Guardia di Finanza - Finanzwache - Financna Straza by Federico Sancimino
Raccontare la vita di un Eroe non è cosa facile per nessuno, soprattutto se ricorre il 100° anniv... more Raccontare la vita di un Eroe non è cosa facile per nessuno, soprattutto se ricorre il 100° anniversario dei fatti storici che lo videro protagonista.
Armando Postiglioni, che all’epoca delle vicende che narreremo era uno fra i più giovani Marescialli ordinari della Guardia di Finanza, ha legato il proprio nome ai poco noti, ma tragici, “fatti di Trieste”, verificatisi nella bellissima città giuliana ai primi di marzo del 1921.
A Trieste, il nostro protagonista vi prestava servizio in qualità di Maresciallo del contingente di mare, in quella che era stata una delle prime e più importanti Flottiglie Costiere che il Corpo aveva allestito nell’alto Adriatico dopo la vittoriosa fine della “Grande Guerra”. L’uomo non era certo uno qualunque.
Vedremo tra poco quanto fosse stata intensa e ricca di avvenimenti la sua pur breve presenza tra le Fiamme Gialle. Di che pasta fosse fatto quel marinaio venuto dall’isola dell’Elba, che con coraggio leonino aveva addirittura scelto di combattere tra i monti, al fianco dei suoi commilitoni di un Battaglione mobilitato, piuttosto che pattugliare le coste nazionali su un mezzo navale. Il Postiglione era, infatti, un uomo d’azione.
In generale, quando si parla degli Eroi si tende ad esagerare, magari spinti dalla voglia interiore di rendere un servizio alla storia e, per questo, dipingendo questi uomini straordinari con appellativi altisonanti, pregni di qualità ed aggettivi inusuali, che forse richiamano alla mente passi di quella letteratura classica e romantica, ormai demodé. In realtà, nel caso del Maresciallo Postiglioni, il termine “Eroe”, così come lo intende la gran
parte dei lettori, è quanto mai appropriato.
E’ pur vero, però, che non siamo d’accordo con chi asserisce che “Eroi si nasce”.
Armando Postiglioni nacque e visse da uomo semplice, pur distinguendosi fra gli altri per il suo coraggio ed attaccamento alle Istituzioni, di cui fu leale servitore, e che dimostrò quotidianamente nel corso dei suoi pochi anni di servizio nella Guardia di Finanza.
Ma certamente non andò mai incontro scientemente alla morte, ovvero condusse spavaldamente i suoi finanzieri in battaglia senza calcolare rischi e conseguenze.
Egli fu soltanto un bravissimo comandante ed esecutore di ordini; un soldato che seppe fare delle scelte, utilizzando spesso quello spirito d’iniziativa, quel coraggio e quell’attrazione verso le imprese più difficili che nel 1913, come approfondiremo a breve, lo aveva indotto ad offrirsi volontario per la Libia.
Giocoforza, il suo eroismo fu largamente utilizzato dal fascismo, che lo sfruttò in chiave pubblicitaria, inneggiando al martire della causa politica, piuttosto che al fedele servitore dello Stato, come era giusto che fosse ricordato. Siamo certi che anche ad Armando Postiglioni l’appellativo di “martire fascista” non sarebbe piaciuto, come non piace a noi.
Egli fu soltanto un finanziere che antepose il dovere ai rischi personali; il bene del Paese e della Guardia di Finanza ai meri calcoli d’interesse privato. Armando Postiglioni, insomma, fu un uomo a tutto tondo: un Eroe d’altri tempi capace di grandi gesti di generosità, sia sui campi di battaglia che nella guerra di tutti i giorni.
Ci auguriamo che la biografia che abbiamo voluto dedicargli, a cento anni dalla sua prematura morte, possa servire per conoscere meglio la vera anima di Noi finanzieri; per condividere i valori sinceri che animano le nostre scelte; per apprezzare il coraggio e lo spirito di sacrificio che occorrono per affrontare i quotidiani cimenti.
Bookmarks Related papers MentionsView impact
Fiamme Gialle, 2020
Breve storia delle Fiamme Gialle a a Fiume nel biennio 1919-1921.
Bookmarks Related papers MentionsView impact
SI CONIERÀ… NEL BRONZO NEMICO. , 2018
Breve storia del cippo di Redipuglia a ricordo delle Fiamme Gialle
cadute nella Grande Guerra.
F... more Breve storia del cippo di Redipuglia a ricordo delle Fiamme Gialle
cadute nella Grande Guerra.
Fra i cimeli più importanti che il Museo Storico del Corpo offre ancora oggi ai suoi visitatori, merita una particolare attenzione il c.d. “Cippo di Redipuglia”, così “catalogato” sin dal lontano 5 luglio 1937, data dell’inaugurazione ufficiale delle prime sale museali, oltre che del Sacrario dei Caduti del Corpo nel quale la medesima
reliquia fu esposta originariamente.
Si tratta, come è riscontrabile dalle foto riprodotte più avanti, di un monoblocco di pietra carsica, sormontato da due aquile coniate “…nel bronzo nemico”, come si scrisse allora (si utilizzarono per la fusione, infatti, le parti bronzee dei residuati bellici austro-ungarici): un preziosissimo manufatto che da qualche anno era stato
restituito alla Regia Guardia di Finanza, dopo aver delimitato, sin dal 1923, l’area cimiteriale dedicata ai caduti del Corpo nella “Grande Guerra”.
Stiamo ovviamente parlando di quello che oggi è noto agli italiani con il titolo di “Cimitero Militare di Redipuglia sul Colle Sant’Elia”, inaugurato da Re Vittorio Emanuele III e da Mussolini, alla presenza del Duca d’Aosta, e consacrato, dall’Ordinario Militare Monsignor Angelo Bartolomasi, il 24 maggio del 1923.
Dedicato agli “Invitti della 3ª Armata”, dei quali Emanuele Filiberto di Savoia era stato Comandante, raccolse allora le salme e i resti disseppelliti in altri cimiteri di guerra di ben trentamila soldati italiani, per lo più rimasti ignoti (lo stesso Comandante della 3ª, morto a Torino il 4 luglio 1931, volle esservi tumulato, all’interno della cappella
posta ai piedi del faro-obelisco sulla sommità del S.Elia).
Il “Cippo” delimitò, quindi, le sepolture di alcune fra le più gloriose Fiamme Gialle che si erano immolate nel corso della “Grande Guerra”, salme amorevolmente recuperate dai soldati dell’allora “Ufficio Cura e Onoranze Salme Caduti in Guerra”, come approfondiremo in altro capitolo.
Lo farà sino alla metà degli anni ’30, allorquando - come diremo - il “Regime” decise di monumentalizzare l’intera area, attraverso un radicale progetto architettonico che nel giro di qualche anno trasformò il disarticolato Colle di Sant’Elia e le immediate vicinanze in un vero e proprio “Tempio alla Vittoria” delle Armi Italiane.
