CATALOGO DELLE OPERE
11.
Giovanni de Fondulis
(Crema, 1435 ca. – Padova, ante 1491)
Madonna col Bambino in trono
terracotta, 56×116×46 cm
circa 1474
Pozzonovo, chiesa della Natività di Maria
Il primo momento in cui è possibile rintracciare
presso la parrocchiale di Pozzonovo questa scultura, una Madonna col Bambino in trono affiancato
da due impacciati putti, è il 13 maggio 1643, allorché il prevosto Giovanni Antonio Paselli, nel
rendere conto alla Curia Vescovile di Padova del
proprio operato, dello stato della parrocchia e dei
beni da essa posseduti, cita tra questi una «Madona di relievo del Rosario coronata di corona
d’argento con il Putin in braço coronato d’argento
con perusini d’oro al collo, et con velo dorato in
testa» (ASDPd, Visitationes, XXIV, 183). Per nostra sfortuna, non mostrano la stessa diligenza i redattori delle visite pastorali anteriori (e posteriori,
anche) che si concentrano anzitutto su questioni
di ordinaria amministrazione e nell’inventariare
oggetti liturgici d’uso più spicciolo. Si possono comunque inseguire alcuni riferimenti indiretti attraverso le voci del dovizioso corredo di veli, monili e diademi della scultura, via via arricchitosi nel
tempo, e incontrare «tre vesti per la Madonna»
registrate circa sessant’anni prima, nell’agosto del
1585 (ASDPd, Inventariorum, XIV, Pozzonovo);
sempre su questa pista, ma stavolta prestando attenzione alle dedicazioni degli altari e avanzando
solo delle ipotesi, si compie un ultimo per quanto
brevissimo passo indietro fino al 1582, quando,
nel primitivo edificio, a «banda sinistra dell’altare
maggiore» ne è attestato uno intitolato appunto
alla Madonna del Rosario (ASDPd, Visitationes,
X, 150); posizione, questa, conservata dall’altare
che attualmente ospita la scultura, nonostante i
rifacimenti sette e ottocenteschi dell’edificio. Oltre a queste poche notizie, assai distanti nel tempo
dal secolo cui essa evidentemente appartiene, non
sono stati scovati ulteriori indizi che possano ve-
rificare il suo insistere sull’altare maggiore in un
momento imprecisato del XVI secolo (cfr. Ericani, in Pisanello. I luoghi del gotico internazionale
1996, p. 222).
Il primo, o meglio, l’unico a menzionare la Madonna di Pozzonovo, al di fuori dei faldoni diocesani, è il noto erudito patavino Andrea Gloria
nel suo ambizioso Il Territorio Padovano Illustrato,
dove la rammenta come «una bona statuetta de
terracotta» quale unica testimonianza artistica di
rilievo, al pari di un elegante organo, nella parrocchia (Gloria 1862, p. 163). Cade poi su di essa un
oblio ininterrotto lungo oltre un secolo, conclusosi solo grazie alla capillare ricognizione dei frammenti di Gotico Internazionale in territorio veneto che precedette l’indimenticabile esposizione
su Pisanello nel 1996, a Verona. In questa sede la
scultura emergeva all’attenzione della critica con
una proposta attributiva a un allievo di Donatello,
il fiorentino Nanni di Bartolo, detto il Rosso. A sostegno Giuliana Ericani (Ericani 1996, pp. 33-34;
Ead. in Pisanello. I luoghi del gotico internazionale 1996, p. 222-223), cui si deve il riferimento, allestiva un’incalzante serie di confronti con
alcuni dei più evocativi brani di quello scultore,
dai putti reggi cortina e l’angelo scoperchiante il
sepolcro nel monumento veronese a Nicolò Brenzoni, all’infante conteso nel gruppo del Giudizio
di re Salomone sull’angolo nord-ovest di Palazzo
Ducale, sino alle due Madonne col Bambino in
terracotta, una, assai celebre, presso il convento
di Ognissanti a Firenze, l’altra ad Arezzo, in Santa
Maria della Pieve (in verità opera di un seguace,
cfr. Galli 2008, pp. 210-213), confronti che parvero tanto convincenti da indurre gli studiosi successivi ad annoverare la Madonna di Pozzonovo tra
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LA SCULTURA DI TERRACOTTA
le maggiori attestazioni fittili del fiorentino fuor di
Toscana, assieme all’arca pensile del beato Pacifico ai Frari di Venezia (Ferretti 1997, p. 110, nota
13; Della Bella 2001, p. 703; Gentilini 2004, p.
42; Vinco 2012, p. 122, nota 18; Id. 2013, p. 110,
nota 5). Una voce di reciso dissenso fu tuttavia
quella di Anne Markham Schulz, l’unica a non
riscontrare «any resemblance in either its rendering of drapery or its facial types to Nanni’s more
certain works» (Markham Schulz 2012, p. 170).
È infatti sulla scorta di quanto asserito dalla studiosa americana e di una riconsiderazione complessiva dei raffronti apparecchiati dalla Ericani, a
ben guardare non risolutivi, che l’ipotesi in favore
del fiorentino mostra tutta la sua insostenibilità.
Al contrario, gli scoperti accenti donatelliani, da
intendere nella declinazione padovana e non in
quella fiorentina dei primi anni venti, così come
l’energia profusa nel modellare panneggi e articolazioni, nell’eccitare il piccolo Gesù a divincolarsi
e contorcersi, nonché il particolare della mano
che ne avvinghia il corpo, come fosse affetta «da
una particolare artrosi metacarpale», sono tutte sigle inconfondibili del cremasco Giovanni de Fondulis (Civettini 2018, p. 170).
