
collezionistica delle vere da pozzo veneziane, “Nuova Corvina”, 21, 2009, pp.
128-138; Ead., Venetian well-heads in
nineteenth-century taste, “Sculpture
Journal”, 19, 2010, 1, pp. 49-61; Ead.,
Venetian Well-Head in Bled, “Zbornik
za umetnostno zgodovino”, XLVI,
2010, pp. 324-329; Ead., Vere da pozzo
126 / Segnalazioni
rio e per il momento mancano i dati per indagare sulle
circostanze che hanno condotto alla loro collocazione
odierna. Possiamo solo ipotizzare che i puteali probabilmente non giunsero a Cuba prima della seconda guerra
di indipendenza (1895-1898): nell’Ottocento, sotto il dominio spagnolo, il paese doveva la sua ricchezza alla produzione di zucchero, ma gli stretti legami politici, economici e culturali con gli Stati Uniti nel primo Novecento
hanno avvicinato Cuba al mercato antiquario statunitense. Possiamo allora pensare che le vere da pozzo decorassero i cortili o i giardini dei complessi residenziali,
non necessariamente nell’Avana vecchia, ma piuttosto
nelle nuove zone abitative della città che, proprio in quel
periodo, si stava allargando rapidamente, cioè a Vedado
o Miramar41, e proprio per l’espansione notevole della
città, con molte ville e palazzine che conosciamo ancora
poco, non sarà una sorpresa se qualche altro esemplare
di vera da pozzo emergerà nel futuro.
Università di Ljubljana
veneziane in Ungheria, “Commentari
d’arte”, XVII, 2011, 48, pp. 61-74).
3 È il caso di Ca’ Soranzo-Van Axel (cfr.
F. Isman, Cosí un intero angolo di città
ha traslocato: è andato in Pennsylvania,
a Filadelia, “Venezialtrove”, 3, 2004,
pp. 13-19; alle pp. 21-29 la versione in
lingua inglese).
4 Per le descrizioni e l’analisi delle vere
da pozzo, si segue la terminologia introdotta da Alberto Rizzi nella sua
opera fondamentale (A. Rizzi, Vere da
pozzo…, cit., in particolare pp. 64-65).
5 Raccolta delle vere da pozzo..., cit., p.
53; G. Voltolina, Le antiche vere da pozzo veneziane, Venezia 1981, pp. 80-81,
ig. 63; A. Rizzi, Vere da pozzo..., cit., pp.
72-73, cat. 18, 89, ig. 52.
6 Raccolta delle vere da pozzo..., cit.,
p. 178; G. Voltolina, Le antiche vere da
pozzo veneziane..., cit., p. 79, ig. 62; A.
Rizzi, Vere da pozzo..., cit., p. 229, cat.
189, 236-237, igg. 271-272.
7 Il puteale dell’Avana è privo di decorazione igurativa, mentre su quello
del campiello Barozzi sono scolpite
due teste dei putti in altorilievo e su
quello del campiello delle Strope è
raigurata in bassorilievo una testa
barbuta, identiicata come homo silvanus (cfr. A. Rizzi, Vere da pozzo..., cit.,
p. 229, cat. 189).
8 Raccolta delle vere da pozzo..., cit., p.
45; A. Rizzi, Vere da pozzo..., cit., pp.
460-461. Una vera da pozzo molto
simile a quella del Ponte della Donna Onesta si trova nel Royal Botanic
Garden a Kew; sull’esame delle sole
fotograie non si può concludere che
si tratta dello stesso pezzo: lo stemma di Kew è più grande, ma non sappiamo se le immagini rappresentano
lo stesso lato del pozzo (A. Tüskes,
Venetian well-heads..., cit., pp. 59-60,
ig. 15).
9 Raccolta delle vere da pozzo..., cit., p.
158.
10 G. Voltolina, Le antiche vere da pozzo veneziane..., cit., p. 21, ig. 56; A.
Rizzi, Vere da pozzo..., cit., pp. 242-243,
cat. 200.
11 A. Rizzi, Vere da pozzo..., cit., pp.
272, 274, cat. 227, ig. 318.
12 Raccolta delle vere da pozzo..., cit.,
p. 166.
13 San Bernardino cominciò ad esibire l’emblema IHS, dipinto su una
tavoletta, durante le sue prediche alla
metà degli anni venti del Quattrocen-
to, un termine post quem anche per la
datazione della nostra vera da pozzo.
