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Letizia Francesca Gilardino Matricola 302532 Corso di Laurea Magistrale in Comunicazione e Culture dei Media Anno Accademico 2010/2011 Semiotica dei Consumi Il senso del low cost nell’abbigliamento. I nuovi modelli di consumo al di là dei valori economici La presente relazione parte da una domanda piuttosto ingenua, ma fondamentale. Come spiegare l’enorme successo che riscontrano ultimamente le grandi catene dell’abbigliamento low cost? Cosa guida, oltre ai valori economici, il successo di tale tipo di offerta? La crisi del 2008 non è stata determinante per l’affermarsi del modello del low cost, in quanto la razionalizzazione dei consumi è un processo che si è innescato a partire da qualche anno. Tuttavia, la relazione fra un nuovo tipo di consumo e lo stato di recessione c’è e perciò deve essere considerata. Vanni Codeluppi, mettendo in relazione l’ultima crisi economica ed i nuovi modelli di consumo “più razionale” evidenzia il fatto che il consumatore contemporaneo è un soggetto maturo già a partire dagli anni Ottanta: A partire dal 2008, l’economia mondiale è entrata in una fase di tipo recessivo. Ciò ha determinato delle ripercussioni sugli atteggiamenti e sui comportamenti dei consumatori, che hanno cominciato a preoccuparsi per il futuro e a limitare, di conseguenza, i loro consumi. Va considerato, però, che, per quanto riguarda l’Occidente e l’Italia, l’andamento dei consumi è stazionario da diversi anni. A eccezione dei settori in grado di offrire reali innovazioni (come l’elettronica di consumo), la maggior parte dei prodotti ha a che fare dalla fine degli anni Ottanta con un consumatore maturo, che si trova a vivere in una condizione di “iperscelta” ed è, pertanto, poco sensibile alle proposte d’acquisto che gli vengono formulate. Un consumatore, dunque, che compera soprattutto per mantenere il suo standard di vita e il proprio livello di benessere (Codeluppi, Nuove tendenze di consumo, Consumatori, diritti e mercato n3/2010). Una razionalità trentennale che porta l’individuo a non essere più affascinato dalle merci e dunque a non intrattenere con esse un rapporto di tipo feticistico; un consumatore che si trova in una situazione in cui la scelta è molteplice e pertanto più vicina ai suoi bisogni e desideri. Il consumatore contemporaneo si presenta come individuo cosciente e attento a ciò che offre il mercato. Le situazioni di crisi innescano comportamenti di consumo più economicamente razionali, ovvero legati alla massimizzazione del proprio potere d’acquisto: sembra dunque che in un contesto simile, le persone debbano tornare alla parsimonia che caratterizza la modernità, ad un’etica del risparmio e del lavoro, dove i valori d’uso sono ancora la dimensione più importante riconosciuta al bene acquistato. Tuttavia, si deve considerare che il mantenimento del tenore di vita è centrale per l’individuo che vuole mantenere una certa posizione nella società. È doloroso dover rinunciare pubblicamente a beni connotati socialmente, distintivi di una certa classe. Se il consumatore percepisce le proprie risorse come insufficienti per mantenere o per adeguare il proprio tenore di vita a quelli che ritiene standard difficilmente rinunciabili, oggi può tentare le molte strade che il mercato ed il sistema distributivo gli mettono a disposizione. La crisi ha accentuato questa situazione, probabilmente spingendo una parte dei consumatori a passare da tentativi di superare difficoltà, percepite come temporanee, a modifiche stabili dei propri comportamenti in modo da adattarsi a un mutamento di scenario di medio - lungo termine. Nell’articolo Sistema distributivo, recessione e comportamenti di consumo di Luca Pellegrini (Consumatori, diritti e mercato n3/2010) vengono indicate le strategie di difesa del tenore di vita e del potere d’acquisto messi in atto dal consumatore che sta vivendo la crisi economica: Ricerca di occasioni di acquisto a prezzi scontati di un dato prodotto: il consumatore cerca con maggiore attenzione la possibilità di acquistare un dato prodotto (marca) quando è offerto in promozione (risposta di breve periodo); Posticipazione della spesa: reazione classica nei momenti di crisi, il consumatore è portato a posticipare l’acquisto di beni durevoli e semidurevoli di cui è possibile estendere la vita utile senza dover fare una grande rinuncia; Modifica del canale di acquisto di un dato prodotto: il consumatore decide di utilizzare canali a basso servizio, che consentono di ottenere il bene cercato a un prezzo più conveniente. Gli effetti sono di natura congiunturale se il consumatore si limita a cercare gli stessi prodotti (marche) in canali che li offrono a prezzi più bassi, ma possono diventare strutturali se oltre al canale si sostituisce anche la marca, con una stabile alterazione delle preferenze di acquisto. Modifica della tipologia di prodotto: il consumatore modifica la tipologia di marca acquistata per ottenere un risparmio, ma ciò ha un effetto anche sui valori immateriali che il consumatore assegna ai prodotti. Se il cambiamento della tipologia di marca viene vissuto come adattamento temporaneo, non ci sono effetti strutturali sul sistema di offerta, se invece diventa stabile, perché nasce da una modifica delle preferenze per marca, gli effetti ci sono e sono rilevanti. Ridefinizione delle priorità di spesa per grandi categorie di consumo: si riorganizzano le proprie priorità e si ripensano gli equilibri fra l’importanza da assegnare alle diverse categorie di beni e servizi. Pellegrini sottolinea inoltre che “Il consumatore italiano vive ormai da molti anni una situazione di difficoltà che la crisi del 2008 -2009 ha solo accentuato”. L’impressione che si può trarre dai comportamenti del consumatore è che l’ultima crisi economica lo abbia convinto a muoversi da strategie di difesa di breve durata (le prime due e, in parte, la terza), a strategie che implicano mutamenti stabili (la terza, la quarta e, in particolare, la quinta, che influenza a ritroso il senso di tutte le altre). Se così fosse, le implicazioni saranno strutturali e incideranno stabilmente sugli equilibri sia della distribuzione sia dell’industria” (ibidem). Negli articoli appena citati, sembra quindi che la crisi economica degli ultimi anni metta in risalto un processo di sconvolgimento – lento, ma strutturale – dei modelli di consumo iniziato negli anni Ottanta, che ha per risultato un consumatore cosciente di quali siano le sue modalità d’acquisto, i valori che ricerca negli oggetti e la rilevanza sociale di questi ultimi. Al di là dei valori economici e dei comportamenti di massimizzazione del reddito, si devono anche prendere in considerazione le conseguenze nel cambiamento di percezione del consumo e dei prodotti. Si è detto che per il consumatore è fondamentale il mantenimento del tenore di vita: se la recessione ostacola questo desiderio di mantenere una determinata posizione sociale, il consumatore adotta nuovi stili di consumo. Il sistema dei valori dunque cambia e diventa più elastico, adattandosi alla nuova situazione e cercando soluzioni che non siano percepite come drastiche o dolorose. Il low cost Il low cost è una delle soluzioni che si affacciano al soggetto che non è più disposto a spendere un determinato prezzo per un bene, ma che comunque desidera comprare. Il low cost consiste nella decisione, da parte di un’impresa, di perseguire una leadership di costo all’interno del settore in cui opera. Basso costo significa democratizzazione dei consumi (tutti possono accedere a determinati beni). In generale, il low cost fa leva su: Abbassamento dei prezzi; Innalzamento della propensione al consumo; Rinnovamento incalzante del desiderio del consumatore; Offerta di beni meno costosi; Acquisti più frequenti; Moltiplicazione delle esperienze di consumo. Come si può notare, il low cost si basa sì su una razionalità economica, ma allo stesso tempo fa del prezzo basso la chiave d’accesso ad un modo di consumare non più razionale: da un consumo di tipo pratico - critico si passa magicamente ad un consumo di tipo mitico - ludico. Ecco che compare la contraddizione: perché cercare oggetti meno cari e comprarne di più? Perché accumulare oggetti e non risparmiare denaro? Il low cost spinge ad avere più occasioni di consumo, ovvero più esperienze non solo con gli oggetti, ma anche con il punto vendita, con la marca e con gli altri che, come noi, acquistano. Tutte queste pratiche e queste esperienze hanno a che fare con l’ambito sociale e identitario e si discostano dall’ambito economico. Una strategia di prezzo comporta una trasformazione di una rete di relazioni: tra il consumatore ed il punto vendita; tra il consumatore e la marca; tra il consumatore e i prodotti che compra; tra il consumatore e gli altri consumatori come lui. La moltiplicazione degli oggetti permette