Spazio geografico, etnografia ed evangelizzazione nella
Synagoge di Ippolito
di Osvalda Andrei
1. Premessa
La cronografia è un tema forte dell’autodefinizione cristiana del II-III secolo
d.C. e la ‘raccolta degli anni e dei tempi’ (Synagoge)1 del 235 d.C. ne è,
con le Chronographiai di Giulio Africano, un momento chiave2. Ma una
valutazione completa dell’opera, sia di per sé che come espressione di un
genere, deve tener conto del posto che essa occupa nella questione ippolitea,
cioè dell’attribuzione allo stesso autore dell’Elenchos che le viene ascritta
d’abitudine e che ci sono buone ragioni per impugnare. Ho preso di recente
posizione sul problema e cercato di dimostrare che: a) la Synagoge nasce
dietro l’affermarsi delle Chronographiai, come risposta/controproposta al
trattamento africaneo del modello esamillenario, che l’autore ha ritenuto
insufficiente ad esprimere l’essenza autentica dell’economia salvifica ed il
relativo movimento temporale; b) l’assenza della dimensione comparata
della cronologia ab Adamo e la particolarità dell’impianto narrativo, costruito secondo una disposizione compartimentalizzata degli historoumena,
sono due aspetti complementari di un progetto d’autore che vuole dimostrare nel Logos Figlio (Cristo) il vero protagonista della storia universale
in ogni suo ambito e piano. Ne derivano una visione ed una disposizione
contenutistiche del corso storico che si esprimono cronograficamente mediante filum chiliadico a due corsie da Giosuè all’epifania del Logos nella
carne (l’opposto dell’andamento sincronistico africaneo) e narrativamente
mediante un uso pronunciato di liste bibliche (diadoca…) e tranches extrabibliche, tutte cristocentricamente orientate. Questo sembra presupporre una
‘Logostheologie’ che richiama per più versi l’ambito d’azione, ideologico
ed esegetico, dell’Ippolito cosiddetto orientale, ambito da ritenersi, perciò,
comprensivo anche di una crescita della sensibilità cronografica (aspetto
1
2
Nota bene: Abbreviazioni interne a Synagoge (= Syn.) 43-239: DEl. = Diamerismos (esegesi di Gen 10) dell’autore dell’Elenchos = la prima parte del settore ‘diamerismos’ della
Synagoge (= Syn. Diam. I: §§ 44-52.56-197); DHipp. = Diamerismos (esegesi di Gen 11)
di Ippolito = la seconda parte del settore ‘diamerismos’ della Synagoge (= Syn. Diam. II:
§§ 198-201.202-234.235-239).
O. Andrei, L’emergere di una cronografia cristiana come fattore di costruzione identitaria,
ASEs 22, 2005, 57-97.
ZAC, vol. 11, pp. 221-278
© Walter de Gruyter 2007
DOI 10.1515/ZAC.2007.014
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Osvalda Andrei
rilevante dell’esegesi) dal Commento a Daniele al Computo Pasquale del
222 d.C. e, da qui, alla Synagoge (il cui termine di chiusura io propongo
di leggere – in accordo al calcolo delle Pasque cristiane calendarizzato nel
pinax – come 22 marzo, dies dominicus Paschalis, del 235 d.C.)3. Nel
quadro degli attuali esiti della questione ippolitea, che non ammette più
un’identità letteraria unica (Ippolito di Roma) e un solo corpus di scritti,
ma un Ippolito ‘orientale’ (ben rappresentato da un pacchetto di scritti
esegetici e dal Contro Noeto) da un lato e un personaggio (di identità vincolata alle alterne fasi della ricerca su Ippolito) autore di Elenchos e Peri
Pantòs dall’altro, io sposto la Synagoge (ritenuta compresa in una serie di
autocitazioni dell’Elenchos e, perciò, prodotta dalla stessa mano e psicologia
culturale) dal settore B, attualmente senza paternità, all’Ippolito ‘orientale’
(la sola figura, uscita dal crollo del fabbricato ippoliteo tradizionale, a
potersi concretamente controllare nella sua ‘Weltanschauung’)4.
Da questa analisi ho dovuto nell’occasione tener fuori l’ampio settore
del ‘Diamerismos-Stadiasmos’ (Synagoge 44-613), per quanto consapevole
della sua esemplarità nella visione contenutistica del tempo e della storia
propria della Synagoge. Considerando gli sviluppi di ricerca che mi sono
poi trovata davanti, questa dilazione è stata, oltre che un bene (per l’essere
il tema meritevole di trattazione specifica), anche un dovere (verso quasi
un sessantennio di dibattiti sul puzzle ‘Ippolito’, che permette ora di far
tesoro del patrimonio di riflessioni e approfondimenti che ne sono scaturiti). Per dare il giusto peso a questo settore, tuttavia, non basta chiarire
a cosa serve, ossia dimostrarne la congruità con il tessuto ideologico della
Synagoge (per me, lo stesso dell’Ippolito orientale). Un simile approccio,
pur se benefico ai fini di una visione d’insieme di questa descriptio temporum preeusebiana, risulterebbe, però, incompleto e non del tutto onesto
intellettualmente. Proprio tale settore, infatti, con il Diamerismos (Synagoge 44-201) in primo piano, costituisce nell’opinione comune la prova
pressoché scontata dell’appartenenza della Synagoge alla stessa personalità
culturale di cui è prodotto l’Elenchos5. È dunque importante, innanzitutto,
3
4
5
O. Andrei, Dalle Chronographiai di Giulio Africano alla Synagoge di ‘Ippolito’. Un
dibattito sulla scrittura cristiana del tempo, in: M. Wallraff (ed.), Iulius Africanus und
die christliche Weltchronistik, TU 157, Berlin 2006, 113-145. Qui, come nel precedente
saggio, l’edizione di riferimento per il testo della Synagoge è A. Bauer/R. Helm (edd.),
Hippolytus Werke, vol. 4. Die Chronik, GCS 46, Berlin 21955.
Infra, pagina 235, per il trattamento delle autoreferenze in Elenchos; Andrei, Chronographiai (vedi nota 3) per lo status quaestionis del problema e la riorganizzazione, che
ipotizzo, dei due ambiti letterari; E. Castelli, Il prologo del ‘Peri Pantòs’, VetChr 42,
2005, 37-57 per un approfondimento recente, nel quadro della tesi disunitiva tradizionale,
dell’ambito letterario dell’autore dell’Elenchos.
Ad es. V. Loi, L’identità letteraria di Ippolito di Roma, in: Istituto Patristico Augustinianum Roma [come ed.], Ricerche su Ippolito, SEAug 13, Roma 1977, (67-88) 73sq.; M.
Simonetti (ed.), Ippolito, Contro Noeto, BPat 35, Bologna 2000, 140-143 (nell’ambito
della valutazione delle Homeliae in Psalmos entro la questione ippolitea); M. Simonetti,
Aggiornamento su Ippolito, in: Istituto Patristico Augustinianum Roma [come ed.], Nuove
ricerche su Ippolito, SEAug 30, Roma 1989, (75-130) 124sq.
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Spazio geografico, etnografia ed evangelizzazione nella Synagoge di Ippolito
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svincolare questa parte dall’ombrello della paternità tradizionale, ossia rinegoziarne il rapporto con l’autore dell’Elenchos affrontandolo in chiave di
interlocuzione piuttosto che di appiattimento dell’una sull’altro. Pertanto,
come quella precedente, anche questa fase della ricerca prevederà ancora
il binario dell’acquisizione dell’identità d’autore (pur se, in questo caso,
nel senso della conferma decisiva).
In questa forma plurima, il problema si inscrive in un contesto a più piani
e registri di intersecazione. A preavvisarlo sono due recenti interventi sul
diamerismÒj (a cui, quale pars pro toto, la Synagoge deve l’onore di essere
stata in qualche modo riscoperta), occorsi in seno a studi sulla persistenza
di materiali particolari e sulle trasformazioni di saperi tradizionali nella cristianità dei primi secoli. Nell’occuparsi l’uno dell’operatività e della fortuna
di Giubilei 8sq. (spartizione postdiluviana della terra tra i noachiti, con
relativa mappa mundi) nella tradizione cristiana dagli Atti degli Apostoli
alle soglie del Medioevo (J.M. Scott), l’altro della cristianizzazione, tramite
filtri biblici, di particolari settori di ricerca quali la geografia e l’etnografia
(H. Inglebert), ambedue hanno dedicato al diamerismÒj ‘ippoliteo’ pagine
utili ad individuarvi un documento importante del costituirsi, attraverso
dinamiche e materiali appositi, di spazi letterari cristiani6. Le due analisi
non prevedono però, per la diversità degli obiettivi di fondo, le tranches
sui ‘popoli sconosciuti’ (Synagoge 202-234) e sui ‘monti e fiumi illustri’
(Synagoge 235-239), nonché lo stadiasmÒj (Synagoge 240-613), che risultano ancora fermi allo stato di ‘pezzi’ di esibizione e restano, perciò,
sostanzialmente immotivati in chiave di pensiero e progetto dell’opera.
Inoltre, poiché in entrambi gli studi si parla del diamerismÒj e del Chronicon
(sic!) in termini di ‘Ippolito di Roma’ (la vecchia identità letteraria con
cui si continua per lo più a pensare e a scrivere fuori d’Italia) e della sua
ideologia, è preclusa a priori la coscienza di un ambito d’azione da distinguersi e rivalutarsi rispetto a quello dell’Elenchos. Tuttavia, il concorso
di tradizioni specifiche nella costruzione del settore così come le discontinuità al suo interno che i due studi evidenziano dai rispettivi osservatori
sono sintomi importanti di quella contestualità euristicamente complessa
nel cui ambito dovrà muoversi l’opera di revisione e riassestamento delle
consonanze geografiche ed etnografiche tra Elenchos e Synagoge.
A preannuncio di quanto mi occuperà nel prosieguo, posso qui dire
che ci voleva un Ippolito ‘esegeta’ per combinare alla dimensione universale del tempo e della storia (espressa dalla ‘scrittura dei tempi’) un’altra
dimensione tale sotto il profilo dello spazio, rappresentata al pari della
prima da apposita scrittura e, come questa, incardinata sul Logos e da
6
J.M. Scott, Geography in Early Judaism and Christianity. The Book of Jubilees, MSSNTS
113, Cambridge 2002, 135-158; H. Inglebert, Interpretatio christiana. Les mutations des
savoirs (cosmographie, géographie, ethnographie, histoire) dans l’antiquité chrétienne
(30-630 après J.-C.), Collection des études augustiniennes. Série antiquité 166, Paris
2001, 125-159.
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Osvalda Andrei
Lui orientata e percorsa. Ci voleva un Ippolito del genere, certo, ma non
senza la mediazione intellettuale di una mano diversa (anche dall’obiettivo primario, rappresentato da Giulio Africano), di profilo non basso,
assai impegnata e motivata. Nel diagramma geo-etnografico e periegetico
complessivo, il passaggio da un probabile medium creativo rinegoziato al
piano specifico della Synagoge e del suo autore è individuabile innanzitutto nei ripetuti picchi – proemio (Synagoge 224.236.240) che segnalano
ondulazioni e crescite del tema.
2. Synagoge 43-613: un Diamerismos a più piani e lo Stadiasmos
Alla notifica dell’annus mundi/Adami 2767 (nascita di Peleg; Synagoge
42), la Synagoge fa seguire un breve proemio introduttivo (Synagoge
43) che indica nel diamerismÒj l’argomento, svolto ™n suntÒmJ, di vero e
proprio inizio della trattazione cronografica, rinviando il lettore ad altri
contributi per una analisi più ampia (= di quella implicata da Synagoge
22-42) dei primordia precedenti7; nell’indicare, poi, l’a.m./Ad. 2800 quale
data chiliadica di purgopoi…a e sÚgcusij, Ippolito pone gli estremi per una
distinzione narrativa (e, dunque, esegetica) tra Gen 10 (‘tavola dei popoli’)
e Gen 11 (torre di Babele). Nella sua sinteticità, si tratta di introduzione
importante: a) per la visione del ‘dividere la terra’, connessa dalla bibbia
al nome di Peleg (Gen 10,25), secondo due momenti distinti segnalati dalla
nascita e dal 33° anno del patriarca (= 2800-2767); b) per il carattere di
novità della sezione che l’autore enfatizza mediante l’uso di un’apposita
forma espressiva (quella secondo notizie brevi, intesa a coniugare la vastità
dell’argomento con uno spazio necessariamente contenuto) e rimando
bibliografico per il prequel (che egli riteneva sufficientemente e/o adeguatamente trattato in altre sedi). Questa retorica del novum difficilmente
può scindersi dal ruolo di proposta alternativa che la Synagoge intende
svolgere, nell’insieme, rispetto alle Chronographiai di Giulio Africano e
che si manifesta qui: a) nell’interpretazione di Peleg come figura emblema
del ‘dividere’ (per Africano, che la intendeva quale ‘divisione’ del tempo
totale del creato, un’azione soprattutto trasversale e metastorica e, perciò,
funzionalmente indicata dall’a. Ad. della morte del patriarca: per Ippolito,
che la riferiva alla divisione della terra e delle lingue del ‘dopo diluvio’,
azione circoscritta al piano dell’evento reale e, dunque, tutta interna al
vissuto contemporaneo di Peleg e del padre Eber)8; b) nell’argomento in
sé (quell’interpretazione della ‘tavola dei popoli’ a cui Giulio Africano
sembra non aver dato spazio o avergliene dato in modo per Ippolito ina7
8
Per la grafia a.m./Ad. come espressione della peculiare era ab origine della Synagoge,
vedi Andrei, Chronographiai (vedi nota 3), 119-121.
Iulius Africanus apud Georgius Syncellus, Ecloga chronographica 161 (BSGRT, 97,11
Mosshammer = Reliquiae Sacrae 22, 244,10sq. Routh).
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Spazio geografico, etnografia ed evangelizzazione nella Synagoge di Ippolito
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datto)9. Anche il rinvio bibliografico per il prequel (con un dš decisamente
differenziante l’autore rispetto ad altra dimensione letteraria) – una volta
sciolto dal vincolo e dalle alterne sorti della ricerca su Ippolito (che vi
vede sempre e solo un rimando ad opere ‘proprie’) e inteso in senso più
possibilista (ossia aperto a comprendere anche letteratura non dell’autore,
incluse le stesse Chronographiai africanee) – potrebbe valutarsi come una
strategia di rinforzo del ‘nuovo’, in questo caso nel senso dell’integrazione
(= di quanto mancava alla narrativa del predecessore sui primordi)10.
Il settore è articolato su più livelli di argomento, onde la dicitura generale di Diamerismos dell’edizione Bauer/Helm potrebbe apparire solo
indicativa. La prima parte (quella specificatamente intitolata diamerismÒj;
Synagoge 44-197) descrive la ripartizione della terra, occorsa dopo il
diluvio fra i figli di Noè, dapprima secondo i tre continenti (Asia/Sem,
Libia/Cam, Europa/Iafet; Synagoge 45-52), poi in base al loro popolamento secondo un’organizzazione figlio per figlio di tipo seguente: a) figli
di (Iafet, Cam, Sem) e popoli da essi derivati (Synagoge 56-78 figli di Iafet;
92-130 figli di Cam; 158-188 figli di Sem); b) i popoli di ciascun ambito
attualmente presenti nelle aree territoriali della spartizione originaria (Syn9
10
W. Adler, Time Immemorial. Archaic History and its Sources in Christian Chronography
from Julius Africanus to George Syncellus, DOS 26, Washington D.C. 1989, pensa che
i dati di Leo grammaticus, Chronographia 13,17sq. derivino dalla narrativa africanea
(basata su Giubilei 8sq.) sulla ‘tavola dei popoli’ e Babele. Leo grammaticus è autore
familiare con materiale di Africano, che riecheggia e rielabora più volte (vedi ad es. O.
Andrei, The 430 Years of Ex 12,40 from Demetrius to Julius Africanus. A Study on
Jewish and Christian Chronography, Henoch 18, 1996, [9-67] 38.43sq.). Tuttavia nel
caso specifico di Leo grammaticus, Chronographia 12-17 i dati africanei (vedi ad es. Leo
grammaticus, Chronographia 14,5-7 per la collocazione della morte di Peleg nell’a.m.
3000) sono risolti in una struttura generale che è quella del diamerismÒj della Synagoge
(cp. Leo grammaticus, Chronographia 12,23-13,1 con Syn. 54; Chronographia 14,10-17
con Syn. 56-196, di cui appare una sintesi; Chronographia 14,18-15,4; 16,4-17,7 con
Syn. 47.193-197.137-157.84-90, di cui sono una semplificazione riorganizzata). Onde
i 43 anni di durata della costruzione della torre in Leo grammaticus, Chronographia
13,17sq. sembrano, più che un’eco di altro sistema, una maggiorazione dell’autore (o di
chi per lui) dei 33 anni dell’intervallo ‘a.m./Ad. 2767 (nascita di Peleg) – a.m./Ad. 2800
(confusione)’ in Syn. 42sq.; intervallo che, essendo l’a.m./Ad. 2800 lo stesso sia della
purgopoi…a che di Babele, doveva interessare nell’originale contenuti diversi da quelli
poi ascrittigli in Leo grammaticus.
Per la natura del rimando in seno alla tesi disunitiva tradizionale, vedi infra, pagina 235;
per il suo funzionamento nell’ambito di quella unitiva (Ippolito di Roma), vedi M. Richard,
art. Hippolyte de Rome (saint), DSp 7/1, 1969, (531-571) 539-541. Da qualche parte
non si è escluso il rinvio a bibliografia non dell’autore, che resterebbe, però, limitata alle
fonti del settore medesimo (ad es. un’epitome dai Giubilei o altro materiale del genere;
Scott, Geography [vedi nota 6], 138sq.). Ma il rimando di Syn. 43 riguarda non il vero
e proprio diamerismÒj, bensì gli avvenimenti che lo precedono nella narrativa scritturaria
(quelli che, allo stato attuale del testo, Ippolito riassume nel filum chiliadico di Syn. 3642). È, allora, possibile che l’autore si riferisse non solo a cose sue sull’argomento, ma
anche al suo stesso obiettivo polemico, quelle Chronographiai di Giulio Africano, nelle cui
linee narrative ed esegetiche del periodo prediluviano poteva forse, almeno parzialmente,
riconoscersi (così per la funzione di preannuncio del Salvatore di alcuni patriarchi nei
fragm. 3 e 5 di Routh [Reliquiae Sacrae 22, 238,18-239,4; 239,23-240,8 R.]).
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agoge 79-83 iafetiti; 131-136 camiti; 189-195 semiti), con – all’interno
di ogni blocco – l’indicazione degli œqnh“dotati di scrittura” (Synagoge
82sq. iafetiti; 134sq. camiti; 192 semiti); c) i territori e le isole occupati
da ciascun ramo genealogico in accordo alla ripartizione originaria tra
i Noachiti (Synagoge 84-91 Iafet; 137-156 Cam; 193-197 Sem). Ogni
insieme territoriale (katoik…a) è identificato dai confini geografici e dalla
presenza di uno dei quattro fiumi di Gen 2,10-1411. Nel complesso, la
sezione è calibrata su un ‘long ago’ biblico che stabilisce l’immutabile (= le
aree territoriali destinate a ciascun ramo noachita) e un ‘attuale’ geo- ed
etnografico che dovrebbe riportare al primo il mutabile (= i movimenti e
gli sviluppi storici). Terminologicamente, questi due piani si muovono tra
un azione/evento irreversibile (la spartizione, effettuata tramite apposito
‘rito’ fondante; kekl»rwntai; Synagoge 2) e quella di un ‘popolamento’
che dalla mobilità iniziale approda poi alla stabilizzazione oggetto di descriptio terrae (katšspartai […] gennhqšnta […] e„s…). Dal punto di vista
espressivo, questo tracciato storico è esemplificato dai temi dell’ ‘appartenenza’ comune (™pikoin…a) – riguardante quelle zone (soprattutto isole)
originariamente destinate ad una filiazione specifica, poi occupate anche
da etnie di altro blocco e, perciò, al servizio di più di un noachita – e
della metoik…a (Synagoge 75.78), cioè della migrazione etnica dalle cîrai
d’origine ad altre di diversa appartenenza. Preme sin da ora notare che i
casi segnalati interessano migrazioni camite ‘dentro’ Sem o Iafet (cioè in
territori degli altri due blocchi) e che taluni di essi traducono nel filtro
biblico di base esempi cult del modello tradizionale mhtrÒpolij/¢poik…a
(ad esempio la fenicia Sidone e l’egizia Sais fondatrici delle greche Tebe
ed Atene; Synagoge 75-78)12. L’intersecarsi di modelli diversi e, per di
più, su casi del genere è certamente un segnale della complessità osmotica
del ‘Sitz im Leben’, ma agisce anche nel senso dell’idea di un ‘Cam’ (con
relativa discendenza ed enclaves territoriali) funzionale al potenziamento
11
12
Iafet/Tigri, frontiera tra Media e Babilonia (Syn. 50.90); Cam/Geon-Nilo, che circonda
tutto l’Egitto (Syn. 51.156); Sem/Eufrate (Syn. 52). Il quarto fiume, Phison – identificato
con l’Indo nella lista dei fiumi illustri (Syn. 237) – non è rapportato o riferito ad alcun
territorio noachico (cp. Inglebert, Interpretatio [vedi nota 6], 127sq.).
Due esempi di suggšneiai di sentore filobarbaro valorizzate a più riprese, durante l’età
ellenistica e romano-imperiale, dal dibattito sull’origine e la diffusione della cultura e,
ovviamente, sfidate da opposte posizioni ellenocentriche. Per Atene ‘figlia’ dell’egizia Sais
e gli sfondi culturali del tema nel II sec. d.C. come intravedibili nel senatore e storico A.
Claudius Charax (fragm. 39 di no. 103 in: Die Fragmente der griechischen Historiker
[FGH 2A, 491,4-12 Jacoby]), vedi O. Andrei, A. Claudius Charax di Pergamo. Interessi
antiquari ed antichità cittadine nell’età degli Antonini, Opuscula philologa 5, Bologna
1984, 81-86. Quanto alla provenienza fenicia di Cadmo come fondatore per ¢poik…a
della greca Tebe, si tratta di un elemento del mito di invenzione e/o trasmissione ecumenica dell’alfabeto (fragm. 105 di no. 70 [Ephorus] in: Die Fragmente der griechischen
Historiker [68,32-69,6 J.]; Tat., orat. 39,1-3 [PTS 43, 70,1-16 Marcovich]; Clem., str.
I 16,75,1; I 21,103,4; I 21,106,1), anch’esso legato alle alterne sorti degli sciovinismi
politici e culturali (vedi B.Z. Wacholder, Eupolemus. A Study of Judaeo-Greek Literature,
MHUC 3, Cincinnati [Ohio] 1974, 80-83).
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Spazio geografico, etnografia ed evangelizzazione nella Synagoge di Ippolito
227
delle aree iafetite e semite o di un tandem ‘Iafet – Sem’ che lavora per
la ‘subordinazione/asservimento’ camita assorbendone le infiltrazioni: in
sostanza, nel senso della ‘maledizione’ noachica di Gen 9,25-27 sul camita
Canaan come servo (pa‹j) di Sem e Iafet13. Appare altresì interessante il
fatto che la sezione segua la successione ‘Iafet – Cam – Sem’ di Gen 10,232 per la parte g nealogica e geo-etnografica (Synagoge 56-200) e quella
‘Sem – Cam – Iafet’ di Gen 10,114 per l’evento ‘ripartizione’ del dopo
diluvio (Synagoge 44), successione – quest’ultima – ritenuta anche altrove indicativa di una primogenitura di Sem rispetto ai fratelli (Synagoge
47.158sq.187). Ciò può, forse, significare che il testo biblico presupposto
recava in Gen 10,21 LXX non la scrittura ¢delfù Iafeq toà me…zonoj
(che faceva Iafet maggiore di Sem, legittimando così la sequenza di Gen
10,2-21), bensì quella, attualmente minoritaria, ¢delfù Iafeq tù me…zoni15
(che interpretava, invece, nel senso della priorità di nascita la posizione
di capofila di Sem negli altri passi). Si può, però, anche pensare che la
lezione […] Iafeq toà me…zonoj sia stata intesa in riferimento non all’età,
bensì, con altra valenza, all’ingrandimento (platÚnai) destinato nel futuro
a Iafet secondo le benedizioni di Gen 9,27; in questo caso, la primogenitura di Sem non escluderebbe una priorità di Iafet da verificarsi su altro
versante dell’economia salvifica e certamente da collegarsi – insieme al
rapporto ‘Cam(iti) – Iafet(iti) – Sem(iti) sopra indicato fra le traiettorie
del movimento etnografico – ad un’esegesi generale della benedizione di
Noè (Gen 9,25-27)16.
13
14
15
16
Che, attraverso il nipote Canaan, Noè potesse aver maledetto il figlio Cam e la sua discendenza, affermandone i futuri asservimenti a Sem e Iafet è un tema comune, per quanto
dilemmatico, dell’esegesi cristiana, che saprà applicarlo alla propria casistica storica (cp.
ad es. Georgius Syncellus, Ecloga chronographica 94 [56,1-6 M.]), ma che vorrà, però,
anche distinguere Canaan dalla sfera del padre già benedetto in Gen 9,1 (vedi i testi
raccolti in A. Louth [ed.], Genesis 1-11, Ancient Christian Commentary on Scripture.
Old Testament 1, Chicago/London 2000, 158-160). In ambito giudaico, la maledizione di
Noè a Canaan serve specificatamente, su sviluppo della Bibbia medesima, a legittimare il
possesso ebraico-semita di Eretz a spese dei residenti canaanei (Ph., Quaestio in Genesin
II 65 [ad Gen 9,18sq.]; J., AJ I 140-142); per la riscrittura del tema in Giubilei 10,28-35
(in relazione a Deut 32,8sq.) ed i suoi significati politici, vedi P.S. Alexander, Notes on
the ‘imago mundi’ of the Book of Jubilees, JJS 33, 1982, 197-213; idem, art. Geography
and the Bible. Early Jewish Geography, The Anchor Bible Dictionary 2, 1992, 982sq.;
Scott, Geography (vedi nota 6), 23-35.
Cp. Gen 5,32; 6,10; 9,18.
Gen 10,21 LXX (app. crit. ad loc.).
Infra, pagine 264sq. e nota 116.Che le differenti posizioni di Sem nelle elencazioni
scritturistiche dei figli di Noè abbiano costituito un problema esegetico (dovendo altresì
fare i conti con Gen 9,24) è suggerito da Ph., Quaestio in Genesin II 79 (ad Gen 10,1),
con la distinzione tra il piano della lettera (che vuole Sem il più giovane) e quello delle
realtà intelligibili significate (che fa, invece, di Sem e Iafet simboli di dimensioni etiche
oscillanti tra gli estremi); J., AJ I 122-143 (che segue la successione di Gen 10,2-31 e,
in accordo, definisce Sem ‘il terzo’, ma in J., AJ I 141, in sede di esposizione di Gen
9,20-26, indica in Cam il più giovane dei tre figli). Per questa consapevolezza (e relativo
disagio) in ambito cristiano, vedi Louth (ed.), Genesis 1-11 (vedi nota 13), 161sq.
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Osvalda Andrei
Segue un elenco dei 72 œqnh dispersisi in lingue, nei giorni di Peleg e Iektan, in occasione della purgopoi…a (Synagoge 198-201). Il vocabolario del
‘disperdere’ (Synagoge 199.201) deriva chiaramente da Gen 9,18 e 10,32;
ma il proporsi di una delle sue occorrenze sull’eco di Gen 11,9 (Synagoge
201) così come la concomitanza con quello del sugcÚein caratterizzante
il babelico ‘rovesciamento’ del linguaggio (Gen 11,7-9; Synagoge 199.53)
e l’accompagnarsi di questa duplice sfera d’azione con il diamer…zein proprio della ‘tavola dei popoli’(Gen 10,25; Synagoge 53) ma estraneo alla
narrativa di Babele suggeriscono che – secondo il preavviso di Synagoge
53sq. – la Synagoge faceva seguire alla ‘divisione’ (della terra) tra i Noachiti
un’altra ‘divisione’: quella che, dietro la perdita del linguaggio comune,
doveva configurarsi più specificatamente come un ‘disperdersi’ (in seguito
a frazionamento). Onde la relazione terminologica di diemer…sqhsan – diamerismÒj ‘secondo lingue’ (Synagoge 53) con il diemer…sqh ¹ gÁ collegato
al nome di Peleg in Gen 10,2517 è coerente con l’a.m./Ad. 2800 (= 33°
anno di Peleg) quale cronologia specifica della sÚgcusij – purgopoi…a;
il che suggerisce il significato largo, perché plurale, dell’ambito d’azione
del diamerismÒj, bilanciato tra una divisione-ripartizione di un tutto (= la
terra) ed una divisione-rottura-dispersione di un’unità (= la lingua), entrambe collocate nei giorni di Peleg. A questa distinzione di significato e
di eventi entro una stessa sfera terminologica corrisponde – pur a fronte
della stessa cifra complessiva di 72 – una differenza nei nomi di popoli
interessati dalle due fasi (per poco più della metà comuni, in qualche
modo, ad entrambe)18. A prescindere per il momento dalle sue ragioni,
17
18
Vedi il riferimento esplicito ai giorni di Peleg e Iektan di Syn. 199.
Quelli comuni (anche se non sempre con la stessa grafia) sono: Hebraioi (Ioudaioi), Assyrioi, Chaldaioi, Medoi, Persai, Arabes I-II, Albanoi, Indoi I-II, Aithiopes I-II, Aigyptioi
(e Thebaioi), Libyes, Chettaioi, Pherezaioi, Euaioi, Amorraioi, Gergesaioi, Samarreioi (?),
Phoinikes, Kilikes (Tharseis), Kappadokes, Armenioi, Iberes, Scythai, Lycaones, Pisides,
Galatai, Paflagones, Phryges (?), Hellenes, Thessaloi, Makedones, Thraces, Mysoi, Sarmatai, Germanoi, (Pannonioi)-Paiones, Romaioi (Latinoi-Kitiaioi), Ligures, Galloi (Keltaioi),
Akouatinoi, Britannoi, Spanoi (Tyrrhenoi). Quelli nuovi sono: Madienaioi I-II, Adiabenoi,
Taienoi, Salamosenoi, Saracenoi, Magoi, Kaspioi, Kananaioi, Iebusaioi, Idumaioi, Syroi,
Bibranoi, Kolchoi, Saunoi, Bosporanoi, Asianoi, Isauroi, Bessoi, Dardanoi, Norikoi,
Delmatai, Mauroi, Makouakoi, Getuloi, Afroi, Mazikes, Taramantes (sic!) I, Sporades,
Keltiones, Taramantes (sic!) II. Per una visibilizzazione della lista in chiave di ‘comparabilità – incomparabilità’, vedi Inglebert, Interpretatio (vedi nota 6), 149-152, che vi vede il
tentativo dell’autore di sintetizzare ed integrare in un nuovo elenco le tre precedenti liste
(discendenti di …/popoli da …/regioni ed isole di ...) di matrice ed impostazione diverse.