Nel quadro delle celebrazioni del Centenario della fine del primo conflitto mondiale, abbiamo, quindi, ritenuto doveroso ricostruire non solo le vicende storico-artistiche legate al prezioso cimelio, ma anche i vari aspetti logistici inerenti sia alla prima che alla seconda sistemazione del “Cippo dei Finanzieri” nell’area monumentale di
Redipuglia.
Il titolo del libro ha voluto utilizzare la frase che, a partire dal 1920, comparve sulla “Medaglia Commemorativa della guerra italo-austriaca 1915-1918” che l’allora Ministero della Guerra conferì a coloro che avevano preso parte all’immane conflitto, in una faccia della quale era stampigliata per l’appunto la frase “Coniata nel bronzo nemico”, volendo ricordare l’utilizzo delle parti bronzee dei pezzi di artiglieria austro-ungarica per la fusione delle migliaia e migliaia di esemplari.
Il cimelio, che non a caso è stato posizionato nei pressi dell’angolo dedicato alle Medaglie d’Oro al Valor Militare “individuali”, sito nell’area espositiva basamentale dell’attuale Museo Storico del Corpo, non fu certamente il primo monumento voluto dalle Fiamme Gialle onde onorare, nei vari cimiteri militari sorti già guerra durante,
i propri militari caduti qua e là, ma sicuramente rappresentò l’intera Istituzione in quello che già nel 1923 fu considerato fra i più grandi cimiteri militari europei.
Nei suoi pressi si ebbero, nel tempo, cerimonie importanti; vi si deposero corone d’alloro; vi piansero vedove, madri e figli sconsolati. È stato, in buona sostanza, testimone privilegiato della Storia: anche della Storia delle Fiamme Gialle d’Italia, sfidando sia i rigori della natura che l’affievolimento di quella Memoria, che per fortuna, grazie al ciclo commemorativo sul quale stiamo lavorando dallo scorso
2015, sembrerebbe riprendere finalmente vigore.
Bookmarks Related papers MentionsView impact
Antonio Farinatti L'Eroe di Parenzo, 2019
Troppo spesso - ci capita di notare - si parla di eroismo e di eroi con estrema leggerezza, attri... more Troppo spesso - ci capita di notare - si parla di eroismo e di eroi con estrema leggerezza, attribuendo tali qualifiche anche a chi di “eroico” ha fatto veramente poco.
Eppure, sappiamo tutti che l’eroe è colui che compie un gesto straordinario, un generoso atto di coraggio che tenda a proteggere il bene altrui o collettivo, sia esso consapevole o inconsapevole che da tale comportamento possa derivarne il sacrificio della propria vita.
L’Italia è davvero il Paese degli eroi: uomini coraggiosi che in ogni tempo hanno saputo dare il meglio di sé, sia sui campi di battaglia che nella vita di tutti i giorni. Gli eroi sono persone comuni, non necessariamente sono dotati di “poteri sovrannaturali”
(pensiamo, ad esempio, al concetto del mito della razza), ma solo di un’anima generosa che li ha spinti a quei comportamenti che poi li hanno immortalati per l’eternità.
L’eroismo dei soldati è certamente quello più conosciuto dalle masse, anche perché la letteratura, prima, il cinema e la televisione, poi, c’è l’ha fatto conoscere ed apprezzare da vicino, facendocene cogliere i vari aspetti etici, morali, personali.
Tanti, dunque, sono gli eroi che questo Paese ha visto immolarsi, così come tanti sono le testimonianze che li riguardano. Si parla, quindi, di un eroismo in battaglia; di un eroismo filantropico (salvare altre persone dal pericolo di morire, ecc.); di un eroismo quotidiano, affrontando rischi di un mestiere o professione pericolosa (penso agli appartenenti alle Forze di Polizia, ai Magistrati, agli Amministratori onesti,
agli imprenditori che non si lasciano intimorire), e così via.
Molti sono, poi, gli eroi che sono assurti ai massimi allori per aver mantenuto un comportamento esemplare, magari in momenti delicatissimi per il Paese, non dimenticando mai di essere Italiani fino in fondo, rimanendo, quindi, al proprio posto anche quando il pericolo di cadere era incombente.
Appartiene a questa categoria la nobilissima figura del Maresciallo Capo Antonio Farinatti, originario di Migliaro (Ferrara), barbaramente trucidato dai partigiani titini nelle torbide giornate del settembre-ottobre 1943, dopo aver difeso strenuamente la popolazione italiana di Parenzo, la città dell’Istria ove egli si trovava al Comando di quella Brigata della Guardia di Finanza.
Antonio Farinatti non fu un eroe per il solo fatto di aver sacrificato la vita. Fu ed è un eroe per quello che fece.
Innanzitutto non abbandonò Parenzo dopo la proclamazione dell’armistizio, come, invece, fecero in tanti. Si prodigò, quindi, e con ogni mezzo per salvaguardare la locale comunità italiana, seriamente minacciata dall’arrivo dei partigiani slavi.
Cercò coraggiosamente di far ragionare i “patrioti locali”, facendogli capire che i civili non avevano alcuna colpa, così come nessun rappresentante della Pubblica Amministrazione ne aveva, di colpe, riguardo alla politica varata dal fascismo ai danni delle comunità slave.
Il Maresciallo Farinatti, che a Parenzo viveva con la sua famigliola (moglie e due figlie), poteva certamente salvarsi, fuggendo subito dopo l’8 settembre. Accettò, tuttavia, di rischiare, consapevole del fatto che gli stessi gravissimi rischi li correvano pure i suoi cari.
Fedele al motto delle Fiamme Gialle “Nec Recisa Recedit” (neanche spezzata retrocede), il Sottufficiale emiliano condivise così la sorte di altri poveri sventurati, circa un’ottantina, rastrellati, imprigionati ed infine infoibati nei pressi di Albona (attuale Labin, in Croazia) per il solo fatto di essere italiani, pagando così loro le eventuali responsabilità di quel Governo deposto il precedente 25 di luglio.
Il titolo del libro è quanto mai appropriato, anche perché - occorre ricordarlo sin da ora - alla memoria del Maresciallo Farinatti è stata conferita la Medaglia d’Oro al Merito Civile, segno evidente della riconoscenza della Patria, seppur tardivamente giunta dopo anni di silenzio.
L’Eroe di Parenzo rivivrà, dunque, in queste poche pagine, purtroppo composte - ci sia consentita la giustificazione - con grandissima difficoltà, soprattutto a causa della mancanza di documentazione ufficiale e di un sufficiente apporto testimoniale.
Pur tuttavia, siamo certi che il testo servirà a far conoscere - e meglio far comprendere - la storia di questo grande e generoso Italiano, così come sarà utile per non far spegnere la luce del ricordo riguardo a ciò che è stata la persecuzione degli italiani in Istria e Dalmazia, dimostrando, infine, che la morte di Antonio Farinatti non è
stata certamente vana, anche perché, come disse Orazio “Dulce et decorum est pro patria mori” (è dolce e nobile cosa il morir per la Patria).