al consumatore una personalizzazione delle scelte d’acquisto (ovvero acquisti più aderenti ai suoi desideri): l’iperscelta dà l’opportunità di trovare l’oggetto che maggiormente aderisce ai propri desideri. Accanto alla possibilità di personalizzazione delle proprie scelte di consumo, il soggetto si trova vittima di un’attivazione costante dei meccanismi di desiderio da parte dell’azienda. Le case d’abbigliamento low cost sono infatti abilissime nell’allestire in poco tempo nuove collezioni, proponendo in modo incalzante sempre nuovi oggetti ed attivando la logica del fast fashion. La moda è sempre un campo in tensione. Lo stress dei desideri è un’altra delle chiavi del successo di tali aziende. La logica economico-razionale si allontana così dal low cost, per far posto ad una razionalità diversa, che vede nelle esperienze, nei desideri, nella socialità e nella soggettività delle scelte il suo fondamento. Perciò, il low cost non può essere considerato unicamente come una scelta economicamente conveniente, ma per studiarlo bisogna tenere in conto quel che comporta vendere un oggetto a basso prezzo. Abbigliamento Prima di comprendere più da vicino le logiche del low cost desidero soffermarmi sull’abbigliamento, ambito fondamentale in cui il Soggetto costruisce il proprio apparire sociale. Il modello di consumo nell’ambito dell’abbigliamento che si sta affermando non è riconducibile ai valori dell’utilità, ma nemmeno, d’altra parte, riconducibile soltanto a valori utopici e ludici. Si assiste piuttosto ad un’ibridazione tra i due modelli. Lo scopo finale del consumo è la conquista dell’identità e l’affermazione sociale: il singolo ricerca nel consumo la sanzione del suo Io da parte della collettività. Tale ricerca è segnata da passaggi piuttosto razionali: i valori economici vengono tenuti in conto accanto ai valori emotivi e sociali. Il consumo low cost è emblema di questa logica. Democratizzazione del consumo significa anche democratizzazione dell’identità: il consumatore ha accesso a diversi tipi di beni cui nella normalità non può accedere. Chiunque entri all’interno di un ambiente comunicativo lo fa presentandosi attraverso una certa esteriorità conforme al ruolo che sceglie di assumere, che gli viene assegnato o richiesto. Le situazioni comunicative – e più in generale le situazioni sociali – sono situazioni sceniche: chi si trova sulla scena ha una certa faccia da mantenere e da non perdere. L’Io che si espone al pubblico è un altro Io, mai perfettamente aderente all’identità, ma frutto di un compromesso fra ciò che sono realmente e ciò che mi è richiesto di essere dalla collettività. Il comunicatore deve essere adeguato al personaggio (ruolo) assegnatogli dalla situazione comunicativa. La nostra esteriorità si modella dunque in relazione ad un ruolo e ad un contesto specifico. Con la comunicazione si costruisce un Io sociale che viene comunicato all’esterno: è la dimensione fisica dell’apparire che sottostà all’assunzione di certi modelli socialmente pre-confezionati. La faccia – intesa come apparenza sociale – è allora un oggetto sociale: è un’apparenza, una costruzione sociale variabile nel tempo e nello spazio, dipendente dalle singole culture. L’abbigliamento svolge proprio questa funzione di rappresentazione dell’apparenza sociale. Decidere di acquistare un abito è tutta una questione di apparire ed essere, di voler apparire o di voler essere. Con l’abito giusto si fa apparire chi si è o chi si vuole essere: l’abito migliore è quello che permette la maggior aderenza fra essere e apparire. Verità Essere Sembrare Segreto Menzogna Non Sembrare Non Essere Falsità L’aderenza fra essere e apparire, però, non può mai essere totale, a meno che l’individuo non si appiattisca del tutto alla collettività e si omologhi completamente agli altri. Tra l’essere e il sembrare infatti c’è sempre una frattura, che è quella che separa l’individuo dalla società. Vestirsi in un certo modo significa voler dimostrare di essere una certa persona, ovvero assumere un determinato ruolo sociale. L’abito assume la funzione di dimostrazione della propria identità – o l’identità che si vuole assumere. Ipoteticamente, con il low cost, il Soggetto ha maggiori possibilità di apparire come desidera: così, i valori di base tipici dei prodotti di moda si aggiungono ai valori economici. Si deve ricordare, inoltre, che le case d’abbigliamento low cost stimolano e suggeriscono la