L’emblema raigurato su questo puteale, comunque, non è iscritto nel cerchio e circondato da iamme, secondo
l’iconograia tradizionale.
14 Nel saggio introduttivo al suo
repertorio, Alberto Rizzi considera
lo scudo a mandorla una forma tipicamente quattrocentesca (A. Rizzi,
Scultura esterna a Venezia. Corpus delle
Sculture Erratiche all’aperto di Venezia
e della sua Laguna, Venezia 1987, pp.
45-46); anche nel volume sulle vere
da pozzo, tutti i puteali con scudi a
mandorla sono datati entro il Quattrocento: A. Rizzi, Vere da pozzo..., cit., pp.
98 (ig. 76), 125 (ig. 98), 128 (igg. 103,
104), 144 (ig. 142), 185 (ig. 190), 256,
258 (ig. 288).
15 A. Markham Schulz, Revising the History of Venetian Renaissance Sculpture: Niccolò and Pietro Lamberti, “Saggi
e Memorie di storia dell’arte”, 15, 1986,
pp. 50-52.
16 Le altre due vere da pozzo, di questa tipologia e menzionate sopra (vedi
le note 8 e 9), sono ancora più recenti:
dalle vecchie fotograie si distinguono
gli stemmi con la testa di cavallo, il che
suggerisce una datazione alla seconda metà del Quattrocento.
17 Cfr. ad esempio E. Morando di Custoza, Libro d’arme di Venezia, Verona
1979, passim. L’unico esempio a me
noto con la croce sopra la stella è lo
stemma posto all’esterno della canonica di Torcello: si tratta di uno scudo
a testa di cavallo, diviso in fascia con
entrambi i simboli nella partizione
in alto (A. Rizzi, Scultura esterna a Venezia..., cit., p. 542, cat. LA 104, senza
identiicazione).
18 E. Morando di Custoza, Libro d’arme di Venezia..., cit., p. CCLIV: tra le
varianti degli stemmi Orso e Orseolo
con la igura dell’orso nessuna corrisponde alla composizione dello stemma dell’Avana per quanto riguarda
la partizione dello scudo, ma non c’è
dubbio che l’animale raigurato qui
sia un orso.
19 La presenza delle sole rosette rende l’identiicazione di questo stemma
estremamente diicile, poiché si tratta di un elemento che appare nelle
imprese di moltissime famiglie nobili
(E. Morando di Custoza, Libro d’arme di
Venezia..., cit., passim).
20 A. Markham Schulz, The Sculpture
of Giovannni and Bartolomeo Bon and
their Workshop, Philadelphia 1978, in
particolare p. 69.
21 Jan Grevembroch, mss. GradenigoDolin 107 (1761), Venezia, Biblioteca
Correr; Jan Grevembroch, Supplementi alle antichità delineate, alle varie e
venete curiosità sacre e profane e alle
cisterne, mss. Gradenigo-Dolin 108,
Venezia, Biblioteca Correr. Dalle didascalie del repertorio di Ongania apprendiamo che alla ine dell’Ottocento molte vere da pozzo – e numerose
di questo tipo – erano già nelle mani
degli antiquari (Raccolta delle vere da
pozzo..., cit., passim).
22 Raccolta delle vere da pozzo..., cit.,
p. 110; G. Voltolina, Le antiche vere da
pozzo veneziane..., cit.; A. Rizzi, Vere da
pozzo..., cit., p. 202, cat. 164, 211, ig.
233.
23 A. Rizzi, Vere da pozzo..., cit., pp.
24-25: sebbene con incertezza, Grevembroch attribuisce lo stemma alla
famiglia Gauli, estinta nel 1356, ma
la forma del puteale e la lavorazione
delle foglie fanno pensare piuttosto a
una datazione verso la metà del Quattrocento.
24 A. Rizzi, Vere da pozzo..., cit., pp.
434-435.
25 Ivi, pp. 328-329.
26 Raccolta delle vere da pozzo..., cit.,
p. 62.
27 Ivi, p. 36.
28 Ivi, p. 101.
29 Ivi, p. 125; A. Rizzi, Vere da pozzo...,
cit., p. 277, cat. 233, 279, ig. 324: Rizzi
propone una datazione al Trecento,
forse in base all’anfora sul fusto, elemento che nel Quattrocento non è
così frequente; comunque, la lavorazione delle foglie ha più punti in comune con le vere quattrocentesche.
Il problema della datazione è simile a
quello della vera vicino a Santa Maria
Formosa (vedi nota 23).