Come si vedrà dal prosieguo, la scrivente legge Syn. 198-201 alla luce di un passaggio di
mano (e, quindi, di materiali) rispetto a quanto precede, ma sullo sfondo di una distinzione esegetica (e, perciò, di avvenimenti) tra Gen 10 e Gen 11 che è fondamentale nel
progetto complessivo dell’autore. Quanto ai 72 œqnh ‘secondo lingue’, che questo fosse
il numero delle glîssai in accordo alle scritture (ossia equivalente a quello delle fula…
di Gen 10 LXX), era opinione consolidata (ad es. Clem., str. I 21,142,1sq.), anche su
sollecitazione di Lc 10,1, essendo la cifra di 70 basata sul testo masoretico di Gen 10 e
ben funzionante, sul versante ebraico, a livello ideologico ed identitario (ad es. Targum
de Pentateuque [Targum Neofiti], Gen 11,7sq. [SC 245, 143-145 Le Déaut]); onde in
Syn. 53 la distinzione tra 70 (i popoli costruttori della torre) e 72 (le lingue uscite dalla
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Spazio geografico, etnografia ed evangelizzazione nella Synagoge di Ippolito
229
tale discontinuità agisce quale fattore di distinzione, esegetica e storica,
tra le due facce del diamerismÒj in seno al continuum temporale espresso
dalla cronologia in a.m./Ad.
La parte successiva è introdotta da un incipit che riecheggia, negli
stilemi e nella funzione programmatica (¢nagka‹on […] ¹ghs£mhn; […]
mhd{ ¥peiroj Øp£rcVj), il proemio principale e riguarda le ‘colonie’ dei
popoli sconosciuti (¥gnwsta œqnh) secondo le denominazioni e la locazione
per zone (kl…mata) che li distingue nel ‘dove’ e nel ‘presso chi’ da altri
œqnh (Synagoge 202-223). La ‘colonizzazione’ è prevista dalla capitulatio
(Synagoge 3), ma di kl…mata si parla solo in Synagoge 224-234, dopo
un nuovo intervento dell’autore (sullo stesso refrain dei precedenti) che
connette il tema all’indicazione dei monti ‘conosciuti’ e dei fiumi ‘illustri’
(Synagoge 224). Poiché le tranches su monti e fiumi sono contemplate,
sia pure con diverso ordine, nella capitulatio (Synagoge 4sq.235sq.), ma
contrassegnate all’interno da un’ulteriore ripresa proemiale (che le stabilisce come argomento da affrontare specificatamente), sembra chiaro che
ci troviamo di fronte ad un piano del comparto che l’autore percepisce ed
intende presentare come una crescita sia del proprio set di conoscenze sia
e soprattutto di quel ‘dividere’ costituente il tema base dell’intera sezione.
Infatti le ¢poik…ai sono un’ulteriore proiezione tematica della seminagione
etnografica già esplicata a livello di popoli e lingue in Synagoge 199-223,
che risulta così (ri)affermata come caratteristica del divenire storico. Quanto, poi, alla collocazione secondo kl…mata, è noto come si tratti di termineconcetto in uso presso gli antichi geografi (che lo riferiscono normalmente
alle sette zone latitudinali in cui è distribuibile l’ecumene) e impiegato poi,
con applicazioni ed implicazioni ampie, da molta cronografia cristiana
dopo Eusebio. Sebbene chiamati in causa solo per i ‘popoli sconosciuti’,
ossia per una categoria circoscritta, è chiaro che i kl…mata sono presupposti
come un tutto dall’autore (e non solo mentalmente) nella divisione grafica
dell’ecumene a cui questa teoria dà luogo a livello di mappa mundi19.
Quanto, poi, agli elenchi delle montagne e dei fiumi di rilievo, si tratta
di tema (con relativo vocabolario) proprio del genere coro- e cosmografico, nei cui testi è consuetudine obbligata descrivere regioni e zone, per
identificarle e distinguerle rispetto ad altre, secondo monti, fiumi e città
19
‘confusione’) può non essere tanto il prodotto di suggestioni testuali incrociate, quanto
dovuta all’esclusione di Nemrod (che non partecipava materialmente ai lavori della torre,
pur coadiuvandoli dall’esterno; Syn. 54) e di Eber (al quale è possibile fosse disegnato
un ruolo alternativo a Nemrod o di dissociazione dall’impresa; vedi infra, note 41.131)
dalla prima categoria. Quanto al numero 72 delle fula… noachite, vedi Syn. 198 per il
totale complessivo e, per i singoli addendi, Syn. 73 (Iafet, 15) e 159 (Sem, 25); le 32
camite, pur non dichiarate espressamente, si evincono dalla somma 12 + 8 + 12 di Syn.
94-108.110-118.
Adler, Time (vedi nota 9), 122-125 per la fortuna della nozione di kl…mata nella cronografia alessandrina e bizantina. Per l’utilizzo concreto (e non solo mentale) di carte
geografiche ordinarie nei discorsi ‘apologetici’ più vari, a cominciare dai Giubilei, vedi
Alexander, Notes (vedi nota 13), 197-213.
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230
Osvalda Andrei
che – nell’ambito di una diagraf¾ tÁj gÁj – diventano i ‘principali’ e ‘degni
di nota’ (prîtoi/¢xiÒlogoi)20. Appare perciò chiaro che la distribuzione
per kl…mata come presente nella mappa che stava davanti all’autore (più
che nella sua testa) gli disvelava una caratterizzazione per fiumi e montagne
utile ad integrare l’organizzazione a tre continenti delle origini, giocata
sulla funzionale presenza, in ognuno, dei fiumi biblici21. Altrettanto chiaro
è che le due liste (rispettivamente di 12 e 40 elementi) non sono esaustive
se non nella percezione di chi (l’autore o chi per lui) lavorava su materiale
cartografico secondo una determinata visione del mondo, ossia sovrapponendo una carta ideologica su quella scritta; infatti, se riportati ad una
mappa, i due elenchi appaiono ‘ridescrivere’ la terra (sorvolandola in tutta
la sua estensione e riorganizzazione) secondo un’immagine di insieme che,
per dare spazio al biblico, sfronda il resto e lo riduce a contesto. Onde a
chiarificarne il senso non sono tanto i singoli nomi quanto il loro costituire
un ‘insieme’ (Ðmoà), colto come tale secondo numeri di eco biblica (12 e 40)
riconoscibili ad ogni cristiano ed incardinato sul dato di geografia biblica
(che si riverbera sugli altri)22. Il settore ‘fiumi che si segnalano nella terra’
(Synagoge 238) sbocca poi in una breve appendice comprendente notizie
su: i) le sorgenti dei primi quattro fiumi Tigri, Eufrate, Fisone e Geone
(quelli, secondo la bibbia, derivanti in quattro ¢rca… dal fiume dell’Eden
e base della definizione della terra nelle tre aree continentali), che talune
scuole di pensiero vorrebbero ignote e non identificabili23; ii) il meravi-
20
21
22
23
Ptol., Geog. I 1,2 (cum scholia ad locum), nel quadro di una distinzione tra ‘geografia’
(che descrive la terra conosciuta come unità in sé e, perciò, in caratteristiche generali) e
‘corografia’ (che riguarda, invece, settori da descrivere nei particolari).
A sua volta, questa definizione dei tre continenti per fiumi (in accordo a Gen 2,9, scaturiti dall’Eden) riscriveva funzionalmente, già a livello dei Giubilei, quella delle mappe
geografiche della tradizione greco-romana (Alexander, Notes [vedi nota 13], 198sq.).
Così, la lista dei 40 fiumi illustri della terra esordisce con i 4 fiumi di Gen 2,11-14 seguiti
a ruota dal Giordano (Syn. 237) e tra i 12 monti noti (Syn. 235) figura il Sinai (Sina:
Iud 5,5 LXX; Ps 67,9 LXX), detto anche Nausa‹on [scil.: tÕ Ôroj], una terminologia che
ritengo interpretabile come corruzione da un originario SÚnaion (secondo una designazione aggettivale del Sinai non inconsueta in J., AJ III 75; J., Ap. II 2). Sulla dimensione
scritturistica dei numeri 12 (dalle tribù di Israele agli apostoli alla fisicizzazione della
Gerusalemme celeste in Apc 21,12-14) e 40 (i giorni e le notti trascorsi da Mosè sul
Sinai, gli anni di Israele nel deserto, il periodo passato da Gesù risorto con gli Apostoli
prima dell’ascensione, etc.) non c’è bisogno di dire molto: ma, come insieme, i 12 monti
di Syn. 235 richiamano Herm., sim. 9,17,1sq., dove la stessa immagine simboleggia tutta
la terra ed i suoi abitanti.
Syn. 239. Le presunzioni di esperienza ascritte ai tinšj appaiono implicitamente (e polemicamente) contrapposte a quella, autentica, con cui l’autore ritiene per parte sua
necessario sopperire ai bisogni di filomaq…a del proprio uditorio (Syn. 19.202.224.240).
Per la complementarietà della posizione presupposta da Syn. 239 (l’Eden come inscindibile dalla creazione e da certa sua fenomenologia odierna) – oltre che con Hipp., fr. 4 in
Gen. (ad Gen 2,8sq. [GCS Hippolytus I/2, 52sq. Bonwetsch/Achelis]) sulla topografia
dell’Eden nell’attuale ecumene e la possibilità, per chiunque voglia, di cercarne e verificarne i fiumi – anche con Hipp., Dan. I 17 (dove la sua ‘fisicità’ diventa ‘figura’ della
chiesa); vedi infra, nota 86.
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Spazio geografico, etnografia ed evangelizzazione nella Synagoge di Ippolito
231
glioso e miracoloso collegamento tra crescita periodica del Nilo/Geone
e parallela decrescita degli altri tre, nonché il colore uguale delle loro
acque che (nonostante la distanza e ad evidente riprova della realtà di
questo collegamento) li caratterizza come un tutto rispetto ad altri fiumi;
iii) il Giordano, identificato secondo il bianco colore delle correnti che si
riversano nell’attuale Mar Morto (anch’esso distinto sulla base del colore
verde delle sue acque). Si tratta di materia, problematiche e convenzioni
descrittive consuete nelle ¢nagrafaˆ tîn cwr…wn tradizionali24, che la Synagoge rinegozia e/o rilegge ‘biblicamente’; vedremo poi cosa può dirci
questo, se interrogato in chiave di configurazione culturale differenziante,
ossia di ambito d’autore specifico.
Così, sistemati in t£xeij rappresentative (al pari di altri temi della
Synagoge fuori del settore geo-etnografico)25, con il dato biblico cuore
(come inizio o centro) di ognuna, monti e fiumi ‘illustri’ diventano mezzo
di espressione e segnalazione di una divisione/organizzazione del creato
elaboratasi sulla scia del moltiplicarsi degli œqnh nel corso storico e dietro
il bisogno di distinguerli e collocarli in fula…, cîrai, nÁsoi così come
secondo kl…mata e punti di riferimento geografici (il ‘chi sono’ ed il ‘dove
sono’ definendosi sulla base del rapporto fisico con gli elementi del territorio). Pare poco comprensibile una siffatta estensione del compartimento
diamerismÒj, se non la si vede come amplificazione di un ambito di ƒstor…a
intesa in ogni suo passo a catturare tutte le pieghe esegetiche di quel ‘tutta
la terra’ e dell’ ‘ogni faccia di essa’ indicati dalla bibbia come teatro del
dilagare etnico (Gen 9,18; 11,9).
Visto sui molti volti di questo sfondo, anche lo Stadiasmos vede smussate certe sue ambiguità di argomento e di struttura. Con i suoi circa 400
paragrafi sui 570 complessivi formati con il Diamerismos (dunque, con
un’estensione pari a più del doppio di esso; 373 paragrafi contro 156),
24
25
Sulle storie meravigliose di fiumi che scompaiono e ricompaiono altrove con altri nomi
(come l’Eufrate che riemerge come Nilo), tanto da suggerirne provenienze lontanissime
o, come nel caso di Syn. 239, dimostrarne una provenienza comune (= dalle sorgenti
paradisiache), vedi Paus., Graeciae descriptio II 5,3; Philostr., VA I 14 (altro materiale
sulla diffusione del tema nella tradizione greco romana in H. Leclerq, art. Paradis, DACL
13/2, Paris 1938, 1603-1605). Anche l’identificazione di un mare o specchio d’acqua dal
suo colore (come, in Syn. 239, q£lassa pras…a per il mare cosiddetto ‘Morto’) è propria
delle ¢nagrafaˆ tîn cwr…wn (Str., Geographica I 3,4sq. per il mare Nero; Tatian., orat.
20,2 sui mari ‘colorati’ delle descrizioni topografiche; Anonymus, Geographiae expositio
compendiaria 11 [Geographi Graeci Minores 2, 502sq. Müller] per parte dell’Oceano
Indiano). Questo suggerisce che il nostro autore potesse lavorare su una mappa reale e le
sue visibilizzazioni. Quanto alla specificazione di ‘mar Morto’ – la l…mnh 'Asfalt‹tij della
geografia scientifica (Ptol., Geog. V 16,3), ma anche la q£lassa nekr£ della periegetica
di fine II sec. d.C. (Paus., Graeciae descriptio V 7,4) e, soprattutto, di Giulio Africano
(Iulius Africanus in Georgius Syncellus, Ecloga chronographica 188 [114,12-24 M.; cf.
Reliquiae Sacrae 22, 266,2-17 R.]) – non è da escludere che il suo contesto d’origine
dovesse molto proprio al bel pezzo paradossografico delle Chronographiai sul biblico
‘mare dei sali’.
Andrei, Chronographiai (vedi nota 3), passim.
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Osvalda Andrei
ne risulta la parte più ampia, ma è assente, oltre che dalle altre redazioni,
dagli argomenti della capitulatio (che passa direttamente dai ‘fiumi e monti’
illustri alla storia biblica); vero è, però, che non tutti gli historoumena
dell’opera si trovano preannunciati nella capitulatio (che include evidentemente, sotto l’indicazione ‘giudici e relativa cronologia’ di Synagoge
6, anche il periodo abramitico-mosaico) e che nel proemio medesimo gli
argomenti sembrano compressi e implicati da più voci di programma. È
introdotto da una ripresa proemiale che segnala un cambio di argomento e
si muove sui termini e i concetti base delle altre precedenti, ma la crescita
di contenuti è qui motivata, oltre che dal consueto desiderio di apprendere da parte dell’uditorio (tÕ filomaq{j kaˆ spouda‹on […]) e dall’obbligo
d’autore di sopperirvi, anche da una volontà di ‘giovare a tutti gli uomini’
(Synagoge 240) non dichiarata altrove (nemmeno nel proemio generale).
Dal punto di vista dell’argomento, questa nuova ed abbondante dose di
sapere coincide con una descrizione costiera del ‘grande mare’ (= mare
Mediterraneo) che segue le rotte marittime e le fissa secondo un itinerario
delle distanze (stadiasmÒj) a partire da Alessandria sino al Ponto Eusino
(con Calcedone quale tappa di riferimento) e, da qui, lungo le coste ‘europee’, sino a Cadice ed alle colonne d’Ercole (Synagoge 240). Si articola,
pertanto, sulla falsariga dei manuali di navigazione in uso nelle compagnie
mercantili e finalizzati all’illustrazione delle rotte commerciali26: un’utilità,
questa, di livello e destinazione certo diversi dal giovamento generale che
si immagina possa promettere (e non solo spiritualmente) un autore cristiano ad un pubblico cristiano27. In accordo a siffatto modello (seguito
o direttamente usato che sia), egli si impegna per una dimostrazione delle
distanze tra continenti (dell’Asia dall’Europa) e dei tratti di separazione tra isole che promette di svolgere – oltre che nel modo più accurato
possibile – anche kat¦ ¢l»qeian, ossia secondo un tipo di approccio e di
fruizione da lui riservate alla ricerca biblica (Synagoge 240.19). Al di là
delle influenze derivabili dal modello (testo) di partenza, questo può suggerire un recupero di conoscenze umane utili entro l’area di una comune
verità biblica e del progetto globale che essa incorpora. Inoltre il periplo
si presenta sì come una circumnavigazione del mare Mediterraneo (fulcro dell’orbis presupposto dalla fonte/modello, se non, forse, consistente
con la posizione e prospettiva culturale dell’autore medesimo), ma non
perde di vista i rapporti ed i grandi limiti di demarcazione tra continenti
(come Cadice e l’attuale stretto di Gibilterra, limite estremo di ‘Iafet’ e
suo confine con ‘Cam’). Nella struttura ad elenco, fatta di notizie scarne
26
27
Scott, Geography (vedi nota 6), 138sq. Per la tipologia dell’informazione dal punto di
vista dei dati e delle fonti parallele, rinvio all’edizione del testo in Geographi Graeci
Minores: Anonymus, Stadiasmos sive Periplus maris magni, Geographi Graeci Minores
1, Paris 1882, 427-514.
Tanto è vero che anche i luoghi di interesse cristiano (ad es. Patmo, Tarso, Antiochia
sull’Oronte) sono lasciati del tutto anonimi al riguardo (Syn. 535.539.420sq.398).
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Spazio geografico, etnografia ed evangelizzazione nella Synagoge di Ippolito
233
ed essenziali, la sezione rimanda certo ad un’impostazione manualistica,
ma anche alla tipologia ™n suntÒmJ caratteristica della scrittura del diamerismÒj (Synagoge 43), scrittura programmata per dire ‘molto’ in ‘poco’
spazio28: analogamente, il vocabolario della distinzione e della ‘separazione’
(diairšseij, diast»mata), nonché l’andamento secondo quantificazione delle
distanze sono certo elementi di ‘genere’, ma presuppongono anche un’organizzazione ripartita e sistematicamente articolata dell’ecumene come
quella ‘dimostrata’ in precedenza. Infine, le notizie brevi segnalano, oltre
che isole, anche promontori, luoghi di approdo, centri di culto, empori,
crocevia e città (tante, più o meno note ed indicate secondo caratteristiche
consone ad un pubblico di navigatori)29: questo è certamente in linea con
tutto ciò che fa ‘notizie utili per chi viaggia’30, ma forse lo si può leggere
anche nel senso di una descrizione per città e centri abitati di quanto (o
parte) era stato in precedenza delineato prioritariamente secondo popoli
ed aree di stanziamento31.
Così, nell’ultima e più estesa sezione della tranche prima della ripresa
cronografica elementi di apparente discontinuità possono rientrare nel
segno della continuità con quanto precede dal punto di vista dell’integrazione e dell’ampliamento progettuale. Proprio lo stadiasmÒj, anzi, è
in grado di giustificare la presenza delle poleis, che la capitulatio segnala
accanto alle bibliche cîrai e nÁsoi come parte del diamerismÒj (Synagoge
2), ma il cui peso nello svolgimento del tema risulta del tutto inferiore alle
aspettative32. Se ne può allora concludere quanto segue. Come segnalazione
sistematica delle distanze, il settore intende servire da illustrazione di una
rete di percorribilità dell’ecumene (nel senso di una pars pro toto)33 così
come organizzata nell’attuale in seguito al diamerismÒj ed ai suoi sviluppi
nel corso storico in termini di popolamento. Esso presuppone, infatti, i vari
livelli di ripartizione e locazione (cîrai, nÁsoi, kl…mata, segni di definizione
28
29
30
31
32
33
Sopra, pagina 223.
Ad es. Syn. 344.346.352.355.372.398 etc.
Vedi le segnalazioni dei porti in termini di ‘sicuri’ e ‘meno sicuri’ e gli aperti inviti a
seguire una data direzione e non altre (ad es. Syn. 344.365).
In effetti, le città menzionate nel diamerismÒj non sono molte e compaiono soprattutto
nella sezione sulle ‘colonie dei popoli sconosciuti’ (Syn. 214, principali centri della costa
ionica e pontica, con Samos e Pontos non del tutto a posto, essendo la prima un’isola
e la seconda una regione). Atene, Tebe e Sidone vengono ricordate, in seno ai popoli
iafetiti, nell’ambito di emigrazioni camite dentro ‘Iafet’ (Syn. 75sq.) e al fatto di essere
‘colonia’ iafetita deve la sua segnalazione anche Calchedon (Syn. 77). Le occidentali
Gadara e Leptis sono menzionate solo in sede di delimitazione dei blocchi noachiti (Syn.
49.130.146); per Rinokoroura (Syn. 47sq.), città di limite già nelle scritture (Is 27,12
LXX), vedi Scott, Geography (vedi nota 6), 142sq.
È un caso che, forse proprio per dare uno spazio apposito al settore ‘poleis’, non trovato
o ritenuto non adeguatamente svolto, una delle cronografie più in debito con il diamerismÒj
della Synagoge abbia aggiunto, dopo i fiumi, un elenco delle città ‘illustri’ nei 7 kl…mata
(Chron. Pasch. [CSHB 14, 62,6-64,8 Dindorf]).
Non è detto, però, che questa pars fosse la sola, poiché lo Stadiasmos è mutilo.
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territoriale) del movimento etnografico precedentemente delineato34, sì da
potervi intravedere un’appendice funzionale del diamerismÒj (causa remota
di un’articolazione storicamente plurale dell’ecumene, ora concretamente
verificabile in itinere): onde lo si potrebbe ritenere compreso nel cumulativo tîn ™qnîn […] tÕn diamerismÒn del proemio (Synagoge prooem.
20), se non nella fanšrwsij indicata nella capitulatio, qualora la si veda
in prospettiva ampia (= diacronica) e con la ripartizione della terra tra i
noachiti quale punto d’inizio (tÁj gÁj […] diamerisqe…shj)35. Quanto poi
alla struttura ed alla forma espressiva, quella secondo il genere ‘periplo’
ed i suoi indicatori chiave (distanze, rotte, percorribilità, porti e scali)
è, forse, un ‘farsi testo’ esemplarmente inteso a veicolare un messaggio
(proveniente dal diamerismÒj) che l’uditorio era in grado di decrittare dalle
convenzioni letterarie (compresa quell’estensione di scrittura richiesta dallo
spazio fisico trattato): quello della spinta a muoversi, in accordo ad una
logica prevista, in questo mondo, nelle sue articolazioni e percorsi attuali
come funzionalmente rappresentati dalla dimensione mediterranea. In
questo senso, la volontà programmata di ‘giovare a tutti’ mediante tale
supplemento di sapere presuppone la trasformazione di un’utilità particolare (quella implicata dal genere ‘periplo’ e riservata, come tale, ad un
pubblico circoscritto) in un utile generale ed estensivo.
3. Ridefinire le identità. L’autore dell’Elenchos, la ‘tavola dei popoli’ di
Gen 10 e la polemica contro Celso
In questo quadro di ampio respiro – dove la tradizione di Giubilei 8sq. su
una tripartizione sorteggiata della terra tra i Noachiti dopo il diluvio e con
Noè ancora in vita, pur se evocata dalla terminologia36, appare di fatto un
materiale di sviluppo tra altri di un’interrogazione esegetica a più piani di
Gen 10sq. – si segnalano quelle somiglianze con l’Elenchos (X 30sq.) che
sono servite, nell’ambito della ‘ricerca su Ippolito’, a costruire un’identità
d’autore, con relativa bibliografia, distinta da quella dell’Ippolito esegeta. Si
tratta di: i) numero e divisione dei popoli kat¦ gšnoj e totale complessivo
di essi (Iafet: 15; Cam: 32; Sem: 25; Elenchos X 30,5; 31,2sq.; Synagoge
73.159.198.200), che – con le notizie ricollegabili al tema (Elenchos X
31,3sq.; Synagoge 60.94-98) – valgono come principale prova a favore
34
35
36
Alcuni dei fiumi e dei monti segnalati come ‘principali’ nelle due rubriche apposite
(Syn. 235-237) risultano qui collocati entro il loro cwr…on e con lo scopo di definirlo
specificatamente: tali il Piramo (Syn. 416-418.236 [no. 21]), l’Oronte (Syn. 398sq.236
[no. 22]), l’Olimpo (481.236 [no. 12]). Ma, come è ovvio, fluvialità ed orografia sono
dettagliatissime in tutta la sezione.
Il che spiegherebbe perché lo Stadiasmos non venga segnalato indipendentemente, come
(e dopo) i fiumi e monti illustri.
Scott, Geography (vedi nota 6), 140.243 nota 52.
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Spazio geografico, etnografia ed evangelizzazione nella Synagoge di Ippolito
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della Synagoge quale retroterra testuale; ii) dati di cronologia biblica che, di
per sé e negli addendi, echeggiano la scrittura cronografica della Synagoge
nel settore postdiluviano e nella genealogia abramitico-levitica (Elenchos
X 30,3-6; Synagoge 36-42.620-628); iii) il rinvio dell’autore dell’Elenchos
a bibliografia propria (b…bloi e lÒgoi, ma anche autoreferenze generiche),
che – pur se lasciata senza titolo – si è pensato di poter identificare con la
Synagoge in base agli argomenti di protostoria biblica oggetto dei rimandi
(Elenchos X 30,1: Giudea Palestina, un tempo detta Canaan; 30,5: elenco
dei 72 œqnh noachici; 30,7: l’arca di Noè, le sue misure e la visibilità dei
suoi resti sull’Ararat in Adiabene). Entro la tesi disunitiva, tali elementi,
una volta incastonati nella dimensione cronografica, contribuiscono non
solo a sostenere un’identità letteraria diversa dall’Ippolito esegeta, ma
anche a dotare l’Elenchos di un terminus post quem ulteriore rispetto al
222 d.C. presupposto dalla polemica dell’autore contro un Callisto che
sembra ormai morto: cioè, il 235 d.C., data di collocazione ed ultimazione
della Synagoge, a cui l’Elenchos si riferirebbe come a prodotto finito37. Di
essi, però, a funzionare nel senso della consonanza sono le cifre e le notizie
sui popoli noachici, che risultano dati non casuali perché alla base di una
tradizione specifica e perdurativa38. Il resto è più apparenza che sostanza.
Infatti le 5 generazioni e i 495 anni del settore ‘Noè – Eber’ (Elenchos X
30,6), valutati come espressione dello stesso sistema cronologico di Synagoge 36-42, dal momento che decorrono da Noè (nascita di Sem) a Sala ed
alla nascita di Eber, sono il naturale risultato di addendi che qualsiasi lettore
di un testo greco della bibbia comprensivo di Kainan II poteva trovarsi di
fronte; sì che – essendo esclusa la sequenza Eber (età di) – Peleg (nascita
di) – queste cifre non sono controllabili sul dato autenticamente specifico
37
38
Per le consonanze Synagoge – Elenchos come tratti sintomatici di uno stesso ambito
d’autore, vedi (nel quadro della tesi unitiva ma con esiti validi anche in sede disunitiva
perché risolte e fatte funzionare nel senso della diversificazione da ‘Ippolito’) A. Bauer,
Die Chronik des Hippolytos im Matritensis Graecus 121. Nebst einer Abhandlung über
den Stadiasmos Maris Magni, TU 29/1, Leipzig 1905, 158-162, qui 158 (a proposito di
Elenchos [= el.] X 30); M. Marcovich (ed.), Hippolytus. Refutatio omnium haeresium,
PTS 25, Berlin/New York 1986, 16sq. Quanto alla morte di Callisto (222 d.C.; vedi S.G.
Hall, art. Calixtus I, TRE 7, 1981, 559-563) come terminus post quem dell’Elenchos,
l’affermazione di el. IX 12,25 sulla persistenza del suo didaskale‹on pare suggerire che il
vescovo non fosse più in vita. L’Elenchos è citato, qui e in prosieguo, secondo l’edizione
di P. Wendland (idem [ed.], Hippolytus Werke, vol. 3. Refutatio omnium haeresium, GCS
26, Leipzig 1916).
Vedi la tabella di Inglebert, Interpretatio (vedi nota 6), 140. Nel senso di una specificità
esegetica perdurativa va interpretata l’occorrenza della quaterna noachita ‘72 – 15 –
32 – 25’ nelle Homeliae in Psalmos 3 – attribuita ad Ippolito dal suo editore P. Nautin
(idem, Le dossier d’Hippolyte et Méliton, Patr. 1, Paris 1953, 166sq.), ma all’autore di
Synagoge e Elenchos, in base ad altre consonanze, dai primi interventi di scuola italiana
sulla questione ippolitea (cp. Loi, L’identità [vedi nota 5], 73-76) – qualora si ammetta
(con Simonetti [ed.], Ippolito [vedi nota 5], 140-146) che si tratti di opera del IV sec. d.C.
fatta circolare per motivi strategici sotto il nome di Ippolito, di cui (o del cui ambito)
avrebbe potuto allora impiegare determinati materiali.
