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arte Veneta 69 /2012 Electa arte Veneta Rivista di storia dell’arte fondata nel 1947 Redazione Norme per gli autori Luca Massimo Barbero, direttore Irina Artemieva William Barcham Giordana Mariani Canova Stefania Mason Paola Rossi Catherine Whistler Fulvio Zuliani Chiara Ceschi, segreteria I contributi critici – proposti dagli autori o frutto d’invito – sono sottoposti al vaglio della Redazione e dei revisori anonimi della rivista. Elementi necessari all’accettazione sono l’originalità dell’elaborato e l’esclusività per la stampa in “Arte Veneta”. I saggi, composti secondo le Norme redazionali della rivista, devono pervenire in formato Word (cartella di 2000 battute); le immagini di corredo in formato digitale (minimo 300 dpi per 15 cm x 15 cm), in un ile apposito con relative didascalie. Si chiede l’invio nella lingua madre per i testi in inglese, francese, tedesco e spagnolo. Gli autori sono responsabili dell’assolvimento di eventuali diritti di copyright per le immagini che illustrano il testo. Il nome e il recapito dell’autore (indirizzo postale, numero di telefono, indirizzo mail) devono comparire in un foglio separato. Istituto di Storia dell’Arte Fondazione Giorgio Cini Venezia tel. 041-21.10.230 fax 041-53.05.842 e-mail arte@cini.it La Bibliograia dell’arte veneta (2011) è disponibile in ebook scaricabile gratuitamente anche dal sito www.cini.it www.electaweb.com © 2014 by Mondadori Electa S.p.A., Milano e Fondazione Giorgio Cini, Venezia Tutti i diritti riservati Il materiale va indirizzato e spedito esclusivamente alla Redazione di “Arte Veneta”: Fondazione Giorgio Cini Istituto di storia dell’arte Isola di San Giorgio Maggiore 30124 Venezia chiara.ceschi@cini.it SOMMARIO 11 Un Cristo attribuito ad Andriolo de Santi nello Szépművészeti Múzeum di Budapest Szilárd Papp 23 I sottarchi di Altichiero e la numismatica. Il ruolo delle imperatrici Ettore Napione 41 Un’opera giovanile di Tiziano: il Ritratto d’uomo di Copenaghen Matthias Wivel, Troels Filtenborg 55 Nuovi documenti sui rapporti di Francesco Solimena con la committenza veneta e una proposta per l’Apollo e Dafne Simona Carotenuto 71 Lo specchio di Armida: Giambattista Tiepolo per i Corner di San Polo Massimo Favilla, Ruggero Rugolo 107 Giambettino Cignaroli, Leda e i re di Polonia Andrea Tomezzoli SEGNALAZIONI 118 Un San Michele arcangelo di Nanni di Bartolo nel monastero femminile di San Michele di Campagna a Verona Mattia Vinco 123 Vere da pozzo veneziane all’Avana Samo Štefanac 128 Per la provenienza di un Cristo benedicente di Giovanni Bellini dal complesso agostiniano di Santo Stefano a Venezia Sara Menato 133 Marco Mantova Benavides e l’allegoria della Pecunia: una nuova interpretazione del dipinto di Gualtiero Padovano nella Gemäldegalerie Alte Meister di Dresda Sören Fischer 141 Due nuovi dipinti mitologici di Giuseppe Salviati David McTavish 144 Non Campagna, ma Cavrioli. Una Madonna veneziana a Londra Luca Siracusano 147 Giusto Le Court e il Monumento Pesaro ai Frari: un bozzetto per i “quattro bellissimi Africani” Damir Tulić 151 Un inedito Langetti in territorio veronese Luca Fabbri 153 Giovanni Antonio Zonca: sulle tracce dell’artista Maria Chiara Sassu 157 Una pala d’altare di Giuseppe Nogari a Favaro Veneto Nina Kudiš, Damir Tulić 176 La Galleria Curtoni di Verona: la sua dispersione e qualche recupero Davide Dossi 184 Note minime per Federico Bencovich Lino Moretti 186 Documenti e precisazioni attributive riguardanti Giovanni Gai Fabien Benuzzi 190 Un’aggiunta a Giambattista Tiepolo per i Corner di San Cassiano Massimo Favilla, Ruggero Rugolo 191 “Muchos orixinales del Bernini y de Langarde”: sul possibile apprendistato di Francisco de Goya y Lucientes presso Ca’ Farsetti a Venezia Raquel Gallego RESTAURI 197 Sul Ratto delle Sabine di Giambattista Tiepolo a Helsinki Eleonora Lanza IN MEMORIAM 207 Italo Furlan Giovanna Valenzano CARTE D’ARCHIVIO 159 Precisazioni documentarie sui lapicidi da Castello e sull’attività di Francesco nel cantiere di San Giorgio in Braida a Verona Bruno Chiappa 169 Novità archivistiche sul pittore Pietro Bellotti Silvia Merigo 211 Giovanni Lorenzoni Tiziana Franco ebook Bibliograia dell’arte veneta (2011) a cura di Daniele D’Anza Firenze 1972, p. 277) come allievo di Andrea Voltolini e Louis Dorigny. Un altrettanto misconosciuto “Danielo” Tedeschi è ricordato nel 1672 tra gli artisti attivi presso il monastero di San Michele di Campagna (vedi nota seguente). 12 Per la descrizione dei lavori in chiesa vedi B. Finetti, L’antico monastero…, cit., pp. 59-60, 62, 64-66, 70 e M. Maimeri, San Michele Extra nella storia, nell’arte, nella vita, Verona 1962, p. 71, ig. n.n. 13 Sull’antica chiesa romanica R. Brenzoni, L’antica cappella di S. Michele in Campagna, “Atti dell’Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti”, LXXXV, 1925-1926, pp. 519-553. Per la decorazione ad afresco e per la croce stazionale vedi E. Sandberg Vavalà, Pittura veronese del Trecento e del primo Quattrocento, Verona 1926, pp. 102-104; F. Piccoli, Altichiero e la pittura a Verona nella tarda età scaligera, Caselle di Sommacampagna (Verona) 2010, pp. 126-127. 