Il volume è stato pubblicato con il contributo della Società Italiana
di Filosofia del Diritto, del Dipartimento di Giurisprudenza
dell’Università degli studi di Bergamo e della Fondazione ASM.
© 2020 Edizioni l’Ornitorinco
www.edizioniornitornico.it
isbn cartaceo 978-88-6400-097-8
isbn eBook 971280119063
I diritti di traduzione, memorizzazione elettronica, riproduzione e di
adattamento totale o parziale con qualsiasi mezzo (compreso microfilm e
copie fotostatiche) ad uso interno e didattico sono riservati.
A cura di Persio Tincani
Diritto e futuro dell’Europa
Contributi per gli workshop del XXXI Congresso
della Società Italiana di Filosofia del Diritto
(Bergamo, 13-15 settembre 2018)
Indice
PRESENTAZIONE
Persio Tincani
FONTI E GIURISDIZIONE
INTRODUZIONE
Giovanni Cosi e Vito Velluzzi
FRANCESCO BIONDO
Legislazione a “rima obbligata”? Riflessioni a margine della recente
introduzione del reato di tortura nell’ordinamento italiano
FRANCESCO D’URSO
‘Unificare’ e ‘armonizzare’:
impressioni e spunti su una possibile codificazione europea
LEONARDO MARCHETTONI
Riconoscimento, reti e i limiti del dialogo fra corti
PIERO MARRA
La buona fede “autointegrativa” nel diritto contrattuale europeo
GIULIANA ROMUALDI
La conciliazione giudiziale in chiave terapeutica
DOMENICO SICILIANO
Del conflitto tra la “governance globale del militare” e i regimi dei diritti
fondamentali costituzionali e umani
SOVRANITÀ E AUTONOMIE
INTRODUZIONE
Anna Maria Campanale e Luca Baccelli
FABIO CORIGLIANO
Unita nella diversità
ANDREA FAVARO
Il presente degli Stati nazionali. Tra immutabilità (del passato) e diritti (di
sempre)
CARLO LOTTIERI
Sovranità vs federalismo. La “crisi catalana” nelle sue implicazioni
filosofico-politiche
COSTANZA MARGIOTTA
Secessionismo e populismo
MASSIMO MANCINI
Autonomia dell’ordinamento giuridico e dell’individuo come fondamento
della sovranità
SICUREZZA E DIRITTI FONDAMENTALI
INTRODUZIONE
Tommaso Greco ed Elena Pariotti
MARIA BORRELLO
La sicurezza come diritto fondamentale dello spazio comune
LEONARDO DI CARLO
La programmazione delle risorse finanziarie tra principio di proporzionalità
e responsabilità intergenerazionale
LEONARDO MELLACE
Democrazia ed effettività dei diritti. Il solidarismo alla prova dell’Unione
Europea
ANDREA ROMEO
I diritti fondamentali alla prova della (in)sicurezza: tortura e avvocatura
SALVATORE SAVOIA
Il terrorismo e i limiti delle reazioni della politica
NATALINA STAMILE
Sicurezza vs Privacy
SCIENZA E TECNOLOGIA: PARADIGMI NORMATIVI E NUOVE
TECNOLOGIE
INTRODUZIONE
Mariachiara Tallacchini e Paolo Di Lucia
SCIENZA E TECNOLOGIA – I:
CRITERI DI RAZIONALITÀ TRA SCIENZA E DIRITTO
LUIGI DI SANTO
Il ritorno dei corpi intermedi nell’era della tecnoscienza. Diritti della
persona vs disintermediazione
MARIA ANTONIETTA FODDAI
La composizione giuridica delle controversie scientifiche: modello
giudiziale e metodi consensuali di risoluzione
LUCA LEONE
Razionalità e ambiguità delle scelte nell’Unione dell’innovazione: il nudge