personalizzazione degli oggetti da parte del soggetto: differenti stili interni ad una collezione o vere e proprie sottomarche della casa, collezioni rinnovate costantemente e collaborazioni con grandi stilisti di culto sono le mosse che il low cost attiva per potersi avvicinare al cliente, il quale si trova di fronte ad una vastità di oggetti non solo convenienti e alla moda, ma anche rivestiti di un valore mitico. Le mode cambiano velocemente: ciò significa una continua rinnovazione non solo del proprio guardaroba, ma anche del proprio apparire sociale. Comprare vestiti va oltre all’assunzione di atteggiamenti di tipo estetico, oltre all’affermazione del proprio status e della propria posizione sociale. I fenomeni di consumo non hanno più solo valore sociale ed economico, ma sono importanti al livello del senso: il consumo è un agire sociale dotato di senso (Weber), ma è anche un modo di conferire senso (Weblen). I consumi non servono solo per comunicare il proprio status, ma la propria identità: valori, stati d’animo, emozioni, segnalare appartenenza a gruppi o distinguersi, dimostrare la propria competenza. L’abbigliamento è il tipico oggetto atto ad indicare la propria identità, non solo l’appartenenza ad un gruppo o ad una classe sociale. L’abito fa la differenza, è il volto che si affaccia agli altri che ha il compito di presentare Noi stessi. Determinate circostanze richiedono un abito particolare e dunque un certo modo di apparire e di presentarsi al mondo. In questi casi è la collettività a decidere come l’Io deve porsi nei suoi confronti. Nella vita quotidiana (non tenendo presente gli ambienti di lavoro) è invece più facile che non sia richiesto di assumere un determinato ruolo specifico. In questi casi l’individuo sceglie il vestito che più si adatta alla sua personalità. Low cost e postmodernità Secondo Siri (2001), l’era del post-modernismo è anche l’era del Sé fluido, molteplice. Quella attuale é un’epoca in cui viene meno la centralità dei sistemi ideologici istituzionali che organizzano il senso della vita. Da questa perdita di punti di riferimento stabili emerge la “consapevolezza che la visione del mondo e l’idea di verità non sono ancorabili a metafisiche universali, ma vengono costruite dall’esperienza sociale (culturale, linguistica) storicamente determinata dal contesto specifico di esperienza di ciascun individuo o gruppo sociale” (Siri 2001, 18). Non esistendo più i valori universali che le istituzioni promuovevano, l’identità dell’individuo non ha più la forte coerenza interna che presentava nell’epoca moderna. L’identità è più sfuggevole, indeterminata, flessibile, policentrica. La condizione umana nel post-moderno diventa un trascorrere da un’identificazione all’altra, da un sistema di riferimento all’altro, senza mai farsi ingabbiare in un mondo dato. Nel post-modernismo viene esaltata la flessibilità della persona, la sua capacità di adattarsi a contesti diversi. Esisterebbero molteplici Sé coesistenti – cioè un Sé fluido - , attivati da contesti che chiamano la persona ad assumere un determinato ruolo in una determinata situazione. Oltre a ciò, si evidenzia il fatto che i modelli proposti dai media sono altamente variabili e temporanei: il rinnovamento di sé diviene dunque incalzante e questo è possibile soltanto grazie ad un alto grado di adattamento della propria persona a tutto ciò che è mutevole nella società odierna. Tale adattamento permette di mantenere una certa stabilità interiore: se ad ogni Sé corrispondesse un’identità completa implicherebbe per l’individuo una condizione schizofrenica, ma nella realtà non è così. L’individuo ha un proprio Sé che si adatta al contesto in cui è inserito. Il soggetto che si produce è dunque “decentrato, caratterizzato da un’elevata capacità di esplorazione delle immagini, delle sensazioni immediate e delle esperienze affettive” (Parmiggiani 1997, 140). Tre concetti ulteriori che, diversamente da Siri, non fanno riferimento alla psicologia, emergono da altri studiosi della post-modernità. Sono il tipo “blasè” di Simmel, il consumatore nomade di Maffesoli ed il turista di Bauman. L’identità del soggetto è in queste tre accezioni, concepita molteplice e plasmabile. Per Simmel, il consumatore è privo di "qualcosa di definitivo nel centro dell'anima", e perciò spinto alla ricerca di soddisfazioni momentanee, attraverso stimoli sempre nuovi e intensi, bruciando ogni esperienza. Il nomade