14 B. Finetti, L’antico monastero…, cit., p. 130. Questa trasformazione va interpretata come conseguenza dell’erezione della nuova chiesa parrocchiale, di cui venne posta la prima pietra nel 1755 (ivi, p. 95). 15 Le pale della chiesa sono così descritte da G.B. Lanceni, Ricreazione pittorica osia Notizia universale Delle pitture nelle Chiese, e Luoghi Pubblici della Città, e Diocese di Verona [Verona 1720], a cura di M. Polazzo, Verona 1986, p. 297: “La detta chiesa ha cinque altari: il Maggiore è dell’arcangelo in atto di scacciare Lucifero: opera del vecchio Cesarino. Altro laterale del Santissimo, con Santi Giuseppe e Antonio: opera dello Spadarino. Altro del Crociisso, ec. Dirimpetto v’è la pala della Vergine, e Bambino, con due santi in alto, sotto San Domenico, ed un santo vescovo: opera di Giovanni Battista Bellotti, fatta del 1702. La seguente è di Santi Rocco e Sebastiano: opera del Rossi detto il Gobbini”. Questi dipinti sono ricordati anche da G. Biancolini, Notizie storiche delle chiese di Verona, Verona 1749, II, pp. 483-484. Qualche scarna notizia sullo Spadarino e su Cesarino il vecchio, alias Giulio Cesarini, è riportata da D. Zannandreis, Le vite…, cit., pp. 333-334; R. Brenzoni, Dizionario…, cit., pp. 86, 273. Sullo Spadarino vedi da ultimo E.M. Guzzo, Vicende artistiche tra XII e XX secolo, in La venerabile pieve dei Santi Apostoli in Verona: ricerche storiche nell’ottavo centenario della consacrazione, a cura di P. Brugnoli, Verona 1994, pp. 206, 216, nota 115. Non resta invece più traccia degli altri dipinti. Le notizie riportate dalle fonti sull’esistenza di queste pale sono confermate anche dai documenti d’archivio consultati da don Finetto: “Donna Anna Catterina Alberti [badessa nel 1712, deceduta il 23 settembre 1713] si ebbe nel Capitolo del 1 Maggio (1712) i voti maggiori, per cui fu eletta badessa; ed ordinò a Francesco, forse padre di Felice Cappelletto, o Cappelletti, distinto pittore, di accomodare e rinfrescare a nuovo la pala dell’altar maggiore, essendo tutta in pezzi, come pure quella del Rosario. Nel 1703 aveva dipinte pel monastero quattro tele, tra quelle una di S. Eurosia, protettrice per la liberazione della gragnuola. Fece ripassare anche tutti i corami ad oro delle colonne, delle arcate, degli altari, ed i pali degli altari di tutte le cappelle del Monastero […]. Fa restaurare i tre altari del coro, quello di mezzo detto maggiore, che aveva il 122 / Segnalazioni dipinto di S. Michele del celebre pittore Giulio Cesarini, che, pare, nato a S. Michele; l’altare a destra, quello del Sacramento, un tempo proprietà dei Fratelli della Misericordia, detti anche Negri, e volgarmente Frati Mori, che teneva dipinto l’ostensorio in gloria con alcuni santi in atto di adorazione, opera del M[aestro] Spadarini, che si ritiene nato pure a S. Michele; ed il terzo della Madonna del Rosario con altri dipinti in tela ed in afresco di G.B. Bellotti” (B. Finetti, L’antico monastero…, cit., p. 76). 16 Ivi, p. 98. Va detto che la scultura di san Zeno vescovo – ma più probabilmente si tratta di san Benedetto − non è afatto un “lavoro pregevolissimo”, ma una modesta scultura lignea di primo Cinquecento. Fu merito della priora Gesualda Negri, badessa nel 1776, aver fatto trasportare nel 1778 dal coro all’altare dell’odierna sacrestia l’afresco raigurante San Michele di Paolo Farinati che “nel trasporto si spezzò orizzontalmente, rovinandosi la parte inferiore ove era dipinto il demonio ed una parte dell’inferno, che per la verità artistica incuteva terrore al solo vederlo” (ibidem). In questo modo veniamo a conoscere i motivi per cui l’afresco di Paolo Farinati, ancora in situ, si presenta mutilo. 17 La Crociissione dell’Hotel Due Torri è pubblicata da G. Ericani, La scultura a Verona al tempo di Pisanello, in Pisanello, catalogo della mostra (Verona, Museo di Castelvecchio), a cura di P. Marini, Milano 1996, p. 340 e assegnata al catalogo dei Maestri caronesi in G. Gentilini, Virtù ed eroi di un’impresa dimenticata: il monumento di Vitaliano e Giovanni Borromeo, in Scultura lombarda del Rinascimento: i monumenti Borromeo, a cura di M. Natale, Torino 1997, pp. 73, 82, nota 138; per la ricostruzione del trittico di Avesa vedi T. Franco, “Statuit hoc d(omi)na Bea/trix priorissa loci huius”: il trittico del 1436 per San Martino di Avesa, in Il cielo, o qualcosa di più. Scritti per Adriano Mariuz, a cura di E. Saccomani, Cittadella (Padova) 2007, pp. 39-45. 