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236
Osvalda Andrei
del trattamento di questo settore nella Synagoge, cioè sui 130 anni di Eber
alla nascita di Peleg invece dei 134 della lectio maggioritaria (Gen 11,16
LXX)39. Quanto poi alle autoreferenze bibliografiche, da un autore con
il vezzo di proporsi come punto di riferimento ci saremmo aspettati una
segnalazione di titolatura e/o di contenuti più precisa o decisa, come di
lì a poco avverrà con il Perì Pantòs (Elenchos X 32,4). Se non succede, è
perché o questi b…bloi e lÒgoi mancavano di quella specificità e settorialità
di genere ed argomento che poteva farli segnalabili, oltre che perché c’erano, anche per quello che erano (come un opus chronographicum) oppure
perché rientravano nella stessa sfera progettuale dell’Elenchos (quindi ben
noti all’uditorio o in qualche modo consistenti con il tema base dell’opera, il debito delle ‘eresie’ cristiane ai saperi, apparentemente più antichi,
dei popoli ‘filosofi’)40. In sostanza, un rapporto diretto tra Synagoge ed
Elenchos non pare ipotizzabile sul piano dell’identità nemmeno a livello
di assonanze e (auto)riferimenti. Invece è proprio dall’ambito dell’Ippolito
‘orientale’ che proviene un aggancio esegetico importante con il diamerismÒj
della Synagoge: l’interpretazione del termine kunhgÒj, dato a Nimrod come
qualifica del suo porsi ‘di fronte [contro] al Signore’ in Gen 10,9 LXX,
nel senso dell’attività di caccia e ricerca di cibo per quelli occupati nella
costruzione della torre (Synagoge 54), interpretazione per cui è possibile
stabilire un filo diretto con Commento al Cantico 2,13. Il carattere ampio
di tale convergenza (riguarda lo stesso contesto di avvenimenti e sembra
coinvolgere in entrambe le opere anche Eber padre di Peleg)41 la prospetta
39
40
41
Cp. Syn. 41 con Gen 11,16 LXX (app. crit. ad loc.), per l’età di Eber alla nascita di Peleg.
I 495 anni (per 5 generazioni) di el. X 30,6 sembrano presupporre l’articolazione: 100 (gli
anni di Sem alla nascita di Arphaxad, cifra trattata qui sia come intervallo tra la nascita di
Sem ed il diluvio – in accordo a Gen 5,32 – sia come distanza generazionale ‘Noè – Sem’)
+ 135 (gli anni di Arphaxad alla nascita di Kainan) + 130 (gli anni di Kainan alla nascita
di Sala) + 130 (gli anni di Sala alla nascita di Eber). Diversamente, le 5 generazioni ed
i 525 anni di Syn. 42 vanno da ‘dopo il diluvio’, quando Arphaxad genera a 135 anni,
alla nascita di Peleg da un Eber in età di 130 anni, in accordo all’articolazione: 135 +
130 + 130 + 130 = 525. È evidente come, nel progetto della Synagoge, sia la presenza
del secondo Kainan sia la specificità degli anni di Eber costituiscano una combinazione importante per realizzare quella doppia cronologia chiliadica del ‘dividere la terra’
(a.m./Ad. 2767 e 2800) che sta a fondamento dei due livelli diameristici dell’opera (vedi
sopra, pagine 224-226). Per il recupero ippoliteo del secondo Kainan (assente nel testo
masoretico, ma presente in Gen 10,24 e 11,12 LXX, nel Codex Alexandrinus di 1Chron
1,18 e in Lc 3,35sq.) ed il suo contesto antiafricaneo, vedi Andrei, Chronographiai (vedi
nota 3), 114sq. nota 81.
El. I prooem. 1 (per il riferimento ad un precedente scritto antieretico) e 7-10 (per il
piano dell’opera). Si noti, per altro, come già nell’ambito del ‘sant’Ippolito di Roma’
di von Döllinger destava qualche problema il presupporre la Synagoge dietro i rimandi
di el. X 30,1-7, tanto da considerarli riferibili alle opere esegetiche in generale (Bauer,
Chronik [vedi nota 37], 158-162).
Hipp., Commentarius in Canticum 2,12sq. (CSCO 264, 28,11-14 Garitte): Per hoc [scil:
unguentum] laetificatus beatus Eber non secutus est eos qui turris opus meditati sunt.
Hoc (fuit) contemptum a Nemrod, et escam praeparabat adversariis Dei. Per il ruolo di
Eber nella Synagoge, se ne consideri la presenza nella linea di Israele che doveva portare al Cristo (Syn. 20.718 [no. 15]), dalla cui prospettiva d’autore (ossia, nel progetto
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Spazio geografico, etnografia ed evangelizzazione nella Synagoge di Ippolito
237
come qualcosa di più significativo e meno casuale dell’analogia tra dati,
tanto più che questa interessa due scritti non vicini nel tempo e, perciò,
più logicamente collocabili in una sequenza d’autore che in un rapporto
di saperi diversificati42. Tale ‘specifico’ ippoliteo, però, si combina con il
filo rosso ‘Synagoge – Elenchos’ costituito dai non occasionali numeri dei
popoli noachici, i cui nomi l’autore dell’Elenchos dichiara di aver elencato
in altra parte della sua produzione (Elenchos X 30,5), in un dispiego,
dunque, non diverso da quanto ci troviamo di fronte nella Synagoge.
Nella prospettiva, che mi interessa, del recupero della Synagoge all’ambito
dell’Ippolito cosiddetto ‘orientale’, questo significa che: a) anche l’autore
dell’Elenchos si era occupato – in un ‘altrove’ appositamente predisposto
ed in termini di geografia etnografica – della ‘tavola dei popoli’ di Gen 10;
b) i suoi riscontri con il diamerismÒj della Synagoge vanno gestiti come
analogie tra ambiti e non (più) come uguaglianze che fanno identificazione. In sostanza, si tratta di catturare e definire i diversi mondi implicati
dai rispettivi ambiti ed il tipo di interlocuzione tra di essi che le analogie
suggeriscono: di che genere era il diamerismÒj dell’autore dell’Elenchos e
come funzionava ideologicamente? Sino a qual punto i suoi livelli coincidevano con la multiformità di piani del diamerismÒj della Synagoge?
Sin dove arrivavano le convergenze e dove cominciavano le divergenze?
Si tratta, insomma, di dare un contesto a due ambiti d’autore che, su un
tema apparentemente comune ed in grado di fare identità cristiana (ossia
di differenziare rispetto alle tradizioni coeve), si muovono in accordo a
fisionomie culturali e vettori intellettuali propri.
Taluni indizi hanno fatto pensare all’impiego, nella parte finale dell’Elenchos, di precedente materiale del suo autore rivolto a pubblico non cristiano43. Dall’osservatorio della tesi disunitiva tradizionale, questo suggerisce
una miniera nascosta di cui la Synagoge costituirebbe la punta emergente;
nella revisione che di essa perseguo e proseguo, ciò significa che in questa
42
43
generale dell’opera) va riguardato l’etimo Eber/Hebraei di Syn. 172 (no. 12), per altro
opinione condivisa (innanzitutto dalla sua fonte). Forse ad un’opposizione/contrasto tra
Eber e Nemrod può alludere quanto, in un contesto che odora decisamente di Synagoge
(vedi nota 9), afferma Leo grammaticus, Chronographia 13,1sq. su un coinvolgimento
solo indiretto o di basso profilo del patriarca nell’opera di costruzione della torre (tanto
da essere poi il solo a poter mantenere, entro la propria ful», l’antica lingua unitaria).
La consonanza tra il Commentarius in Canticum e la Synagoge in merito alla figura di
Nemrod e all’esegesi di kunhgÒj è stato sottolineata (nell’ambito della tesi unitiva) da
Richard, art. Hippolyte de Rome (vedi nota 10), 541. Per altre osservazioni sul punto,
vedi nota 131.
Il Commento al Cantico, uno dei primi commentari dell’Ippolito orientale, pare collocabile
prima del 200/202 d.C. (cp. P. Meloni, Ippolito e il Cantico dei cantici, in: Istituto Patristico Augustinianum Roma [come ed.], Ricerche (vedi nota 5), 97-120, qui 98 nota 5).
E. Norelli, Alcuni termini della ‘Confutazione di tutte le eresie’ (Elenchos) e il progetto
dell’opera, in: C. Moreschini/G. Minestrina (edd.), Lingua e teologia nel cristianesimo
greco. Atti del convegno tenuto a Trento l’11-12 dicembre 1997, Religione e cultura 11,
Brescia 1999, 105-116.
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Osvalda Andrei
stessa miniera deve trovarsi quel diamerismÒj dell’Elenchos da scoprire e,
poi, posizionare in contenuti e funzioni rispetto a quello, plurimo, della
Synagoge. Ora, le indicazioni bibliche coinvolte nel nostro discorso sono
di quei materiali ‘mirati’ che – nel mentre ‘dicono’ – evocano sfondi di
‘correzione’ e ‘riaggiustamento’. La Palestina Giudea dell’ ‘ora’ viene identificata con la gÁ Canaan‹tij del ‘long ago’ biblico per poi stabilirne una
storia onomastica che si vuole autorevole (vedi la derivazione di 'Iouda…a
da Giuda, cioè dal ramo regale della stirpe abramitico-iacobita) e, in questa
forma riassestata, farne il luogo della trasmigrazione (metoike‹) di Abramo
dalla Mesopotamia (Elenchos X 30,1sq.). È in tale gÁ Canaan‹tij – distinta
dalla futura Giudea così come dall’attuale Siria Palestina, ma già cèra
onomasticamente individuata (Elenchos X 30,1.4; 31,3) – che Abramo ed
i suoi discendenti avrebbero risieduto (parùkhsen), prima di trasferirsi al
tempo di Giacobbe in Egitto, per 215 anni (secondo numeri della genealogia abramitico-levitica che ogni lettore sarebbe stato in grado di collegare
ai 430 di Ex 12,40 LXX nel senso della metà di essi)44. Questo Abramo,
però, era un discendente diretto di Eber – da cui gli Ebrei trassero il nome
che li identificava come œqnoj specifico tra i 72 popoli della terra, dei quali
l’autore dichiara di essersi già occupato con un’esegesi non occasionale, ma
improntata ad amore per il divino e a conoscenza inoppugnabile (chiaramente e come dimostrano le cifre in Elenchos X 30,5sq. e 31,2sq. su Gen
10 LXX). Eber, a sua volta, discendeva da quel Noè (contemporaneo di un
diluvio universale, e non locale come quelli dei greci Ogygus e Deucalione)
che fu tanto pio da restare l’unico qeofil»j sulla terra e meritarsi – come
qeoseb»j e discepolo di qeosebe‹j – di sfuggire alla totale distruzione dell’umanità di allora con la moglie,i figli e le rispettive consorti e su un’arca
appositamente predisposta (una ‘funzione’che, in altro suo scritto, avrebbe
dimostrato coerente con le misure fornite dalla bibbia ed evidente dai
resti che ancora ne permangono; Elenchos X 30,6sq.; 31,4). Proprio i
495 anni da Eber (nascita di) a Noè e alla nascita di Sem (Gen 5,32) e
le 5 generazioni comprensive di essi indicherebbero quella noachita come
la sola linea dell’umanità traghettata al di là del diluvio; il che – secondo
l’autore – sarebbe la prova inoppugnabile dell’antichità della stirpe dei
qeosebe‹j (discendenti da Noè via Eber) su Caldei, Egizi e Greci, ossia su
quegli œqnh già ricordati come privi della memoria storica del diluvio e
qui citati quali presunti depositari di vero sapere e di antichità assoluta
(Elenchos X 30,8; 31,1-5 per la terminologia della summa antiquitas). In
accordo, quanto segue si muove sull’idea della posteriorità dei popoli cosiddetti ‘filosofi’ dell’opinione corrente rispetto ai qeosebe‹j (Noè ed i suoi
discendenti); onde risulta funzionale l’affermazione su quanto sia logico ed
opportuno chiarire l’origine di tali œqnh ed il ‘quando’ del loro trasferirsi
44
Secondo l’indirizzo interpretativo inaugurato da Demetrio il cronografo e personalizzato
dal cristiano Giulio Africano (vedi Andrei, 430 Years [vedi nota 9], 1-67).
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Spazio geografico, etnografia ed evangelizzazione nella Synagoge di Ippolito
239
(metoik»santej) in quelle regioni che da essi e dal loro insediamento (e non
prima!) presero nome (Elenchos X 31,1), nonché decisamente in linea il
materiale argomentativo impiegato. Infatti – stando all’autore – i popoli
cosiddetti ‘filosofi’ rientrerebbero nel generale popolamento della terra per
cîrai (katoike‹tai […] katoikhs£ntwn) occorso dopo il diluvio su invito,
rinnovato, di Dio a proliferare e riempire la nuova creazione (Gen 9,7)45
tramite i tre figli di Noè e le rispettive generazioni (indicate secondo l’ormai ben noto ‘terno’ 25 – 15 – 32 delle filiazioni noachite). Fra queste, le
derivazioni eponimo-genealogiche Canaan ~ Canaanei, Mesraim ~ Egizi
e Iouan ~ Elleni ~ Ioni appaiono affermazioni di corredo ai temi della
sezione (così Canaan – individuata poco sopra quale terra oggetto della
migrazione di Abramo, ma qui ‘dimostrata’ quale cèra già esistente di per
sé e nominata, in accordo a Gen 12,6, dai Canana‹oi che l’abitarono – ed
Egizi e Greci come popoli ‘filosofi’ ed antichi per eccellenza). Invece gli
altri due esempi di area camita (Cush ~ Etiopi, Phud ~ Libi) sembrano
da collegarsi innanzitutto al principio generale della trasmutazione onomastica dei popoli, ovvero della perdita dei nomi originari di essi a causa
di denominazioni greche che si sarebbero superimposte sino a ridurne o
farne perdere, attualmente, del tutto la memoria (Elenchos X 31,1-3). Il
tema della metonomastia degli œqnh – implicante il problema del divenire etnografico e, con ciò, quello dell’aggiornamento della biblica tavola
dei popoli – era, probabilmente, tra quelli previsti nell’esegesi di Gen 10
allusa in Elenchos X 30,5; ma, poiché il cuore del discorso riguarda qui
l’assoluta antichità dei qeosebe‹j, questo tema resta a livello di enunciato,
manifestandosi con indicazioni ovviamente semplificate, ma sufficienti a
farlo presupporre46. L’argomentazione finale, infatti, punta ad acquisire la
recenziorità non solo dei ben noti popoli ‘filosofi’, ma anche di tutti gli
œqnh dell’ecumene (barbari, così come popoli ‘conosciuti’ e ‘sconosciuti’)
rispetto ai qeosebe‹j sulla base che di popolamento della terra e di nascita
di cîrai etnicamente identificate da appositi stanziamenti si può parlare
solo dopo il diluvio e ad opera della discendenza dei figli di Noè (Elenchos
X 31,4sq.). L’appello rivolto a ‘Elleni, Egizi, Caldei’ e ad ogni filiazione
umana ‘ad associarsi’ a ‘noi amici di Dio’ (= i cristiani ‘non eretici’, eredi
e rappresentanti attuali dell’ œqnoj dei qeosebe‹j derivati da Noè – Eber)
(Elenchos X 31,6) si articola retoricamente sulla tripartizione di aree sorte
dai Noachiti (Elleni ~ Iafet, Egizi ~ Cam, Caldei ~ Sem) ed il suo clou
enfatico (p©n gšnoj ¢nqrèpwn) sottende l’idea, ed i relativi materiali dimostrativi, che tutti i gruppi umani possono essere spiegati o identificati solo
dietro incapsulamento in questa carta, genealogica e geografica, di base.
45
46
Cp. Gen 1,28.
Tra Chous e Aithiopes non appare nessuna relazione onomastica diretta e così tra Phoud
e Libyes, onde è il presupposto di qualche livello intermedio (del tipo sottolineato da
J., AJ I 130-132) a giustificare il rilievo di Elenchos sulla persistenza solo locale delle
denominazioni eponime (fuori di lì, supersedute completamente dal nome greco).
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Non a caso – dopo l’esposizione di quanto noi apprezziamo come tipo di
‘Logostheologie’ differenziante rispetto all’Ippolito cosiddetto ‘orientale’,
ma che per il suo autore è ‘il vero discorso sul divino’ (Ð perˆ tÕ qe‹on
¢lhq¾j lÒgoj; Elenchos X 32sq.; 34,1) – l’appello finale ad imparare ‘da
noi’ (= i veri cristiani) chi è veramente Dio e cos’è la sua creazione (= a
conoscere e conoscersi: Elenchos X 34,2.4) è formulato secondo tassonomie rinvianti come insieme al quadro articolato degli œqnh presupposto
dai Elenchos X 30sq.: Greci e barbari (ossia la divisione dell’umanità in
poli opposti propria della tradizione greco-romana) – con il secondo elemento (‘barbari’) integrato ed illustrato per coppie di œqnh di area ‘semita’
(Caldei ed Assiri), ‘camita’ (Egizi e Libi), mista (Indiani ~ Sem; Etiopi ~
Cam) e ‘iafetita’ (Celti e Latini) – una classificazione poi riqualificata nel
senso degli ‘uomini tutti residenti (katoikoàntej) in Europa, Asia e Libia’
(le tre aree continentali della geografia tradizionale, parte integrante della
distinzione dell’umanità in ‘greci e barbari’, ma ormai passate per il filtro
biblico della divisione secondo i figli di Noè)47. L’espressione oƒ strathgoàntej Late‹noi ad indicare (od implicare anche) i Romani è un segnale
rilevante del mondo di pensiero, non solo biblico, dell’autore48 e quella Ð
perˆ tÕ qe‹on ¢lhq¾j lÒgoj, per quanto riferita al cristianesimo autentico
dei ‘non eretici’, evoca concettualizzazioni ed ambiti non solo intracristiani
(Elenchos X 34,1).
In sostanza, il diamerismÒj che l’autore dell’Elenchos riprende da altra
sede, dove l’avrebbe svolto con impegno, in ‘pillole’ funzionali al nuovo
progetto (squalificare gli ‘eretici’ come seguaci degli errori dei filosofi e
non dell’autentica e più antica rivelazione divina) si muoveva apparentemente su direttrici di questo tipo: a) un’interpretazione della ‘tavola dei
popoli’ (Gen 10) alla luce della ‘parola’ (_Áma) di Dio a popolare la terra,
desertificata dopo il diluvio. Così, nella lista per fula… di Gen 10 egli
avrebbe visto descritta la situazione etnografica (= popoli discendenti da
…) prodottasi dietro l’ordine divino di diffondersi ed abitare ogni cèra.
In accordo, il versante terminologico determinante risulta quello dell’ ‘abitare’ ed ‘insediarsi’ (katoik…a/katoike‹n: Elenchos X 31,1sq.); altri vocaboli
della stessa famiglia (metoik…a/paroik…a) si trovano, invece, riferiti il primo
all’azione (e al relativo momento cronologico) del ‘muoversi’ e ‘trasferirsi’ ai fini dell’o„ke‹n/katoike‹n di cui la ‘tavola’ sarebbe l’esemplificazione
(Elenchos X 31,1), nonché ad illustrare l’atto di Abramo (= migrazione
dalla Mesopotamia) in risposta alla chiamata di Dio (Gen 12,15), il se-
47
48
Alexander, Notes (vedi nota 13), 203sq. per questo sovrapporsi, già nei Giubilei, fra aree
della cartografia ionica e tripartizione noachitica della terra.
Si tratta di espressione difficilmente riferibile ad altro che ai Romani (vedi, del resto,
Iren., haer. V 30,3), ma – nella misura in cui Lat‹noj connota aggettivalmente lingua ed
istituzioni loro proprie (ad es. Str., Geographica VI 1,6; D.H., Antiquitates Romanae IV
49,3), tanto da doverlo considerare sinonimo di `RwmaikÒj (D.H., Antiquitates Romanae
I 7,2) – ha, in questo caso, un sentore tutto antiquario.
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Spazio geografico, etnografia ed evangelizzazione nella Synagoge di Ippolito
241
condo all’ambito, qui specificatamente abramitico-iacobita, del ‘risiedere’
in Canaan in accordo a Gen 15,16 LXX49; b) la prospettiva che la situazione etnografica illustrata da Gen 10 dovesse fare i conti con le erosioni
del divenire storico, ossia con il fatto che molti popoli biblici e relativi
nomi mancavano di riscontri nell’attuale, perché superati e/o modificati
dagli eventi e da altre denominazioni. Il motivo rimanda alla ‘riscrittura’
di Flavio Giuseppe di Gen 10,1-3150, dove proprio l’ellenizzazione è ritenuta responsabile dei cambi onomastici dal ‘long ago’ allo hic et nunc e
l’autore dà, qua e là, gli estremi per riconoscere, su carta attuale, œqnh e
cîrai bibliche51; sin dove è possibile, però, dal momento che Giuseppe
segnala, tra le cause di discontinuità etnografica, anche la scomparsa fisica
di taluni popoli per i quali sarebbe inutile cercare equivalenti52. Se l’autore
dell’Elenchos ricorreva a questa tematica (come pare suggerire l’enunciazione del principio in Elenchos X 31,3sq.) è probabilmente per il fatto
che, come Giuseppe, egli riteneva plausibile l’obiezione sul perché non ci
fosse corrispondenza tra l’etnografia attuale e la carta, che si pretendeva
fondante, di Gen 10; si trattava, cioè, di risolvere la discontinuità in una
continuità ‘nonostante tutto’ e questo era quanto l’idea della metonomasia
etnica sembrava assicurare.
Su questo tracciato interpretativo, la ‘tavola’ di Gen 10 viene vista
come il quadro geo- ed etnografico di base (assolvendo i tre Noachiti al
duplice e complementare ruolo di origine partenogenetica di fula… etniche
e di personificazione dei tre spazi europeo, asiatico e libico della divisione
ellenica in continenti; Elenchos X 31,1.4: ¢rc¾ gšnouj ¢nqrèpwn) costituitosi su input divino, a cui rinviare, mediante agganci appropriati, lo
hic et nunc degli œqnh e – come pare suggerire la storia onomastica della
biblica ‘terra di Canaan’, identificabile con l’attuale (Siria)-Palestina (Elenchos X 30,1sq.) – anche delle cîrai. In accordo, il numero di 72 œqnh è
decisamente biblico (vedi Gen 10,1-31 LXX) e gli addendi kat¦ gšnoj
15 – 32 – 25 ne costituiscono un’interpretazione numerica tanto particolare quanto specifica53. La terminologia dell’o„ke‹n/katoike‹n, inoltre, non
49
50
51
52
53
Ovvero: come terra (ancora) non propria ed abitata, perciò, in modo ancora non integrato.
J., AJ I 120-147.
Ad es. J., AJ I 125.128.133.136.138.
J., AJ I 137-139.
La Bibbia ebraica dà un totale di 70 nomi ripartibili nei tre blocchi di 14 (Iafet), 30
(Cam) e 26 (Sem) codificati dalle varie esegesi (D. Sperber, art. Nations, the Seventy,
EJ 12, 1971, [882-886] 885sq.). Il testo dei LXX – introducendo in Gen 10,2.24 Elisà
come quinto figlio di Iafet e Kainan tra i discendenti di Sem – porta il totale a 72, onde
le cifre di area diventano rispettivamente 15 (Iafet), 30 (Cam) e 27 (Sem). Nell’autore
dell’Elenchos i camiti sono due di più (32) ed i semiti scendono di altrettante unità
(25); si tratta di una variante particolarissima, che può dipendere da scelte e strategie
di computo determinate (ad es. per i camiti l’inclusione di Nemrod e la distinzione, su
base grafica, tra i Chanan di Gen 10,6.19), ma anche dalla situazione del testo su cui si
lavorava (particolarmente fluido nel caso dei semiti di Gen 10,26-29).
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242
Osvalda Andrei
è tanto quella della ‘tavola dei popoli’ (ove ricorre solo nell’ambito dei
figli di Iektan e per un solo settore di essi; Gen 10,28-30), ma echeggia
piuttosto il vocabolario della maledizione di Noè su Canaan (Gen 9,25-27
LXX), che viene prospettato – insieme a Sem e Iafet e, di conseguenza, al
padre Cam – come ‘attendamento’ (insediamento) stabilizzatosi in forme
ed equilibri determinati54. Questo diamerismÒj, dunque, puntava a definire
il primordiale rapporto tra œqnh e cîrai come da essi occupate ed onomasticamente fondate solo dopo il diluvio, ossia l’archetipo di riferimento a
cui ogni apparente mutabilità (= la mappa attuale) andava ricondotta. In
tale quadro va considerato il ruolo di Eber quale eponimo degli Hebraei
(Elenchos X 30,4), un nesso etimologico certamente condiviso, ma qui
enfatizzato dal costituire la nascita del patriarca il termine di chiusura dei
495 anni indicanti la continuità dei qeosebe‹j da prima a dopo il diluvio55.
Cronologicamente, la sua figura serviva forse ad individuare il momento
in cui la stirpe dei qeofile‹j (= la linea Noè – Sem – Eber di Gen 10,21)
avrebbe trovato un nome congruente al suo visibilizzarsi quale popolo più
antico; sotto il profilo onomastico, il nesso Eber ~ Hebraei doveva affiancare quello Iouda ~ Iudaea/Iudaei (Elenchos X 30,2) in una sinonimia,
genealogicamente fondata (essendo Giuda, figlio di Giacobbe, discendente
via Abramo da Eber), che esaltasse sia l’antichità e l’autorevolezza dei
qeosebe‹j sia la dignità della loro cèra (Canaan ~ Giudea ~ Siria Palestina)
di trasmigrazione ed insediamento.
Come fosse narrativamente organizzata questa distribuzione degli œqnh
in gšnh e cîrai e quale ne sia stata la sede (se un’opera specifica o più
contributi e lÒgoi) non è dato dire56. Ne sono, però, decisamente chiari gli
scopi apologetici (che favoriscono la ripresa di alcuni suoi dati in chiave
utile a trattare gli ‘eretici’ come plagiari del ‘più recente/meno autorevole’), soprattutto per quanto concerne l’assestamento di identità ribaltate
o non capite. Contro chi, allora, poteva essere rivolto un siffatto tipo di
esegesi? Chi si presta di più a svolgere questo ruolo di obiettivo sembra
Celso. Infatti è dai frammenti del suo Discorso di verità57 che provengono
affermazioni coerenti (dal punto di vista di una possibile replica) con la
linea argomentativa dell’Elenchos ed i suoi presupposti bibliografici. Tali:
i) i Giudei come gšnoj non etnicamente legato alla Giudea (e, perciò, non
54
55
56
57
Infra, 264sq., per il collegamento (o adeguamento) della profezia di Noè con i movimenti
etnografici coinvolti nei vari ‘diamerismi’.
Vedi nota 39.
Norelli, Alcuni termini (vedi nota 43), 110sq.
Su Celso, l’opera, la sua datazione nel 178/180 d.C. e le caratteristiche della sua polemica
anticristiana, vedi G.T. Burke, art. Celsus, The Anchor Bible Dictionary 1, 1992, 879881; G. Rinaldi, La Bibbia dei pagani, vol. 1. Quadro storico, La Bibbia nella storia 19,
Bologna 1997, 107-118; L. Perrone (ed.), Discorsi di verità. Paganesimo, giudaismo e
cristianesimo a confronto nel Contro Celso di Origene. Atti del II Convegno del GIROTA, Roma 1988; J.G. Cook, The Interpretation of the Old Testament in Greco-Roman
Paganism, StAC 23, Tübingen 2004, 55-149.
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Spazio geografico, etnografia ed evangelizzazione nella Synagoge di Ippolito
243
identificabile secondo il tradizionale rapporto œqnoj – cèra) perché Egizi
d’origine stanziatisi – per secessione dal gruppo d’appartenenza e fuga dal
proprio paese – nella Palestina ora chiamata Giudea, in un qualche angolo
della quale si sarebbero nascosti per poi ‘ricostruirsi’ secondo fabbricazioni genealogiche tanto infondate quanto deliranti (donde la logica di una
risposta in termini di storia onomastica dell’attuale Palestina Giudea a
partire dalla gÁ Canaan‹tij e di definizione etnica dei Iudaei in chiave di
una lunga residenza di Abramo e dei suoi discendenti in Canaan, provata
dai numeri della genealogia abramitico-levitica, sino al trasferimento in
Egitto dopo la nascita di Caath, che qui avrebbe proseguito la discendenza tramite la linea Amram – Mosè, onde l’Esodo fu un ritorno in una
cèra di antenati e non una fuga dall’Egitto per appropriarsi di una terra
altrui)58; ii) la distinzione terminologica tra Hebraei e Iudaei in funzione
di un parallelismo con le due st£seij storiche da cui il gšnoj fuggito dall’Egitto sarebbe stato interessato: quella d’origine, che avrebbe portato
alla costruzione di un œqnoj di Hebraei particolare e distinto dagli Egizi,
e quella, recente, del gruppo dei cristiani dalla comunità di Iudaei che il
nucleo di partenza sarebbe storicamente diventato (donde la congruità di
una risposta che punta anche su una derivazione etimologica di Hebraei
da Eber cronologicamente distinta da quella di Iudaei da Giuda, sì che i
due nomi non vanno trattati come confusa ed indiscriminata variante, ma
sono da ritenersi espressione della crescita storica di un œqnoj già del tutto
tale, anche dal punto di vista delle figure eponime, prima della migrazione
in Egitto)59; iii) il diluvio dei tempi di Noè quale contraffazione di dottrine
greche e barbare sulle inondazioni periodiche che scandiscono i corsi e
ricorsi dell’universo – l’ultima delle quali sarebbe quella di Deucalione – ed
esempio di una narrativa di scarso spessore intellettuale e, come tra l’altro
dimostrato da quella ‘cosa’ strana, con al suo interno di tutto, che era
l’arca, di nessuna credibilità (donde la risposta in termini di una diversità
tra diluvi – quello di Noè il solo ad essere universale e, perciò, irripetibile, quello di Deucalione geograficamente limitato e, dunque, non privo
di altri paralleli, ugualmente locali – e di una conformazione dell’arca
adatta, per misure e tipologia, agli scopi per cui doveva servire)60; iv) la
58
59
60
Cels. III 5-7; IV 31.36; VI 78.
Celso impiega correntemente 'Iouda‹oi ad indicare l’œqnoj e la sua dimensione religiosa
dalla fase biblica a quella, odierna, di contrapposizione ai cristiani (Cels. I 26; III 1-5; IV
2.20.22.31.36.47sq.73; V 2.6.25.33sq.41.59.65; VI 19.29.78; VII 18). È però significativo
che `Ebra‹oi risulti utilizzato in quel punto nodale dell’argomentazione celsiana (Cels. III
6sq.) riassumibile nei termini di ‘ciò che è fatto è reso’; infatti, come i secessionisti egizi
vollero rifarsi una nuova identità rinascendo come `Ebra‹oi (donde l’idea, implicata, di
un’immagine etnica che si voleva antica senza esserlo realmente), così i seguaci di Gesù si
staccarono dagli ormai tradizionali 'Iouda‹oi di cui erano parte, per costituire un popolo
‘nuovo’ senza, però, essere di fatto alcunché.