C’è da dire che le corpose ridipinture e la smodata
fantasia cromatica con cui la Madonna si presentava non agevolavano la lettura dei passaggi più
notevoli, risultando in un certo modo quasi scostante. Il suo fascino e la non comune qualità, percettibili in ogni caso al di sotto delle parti posticce, sono stati infine riportati alla luce dal recente
restauro, eseguito grazie all’opportunità offertaci
da questa mostra. Tale intervento ha permesso di
recuperare una policromia antica, sebbene non
quella originale, probabilmente seicentesca, e di
appurare l’estensione di alcune integrazioni in
gesso che hanno mutato il gioco del velo sul lato
sinistro, coprendo una larga porzione del collo,
e dato maggior spessore alle ciocche di cappelli.
La particolare forma assunta in questo modo dalla testa, più rigonfia in prossimità delle tempie, è
forse da intendere volta alla creazione di una base
d’appoggio ai preziosi diademi testé menzionati:
una soluzione nata sul momento, da esigenze devozionali, come la grossolanità del gesso parrebbe
confermare. Il disegno originale del velo doveva
pertanto ripetere quasi alla perfezione quello enfiato della Madonna col Bambino del Bode Museum di Berlino, con cui, oltretutto, la terracotta
condivide le affinità più stringenti, tanto da farle
ritenere eseguite ad assai breve distanza.
A differenza dell’esemplare tedesco però, tra i vertici innegabili nell’intero catalogo del de Fondulis, quello a Pozzonovo è stato modellato in maniera approssimativa e veloce, come appare evidente nel retro grezzo, ma anche in alcuni errori
di modellato, in particolare l’occhio sinistro della
Vergine più socchiuso rispetto all’altro, e dettagli
resi con un solco più greve e meno controllato; né
va dimenticata la presenza di profonde crepe visibili nello scavo retrostante, createsi con tutta probabilità in fase di cottura sia per l’eccessivo spessore del materiale che per un’asciugatura dell’argilla
imperfetta. Ciò ha comportato una certa fragilità
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nelle parti di poco spessore, addirittura foratesi in
alcuni punti, e delle rotture nella parte posteriore
e inferiore della seduta, che hanno privato i due
puttini di un piede ciascuno. Neppure il Bambin
Gesù è rimasto immune da qualche menomazione: alcune falangi del piede sinistro e due dita
della mano destra, oltre alle stesse pudende, forse scalpellate in epoca controriformistica. Questi
riscontri spingono dunque a riflettere sulla destinazione originaria della scultura, che non dovette
essere particolarmente prestigiosa né tantomeno
parte di un complesso molto articolato ed esteso,
ma forse una nicchia, o un altare addossato alla
parete. È possibile che ornasse un altare di una
chiesa patavina di minor importanza ovvero di
qualche pieve della provincia, e che raggiungesse
Pozzonovo solo in un secondo tempo, nel corso
del XVI secolo, ma non è neppure da escludere
l’ipotesi che nascesse fin dall’inizio per la sua sede attuale, sebbene manchino prove determinanti in entrambe le direzioni, come s’è visto. Sono
in effetti ben noti i rapporti dell’artista con Este,
per la cui Santa Maria delle Grazie eseguì quasi l’intero impianto decorativo a partire dal 1469,
e Monselice, paese natale del responsabile della
commissione atestina, distanti al massimo una decina di chilometri; il raggio d’azione di Giovanni
fu ciononostante molto più ampio, a tal punto che
pochi anni dopo, nel 1474, toccò persino Bassano
del Grappa e il Vicentino.
Verso questo secondo termine cronologico spinge
con forza la disinvolta articolazione delle figure
e del rapsodico panneggio – di continuo strizzato, ammaccato, sciolto, ammucchiato – presentandoci un artista ormai padrone di una sintesi
formale e di un lessico, quello donatelliano, fatti
indissolubilmente propri. Di qui all’espressionismo caricato e al sorprendente realismo del
dossale bassanese e dei contemporanei Santi di
Budapest, scattanti di lato al pari dei due protagonisti di Pozzonovo, paiono difatti correre davvero pochi solchi di stecca. Negli anni successivi
il cremasco, gettatesi definitivamente alle spalle
le ultime inflessioni lombarde, punterà invece a
temperare il suo stile teso, ritorto, profondamente scavato, e a conseguire una retorica più classicheggiante e misurata, di cui si fanno portavoce
le tre statue del Vescovado. Punto di arrivo di
questo percorso, non ancora avviato nelle Ma-
donne di Pozzonovo e Berlino, e indice del suo
apprezzamento a Padova sarà la partecipazione,
infine deludente, alla gara indetta nel 1484 per i
rilievi bronzei del coro al Santo, che eleverà definitivamente il de Fondulis tra gli artisti di punta
della scena artistica padovana, e lo collocherà tra
le necessarie premesse, accanto al Bellano, agli
sviluppi del secolo successivo.
Davide Civettini
Bibliografia: Gloria 1862, p. 163; Ericani 1996, pp.
334-35; Ead. in Pisanello. I luoghi del gotico internazionale 1996, pp. 222-223; Ferretti 1997, p. 110, nota 13; Della Bella 2001, p. 703; Gentilini 2004, p. 42;
Markham Schulz 2012, p. 170; Vinco 2012, p. 122, nota 18; Id. 2013, p. 110, nota 5; Civettini (2018) 2019,
pp. 170-179; Scansani (2018) 2019, p. 185, nota 211.
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