18 Queste datazioni sono proposte in L. Bellosi, Nanni di Bartolo: soprattutto le Madonne, in A. Markham Schulz, Nanni di Bartolo e il portale di San Nicola a Tolentino, Firenze 1997, pp. 8198; Ead., Nanni di Bartolo e il portale di San Nicola a Tolentino, ivi, pp. 19-80; G. Gentilini, Donatello e Nanni di Bartolo. Una inedita Madonna in terracotta, Firenze 2007. Sul restauro della Madonna con il Bambino di Ognissanti vedi C. Fornari, M. Galeotti, F. Kumar, Ricerca di nuovi materiali da integrazione per la terracotta: il restauro della ‘Madonna col Bambino’ di Nanni di Bartolo detto il Rosso (noto 1419-1451), “OPD restauro”, 24, 2012, pp. 241-248; M. Bietti, C. Fornari, Nanni di Bartolo detto il Rosso, “Kermes”, XXV, 2012, 87, pp. 42-49. Vedi inoltre la scheda di T. Mozzati, in La primavera del Rinascimento. La scultura e le arti a Firenze 1400-1460, catalogo della mostra (Firenze, Palazzo Strozzi - Parigi, Musée du Louvre), a cura di B. Paolozzi Strozzi, M. Bormand, Firenze 2013, pp. 384-385, cat. IV.4. Per un riepilogo sul soggiorno veneziano di Nanni di Bartolo mi permetto di rimandare da ultimo anche a M. Vinco, Una Madonna col Bambino di Nanni di Bartolo, in Renaissance Studies in honor of Joseph Connors, a cura di M. Israëls, L.A. Waldman, Milano 2013, I, pp. 107-113. Per il Veneto, Nanni di Bartolo è autore anche di una terracotta con la Madonna col Bambino e un putto nella chiesa par- rocchiale di Santa Maria a Pozzonovo (vedi G. Ericani, La scultura…, cit., pp. 334-335); Ead., in Pisanello. I luoghi del gotico internazionale nel Veneto, a cura di F.M. Aliberti Gaudioso, Milano 1996, pp. 222-223. 19 Sulla presenza di scultori iorentini a Verona ci si limita a rimandare a T. Franco, Michele Giambono e il monumento a Cortesia da Serego, Padova 1998, pp. 33-54; P. Brugnoli, Scultori iorentini nella Verona del Quattrocento, “Verona Illustrata”, XXIV, 2011, pp. 5-14; M. Vinco, Integrazioni all’attività veronese di Pietro di Niccolò Lamberti e Nanni di Bartolo, “Prospettiva”, 138, 2010, pp. 16-27. In questo contesto mi pare sia utile ricordare, oltre ai guerrieri caronesi del monumento funebre di Vitaliano e Giovanni Borromeo, anche i due San Giorgio del Museo dell’Opera del Duomo di Ferrara e del Museo Nazionale di Ravenna, pubblicati da G. Gentilini, Virtù ed eroi…, cit., p. 70, igg. 142-143. 20 G.M. Varanini, L’autore dell’arca Guantieri in Santa Maria della Scala di Verona, in La cappella Guantieri in S. Maria della Scala a Verona. Il restauro degli afreschi di Giovanni Badile e dell’Arca, a cura di M. Cova, Verona 1989, pp. 113-121; sul restauro P. Bacchin, Relazione tecnica sul restauro degli afreschi e dell’arca, in La cappella Guantieri…, cit., pp. 125-126. La fortuna di san Michele arcangelo in questo torno d’anni a Verona è testimoniata anche dalla cuspide centrale dell’“Ancona Fracanzana” − un polittico della bottega di Giovanni Badile, ora conservato al Museo di Castelvecchio ma proveniente dal monastero femminile di San Martino ad Avesa − commissionato nel 1428 da suor Lucia Fracanzani (vedi da ultimo G. Peretti, in Museo di Castelvecchio. Catalogo generale dei dipinti e delle miniature delle collezioni civiche veronesi, I. Dalla ine del X all’inizio del XVI secolo, a cura di P. Marini, G. Peretti, F. Rossi, Cinisello Balsamo [Milano] 2010, pp. 104-105, cat. 64). 21 B. Finetto, L’antico monastero…, cit., p. 34; G. Biancolini, Notizie storiche…, cit., V/1, p. 165. Vere da pozzo veneziane all’Avana Samo Štefanac Nei campi e nelle corti di Venezia si trovano tuttora centinaia di vere da pozzo, solo una piccola parte di quelle originariamente presenti nella città lagunare. Secondo le statistiche, nel 1858 a Venezia c’erano più di seimila pozzi, ma in seguito all’introduzione dell’acquedotto nel corso dell’Ottocento e nel primo Novecento moltissimi caddero in disuso e vennero interrati e le vere da pozzo furono vendute sul mercato antiquario. Non sappiamo quanti puteali siano stati alienati né quanti rimangano in città, e un ulteriore ostacolo alla ricerca è rappresentato dal fatto che non tutte le corti private sono accessibili agli studiosi1. Le vere da pozzo erano oggetto dell’interesse dei collezionisti già dal Seicento ma, con l’estendersi nell’Ottocento del mercato delle antichità, molte sono inite sia in collezioni private (di solito nei giardini e spesso utilizzate come vasche per coltivare le piante) sia nei maggiori musei, come ad esempio lo Szépművészeti Múzeum di Budapest, il Musée Jacquemart-André di Parigi o il Victoria and Albert Museum londinese2. Non meno importante del mercato europeo era, per i puteali, quello americano, dove oltre a dipinti, sculture e pezzi “ornamentali” come vere da pozzo, stemmi, formelle e patere, hanno trovato fortuna anche frammenti architettonici e perino arredi di interi palazzi veneziani3. Presentiamo qui tre vere da pozzo veneziane sinora sfuggite all’attenzione degli studiosi e recuperate a Cuba, nel centro storico dell’Avana (Habana Vieja). Il primo di questi puteali (ig. 1) si trova nel chiostro maggiore dell’ex convento di San Francisco de Asís, ora sede del Museo d’arte sacra. Si tratta di un manufatto in pietra d’Istria a forma di capitello, a pianta circolare con coronamento ottagonale, composto da abaco, toro e listello; sul guscio, le foglie di cavolo formano una specie di voluta, gli spazi intermedi sono ornati da rosette e ospitano due stemmi e due monogrammi IHS4. Il puteale è posto su un basamento ottagonale, ma questo probabilmente non è coevo, in quanto è di pietra diversa e non identiicabile a vista. Con tali caratteristiche, questo esemplare ben si inserisce nella tipologia delle vere da pozzo veneziane: la forma deriva presumibilmente dai capitelli della loggia di Palazzo Ducale ed è assai difusa nel Tre e Quattrocento: tra gli esemplari tuttora presenti a Venezia, due sono particolarmente