Cels. I 19sq.; IV 11.41 (per la contestualizzazione, anche numismatica, di quest’ultimo
passo vedi G. Rinaldi, La Bibbia dei Pagani, vol. 2. Testi e documenti, La Bibbia nella
storia 20, Bologna 1998, 106-108). Celso parla solo del diluvio di Deucalione (definen-
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recenziorità degli Hebraei/Ioudaei, in quanto appendice secessionista degli
Egizi, rispetto ai Greci (autentici esaltatori di ciò che è bello ed utile, pur
se ‘scoperto’ da altri) così come ai ‘barbari’ ¢rcaiÒtatoi kaˆ sofètatoi,
anch’essi compartecipi – per quanto lontani e paradossi – di quel ‘sapere
antico’ (palaiÕj lÒgoj) che è la vera anima del mondo (donde la logica
di una risposta e, soprattutto, di una dimostrazione su carta, che – per
invertire il rapporto – colloca dopo il diluvio l’origine dei popoli cosiddetti
‘filosofi’ come, in generale, di ogni œqnoj, esclusa la linea incardinata su
Noè e poi visibilizzatasi negli Hebraei)61. Celso, insomma, è un candidato
credibile al ruolo di presenza dietro le quinte di quella produzione apologetica d’autore di cui la parte finale dell’Elenchos rappresenta la punta
emergente: una presenza che pare influire sui termini dell’autodefinizione
cristiana dell’autore (Ð perˆ tÕ qe‹on ¢lhq¾j lÒgoj) rispetto sia agli eretici
non cristiani che ai pagani cristianizzabili62, sul peso dato ad una sola ed
unica parola (quella di Dio dopo il diluvio) quale causa del popolamento
61
62
dolo neèteroj e teleuta‹oj), mentre el. X 30,6 aggiunge quello, ugualmente locale, di
Ogygus in Attica. Al di là del bagaglio di conoscenze proprie da cui il suo autore può aver
prelevato la notizia, si ricordi come al diluvio attico dei tempi di Ogygus desse un nuovo e
motivato rilievo proprio il contemporaneo Giulio Africano, stabilendone la sincronia con
Mosè e l’Esodo e facendone, così, un capisaldo, cronografico ed ideologico, del proprio
sistema (Iulius Africanus apud Eus., p.e. X 10,21sq. [GCS Eusebius 2VIII/1, 595,7-13
Mras/des Places = Reliquiae Sacrae 22, 277,7-16 R.]). Quanto all’arca, nell’indicarne
il luogo d’approdo su carta moderna e l’attuale persistenza dei suoi resti, el. X 30,7 si
muove sulla linea di J., AJ I 92 e in accordo all’idea programmatica di dimostrare la
veridicità della bibbia; anche in questo caso, però, l’autore ha un parallelo specifico in
Giulio Africano, che non solo fornisce due localizzazioni possibili dell’approdo dell’arca,
ma dice di averle personalmente visitate entrambe (Iulius Africanus in Georgius Syncellus,
Ecloga chronographica 38 [22,6-8 M. = 243,2-5 R.]). Per sua parte, l’autore dell’Elenchos
dichiara di essersi già occupato delle misure dell’arca, con ciò implicando un discorso su
forma ed agibilità reali del mezzo (vedi la definizione celsiana ¢llÒkotoj kibwtÒj in Cels.
IV 41) che rinvia a Filone (Ph., Quaestio in Genesin II 5 [ad Gen 6,15sq.]) e – dietro
l’adeguato apprezzamento del piano letterale quale preludio necessario alla comprensione
delle realtà spirituali iscritte nell’arca e nella sua architettura – a Or., hom. 2 in Gen.
(Opere di Origene 1, 80-105 Simonetti). Data l’opposizione dell’autore di Elenchos alla
linea pastorale di Callisto sulla remissione dei peccati, fondata dal vescovo proprio sulla
similitudine ‘arca di Noè – chiesa’ (el. IX 12,23), non escluderei che uno dei possibili
contesti dell’esegesi allusa in el. X 30,7 sia stata (puntando magari sulla qeofil…a degli
umani salvatisi sull’arca) proprio la polemica contro Callisto.
Cels. I 2 (i barbari e gli eØr»mata, i Greci ed il dispiegamento autentico della virtù); I
14.16 (popoli antichissimi e sapienti ed ¢rca‹oj lÒgoj); I 20 (gli Egizi popolo più di tutti
‘filosofo’); III 5sq. (gli ‘Ebrei’ gruppo secessionista dagli Egizi e, perciò, recenziore); IV
31.36 (i Giudei privi di memoria storica e, perciò, esclusi da quell’antichità che possono,
invece, pretendere Greci [Ateniesi, Arcadi e Frigi] e barbari [Egizi]); I 37; VI 23; VII
28; IV 21.41; VIII 60 (plagi, contraffazioni e fraintendimenti di dottrine greche, popoli
™nqeètata e qe‹oi ¥ndrej da parte di giudei e cristiani).
Cp. el. X 31,6 (™n ¢lhqe…aj gnèsei [...] poioumšnwn [GCS Hippolytus III, 288,5sq. Wendland]) con el. X 34,1sq., che del precedente passo è da ritenersi una sintesi su ‘tema’
celsiano (palaiÕj lÒgoj come ¢lhq¾j lÒgoj) e dove il vero lÒgoj è contrapposto, in
funzione identitaria, alle opinioni degli eretici plagiari [scil.: di assunti e teoremi a loro
volta rubati ad altri].
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245
generale della terra (evocante per contrasto le affermazioni di Celso su
ripetute ondate migratorie, promosse di volta in volta da oracoli e profezie
e, perciò, localizzate, per cui ogni terra risultò alla fine abitata)63 e, forse,
anche sulla formulazione espositiva della ben nota ‘Logostheologie’64.
4. Ridefinire le identità.
DEl. nel progetto unitario della Synagoge: popolamento della terra e
dispersione etnolinguistica
Pertanto, è contro la squalifica celsiana degli Hebraei/Iudaei come etnia
non in grado di reggere il confronto con la cultura e l’antichità dei popoli
(greci e barbari) cosiddetti ‘filosofi’ e della loro appendice cristiana come
alterità intellettualmente non elevata e socialmente intollerabile che l’autore
dell’Elenchos pare aver elaborato un diamerismÒj ove ogni popolo e cèra
etnicamente definita risultavano ‘fondati’ dopo il diluvio per il tramite
dei noachiti. Se così, questo diamerismÒj ha serie possibilità di costituire
la prima esegesi cristiana a Gen 10 sistematica (perché organizzata e dispiegata su precise basi ideologiche) e di ampio respiro (perché intesa a
collegare in prospettiva long-ago fondante ed ‘attuale’)65. Per apprezzarlo
al meglio in quest’ottica, si consideri allora che: a) tra i circa 20 œqnh
menzionati nei frammenti di Celso (o in quanto tali o attraverso i loro
santoni e personaggi esemplari), almeno una quindicina ritornano, pur con
qualche differenza terminologica, tra i popoli espressione della ‘filosofia
barbara’ e scopritori di eØr»mata segnalati in Clemens Alexandrinus,
Stromateis I 15sq. e, di quest’area comune, una porzione coincide con gli
esempi di popoli ‘filosofi’ ricordati nell’Elenchos66; b) quasi tutti gli œqnh
63
64
65
66
Cels. VII 3 e, soprattutto, 45.
Con questo non voglio dire che la ‘Logostheologie’ dell’autore dell’Elenchos sia stata
elaborata in riferimento a Celso (infatti la polemica di Cels. IX 11sq. contro le posizioni
monarchiane di Callisto e di altri dimostra che si trattava di un dibattito sull’unità-unicità
di Dio dalle caratteristiche innanzitutto intracristiane). Non escludo, però, che la sua
posizione e visione del problema abbiano ricevuto da Celso stimoli a ripensarsi, rifinirsi
e rimodularsi (anche in funzione del conflitto interno) secondo quella fisionomia intellettualistica e filosofica piuttosto che biblica con cui trova espressione nell’Elenchos.
Prima di parte cristiana perché non sappiamo niente di uno scritto che Teofilo avrebbe
dedicato, con tanto di elenchi, alle genealogie noachite di Gen 10 (Thphl. Ant., Autol.
II 31 [PTS 44, 81-83 Marcovich]) e perché, a questa altezza, il giudaismo aveva già da
tempo avanzato varie interpretazioni attualizzanti della ‘tavola dei popoli’ (Inglebert,
Interpretatio [vedi nota 6], 116-125).
Oltre a Ioudaioi/Ebraioi (scontati in entrambi), Clemente (Clem., str. I 15,71,3-76,10
[GCS Clemens Alexandrinus 4II, 45,19-50,10 Stählin/Früchtel]) ha in comune con Celso:
Aigyptioi (Cels. I 14), Chaldaioi (Cels. I 14, Assyroi; VI 80, Chaldaioi), Druidai/Galloi
(Cels. I 14, Druidai tra i Galatai), Magoi (Cels. VI 80), Gymnosophistai tra gli Indoi,
Samanoi e Brahmanes (Cels. I 14.24; V 34), Skythai [Anacarsis] (Cels. II 55, Zamolxis;
V 41.54; VI 39; VII 62), Hyperborei (Cels. I 16; III 31, Abaris hyperboraeus), Phryges/Dactyloi Idaioi (Cels. IV 36), Arabes (Cels. V 34), Libyes/Atlas (Cels. VII 62, Nomadi della Libia), Thrakes/Tamiris (Cels. I 14, Samothrakes ), Kolchoi [Medea] (Cels.
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di Celso sono rappresentati nelle genealogie noachite del primo settore del
diamerismÒj della Synagoge (56-197), o come discendenti della prima ora
o tra gli esiti attuali e lo stesso può dirsi per la quasi totalità dei popoli
di Clemente (dentro e fuori l’area comune con Celso)67; c) in Syn. Diam.
I68 la presenza di determinati œqnh e la particolare terminologia di altri
risultano abbastanza comprensibili alla luce di una logica interlocutoria
‘Celso – Elenchos (con bibliografia a monte) – Synagoge’69; d) sempre in
67
68
69
V 41), Persai (Cels. I 5; VI 80; VII 62), Odrysai (Cels. I 14; II 55, Orfeo). Di questi,
nell’Elenchos risultano menzionati in vario contesto: Aigyptioi (el. IV 43,4; V 7,22; X
30,6; X 31,3sq.6; X 34,1), Assyroi e Chaldaioi (el. V 7,6.20; X 30,6; X 31,3.6; X 34,1),
Indoi/Brahmanes e Gymnosophistai tra (presso) gli Indoi (el. I 13,1; I 24,1; VIII 7; X
34,1), Thrakes/Samothrakes (el. V 8,9-13), Druidai in (presso) i Keltoi (el. I prooem. 6;
I 2,17; I 25,1; X 34,1), Persai (el. IV 41,3; V 21,10); Phryges (el. V 7,20sq.), Lybies (el.
V 6,5.8; X 31,3; X 34,1). Altri œqnh (o fula… democratizzate) ricordati in Celso sono:
Galaktophagoi (Cels. I 16), Getai (Cels. III 31), Kilikes (Cels. III 31), Arcades (Cels. IV
36), Aithiopes (Cels. V 34), Seres (Cels. VII 62).
Dell’area comune ‘Celso-Clemente’ sono in Syn. (Syn. Diam. I): Chaldaioi e Assyrioi (Syn.
161sq.190 [no. 6]); Indoi/Gymnosophystai (Syn. 176 [no. 15].186.190 [no. 9.16]); Persai
(Syn. 164.190); Thrakes (Syn. 63.80 [no. 21]), Keltoi/Galatai/Gallioi (Syn. 58.80 [no.
35]), Skythai (Skythes; Syn. 80 [no. 19].183 [no. 22]); Phryges (Syn. 114 [no. 16].132 [no.
16; vedi app. crit. ad loc.].135); Aithiopes (Syn. 94.104.132 [no. 1]); Arabes (I/II; Syn.
178.190 [no. 14sq.]); Kolchoi (Syn. 84 [no. 8], Kolchis); Libyes-Nomades (Syn. 113.132
[no. 19]). In Celso e Syn. Diam. I: Kilikes (Cels. III 31; Syn. 117.132 [no. 26]), Saitai
(Cels. IV 34; Syn. 75). In Clemente e Syn. (Syn. Diam. I): Kares (Clem., str. I 16,74,3;
Syn. 132 [no. 12]); Tyrrhenoi (Clem., str. I 16,74,4; I 16,75,7; Syn. 80 [no. 34].84 [no.
24]: Qouskhn»); Germanoi (Clem., str. I 15,72,3; Syn. 190 [no. 11]); Phoinikes-Sidonioi
(Clem., str. I 16,75,1.8; Syn. 97.132 [no. 9].76), Illyroi (Clem., str. I 16,75,6; Syn. 62,
'Ilurio…; 80 [no. 41].84 [no. 30], 'Illur…j), Kappadokes (Clem., str. I 16,75,9; Syn. 57.80
[no. 10]), Troglodytai (Clem., str. I 16,75,4; Syn. 96.132 [no. 2]), Baktrianoi (Clem.,
str. I 15,71,4, Samanoi di Bactria; Syn. 177 [no. 16].194 [no. 2], Baktrian»); Mysoi
(Clem., str. I 16,75,3, Olimpo di Misia; Syn. 132 [no. 14].150 [no. 16]). I Latinoi di el.
X 34,1 sono riconducibili, oltre che a Syn. 80 [no. 33], soprattutto alla sfera culturale
sottolineata da Syn. 81sq., così come i Phoinikes-Sidonioi di el. IV 48,9 presuppongono
la problematica implicata da Clem., str. I 16,75,7sq.
Per l’abbreviazione vedi nota 1.
Vedi ad es. i Dru…dai Galatîn di Celso (Cels. I 16), dei quali parla anche l’autore dell’Elenchos come Dru…dai oƒ ™n Kelto‹j (el. I prooem. 6; I 25,1-6) – ossia, definendoli,
rispetto ai Galatai celsiani di eco letteraria, secondo l’etnia più comune (= occidentale)
ed implicandoli così nel complessivo Keltoi di el. X 34,1. È interessante che in Syn. (Syn.
Diam I) 58 Galatai e Keltoi figurino insieme come discendenti del iafetita Magog, dando
l’impressione che l’autore li abbia considerate realtà etniche affini o sovrapponibili; i
primi, però, rimangono nell’attuale solo a livello di cèra eponima (Syn. 84 [no. 7]), i
secondi nella nuova veste di G£llioi <oƒ kaˆ> Kelto… (Syn. 80 [no. 35].84 [no. 38], Kelt…j),
cioè secondo la dizione ‘occidentale’ ormai consueta. In Syn. Diam. I, insomma, c’è la
percezione di una nomenclatura etnica (riguardante i Druidai) di tipo vario, che viene
incapsulata nella tavola dei popoli ed organizzata come divenire etnografico dal ‘long
ago’ (con i relativi progenitori) sino allo ‘hic et nunc’. Una casistica interlocutoria di
questo tipo è intravedibile a partire dagli Indoì, che Celso cita tra i popoli ‘più antichi’
e ‘pieni di spirito divino’ (Cels. VI 80). Difficilmente essi potevano significare, per lui,
qualcosa di diverso da quelle enclaves brahmaniche ormai solidificatesi quale esempio per
eccellenza di ‘Kulturvolk’ (A. Dihle, The Conception of India in Hellenistic and Roman
Literature, PCPS 190/10, 1964, 15-23; J. Filliozat, La valeur des connaissances grécoromaines sur l’Inde, JS année 1981, 97-135); in accordo, l’autore dell’Elenchos le cita ed
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Syn. Diam. I, la segnalazione – per ciascuna delle tre branche genealogiche
noachite – degli œqnh ‘conoscitori delle lettere’ (Synagoge 82.135.192) evoca
il tema dell’invenzione e trasmissione della scrittura che è associato, in
Clemente, all’elenco dei popoli ‘barbari’ e all’esaltazione delle loro capacità
inventive. Trattandosi di materiale connesso, sin dal giudaismo ellenistico,
al dibattito sull’origine della cultura ed il suo diffondersi a catena da un
centro a periferie successive, la sua natura (al di là della funzione prestatagli dall’attuale locazione) è decisamente ‘apologetica’70 e può essere
interessante notare che quasi tutti gli œqnh dell’Elenchos coincidono con
quelli indicati nella Synagoge come ‘popoli letterati’71; e) ancora in Syn.
Diam. I, presenze ambigue come le Amazzoni (tra i iafetiti attuali, con
tanto di cèra loro intitolata) ed i Gimnosofisti (tra i semiti della prima
ora e dell’attuale) e decisamente strane come gli sconosciuti Ortosiasti
suggeriscono un intento di completezza che passa attraverso etnie mitiche ormai diventate identità e simboli condivisi (Amazzoni), categorie di
tale esemplarità da poter costituire di per sé un ‘Kulturvolk’ collocabile
e posizionabile (Gimnosofisti) e nuclei cittadini fabbricati per i tramiti
del patriottismo locale come dÁmoi o œqnoj vero e proprio (Ortosiasti)72.
70
71
72
illustra come bracm©nej oƒ ™n (par¦) 'Indo‹j (el. I proem. 6; I 24), onde sono da ritenersi
presupposte nel collettivo Indoi di el. X 34,1. È significativo che Indoi e Gymnosophistai
(cultura democratizzata dal rapporto non sempre chiaro e coerente con i Brachmanes:
vedi Clem., str. I 15,71,4; III 7,60,1-4; Ptol., Geog. VII 1,51, Gymnosophistai; VII 1,74,
Brachmanai) figurino separatamente in Syn. Diam. I sia tra i semiti della prima ora (quali
discendenti di due figli di Iektan) sia tra quelli dello ‘hic et nunc’ (Syn. 176.186.190 [no.
9.16]). L’impressione è che in questa sede si volesse distinguere e specificizzare l’enclave
rispetto agli Indoi in virtù del suo ben noto ruolo di ‘cultura barbara’ esemplare.
Clem., str. I 15,73,1 (lettere efesie e Daktyloi Idaioi) e I 16,75,1 (Cadmo, i Fenici e l’alfabeto). Per la connessione tra invenzione delle lettere e dibattito su origine e diffusione
della cultura, esemplare è Eupolemo in Clem., str. I 23,153,4 (95,20-96,3 S./F.); Chron.
Pasch. (117,11-14 D.); A.J. Droge, Homer or Moses? Early Christian Interpretations of
the History of Culture, HUTh 26, Tübingen 1989, 13-19); un repertorio di œqnh ed eroi
inventori e/o esportatori di gr£mmata è in Plin., nat. VII 192sq.; Hyg., fab. 277 (Hygini
fabulae, 152,23-153,6 Schmidt). Per la presenza degli Iberes tra i popoli letterati (Syn.
82 [no. 1]), vedi gli Iberes Turdetanoi citati in Str., Geographica III 1,6.
Tra i iafetiti ‘letterati’ di Syn. 82 (Iberes, Latinoi, Spanoi [sic!], Hellenes, Medoi, Armenoi), Hellenes e Latinoi sono ricordati come œqnh esemplari in el. X 31; 34,1; tra i
camiti di Syn. 135 (Phoinikes, Aigyptioi, Pamphyloi e Phryges), tutti salvo i Pamphyloi
ricorrono nell’Elenchos (vedi note 66sq.); tra i semiti di Syn. 192 (Hebraioi/Ioudaioi,
Persai, Medoi, Chaldaioi, Indoi, Assyrioi), Chaldaioi, Assyrioi ed Indoi figurano tra i
popoli cosiddetti ‘filosofi’ di el. X 30sq.34,1, gli `Ebra‹oi vengono esaltati come eponimi
di Heber e discendenti dei qeofile‹j pre- e postdiluviani (el. X 30,4-7; 31,4) ed i Persai
sono menzionati, nei loro santoni, per le loro pretese di essere nel vero assoluto (el. IV
43,3).
Syn. 80 (no. 6).84 (no. 3) per le Amazzoni; Syn. 186.190 (no. 16) per i Gimnosofisti; Syn.
125 per gli Ortosiasti. Le Amazzoni erano ormai, nell’immaginario collettivo, il simbolo
di un ‘bellicoso’ e di una liminalità recuperati o recuperabili al ‘civile’, come dimostrano
le leggende cittadine che le volevano fondatrici di molte città dell’Asia Minore facendone
parte integrante della loro memoria storica (vedi Andrei, Claudius Charax [vedi nota 12],
89-91; P. Devambez, art. Amazones, LIMC 1/1, Zürich/München 1981, 635sq.; 649sq.
per la relativa iconografia ed i suoi precedenti) ed il modello da esse fornito alla perso-
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248
Osvalda Andrei
L’impressione è quella di una dinamica ‘Celso – Elenchos (con precedente
bibliografia) – Synagoge’, che non è solo diretta (come dimostrano il caso
di Clemente e lo svolgimento del tema etnografico nel contemporaneo
Bardesane)73 né va ritenuta una traiettoria storicamente scarnificata. Infatti l’interesse per gli œqnh sembra un orizzonte condiviso perché punto di
riferimento di sistemi valoriali ed ambito di confronto e strutturazione di
identità varie. Nella ‘ricerca’ sui popoli e nel loro dispiego (sia in chiave di
rappresentanze più o meno eccellenti che nel senso del ‘tutto’) si gioca una
partita di totalità e completezza funzionale al ‘pagano’ come al ‘cristiano’,
ma diversamente orientata e gestita. In Celso (espressione di una raffinata
ideologia antonina dell’Impero e della sua organizzazione come ecumene
civilizzata), questa ricerca ed i suoi materiali servono per esplicitare – nel
quadro del sistema classificatorio ‘greci – barbari’ in cui l’ordine imperiale
viene risolto e compreso – quel polo ‘barbaro’ che deve essere valutato
nel senso della composizione con l’ellenismo/romanità e non dell’opposizione ad essi (onde una polifonia etnica non greca, che può anche essere
più antica degli Elleni, ma che vale ad ogni modo quale praeparatio alle
vere e proprie conquiste culturali assicurate dalla ‘grecità’)74; nei cristiani
(al di là del confronto diretto con Celso, ma sempre nel quadro di un
costruirsi identitario), materia e materiali etnografici servono invece per
relativizzare la grecità come presenza effettiva in un universo di œqnh che
si dimostra affollatissimo e, di conseguenza, come primato culturale75 e/o
73
74
75
nificazione di province o popoli da presentare e propagandare come vinti o toccati dalla
forza civilizzante dell’Impero (R.R. Smith, The Imperial Reliefs from the Sebasteion at
Aphrodisias, JRS 77, 1987, 88-138); il fatto che questo œqnoj fosse considerato da Taziano
(Tat., orat. 32,2) una ridicolezza ‘ellenica’ ne rende ancor più particolare il collocamento
nella biblica ‘tavola dei popoli’ di Syn. Diam. I, anche nella forma di una cèra 'Amazon…j
che da loro sarebbe stata ‘fondata’. Per i Gimnosofisti, vedi nota 69. Quanto agli Ortosiasti (che Syn. [Syn. Diam. I] 125 fa derivare da Asennaios, settimo figlio di Chanaan),
essi sottendono forse una relazione con la città fenicia Orthosias (nome greco derivatole
da Arthemis Orthosia, versione ellenizzata di una Astarte locale; E. Honigmann, art.
Orthosia ('Orqws…a) 3, PRE 1.Reihe 18/1, Stuttgart 1942, 1494sq.); sfuggono, però, i
tramiti per cui essa sia potuta entrare a far parte, una volta democratizzata, dei popoli
biblici alle origini del movimento etnografico.
Per Clemente, vedi note 66sq. Quanto a Bardesane, il suo Liber Legum et Regionum
contiene una serie di œqnh intesi a dimostrare, nella varietà delle loro leggi ed usanze, la
potenza del libero arbitrio concesso da Dio all’uomo e, perciò, l’origine comune (biblicamente parlando) del genere umano (leggo il testo nella traduzione di H.J.W. Drijvers,
The Book of the Laws of Countries. Dialogue on Fate of Bardaisan of Edessa, STT 3,
Assen 1965). Nell’ordine, sono citati Romani, Greci, Geli, Bactri, Racamei, Edesseni,
Arabi, Germani, Galli, Britoni (sic!), Parti, Amazzoni, Taiti, Saraceni, Mauritani, Numidi,
Alani, Albani, Medi, Indi, Giudei: nomi classicamente noti (ricorrenti in Celso e descritti
secondo consuetudini più o meno standardizzate) accanto ad altri meno ‘classici’ (Taiti,
Saraceni, Edesseni, Racamei) perché legati al contemporaneo dell’autore.
Vedi l’espressione toÝj […] “ Ellhn£j te kaˆ barb£rouj ¥cri per£twn in Cels. VIII 72,
da non considerarsi solo un modo di dire, ma – alla luce di un’occorrenza analoga in
Cels. IV 11 (intesa a dare il senso della totalità del sapere normativo) – soprattutto una
dichiarazione di vera e propria ‘Weltanschauung’ politica e culturale.
Vedi Clemente (cf. nota 76).
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Spazio geografico, etnografia ed evangelizzazione nella Synagoge di Ippolito
249
per sottolineare nella molteplicità etnica un brodo di coltura favorevole al
diffondersi del nomen christianum76. Onde, in quanto mezzo di confronto
di visioni del mondo differenziate, la ricerca etnografica porta a disvelare
un’ecumene non necessariamente coincidente con quella imperiale, dove
il combinarsi della geoetnografia ‘scientifica’ con l’apporto di ambiti più
ristretti sia intellettualmente che sotto il profilo dell’audience (come i
cataloghi di eØr»mata ed i Peripli) può dar luogo ad una commistione
di entità anche disomogenee, contraddittorie e paradossali, ma valide a
fare ‘completezza’ e ‘totalità’77. Le pretese cristiane di rappresentare, in
quanto verus Israel, il clou della sapienza barbara più antica ed ispirata
(gli Hebraei) sono certamente inscindibili da questo contesto intellettuale
e dal suo sistema di valori78 e l’interpretazione di Gen 10 in vista di quella
molteplicità di etnie e culture ‘democratizzate’ propria della logica pluridentitaria del II-III secolo d.C. poteva certamente costituire una risposta
alle sollecitazioni di esso. Ma chi, da cristiano, avesse scelto di ricorrervi
76
77
78
Clem., str. I 15,68,2 e I 15,71,3 per i preamboli di esaltazione della ‘filosofia barbara’
come antecedente necessario delle dottrine greche (premessa alla teoria del furto culturale
o plagio svolta dall’autore, con ampio ventaglio di argomenti, in Clem., str. V 14,89,1141,3), che precedono le vere e proprie liste di œqnh, santoni e dÁmoi non greci; in tal
senso, l’elenco di Tat., orat. 1,1-2 in seno al tema dell’origine barbara di tutto quanto è in
uso tra i Greci (Telmessoi, Kares, Phryges, Isauroi, Kyprioi, Babylonioi, Persai, Aigyptioi,
Phoinikes, Touskanoi, presso che tutti ricorrenti in Clemente) può esserne considerato la
base di sviluppo ed espansione. Più specificatamente, Bardesane associa il motivo dell’eterogeneità degli œqnh a quello del ‘nuovo popolo cristiano’ formatosi ovunque al di sopra
delle diverse usanze ed in virtù di quella stessa libertà di scelta che è stata all’origine del
loro moltiplicarsi storico (cf. Drijvers, Book [vedi nota 73], 59-61). Per queste tematiche
intese a relativizzare il greco (e, come suo sviluppo ed espansione, il romano), vedi G.G.
Stroumsa, Philosophy of the Barbarians. On Early Christian Ethnological Representations,
in: H. Cancik/H. Lichtenberger/P. Schäfer (edd.), Geschichte – Tradition – Reflexion,
Festschrift für M. Hengel zum 70. Geburtstag, vol. 2. Griechische und römische Religion,
Tübingen 1996, 339-368.
C. Nicolet, L’inventario del mondo. Geografia e politica alle origini dell’Impero romano,
Bari 1989 (traduzione italiana di idem, L’inventaire du monde. Géographie et politique aux origines de l’Empire romain, Nouvelles études historiques, Paris 1988) sulla
geografia quale rappresentazione della realtà, spaziale ed etnica, dell’impero Romano
(capitoli 1sq. soprattutto); C. Parisi Presicce, Le rappresentazioni allegoriche di popoli e
province nell’arte romana, in: M. Sapelli (ed.), Provinciae Fideles. Il fregio del tempio di
Adriano in Campo Marzio, Milano 1999, 83-105 per la visione dell’Impero-orbis terrarum come ufficialmente propagandata mediante personificazione di province e/o œqnh
appositamente selezionati per esaltarne estensione ed ordine intrinseco. Per il contributo
di peripli, romanzi e cataloghi di eØr»mata al disvelamento di entità etniche diverse da
quelle delle scritture e rappresentazioni ufficiali (carte, registri fiscali e catastali) ed alla
fabbricazione di mappae mundi differenziate e più ricche rispetto alle tradizionali, vedi
L. Cracco Ruggini, Leggende e realtà degli Etiopi nella cultura tardo imperiale, in: E.
Cerulli (ed.), [scil. Atti del] IV Congresso Internazionale di Studi Etiopici (Roma, 10-15
Aprile 1972), Problemi attuali di scienza e di cultura 191, vol. 1. Sezione storica, Roma
1974, 141-193 (142sq. per i peripli, passim per il romanzo); per un trattamento esauriente
del tema delle ‘invenzioni’ e delle relative liste di ‘scopritori’ (personaggi e dÁmoi) illustri,
vedi K. Thraede, art. Erfinder II., RAC 5, Stuttgart 1962, 1191-1278.
O. Andrei, Cronografia giudaica, cronografia cristiana. Un itinerario di lettura, Henoch
22, 2000, (63-85) 76-78.
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250
Osvalda Andrei
vi avrebbe agganciato un’ulteriore prospettiva: la risoluzione della ‘totalità‘
universalizzante di cui la polifonia etnica si voleva espressione in unità
d’origine del genere umano (donde la possibilità di avvicinare il movimento
etnografico come parte di quella storia della salvezza che, per i cristiani,
era il corso storico).