30 Sono pure escluse dal confronto
vere di qualità nettamente superiore
che gli studiosi hanno associato più
127 / Segnalazioni
direttamente alla bottega dello stesso
Bartolomeo Bon: ad esempio quella del Victoria and Albert Museum
di Londra (A. Rizzi, Vere da pozzo...,
cit., pp. 27-28), quella già in Corte
Bressana, ora al Museo Correr (ivi, p.
325) ecc.; inoltre sono omessi anche
numerosi esempi di puteali appartenenti alla stessa tipologia, ma con gli
elementi decorativi all’antica e quindi
databili alla seconda metà del Quattrocento.
31 Questo terreno era originariamente occupato dal convento di San Francisco, ma in seguito ai danni causati
da un uragano nel 1846 questa parte
del convento, insieme al presbiterio
della chiesa, è stata demolita (D. Taboada, Reseña histórica-Convento de
San Francisco de Asís, “Opus Habana”,
III, 1999, 3-4, pp. 4-15).
32 L’uso del termine “falso” sembra
per alcuni puteali ottocenteschi più
adatto che “imitazione”, in quanto
si può presumere che le nuove vere
fossero spesso presentate sul mercato come pezzi originali: in alcuni casi
troviamo anche i danni e le tracce del
consumo falsiicati (A. Tüskes, Comprare un pezzo di Venezia..., cit., p. 128).
Al contrario dei falsi romanici, spesso
eseguiti con tale bravura che è diicile
distinguerli dagli originali, sono pochi
e assai facilmente riconoscibili come
falsi quelli gotici e rinascimentali,
come ad esempio il puteale nel monastero camaldolese di Majk in Ungheria
(A. Tüskes, Vere da pozzo veneziane in
Ungheria..., cit., p. 65, ig. 7).
33 Questo puteale è stato scoperto
solo di recente da A. Tüskes, Comprare
un pezzo di Venezia..., cit., pp. 128-129.
34 Parlando del commerciante
viennese Miksa Schmidt nel tardo
Ottocento, la Tüskes ha qualche perplessità nell‘interpretare i termini
“vergoldet” e “Mosaik eingelegt” che
compaiono nel suo inventario: lo
sfondo musivo di queste due vere
potrebbe risolvere questo problema,
senza necessariamente puntare su un
possibile legame tra il puteale cubano
e l‘attività commerciale dello Schmidt
(A. Tüskés, A Schmidt-cég “pozzói”-nak
problémája..., cit., pp. 293, 296).
35 A. Tüskes, Comprare un pezzo di Venezia..., cit., pp. 128-129.
36 J.E. Weiss, La arquitectura colonial
cubana. Siglos XVI al XIX, La HabanaSevilla 1996, pp. 58-59: questo volume, uscito postumo, è tuttora l’opera
fondamentale e più completa sull’architettura coloniale cubana.
37 Per la storia del del complesso conventuale cfr. J.E. Weiss, La arquitectura
colonial cubana…, cit., pp. 240-243; D.
Taboada, Reseña histórica-Convento
de San Francisco de Asís..., cit.; La Habana. Guía de arquitectura = Havana,
Cuba. An Architectural Guide, a cura di
M.E. Martín Zequeira, F.L. Rodríguez
Fernández, La Habana-Sevilla 2009,
p. 84.
38 Ci si basa sulla testimonianza di
coloro che hanno seguito i lavori negli anni novanta e operano tuttora nel
museo.
39 J.E. Weiss, La arquitectura colonial
cubana…, cit., pp. 135-139; fondamentale per le notizie sulla demolizione del complesso nel Novecento e
sui lavori di ristrutturazione: J. Linares
Ferrera, Campanas al viento. El Colegio
Universitario de San Gerónimo de La
Habana, “Opus Habana”, X, 2006, 1,
pp. 4-15.
40 J. Linares Ferrera, Campanas al
viento…, cit., p. 13: l’autore menziona
con una sola parola la collocazione di
un brocal (puteale) nel cortile.
41 Il Vedado, situato lungo la costa a
ovest di Habana Vieja e dell’ottocentesca Habana Centro, è un quartiere
del tardo Ottocento; Miramar, ancora
più distante, situato oltre la bocca del
iume Almendares, dell’inizio del Novecento. Sul Vedado, J.E. Weiss, La arquitectura colonial cubana…, cit., pp.
422-423; per una sintesi dell’espansione tra Otto e Novecento: La Habana. Guía de arquitectura…, cit., pp.
56-65.