e l’Europa dei cittadini
GAETANO CARLIZZI
La logica della valutazione probatoria scientifica
ALESSIA FARANO
Un caso di prova scientifica: la valutazione del giudice tra scienza moderna
ed epistemologia giudiziaria
OLIMPIA G. LODDO
La traduzione giuridica intersemiotica
MARIA AUSILIA SIMONELLI
La scienza nella fenomenologia sociale di Alfred Schütz
SCIENZA E TECNOLOGIA – II: BIOETICA E BIODIRITTO
SABRINA APA
Il bilanciamento tra etica e tecnica per un principio di dignità ancora attuale
COSIMO NICOLINI COEN
Scienza e tecnica medica: quale rapporto con la norma? Alcuni spunti di
riflessione a partire dalla normativa ebraica in bioetica
ANNA DI GIANDOMENICO E GIANLUIGI FIORIGLIO
Le prospettive della medicina di precisione e della medicina delle “scatole
nere” fra bioetica e diritto, dentro e oltre l’Europa
GIANLUCA SARDI
I confini del diritto di libertà individuale, con particolare riguardo al tema
della crionica
PAOLO SOMMAGGIO E MARCO MAZZOCCA
Libertà Cognitiva: tra regole e diritti
LEONARDO NEPI
Il consenso informato alla ricerca clinica traslazionale: aspetti etici e
giuridici
DANIELE RUGGIU
Negoziare l’innegoziabile: Responsible Research and Innovation,
partecipazione e vulnerabilità
SCIENZA E TECNOLOGIA – III:
RIVOLUZIONE DIGITALE, ETICA E DIRITTO
FEDERICO COSTANTINI
“Inaction is not an option”. Intelligenza artificiale, diritto e società nella
prospettiva dell’Unione Europea
FERNANDA FAINI
I profili giuridici dell’intelligenza artificiale nella pubblica amministrazione
GUGLIELMO FEIS
Blockchain Paradox: un caso di conflitto tra tecnologia e normative
europee in materia di trattamento dei dati personali (2016/679 e 2016/680)?
LETIZIA MINGARDO
Il lavoro nell’era digitale: sfide giuridiche, esigenze etiche, necessità
formative
EMIL MAZZOLENI
Come sposare un essere virtuale
MICHELE FERRAZZANO
L’informatica forense nella ricostruzione di incidenti stradali: dai veicoli a
guida umana all’autonomous driving
SILVIO BOLOGNINI
L’Urban Living Lab come sub-paradigma della “città intelligente” nella sua
versione evoluta di “human smart city”: limiti e ombre del nuovo
protagonismo del cittadino
SOLIDARIETÀ E SUSSIDIARIETÀ
INTRODUZIONE
Alberto Andronico e Nello Preterossi
GIOVANNI BOMBELLI
Solidarietà e sussidiarietà. Modello italiano vs modello europeo?
PAOLA CHIARELLA
Navigando a vista su zattere di pietra: la crisi della solidarietà nell’Unione
Europea
CHRISTIAN CROCETTA
Sussidiarietà e solidarietà: un rapporto direttamente proporzionale a favore
della comunità?
NICOLA DIMITRI
Il paradigma della fraternità e la crisi del legame sociale europeo
ALESSIO LO GIUDICE
Un nuovo pensiero sull’Europa: oltre i principi economici originari
ROBERTO LUPPI
La virtù rawlsiana per eccellenza: il senso di giustizia
RAFFAELE MAIONE
Solidarietà e sussidiarietà: prospettive per una nuova democrazia
partecipata
GIUSEPPE MICCIARELLI
Il triangolo necessario: sussidiarietà, beni comuni e solidarietà.