A cogliere i potenziali di tale lettura (nel quadro di un personale esercizio letterario che si intuisce diramato nei temi e nella destinazione)
e farne un’opportunità (di raggiungere, tramite replica al Discorso di
verità di Celso quale mezzo di comunicazione pubblica, uditori ampi ed
intellettualmente elevati) sembra sia stato proprio l’autore dell’Elenchos,
che in tal modo crea – tra il 180 e il 222 d.C. – un precedente sia in
sé che all’Elenchos (il progetto antieretico che, riducendo ogni diversità
cristiana in filiazione del recenziore, ne rappresenta ideologicamente il
seguito)79. Altrettanto credibile pare, allora, che l’autore della Synagoge
abbia conosciuto prima del 235 d.C., in parte o tutto, il contributo del
suo contemporaneo e ritenuto di doverne approfittare per il proprio progetto di una ‘riscrittura’ dello spazio geo- ed etnografico funzionalmente
complementare a quella del tempo universale. Pertanto è dal punto di vista
dell’acquisizione di saperi altrui che si può considerare la ben nota terna
‘15 – 32 – 25’ delle filiazioni noachite in Synagoge 44-197 (nell’opinione
comune, sinonimo di una stessa paternità letteraria), che, una volta fatta
propria, la Synagoge contribuirà, per sua parte, a diffondere80. Onde vanno specificatamente lette come spia dell’incameramento di DEl. o di suo
materiale nel progetto della Synagoge anche altre analogie, non casuali, di
ambito e visione intellettuale con l’Elenchos. L’organizzazione della parte
etnografica (Synagoge 56-197) secondo una successione dei noachiti diversa
da quella ‘Sem – Cam – Iafet’ (Gen 10,1) adottata per l’evento ‘ripartizione
della terra’ (Synagoge 44-49) riecheggia il modello ‘Iafet – Cam – Sem’
presupposto dalla classificazione ‘Elleni – Egizi – Caldei’ di Elenchos X
31,6, suggerendo così che nella bibliografia a monte fossero osservate e, in
qualche modo, rese operative ambedue le sequenze di Gen 1081. Inoltre, lo
schema ‘popoli discesi da …’ / ‘regioni abitate da …’ seguito per ciascun
noachita riflette quella logica del ‘fondare per nome’ mediante occupazione ed insediamento stabili che, come principio generale, si esprime in
Elenchos secondo la terminologia del katoike‹n (vedi l’uso del termine in
Synagoge 130.188.195), mentre la diversa situazione, anche numerica, tra
‘discendenti da …’ e popoli attualmente rappresentati presuppone quella
79
80
81
Le due date del 180 e 222 d.C. (probabile pubblicazione del Discorso della verità e morte
di Callisto; vedi note 37.57) fungono rispettivamente da termini post quem ed ante quem
della produzione (come serie di contributi o contributo unico) anticelsiana ed apologetica
dell’autore dell’Elenchos.
Vedi sopra, pagine 239 e 241.
La sequenza ‘Sem – Cam – Iafet’ di Gen 5,32 e 10,1 è riprodotta in el. X 31,2 e presupposta in el. 31,4.
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Spazio geografico, etnografia ed evangelizzazione nella Synagoge di Ippolito
251
relazione tra l’attuale ed un long ago biblico fondante, fatta di perdite, mutazioni onomastiche e supersessioni, che è tipica dell’autore dell’Elenchos e
della sua visione etnografica82. Infine, Syn. Diam. I è pervaso da un’enfasi
82
Questi i numeri di Syn. (Syn. Diam. I = DEl.) 56-197: 15 (discendenti da) / 47 (rappresentanti attuali di) / 41 (cîrai occupate e/o denominate da) / 11 (‘isole’ asservite a)
per Iafet; 30-32 discendenti da (30 in H1 [per le abbreviazioni H1 e H2 vedi Bauer/Helm
(edd.), Hippolytus, Chronik (vedi nota 3), ix-xix], che possono però diventare 32 – come
richiesto dal totale di 72 œqnh [vedi nota 53] – includendo H2 Syn. 115a [Lykioi, in accordo
a Syn. 132,20] e 118 [Cana£n ~ Filistia‹oi] o 120a [kaˆ tÕn 'Iebousa‹on] in accordo a
Gen 10,16, con una preferenza per Syn. 118, alla luce della rilettura ippolitea dei discendenti di Canaan che mi pare intravedibile in Syn. 200 [no. 20-27]) / 32 (rappresentanti
attuali) / 12 (cîrai) / 25 (‘isole’) per Cam; 25 (discendenti da) / 16 (rappresentanti
attuali; numero che deve però fare i conti con l’inclusione, tra i loro œqnh letterati, dei
Chaldaioi, ricordati come distinti dagli Assyroi tra i discendenti diretti in Syn. 161sq.)
/ 17 (cîrai) per Sem. Va notata la crescita di Iafet dal long ago all’attuale (da 15 a 47
œqnh) rispetto alla stabilità camita ed alla riduzione semita (da 25 a 16); inoltre lo schema della territorialità insulare (fondata sull’interpretazione di nÁsoi tîn ™qnîn di Gen
10,5.32; per il concetto di ‘isole delle nazioni’ e la visione geografica da esso implicata già
a livello del testo masoretico, vedi W. Horowitz, Genesis X and Babylonian Geography,
in: J.A. Emerton [ed.], Studies in the Pentateuch, VT.S 41, Leiden 1990, 35-43) prevede
isole ‘comuni’ anche a più fula… ed il caso di asservimento di Cam a Iafet è frequente
(vedi le 25 isole camite asservite anche a Iafet di Syn. 152-155). L’idea è quella (basata
probabilmente su una particolare lettura di Gen 10,21 LXX di cui sono riconoscibili le
tracce; vedi sopra, 225) del progressivo ampliamento, territoriale ed etnico, di Iafet in
accordo alla benedizione noachita di Gen 9,27 in cui l’autore inscrive il set di conoscenze
geoetnografiche a sua disposizione. Quanto poi al rapporto tra cifre e testo di Gen 10
LXX che sta alla base di DEl., i 15 iafetiti della prima ora non comprendono il quinto
figlio di Iafet, Elisa (Gen 10,2) – ossia il nome che, insieme al secondo Kainan, fa la
vera e propria differenza con il testo masoretico (dove è previsto solo lo Elisha figlio di
Javan di Gen 10,4) – ma questa mancanza è compensata da uno sconosciuto Catain a
cui vengono ricondotti i fondamentali (anche per la Synagoge e la sua visione del mondo)
Makedones (Syn. 64 e, per la cèra loro intitolata, 84 [no. 18]); i `RÒdioi di Gen 10,4 sono
assenti (ma se ne veda la discendenza da Erisphan affermata in Syn. 67) e la cifra di 15 è
raggiunta con i Kyprioi fatti derivare in Syn. 73 dai Kitie‹j (forse per la presenza, nel testo
base, di una variante KÚprioi attestata nei mss. di Gen 10,4, che permetteva all’autore
di valorizzare i Kyprioi secondo l’immagine di œqnoj ‘inventore’ loro attribuita in quei
cataloghi di eØr»mata così importanti per la costruzione ed espansione dell’etnografia
cristiana; vedi ad es. Plin., nat. VII 195.208 [BSGRT, 68,15; 74,11 Mayhoff]; Tat., orat.
1,1 [7,6 M.]). Relativamente a Gen 10,6-20, al di là delle varianti grafiche più che mai
attive in questa parte, il dato significativo di DEl. è la distinzione eponima tra il Cana£n
di Gen 10,6 e quello di Gen 10,15 – distinzione che non è scritturistica e che l’autore
stabilisce (o trova stabilita) graficamente sì da fare del primo (Can£n) il capostipite di
Aphroi e Phoinikes e del secondo (Cana£n) l’eponimo di Canaan ed il padre delle fula…
canaanaiche (Syn. 97.118-129); inoltre, l’omissione, se ci fosse, di kaˆ tÕn „ebousa‹on di
Gen 10,16 parrebbe compensata da kaˆ tÕn Fereza‹on (Syn. 128). Per quanto riguarda,
infine, il blocco dei semiti (Gen 10,21-31), dai figli di Sem di Gen 10,22 sparisce Cainan,
sostituito da un Phoud eretto a capostipite dei Persai (Syn. 164), importantissimi a livello
di ‘popoli letterati’, cèra e successione degli imperi (Syn. 192.194.701-716), mentre S£la
figlio del secondo Cainan diventa Salaqi»l per permettere l’eponimia con i Salathiaioi
([sic!]; Syn. 171); i figli di Iektan – massacrati nei nomi qui come nella relativa tradizione
testuale – sono 11 e non 12 (come in Gen 10,26-29) per la mancanza di Odorra, mentre
l’assenza dell’ultimo nome Iobab è compensata in Syn. 183 da un Gebal che in taluni
mss. di Gen 10,28 precede con varia grafia Abimeel; l’inclusione di Peleg come capostipite
della linea abramitica (un tema di cui conosciamo da el. X 30 l’importanza nell’ambito
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su ‘Kulturvölker’ e dÁmoi etnici e da un humus antiquario non diversi da
quanto doveva caratterizzare DEl. in accordo agli scopi programmatici ed
alla formazione intellettualistica dell’autore83.
Ora, nell’ambito della tesi disunitiva tradizionale, queste ed altre consonanze con l’Elenchos implicano tout court che anche tutto il resto della
sezione geoetnografica e quella periplica – cioè Synagoge 199-234.235239.240-613 – appartengano allo stesso autore dei precedenti §§ 44-52 e
56-198 (= l’autore dell’Elenchos). Ma non è così semplice e sarebbe anzi
semplicistico il pensarlo, dato che il movimento etnografico è diversamente prospettato nelle due parti. La prima – riguardando una divisione
della terra in aree noachite da popolare per cîrai e nÁsoi da fula…
ed œqnh perduranti nello hic et nunc – risponde alla visione ‘stanziale’
(il katoike‹n) ed agli intendimenti apologetici (ogni popolo della terra,
qualunque siano i suoi resti e le sue risultanti attuali, è un derivato noachita, cioè un ‘parto’ del ‘dopo diluvio’) rintracciabili in Elenchos. Ma
la parte seguente (Synagoge 199-239) – dove il diamerismÒj cambia tiro e
si profila come una ‘dispersione’ colta dai suoi inizi alle sue diramazioni successive (¢poik…ai) in un’ecumene che esce non solo popolata, ma
riletta e ridistribuita (vedi i kl…mata) da questo continuum dispersivo e
che si vuole riassumere secondo monti e fiumi organizzati sul dato biblico (onde dare il senso di uno spazio universale divinamente orientato
83
dell’argomentare anticelsiano dell’autore in termini di identità ebraico-pelegita di Abramo
e della sua discendenza) in distinzione dal padre Eber (responsabile dell’eponimia con gli
`Ebra‹oi come un tutto) contribuisce al totale complessivo delle 25 filiazioni semite.
Oltre ad Amazzoni, Gimnosofisti ed Ortosiasti (vedi nota 72), va segnalata la presenza
di Thessaloi e Sikeloi come discendenti diretti di Iafet (Syn. 61, Thessaloi da Thobel; 70,
Sikeloi da Elissa) rimasti nell’attuale a livello di cèra (Syn. 84 [no. 21].88 [no. 1]): due
nomi non estranei, come un tutto o nei loro eroi culturali, ai cataloghi di popoli inventori
(Plin., nat. VII 202 [71,15 M.]; Clem., str. I 15,75,8). Presenze di odore antiquario (pur se
previste dalle geografie tradizionali) perché esemplarizzate sono i Troglodytai (discendenti
di Phoud ed attuale presenza camita; Syn. 96 [no. 3].132 [no. 2]) e i Thyrrenoi (Syn. 71
[no. 13].80 [no. 34]), ossia gli Etruschi, qui definiti in accordo alla terminologia che i
contemporanei definivano ‘greca’ (Ptol., Geog. III 1,4; ma vedi la Qouskhn» tra le cîrai
iafetite in Syn. 84 [no. 34]), ambedue popoli all’origine di ‘firsts’ culturali (Plin., nat.
VII 201 [71,11 M.]; Tat., orat. 1,2 [7,10 M.], Touskano…; Hyg., fab. 274 [150,26sq. S.];
Clem., str. I 16,74,4.7; I 16,75,4 per i Troglodytai). Specificatamente letteraria appare
poi la grafia SkÚqej (Syn. 80 [no. 19].183 [no. 22]), che risulta l’unica attestazione di una
variante fuori dal comune SkÚqai. L’inconsueto termine di sapore arcaizzante, così come
la doppia posizione dell’œqnoj nell’area iafetita e semita, sono coerenti con il tradizionale ruolo assegnato a questo gruppo come ‘Kulturvolk’ grazie a personaggi di spiccata
esemplarità (Cels. II 35; VI 39; VII 62; Clem., str. I 15,72,1; I 15,77,3; Plin., nat. VII
197sq.201 [69,7; 70,2; 71,5 M.]); è dunque comprensibile che l’autore dell’Elenchos lo
abbia previsto nella sua ‘tavola dei popoli’ anche secondo una terminologia congruente
con i significati di cultura liminale e vetusta del suo immaginario collettivo. Va sottolineato come la maggior parte dei nomi di DEl. risultino oggetto di tiro incrociato con
Plinio, Celso e Clemente, il che depone sia per il contributo dei cataloghi di eØr»mata ad
una descrizione dell’ecumene non necessariamente sovrapponibile a quella ufficiale (vedi
sopra, pagina 249) sia per il retroterra di saperi condivisi da cui parte, per differenziarsi,
la nascente etnografia cristiana.
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Spazio geografico, etnografia ed evangelizzazione nella Synagoge di Ippolito
253
e controllato) – ebbene, questa parte di taglio così peculiare suggerisce
un’altra mente ed un’altra mano: quelle dell’autore della Synagoge, ossia
di Ippolito. Stupirebbe molto, infatti, l’omissione dell’Ararat da una lista
dei monti illustri da parte di un autore come quello dell’Elenchos, che
afferma di averne appositamente scritto come approdo dell’arca e sede dei
suoi resti attuali (Elenchos X 30,7). Di contro, la presenza del Sinai nella
stessa lista indirizza specificatamente su Ippolito, nella cui esegesi questo
monte è sede di una delle molte manifestazioni del Verbo preincarnato,
quella che, nel mentre lo vide mediatore di Dio a Mosè, fece di Mosè il
mediatore di Lui stesso al popolo84. Nella medesima direzione porta anche
la presenza del Giordano nel comparto ‘fiumi illustri’ come quinto fiume
‘biblico’ e come oggetto di informazione geografica (Synagoge 237.239);
nell’ambito letterario dell’Ippolito esegeta, infatti, il Giordano è il posto
in cui il Logos si è reso visibile nella carne dopo una intensa attività nel
‘prima’ che avrebbe interessato – come teatro della sua azione ‘rivelatrice’
ed in relazione/preludio con il Giordano medesimo – altri spazi fluviali85.
La stessa notizia sulla sorgente unica (= paradisiaca) dei primi quattro
fiumi eccellenti ha senza dubbio una funzione fondante (= quel ruolo dei
fiumi biblici nell’organizzazione dell’ecumene secondo le tre aree noachite
affermata in DEl.); ma la sua dimensione biblica (come sottolineata dalla
presa di posizione su opinioni non inscrivibili nelle scritture) mi sembra
decisamente riconducibile sotto lo stesso ombrello del nucleo tipologico
‘Eden/Chiesa – fiume/Cristo – quattro fiumi (da esso emananti)/vangelo
quadriforme’ che Ippolito ricava esegeticamente proprio da Gen 2,10-1486.
Come autore della Synagoge, insomma, Ippolito combina in un insieme
finalizzato al proprio progetto cronografico l’interpretazione etnografica
di Gen 10 profilata innovativamente dall’autore dell’Elenchos nel senso
dello hic et nunc con quella di Gen 11 nei distinguo, nelle relazioni e nei
contenuti in cui egli percepiva questo capitolo rispetto alla ‘tavola dei popoli’. C’è da chiedersi, allora, se l’autore dell’Elenchos avesse previsto nel
84
85
86
Hipp., cant. Mos. (PO 27, 130-132 Brière/Mariès/Mercier).
Per il Giordano quale luogo apice dell’azione storica del Logos in quanto ambito del suo
passaggio dalla manifestazione in figura a quella nella carne, vedi Hipp., ben. Jac. 18 (PO
27, 80,12-82,3 Brière/Mariès/Mercier); antichr. 45; Dan. IV 36,3sq. (GCS Hippolytus
I/1, 280,15-282,2 Bonwetsch), dove il ‘grande fiume’ di Dn 10,4 – ossia l’Eufrate – viene
posto in rapporto dinamico ‘prima – poi’ con l’altro grande fiume teatro di azione salvifica, il Giordano.
Hipp., Dan. I 17,11 (29,11-16 B.). In questa esegesi, per sostenere l’idea dell’universalità
salvifica richiesta dal parallelismo ‘4 fiumi – 4 vangeli’ (con una fonte unica all’origine
delle varianti di ciascun polo di esso), si dice che i quattro fiumi ‘irrigano tutta quanta la
terra’, ossia viene loro conferita un’estensione geograficamente universale. Il che conferma
come Ippolito, già all’altezza del 204 d.C. o giù di lì, avesse opinioni certe sulla geografia
della bibbia e sapesse farle funzionare e valorizzarle a livello esegetico. Per altri luoghi
interpretativi indicatori di una percezione dello spazio in senso figurativo e salvifico, vedi
ad es. Dav. 6-7,2 (CSCO 264, 5,11-7,2 Garitte), con i due monti in Succoth di 1Reg
17,2-4 intesi quale simbolo dei due testamenti.
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Osvalda Andrei
suo contributo anche un’esegesi specifica di Gen 11. Poiché l’episodio della
torre di Babele era oggetto delle attenzioni, ovviamente non benevole, di
Celso, la cosa non è impossibile. Sarei, però, per pensare – date le consonanze intravedibili tra DEl. e la narrativa di Flavio Giuseppe – che l’autore
dell’Elenchos, alla pari di Giuseppe, vedesse in Gen 11 una faccia dello
stesso evento: il popolamento della terra secondo un differenziarsi in œqnh
e cîrai complementare ai molti ‘nomi’ prodottisi per l’¢lloglwss…a87.
Pertanto, della tanto usata relazione tra Elenchos e Synagoge pare doversi specificatamente parlare nel senso di un’interlocuzione tra differenti
ambiti d’autore, ossia di contributo dell’uno (con le opere esegetico-apologetiche precedenti l’Elenchos ed ivi presupposte) alla realizzazione del
comparto geo-etnografico previsto dal secondo (= Ippolito) nell’ambito
87
Al di là di diversificazioni evidenti, che ne suggeriscono un uso per lo meno non acritico, l’influenza di Flavio Giuseppe trapela – oltre che dal ricorso al tema del divenire
metonomastico e del peso dell’ellenizzazione (el. X 31,3; vedi sopra, pagina 241) come
articolatamente dimostrato, in Syn. DEl., con l’organizzazione tassonomica per gentes
(‘long ago’ e ‘hic et nunc’) e per regiones – dall’eponimia Chanaan-Chananaioi (implicata
in Syn. 118 ed affermata in el. X 31,3) e da talune derivazioni etnografiche costruite
su Gen 10,15-19 (cp. J., AJ I 138sq. con Syn. 124.126.129). Anche il collegamento
Phoud – Libyes di el. X 31,3 e quello, apparentemente contrastante, Phoud – Troglodytai
di Syn. 96 possono compatibilizzarsi alla luce di spunti iosefiani che l’autore piega ai
propri contesti. Nell’Elenchos, infatti, egli segue il nesso ‘Phoutes – Libya’ indicato da
J., AJ I 132 (che da qui parte per illustrare l’iter onomastico Puthia – Libya – Africa),
nesso con cui, non a caso, egli introduce al principio della mutazione linguistica (el. 30,3)
e che gli basta per la connessione Libyes – Libya (ossia tra œqnoj ed area continentale
‘camita’) delle successive classificazioni di el. 34,1; invece, nel precedente DEl. confluito
poi nella Synagoge, l’autore, a scopi di dimostrazione dettagliata, aveva fatto derivare
da Phoud i Troglodytai (popolo esemplarmente paradosso sin da Erodoto) e riservato i
Libyes a Labieim figlio di Mestraim (Syn. 113), in accordo a J., AJ I 133 e al nesso, ivi
stabilito ‘Libys (figlio di Mestraim) – Libya’ (nome che egli dice poi sostituito da quello
di Africa; J., AJ I 239). Tutto ciò fa pensare che Giuseppe e la sua scrittura della ‘tavola
dei popoli’ di Gen 10 potessero trovarsi tra i materiali dell’autore dell’Elenchos. Ora,
lo schema iosefiano del popolamento della terra dopo il diluvio (ordine di Dio – Babele
ed occupazione di terre ed isole in accordo alla polifonia linguistica – conseguente e
congruente tavola dei popoli) non osta al sunto di el. X 31,1-3, con la sua enfasi sulla
‘parola’ (_Áma) divina quale spinta obbligante al popolamento e la tripartizione etnica
kat¦ gšnoj che ne derivò (lo stato di differenziazione linguistica in cui si svolse pare
implicata dall’importanza che per l’autore riveste l’idea del conflitto storico delle fwna…
locali con il greco destinato gradualmente a marginalizzarle e vincerle). Invece, nell’originaria disquizione punto per punto rintracciabile nella Synagoge, la divisione della terra
tra i figli di Noè secondo aree continentali (eco lontana della tradizione dei Giubilei) può
esser servita a descrivere la pronta risposta noachita all’ordine di Dio, addomesticando e
superando in tal modo il racconto di J., AJ I 109-111 che, con il motivo della resistenza
dei sopravvissuti a disperdersi sulla terra secondo la parola divina, rischiava di andare
nella direzione celsiana di un Dio ebreo e cristiano incapace di farsi ubbidire (Cels.
IV 36; VI 53). Pertanto – contro Celso, che sembra aver visto in Gen 11 un ennesimo
esempio di ossessione giudaica per i giudizi di Dio sull’uomo (Cels. IV 20sq.) – l’autore
dell’Elenchos leggeva nello stesso passo un momento, tutto sommato positivo, del diffondersi dell’umanità sulla terra da un unico ceppo, ma in forme diversificate (che la nascita
dei dialetti presentasse, già nella tradizione greco-romana, aspetti che un difensore della
bibbia poteva trovare compatibili con Babele sino ad incrociarli ermeneuticamente con
essa è quanto sottolinea Droge, Homer or Moses? [vedi nota 70], 104-108).
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Spazio geografico, etnografia ed evangelizzazione nella Synagoge di Ippolito
255
del proprio progetto di ‘scrittura dei tempi’88. È ora importante indagare
il rapporto interlocutorio tra Syn. Diam. I (= DEl.) e Syn. Diam. II89 dal
punto di vista dei contenuti di quest’ultimo e del relativo piano di idee, a
cominciare di Synagoge 198-201.
Sembra chiaro, intanto, che Synagoge 198 segni il trapasso dal livello di
DEl. (sulle 72 filiazioni noachite come rintracciabili nell’attuale) a quello,
specificatamente ippoliteo (secondo quanto preannunciato in Synagoge 53),
dei 72 œqnh diversificatisi in altrettante lingue a seguito della purgopoi…a;
onde la citazione parziale di Gen 11,9 in Synagoge 199 e 201 serve – forse
anche su eco di Deut 32,7 riguardo al controllo di Dio sulla ‘distribuzione’
degli œqnh nei rispettivi ‘confini’ storici – a fondare sulle scritture la fase
del ‘dividersi secondo lingue’ come distinta dalla ‘ripartizione’ tra noachiti
e nelle rispettive discendenze.
Quanto ai 72 œqnh di Synagoge 200sq., essi, come insieme, hanno certamente senso compiuto in sè: ma – dato che alcune dizioni e sovrapposizioni
terminologiche sono incomprensibili senza DEl. e certe diversificazioni
di grafia si spiegano meglio alla luce di un cambio di mano piuttosto
che di un montaggio di fonti90 – questo insieme nasce sul presupposto di
88
89
90
Da questo punto di vista non fanno alcun problema talune incongruenze di tipo esegetico
con l’ambito dell’Ippolito cosiddetto ‘orientale’, che possono deporre per un’incompatibilità della Synagoge con esso, ossia per l’appartenenza dell’opera all’autore dell’Elenchos.
Si tratta, innanzitutto, della diversa disposizione della genealogia camita in Hipp., ben.
Jac. 20 (86,6-9 B./M./M.; Sidone come figlio primogenito di Cam) e in Syn. (Syn. DEl.)
93-97.119 (dove Sidone è nipote di Cam perché figlio primogenito di Chanaan in accordo
a Gen 9,22; 10,6.15); nel primo testo, Ippolito addomestica e ‘rilegge’ in funzione della
propria esegesi (lì intesa a valorizzare l’inclusione, grazie alla makroqum…a divina, del Cam
a suo tempo ‘maledetto’ tra gli œqnh attualmente credenti in Cristo come simboleggiati da
un Sidone visto nella tensione spaziale ricavatagli da Gen 49,15), mentre nella Synagoge
lo stesso interprete accoglie dalla sua fonte (DEl.) l’articolazione etnografica camita di
Gen 10,6.15 (basata su una distinta grafia Can£n e Cana£n in Syn. 97.119 non ignota
alla tradizione manoscritta di Gen 10,6 LXX; vedi nota 82). Un altro caso di discontinuità funzionale è rilevabile a partire da Hipp., Dan. IV 37,3 (284,1-4 B.) Qui Ippolito
legge il q£rsij di [Theodotion] Dn 10,6 come Q£rseij e vi vede un etnico denotante
gli A„q…opej: un’identificazione in contrasto con Syn. (Syn. DEl.) 71.94 (ove Qarse‹j ed
A„q…opej sono, rispettivamente, una filiazione iafetita ed un œqnoj camita), ma del tutto
funzionale al principio, oggetto di esegesi, che il Logos umanato sarebbe rimasto difficile a
riconoscersi per molti, ovvero ‘oscuro’ come il volto di un ‘etiope’. Trasferendo DEl. nella
sua Synagoge, Ippolito eredita l’organizzazione eponimico-etnografica della sua fonte,
ma rilegge e ricolloca – nel passaggio dal primo al secondo settore del diamerismÒj – il
Tharseis iafetita ‘padre’ di œqnh letterati in DEl. (Syn. 71.82) in una prospettiva camita
del tutto propria (vedi infra, pagina 259 e nota 99).
Per l’abbreviazione vedi nota 1.
Come in DEl., anche qui sono assenti Daci e Dacia ed i Britanni/Britannia assolvono alla
funzione di proverbiale limite della terra abitata (con passaggio dall’espressione Brettanoˆ
oƒ ™n n»soij o„koàntej di Syn. [Syn. DEl.] 80 [no. 47], che li identifica mediante la grafia
letteraria più comune e secondo una locazione insulare chiaramente suggerita dalle nÁsoi
iafetite di Gen 10,4, a quella iotacistica di Britano…, più vicina al nome geografico Britan…a;
vedi Ptol., Geog. I 15,6). Gli SkÚqai ed i Pis…dej di Syn. 200 (no. 35.42) presuppongono,
pur nella diversa grafia, gli SkÚqej e i Pisidhno… di DEl. (Syn. 80 [no. 19].132 [no. 24]),
come dimostrato dal fatto che l’arcaico SkÚqej di DEl. si riaffaccia in Syn. 232 (forse per
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256
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DEl., di cui rilegge e/o integra il materiale alla luce di tensioni proprie
(= ippolitee). Così i `Rwma‹oi kaˆ oƒ Lat‹noi kaˆ Kitia‹oi di Synagoge 200
(no. 58) suggeriscono una visione dei ‘Romani’ quale risultante storica
dei Latinoi e dei Kitiaei (questi nel senso, ampio, di ‘greci ad occidente’
implicato dal termine al di fuori di Gen 10) che suona diversa rispetto ai
Latinoi antenati di Roma e inventori dei relativi gr£mmata intravedibili
dietro la pur simile scrittura di DEl. (Synagoge 80 [no.33].82)91: sì da
potersi ritenere i ‘Romani’, nell’ottica di Ippolito, il polo di riconduzione
e risoluzione dei vari Kittim scritturari (forse su possibile influenza della
lettura `Rwma‹oi di Dn 11,30 LXX e nella prospettiva, probabile, della lista
romana di Synagoge 757-778 quale culmine della translatio imperii, con
l’Impero romano che cresce sulla precedente basile…a greco macedone)92.
91
92
l’insieme omogeneo che i due diamerismo… costituiscono ormai nella mente dell’autore e nel
suo set di conoscenze) e gli A„gÚptioi kaˆ Qhba‹oi (Syn. 200 [no. 17]) sembrano una lettura
interpretativa di œqnoj e cèra di DEl. (Syn. 132.142). Indicativo di un passaggio di mano
interlocutorio è il trattamento degli ” Ibhrej – Sp£noi. DEl. ha senza dubbio inteso con il
primo nome gli Hiberes ispanici (vedi la loro posizione in Syn. 80 [no. 38] e la presenza
di 'Ibhr…a e Span…a meg£lh tra le cîrai iafetite in Syn. 84 [no. 40sq.]), che fa discendere
dallo iafetita – iavanita Tharseis (Gen 10,4; Syn. 71 [no. 13]) insieme ai Tyrenoi, ossia a
quegli ‘Etruschi’ (vedi la Qouskhn» tra le cîrai iafetite; Syn. 80 [no. 34].84 [no. 34]) che
egli sapeva essere in buona posizione tra gli œqnh esempio di ‘sapienza straniera’ (Clem., str.
I 16,74,5; I 16,75,7). Ma in Syn. 200 (no. 33) il termine ” Ibhrej identifica invece (come ne
dimostra la vicinanza, qui e nel successivo Syn. 232, a nomi della stessa area nord orientale
e caucasica) una popolazione asiatica e l’œqnoj ispanico viene recuperato nella grafia Sp£noi
allora consueta e affiancato, in questa forma, ai Turrhno… (Syn. 200 [no. 63]; operazione
problematica senza, alle spalle, una situazione terminologica come quella di DEl., che
permettesse di sovrapporre gli Sp£noi alla prima parte dell’espressione ” Ibhrej <oƒ> kaˆ
Turhno…). Da qui questi Sp£noi ‘detti anche Tyrrhenaioi’ (sic!) approdano innanzitutto tra
gli œqnh promotori di ¢poik…ai (Syn. 219); è, però, anche probabile che la presenza degli
Sp£noi tra i popoli ‘letterati’ di Syn. (Syn. DEl.) 82 (no. 3), chiaramente superflua alla luce
di quella degli Hiberes ispanici, possa essere una glossa esterna (Bauer/Helm [edd.], Hippolytus, Chronik [vedi nota 3], 15, app. crit. ad loc.) oppure un’importazione dell’autore
della Synagoge dietro il distinguo da lui operato in Syn. 200 (no. 33.63). Per altri segnali
di un passaggio di mano che non esclude ma, anzi, presuppone DEl., vedi note 100.102.