post-moderno di Maffesoli concepisce il consumo quale principale ambito di socializzazione alla mobilità del soggetto: egli è un consumatore nomade tra una molteplicità di tribù metropolitane. Non ha una comunità di appartenenza vera e propria, ma aderisce a determinati ruoli/identità a seconda delle esperienze e delle persone con cui le condivide. Il consumo non è importante in sé, né come atto d’acquisto, né come asseconda mento di desideri: il consumo permette la socializzazione. Il turista di Bauman è un consumatore protagonista di un mondo pieno di possibilità e centrato sulla libertà di scelta. Lo shopping è percepito come archetipo della corsa alla quale ogni membro di una società dei consumi partecipa. Identità fluida, esperienza, socializzazione, libertà di scelta: le modalità di consumo richiamate dalla logica del low cost sono emblema dell’agire della post-modernità. Si può notare un parallelo fra le proposte delle case d’abbigliamento low cost e i modelli di consumo (ma anche di vita e in generale i modelli identitari). La post-modernità è caratterizzata maggiormente da emozioni, sentimenti, costumi e magia, a differenza di quella moderna definita essenzialmente dal risparmio e dalla razionalità economica. La post-modernità va oltre al consumo: esso è soltanto il passo che fa emergere i bisogni e desideri umani. La dimensione emozionale e quella esperienziale sono infatti essenziali nella post-modernità. Il low cost sfrutta dunque l’emozionabilità del consumatore, stimolando i suoi desideri con le seguenti strategie: Razionalità economica; Democraticità dei consumi; Oggetti dall’aspetto ludico e mitico; Ironia; Differenti stili all’interno di una stessa marca; Originalità dei linguaggi; Collezioni vive; Monitoraggio costante dei gusti dei consumatori; Collaborazioni con grandi stilisti; Focus sul punto vendita (situato in zone calde della città); Consumatore libero di scegliere ma allo stesso tempo consigliato da cataloghi/manichini/espositori; Affermazione della propria individualità da parte del soggetto. Ciò implica che venga stimolata la creatività personale del consumatore, il quale diventa un attivo soggetto che decide individualmente la sua spesa. Inoltre, la logica delle collezioni “vive”, che richiama un consumo piuttosto bulimico, innesca il desiderio di comprare frequentemente. In tal modo, il soggetto è più propenso all’acquisto, ma allo stesso tempo si reca più volte presso il punto vendita, attirato dai nuovi arrivi. In tal modo si crea un meccanismo di fidelizzazione alla marca. Quest’ultima acquisisce valore mitico perché va in contro alle esigenze dei consumatori. In più, alcune case come Zara e H&M hanno chiesto la collaborazione di grandi protagonisti della moda e della pop culture, alimentando così il valore d’insegna. Le marche del low cost hanno infatti alti valori d’insegna, sono altamente visibili in quanto i punti vendita sono collocati in zone strategiche della città. Libertà d’azione, bricolage di stili, accostamenti azzardati, alta varietà di scelta: è questo il modo di fare acquisti nei negozi low cost. questo modello sembra adattarsi perfettamente con i valori della post-modernità, dove la variabilità è una costante: Identità molteplice, Sé fluido; Gioco; Impulsività; Passione; Divertimento; Sperimentazione; Esperienza; Desiderio; Emozione; Vanità. Razionalità emotiva Considerati i precedenti punti di riflessione, emerge ormai chiaramente che il low cost evidenzia il generarsi di una nuova razionalità nell’ambito del consumo conforme ai valori della post-modernità, anzi, pienamente cosciente di tali valori. Il gioco ludico sposa la razionalità economica . Il consumatore post-moderno è un consumatore razionale-emotivo, che usa Razionalità nella ricerca della propria identità: i valori economici vengono tenuti in conto accanto ai valori emotivi, sociali e identitari. La dicotomia tra razionale ed emozionale viene superata nella post-modernità. Per comprendere meglio l’identità di questo nuovo consumatore, ho ripreso il quadrato semiotico di Greimas reinterpretato da Jean-Marie Floch, in modo da mettere in evidenza a quale sistema di valori il consumatore fa riferimento. Consumatore Pratico Consumatore Mitico Consumatore Critico Consumatore ludico Dopo una prima riflessione circa le modalità di consumo, sono giunta alla conclusione che non si possono dare definizioni precise e statiche del consumatore. La sua posizione