SALVATORE TARANTO
Argomenti per una confederazione europea
DANTE VALITUTTI
Sussidiarietà e solidarietà nel diritto penale contemporaneo. Il “non detto”
della privatizzazione neoliberale
ANTONIO VERNACOTOLA GUALTIERI D’OCRE
Il principio di sussidiarietà tra genesi filosofica, sistematicità del diritto e
“modernità liquida”
SILVIA ZULLO
Il paradigma della vulnerabilità e il tentativo di avviare un nuovo discorso
sulla giustizia sociale
IDENTITÀ E CITTADINANZA
INTRODUZIONE
Luisa Avitabile e Maurizio Manzin
FRANCESCO BELVISI
Identità, cittadinanza e diritto alla differenza
ANGELA CONDELLO
Diritto, identità e conflitti nello spazio europeo
CHRISTIAN CROCETTA
Identità/Cittadinanza: confini di misconoscimento, possibilità di
riconoscimento
VALERIO DE FELICE
Identità, individuazione e diritto a partire da Leibniz
CHIARA DI MARCO
La cittadinanza: articolazione e disarticolazione di un concetto
ANDREA FAVARO
La pretesa di neutralità del potere: il diritto di cittadinanza della dimensione
religiosa
IRENE GALATOLA
Identità e spirito europeo in Gustav Radbruch
MARIALUISA INNOCENZI
Identità e cittadinanza. Alcune riflessioni a partire dall’opera di JeanJacques Rousseau
BEATRICE LEUCADITO
Europa: la ricerca del giusto di una comunità come unità
CIRO PALUMBO
Europa: persona, Stato e diritto
GIOVANNA PETROCCO
Il diritto all’identità del cittadino digitale
GUIDO SARACENI
I ghetti: meccanismi ambigui di (auto)segregazione
PIER FRANCESCO SAVONA
Demos e diritti nella teoria gius-politica di Seyla Benhabib
GIUSEPPE MICCIARELLI
Il triangolo necessario: sussidiarietà, beni comuni e solidarietà.
Solidarietà e sussidiarietà sono un binomio inscindibile dopo la riforma
del titolo V della Costituzione, che ha introdotto il concetto di sussidiarietà
orizzontale all’art. 118 uc. Si è così riconosciuto, al rango costituzionale,
non una generica promozione dell’autonoma iniziativa dei cittadini, ma un
potere di azione privilegiato, a singoli ed associati, per lo svolgimento di
attività di interesse generale (Arena 1997). La sussidiarietà prometteva di
avere una «portata dirompente (…) equiparabile a quella della separazione
dei poteri», tale da farne «un’idea forte del costituzionalismo
contemporaneo» (D’Atena 1997, 609). Se ad oggi simili aspettative
appaiono disattese è forse perché il connubio dei due principi per
corrispondere ad auspici di tale portata doveva trovare un ambito concreto
in cui prendere corpo. La triangolazione con i beni comuni urbani ha fornito
questo spazio di possibilità, ed ha restituito una traduzione normativa al
concetto più generale di beni comuni, tanto evocativo e potente
politicamente quanto ancora indeterminato (Barberis 2013; Pomarici 2012).
Il terreno di traduzione normativa più avanzato dei beni comuni è oggi
rappresentato da regolamenti, linee guida, delibere di enti locali, leggi
regionali che agevolano riuso degli spazi abbandonati da parte di comunità
di cittadini. Questi si muovono su almeno due sentieri teorici, che
certamente si intersecano, ma che possono essere collocati su due orizzonti
parzialmente diversi: uno “dal basso verso l’alto”, maggiormente orientato
ad esaltare il concetto di autogoverno delle comunità di riferimento e la
creazioni di “nuove istituzioni” (Capone 2016; Magnaghi 2006; Micciarelli
2018); l’altro “dall’alto verso il basso” che, partendo dall’elaborazione del
concetto di amministrazione condivisa, ruota invece intorno alla
stipulazione di “patti di condivisione” tra i rappresentanti degli enti locali e
gruppi di “cittadini attivi”, costituiti in soggetti giuridici di stampo
associativo (Arena 2006, Iaione 2015). In questo saggio ci concentreremo
su questo secondo filone, in cui è più esplicito il legame col concetto di
sussidiarietà, che ha anche contribuito a teorizzare.
Nella vasta letteratura di riferimento sui beni comuni urbani si può
individuare un elemento condiviso e decisivo, sia che si provi a sviluppare
il framework di Ostrom (Foster 2013), sia che si agisca su un piano più
“politico”, che esalta il valore della cooperazione sociale innescata dai
processi di commoning (Borch e Kornberger; Dardot e Laval 2015; Negri e
Hardt 2018): un luogo può essere considerato come bene comune urbano
quando una collettività ha la possibilità di gestire la risorsa «in the absence
of government coercion and in the absence of property rights» (Foster, 108).
Sebbene si debba concordare che senza una simile sfera di autonomia non
potremmo parlare di urban commons, questo aspetto evoca uno dei
problemi principali dell’intero discorso: il rapporto tra pubblico e privato. A
nostro avviso, la creazione e partecipazione di una “comunità di
riferimento” si muove in un interstizio giuridico differente, ma non
indifferente, rispetto al pubblico e al privato.