Bookmarks Related papers MentionsView impact
La storia dei “Finanzieri di mare a Trieste” propone come punto di partenza
il porto cittadino, s... more La storia dei “Finanzieri di mare a Trieste” propone come punto di partenza
il porto cittadino, spaziando allo stesso tempo al Litorale Austriaco,
poi Venezia Giulia, e all’Istria, per riapprodare poi sulle rive della città. Il
volume, infatti, non si limita alla sola presenza italiana nel contesto storico
successivo al 1919, ma – e ciò avviene per la prima volta – opera un
collegamento tra due epoche. Da un lato si trovano i Finanzieri-marinai
della “Imperial Regia Guardia di Finanza” austro-ungarica, mentre
dall’altro lato le Fiamme Gialle di mare del Regno d’Italia: le stesse che
erediteranno dai colleghi austriaci, nel 1918-1919, un dispositivo navale
di tutto rispetto, grazie al quale fu possibile dar vita alla prima “Flottiglia
Costiera” della Guardia di Finanza. I Finanzieri di mare della “Trieste
Asburgica” furono i veri precursori di quell’innovazione tecnologica e
professionale che dal ’19 in poi caratterizzerà l’agire delle Fiamme Gialle
triestine. Furono proprio queste eredità che consentirono alla “Flottiglia”
di poter emergere certamente ad esempio più degno e concreto di come
fosse progredita, a partire dai primi anni ’20, la “Marineria di Finanza”
italiana, le cui origini risalgono al lontano 1816, ricorrendo quest’anno
il Bicentenario. Il volume prosegue con l’evoluzione del servizio navale
del Corpo in parallelo alla storia del Novecento triestino: gli eventi
della Seconda Guerra Mondiale, il dramma dell’occupazione Jugoslava,
l’amministrazione Anglo-Americana e quella del Territorio Libero di
Trieste, il ritorno di Trieste all’Italia nel 1954, fino a giungere ai giorni
nostri. I 15 capitoli del volume sono arricchiti dalle “curiosità storiche”
che tratteggiano nel dettaglio alcuni episodi o personaggi che hanno
caratterizzato la storia dei finanzieri di mare di Trieste. Infine, il volume
è ampiamente corredato, sia per il periodo austriaco sia italiano, da una
cartografia storica, da immagini, documenti e articoli di giornale riguardanti
i mezzi navali, gli uomini di mare, le uniformi, i fatti “di mare”.
Bookmarks Related papers MentionsView impact
Bookmarks Related papers MentionsView impact
Bookmarks Related papers MentionsView impact
Esplorare “un mondo” ormai scomparso e spesso dimenticato. È questo l’obiettivo del presente lavo... more Esplorare “un mondo” ormai scomparso e spesso dimenticato. È questo l’obiettivo del presente lavoro, che intende raccontare 100 anni di storia delle Fiamme Gialle nel Goriziano ripercorrendo le travagliate vicende storiche che hanno attraversato questo territorio con l’aiuto di fotografie, cartografie, documenti e ricordi personali.
Lo stesso titolo racchiude “l’alfa e l’omega” della nostra storia. Dal “primo colpo di fucile della Grande Guerra”, esploso da un finanziere in servizio al valico italo-austriaco di Brazzano, alla caduta dell’ultima frontiera, quella con la Slovenia, evento che, in questi luoghi, ha per sempre cambiato il significato del binomio “finanziere-confine”.
L’instabile assetto geopolitico dell’alto Adriatico ha imposto alla ricerca una particolare attenzione al territorio, cioè al mutevole contesto geografico in cui i militari della Guardia di Finanza hanno nel tempo operato.
Alla fine della Grande Guerra lo scenario in cui si è concentrato lo sforzo operativo del Corpo è stato la fascia di territorio lungo il confine tracciato nel 1920. Nomi che ormaiconservano quasi un’aura di misticismo come Moistrocca, Rauna Sabbice o Piedicolle sono stati i luoghi che hanno accolto una moltitudine di finanzieri che qui hanno vissuto, lavorato,
trovato affetti e, in qualche caso, la morte.
Nel 1947, al termine del Secondo Conflitto, quasi ricalcando un copione già visto, i militari del Corpo prendono possesso del nuovo confine orientale stabilendosi in località come Vencò, San Floriano e Iamiano, prima in fatiscenti baracche o in poveri edifici rurali, poi nelle nuove caserme demaniali, che ancora oggi, sebbene degradate, resistono come ultime sentinelle di un confine che ormai non c’è più.
Bookmarks Related papers MentionsView impact
WWI - Grande Guerra by Federico Sancimino
Bookmarks Related papers MentionsView impact
Il Progetto “www.sanitagrandeguerra.it - banca dati dei servizi sanitari italiani nella Grande Gu... more Il Progetto “www.sanitagrandeguerra.it - banca dati dei servizi sanitari italiani nella Grande Guerra” è ideato, curato e realizzato dall’Associazione Storica Cimeetrincee (ASCeT), un'associazione storica, apolitica e senza fini di lucro, attiva nella ricerca e memoria storica del primo conflitto mondiale con sede in Castello, Calle S.Gioachin, 450 - Venezia.
Il Progetto ha prodotto la digitalizzazione di 25.210 dati quali sedi dei seguenti reparti di sanità italiani mobilitati nel periodo maggio 1915 – novembre 1918:
Regio Esercito – Servizio sanitario militare:
Sezioni di Sanità;
Ospedaletti da campo da 50 letti;
Ospedali da campo da 100 letti;
Ospedali da campo da 200 letti;
Ambulanze chirurgiche;
Ospedali militari di riserva e civili (in fase di realizzazione);
Croce Rossa Italiana:
Sezioni di sanità;
Ospedali di guerra;
Ambulanze chirurgiche;
Ambulanze da montagna;
Posti di soccorso ferroviario;
Ospedali territoriali (in fase di realizzazione);
Corpo Ausiliario del Sovrano Militare Ordine di Malta:
Posti di soccorso;
Ospedali di guerra;
Treni ospedali
Bookmarks Related papers MentionsView impact
La storia del primo colpo di fucile sul fronte italiano della Grande Guerra
e del suo monumento c... more La storia del primo colpo di fucile sul fronte italiano della Grande Guerra
e del suo monumento commemorativo dedicato ai due finanzieri protagonisti
Bookmarks Related papers MentionsView impact
Uploads
Guardia di Finanza - Finanzwache - Financna Straza by Federico Sancimino
Armando Postiglioni, che all’epoca delle vicende che narreremo era uno fra i più giovani Marescialli ordinari della Guardia di Finanza, ha legato il proprio nome ai poco noti, ma tragici, “fatti di Trieste”, verificatisi nella bellissima città giuliana ai primi di marzo del 1921.