vicini. Due vere, tuttora esistenti a Venezia, presentano ainità stilistiche e tipologiche: una si trova in campiello Barozzi nel sestiere di San Marco5 e l’altra in campiello delle Strope a San Giacomo dell’Orio nel sestiere di Santa Croce6. Questi tre puteali hanno molti punti in comune: oltre alla forma con coronamento ottagonale e all’andamento della cornice (che nell’esemplare in campiello delle Strope è purtroppo quasi completamente distrutta), vale la pena di menzionare anche il modellato e la tecnica di lavorazione delle foglie e delle rosette con l’uso del trapano. Tutto questo suggerisce che siano opera della stessa bottega, sebbene il confronto dei soli elementi ornamentali, peraltro molto comuni tra i lapicidi dell’epoca, non possa rendere sicura l’attribuzione7. Di struttura molto simile alle nostre vere da pozzo, per quanto è possibile giudicare dalle foto d’epoca, erano anche due pezzi (dispersi): il primo in una corte vicino al ponte della Donna Onesta nella parrocchia di San Pantalon8 e l’altro al palazzo del Cammello alla Madonna dell’Orto9. Rimane aperto il problema della datazione del puteale dell’Avana. I primi pozzi a forma di capitello con coronamento ottagonale appaiono nel Trecento e sono caratterizzati da foglie acquatiche: esemplari di questo tipo si trovano nella corte di Coregio (Santa Croce)10, nel campiello del Basegò al Malcanton (Dorsoduro)11 e nel Museo Correr, proveniente da calle Cavallerizza ai Santi Giovanni e Paolo12. Per le due vere da pozzo che abbiamo messo a confronto con la nostra, Alberto Rizzi ha proposto una datazione tra il tardo Trecento e il primo Quat- 1. Vera da pozzo, XV secolo. L’Avana, ex convento di San Francisco de Asís, primo chiostro. 123 / Segnalazioni trocento e in base allo stile questa ipotesi potrebbe andare bene anche per la vera del convento di San Francisco de Asís all’Avana, ma la presenza dei monogrammi IHS (con la croce sopra la “H”) che si possono leggere come emblemi di san Bernardino da Siena, suggerisce una datazione probabilmente non anteriore al secondo quarto del Quattrocento13. Possiamo pure escludere la possibilità che gli emblemi siano stati aggiunti in un secondo memento in quanto i caratteri, in minuscola gotica, non sono incisi bensì scolpiti in bassorilievo e quindi coevi al resto della decorazione scolpita. A prima vista, lo spostamento della datazione del puteale non è compatibile con l’ipotesi che la vera da pozzo ora all’Avana sia opera della stessa bottega che ha realizzato anche quelle dei campielli Barozzi e delle Strope, ma un particolare presente in queste ultime mette in dubbio anche la loro datazione precoce. Entrambe sono ornate da scudi “a mandorla”, una forma considerata rinascimentale14; in efetti, si può notare come nessuno degli scudi di questo tipo ancora a Venezia sia datato al Trecento e i più antichi esempi databili paiono quelli della tomba del doge Tommaso Mocenigo (Santi Giovanni e Paolo), eseguita nel 1423 da Pietro di Niccolò Lamberti e Giovanni di Martino da Fiesole15. Questo termine cronologico può servire come punto di riferimento per la nuova datazione che, però, ancora una volta avvicina cronologicamente le tre vere da pozzo, lasciando aperta l’ipotesi di un’esecuzione nella medesima bottega16. Oltre agli emblemi di san Bernardino da Siena, sul fusto del puteale dell’Avana ci sono due stemmi gentilizi, entrambi negli scudi “a tacca”, che potrebbero servire per rintracciare l’origine del manufatto nel caso si potessero identiicare. Uno è interzato in banda, con la croce greca scolpita in alto e una stella in basso. Le croci e le stelle sono elementi comuni nelle insegne di molte famiglie e proprio questo rende l’identiicazione particolarmente diicile; ma nei vari repertori araldici veneziani non troviamo esempi che abbiano la stessa combinazione17. L’altro, pure di forma “a tacca” e spartito nella stessa maniera, reca la raigurazione di un orso, accompagnato da un ornamento vegetale sulla banda. Nemmeno questa composizione si trova negli stemmari, anche se la presenza dell’animale suggerisce che si tratti di uno “stemma parlante”, da associare con nomi come Orso oppure Orseolo18. Ma se gli stemmi non ofrono alcun indizio utile circa l’origine del nostro puteale, gli emblemi di san Bernardino fanno ipotizzare che appartenesse originariamente a un convento francescano. Il secondo puteale (ig. 3) si trova nel Patio de los laureles del Colegio universitario San Jerónimo de la Habana, ediicio costruito negli anni cinquanta del Novecento nel centro storico dell’Avana tra le calli Obispo, Mercaderes, O’Reilly e San Ignacio e recentemente ristrutturato. È una vera da pozzo tardogotica in pietra d’Istria, dal fusto cilindrico a coronamento quadrato la cui cornice è decorata con abaco, fregio a punta di diamante e listello; il fusto è ornato da foglie grasse angolari, mentre negli spazi intermedi sono inseriti due vasi con iori, una rosetta e uno stemma sormontato da un elmo con la igura di un grifone. Lo scudo è di forma insolita, sembra uno scudo a tacca sempliicato, diviso in sbarra con due rosette19. Il puteale è posto sul basamento a due gradini, decorati con tortiglione, e