Per DEl., come è chiaro da Syn. 73sq., i K…tioi di Gen 10,4 LXX sono i progenitori dei
Kyprioi (sulla scia di J., AJ I 128) e, in accordo a 1Mach 1,1; 8,5, anche degli ‘œqnh al
nord’ (cioè dei greco-Macedoni, non chiamati per nome perché già dotati di apposito
e particolare progenitore in Syn. 64 [no. 8]; vedi nota 82). La dizione Lat‹noi oƒ kaˆ
`Rwma‹oi di Syn. 80 (no. 33) e 82 è da preferirsi perché rinvia ai Lat‹noi strathgoàntej di el. X 34,1 (visti come naturale retroterra dei Romani, che di essi costituiscono
l’espansione culturale e politica); sono, invece, del parere che quella, inversa, `Rwma‹oi oƒ
kaˆ Lat‹noi di Syn. 72 (no. 14) sia un rimodellamento dell’autore della Synagoge (per il
quale i `Rwma‹oi erano l’interesse primario e, dunque, l’entità da visibilizzare direttamente)
sulla base della propria scrittura in Syn. 200 (no. 58). Una storia dell’interpretazione ed
identificazione etnica dei Kittim/Kitioi di Gen 10,4 (1Chron 1,7) sino ai ‘Romani’ dei
Pesharim qumranici è ora in H. Eshel, The Kittim in the War Scroll and in the Pesharim,
in: D. Goodblatt/A. Pinnick/D.R. Schwartz (edd.), Historical Perspectives. From the
Hasmoneans to Bar Kokhba in Light of the Dead Sea Scrolls. Proceedings of the Fourth
International Symposium of the Orion Center for the Study of the Dead Sea Scrolls and
Associated Literature, 27-31 Jan. 1999, Leiden, 29-44 (forthcoming).
Che ad Ippolito i Kitioi/Kitiaioi interessassero solo nella prospettiva dei (futuri) `Rwma‹oi
è chiaro da Syn. 215, dove l’equivalenza `Rwma‹oi – Kitie‹j appare diretta e senza mediazioni.
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Spazio geografico, etnografia ed evangelizzazione nella Synagoge di Ippolito
257
Inoltre gli ” Ellhnej che DEl. segnala insieme agli ” Iwnej come discendenti
di Iafet via Iouan e da soli tra i iafetiti perduranti nell’attuale (Synagoge
60.80 [no. 25]) diventano “ Ellhnej oƒ kaˆ Aca‹oi nei 72 della ‘dispersione’:
con un occhio evidentemente mirato, da parte di Ippolito, al versante
contemporaneo come rappresentato dalla provincia romana di Achaia
piuttosto che alla territorialità stanziale (= cîrai occupate da Elleni e
Ioni) a cui si ferma DEl.93. Ad un simile interesse per una proiezione nel
passato di entità del proprio contesto (e non soltanto per un riferimento
dell’ ‘ora’ ad un long ago fondante) sembra doversi la presenza di taluni
œqnh assenti, invece, in DEl. come gli Adiabenoi, i Dardanoi, i Sarakenoi,
i Taienoi, i Bessoi94: una caratteristica, questa, che – oltre ad intravvedersi
93
94
Ptol., Geog. III 15,1 sulla concomitanza Ellas – Achaia (provincia romana di). Il diamerismÒj
‘secondo lingue’ di Synagoge echeggia una situazione che il Panhellenion – la lega di città
greche o presunte tali promossa dall’imperatore Adriano nel 132 d.C. e potenziata, sotto
il profilo istituzionale ed organizzativo, dai successori (A.J. Spawforth/S. Walker, The
World of the Panhellenion, vol. 1. Athens and Eleusis, JRS 75, 1985, 78-104; eidem, The
World of the Panhellenion, vol. 2. Three Dorian Cities, JRS 76, 1986, 88-105) – aveva
contribuito a valorizzare, cumulando sulla sfera amministrativa quella grecità ideale
(esemplata dal binomio ‘Atene – Sparta’) che finiva per fare dall’attuale provincia romana
di Achaia il punto di riferimento dell’ellenismo culturale (J.H. Oliver, Panachaeans and
Panhellenes, Hesp. 47, 1978, 185-191). L’autore della Synagoge non dimentica, però, gli
Ellenes e Iones del long ago, nati, in accordo a DEl., dal biblico Iavan ed attestati, nello
‘hic et nunc’, dalle cîrai da loro denominate (Syn. 60 [no. 4].84 [no. 22-27].88 [no. 12]);
nel settore delle ¢poik…ai, infatti, gli Iones figurano tra le cinque filiazioni etnolinguistiche
degli Ellenes (Syn. 208). Ciò vuol dire che la comune derivazione ‘Ellenes – Iones’ di DEl.
veniva ‘riscritta’ da Ippolito nella direzione, per lui fondamentale, della ‘dispersione per
colonie’ e dell’ellenizzazione (vedi infra, pagine 260-266).
Syn. 200 (no. 8sq.11.51sq.). I Sarakenoi ed i Taienoi risultano citati insieme anche nel
repertorio etnico di Bardesane (Bardesane, Liber legum regionum [51 D.]; Tayites), il che
spiega l’omologazione indifferenziata di entrambi nella comune dizione Sarakhno… delle
fonti successive (Treidler, art. Taihno…, PRE 2.Reihe 4, Stuttgart 1932, 2025sq.). Quanto
ai veri e propri Sarakenoi (terminologicamente attestati per la prima volta, come œqnoj
e cèra, in Ptol., Geog. V 17,3; VI 7,21 – ossia proprio a ridosso del contesto storico di
cui la Synagoge è espressione – e definiti b£rbaroi in Dionysius Alexandrinus apud Eus.,
h.e. VI 42,4), essi rappresentano qui, rispetto agli Arabes I e II di DEl., un inserimento
(di un nuovo arrivato che si vuole collocare) mirante ad ampliare l’estensione del mondo
conosciuto con un ‘Naturvolk’ esempio di una liminalità non ancora recuperata al ‘romano’ (come poi sarà, in forma e a scopi militari, nel IV sec. d.C., con gli Equites Saraceni
Thamudeni; vedi F. Millar, The Roman Near East, 31 BC – AD 337, Cambridge 1993,
140sq.). Qui, insomma, i Sarakenoi sono gli Arabes attualmente nemici da combattere.
Invece i Dardanoi (forse introdotti da Ippolito sull’eco della scrittura Dwdane…m di taluni
mss. di 1Chron 1,7; ma vedi anche il Dardano eponimo, primo generato da Zeus di
Clem., str. I 21,103,3, che può aver fatto parte di un set di conoscenze ippolitee varie,
tutte confluite e solidificatesi su un nome evocativo) – qualora indichino il popolo illirico
già presente nell’esercito romano, in varia forma, tra I e II sec. d.C. (Patsch, art. Dardani,
PRE 1.Reihe 4, Stuttgart 1901, 2155-2157) – rappresenterebbero una liminalità ormai
coperta dal nomen Romanum (per l’immaginario ippoliteo a cui è riconducibile il concetto,
vedi infra, pagina 268). Lo stesso può dirsi dei Bessoi – la bellicosa tribù scelta, nei primi
decenni del I sec. d.C., a rappresentare nell’iconografia ufficiale i Thrakes prima come
regno cliente e poi, dal 46 d.C., come provincia dell’impero (vedi R.R. Smith, Simulacra
gentium. The Ethne from the Sebasteion at Aphrodisias, JRS 78, 1988, 55-59) – visti
qui, sull’onda della cohors Flavia Bessorum attiva sin dal II sec. d.C., quale esempio di
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in taluni nomi del settore delle ¢poik…ai – pare la dimensione di fondo in
cui tale settore è iscrivibile come un tutto95. Altri tratti peculiari dell’elenco
sono la ‘biblicizzazione’ e la ‘neotestamentarizzazione’, ossia l’inserimento
di nomi assenti in DEl. o la riqualificazione di altri già presenti in esso su
echi e base scritturarie, come: i Madienaioi ‘primi’ e ‘secondi’ (mancanti
in DEl., ma in primo piano qui e protagonisti di ¢poik…ai nel prosieguo:
Synagoge 207), che l’autore identifica – come specificherà poi (Synagoge
230) – con i due gruppi di Madian (l’uno pacifico e favorevole a Mosè,
l’altro ostile e da lui combattuto) in Ex 2,15-1796: la revisione di DEl.
in merito ai discendenti di Canaan, con una lettura distintiva dei veri
e propri Chananaioi da altri œqnh di Eretz quale suggerita da Ex 3,17;
13,15 e certamente mirata, come nel caso dei Madienaioi, a contestualizzare con precisione la narrativa biblica successiva97: i Magoi, inclusi
(rispetto a DEl.) su probabile rapporto con Mt 2,1-13, ossia come personificazione e retroproiezione etnica dei primi adoratori ‘esterni’ di Gesù
95
96
97
œqnoj romanizzato a fini bellici (E. De Ruggiero, art. Bessi/Bessorum cohors, Dizionario
Epigrafico di Antichità Romane 1, 1961 [= 1895], 1001sq.). Quanto poi agli Adiabenoi,
è allettante collegarne la presenza all’eco delle campagne adiabeniche di Settimio Severo
dell’ultimo decennio del II sec. d.C. ed alle suggestioni del titolo Adiabenicus da lui
introdotto nel 195 d.C. e poi utilizzato, dopo la morte del padre, anche da Caracalla
(von Rohden, art. Adiabenicus, PRE 1.Reihe 1, Stuttgart 1894, 360).
Infra, pagine 262 sq. Vale, però, la pena sottolineare sin da ora in Syn. 206 la presenza dei
Mesopotam‹tai (come ¢poik…a dei Chaldaioi), una dizione etnica la cui sola attestazione
prima di questo passo (Lucianus, Hist. Conscr. 24) conforta l’idea di una forte impronta
attualistica e contemporaneistica del secondo diamerismÒj. Infatti la Mesopotamia era stata
eretta a nuova provincia da Settimio Severo (D.C., Historiae Romanae LXXV 3,2sq.;
Millar, Roman Near East [vedi nota 94], 125sq.; A. Daguet-Gagey, Septime Sèvère.
Rome, l’Afrique et l’Orient, Biographie Payot, Paris 2000, 206sq.), divenendo in questa
veste, nei tardi anni ’20 del III sec. d.C., oggetto di contesa tra Roma e la nuova dinastia
sassanide (D.C., Historiae Romanae LXXX 3,1-3; D.S. Potter, Prophecy and History in
the Crisis of the Roman Empire. A Historical Commentary on the Thirteenth Sibilline
Oracle, Oxford Classical Monographs, Oxford 1990, 20).
Come œqnoj protagonista di ¢poik…zein, i Madienaioi vengono posti all’origine di quei
popoli di frontiera (Kinaidokolpitai, Troglodytai, Ichtiophagoi; Syn. 207) già menzionati
in DEl. (come Troglodytai e Ichtiophagoi; Syn. 96 [no. 3].132 [no. 6]) oppure assenti in
esso ma non nelle geografie ufficiali (come i Kinaidokolpitai; Ptol., Geog. VI 7,20.23).
In ambedue i casi l’intento di riarticolare il movimento etnografico nel senso della ‘disseminazione’ è evidente.
Infatti i nomi di Syn. 200 (no. 19-25) sono quelli di Ex 3,17 e 13,5; Deut 20,17 (con i
Chananaioi quale œqnoj distinto da altri residenti in Eretz e con la presenza, tra questi,
dei Iebousaioi [Gen 10,16] che Syn. [Syn. DEl.] 121-123 forse ometteva [vedi nota 82]).
Ippolito sembra aver sovrapposto su Gen 10,15-18 la lista dei popoli di Canaan fuori
dal Genesi e visibilizzato così, più che la paternità complessiva di Canaan, la sua sfera
eponimica (dei Chananaioi non tanto come un tutto, quanto come ful» specifica). Relativamente ai Madihna‹oi (grafia che si riattacca a Gen 37,28 LXX e Num 25,17 piuttosto
che ai Madiane‹tai di Num 10,29 LXX), che essi servano a preparare contestualmente
gli avvenimenti successivi è suggerito, oltre che dalla pervasiva presenza di Midian già
prima di Mosè e del suo incontro con il futuro suocero (vedi ad es. Gen 37,28), dalla
terminologia Madianei di Syn. 639 (H1 [GCS Hippolytus IV, 80,24-29 Helm/Bauer; cf.
ibid. Liber generationis I 255]), che riecheggia (rispetto al parallelo Syn. [Barbarus] 639),
la forma greca accolta e generalizzata in Syn. 200 (no. 7).
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Spazio geografico, etnografia ed evangelizzazione nella Synagoge di Ippolito
259
bambino98; l’identificazione tra Kilikes (discendenti dei camiti Caftoreim
e tra le presenze camite attuali per DEl.; Synagoge 117.132 [no. 26]) e
Tharseis (in DEl. i iafetiti progenitori degli Iberes-Thyrsenoi; Synagoge
71), in una sovrapposizione che pare poco comprensibile fuori della cilicia
Tarso, patria di Paolo, alla cui figura ed azione essa intende in qualche
modo rimandare99. All’essere oggetto futuro di missione paolina debbono
la loro menzione i Galatai (secondo DEl. discendenti, con i Keltoi, del
iafetita Magog, ma non più esistenti in quanto tali nell’attuale; Synagoge
58) come distinti dai Galloi (detti anche) Keltaioi (in DEl. gli eredi attuali
di quei Galatai il cui nome si era perso nel corso del tempo)100 e, forse,
Isauroi e Lykaones (assenti in DEl. e privi di sviluppi nel prosieguo ippoliteo, ma destinati anch’essi, nelle loro specificità linguistiche, a futuri e
provvidenziali incontri con Paolo)101. Altri œqnh, infine, quali gli Asianoi, gli
Aphroi (i primi assenti in DEl., i secondi presenti tra i camiti della prima
ora; Synagoge 97) e i Mauroi (forse presupposti dai camiti Maurousioi di
DEl.; Synagoge 132 [no. 27]) ricevono menzione o riqualificazione come
entità ‘ampie’, destinate per via coloniaria ad innesti e filiazioni etniche
successive (Synagoge 209.216.218).
98
99
100
101
Syn. 200 (no. 12). Già Clemente (Clem., str. I 15,71,4) aveva messo in relazione i magi
persiani (quali esponenti tra gli altri della ‘filosofia barbara’) con i personaggi della pericope
evangelica. Dal canto suo, l’autore della Synagoge distingue i Magoi da quei Persai entro
cui DEl. ed il suo ambito potevano forse implicarli (Syn. [Syn. DEl.] 164.190 [no. 2].192),
dato che Celso li citava ed esemplarizzava (in che relazione con i Persai, non sappiamo)
tra gli œqnh cosiddetti ‘ispirati da Dio’ (Cels. VI 80), enfatizzandone così una dimensione
e direzione tutte evangeliche. Poi, a rettifica/integrazione di DEl., dove i Persai figurano,
con Medoi e Parthoi, tra i semiti attuali (Syn. 190 [no. 2sq.10]), l’autore della Synagoge
posiziona Medi e Persiani tra le proprie 72 etnie linguistiche (Syn. 200 [no. 4sq.]), ma
specifica nei Parti una filiazione coloniale dei primi due (Syn. 204): si tratta di scrittura
che – prospettando i tre œqnh come tappe di una stessa linearità – ha un forte sentore di
attualismo (ossia, si legge bene sullo sfondo storico ed ideologico della svolta dinastica
sassanide del 225 d.C. in Partia, che si propose e comunicò come restitutio dell’impero
medo-persiano; D.C., Historiae Romanae LXXX 3sq.; Hdn., Historiae VI 2,1sq.).
Che tale possa essere il senso probabile della problematica sovrapposizione mi è suggerito
da Leo grammaticus, Chronographia 17,13-15 (parte del complessivo ibid., 12,23-17,15
che molto deve all’intera sezione diameristica della Synagoge), dove la dizione Qarse‹j
oƒ kaˆ K…likej (eco rovesciata di Syn. 200 [no. 30]) si accompagna alla notizia sulla derivazione eponima di Tarso, ‘la città più illustre della Cilicia’, da questi.
Act 16,6 (ma con la paolina lettera ai Galati, ormai intesi in senso ampio, quale privilegiato punto di osservazione e di retroproiezione dal ‘dopo Cristo’ al ‘long ago’). Si conclude così, con la risemantizzazione della cèra Galatia di DEl. (Syn. 84 [no. 7]) in œqnoj
protagonista della dispersione ‘secondo lingue’, l’interlocuzione dell’autore di Synagoge
sui Galatai/Keltoi della sua fonte ed il loro posto differenziato nel divenire etnografico
già evidente, anche in rapporto a Celso, sul piano terminologico (vedi nota 69). I Galloi
di Syn. 200 [no. 60] detti anche Keltaioi – su eco chiara, pur se terminologicamente variata, di Syn. (Syn. DEl.) 80 (no. 35) (G£llioi oƒ kaˆ Keltoˆ) – figurano tra i protagonisti
dell’¢poik…zein secondo province di Syn. 220 (in una traiettoria che ne spiega e giustifica
la compresenza, con i Galatai, tra le 72 etnie linguistiche della prima ora).
Act 14,6-11 (Lukaonist…). Anche gli Asianoi (Syn. 200 [no. 39]) possono essere letti
come una ‘paolinizzazione’ di questa carta etnica della ‘dispersione’, poiché il termine è
collegabile agli 'Asiano… che Act 20,4 dice toccati dal vangelo paolino.
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260
Osvalda Andrei
In sostanza, con l’elenco delle 72 etnie kat¦ glèssaj si fa testo l’idea
della divisione linguistica intervenuta, dopo il diluvio, dentro l’evento
‘ripartizione della terra/nascita dei popoli’ ed in sua distinzione. Nel suo
complesso rapporto di ‘incontro – integrazione – riqualificazione’ con DEl.
e nel suo bilanciarsi tra nomi esotici, capaci di dare il senso del long ago
temporale e della liminalità spaziale (Taienoi, Salamosenoi, Bosporanoi,
Kaspioi)102, ed altri in grado di parlare ad orecchi cristiani contemporanei
suggerendo un passato già proteso verso un presente specialissimo, questa
lista rappresenta quella seminagione iniziale, spruzzata su ogni parte dell’ecumene, che sarebbe poi divenuta, con il movimento etnografico, una
vera e propria costellazione etno-linguistica.
5. La frammentazione etnica dopo Babele: ¢poik…ai,
‘popoli sconosciuti’ e province dell’Impero Romano
L’illustrazione del prodursi di tale costellazione è affidata alle nozioni interpretative di ¥gnwsta œqnh e di ¢poik…a, esempi di un vero e proprio
procedere di Ippolito oltre DEl. ed il suo autore. Questi, infatti, interessato
soprattutto alla nascita dei popoli ed all’occupazione dei rispettivi spazi,
sembra aver fatto un uso assolutamente limitato della nozione di ¢poik…a,
riservandola al piano delle tradizionali suggšneiai tra città o risolvendola in
una metoik…a/‘trasferimento’ che, da un punto di partenza comune, avrebbe
condotto gli œqnh nelle rispettive cîrai103. Quanto poi agli œqnh ¥gnwsta,
102
103
Alcuni nomi – come i Syroi, i Pannonioi ed i Delmatai (Syn. 200 [no. 29.55.57]), di cui
solo il primo è in qualche modo rintracciabile in DEl. a livello di cèra (Syn. 136.194 [no.
12]) – possono leggersi sì nell’ottica di una preparazione del terreno alla narrativa biblica
del prosieguo (così i Syroi, preludenti alla Syria di Iud 3,8), ma anche e complessivamente
alla luce di quell’etnografia per provincias romanas (alla quale non si sottraggono, pur se
riletti in prospettiva paolina, gli stessi Galatai; vedi nota 100) che si profila di grande rilievo
nella visione dell’autore (vedi infra, pagine 263sq.). Questo è chiaro per il collegamento
Syroi – Siria (come provincia di), ma anche in Pannonioi e Delmatai, non previsti da DEl.,
è possibile leggere un’etnicizzazione delle relative province e/o di entità ‘romanizzate’
per via militare (vedi le varie cohortes Dalmatarum pienamente attive nel II-III sec. d.C.;
vedi E. De Ruggiero, art. Dalmatae, Dizionario Epigrafico di Antichità Romane 2/2,
1961 [= 1910], 1459-1461). Per altro, l’equiparazione tra Pannonioi e Paiones affermata
dalla scrittura di Syn. 200 (no. 55) si basa senza dubbio sui Paiones di Syn. (Syn. DEl.)
190 (no. 4) – termine con cui il suo autore, in linea con la propria mentalità letteraria,
aveva indicato i popoli dell’attuale Pannonia (vedi Clem., str. I 16,75,2 con il distinguo
tra il passato e l’attuale; D.C., Historiae Romanae XLIX 36,6) – confortando così l’idea
che il secondo diamerismÒj presupponeva DEl. e ne riscriveva i dati. Anche nei Norikoi
(Syn. 200 [no. 56]), assenti da ogni piano di DEl., si può vedere un riferimento a sfera
provinciale contemporanea.
Vedi i casi di ¢poik…a (Sidone/Tebe in Beozia; Sais/Atene; Tyrrhenioi/Chalkedon) ricordati
in Syn. (Syn. DEl.) 75-77, per altro terminologicamente giocati sui poli del metoike‹n e
katoike‹n; la prospettiva è quella del gruppo che si allontana dall’insediamento d’origine
(dal katoike‹n all’¢poike‹n) per portarsi in un ‘altrove’ che lo accoglie e può sia definirlo
che venirne definito. Si tratta di un modello (un katoike‹n che porta, per ¢poik…a, ad altra
e diversa katoik…a; vedi el. X 31,1sq.), che l’autore dell’Elenchos può aver ereditato dalla
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Spazio geografico, etnografia ed evangelizzazione nella Synagoge di Ippolito
261
pur se ricordati da Elenchos X 31,5 in una unione/contrapposizione con gli
gnwst£ di tipo essenzialmente retorico, difficilmente essi potevano implicare
per l’autore qualcosa di diverso dal sapere tradizionale, che li legava alle
mo‹rai dell’ecumene ¥gnwstoi perché non ‘descritte’ dalla geografia ufficiale104; del resto, la sua tesi della posteriorità dei popoli ‘filosofi’ sui qeosebe‹j
discesi da Noè in quanto nati, come tutti gli altri popoli della terra, solo
dopo il diluvio non necessitava di nessun occhio di riguardo alle ‘parti sconosciute’ ed ai loro abitanti (compresi nella generale katoik…a postdiluviana).
Ci voleva un’ottica diversa per imprimere al concetto sviluppi etnografici
particolari e – nella misura in cui la Synagoge lo fa agire in sinergia con
l’¢poik…zein – si può legittimamente parlare di una sua reinterpretazione da
parte dell’autore. In effetti, nessuno degli œqnh menzionati come ¥gnwsta
qui e nella successiva sezione sui kl…mata (Synagoge 202-234) può dirsi
‘sconosciuto’ nel senso di ‘appartenenti a mo‹rai non descritte’ e di ‘favolosi
e fantastici’ proprio, rispettivamente, dell’etnografia scientifica e di quella
ƒstor…a paradossa che era andata affiancando i propri nomi a quelli della
prima in sorta di alterità parallele105. Inoltre gli œqnh ‘sconosciuti’ definiti per
kl…mata (Adiabenoi, Taienoi, Sakkenoi [Sarakenoi], Albanoi, Madienaioi,
Armenoi, Iberes, Beranoi, Skythes, Kolchoi, Bosporanoi, Saunoi) sono tutti
nominati tra i 72 della ‘dispersione’ – alcuni (e sono la maggior parte) tra
quelli ignoti a DEl., altri, pur se condivisi, nella terminologia propria di
Ippolito106: onde sono ‘noti’, oltre che dal punto di vista dei manuali etnocorografici (come Strabone o Tolemeo), anche da quello dell’autore. Perciò,
la sola prospettiva da cui si può ritenerli ‘sconosciuti’ è quella dell’essere
tali alla narrativa scritturaria, ossia (fatti salvi i Madienaioi ‘maggiori’ e
‘minori’, entrambi ricondotti a Ex 2,15-17) estranei al mondo della bibbia
ed ai relativi spazi evenemenziali. È allora probabile che questi œqnh non
‘ricordati dalla scrittura’, in quanto gruppi di confine e ai limiti dell’ecumene (vedi la categoria del pîj o„koàsi che li colloca e definisce rispetto
104
105
106
narrativa di Giuseppe (J., AJ I 110-121), che leggeva Gen 10sq. in chiave di katoik…a (in
Senaar) – ¢poik…a (da …, in stato di dispersione) – nuova e definitiva katoik…a (le cîrai
occupate e fondate dai singoli œqnh).
Ptol., Geog. I 17,5; III 5,1-10; IV 9,5-7 per la nozione di ¥gnwstoj gÁ a nord e a sud
dell’ecumene come utilizzata per definire i confini della terra oggetto di descrizione.
L. Cracco Ruggini, ‘Realien’ e geografia fantastica. Satiri, Pigmei ed Antipodi nel tardo
antico pagano e cristiano, in: R. Barcellona/T. Sardella (edd.), Munera amicitiae. Studi
di storia e cultura sulla tarda antichità offerti a S. Pricoco, Catanzaro 2003, 107-124.
Ignoti a DEl.: Adiabenoi, Taienoi, Sarakenoi (da ritenersi – con Bauer/Helm [edd.],
Hippolytus, Chronik [vedi nota 3], 39 ad loc. – lettura migliore dei Sakkhno… del testo),
Madienaioi, Bosporanoi, Saunoi. Gli Iberes di Syn. 232 sono quelli di Syn. 200 (no.
33) e non gli Iberes ispanici di DEl. e la grafia SkÚqej è da considerarsi un ritorno, non
inspiegabile, di Ippolito al termine di DEl. (vedi nota 90 per entrambi). Quanto agli
'Alamosino… e ai Bhrano… (Syn. 227.232), se i primi si leggessero come Salamoshno… e
nei secondi si potessero vedere i Bibrano… (Syn. 200 [no. 34]) citati nell’elenco degli œqnh
‘secondo lingue’ subito dopo Armenioi ed Iberes (Syn. 200 [no. 33sq.]) e prima di Skythai
e Kolchoi (Syn. 200 [no. 35sq.]), allora i popoli di Syn. 225-233 rappresenterebbero,
nell’insieme, una selezione dei 72 di Syn. 200sq.
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ad altri) servano, negli intendimenti dell’autore, ad evidenziare l’estensività
della diaspora etnolinguistica e il suo diffondersi sino ai limiti del mondo.
Ma – poiché il pîj o„koàsi interessa anche il motivo delle ¢poik…ai tîn
¢gnèstwn ™qnîn (Synagoge 202-223), presentandosi, anzi, proprio qui
come un elemento della corretta e completa informazione programmatica – è legittimo pensare che la dimensione dei popoli ‘non menzionati nelle
scritture’ sia basilare proprio per lo svolgimento del tema dell’¢poik…zein.
Questo riguarda, nello specifico, œqnh (e proshgor…ai; Synagoge 208), che
sarebbero sorti per colonizzazione (e diversificazione) da taluni popoli della
diaspora iniziale, rappresentanti di tutti e tre i rami noachiti107: onde il loro
‘non essere menzionati come (o perché) tali nelle scritture’ implica, nella
logica esegetica di Ippolito, un procedere della diaspora linguistica ben
al di là della ‘tavola dei popoli’, accompagnandosi il popolamento della
terra da questa indicato a continue frammentazioni e perdite di unità, e
dipende, dal punto di vista dei contenuti, da quanto l’autore percepisce e
fabbrica come ‘filiazioni’ per via coloniaria. In effetti, entro un’accezione
di ¢poik…a particolare perché applicata non ad un rapporto tra poleis, ma
tra etnie vengono riletti come dÁmoi tutta una serie di entità rapportabili
all’Impero romano o coinvolte nella sua estensione ed organizzazione.
Così – se è possibile leggere alla luce dell’attualità Parthoi e Mesopotamitai (fatti ‘coloni’, rispettivamente, di Medi/Persiani e Caldei) e vedere
nell’attenzione al pianeta Africa/Afri ed alle sue specificità le suggestioni
di una ‘provincia’ resa popolare dalla dinastia imperiale al potere108 – echi
altrettanto contemporaneistici presentano le cinque ¢poik…ai dei Germani
107
108
Precisamente: Medoi e Persai (discendenti di Sem; Syn. 190 [no. 2sq.].200 [no. 4sq.]);
Arabes (discendenti di Sem; Syn. 190 [no. 14sq.].194 [no. 8.11].200 [no. 6]); Chaldaioi
(discendenti di Sem; Syn. 192 [no. 4].200 [no. 3]); Madienaioi (Syn. 200 [no. 7]); Ellenes (discendenti di Iafet; Syn. 60.80 [no. 25].200 [no. 46]); Romaioi (discendenti di
Iafet; Syn. 72.80 [no. 33].200 [no. 58]); Mauroi (discendenti di Cam; Syn. 132 [no. 27],
MauroÚsioi; 200 [no. 64]); Aphroi (discendenti di Cam; Syn. 97.200 [no. 67]); Spanoi
cosiddetti Thyrrenaioi (rivisitazione ippolitea di un precedente iafetita di DEl.; vedi nota
90); Galloi (discendenti di Iafet; Syn. 80 [no. 39].200 [no. 60]); Germanoi (discendenti di
Sem; Syn. 190 [no. 11].200 [no. 54]); Sarmatai (discendenti di Iafet: Syn. 66 [no. 9].80
[no. 16].200 [no. 53]). Come si vede, solo i Madienaioi hanno come unico precedente
l’ippoliteo Syn. 200sq.; gli altri nomi, pur se individualmente presenti in DEl., presuppongono però, come un tutto, il filtro della lista dei 72 œqnh ‘secondo lingue’.