A Trieste, il nostro protagonista vi prestava servizio in qualità di Maresciallo del contingente di mare, in quella che era stata una delle prime e più importanti Flottiglie Costiere che il Corpo aveva allestito nell’alto Adriatico dopo la vittoriosa fine della “Grande Guerra”. L’uomo non era certo uno qualunque.
Vedremo tra poco quanto fosse stata intensa e ricca di avvenimenti la sua pur breve presenza tra le Fiamme Gialle. Di che pasta fosse fatto quel marinaio venuto dall’isola dell’Elba, che con coraggio leonino aveva addirittura scelto di combattere tra i monti, al fianco dei suoi commilitoni di un Battaglione mobilitato, piuttosto che pattugliare le coste nazionali su un mezzo navale. Il Postiglione era, infatti, un uomo d’azione.
In generale, quando si parla degli Eroi si tende ad esagerare, magari spinti dalla voglia interiore di rendere un servizio alla storia e, per questo, dipingendo questi uomini straordinari con appellativi altisonanti, pregni di qualità ed aggettivi inusuali, che forse richiamano alla mente passi di quella letteratura classica e romantica, ormai demodé. In realtà, nel caso del Maresciallo Postiglioni, il termine “Eroe”, così come lo intende la gran
parte dei lettori, è quanto mai appropriato.
E’ pur vero, però, che non siamo d’accordo con chi asserisce che “Eroi si nasce”.
Armando Postiglioni nacque e visse da uomo semplice, pur distinguendosi fra gli altri per il suo coraggio ed attaccamento alle Istituzioni, di cui fu leale servitore, e che dimostrò quotidianamente nel corso dei suoi pochi anni di servizio nella Guardia di Finanza.
Ma certamente non andò mai incontro scientemente alla morte, ovvero condusse spavaldamente i suoi finanzieri in battaglia senza calcolare rischi e conseguenze.
Egli fu soltanto un bravissimo comandante ed esecutore di ordini; un soldato che seppe fare delle scelte, utilizzando spesso quello spirito d’iniziativa, quel coraggio e quell’attrazione verso le imprese più difficili che nel 1913, come approfondiremo a breve, lo aveva indotto ad offrirsi volontario per la Libia.
Giocoforza, il suo eroismo fu largamente utilizzato dal fascismo, che lo sfruttò in chiave pubblicitaria, inneggiando al martire della causa politica, piuttosto che al fedele servitore dello Stato, come era giusto che fosse ricordato. Siamo certi che anche ad Armando Postiglioni l’appellativo di “martire fascista” non sarebbe piaciuto, come non piace a noi.
Egli fu soltanto un finanziere che antepose il dovere ai rischi personali; il bene del Paese e della Guardia di Finanza ai meri calcoli d’interesse privato. Armando Postiglioni, insomma, fu un uomo a tutto tondo: un Eroe d’altri tempi capace di grandi gesti di generosità, sia sui campi di battaglia che nella guerra di tutti i giorni.
Ci auguriamo che la biografia che abbiamo voluto dedicargli, a cento anni dalla sua prematura morte, possa servire per conoscere meglio la vera anima di Noi finanzieri; per condividere i valori sinceri che animano le nostre scelte; per apprezzare il coraggio e lo spirito di sacrificio che occorrono per affrontare i quotidiani cimenti.
cadute nella Grande Guerra.
Fra i cimeli più importanti che il Museo Storico del Corpo offre ancora oggi ai suoi visitatori, merita una particolare attenzione il c.d. “Cippo di Redipuglia”, così “catalogato” sin dal lontano 5 luglio 1937, data dell’inaugurazione ufficiale delle prime sale museali, oltre che del Sacrario dei Caduti del Corpo nel quale la medesima
reliquia fu esposta originariamente.
Si tratta, come è riscontrabile dalle foto riprodotte più avanti, di un monoblocco di pietra carsica, sormontato da due aquile coniate “…nel bronzo nemico”, come si scrisse allora (si utilizzarono per la fusione, infatti, le parti bronzee dei residuati bellici austro-ungarici): un preziosissimo manufatto che da qualche anno era stato
restituito alla Regia Guardia di Finanza, dopo aver delimitato, sin dal 1923, l’area cimiteriale dedicata ai caduti del Corpo nella “Grande Guerra”.
Stiamo ovviamente parlando di quello che oggi è noto agli italiani con il titolo di “Cimitero Militare di Redipuglia sul Colle Sant’Elia”, inaugurato da Re Vittorio Emanuele III e da Mussolini, alla presenza del Duca d’Aosta, e consacrato, dall’Ordinario Militare Monsignor Angelo Bartolomasi, il 24 maggio del 1923.
Dedicato agli “Invitti della 3ª Armata”, dei quali Emanuele Filiberto di Savoia era stato Comandante, raccolse allora le salme e i resti disseppelliti in altri cimiteri di guerra di ben trentamila soldati italiani, per lo più rimasti ignoti (lo stesso Comandante della 3ª, morto a Torino il 4 luglio 1931, volle esservi tumulato, all’interno della cappella
posta ai piedi del faro-obelisco sulla sommità del S.Elia).
Il “Cippo” delimitò, quindi, le sepolture di alcune fra le più gloriose Fiamme Gialle che si erano immolate nel corso della “Grande Guerra”, salme amorevolmente recuperate dai soldati dell’allora “Ufficio Cura e Onoranze Salme Caduti in Guerra”, come approfondiremo in altro capitolo.
Lo farà sino alla metà degli anni ’30, allorquando - come diremo - il “Regime” decise di monumentalizzare l’intera area, attraverso un radicale progetto architettonico che nel giro di qualche anno trasformò il disarticolato Colle di Sant’Elia e le immediate vicinanze in un vero e proprio “Tempio alla Vittoria” delle Armi Italiane.
Nel quadro delle celebrazioni del Centenario della fine del primo conflitto mondiale, abbiamo, quindi, ritenuto doveroso ricostruire non solo le vicende storico-artistiche legate al prezioso cimelio, ma anche i vari aspetti logistici inerenti sia alla prima che alla seconda sistemazione del “Cippo dei Finanzieri” nell’area monumentale di
Redipuglia.
Il titolo del libro ha voluto utilizzare la frase che, a partire dal 1920, comparve sulla “Medaglia Commemorativa della guerra italo-austriaca 1915-1918” che l’allora Ministero della Guerra conferì a coloro che avevano preso parte all’immane conflitto, in una faccia della quale era stampigliata per l’appunto la frase “Coniata nel bronzo nemico”, volendo ricordare l’utilizzo delle parti bronzee dei pezzi di artiglieria austro-ungarica per la fusione delle migliaia e migliaia di esemplari.