non si può afermare con sicurezza se il basamento sia coevo alla vera da pozzo o una imitazione moderna. La vera da pozzo del Colegio San Jerónimo fa parte di un nutrito gruppo di puteali veneziani, databili per lo più al secondo quarto del Quattrocento e spesso associati alla 124 / Segnalazioni 2. Vera da Pozzo, XV secolo (?). Venezia, campiello delle Strope. bottega di Bartolomeo Bon, il più importante scultore e architetto veneziano protagonista del gotico iorito. La vera da pozzo nel cortile della Ca’ d’Oro, opera eseguita da Bon e documentata al 1427-142820, è caratterizzata da una ricca decorazione scultorea con la raigurazione delle Virtù e di altre teste che emergono dalle foglie angolari. Pur non avendo la certezza che questa vera da pozzo, per l’alta qualità e la rainatissima lavorazione, sia stata la fonte d’ispirazione principale per le altre, è evidente che igure di Virtù, arcieri e teste umane o leonine appaiono frequentemente sui puteali dell’epoca. Probabilmente a causa della decorazione scultorea di livello, l’interesse per questo tipo di vere da pozzo era, tra i collezionisti, secondo solo all’interesse per gli esemplari altomedioevali e romanici, con la conseguenza che ne sopravvivono solo pochi pezzi. Gli acquerelli settecenteschi di Jan Grevembroch raigurano molti puteali di questo tipo, ma a eccezione di quelli tuttora in situ o ricoverati nei musei, della maggior parte di loro non rimane traccia21. La nostra vera da pozzo non si può identiicare con nessuna di quelle documentate da Grevembroch né è rintracciabile nella raccolta dell’Ongania, ma possiamo confrontarla con quelle note (agli studi) e conservate in 3. Vera da pozzo, XV secolo. L’Avana, Colegio universitario San Jerónimo de la Habana, Patio de los laureles. città e in laguna, sia per la tipologia sia per la lavorazione della pietra. A queste presentano caratteristiche tipologiche molto simili la vera nella Corte Petriana alla Madonetta (sestiere di San Polo), datata intorno alla metà del Quattrocento22, quella ritratta da Grevembroch e rintracciata da Rizzi in un cortile vicino alla chiesa di Santa Maria Formosa23, quella a Ca’ Cappello-Malipiero sul Canal Grande a San Samuele24, nonché la vera già nella Corte delle Muneghe, ora al Museo Stibbert di Firenze25. Queste sponde sono vicine a quella dell’Avana, ma la decorazione della cornice è più ricca – il fregio a punta di diamante è accompagnato da tortiglione – e le foglie sono scolpite con maggiore morbidezza e plasticità, mentre l’uso del trapano è meno evidente. Esiste un altro gruppo di vere, con una lavorazione lievemente più rozza, che potrebbero spettare alla stessa bottega della nostra, ma quasi tutte sono oggi disperse o inaccessibili: per quanto riguarda la lavorazione delle foglie è quasi identica alla nostra la vera proveniente da Murano e, al tempo dell’Ongania, già nelle mani di un antiquario26, ma vale la pena di menzionare pure quella di casa Lazzari (Madonna dell’Orto)27, a palazzo Soranzo (San Polo)28 e la vera tuttora in Campo San Pietro Martire a Murano, sebbene di datazione incerta29. Naturalmente, da questo punto di vista non possiamo prendere in esame gli acquerelli di Grevembroch che, nonostante l’accuratezza, non possono fornire informazioni sulla resa qualitativa dei particolari30. La terza vera da pozzo dell’Avana si trova di fronte alla nuova chiesa ortodossa greca consacrata nel 2004, nel giardino dietro l’ex convento di San Francisco de Asís, chiamato oggi giardino di Madre Teresa di Calcutta31. Anche questa sponda è di pietra d’Istria, ma molto diversa dalle due già esaminate: il fusto d’insolita forma a ciotola è posto su un basamento decorato con quattro teste di ariete, fregio di foglie e tortiglione. Il fusto è suddiviso dalle arcate, sorrette da semicolonnine tortili, e decorato con scene di animali combattenti eseguite a bassorilievo sullo sfondo in mosaico dorato. Sebbene l’aspetto dell’insieme sia romanico, appare evidente il carattere eclettico di questo puteale: il basamento imita le basi delle colonne romaniche, anche se tra le vere romaniche non troviamo esempi di fusto “a ciotola”; inoltre, quest’ultimo è fessurato e della decorazione musiva rimangono solo alcune tracce. All’interno non si vedono però i segni di un suo uso regolare e continuato. Non c’è dubbio che si tratta di opera neoromanica del tardo Ottocento o del primo Novecento, sin dall’origine destinata al mercato antiquario. I falsi otto-novecenteschi di sponde altomedievali e romaniche sono numerosissimi e dimostrano chiaramente come l’interesse dei collezionisti per questo tipo di puteali fosse assai maggiore dell’oferta32. Anche come falso, il puteale del giardino di Madre Teresa si può inserire bene nel contesto di produzione delle vere da pozzo dell’epoca. L’opera si può con certezza attribuire alla stessa anonima bottega che ha eseguito una vera conservata oggi nel Museo Archeologico del Castello Sforzesco di Milano33: oltre alla forma “a ciotola”, è da notare il basamento con teste di arieti, la suddivisione della supericie e la scelta degli elementi decorativi architettonici e, inine, il medesimo sfondo a into mosaico34. L’unica diferenza si trova nel repertorio dei motivi a bassorilievo: mentre all’Avana tutti i rilievi rappresentano animali, a Milano questi soggetti si alternano con quelli vegetali. Di forma simile, ma di proporzioni leggermente diverse e priva del basamento, forse perduto, è la vera da pozzo di Častá–hrad Červený Kameň in Slovacchia, che potrebbe spettare alla stessa bottega di lapicidi35. 