non occupa mai definitivamente uno dei vertici del quadrato e non si inserisce nemmeno in un’area precisa. In conclusione, allora, non si può inserire il consumatore post-moderno in una posizione fissa del quadrato in quanto egli è altamente adattabile alle diverse modalità di consumo che gli vengono offerte. Ho deciso di posizionare il consumatore al centro del quadrato, posizione che indica non una neutralità quanto piuttosto una possibilità di movimento verso qualsiasi vertice. Questo discorso è valido se si vuole fare una generalizzazione del consumatore post-moderno. Nelle situazioni concrete, le dinamiche vengono confermate: l’individuo ha certamente un comportamento di consumo caratteristico, ma nonostante ciò può tradire le sue consuetudini d’acquisto in qualsiasi momento. Ad esempio, un consumatore critico (caratterizzato quindi da coscienza e razionalità economica) può acquistare un capo d’abbigliamento firmato estremamente costoso che rispecchia il suo desiderio di imitare una star televisiva. I mezzi di comunicazione hanno un potere enorme nell’innescare i meccanismi di desiderio. Perciò, la “follia” di un acquisto inutile sul piano pratico può essere attribuita anche ad un consumatore più legato ai valori d’uso. Allo stesso modo, il consumatore ludico che compra tutto quel che desidera nel campo dell’abbigliamento, può essere un soggetto parsimonioso per quanto riguarda i prodotti tecnologici. Emerge dunque che il consumatore può contraddirsi in qualsiasi momento. Tuttavia, rimane da sottolineare che quale che sia la pratica di consumo, il consumatore post-moderno è cosciente dei suoi movimenti, razionali (economico-razionali) o irrazionali (emotivi) che siano. Se il consumatore non trova un vero e proprio luogo di destinazione all’interno del quadrato generativo, si può ricorrere ad un altro utile schema, ovvero la mappa di posizionamento, la quale è destinata per definizioni più specifiche. Qui infatti non si fa riferimento al Consumatore, ma si individuano diversi modelli di consumo e perciò diversi tipi di consumatori. Oggettivo Valori d’uso Valori di base Soggettivo Assoluto Relativo Nell’ambito del low cost, il consumatore può essere individuato all’interno dell’area della multiprospetticità, ovvero il luogo in cui l’identità acquisita da parte del soggetto viene dimostrata alla collettività. Il luogo dove il soggetto è attento alla pluralità delle voci e dei linguaggi. Il low cost spinge ad un consumo variegato e molteplice, in cui la propria personalità può essere mostrata agli altri senza timori di giudizi negativi: ognuno è libero di scegliere, ed ogni opzione è degna di essere scelta. La personalizzazione e la varietà fanno in modo che l’affermazione della propria individualità sia non solo possibile, ma anche marcata. Una personalità forte ma non autoritaria: il confronto con gli altri è infatti un’altra caratteristica del low cost: dal confronto con gli altri nasce anche il desiderio di essere come gli altri. Da qui non solo l’imitazione di qualcuno che si vuole essere, ma anche il dialogo, il compromesso e la sperimentazione. Esempi pratici e confronti Sono presentati di seguito esempi di due case d’abbigliamento low cost altamente internazionalizzate e che sono diventate ormai marche di culto grazie ad un tipo di comunicazione estremamente efficace. Si tratta di Zara e H&M: entrambe seguono una logica low cost simile, ma allo stesso tempo differente. Zara. Il successo di Zara è dovuto principalmente a due motivi. Innanzi tutto, il modello di integrazione verticale fa in modo che i costi di produzione siano drasticamente ridotti. In secondo luogo, il suo successo è dovuto al fatto che il cliente è considerato il fulcro dell’intera azione di produzione e di vendita. I consumatori ed il loro gusti vengono continuamente monitorati, sia nella fase di ideazione dei modelli (dove diversi cool hunter ricercano le ultime tendenze, in giro per il mondo), sia nella fase dell’acquisto, tramite il software Casiopea, il quale registra quali sono i capi più venduti. Un altro punto di forza è certamente la posizione strategica dei punti vendita, che si trovano in zone calde della città (centri storici, centri commerciali). Lussuosi ma allo stesso tempo neutri (non indicano una precisa posizione sociale), i punti di vendita sono il luogo principale del contatto fra consumatore, merci e marca. Con questo si intende dire che Zara fa poca – o