Il cimelio, che non a caso è stato posizionato nei pressi dell’angolo dedicato alle Medaglie d’Oro al Valor Militare “individuali”, sito nell’area espositiva basamentale dell’attuale Museo Storico del Corpo, non fu certamente il primo monumento voluto dalle Fiamme Gialle onde onorare, nei vari cimiteri militari sorti già guerra durante,
i propri militari caduti qua e là, ma sicuramente rappresentò l’intera Istituzione in quello che già nel 1923 fu considerato fra i più grandi cimiteri militari europei.
Nei suoi pressi si ebbero, nel tempo, cerimonie importanti; vi si deposero corone d’alloro; vi piansero vedove, madri e figli sconsolati. È stato, in buona sostanza, testimone privilegiato della Storia: anche della Storia delle Fiamme Gialle d’Italia, sfidando sia i rigori della natura che l’affievolimento di quella Memoria, che per fortuna, grazie al ciclo commemorativo sul quale stiamo lavorando dallo scorso
2015, sembrerebbe riprendere finalmente vigore.
Eppure, sappiamo tutti che l’eroe è colui che compie un gesto straordinario, un generoso atto di coraggio che tenda a proteggere il bene altrui o collettivo, sia esso consapevole o inconsapevole che da tale comportamento possa derivarne il sacrificio della propria vita.
L’Italia è davvero il Paese degli eroi: uomini coraggiosi che in ogni tempo hanno saputo dare il meglio di sé, sia sui campi di battaglia che nella vita di tutti i giorni. Gli eroi sono persone comuni, non necessariamente sono dotati di “poteri sovrannaturali”
(pensiamo, ad esempio, al concetto del mito della razza), ma solo di un’anima generosa che li ha spinti a quei comportamenti che poi li hanno immortalati per l’eternità.
L’eroismo dei soldati è certamente quello più conosciuto dalle masse, anche perché la letteratura, prima, il cinema e la televisione, poi, c’è l’ha fatto conoscere ed apprezzare da vicino, facendocene cogliere i vari aspetti etici, morali, personali.
Tanti, dunque, sono gli eroi che questo Paese ha visto immolarsi, così come tanti sono le testimonianze che li riguardano. Si parla, quindi, di un eroismo in battaglia; di un eroismo filantropico (salvare altre persone dal pericolo di morire, ecc.); di un eroismo quotidiano, affrontando rischi di un mestiere o professione pericolosa (penso agli appartenenti alle Forze di Polizia, ai Magistrati, agli Amministratori onesti,
agli imprenditori che non si lasciano intimorire), e così via.
Molti sono, poi, gli eroi che sono assurti ai massimi allori per aver mantenuto un comportamento esemplare, magari in momenti delicatissimi per il Paese, non dimenticando mai di essere Italiani fino in fondo, rimanendo, quindi, al proprio posto anche quando il pericolo di cadere era incombente.
Appartiene a questa categoria la nobilissima figura del Maresciallo Capo Antonio Farinatti, originario di Migliaro (Ferrara), barbaramente trucidato dai partigiani titini nelle torbide giornate del settembre-ottobre 1943, dopo aver difeso strenuamente la popolazione italiana di Parenzo, la città dell’Istria ove egli si trovava al Comando di quella Brigata della Guardia di Finanza.
Antonio Farinatti non fu un eroe per il solo fatto di aver sacrificato la vita. Fu ed è un eroe per quello che fece.
Innanzitutto non abbandonò Parenzo dopo la proclamazione dell’armistizio, come, invece, fecero in tanti. Si prodigò, quindi, e con ogni mezzo per salvaguardare la locale comunità italiana, seriamente minacciata dall’arrivo dei partigiani slavi.
Cercò coraggiosamente di far ragionare i “patrioti locali”, facendogli capire che i civili non avevano alcuna colpa, così come nessun rappresentante della Pubblica Amministrazione ne aveva, di colpe, riguardo alla politica varata dal fascismo ai danni delle comunità slave.
Il Maresciallo Farinatti, che a Parenzo viveva con la sua famigliola (moglie e due figlie), poteva certamente salvarsi, fuggendo subito dopo l’8 settembre. Accettò, tuttavia, di rischiare, consapevole del fatto che gli stessi gravissimi rischi li correvano pure i suoi cari.
Fedele al motto delle Fiamme Gialle “Nec Recisa Recedit” (neanche spezzata retrocede), il Sottufficiale emiliano condivise così la sorte di altri poveri sventurati, circa un’ottantina, rastrellati, imprigionati ed infine infoibati nei pressi di Albona (attuale Labin, in Croazia) per il solo fatto di essere italiani, pagando così loro le eventuali responsabilità di quel Governo deposto il precedente 25 di luglio.
Il titolo del libro è quanto mai appropriato, anche perché - occorre ricordarlo sin da ora - alla memoria del Maresciallo Farinatti è stata conferita la Medaglia d’Oro al Merito Civile, segno evidente della riconoscenza della Patria, seppur tardivamente giunta dopo anni di silenzio.
L’Eroe di Parenzo rivivrà, dunque, in queste poche pagine, purtroppo composte - ci sia consentita la giustificazione - con grandissima difficoltà, soprattutto a causa della mancanza di documentazione ufficiale e di un sufficiente apporto testimoniale.
Pur tuttavia, siamo certi che il testo servirà a far conoscere - e meglio far comprendere - la storia di questo grande e generoso Italiano, così come sarà utile per non far spegnere la luce del ricordo riguardo a ciò che è stata la persecuzione degli italiani in Istria e Dalmazia, dimostrando, infine, che la morte di Antonio Farinatti non è
stata certamente vana, anche perché, come disse Orazio “Dulce et decorum est pro patria mori” (è dolce e nobile cosa il morir per la Patria).
il porto cittadino, spaziando allo stesso tempo al Litorale Austriaco,
poi Venezia Giulia, e all’Istria, per riapprodare poi sulle rive della città. Il
volume, infatti, non si limita alla sola presenza italiana nel contesto storico
successivo al 1919, ma – e ciò avviene per la prima volta – opera un
collegamento tra due epoche. Da un lato si trovano i Finanzieri-marinai
della “Imperial Regia Guardia di Finanza” austro-ungarica, mentre
dall’altro lato le Fiamme Gialle di mare del Regno d’Italia: le stesse che
erediteranno dai colleghi austriaci, nel 1918-1919, un dispositivo navale
di tutto rispetto, grazie al quale fu possibile dar vita alla prima “Flottiglia
Costiera” della Guardia di Finanza. I Finanzieri di mare della “Trieste
Asburgica” furono i veri precursori di quell’innovazione tecnologica e
professionale che dal ’19 in poi caratterizzerà l’agire delle Fiamme Gialle
triestine. Furono proprio queste eredità che consentirono alla “Flottiglia”
di poter emergere certamente ad esempio più degno e concreto di come
fosse progredita, a partire dai primi anni ’20, la “Marineria di Finanza”
italiana, le cui origini risalgono al lontano 1816, ricorrendo quest’anno
il Bicentenario. Il volume prosegue con l’evoluzione del servizio navale
del Corpo in parallelo alla storia del Novecento triestino: gli eventi
della Seconda Guerra Mondiale, il dramma dell’occupazione Jugoslava,
l’amministrazione Anglo-Americana e quella del Territorio Libero di
Trieste, il ritorno di Trieste all’Italia nel 1954, fino a giungere ai giorni
nostri. I 15 capitoli del volume sono arricchiti dalle “curiosità storiche”
che tratteggiano nel dettaglio alcuni episodi o personaggi che hanno
caratterizzato la storia dei finanzieri di mare di Trieste. Infine, il volume
è ampiamente corredato, sia per il periodo austriaco sia italiano, da una
cartografia storica, da immagini, documenti e articoli di giornale riguardanti
i mezzi navali, gli uomini di mare, le uniformi, i fatti “di mare”.