“L’assenza dei diritti di proprietà”, di cui parla Foster, nello spazio urbano
non equivale certo alla presenza di res nullius, ma si materializza nello stato
di abbandono o sottoutilizzo degli “ex luoghi”: capannoni in disuso, ex
fabbriche dismesse, ex ospedali, ex conventi, negozi e magazzini svuotati
dalla crisi economica e tutti quegli edifici e aree che si prestano così a
diventare il palcoscenico di nuove pratiche di cittadinanza (Micciarelli
2017). Questi sono un tipico esempio di beni che di “comune” non
avrebbero in sé e per sé proprio nulla, se non intervenisse la rigenerazione
innescata da gruppi di persone che creando comunità vi organizzano attività
sociali, culturali e di altro tipo. Ma in questi casi, dal punto di vista dell’asse
proprietario, l’assenza è solo temporanea, e corrisponde né più né meno che
al disinteresse del mercato che, per eterogenesi dei fini, proprio la
mobilitazione civica può risvegliare. Nella loro declinazione pratica, infatti,
i patti di condivisione sono delle forme di “riuso temporaneo” di breve
durata1. Se vogliamo fare una proiezione dei loro effetti nel tempo si può
suggerire una similitudine: la rigenerazione spontanea di artisti che, con
comodati d’uso agevolati e squat hanno trasformato Kreuzberg, a Berlino,
in un quartiere bohemien culturalmente in fermento, agevolando nell’arco
di un decennio un altissimo tasso di gentrificazione (Bader e Bialluch
2009). Il problema è quindi duplice: non solo adottare strumenti per
sconfiggere il degrado in cui versano intere aree urbane, ma anche
interrogarsi su come stabilizzare quel movimento di risveglio sociale che ne
è il vero protagonista, il cui destino invece è troppo spesso quello di essere
spazzato via dalla valorizzazione immobiliare che ha innescato. Come si sa,
l’economia di mercato non mostra alcuna riconoscenza.
Molti di questi beni fanno riferimento alla proprietà pubblica e ciò
significa che piuttosto che un’assenza delle prerogative autoritative dello
Stato, l’azione collettiva di beni rivendicati come comuni agisce in un
regime di loro attenuamento. Una ritirata che si può spiegare anche con le
condizioni in cui versa la finanza pubblica, in particolare degli enti locali,
che nel combinato disposto di politiche di austerity, taglio dei trasferimenti
e nuovi criteri di “armonizzazione contabile” è sempre più incapace di
programmare e investire sul proprio patrimonio (Marotta 2013).
È a questo scenario di depauperamento del ruolo e delle risorse pubbliche
cui provano a supplire le pratiche “cittadinanza insorgente” di giovani,
disoccupati, migranti, comunità di abitanti dei quartieri poveri e attivisti
(Negri-Hard 2010; Holtson 2008; Stavrides 2012). Così molti ex luoghi
diventano nodi di scambio per reti di altra economia, mutualismo, forme di
lavoro collaborative e legate all’autoproduzione. I beni comuni entrano
allora in conflitto non solo con la logica della proprietà, ma anche con
quella di numerosi altri piani normativi, che sono pensati per il mondo delle
imprese e dei servizi pubblici piuttosto che per quello della cittadinanza
attiva. In questo senso il commoning si muove in interstizi di tolleranza
propri dell’economia informale (Sassen 1997, Bellanca 2008),
«generalmente tollerate da molti governi, in contraddizione con il dovere di
applicare la legge» (Portes e Haller 2005, 404). Un piano che però resta
fragile, rispetto ai dispositivi delle zones franches urbanes regolate da
regimi normativi differenziati che prevedono deroghe fiscali, urbanistiche o
di altra natura allo scopo di favorire lo sviluppo economico e sociale di
quartieri e aree urbane caratterizzate da disagio sociale, economico ed
occupazionale.