non fa – pubblicità: il luogo principale con cui comunicare con Zara è il punto vendita reale. Inoltre, il sito internet, molto simile ad una rivista di moda cartacea, permette non solo di visionare le diverse collezioni, ma è forse l’unica altra possibilità di incontro fra consumatore e azienda. Tuttavia, la sua visibilità è altissima, proprio per la posizione dei negozi. Zara si caratterizza per offrire prodotti di qualità medio-alta ad un prezzo medio-basso. Il target a cui si rivolge sono principalmente le donne dai quindici ai quarant’anni. Come molti attori del low cost propone stili d’abbigliamento diversi e collezioni “vive”, ovvero rinnovate costantemente. Si pensi che il tempo medio che impiega Zara per produrre una nuova collezione (lead time) è di quindici giorni. Oltre a stimolare in continuazione il desiderio della clientela secondo le logiche del fast fashion, questa strategia permette di limitare i fondi di magazzino. Il desiderio del pubblico nel comprare da Zara è alimentato dal fatto che la casa fa molte collaborazioni con i grandi nomi della moda per la realizzazione dei modelli d’abbigliamento. Ciò conferisce valore mitico alla casa-marchio. Per sintetizzare, ecco i punti caratterizzanti di Zara: Prezzo medio – basso; Qualità medio – alta; 15 – 40 anni; Stili diversi, mix; Attenzione al punto vendita (zone calde della città, lusso); Monitoraggio costante dei consumatori e dei loro gusti; Collaborazioni con i nomi dell’alta moda: modelli ispirati alle griffe; Collezioni “vive” (lead time di 15 giorni); Integrazione verticale; Sito internet = Rivista di moda. H&M. H&M è invece percepita come una marca più giovanile e più fresca, più dinamica. Il suo target è composto infatti da ragazze/donne fra i quindici e i trent’anni. La valorizzazione del punto vendita è paragonabile al modello di Zara. Tuttavia, H&M è un luogo più semplice e meno lussuoso. Posizionati nei punti cruciali della vita cittadina oppure nei grandi centri commerciali, i negozi di H&M sono punti di incontro per giovani che vogliono condividere l’esperienza del negozio: non l’esperienza del consumo, ma l’esplorazione del negozio e la sperimentazione di ciò che offre. L’offerta di H&M è anch’essa molteplice e variegata e attrae molte (i maschi, come anche per Zara, sono una minoranza dei consumatori) ragazze anche per il costo molto basso dei prodotti. Diversamente da Zara, H&M fa più pubblicità, specialmente comunicazione visiva (cartelloni pubblicitari) e televisiva (recenti e sporadici spot). Come Zara, H&M punta tutto sul punto vendita e si presenta su un sito internet che è insieme negozio, catalogo e rivista di moda. Al centro dell’azione di H&M non c’è il consumatore, ma piuttosto uno sguardo ammirato e imitativo verso l’alta moda. Diverse sono state le collaborazioni con grandi stilisti (come Lanvin e Lagerfeld), che hanno innalzato il valore simbolico del marchio, permettendo cioè l’accesso ad abiti griffati al prezzo del low cost. Riassumendo: Prezzo basso; Qualità medio – bassa; 15 – 30 anni; Stili diversi, mix; Attenzione al punto vendita (zone calde della città, incontro); Monitoraggio delle tendenze nel mondo dell’alta moda; Collaborazioni con i nomi dell’alta moda: alto richiamo simbolico; Collezioni innovanti; Integrazione verticale; Sito Internet = Rivista di moda/catalogo. I loghi. I loghi rispecchiano direttamente le logiche delle due aziende. Logo referenziale e riconoscibile: chiaro e serio, che scrive razionalmente nero su bianco il nome della azienda. La preponderanza del bianco indica sobrietà . Le grazie del lettering indicano un’eleganza misurata. Lettering particolare che rende riconoscibile la marca e indica dinamismo. Giovanile, la scritta sembra essere fatta a mano. Rosso = energia, dinamicità (dalla teoria del colore di Kandinskij), è un colore forte e incisivo. Siti web I siti internet di entrambe le case d’abbigliamento low cost consistono in un’ibridazione fra un negozio on line (con i caratteri dunque del catalogo e della vetrina espositiva) ed una rivista di moda (dove tuttavia, l’abito rimane centrale e la comunicazione pubblicizza direttamente l’abito). I due siti hanno diverse caratteristiche in comune. Si riportano di seguito le due pagine web principali, segnalando le caratteristiche che li accomunano. Legenda: Il logo s trova in entrambi i casi in alto a sinistra, conformemente alle modalità di lettura e scrittura occidentali, che