Lo stesso titolo racchiude “l’alfa e l’omega” della nostra storia. Dal “primo colpo di fucile della Grande Guerra”, esploso da un finanziere in servizio al valico italo-austriaco di Brazzano, alla caduta dell’ultima frontiera, quella con la Slovenia, evento che, in questi luoghi, ha per sempre cambiato il significato del binomio “finanziere-confine”.
L’instabile assetto geopolitico dell’alto Adriatico ha imposto alla ricerca una particolare attenzione al territorio, cioè al mutevole contesto geografico in cui i militari della Guardia di Finanza hanno nel tempo operato.
Alla fine della Grande Guerra lo scenario in cui si è concentrato lo sforzo operativo del Corpo è stato la fascia di territorio lungo il confine tracciato nel 1920. Nomi che ormaiconservano quasi un’aura di misticismo come Moistrocca, Rauna Sabbice o Piedicolle sono stati i luoghi che hanno accolto una moltitudine di finanzieri che qui hanno vissuto, lavorato,
trovato affetti e, in qualche caso, la morte.
Nel 1947, al termine del Secondo Conflitto, quasi ricalcando un copione già visto, i militari del Corpo prendono possesso del nuovo confine orientale stabilendosi in località come Vencò, San Floriano e Iamiano, prima in fatiscenti baracche o in poveri edifici rurali, poi nelle nuove caserme demaniali, che ancora oggi, sebbene degradate, resistono come ultime sentinelle di un confine che ormai non c’è più.
WWI - Grande Guerra by Federico Sancimino
Il Progetto ha prodotto la digitalizzazione di 25.210 dati quali sedi dei seguenti reparti di sanità italiani mobilitati nel periodo maggio 1915 – novembre 1918:
Regio Esercito – Servizio sanitario militare:
Sezioni di Sanità;
Ospedaletti da campo da 50 letti;
Ospedali da campo da 100 letti;
Ospedali da campo da 200 letti;
Ambulanze chirurgiche;
Ospedali militari di riserva e civili (in fase di realizzazione);
Croce Rossa Italiana:
Sezioni di sanità;
Ospedali di guerra;
Ambulanze chirurgiche;
Ambulanze da montagna;
Posti di soccorso ferroviario;
Ospedali territoriali (in fase di realizzazione);
Corpo Ausiliario del Sovrano Militare Ordine di Malta:
Posti di soccorso;
Ospedali di guerra;
Treni ospedali
e del suo monumento commemorativo dedicato ai due finanzieri protagonisti
Armando Postiglioni, che all’epoca delle vicende che narreremo era uno fra i più giovani Marescialli ordinari della Guardia di Finanza, ha legato il proprio nome ai poco noti, ma tragici, “fatti di Trieste”, verificatisi nella bellissima città giuliana ai primi di marzo del 1921.
A Trieste, il nostro protagonista vi prestava servizio in qualità di Maresciallo del contingente di mare, in quella che era stata una delle prime e più importanti Flottiglie Costiere che il Corpo aveva allestito nell’alto Adriatico dopo la vittoriosa fine della “Grande Guerra”. L’uomo non era certo uno qualunque.
Vedremo tra poco quanto fosse stata intensa e ricca di avvenimenti la sua pur breve presenza tra le Fiamme Gialle. Di che pasta fosse fatto quel marinaio venuto dall’isola dell’Elba, che con coraggio leonino aveva addirittura scelto di combattere tra i monti, al fianco dei suoi commilitoni di un Battaglione mobilitato, piuttosto che pattugliare le coste nazionali su un mezzo navale. Il Postiglione era, infatti, un uomo d’azione.
In generale, quando si parla degli Eroi si tende ad esagerare, magari spinti dalla voglia interiore di rendere un servizio alla storia e, per questo, dipingendo questi uomini straordinari con appellativi altisonanti, pregni di qualità ed aggettivi inusuali, che forse richiamano alla mente passi di quella letteratura classica e romantica, ormai demodé. In realtà, nel caso del Maresciallo Postiglioni, il termine “Eroe”, così come lo intende la gran
parte dei lettori, è quanto mai appropriato.
E’ pur vero, però, che non siamo d’accordo con chi asserisce che “Eroi si nasce”.
Armando Postiglioni nacque e visse da uomo semplice, pur distinguendosi fra gli altri per il suo coraggio ed attaccamento alle Istituzioni, di cui fu leale servitore, e che dimostrò quotidianamente nel corso dei suoi pochi anni di servizio nella Guardia di Finanza.
Ma certamente non andò mai incontro scientemente alla morte, ovvero condusse spavaldamente i suoi finanzieri in battaglia senza calcolare rischi e conseguenze.
Egli fu soltanto un bravissimo comandante ed esecutore di ordini; un soldato che seppe fare delle scelte, utilizzando spesso quello spirito d’iniziativa, quel coraggio e quell’attrazione verso le imprese più difficili che nel 1913, come approfondiremo a breve, lo aveva indotto ad offrirsi volontario per la Libia.
Giocoforza, il suo eroismo fu largamente utilizzato dal fascismo, che lo sfruttò in chiave pubblicitaria, inneggiando al martire della causa politica, piuttosto che al fedele servitore dello Stato, come era giusto che fosse ricordato. Siamo certi che anche ad Armando Postiglioni l’appellativo di “martire fascista” non sarebbe piaciuto, come non piace a noi.
Egli fu soltanto un finanziere che antepose il dovere ai rischi personali; il bene del Paese e della Guardia di Finanza ai meri calcoli d’interesse privato. Armando Postiglioni, insomma, fu un uomo a tutto tondo: un Eroe d’altri tempi capace di grandi gesti di generosità, sia sui campi di battaglia che nella guerra di tutti i giorni.
Ci auguriamo che la biografia che abbiamo voluto dedicargli, a cento anni dalla sua prematura morte, possa servire per conoscere meglio la vera anima di Noi finanzieri; per condividere i valori sinceri che animano le nostre scelte; per apprezzare il coraggio e lo spirito di sacrificio che occorrono per affrontare i quotidiani cimenti.
cadute nella Grande Guerra.