125 / Segnalazioni La presenza di puteali veneziani nell’ambiente coloniale dell’Avana vecchia apre inevitabilmente il problema circa la loro origine e le circostanze del loro arrivo a Cuba. La collocazione della vera da pozzo con emblemi di san Bernardino da Siena nell’ex convento francescano porta a ipotizzare che essa facesse parte dell’inventario dei suoi beni sin dai tempi in cui il convento era ancora attivo, ma la storia del complesso prova altrimenti. I francescani erano presenti all’Avana già prima del 1570 e il convento di San Francisco de Asís fu fondato nel 157436, ma il complesso odierno è interamente opera settecentesca (1719-1738)37. Dopo la soppressione, nel 1842 l’ediicio fu trasformato in magazzino della dogana, destinato all’inizio del Novecento a centro di comunicazione telegraica e telefonica; nel 1992 hanno preso il via i lavori di restauro, condotti dalla Soprintendenza ai beni culturali dell’Avana, che hanno trasformato la chiesa in sala da concerti e il resto del complesso in Museo di arte sacra. La vera da pozzo è stata collocata nel chiostro solo 4. Vera da pozzo, XIX-XX secolo. L’Avana, Jardín Madre Teresa de Calcuta. 5. Vera da pozzo, XIX-XX secolo. Milano, Castello Sforzesco. al termine dei lavori e quindi non si trovava originariamente nel convento38. Simile è la situazione dell’altro puteale quattrocentesco Il Colegio Universitario de San Gerónimo de La Habana ha sede in un ediicio moderno, costruito sul terreno dove prima sorgeva il convento domenicano di San Juan de Latrán, fondato nel XVI secolo e noto per essere stato la prima sede dell’università dell’Avana nel 1728. Il complesso venne demolito per fare spazio a un ediicio per uici con eliporto sul tetto costruito nei tardi anni cinquanta; recentemente è stato ristrutturato e i lavori hanno portato a una ricostruzione approssimativa del campanile e del portale principale39. Qui nel 2006 ha trovato la sua sede il Colegio de San Gerónimo, istituto universitario per i beni culturali. Il puteale, che prima del termine dei lavori si trovava accanto al complesso, di fronte all’albergo Ambos Mundos, venne collocato nel cortile nel 2006; purtroppo non abbiamo altre indicazioni sulla sua provenienza40. Sembra quindi che il destino delle vere da pozzo “cubane” sia simile a quello di altre vere del mercato antiqua- 1 Giovanni Marangoni, nell’introduzione a Raccolta delle vere da pozzo in Venezia, Venezia 1975, p. 8 (ristampa dell’edizione ridotta del 1911 della Raccolta delle vere da pozzo in Venezia, a cura di F. Ongania, Venezia 1889); A. Rizzi, Vere da pozzo di Venezia. I puteali pubblici di Venezia e della sua laguna = The Well-Heads of Venice. Public WellHeads in Venice and the Islands of its Lagoon, Venezia 20073, pp. 7, 52-53, 301-332: secondo la stima di Rizzi potrebbero essere ancora presenti in città all’incirca duemilacinquecento vere. Nonostante le ricerche e l’impegno degli studiosi, è praticamente impossibile schedare tutte le vere da pozzo. I numerosi repertori apparsi su internet non sono completi e tutti sono privi dell’apparato scientiico; sono però disponibili le immagini di numerosi puteali di cortili interni, inora inediti (cfr. ad esempio L. Zanon, Le vere da pozzo: raccolta on-line relativa a questa tradizione veneziana, http://veredapozzo. com (copyright 2011); BluOscar, Vere da pozzo, http://bluoscar.blogspot. com/2010/03/le-vere-da-pozzo.html (aggiornato 9-3-2010); Vere da Pozzo di Venezia, http://www.venise-serenissime.com/home/planinteractif/puits_ venise/puits_venise1.htm; http:// www.webalice.it/menin.giorgio/Vdp. pdf (aggiornato 8-2-2012). 2 Recentemente Anna Tüskés è intervenuta su vari aspetti della questione, concentrandosi in particolare sulle falsiicazioni ottocentesche e sulla fortuna delle vere da pozzo in Ungheria (A. Tüskés, A Schmidt-cég “pozzói”nak problémája. The Well-Heads of the Schmidt Company, in Omnis creatura signiicans. Tanulmányok Prokopp Mária 70. születésnapjára. Essays in Honour of Mária Prokopp, a cura di A. Tüskés, Budapest 2009, pp. 291-296; Ead., Comprare un pezzo di Venezia: vere da pozzo nella letteratura e nel commercio d’arte, “Zbornik za umetnostno zgodovino”, XLV, 2009, pp. 111-132; Ead., La fortuna letteraria e collezionistica delle vere da pozzo veneziane, “Nuova Corvina”, 21, 2009, pp. 128-138; Ead., Venetian well-heads in nineteenth-century taste, “Sculpture Journal”, 19, 2010, 1, pp. 49-61; Ead., Venetian Well-Head in Bled, “Zbornik za umetnostno zgodovino”, XLVI, 2010, pp. 324-329; Ead., Vere da pozzo 126 / Segnalazioni rio e per il momento mancano i dati per indagare sulle circostanze che hanno condotto alla loro collocazione odierna. Possiamo solo ipotizzare che i puteali probabilmente non giunsero a Cuba prima della seconda guerra di