Lo sforzo dei teorici della sussidiarietà si è mosso seriamente in questo
campo allo scopo di rimuovere quell’«autentico nido di vipere» di cui era
composto l’antiquato panorama amministrativo italiano, che ostacola
l’emersione formale di tali processi (Benvenuti 1994). Il caso emblematico
dell’amministrazione condivisa è quello del cittadino che vorrebbe abbellire
un piccolo spazio verde e che, in assenza di una specifica normazione,
rischierebbe di essere multato anche solo per aver piantato dei fiori in
un’aiuola rinsecchita vicino la propria abitazione. È ovviamente un
paradosso, sebbene prima di gridare allo scandalo si dovrebbe convenire
che tali divieti non sono il frutto, almeno non solo, di una perversione
squisitamente kafkiana della nostra burocrazia. Un solerte cittadino
potrebbe anche piantare alberi infestati da parassiti o malattie contagiose,
farlo in modo tale che i rami rischino di ostacolare la circolazione stradale,
scegliere piante altamente allergeniche in aree densamente abitate oppure
semplicemente, e al di là delle migliori intenzioni, deturpare il paesaggio
urbano della zona. Il vero problema è allora chi sia investito, con quali
autorità, competenze e garanzie, di decisioni che hanno rilievo sull’interesse
generale. È questa la chiave per capire la potenzialità dirompente del tema
che stiamo affrontando, e anche i suoi tranelli.
Per uscire da un ruolo passivo, ai cittadini dovrebbe essere data
l’opportunità di essere parte attiva del procedimento amministrativo,
valorizzandone così non solo la buona volontà e lavoro gratuito, ma anche
le competenze diffuse. Questo potrebbe bilanciare quel rapporto
governati/governanti che se da una parte è ineliminabile, dall’altra è
attraversato da residui paternalisti perché cela dietro la generica, e
comunque si badi escludente, espressione di “cittadinanza attiva” le
competenze, intellettuali e di rilievo pratico, che invece la popolazione è in
grado di esprimere come soggetto (auto)governante. «Ciò significa
rovesciare per davvero l’asse verticale lungo il quale quest’ultimo
essenzialmente è stato fin qui concepito, a favore della costruzione di un
asse anche orizzontale» (Schiera 2016, 540).
Questo tipo di orizzontalità e partecipazione necessita un ulteriore salto di
qualità. Malgrado i patti di condivisione abbiano il pregio di essere
teoricamente a geometria variabile2, l’esperienza maturata sul campo
sembra mostrare il ripetersi piuttosto che di un’armoniosa collaborazione,
di un costante braccio di ferro. L’oggetto del contendere sono appunto
quegli oneri e responsabilità che costituiscono il contraltare di un potere
decisionale in cui i cittadini sono ancora visti come privati. Così, nella sua
declinazione pratica, la sussidiarietà entra in gioco solo per l’incapacità del
settore pubblico di assolvere i suoi doveri. Sono questi fattori, e non
un’improvvisa svolta sociale della politica locale, che spiegano le ragioni
della diffusione di una sussidiarietà “strumentale” o “bricolage”
(Mandorino 2015), che definisce la cornice degli obiettivi ben prima della
loro condivisione (Marella 2013).
A dire il vero il problema è affrontato con consapevolezza dagli stessi
teorici della sussidiarietà, che hanno sottolineato che anziché il “ritrarsi” dei
soggetti pubblici, essa richiederebbe un maggior impegno, posto che
semmai l’obiettivo è quello di coinvolgere in simili processi tutte le risorse
disponibili, pubbliche e private (Arena, 2008). Ma il fatto è che tali risorse,
e di conseguenza i poteri decisionali collegati, sono strutturalmente
asimmetrici3, a meno di non parlare di grandi soggetti privati e enti locali
(piccoli o economicamente deboli), nel qual caso i rapporti di forza possono
essere sovvertiti, ma con esiti tutt’altro che favorevoli all’interesse
collettivo.