Fra i cimeli più importanti che il Museo Storico del Corpo offre ancora oggi ai suoi visitatori, merita una particolare attenzione il c.d. “Cippo di Redipuglia”, così “catalogato” sin dal lontano 5 luglio 1937, data dell’inaugurazione ufficiale delle prime sale museali, oltre che del Sacrario dei Caduti del Corpo nel quale la medesima
reliquia fu esposta originariamente.
Si tratta, come è riscontrabile dalle foto riprodotte più avanti, di un monoblocco di pietra carsica, sormontato da due aquile coniate “…nel bronzo nemico”, come si scrisse allora (si utilizzarono per la fusione, infatti, le parti bronzee dei residuati bellici austro-ungarici): un preziosissimo manufatto che da qualche anno era stato
restituito alla Regia Guardia di Finanza, dopo aver delimitato, sin dal 1923, l’area cimiteriale dedicata ai caduti del Corpo nella “Grande Guerra”.
Stiamo ovviamente parlando di quello che oggi è noto agli italiani con il titolo di “Cimitero Militare di Redipuglia sul Colle Sant’Elia”, inaugurato da Re Vittorio Emanuele III e da Mussolini, alla presenza del Duca d’Aosta, e consacrato, dall’Ordinario Militare Monsignor Angelo Bartolomasi, il 24 maggio del 1923.
Dedicato agli “Invitti della 3ª Armata”, dei quali Emanuele Filiberto di Savoia era stato Comandante, raccolse allora le salme e i resti disseppelliti in altri cimiteri di guerra di ben trentamila soldati italiani, per lo più rimasti ignoti (lo stesso Comandante della 3ª, morto a Torino il 4 luglio 1931, volle esservi tumulato, all’interno della cappella
posta ai piedi del faro-obelisco sulla sommità del S.Elia).
Il “Cippo” delimitò, quindi, le sepolture di alcune fra le più gloriose Fiamme Gialle che si erano immolate nel corso della “Grande Guerra”, salme amorevolmente recuperate dai soldati dell’allora “Ufficio Cura e Onoranze Salme Caduti in Guerra”, come approfondiremo in altro capitolo.
Lo farà sino alla metà degli anni ’30, allorquando - come diremo - il “Regime” decise di monumentalizzare l’intera area, attraverso un radicale progetto architettonico che nel giro di qualche anno trasformò il disarticolato Colle di Sant’Elia e le immediate vicinanze in un vero e proprio “Tempio alla Vittoria” delle Armi Italiane.
Nel quadro delle celebrazioni del Centenario della fine del primo conflitto mondiale, abbiamo, quindi, ritenuto doveroso ricostruire non solo le vicende storico-artistiche legate al prezioso cimelio, ma anche i vari aspetti logistici inerenti sia alla prima che alla seconda sistemazione del “Cippo dei Finanzieri” nell’area monumentale di
Redipuglia.
Il titolo del libro ha voluto utilizzare la frase che, a partire dal 1920, comparve sulla “Medaglia Commemorativa della guerra italo-austriaca 1915-1918” che l’allora Ministero della Guerra conferì a coloro che avevano preso parte all’immane conflitto, in una faccia della quale era stampigliata per l’appunto la frase “Coniata nel bronzo nemico”, volendo ricordare l’utilizzo delle parti bronzee dei pezzi di artiglieria austro-ungarica per la fusione delle migliaia e migliaia di esemplari.
Il cimelio, che non a caso è stato posizionato nei pressi dell’angolo dedicato alle Medaglie d’Oro al Valor Militare “individuali”, sito nell’area espositiva basamentale dell’attuale Museo Storico del Corpo, non fu certamente il primo monumento voluto dalle Fiamme Gialle onde onorare, nei vari cimiteri militari sorti già guerra durante,
i propri militari caduti qua e là, ma sicuramente rappresentò l’intera Istituzione in quello che già nel 1923 fu considerato fra i più grandi cimiteri militari europei.
Nei suoi pressi si ebbero, nel tempo, cerimonie importanti; vi si deposero corone d’alloro; vi piansero vedove, madri e figli sconsolati. È stato, in buona sostanza, testimone privilegiato della Storia: anche della Storia delle Fiamme Gialle d’Italia, sfidando sia i rigori della natura che l’affievolimento di quella Memoria, che per fortuna, grazie al ciclo commemorativo sul quale stiamo lavorando dallo scorso
2015, sembrerebbe riprendere finalmente vigore.
Eppure, sappiamo tutti che l’eroe è colui che compie un gesto straordinario, un generoso atto di coraggio che tenda a proteggere il bene altrui o collettivo, sia esso consapevole o inconsapevole che da tale comportamento possa derivarne il sacrificio della propria vita.
L’Italia è davvero il Paese degli eroi: uomini coraggiosi che in ogni tempo hanno saputo dare il meglio di sé, sia sui campi di battaglia che nella vita di tutti i giorni. Gli eroi sono persone comuni, non necessariamente sono dotati di “poteri sovrannaturali”
(pensiamo, ad esempio, al concetto del mito della razza), ma solo di un’anima generosa che li ha spinti a quei comportamenti che poi li hanno immortalati per l’eternità.
L’eroismo dei soldati è certamente quello più conosciuto dalle masse, anche perché la letteratura, prima, il cinema e la televisione, poi, c’è l’ha fatto conoscere ed apprezzare da vicino, facendocene cogliere i vari aspetti etici, morali, personali.
Tanti, dunque, sono gli eroi che questo Paese ha visto immolarsi, così come tanti sono le testimonianze che li riguardano. Si parla, quindi, di un eroismo in battaglia; di un eroismo filantropico (salvare altre persone dal pericolo di morire, ecc.); di un eroismo quotidiano, affrontando rischi di un mestiere o professione pericolosa (penso agli appartenenti alle Forze di Polizia, ai Magistrati, agli Amministratori onesti,
agli imprenditori che non si lasciano intimorire), e così via.
Molti sono, poi, gli eroi che sono assurti ai massimi allori per aver mantenuto un comportamento esemplare, magari in momenti delicatissimi per il Paese, non dimenticando mai di essere Italiani fino in fondo, rimanendo, quindi, al proprio posto anche quando il pericolo di cadere era incombente.
Appartiene a questa categoria la nobilissima figura del Maresciallo Capo Antonio Farinatti, originario di Migliaro (Ferrara), barbaramente trucidato dai partigiani titini nelle torbide giornate del settembre-ottobre 1943, dopo aver difeso strenuamente la popolazione italiana di Parenzo, la città dell’Istria ove egli si trovava al Comando di quella Brigata della Guardia di Finanza.
Antonio Farinatti non fu un eroe per il solo fatto di aver sacrificato la vita. Fu ed è un eroe per quello che fece.