Vedi note 95 (Mesopotamia – Mesopotamitai) e 98 (Parthoi). Relativamente agli Aphroi
(Syn. 216), il dotarli di una vitalità ‘coloniaria’ propria sino a farne i ‘padri’ di cinque
filiazioni in parte note a DEl. (Noumides e Nasamones, tra i camiti attuali; Syn. [Syn.
DEl.] 132 [no. 30.32]), altre ignote in quella sede (Saioi, Knithioi [forse i Kinithioi di
Ptol., Geog. IV 3,22]; Neblenoi) significa conferire ad essi ed alla relativa cèra un’enfasi
proporzionale al loro essere la provincia d’origine dell’ultima dinastia imperiale (soprattutto se – come suggerito da Bauer/Helm [edd.], Hippolytus, Chronik [vedi nota 3],
36, app. crit. ad loc. – nella scrittura Neblhno… fosse in realtà da leggersi Lebdhno…, cioè
l’eco di un qualche nome locale di Leptis Magna, la città divenuta simbolo ed immagine
dei Severi; vedi R. Birley, The African Emperor. Septimius Severus, updated, rewritten,
expanded and reillustrated edition, Imperial biographies, London 1988, 26-43). Inoltre la
Numidia sembra essere diventata provincia a sè tra il 193 ed il 211 d.C., distinguendosi
dall’Africa in cui, pur come sede della legio III Augusta, era stata compresa sin’allora
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Spazio geografico, etnografia ed evangelizzazione nella Synagoge di Ippolito
263
(Marcomanni, Quadi, Ermonduli, forse Vandali ed Eruli; Synagoge 221),
gruppi ben noti nella politica estera di fine II secolo – primi decenni del
III secolo d.C. In questa stessa direzione vanno quelle ‘colonie’ di popoli
(Mauroi, Spanoi, Galloi) in cui ogni contemporaneo avrebbe riconosciuto
distretti e divisioni amministrative delle corrispondenti province romane di
Mauritania, Hispania e Gallia (Synagoge 218-220)109. L’autore, insomma,
smonta la ‘provincia’ come nucleo unitario e ne democratizza le eparchie
(ossia, le risolve in dÁmoi etnolinguistici). In ‘colonie’ dei ‘Romani’ (qui
ormai definitivamente sovrappostisi ai vari Kittim scritturistici) vengono
trasformati i settori territoriali in cui è divisa l’Italia nella contemporanea
geografia ufficiale (Synagoge 215), in un’operazione che sembra fra l’altro
integrare e rileggere l’Italia iafetita di DEl.110. Quanto poi agli Ellenes,
109
110
(documentazione in Daguet-Gagey, Septime Sèvère [vedi nota 95], 367sq.) e suggerendo
così – ad una mente, come quella del nostro autore, disposta a leggere l’organizzazione
provinciale in chiave di moltiplicazione etnografica – una lettura di tale distaccarsi/differenziarsi in termini di proiezione esterna (= coloniaria) dagli Aphroi (l’etnico con cui
si indicava di norma non l’indigeneità, bensì l’estrazione provinciale).
Per il posto dei cinque œqnh listati come ¢poik…ai dei Germanoi (Syn. 221) nella politica
estera contemporanea ed il cosiddetto bellum Germanicum (et Sarmaticum) che li vide
alla ribalta da Marco Aurelio in poi, vedi P. Kehne/J. Tejral, art. Markomannen, RGA
19, Berlin/New York 2001, 290-308 e P. Kehne, art. Markomannenkrieg §1, RGA 19,
Berlin/New York 2001, 309-316. La grafia Kou©droi si distacca dalla più comune KoÚadoi
(Ptol., Geog. II 11,26), mentre quella degli `ErmÒndouloi è vicina al latino Hermunduri,
fatta salva la dissimilazione della seconda ‘r’ (sulle varianti grafiche del nome, vedi G.
Neumann, art. Ermunduri, RGA 7, Berlin/New York 1989, 517sq.). Per i Bardouloi
(Vandali) ed i Bedeloi (Eruli?), vedi Bauer/Helm (edd.), Hippolytus, Chronik (vedi nota
3), 37, ad locum. Per i Mauroi come rintracciabili in DEl., vedi nota 107; negli œqnh loro
ascritti come filiazioni coloniarie sono da riconoscersi innanzitutto le due ™parc…ai di
Mauritania Tingitana e Mauritania Caesariensis (Ptol., Geog. IV 1sq.). Quanto poi agli
Spanoi cosiddetti Tyrrhenaioi (terminologia elaboratasi sul presupposto di DEl.; vedi nota
90), Tarraconenses (a cui vengono equiparati), Lusitanoi e Baitikoi sono etnicizzazioni
delle divisioni amministrative della Hispania romana (Ptol., Geog. II 4,1; II 5,1; II 6,1)
ed è significativo che il termine Sp£noi qui utilizzato sia, oltre che concorrenziale con
`Ispano… (in quanto etnico di `Ispan…a), anche quello della dimensione evangelizzatrice di
Paolo (Rom 15,24.28); per gli Autrigonoi, Baskones e Kallaikoi (Syn. 219) come ripartizioni effettive della Hispania Tarraconensis, vedi Ptol., Geog. II 6,1sq.4.10. Anche la
Gallia Narbonensis, una volta etnicizzata, diventa ‘madre fondatrice’, oltre che di due
popoli in cui si possono forse riconoscere Hedui e Sequani, anche di due delle tre Galliae,
Lugdunensis e Belgica (Syn. 221). In sostanza, l’impressione è quella di una ‘riscrittura’
in chiave etnografica dell’assetto provinciale dell’impero.
Dei sette œqnh/¢poik…ai dei `Rwma‹oi (Touskoi [scil. i Thyrrenoi dei ‘Greci’; Ptol., Geog.
III 1,4], Aimelisioi, Sikenoi [forse Pikenoi ?], Kampanoi, Apoulousioi [= Apouloi], Kalabroi, Loukanoi), alcuni sono quelli della descriptio Italiae tolemaica (Ptol., Geog. III 1,4,
Touskoi; III 1,6, Kampanoi; III 1,8, Loukanoi; III 1,15, Apouloi). Nessuno, inoltre, ad
eccezione dei Kalabroi (Syn. [Syn. DEl.] 80 [no. 31], tra i iafetiti attuali), ricorre in DEl.
e la presenza dei Touskoi fa pensare più a un passaggio di mano che a un sovrapporsi
di fonti diverse (vedi i Tyrrhenoi di Syn. [Syn. Del.] 80 [no. 34], ai quali l’autore di DEl.
faceva poi corrispondere, come cèra onomasticamente modificata, la Qouskhn»; Syn.
84 [no. 34]). In questa forma, œqnh ed ¢poik…ai dei Romani sembrano un’integrazione
ippolitea all’Italia iafetita di DEl., a cui corrispondevano, in quanto cèra, gli œqnh dei
Ligures, Oppikoi, Dauneis, Iapiges, Kalabroi e, ovviamente, Latinoi e Tyrrhenoi (Syn.
[Syn. DEl.] 80 [no. 26-34]), gruppi che una qualche familiarità con Dionigi e Strabone
bastava per comprendere nel proprio set di conoscenze.
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protagonisti per eccellenza dell’ambito coloniario nella memoria storica e
nell’immaginario collettivo, la percezione dell’autore riconduce a questo
modello interpretativo realtà plurime, ad iniziare dai dialetti veri e propri,
che egli risolve in gruppi etnici e/o incrocia alle fula… tradizionali (Synagoge
208)111. Di queste filiazioni ‘elleniche’ primarie vengono a loro volta considerate ¢poik…ai entità riconducibili anch’esse alla griglia amministrativa per
provincias, come i Bithynoi e i Pontikoi (= Bitinia e Ponto), gli Asianoi (già
inclusi nei 72 œqnh della prima divisione e qui personificazione democratizzata della provincia d’Asia toccata dall’ellenizzazione), i Lykioi e i Pamphyloi
(= Licia e Panfilia), i Kyrenaioi (= Cirenaica) (Synagoge 209). Ma queste
eparchie democratizzate – comprendenti anche œqnh non sufficienti di per
sé a rappresentare una provincia, in quanto distretti di essa (come i Troes
e i Kares) – rinviano in parte a popoli e/o cîrai che in DEl. sono di area
camita112; onde, dal punto di vista del progetto unitario della Synagoge, è
evidente che Ippolito intendeva la ‘benedizione’ di Noè sull’ingrandimento
di Iafet (su Cam) anche in chiave di una espansione/colonizzazione greca
di aree altrui e camite in particolare, poi confluita (come tutta la grecità)
nell’organizzazione per province dell’Impero romano. Quanto, infine, alle
‘colonie’ dei Sarmatai – collocati tra i iafetiti attuali in DEl. ed ivi distinti
dai Sauromatai (Synagoge 66.80 [no. 16sq.]) che ne costituiscono, invece,
una forma onomastica più antica e, ad ogni modo, sinonimica – Amaxobioi
e Gricosarmatai sono in realtà epiteti denotanti stili e modi di vita. Il fatto
che l’autore, in base a conoscenze recenti o saperi particolari113, trasformi
questi epiteti in dÁmoi evidenzia la sua volontà programmatica di scavare a
fondo entro il movimento etnografico in direzione di quel diaspe…rein che
avrebbe interessato tutta la terra (Gen 11,9).
In definitiva, la nozione di ‘popoli ignoti‘ (= non menzionati dalle Scritture) ed il modello dell’¢poik…zein114 servono in DHipp.115 a prospettare
111
112
113
114
Per un parallelo di nomi e significato, vedi Clem., str. I 21,142,1-4 (con Arcades e Iones
quali esempi standard, come già in Cels. IV 36, di grande antichità; vedi anche Clem.,
str. I 21,102,1; I 21,103,5).
Per gli Asianoi, vedi anche nota 101. I Pontikoi sono nominati solo in Syn. 209 (no. 1),
ma il Ponto è uno dei limiti demarcativi dello stadiasmÒj (Syn. 240). Per i Bithynoi/Bithynia, vedi i camiti attuali e la relativa cèra in Syn. (Syn. DEl.) 132 (no. 18).150 (no.
25); per i Kares, vedi œqnoj e cèra omonima in Syn. (Syn. DEl.) 132 (no. 12).150 (no.
21); per i Lykioi, Syn. (Syn. DEl.) 115 (no. 17; discendenti da Patrosonieim).150 (no. 20)
(cèra); per i Pamphyloi, Syn. (Syn. DEl.) 112 (no. 14).132 (no. 22).135 (come camiti e
popoli ‘letterati’).150 (no. 14) (cèra); quanto a Kyrene e ai Kyrenaioi (zona interessata
anche dallo stadiasmÒj; Syn. 329), si tratta di realtà geografiche ed etniche da ritenersi
implicate dai Libyes e Libya camiti di Syn. (Syn. DEl.) 113.132 (no. 10).143. I Troes
sono ricordati solo in questa sede (Syn. 209 [no. 3]), ma vedi la cèra camita in Syn.
(Syn. DEl.) 150 (no. 23).
Vedi K. Kretschmer, art. Sarmatae, PRE 2.Reihe 1, Stuttgart 1920 (2542-2550) 2542sq.;
Plin., nat. VI 16.19 (Sarmatai e Sauromatai [435,16; 436,13 M.]); per gli Amaxobioi
(Sarmati ‘che vivono sui carri’) vedi Ptol., Geog. III 5,19.
Si tratta di un modello interpretativo della tradizione greco-romana che l’ideologia del
Panhellenion (vedi nota 93) aveva riattualizzato per ecumenicizzare il ‘greco’ come linfa
vitale dell’impero mediante reticolo delle suggšneiai (Andrei, Claudius Charax [vedi nota
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Spazio geografico, etnografia ed evangelizzazione nella Synagoge di Ippolito
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il complesso livello della moltiplicazione etnico linguistica partita dalla
biblica sÚgcusij e riflessa nelle contemporanee divisioni geografiche ed
amministrative. L’impiego particolare dei due concetti prolunga altresì quelle
caratteristiche di DEl. che andavano nella stessa direzione della profetologia
ippolitea, come l’ampliarsi storico di Iafet e dei suoi discendenti (che, già
presente in DEl. sia a livello di quadro d’insieme che di spunti specifici,
DHipp. riconferma nel senso sia dell’esportazione di filiazioni iafetite in
aree etnico-territoriali di originaria pertinenza camita sia dello specificarsi
della linea iafetita come ellenizzazione)116. Inoltre, nella misura in cui questi
concetti contribuiscono a spiegare l’articolazione ‘provinciale’ dell’Impero,
visibilizzandolo nel senso più della compagine democratizzata e frammentata
che dell’insieme ordinato e coeso di plura, è chiaro come essi, nell’ambito
del progetto d’insieme, servano per una riscrittura dello spazio imperiale
alla luce della biblica divisione di Gen 11 e del nomen Romanum in cui essa
si inscrive quale culmine dell’ingrandimento destinato a Iafet117.
115
116
117
12], 86 e passim per questa ed altre ricadute culturali del koinon voluto da Adriano; P.
Cartledge/A. Spawforth, Hellenistic and Roman Sparta. A Tale of two Cities, States and
Cities of Ancient Greece, London 1989, 112-114 per l’incremento politico e culturale di
Sparta, quale faro della grecità, nell’organizzazione e nella mappa mundi del Panhellenion).
Così, quando Ippolito colloca i Kyrenaioi tra le filiazioni coloniarie degli Ellenes (Syn.
209 [no. 8]), egli sta echeggiando una tradizione cittadina che i meccanismi istituzionali
e comunicativi del Panhellenion avevano riproposto proprio nella direzione di un’identità
greca intrinseca in Kyrene in quanto ¢poik…a dei Dori (Andrei, Claudius Charax [vedi
nota 12], 135 nota 57; Spawforth/Walker, Panhellenion 2 [vedi nota 93], 96sq.).
Per l’abbreviazione vedi nota 1.
Vedi sopra, pagine 251sq. e nota 82. Nell’esemplificazione di tale assunto – una dimostrazione dell’avverarsi, nella storia, della ‘benedizione’ di Noè di Gen 9,27 (vedi la presenza
del patriarca nel comparto profetologico di Syn. 719) – rientrano taluni casi di originaria
appartenenza camita interpretati alla luce dell’¢poik…zein ellenico, ossia come successiva
occupazione da parte degli Ellenes; così Creta (parte, con Kyrene, della provincia omonima
di Creta e Cirenaica) – isola ‘camita’ in Syn. (Syn. DEl.) 153 (no. 11) e affermata poi in
Syn. 212 (no. 2) come area di infiltrazione ellenica, ovvero di allargamento iafetita – e
le ‘camite’ Lesbo, Chio e Coos (Syn. [Syn. DEl.] 153 [no. 16sq.22], che figurano tra le
Sporadi poi interessate dalla colonizzazione greca [Syn. 211sq.]). Ma anche zone di origine
iafetita vengono ridefinite come aree greche, donde l’appartenenza a Iafet risulta riqualificata nel senso dell’ellenizzazione. Esemplare in tal senso è il caso dei Rhodioi/Rhodos,
che in Syn. [Syn. DEl.] 67.88 [no. 3] sono parte dell’accampamento iafetita in quanto
spazio etnico e territoriale onomasticamente derivato dai discendenti dell’Erisphan (sic!)
di Gen 10,3 LXX. Ora, nel diamerismÒj ‘ippoliteo’ Rhodos è citata tra le Sporadi (Syn.
212 [no. 7]) oggetto del vitalismo espansionistico degli Ellenes; non a caso, mi pare, dal
momento che la grecità di Rodi è un punto forte della mappa mundi del Panhellenion,
che sembra averne fabbricato ed esaltato la Ðmoful…a soprattutto con la ‘lacone’ Sparta
(Aristid., Or. 24,24; Dexippus [fragm. 9 di no. 100] in: Die Fragmente der griechischen
Historiker [463,6sq. J.]). In accordo alla cultura del tempo, insomma, la Rodi ‘antonina’
e ‘postantonina’ era una ¢poik…a greca al massimo grado ed è questa rappresentazione
che Ippolito introduce funzionalmente nella propria scrittura etnografica.
Per la visione ippolitea del nomen Romanum come inscritta su Dn 7, vedi infra, pagina
267. Va, però, sottolineato che proprio il koinòn del Panhellenion, con la sua funzione
di comunicare pubblicamente la grecità come quid incorporato nell’impero romano,
favoriva l’idea biblica di un ‘accampamento’ iafetita organizzato nell’ecumene romana
e con, al suo interno, i figli di Iavan quale corrente vitale di diffusione ed espansione.
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266
Osvalda Andrei
Così due diamerismo… di diversa origine e filosofia si affiancano entro
un progetto unitario interessato ad una comune dimensione universale
‘tempo – spazio’. Non sembra essersi trattata di una relazione particolarmente problematica. Il materiale di DEl., apologeticamente orientato,
poteva apparire appetibile all’autore della Synagoge per il rapporto, ivi
stabilito e perseguito mediante apposito montaggio di liste (di ‘discendenti
da …’, ‘popoli derivati da …’ e ‘territori occupati da …’), tra lo storico
movimento etnografico e la comune origine postdiluviana, onde i previsti
bisogni di un’informazione tanto accurata quanto (biblicamente parlando)
veritiera potevano dirsi soddisfatti. La parte aggiunta (non meccanicamente, ma interlocutoriamente) in sequenza da Ippolito medesimo (DHipp.),
che la presenta come un passaggio dal regime delle fula… a quello degli
œqnh kat¦ glîssaj, risulta l’esito di un’attenzione mirata su Gen 11 (la
perdita dell’unità di lingua); i suoi orientamenti ed agganci contemporaneistici suggeriscono l’interesse di Ippolito a riguardare la tavola dei popoli
anche dal punto di vista di una ‘rottura’ interna che avrebbe trasformato
il movimento etnografico in una ‘disseminazione’ ora evidente nei molti
dÁmoi dello spazio imperiale romano. A quale ‘Weltanschauung’ risponda
questo livello plurimo e come possa rapportarsi alla visione contenutistica
del tempo storico quale teatro dell’azione del Logos Figlio propria della
Synagoge è quanto chiarirò inscrivendo l’intera tranche geoetnografica
nell’ambito ideologico ed esegetico dell’Ippolito ‘orientale’.
6. Popoli, ‘quarto Impero’ e storia della salvezza nell’esegesi di Ippolito
Dunque, il settore più ampio della Synagoge descrive il movimento etnografico e la sua morfologia nella storia secondo una lettura specifica che
distingue: a) una ripartizione (coerente con la volontà divina di ripopolamento postdiluviano) fondata sulla presa di possesso della terra come
nuova creazione da parte dei noachiti e dei loro discendenti, che, sulla
base di essa, avrebbero poi occupato stabilmente le rispettive aree; b) una
divisione interna a questo popolamento – causata dall’ ‘evento Babele’ e
dalla disgregazione di quell’unità di lingua con cui, pur nelle molte fula…
genealogiche e nonostante il carattere plurale del moto migratorio, la
spinta popolativa avrebbe potuto restare unitaria – che impresse al divenire
etnografico i caratteri della disunione permanente e della costante diversificazione. Nell’ambito di questa dinamica articolata, il diamerismÒj è affiancato, nel proemio, da uno speciale merismÕj tîn laîn, che l’autore intende
illustrare come tale anche in relazione ai kairo… (Synagoge 20). Poiché si
tratta di tema coincidente, nella generale organizzazione degli historoumena, con le liste dei sovrani macedoni e romani (collocate, in accordo
all’elencazione del proemio, subito dopo la serie degli ¢rciere‹j) e coinvolge,
perciò, anche quella dei re persiani (Synagoge 16-18.701-716.742-778),
la dizione sembra riferirsi alla successione degli imperi, prospettata come
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Spazio geografico, etnografia ed evangelizzazione nella Synagoge di Ippolito
267
una ‘partizione’ ordinata di egemonie secondo il posto assegnato nel
tempo ai popoli chiamati di volta in volta a dominare sugli altri. Onde il
movimento etnografico (ossia una dimensione spaziale costituita da œqnh
sempre più numerosi e plurimi) si intreccia alla successione prestabilita
degli imperi del mondo, improntandone la tipologia e le politiche. Già il
Commento a Daniele del 204 d.C., l’opera dove Ippolito dà un contributo
decisivo all’orientamento cristiano di Dn 7, aveva legato la successione
degli imperi universali ‘Babilonia – Media/Persia – Grecia – Roma’ (nelle
rispettive durate e kairo…) a soluzioni unificatorie di plura, passanti per
una lingua (dalla funzione di collante) o al di sopra delle lingue (in un
tentativo di trascendere, soprassedendole, le diversità). Proprio qui, anzi,
l’Impero Romano (l’ultimo, più esteso e duraturo di tutti perché corrispondente alla quarta bestia di Daniele) viene descritto quale assemblaggio
di ogni lingua e gruppo umano, tutti chiamati ‘Romani’ pur senza essere
un solo œqnoj né venire da un’unica cèra118; un ‘Rombild’ (ricavato da
Ippolito, nei primi anni del III secolo d.C., grazie ad un intreccio dei testi
oggetto di commento con la propria contestualità) che non pare diverso
da quello prospettato, quale apice di un divenire etnografico all’insegna
della ‘divisione’ e come tale costruito mediante democratizzazioni varie,
nella Synagoge del 235119.
Se così, la costante tensione del long ago biblico verso l’attuale ed il
contemporaneo (giocata, nel progetto comune della tranche, sui due livelli
di DEl. e DHipp.) si fonda su una distinzione di qualità tra Gen 10 e
Gen 11 che ha un precedente in Ireneo, per il quale Gen 10 riguarda una
propagazione coerente con il nuovo patto di alleanza tra Dio e l’uomo
dopo il diluvio e perciò di segno positivo, mentre Gen 11 esprime lo stato
di reciproca divisione tra i popoli in cui si sarebbe svolto il popolamento
della terra in seguito a Babele (qualcosa, perciò, di diverso e peggiore del
‘prima’, perché conseguenza di una Ûbrij verso Dio). Questa consonanza
di prospettive esegetiche non stupisce in un Ippolito autore, prima della
Synagoge, di opere ove temi irenaici trovano sviluppo ed approfondimento personalizzati120 e, anzi, aiuta a collocare nel registro positivo quella
descriptio populorum et regionum che aveva reso DEl. sinergico con il
progetto ippoliteo. Nel contempo, però, tale consonanza porta a valutare
l’intera dimensione etnografica anche nell’ottica della caduta da cui doversi
118
119
120
Hipp., Dan. IV 8,7 (204,14-18 B.).
O. Andrei, Aspetti del costruirsi della (e di una) identità cristiana, ASEs 20, 2003, (75110) 98-101.
Iren., Epideixis 22sq. (SC 62, 63-66 Froidevaux). Per altre tracce di esegesi ippolitea ad
Ireneo, vedi Andrei, Aspetti (vedi nota 119), 81sq. (l’anticristo); O. Andrei, La formazione
di un modulo storiografico cristiano. Dall’esamerone cosmico alle Chronographiae di
Giulio Africano, Aevum 69, 1995, (147-170) 157-166 (organizzazione esamillenaria del
corso storico). Lo stesso Hipp., Dan. I 17,6-9 (28,20-29,6 B.). – con l’idea base della
chiesa quale giardino piantato sul Cristo – è rimembrante dell’argomentare antieretico
di Iren., haer. V 20,2.
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268
Osvalda Andrei
risollevare e della perdita di un’unità da recuperare e riplasmare. Ireneo
legge le 72 generazioni ‘Adamo – Gesù’ di Lc 3,23-38 (o meglio: della
tradizione manoscritta lucana che si trovava davanti) quale recapitulatio
in Cristo dell’umanità come diversificatasi per popoli e lingue a partire da
Adamo; apparentemente, dunque, viene operato un rapporto di sovrapposizione della pericope lucana sui 72 œqnh ricavabili da Gen 10 LXX, rapporto
risolto da Ireneo in aspetto dell’ampio moto ricapitolativo in Cristo che il
corso storico rappresenta nel suo pensiero121. Ma anche nella dimensione
biblica di Ippolito (fine approfonditore, via Logos Figlio, del rapporto
‘Adamo – Cristo’ ed interprete della genealogia di Gesù quale ordito di
quella carne storicamente e provvidenzialmente tessuta per l’umanazione
del Logos) sembrano rintracciabili gli estremi esegetici di un’ ‘unità’ etnica
persasi per iniziativa umana ma reintegrabile, a tempo debito, nell’economia salvifica per una nuova iniziativa umana e divina.
Il punto di partenza determinante è Commento a Daniele. Qui l’autore
sottolinea nel 42° anno di Augusto – kairÒj della nascita-Incarnazione e
del suo provvidenziale incontro con il sorgere dell’Impero romano – il
luogo circostanziale in cui (e a partire da cui) œqnh e glîssai dell’ecumene
sono stati tutti chiamati di¦ tîn ¢postÒlwn a costituire un œqnoj pistîn
Cristianîn grazie al nomen novum, impresso in cuore, assicurato dalla
parous…a del Logos Cristo: un’azione salvifica sfidata dalla consueta ¢nt…mimhsij del Satana, pronto ad individuare nel quarto impero uno strumento,
più idoneo dei precedenti, per dare agli œqnh, attraverso il nomen romanum,
un’unità contraffatta perché finalizzata alla guerra122. Questo look solo in
apparenza unitario dell’Impero, nel rinviare al precedente Rombild quale
coacervo di culture democratizzate e internamente disomogenee ad onta
del nome comune spalmatogli sopra, evidenzia per contrasto la forza,
autenticamente unificatrice di popoli e lingue, che l’opera degli apostoli
ha messo in moto a seguito dell’incarnazione. Ora, questo rapporto tra
un’ecumene frammentata ‘secondo popoli e lingue’ e l’azione trasformante
della missione apostolica trova – al di là di una fraseologia biblica ben
nota – un parallelo inequivocabile nello stato di incorporazione di tutte
le lingue (rappresentate da diamerizÒmenai glîssai æseˆ purÒj) con cui gli
apostoli, secondo Act 2,2-13, furono messi in grado dallo spirito Santo
di essere ascoltati da tutti nella propria lingua e, perciò, di disperdersi da
Gerusalemme per annunciare il Cristo (Act 8,1.4). Ippolito sembra aver
riletto questa narrativa (già intesa nel progetto d’origine quale deliberato
parallelo della logica di Babele e, nel contempo, quale rovesciamento provvidenziale di essa) nel senso, che lo interessava a posteriori, del ricucire con
121
122
Iren., haer. III 22,3.
Hipp., Dan. IV 9,2 (206,10-19 B.); Andrei, Aspetti (vedi nota 119), 99-103; sulla particolarità ippolitea dell’espressione œqnoj pistîn Cristianîn vedi A. Zani, La cristologia
di Ippolito, PPSLR.T 22, Brescia 1984, 420sq.
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Spazio geografico, etnografia ed evangelizzazione nella Synagoge di Ippolito
269
il vangelo la divisione dei popoli e delle lingue presente nell’ecumene perché
fondata su Babele123. Ora, nel pensiero dell’esegeta, l’evangelizzazione degli
œqnh appare il campo specifico in cui l’azione del Logos prosegue nel ‘dopo
Cristo’ mediante l’apostolato e la Chiesa (di cui l’apostolato canonico è il
fondamento): questa, generando incessantemente il Logos, lo insegna come
Cristo dio e uomo in un parto continuo a tutti gli œqnh (concetto ricavato
da Ippolito mediante un’esegesi di Apc 12,1-5, che pare la prima in senso
ecclesiologico del passo), sino a che il vangelo non sia stato predicato in
tutto il mondo e questo non diventi il regno che il Logos dovrà riconsegnare,
alla fine, a Dio Padre che lo volle e generò per mezzo di Lui medesimo124.
Quanto dunque resta del tempo del mondo dopo l’umanazione del Logos
è riservato all’affermazione del vangelo tra gli œqnh, poi ci saranno solo il
tempo della fine (con l’anticristo) ed il giudizio; onde, poiché i 500 anni
del ‘dopo Cristo’ sono quelli della durata dell’Impero Romano (in accordo
all’incontro tra nascite occorso nella metà del sesto millennio), lo spazio e
gli œqnh che il vangelo dovrà toccare prima degli eventi finali sono quelli
attualmente coperti, nelle rispettive glîssai, dal nome ‘Romani’ e da
trasformare, perciò, in œqnoj uno ed unico125. In accordo, il posto degli
œqnh nel progetto salvifico universale – sia come coestensione del messaggio di salvezza ai gentili sia quale alveo privilegiato dell’evangelo dopo
il rifiuto di Israele – risulta adeguatamente evidenziato dalla ricognizione
ippolitea del vecchio testamento secondo simboli e ‘figure’, ovvero come
parte dell’attività di preannuncio del Logos prima del suo farsi carne: nel
senso sia dell’estensività totalizzante (‘sino ai confini del mondo’, come
prefigura la camita Sidone eretta a simbolo della gentilità) sia del loro
costituire un universo variopinto in attesa del Cristo e dei suoi carismi126.
123
124
125
126
Sull’eco biblica dell’insieme ‘popoli e lingue’ (p£nta t¦ œqnh [...] p©sai aƒ glîssai) a
significare totalità, vedi le espressioni, che lo comprendono, entro una più ampia articolazione, come polo gentile, in Dn 3,4; Apc 5,9; 7,9; 10,11. Per il deliberato parallelismo
di Act 2,3-13 con Gen 11 e di Act 2,9-11 con l’ambito geografico coperto dalla ‘tavola
dei popoli’ di Gen 10 vedi J.C. Davies, Pentecost and Glossolalia, JThS n.s. 3, 1952,
228-231; Scott, Geography (vedi nota 6), 50-55.
Hipp., ben. Jac. prooem. (2,7-9 B./M./M.); Hipp., antichr. 61,1 (E. Norelli [ed.], Ippolito,
L’Anticristo, BP 10, Firenze 1987, 254-257 per il confronto con altre esegesi di Apc. 12,15 ascritte ad ‘Ippolito’); Hipp., Dan. IV 17,9 (il ‘dopo incarnazione’ e l’evangelizzazione
universale); Hipp., Noet. 6,3 (iuxta 1Cor 15,23-28); Dan. IV 10,3 (dai regni terreni al
regno cosmico del Cristo e del Padre).