indipendenza (1895-1898): nell’Ottocento, sotto il dominio spagnolo, il paese doveva la sua ricchezza alla produzione di zucchero, ma gli stretti legami politici, economici e culturali con gli Stati Uniti nel primo Novecento hanno avvicinato Cuba al mercato antiquario statunitense. Possiamo allora pensare che le vere da pozzo decorassero i cortili o i giardini dei complessi residenziali, non necessariamente nell’Avana vecchia, ma piuttosto nelle nuove zone abitative della città che, proprio in quel periodo, si stava allargando rapidamente, cioè a Vedado o Miramar41, e proprio per l’espansione notevole della città, con molte ville e palazzine che conosciamo ancora poco, non sarà una sorpresa se qualche altro esemplare di vera da pozzo emergerà nel futuro. Università di Ljubljana veneziane in Ungheria, “Commentari d’arte”, XVII, 2011, 48, pp. 61-74). 3 È il caso di Ca’ Soranzo-Van Axel (cfr. F. Isman, Cosí un intero angolo di città ha traslocato: è andato in Pennsylvania, a Filadelia, “Venezialtrove”, 3, 2004, pp. 13-19; alle pp. 21-29 la versione in lingua inglese). 4 Per le descrizioni e l’analisi delle vere da pozzo, si segue la terminologia introdotta da Alberto Rizzi nella sua opera fondamentale (A. Rizzi, Vere da pozzo…, cit., in particolare pp. 64-65). 5 Raccolta delle vere da pozzo..., cit., p. 53; G. Voltolina, Le antiche vere da pozzo veneziane, Venezia 1981, pp. 80-81, ig. 63; A. Rizzi, Vere da pozzo..., cit., pp. 72-73, cat. 18, 89, ig. 52. 6 Raccolta delle vere da pozzo..., cit., p. 178; G. Voltolina, Le antiche vere da pozzo veneziane..., cit., p. 79, ig. 62; A. Rizzi, Vere da pozzo..., cit., p. 229, cat. 189, 236-237, igg. 271-272. 7 Il puteale dell’Avana è privo di decorazione igurativa, mentre su quello del campiello Barozzi sono scolpite due teste dei putti in altorilievo e su quello del campiello delle Strope è raigurata in bassorilievo una testa barbuta, identiicata come homo silvanus (cfr. A. Rizzi, Vere da pozzo..., cit., p. 229, cat. 189). 8 Raccolta delle vere da pozzo..., cit., p. 45; A. Rizzi, Vere da pozzo..., cit., pp. 460-461. Una vera da pozzo molto simile a quella del Ponte della Donna Onesta si trova nel Royal Botanic Garden a Kew; sull’esame delle sole fotograie non si può concludere che si tratta dello stesso pezzo: lo stemma di Kew è più grande, ma non sappiamo se le immagini rappresentano lo stesso lato del pozzo (A. Tüskes, Venetian well-heads..., cit., pp. 59-60, ig. 15). 9 Raccolta delle vere da pozzo..., cit., p. 158. 10 G. Voltolina, Le antiche vere da pozzo veneziane..., cit., p. 21, ig. 56; A. Rizzi, Vere da pozzo..., cit., pp. 242-243, cat. 200. 11 A. Rizzi, Vere da pozzo..., cit., pp. 272, 274, cat. 227, ig. 318. 12 Raccolta delle vere da pozzo..., cit., p. 166. 13 San Bernardino cominciò ad esibire l’emblema IHS, dipinto su una tavoletta, durante le sue prediche alla metà degli anni venti del Quattrocen- to, un termine post quem anche per la datazione della nostra vera da pozzo. L’emblema raigurato su questo puteale, comunque, non è iscritto nel cerchio e circondato da iamme, secondo l’iconograia tradizionale. 14 Nel saggio introduttivo al suo repertorio, Alberto Rizzi considera lo scudo a mandorla una forma tipicamente quattrocentesca (A. Rizzi, Scultura esterna a Venezia. Corpus delle Sculture Erratiche all’aperto di Venezia e della sua Laguna, Venezia 1987, pp. 45-46); anche nel volume sulle vere da pozzo, tutti i puteali con scudi a mandorla sono datati entro il Quattrocento: A. Rizzi, Vere da pozzo..., cit., pp. 98 (ig. 76), 125 (ig. 98), 128 (igg. 103, 104), 144 (ig. 142), 185 (ig. 190), 256, 258 (ig. 288). 15 A. Markham Schulz, Revising the History of Venetian Renaissance Sculpture: Niccolò and Pietro Lamberti, “Saggi e Memorie di storia dell’arte”, 15, 1986, pp. 50-52. 16 Le altre due vere da pozzo, di questa tipologia e menzionate sopra (vedi le note 8 e 9), sono ancora più recenti: dalle vecchie fotograie si distinguono gli stemmi con la testa di cavallo, il che suggerisce una datazione alla seconda metà del Quattrocento. 17 Cfr. ad esempio E. Morando di Custoza, Libro d’arme di Venezia, Verona 1979, passim. L’unico esempio a me noto con la croce sopra la stella è lo stemma posto all’esterno della canonica di Torcello: si tratta di uno scudo a testa di cavallo, diviso in fascia con entrambi i simboli nella partizione in alto (A. Rizzi, Scultura esterna a Venezia..., cit., p. 542, cat. LA 104, senza identiicazione). 18 E. Morando di Custoza, Libro d’arme di Venezia..., cit., p. CCLIV: tra le varianti degli stemmi Orso e Orseolo con la igura dell’orso nessuna corrisponde alla composizione dello stemma dell’Avana per quanto riguarda la partizione dello scudo, ma non c’è dubbio che l’animale raigurato qui sia un orso. 19 La presenza delle sole rosette rende l’identiicazione di questo stemma estremamente diicile, poiché si tratta di un elemento che appare nelle imprese di moltissime famiglie nobili (E. Morando di Custoza, Libro d’arme di Venezia..., cit., passim). 20 A. Markham Schulz, The Sculpture of Giovannni and Bartolomeo Bon and their Workshop, Philadelphia 1978, in particolare p. 69. 