Come può questa critica evitare, come si suole dire, di essere così
tranchant da gettare via il bambino con l’acqua sporca? Torniamo al
principio. Abbiamo rappresentato beni comuni (Magatti 2012), solidarietà
(Rodotà 2014) e sussidiarietà (Duret 2000; Arena 2015) come un triangolo,
in quanto situazioni caratterizzate da un alto contenuto relazionale. Questa è
la loro forza ed anche il problema della loro traduzione giuridica. Il terzo
lato della solidarietà è quello che può chiudere la nostra geometria. Qui
emerge la critica principale all’impianto dell’amministrazione condivisa: il
suo paradigma è architettato sull’immagine di una società composta da
corpi intermedi già completamente costituiti, dove la sfera di autonomia del
sociale va garantita attraverso una destrutturazione del diritto pubblico.
Possiamo comprenderne bene l’ispirazione seguendo un intelligente
animatore di Labsus, che cita enciclica del Quadrigesimo anno di Pio IX:
«l’autorità pubblica suprema dello Stato rimetta ad associazioni minori e
inferiori il disbrigo degli affari e delle cure di minor momento, dalle quali
essa del resto sarebbe più che mai distratta» (Donati 31). Echeggia allora
l’esperienza, e le rivendicazioni, del terzo settore e di tanta parte
dell’associazionismo, laico e cattolico, che hanno sperimentato negli anni il
complesso, e ambivalente, bilanciamento tra ruolo dello Stato e quelli di
parti organizzate della comunità nel dispiegamento dell’interesse generale.
Così si comprendono anche alcune recenti interpretazioni della sussidiarietà
in senso “circolare” (Cotturri 2003), che sottolinea la co-produzione di
valore sociale grazie al contemporaneo coinvolgimento della sfera pubblica,
delle imprese e della società civile organizzata (Zamagni 2014, 16-17). Si
possono allora muovere le critiche già rivolte al welfare comunitario, che
rischia di presentarsi come sostitutivo di quello universalistico, fornendo un
argomento ideologico e complementare al suo smantellamento (Revelli
1997).
La differenza con quello che è stato chiamato commonfare (Vercellone et
al. 2017, Fumagalli et al. 2018) nelle forme di organizzazione della
solidarietà che confutano attivamente il criterio della concorrenza quale
metro per selezionare le “comunità sussidianti”, evidentemente piuttosto
impermeabili tra loro (Donati 358). Rispetto ad altre importantissime forme
tradizionali di associazionismo e cooperativismo i beni comuni dovrebbero
essere caratterizzati dai principi di uso non esclusivo e di gestione collettiva
e inclusiva. Non solo dunque una valorizzazione dei corpi intermedi già
costituiti, ma anche una loro reciproca ibridazione e formazione di nuovi, in
un processo di commoning retto dal principio cardine della “porta aperta”.
Il freno agli istinti di uso “egoistico” del regime proprietario passa anche
per simili strategie di autolimitazione, che indirizzandosi ai doveri di
solidarietà a favore di una collettività più ampia (Chirulli 2013) dà corpo a
forme di mutualismo solidale (Cannavò 2014). Piuttosto che erogatori di
servizi i beni comuni sono snodi sociali che forniscono strumenti per
praticare diritti fondamentali e non solo rivendicarli (Amendola 2016).
Questa capacità generativa di legami e relazioni è uno dei segreti dei beni
comuni, colto con acuta sensibilità da un grande giurista del nostro tempo,
di cui nel prossimo futuro sentiremo ancor più la mancanza: «questa è la
sfida che abbiamo di fronte: come noi oggi definiamo noi stessi attraverso
non una identità che ci oppone agli altri, ma attraverso la definizione di una
identità che ci metta in relazione con gli altri. Cioè dobbiamo pensare
l’identità come sistema relazionale e non come sistema divisivo (…) La
categoria dei beni comuni ha uno spiccato carattere relazionale, produce
legami sociali, attribuisce rilevanza primaria al principio di solidarietà.
Anzi, i beni comuni si presentano sempre più nettamente come una vera e
propria istituzione della solidarietà» (Rodotà 2019).
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Come si può constatare dalla lettura dei patti siglati nel Comune di Bologna, archetipo del modello:
http://partecipa.comune.bologna.it/patti-di-collaborazione/elenco
1
Lasciando cioè la possibilità di differenziare caso per caso un parte del riparto delle competenze tra
amministrazione e organizzazioni civiche.
2
Un discorso per certi versi similare a quello della presunta orizzontalità della governance (Tucci
2012)
3