Innanzitutto non abbandonò Parenzo dopo la proclamazione dell’armistizio, come, invece, fecero in tanti. Si prodigò, quindi, e con ogni mezzo per salvaguardare la locale comunità italiana, seriamente minacciata dall’arrivo dei partigiani slavi.
Cercò coraggiosamente di far ragionare i “patrioti locali”, facendogli capire che i civili non avevano alcuna colpa, così come nessun rappresentante della Pubblica Amministrazione ne aveva, di colpe, riguardo alla politica varata dal fascismo ai danni delle comunità slave.
Il Maresciallo Farinatti, che a Parenzo viveva con la sua famigliola (moglie e due figlie), poteva certamente salvarsi, fuggendo subito dopo l’8 settembre. Accettò, tuttavia, di rischiare, consapevole del fatto che gli stessi gravissimi rischi li correvano pure i suoi cari.
Fedele al motto delle Fiamme Gialle “Nec Recisa Recedit” (neanche spezzata retrocede), il Sottufficiale emiliano condivise così la sorte di altri poveri sventurati, circa un’ottantina, rastrellati, imprigionati ed infine infoibati nei pressi di Albona (attuale Labin, in Croazia) per il solo fatto di essere italiani, pagando così loro le eventuali responsabilità di quel Governo deposto il precedente 25 di luglio.
Il titolo del libro è quanto mai appropriato, anche perché - occorre ricordarlo sin da ora - alla memoria del Maresciallo Farinatti è stata conferita la Medaglia d’Oro al Merito Civile, segno evidente della riconoscenza della Patria, seppur tardivamente giunta dopo anni di silenzio.
L’Eroe di Parenzo rivivrà, dunque, in queste poche pagine, purtroppo composte - ci sia consentita la giustificazione - con grandissima difficoltà, soprattutto a causa della mancanza di documentazione ufficiale e di un sufficiente apporto testimoniale.
Pur tuttavia, siamo certi che il testo servirà a far conoscere - e meglio far comprendere - la storia di questo grande e generoso Italiano, così come sarà utile per non far spegnere la luce del ricordo riguardo a ciò che è stata la persecuzione degli italiani in Istria e Dalmazia, dimostrando, infine, che la morte di Antonio Farinatti non è
stata certamente vana, anche perché, come disse Orazio “Dulce et decorum est pro patria mori” (è dolce e nobile cosa il morir per la Patria).
il porto cittadino, spaziando allo stesso tempo al Litorale Austriaco,
poi Venezia Giulia, e all’Istria, per riapprodare poi sulle rive della città. Il
volume, infatti, non si limita alla sola presenza italiana nel contesto storico
successivo al 1919, ma – e ciò avviene per la prima volta – opera un
collegamento tra due epoche. Da un lato si trovano i Finanzieri-marinai
della “Imperial Regia Guardia di Finanza” austro-ungarica, mentre
dall’altro lato le Fiamme Gialle di mare del Regno d’Italia: le stesse che
erediteranno dai colleghi austriaci, nel 1918-1919, un dispositivo navale
di tutto rispetto, grazie al quale fu possibile dar vita alla prima “Flottiglia
Costiera” della Guardia di Finanza. I Finanzieri di mare della “Trieste
Asburgica” furono i veri precursori di quell’innovazione tecnologica e
professionale che dal ’19 in poi caratterizzerà l’agire delle Fiamme Gialle
triestine. Furono proprio queste eredità che consentirono alla “Flottiglia”
di poter emergere certamente ad esempio più degno e concreto di come
fosse progredita, a partire dai primi anni ’20, la “Marineria di Finanza”
italiana, le cui origini risalgono al lontano 1816, ricorrendo quest’anno
il Bicentenario. Il volume prosegue con l’evoluzione del servizio navale
del Corpo in parallelo alla storia del Novecento triestino: gli eventi
della Seconda Guerra Mondiale, il dramma dell’occupazione Jugoslava,
l’amministrazione Anglo-Americana e quella del Territorio Libero di
Trieste, il ritorno di Trieste all’Italia nel 1954, fino a giungere ai giorni
nostri. I 15 capitoli del volume sono arricchiti dalle “curiosità storiche”
che tratteggiano nel dettaglio alcuni episodi o personaggi che hanno
caratterizzato la storia dei finanzieri di mare di Trieste. Infine, il volume
è ampiamente corredato, sia per il periodo austriaco sia italiano, da una
cartografia storica, da immagini, documenti e articoli di giornale riguardanti
i mezzi navali, gli uomini di mare, le uniformi, i fatti “di mare”.
Lo stesso titolo racchiude “l’alfa e l’omega” della nostra storia. Dal “primo colpo di fucile della Grande Guerra”, esploso da un finanziere in servizio al valico italo-austriaco di Brazzano, alla caduta dell’ultima frontiera, quella con la Slovenia, evento che, in questi luoghi, ha per sempre cambiato il significato del binomio “finanziere-confine”.
L’instabile assetto geopolitico dell’alto Adriatico ha imposto alla ricerca una particolare attenzione al territorio, cioè al mutevole contesto geografico in cui i militari della Guardia di Finanza hanno nel tempo operato.
Alla fine della Grande Guerra lo scenario in cui si è concentrato lo sforzo operativo del Corpo è stato la fascia di territorio lungo il confine tracciato nel 1920. Nomi che ormaiconservano quasi un’aura di misticismo come Moistrocca, Rauna Sabbice o Piedicolle sono stati i luoghi che hanno accolto una moltitudine di finanzieri che qui hanno vissuto, lavorato,
trovato affetti e, in qualche caso, la morte.
Nel 1947, al termine del Secondo Conflitto, quasi ricalcando un copione già visto, i militari del Corpo prendono possesso del nuovo confine orientale stabilendosi in località come Vencò, San Floriano e Iamiano, prima in fatiscenti baracche o in poveri edifici rurali, poi nelle nuove caserme demaniali, che ancora oggi, sebbene degradate, resistono come ultime sentinelle di un confine che ormai non c’è più.
Il Progetto ha prodotto la digitalizzazione di 25.210 dati quali sedi dei seguenti reparti di sanità italiani mobilitati nel periodo maggio 1915 – novembre 1918:
Regio Esercito – Servizio sanitario militare:
Sezioni di Sanità;
Ospedaletti da campo da 50 letti;
Ospedali da campo da 100 letti;
Ospedali da campo da 200 letti;
Ambulanze chirurgiche;
Ospedali militari di riserva e civili (in fase di realizzazione);
Croce Rossa Italiana:
Sezioni di sanità;
Ospedali di guerra;
Ambulanze chirurgiche;
Ambulanze da montagna;
Posti di soccorso ferroviario;
Ospedali territoriali (in fase di realizzazione);
Corpo Ausiliario del Sovrano Militare Ordine di Malta:
Posti di soccorso;
Ospedali di guerra;
Treni ospedali
e del suo monumento commemorativo dedicato ai due finanzieri protagonisti