21 Jan Grevembroch, mss. GradenigoDolin 107 (1761), Venezia, Biblioteca Correr; Jan Grevembroch, Supplementi alle antichità delineate, alle varie e venete curiosità sacre e profane e alle cisterne, mss. Gradenigo-Dolin 108, Venezia, Biblioteca Correr. Dalle didascalie del repertorio di Ongania apprendiamo che alla ine dell’Ottocento molte vere da pozzo – e numerose di questo tipo – erano già nelle mani degli antiquari (Raccolta delle vere da pozzo..., cit., passim). 22 Raccolta delle vere da pozzo..., cit., p. 110; G. Voltolina, Le antiche vere da pozzo veneziane..., cit.; A. Rizzi, Vere da pozzo..., cit., p. 202, cat. 164, 211, ig. 233. 23 A. Rizzi, Vere da pozzo..., cit., pp. 24-25: sebbene con incertezza, Grevembroch attribuisce lo stemma alla famiglia Gauli, estinta nel 1356, ma la forma del puteale e la lavorazione delle foglie fanno pensare piuttosto a una datazione verso la metà del Quattrocento. 24 A. Rizzi, Vere da pozzo..., cit., pp. 434-435. 25 Ivi, pp. 328-329. 26 Raccolta delle vere da pozzo..., cit., p. 62. 27 Ivi, p. 36. 28 Ivi, p. 101. 29 Ivi, p. 125; A. Rizzi, Vere da pozzo..., cit., p. 277, cat. 233, 279, ig. 324: Rizzi propone una datazione al Trecento, forse in base all’anfora sul fusto, elemento che nel Quattrocento non è così frequente; comunque, la lavorazione delle foglie ha più punti in comune con le vere quattrocentesche. Il problema della datazione è simile a quello della vera vicino a Santa Maria Formosa (vedi nota 23). 30 Sono pure escluse dal confronto vere di qualità nettamente superiore che gli studiosi hanno associato più 127 / Segnalazioni direttamente alla bottega dello stesso Bartolomeo Bon: ad esempio quella del Victoria and Albert Museum di Londra (A. Rizzi, Vere da pozzo..., cit., pp. 27-28), quella già in Corte Bressana, ora al Museo Correr (ivi, p. 325) ecc.; inoltre sono omessi anche numerosi esempi di puteali appartenenti alla stessa tipologia, ma con gli elementi decorativi all’antica e quindi databili alla seconda metà del Quattrocento. 31 Questo terreno era originariamente occupato dal convento di San Francisco, ma in seguito ai danni causati da un uragano nel 1846 questa parte del convento, insieme al presbiterio della chiesa, è stata demolita (D. Taboada, Reseña histórica-Convento de San Francisco de Asís, “Opus Habana”, III, 1999, 3-4, pp. 4-15). 32 L’uso del termine “falso” sembra per alcuni puteali ottocenteschi più adatto che “imitazione”, in quanto si può presumere che le nuove vere fossero spesso presentate sul mercato come pezzi originali: in alcuni casi troviamo anche i danni e le tracce del consumo falsiicati (A. Tüskes, Comprare un pezzo di Venezia..., cit., p. 128). Al contrario dei falsi romanici, spesso eseguiti con tale bravura che è diicile distinguerli dagli originali, sono pochi e assai facilmente riconoscibili come falsi quelli gotici e rinascimentali, come ad esempio il puteale nel monastero camaldolese di Majk in Ungheria (A. Tüskes, Vere da pozzo veneziane in Ungheria..., cit., p. 65, ig. 7). 33 Questo puteale è stato scoperto solo di recente da A. Tüskes, Comprare un pezzo di Venezia..., cit., pp. 128-129. 34 Parlando del commerciante viennese Miksa Schmidt nel tardo Ottocento, la Tüskes ha qualche perplessità nell‘interpretare i termini “vergoldet” e “Mosaik eingelegt” che compaiono nel suo inventario: lo sfondo musivo di queste due vere potrebbe risolvere questo problema, senza necessariamente puntare su un possibile legame tra il puteale cubano e l‘attività commerciale dello Schmidt (A. Tüskés, A Schmidt-cég “pozzói”-nak problémája..., cit., pp. 293, 296). 35 A. Tüskes, Comprare un pezzo di Venezia..., cit., pp. 128-129. 36 J.E. Weiss, La arquitectura colonial cubana. Siglos XVI al XIX, La HabanaSevilla 1996, pp. 58-59: questo volume, uscito postumo, è tuttora l’opera fondamentale e più completa sull’architettura coloniale cubana. 37 Per la storia del del complesso conventuale cfr. J.E. Weiss, La arquitectura colonial cubana…, cit., pp. 240-243; D. Taboada, Reseña histórica-Convento de San Francisco de Asís..., cit.; La Habana. Guía de arquitectura = Havana, Cuba. An Architectural Guide, a cura di M.E. Martín Zequeira, F.L. Rodríguez Fernández, La Habana-Sevilla 2009, p. 84. 38 Ci si basa sulla testimonianza di coloro che hanno seguito i lavori negli anni novanta e operano tuttora nel museo. 39 J.E. Weiss, La arquitectura colonial cubana…, cit., pp. 135-139; fondamentale per le notizie sulla demolizione del complesso nel Novecento e sui lavori di ristrutturazione: J. Linares Ferrera, Campanas al viento. El Colegio Universitario de San Gerónimo de La Habana, “Opus Habana”, X, 2006, 1, pp. 4-15. 40 J. Linares Ferrera, Campanas al viento…, cit., p. 13: l’autore menziona con una sola parola la collocazione di un brocal (puteale) nel cortile. 41 Il Vedado, situato lungo la costa a ovest di Habana Vieja e dell’ottocentesca Habana Centro, è un quartiere del tardo Ottocento; Miramar, ancora più distante, situato oltre la bocca del iume Almendares, dell’inizio del Novecento. Sul Vedado, J.E. Weiss, La arquitectura colonial cubana…, cit., pp. 422-423; per una sintesi dell’espansione tra Otto e Novecento: La Habana. Guía de arquitectura…, cit., pp. 56-65.