Hipp., Dan. IV 24,6sq.; 35,3; In Iud. 15 (M. Richard, Saint Hippolyte a-t-il commenté
l’histoire de Samson?, in: [senza ed.], Litterature et Religion. Mélanges offerts à Monsieur le
Chanoine J. Coppin à l’occasion de son 80. anniversaire, MSR.C 23, Lille 1966, 13-21).
Per la simbologia di Sidone come ricavata su Gen 49,13-15, vedi Hipp., cant. Mos. (175sq.
B./M./M.); Hipp., ben. Jac. 20 (84-86 B./M./M.; passo, questo, ove il coinvolgimento
degli œqnh di cui Sidone è ‘figura’ è trattato anche come recupero di Cam dalla maledizione
noachita, ossia come raddrizzamento, nel Cristo, della colpa in cui questi era caduto;
vedi nota 88). Sugli œqnh ed il loro rapporto, in termini di eterogeneità e prosdok…a, con
l’azione del Logos come ricavato dall’esegesi di Dn 10,5 e Gen 49,11, vedi Hipp., ben.
Jac.18 (82,4-9 B./M./M.); Hipp., Dan. IV 36,6.
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270
Osvalda Andrei
Onde, in una dimensione esegetica siffatta, l’orientamento del messaggio
di salvezza all’ensemble diversificato degli œqnh mediante l’apostolato può
configurarsi come parte e/o conseguenza di quell’opera generale di ‘rinascita’ e ‘raddrizzamento’ dell’uomo/umanità (= Adamo) che il corso storico
rappresenta per Ippolito in quanto ambito dell’azione sinergica, pur nella
reciproca distinzione, del Padre e del Logos Figlio127.
7. Synagoge e ‘scrittura dei popoli’: l’azione riunificante
del Logos nel ‘dopo Cristo’ e l’evangelizzazione
Cosa, allora, aspettarsi da un Ippolito del genere, in una fase dell’esistenza da cui poteva guardare alla sua intensa esplorazione delle scritture
come al compito di una vita al servizio del popolo di Dio ed in sede di
approntamento di una ‘scrittura dei tempi’ programmata ad alto tasso di
cristocentrismo per ovviare a presunte insufficienze in tal senso delle Chronographiai di Giulio Africano? Come testualizzare una dimensione etnica
inscrivibile in un’organizzazione della storia vista come teatro dell’intensa
attività del Logos Figlio e della sua sinergia con il Padre? Come, insomma,
tradurre in scrittura, ai fini di un’informazione corretta ed autenticamente
in grado di fare cultura cristiana, un’universalità spaziale (= etnogeografica)
complementare a quel tempo esamillenario che racchiude storia e durata
della creazione di Dio? Con quali materiali e quale loro disposizione un
esegeta al culmine dell’esperienza e della riflessione sui rapporti tra testamenti poteva dar corpo ad un universalismo bidimensionale siffatto e,
nell’ambito della componente geoetnografica, visibilizzare e valorizzare la
polimorfia etnica quale oggetto specifico della spinta alla riplasmazione e
riqualificazione dei creata prima e dopo la venuta del Logos nella carne?
Entro una visione ed organizzazione compartimentalizzata della storia e
degli historoumena come prevista dalla scrittura cronografica della Synagoge, la tranche geo- ed etnografica di essa è senz’altro una risposta a
domande e bisogni ideologici ed esegetici siffatti. Per quanto riguarda i
materiali del suo ‘farsi testo’ (in cui, come insieme, va individuato il luogo
della distinzione ippolitea, ma anche quello della specificità differenziante
rispetto al contesto), essi vengono selezionati e/o costruiti dall’autore in
base all’intreccio di esperienze esegetiche proprie con altri contributi di
parte cristiana di argomento etnografico, storicamente motivati e consonanti o consonantizzabili con il proprio progetto ed i suoi sfondi di controproposta ad Africano. Sul piano esegetico, Ippolito aveva avuto modo
di ricavare il ruolo di luoghi determinati come teatro di manifestazione
del Logos (dal Sinai all’Eufrate e al Giordano) se non, addirittura, come
figure dell’intertestualità del messaggio salvifico (= complementarietà dei
127
Sull’azione del Logos come ¢nege…rein ed ¢norqoàn l’umanità [scil.: dalle sue cadute], vedi
l’esemplare Hipp., ben. Jac. 22 (92,5-8 B./M./M.); discussione dettagliata sul tema in
Zani, La cristologia (vedi nota 122), passim.
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Spazio geografico, etnografia ed evangelizzazione nella Synagoge di Ippolito
271
testamenti) quale perenne nutrimento dei fedeli128. In questa visione sono
senza dubbio inscrivibili quelle sintesi della terra per ‘monti’ e ‘fiumi’ di
Synagoge 235-239 (biblicamente incardinate e, con ciò, intese ad esaltarla
come creazione divina), che accolgono ed organizzano la distribuzione/divisione di popoli e lingue nell’ecumene attuale. Circostanze non sappiamo
quanto fortuite ma senza dubbio fortunate lo avevano poi fatto incontrare
con il prodotto (o i prodotti) di un confratello che, impegnatosi – a cavallo
del II-III secolo d.C. e, ad ogni modo, prima del 222 d.C. – in un confronto
con il Discorso di verità di Celso, aveva dimostrato a suon di genealogie
e liste di œqnh e cîrai la comune origine noachita e postdiluviana di tutti
i popoli della storia attualmente compresi nell’ecumene imperiale: origine
indicativa dello stesso controllo divino sulle cose del mondo che aveva
fatto degli Hebraei, discendenti diretti di Noè via Eber, l’œqnoj più antico
perché erede autentico dei qeofile‹j prediluviani. Che il contributo di questo
confratello sia piaciuto ad Ippolito per l’impostazione ermeneutica (l’aver
indicato nella scrittura il fondamento imprescindibile di ogni sapere), la
ricchezza di dati (che contribuiva a mettere a fuoco l’insufficienza e/o
l’inadeguatezza dell’informazione africanea sul punto) e la moltitudine di
‘gruppi’ disvelata dall’indagine come genere umano onnicomprensivamente
presente nella storia dimostra la sua accoglienza nella Synagoge in forma
non sappiamo quanto vicina all’originale ma, peraltro, estesa (Synagoge
44-52.56-197). Tuttavia la lunga attività di esegeta aveva reso Ippolito familiare all’idea che del movimento etnografico faceva parte, come creazione
e volontà di Dio, non solo il molteplice, ma anche il ‘diversificato/diviso’,
esito della perdita dell’unità linguistica per intervento divino sulla Ûbrij
degli uomini di Babele e perpetuatosi nella storia, quale segno dell’umana
debolezza, attraverso l’incessante filiazione di œqnh e proshgor…ai (onde
nelle fula… che la bibbia diceva disperse ‘per lingue’ sulla terra era da
ritenersi significata una totalità del genere umano che Dio aveva voluto
non solo ripartita sull’ecumene, ma anche intrinsecamente divisa). Poiché
il Logos continuava, dopo l’evento Cristo, la sua opera di tessitura della
storia mediante l’affermazione del vangelo nel mondo, onde l’evangelizzazione diventava la caratteristica chiave del restante tempo storico, la
dispersione/divisione di Babele era quanto il vangelo avrebbe riplasmato
in sintonia con gli esiti della ‘successione degli imperi’ (cioè, dopo che
l’ingrandimento di Iafet, realizzatosi compiutamente con l’Impero Romano,
aveva aperto la via, grazie all’incarnazione del Logos, alla possibilità di
un autentico reintegro dell’umanità divisa nell’economia salvifica). Il ‘long
ago’ biblico all’origine dell’aspetto ‘frammentazione’ dell’universalismo
etnico andava dunque ‘dimostrato’ come parte della storia della salvezza
e ‘scritto’ in maniera tale da contenere in sé il preannuncio degli interventi
missionari del ‘dopo Cristo’.
128
Sopra, pagina 253 e note 85sq.
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272
Osvalda Andrei
Al momento in cui componeva la Synagoge, Ippolito poteva guardare
con soddisfazione agli effetti civilizzanti ed unificanti del missionarismo
evangelico sui molti œqnh e dÁmoi del quarto Impero. Galatai ed œqnh nascosti tra le pieghe della province romane d’Asia e di Achaia erano già
stati raggiunti da Paolo, che aveva tra l’altro indicato (e perciò, in forza
dell’autorità esemplare che gli proveniva dal canone, anche profetizzato)
negli Skythai un particolarismo superabile nel Cristo e nella Hispania un
obiettivo dove portare quanto prima il vangelo129. Gli Indoi, già toccati
dal cherigma grazie a Bartolomeo, avevano più di recente rinforzato con
Panteno la loro aggregazione al popolo dei fedeli. Ireneo, predicatore
tra i Celti, aveva sicuramente pensato a Babele e visto l’attuale presenza
cristiana nel mondo come un superamento di essa quando affermava che,
per quanto disseminata su tutta l’ecumene sino ai suoi confini – con comunità insediate tra Germanoi, Iberes, Keltòi, in Egitto e Libia –, la Chiesa
fondata sugli apostoli e la tradizione aveva trasceso l’eterogeneità delle
lingue per costituire una forza una e unica130. Sembrava dunque lontano
il tempo in cui l’annunciare il figlio di Dio alle fula… di tutto il mondo
sino a costituire una folla grande di fedeli provenienti da ogni gente,
tribù, popolo e lingua (Apc 7,9) era solo un auspicio, sicuro ma tutto o
quasi da realizzare; la storia era andata parecchio avanti e si poteva ora
considerare la polimorfia etnica dell’ecumene imperiale (disvelata sempre
più decisamente come parte della sua natura dalla crisi del III secolo d.C.)
una realtà continuamente superabile grazie all’œqnoj, nuovo e trasversale,
creato dal Cristo. C’era, però, ancora molto da fare e la predicazione del
Verbo – restando inscritta nel percorso della storia prima della fine – valeva
anche come momento esemplare di etica cristiana. Dopo la resurrezione,
il Cristo, nell’indicare ai discepoli ‘tutta la creazione’ e tutti gli œqnh quale
ambito e destinatari del vangelo, aveva affermato nel viaggio lo strumento della sua divulgazione (Mc 16,15; Mt 28,19); dall’altezza di Ippolito,
appariva legittimo guardare a questa prescrizione evangelica non solo dal
punto di vista dell’ineluttabilità della missione cristiana e dei suoi progressi, ma anche da quello del rapporto inscindibile tra il fine ed il mezzo,
cioè come un ‘viaggiate per predicare ed insegnare’ che suonava come un
obbligo per ogni fedele.
È da siffatto osservatorio sul ‘dopo Cristo’ passato e presente che
Ippolito deve aver deciso di ‘rendere testo’ la divisione, intervenuta con
Babele entro il movimento distributivo dei popoli sulla terra, mediante un
129
130
Per lo ‘Scita’ quale polo di classificazioni normative tutte trascese dall’ ¢naka…nwsij del
Cristo vedi Col 3,10sq., chiaramente da collocarsi sulla stessa linea di Gal 3,27sq.; 6,15
(kain¾ kt…sij prodottasi con il Cristo). Per i propositi paolini di evangelizzazione della
Spagna, vedi Rom 15,24.28.
Eus., h.e. V 10 (gli Indoi, Bartolomeo ed il vangelo mattaico, Panteno); Iren., haer. I
10,1sq.; III 11,8 (chiese ‘disseminate’ e chiesa ‘una’ grazie al vangelo ed alla tradizione
apostolica).
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Spazio geografico, etnografia ed evangelizzazione nella Synagoge di Ippolito
273
apposito capitolo etnografico di seguito a DEl. (Synagoge 198-201), onde
evidenziarne la diversità di ambito, e di scegliere i nomi dei dispersi della
prima ora in vista di una mappa etnica già orientata sul recupero e la
riqualifica dell’unità perduta grazie al nomen christianum. Riscontrare tra
i ‘divisi’ luoghi e dÁmoi dove il Verbo era già arrivato avrebbe rassicurato i
lettori sul fatto che, prima o poi, esso sarebbe arrivato dovunque (aiutandoli
magari a riconoscersi o a sentirsi collocati in una mappa mundi cristiana),
onde la carta della dispersione doveva essere predisposta a suggerire una
visione del presente in termini di ‘missione’ ed ‘evangelizzazione’. È in
questa prospettiva che vanno dunque lette quelle diversità/integrazioni
rispetto a DEl. (= gli œqnh e le culture democratizzate non presenti in esso
o rivisitati da Ippolito) di eco neotestamentaria (primi fra tutti i Magi!) o
di rimando cristiano, che forniscono il ‘la’ interpretativo ad una divisione
d’origine che – pur se destinata ad incrementarsi nel corso storico sino a
diventarne un tratto fisiologico (Synagoge 202-234) – sarebbe stata, però,
riaggregata dall’azione del Logos divenuto il Cristo predicato131.
Non vedo, allora, altro modo di interpretare lo Stadiasmos (Synagoge
240-613), nelle relazioni con i molti piani del diamerismÒj sopra evidenziate
e nella decisa volontà di giovamento collettivo con cui esordisce132, se non
come un rendere comprensibile per via testuale un ingranaggio chiave
dell’iter salvifico verso il compimento definitivo. Pertanto, nella visione
ippolitea che informa la Synagoge, lo Stadiasmos corrisponde al ‘dopo
incarnazione’ (= i 236 anni dell’intervallo ‘nascita del Cristo – 13° anno
di Alessandro Severo’ costituente l’ultimo settore del filum chiliadico; Synagoge 687sq.698sq.717) nella misura in cui i due piani diameristici della
partitio et divisio terrae et populorum tendono al Logos Cristo ed alla
stessa convergenza in Lui (sunagwg») che impronta ogni piano della storia.
Con la sua struttura da ‘manuale di viaggio’, esso appare lo strumento
con cui Ippolito trasforma in testo il ‘Leitmotiv’ storico, nonché dovere
di ogni cristiano nel mondo, del viaggiare sulle vie della dispersione e in
131
132
È certamente nella logica della perdita di un’unità d’origine imputabile a responsabilità
umana che va visto il recupero di quell’interpretazione su Nimrod in accordo a Gen
10,9 LXX (kunhgÕj ™nant…on kur…ou, ovvero cacciatore di cibo perché complice ed istigatore degli uomini impegnati a sfidare Dio con la costruzione di Babele), che Ippolito
aveva avanzato in uno dei suoi primi commentari, tra l’altro contrapponendo Nimrod
ad Eber (vedi note 41sq.). Da cosa Ippolito abbia esegeticamente ricavato il tema della
dissociazione di Eber dalla massa dei costruttori della torre e come l’abbia trattato nella
Synagoge (al di là delle tracce rimaste nella tradizione cronografica successiva, labili
ma sufficienti a farlo presupporre; vedi nota 41), non è dato dire. Certo è, però, che
questo tema – se da un lato contribuiva a legittimare la presenza di Eber nella lista dei
patriarchi ‘Adamo – Cristo’ di Syn. 717 (no. 15) (ammesso che non si fosse addirittura
trattato di esegesi a suo tempo costruita proprio a partire dall’occorrenza di Eber in Lc
3,35) – da un altro indirizzava il nesso eponimo Hebraei/Eber in un senso diverso dalla
funzione apologetica conferitagli in DEl.: quello degli Hebraei quale alveo complessivo
di inserimento, produzione e tessitura di un particolare seme di Israele che sarebbe infine
fiorito nel Logos Figlio incarnato (Syn. 20).
Sopra, pagine 231-234.
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Osvalda Andrei
un’ecumene prodottasi ed organizzatasi dietro i suoi ritmi per diffondere
il vangelo, cioè per ricostruire la perduta unità attraverso la sola lingua in
grado di fare da collante autentico ed universale. In una forma che doveva
essere senza dubbio capace di parlare al cristiano medio e in un’estensione
testuale forse programmata come simbolo di tutta l’estensione del mondo,
lo stadiasmÒj rappresenta una vera e propria carta missionaria, intesa ad
esemplificare i tramiti dell’azione del Logos Cristo e della sua Chiesa nell’ecumene; ma costituisce anche un ‘farsi testo’ dell’obbligo (forse uno tra
gli impegni personali di una vita ormai avviata al tramonto che Ippolito
indica all’uditorio come dovere di ognuno) di contribuire al comune giovamento, utilizzando la creazione divina in modo teologicamente adeguato
(= percorrendola per portarvi ovunque il vangelo).
8. Conclusioni
Si tratta, ora, di concludere su quanto l’analisi della sezione geoetnografica della Synagoge può suggerire sulle origini ed il farsi testo della prima
‘Weltchronistik’ cristiana, nonché sulla personalità di Ippolito (‘orientale’
e/o esegeta), a cui propongo definitivamente di attribuire la ‘raccolta degli
anni e dei tempi’ del 235 d.C.
Dalla prospettiva della cronografia come genere, è certo che, con questa
opera di Ippolito, la ‘scrittura dei popoli’ si inscrive per la prima volta in
quella dei tempi, introducendone in essa (e lasciandoli come potenziale
eredità ai suoi futuri cultori) l’argomento, la logica ed i materiali133. Altrettanto innegabile è che questo primum ippoliteo è un aspetto importante
della cristianizzazione della cultura, ovvero della costruzione cristiana di
saperi differenziati (in cui la descriptio temporum si inserisce di per sé
quale esempio di rilievo); il fatto che questa ƒstor…a etnografica significhi,
dall’osservatorio di Ippolito, integrare e correggere Giulio Africano nel
‘poco’ e/o nell’ ‘inadeguato’ che questi aveva detto sul tema ‘popoli del
mondo’ suggerisce come la crescita del genere sia stato un problema di
confronto/conflitto intellettuale, ossia di riflessione e messa a punto di
spazi letterari appositamente costruiti per esprimere quelle prospettive
universalistiche che esigenze identitarie ormai precise sollecitavano. Ma
la cristianizzazione dei saperi è anche una questione di identità personali
133
Vedi la prosecuzione del diamerismÒj della Synagoge o di parte di esso, in forme presso
che letterali (fatta salva la collocazione nelle varie aree noachite delle presenze etniche
intervenute nel frattempo), nella cronostoriografia siriaca (W. Witakowski, The Division
of the Earth between the Descendants of Noah in Syriac Tradition, Aram 5, 1993, 635656) e l’inclusione di un settore etnografico di struttura ed eco ippolitei nella narrativa
del periodo preabramitico in Georgius Syncellus, Ecloga chronographica 85-95 (48-56
M.); cp. The Chronography of George Synkellos. A Byzantine chronicle of universal
history from the creation, translated with introduction and notes by W. Adler and P.
Tuffin, Oxford et al. 2002, 62-71.
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Spazio geografico, etnografia ed evangelizzazione nella Synagoge di Ippolito
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(con tutto quanto ciò significa in termini di vissuti, ideologia e modi di
rapportarsi, in quanto cristiani, al sistema storico culturale di appartenenza
ed interazione); è a questo livello che la specificità differenziante rispetto
al contesto (quella che permette un approccio in termini di gestione ed
orientamento peculiari di temi ‘condivisi’ con gli ambiti culturali coevi)
diventa distinzione d’autore, riguardando, nel nostro caso, l’Ippolito esegeta calatosi nelle vesti di scriptor temporum e l’autore dell’Elenchos, a cui
queste vesti sono comunemente ritenute confacenti. In merito alla tranche
geoetnografica e periplica della Synagoge, la cristianizzazione dei saperi
non significa soltanto che il suo autore attrae e riqualifica in senso cristiano
materia e materiali della tradizione greco-romana; questo può valere certamente per lo Stadiasmos (che propongo di leggere come visibilizzazione
testuale del dovere storico, imposto dall’incarnazione, di esportare per via
missionaria il Logos umanato e, perciò, come un prodotto di genere non so
quanto modificato, ma senza dubbio rifunzionalizzato) e nella sua logica
si inscrivono i due sommari per monti e fiumi illustri (in cui una mappa
mundi convenzionale, probabilmente presente sullo scrittoio dell’autore,
viene rifabbricata quale mappa di una kt…sij creata per mezzo del Logos
e divenuta ambito della sua onnipresenza storica). Ma, nel caso dei due
piani del diamerismÒj che ipotizzo corrispondenti a diversi livelli esegetici,
la cristianizzazione dei saperi diventa specificatamente un problema di interlocuzione tra due ambiti cristiani d’autore alle prese con gli stessi luoghi
biblici (Gen 10sq.) nella funzione, loro prestata, di referenti valoriali e di
fondamento storico (dimensione interlocutoria che, come ovvio, investe
i materiali usati e/o risistemati dall’uno e dall’altro). Infatti, nella forma
in cui io vedo attualmente la questione ippolitea (un Ippolito distinto
dall’autore di Elenchos e Perì Pantòs e, però, anche compositore di quella
Synagoge tradizionalmente ascritta al secondo), il settore geo-etnografico
dell’intera tranche mi pare il frutto di un doppio ambito d’autore: quello
dello scrittore dell’Elenchos (DEl.; Synagoge 44-52.56-197) da cui Ippolito
attinge (nei primi anni ’30 del III secolo d.C.) l’interpretazione ‘attualizzante’ di Gen 10 proposta da questo (per noi sconosciuto) fratello di
fede – in un contributo che pare il primo, deciso e motivato, di un cristiano
sul tema ‘tavola dei popoli’ – a scopi di polemica con il celsiano Discorso
di verità: quello di Ippolito medesimo (DHipp.: Synagoge 198-234), che
rilegge l’universalismo etnografico, nella comune origine postdiluviana,
della sua fonte alla luce della divisione prodottasi, grazie a Babele, entro
la distribuzione dei popoli sulla terra, affiancando a DEl. una sua lista di
‘dispersi/divisi’ della prima ora ed intensificando il tema (nel suo perpetuarsi storico come ‘frammentazione’) mediante la nozione (esegetica) dei
‘popoli ignoti’ alla bibbia ed il modello (tradizionale) dell’¢poik…zein. In
questa prospettiva, i pezzi, successivi, delle descriptiones creati ‘secondo
monti e fiumi’ (Synagoge 235-239, da considerarsi – a questo punto – parte
o appendice di DHipp.) e dello stadiasmÒj quale testualizzazione (Synagoge 240-613) di quella logica missionaria da cui si deve guardare, nello
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hic et nunc, al mondo plurimo ed eterogeneo degli œqnh contribuiscono ad
inscrivere decisamente i saperi etnografici, cristiani e non, della sezione in
un progetto e prospettiva d’insieme che sono specifici di Ippolito. In tale
conformazione ed estensione, questa ‘scrittura’ del movimento etnografico nello spazio e nel tempo è coerente con quella visione contenutistica
propria della Synagoge che, dal punto di vista dell’organizzazione narrativa, rappresenta il marchio di distinzione dalle Chronographiai di Giulio
Africano. Di più, la sua articolazione interna – con, in esordio, il passato
remoto biblico visto in costante tensione con lo hic et nunc e predisposto
all’ingresso nel futuro christianum nomen e, in chiusura, lo stadiasmÒj
quale pars pro toto espressione delle forme e degli ambiti attuali di prosecuzione della missione salvifica del Logos – presuppone lo stesso intento
di visibilizzare l’idea di un tempo storico globalmente convergente verso il
Cristo ed il ‘dopo Cristo’ che impronta la fisionomia delle altre tranches
e diadoca… della Synagoge.
Tale ‘scrittura dei popoli nell’universo mondo’ e la sua incorporazione in un progetto cronografico di sapore antiafricaneo conferiscono
alla personalità culturale di Ippolito uno spessore più articolato rispetto
all’immagine – di lui consueta nell’ambito della questione ippolitea e più o
meno sempre in relazione/contrappunto con lo scrittore dell’Elenchos – di
chiusura ed impermeabilità ad altri orizzonti e saperi che non siano la
Bibbia, il Cristo e la Chiesa e, perciò, di persona scarsamente disposta o
interessata alla cultura della tradizione e a problemi ‘scientifici’. Più precisamente, però, Ippolito – sin dal Commento a Daniele (dove già, in virtù
del particolare testo in oggetto, aveva combinato l’esegesi con materia e
liste cronografiche) e più che mai nella Synagoge (dove, tra l’altro, rinegozia per i propri intendimenti le suggestioni ed i materiali della recente ed
ultratradizionale Ciliethr…j di Asinio Quadrato)134 – si dimostra convinto
delle potenzialità cristocentriche di saperi ‘altri’ dalle scritture (cioè, del
loro essere intrinsecamente in grado di rispondere all’idea di Bibbia e Logos
Cristo come cuore del vero sapere e collante autentico di ogni ricerca). Una
comparazione differenziante con l’anonimo autore dell’Elenchos dovrebbe, allora, privilegiare tratti che non siano la consuetudine con le scienze
profane e la capacità di catalizzarle in una ‘Logostheologie’ (che proprio
l’attività esegetica, nei suoi bisogni di approfondimento e di ricerche sempre
più varie, poteva far funzionare come l’alveo di riqualificazione di ogni
sapere), accentuando di più la diversità di habitus ed ambito culturali. In
base a quanto traspare proprio dal diamerismÒj presupposto dall’Elenchos
ed utilizzato da Ippolito (DEl.), l’anonimo polemista anticelsiano ed antieretico appare un greco (nel senso, esteso, di appartenenza agli ambienti ed
ai sistemi valoriali della cultura tradizionale), che tutto affronta con questa
mentalità e che, come dimostrano la sua ecumene ed i suoi ‘Kulturvölker’
134
Andrei, L’emergere (vedi nota 2), 29-37.
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Spazio geografico, etnografia ed evangelizzazione nella Synagoge di Ippolito
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(popoli ‘filosofi’, ‘inventori’ e quant’altro), rincorre la cultura antiquaria
del tempo e le sue tendenze. Il settore di Ippolito (DHipp.), con l’elenco
dei 72 œqnh divisi secondo lingue della prima ora e le parti, successive, dei
popoli ‘ignoti’ (alle scritture) e figli della dispersione coloniaria, suggerisce
per sua parte un atteggiamento intellettuale che incrocia la bibbia con il
contemporaneo (un tratto già evidenziato, nel Sull’Anticristo, nelle forme di
costruzione della figura e della sfera d’azione dell’avversario escatologico)135
e che ‘descrive’ l’ecumene con riguardo anche a nuove presenze e protagonisti (soprattutto mediorientali) trasformabili in esempio dell’estrema
eterogeneità prodotta dal fattore ‘divisione’ entro il movimento temporale.
Se e che cosa possa significare questo (insieme al dovere dell’evangelizzazione missionaria che, stante l’ipotesi che io formulo sullo stadiasmÒj,
si intravede dietro questa scrittura) in termini di ulteriori messe a punto
delle personalità storiche del puzzle ippoliteo, potrebbe costituire uno dei
possibili sviluppi d’indagine della questione.
Chiudo, sottolineando nella ‘raccolta di tempi ed anni’ del 235 d.C.
l’opera cronografica con cui Ippolito traduce la propria ‘Logostheologie’ – acquisita e maturata dietro decenni di riflessione esegetica – in storia
e contenuto imprescindibile del tempo esamillenario. È un taglio, questo,
senza dubbio da valorizzarsi in relazione alle molte diversità (di visione,
di strategie cronografiche, di uso e rilocazione dei materiali) con il rivale
Giulio Africano. Ma le sue implicazioni (lo sfondo di definizione identitaria
su cui è valutabile la teologia del Logos rispetto alle posizioni monarchiane
e misurabile il bisogno di evidenziarla anche tramite uno strumento di forte
impatto come la ‘scrittura dei tempi’) ed i suoi presupposti cronologici e
letterari (il 222 ed il 225 d.C. quali termini post quem – con l’affermarsi
delle Chronographiai di Giulio Africano in contemporanea con un ambito
di attività ‘romano’ del loro autore, la composizione, in occasione dello
scadere del millennio olimpico, della Ciliethr…j del consularis Asinio Quadrato e l’area ‘romana’ di fruizione di quel computo Pasquale poi confluito
nel percorso per itinera Pascharum della Synagoge – di possibili raggi di
presenza e movimento ippolitei) sembrano porre l’opera in rapporto con
uno spazio storico preciso: la Roma (cristiana e pagana) degli anni ’30
del III secolo d.C. come ambito di rafforzamento e promozione di vettori
chiave di identità cristiana.
135
Andrei, Aspetti (vedi nota 119), 81-90.
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Osvalda Andrei
ABSTRACT
The article offers a contribution to the discussion raised by P. Nautin about the identity
of the author of the several works transmitted under the name of ‘Hippolytus’ and
argues that the Synagoge (Chronicon) of 235 A.D. is the work of Hippolytus (so-called
‘oriental’ or ‘exegete’), not simply identical with the author of the Elenchos (Refutatio
omnium haeresium). The article observes that the long section on the DiamerismosStadiasmos (Synagoge 43-613) shares the polemical thrust against Iulius Africanus’s
Chronographiae as well as the theological profile of the ‘Logostheologie’ of Hippolytus.
Besides this coherence of the Synagoge there are important divergences in the work.
There is a “partitioning/populating” of the earth by œqnh, cîrai and nÁsoi (Synagoge
44-52.56-197) (developed in opposition to Celsus’s Alethes Logos by the interpretation of Gen 10) and – apart from this – a prosopographical ethnography according
to languages intended to be an interpretation of Gen 11 (Synagoge 199-201), that is
completed using geoethnographic material (Synagoge 202-238) and an itinerarium of the
Mediterranean Sea (Synagoge 240-613). Thus, while the Diamerismos of the author of
the Elenchos (the first part, i.e. Synagoge 45-195) aims to illustrate the universal ethnographic movement starting after the Flood, the Diamerismos of Hippolytus (the second
part, i.e. Synagoge 198-239) introduces an ethnic-linguistic “division/fragmentation”
starting with Babel and perpetuating itself in the history. For Hippolytus, only a new
human and divine initiative, of course that of the incarnate Logos and the transmission
of the gospel all over the world, will overcome this “sin of division”. Hence, thanks
to its combination of exegetic and literary features, Hippolytus’s descriptio temporum
links the universal dimension of time (the scheme of 6000 years) with the universal
dimension of space. This combination has a great significance in the development of
Christian chronography.
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