partono dall’alto a sinistra. Così, il logo dell’azienda salta subito all’occhio. Ultime novità. Zara dedica un link apposito sottostante il logo per le ultime novità, mentre H&M le mette in primo piano presentandole già come testo principale della pagina. Tuttavia, la pagina con cui si presenta Zara è anche la prima pagina del lookbook. Il risultato è che la pagina di Zara ha tutte le caratteristiche di una pagina pulita, dominata dal bianco, dove la comunicazione ha lo scopo di valorizzare l’abito indossato dalla modella, mentre invece H&M presenta una pagina più satura: la modella è inserita in un contesto ambientale naturale, che richiama più le foto delle riviste di moda che i lookbook (e dunque un’esperienza più che un’offerta). Categorie dell’offerta. L’azienda spagnola indica l’offerta donna, trf (linea femminile giovane), uomo e bambini. I link sono incolonnati a sinistra della pagina. H&M dedica gli stessi link (donna, uomo, bambino) in alto, al centro della pagina principale. Farsi vedere. Zara presenta una serie di link sottostanti a quelli dell’offerta dedicati alla presenza dell’azienda in internet e nel mondo: lo spazio compaign (dove vengono presentate le ultime collezioni); lo spazio people, che dà possibilità e istruzioni per collaborare con Zara e persone che si interessano di moda; il lookbook, ovvero una galleria fotografica, eventi e video relativi alle sfilate di presentazione. H&M life: condividere l’esperienza H&M. H&M non vuole tanto proporre un’esperienza, quanto piuttosto mira alla condivisione di uno stile di vita, dove l’adattabilità alle diverse situazioni è il valore di base. A ciò si aggiunge la passione per la moda: l’azienda svedese non fa richiami solo su se stessa, ma rimanda anche alle grandi marche e griffes del fashion, stimolando e incarnando allo stesso tempo un’ammirazione per quel mondo. Relazionarsi con l’utente. Spazio dedicato alla relazione con gli utenti/consumatori. In questa sezione vengono indicate le sedi dei negozi, viene fornito un servizio clienti, l’occasione di iscriversi alla newsletter, vengono forniti i contatti e le informazioni circa l’azienda. Shopping on line. Link dedicati all’acquisto. Zara e H&M sono molto più che un negozio: sono un’esperienza solitaria (a casa, su internet) ma che va condivisa (lo shopping è uno dei divertimenti più ambiti). I loro siti internet non solo presentano un negozio altamente internazionalizzato, ma anche un luogo in cui vengono presentati gli oggetti, uno spazio virtuale in cui curiosare; una rivista di moda che mostra le ultime tendenze. Conclusioni Per concludere, le ragioni del successo delle case d’abbigliamento low cost sono essenzialmente comunicative, oltre che economiche. Oltre ad una democratizzazione dei consumi, è primariamente grazie alla valorizzazione del punto vendita come luogo esperienziale, di incontro e di sperimentazione della propria identità. Le imprese che seguono una logica low cost puntano molto sulla comunicazione: Il low cost, che grazie all’integrazione verticale propone i propri beni, si presenta con un’offerta nettamente staccata da quella delle marche industriali e per renderla convincente deve forzatamente costruire valori d’insegna più forti, così da evitare che i suoi prodotti siano percepiti come semplici alternative di primo prezzo unbranded. La comunicazione diventa, quindi, fondamentale, perché è grazie a essa che si possono affermare in positivo i valori dell’offerta: una comunicazione diretta, senza enfasi e che non stimola aspirazioni irrealizzabili. I codici usati dal low cost sono, infatti, quelli del buonumore e dell’ironia, con un’affermazione dei valori di democraticità e di uguaglianza. Codici e valori assai distanti da quelli delle grandi marche che il low cost si propone di sostituire. Grazie a questa comunicazione, riescono a rendere accettabile, appunto con l’ironia e il sorriso, l’abbandono delle grandi marche: il consumatore non si sente più povero per la sostituzione di marca che effettua, la vive in positivo, come una “liberazione” da acquisti fatti prevalentemente in base a condizionamenti esibitivi e di status. Non è naturalmente un abbandono totale, ma effettuato relativamente ai beni dove la rinuncia percepita è più bassa sia in rapporto alla qualità intrinseca dei beni sia a quella legata alle connotazioni immateriali che essi evocano. In altri termini, il low cost non è per la maggior parte dei consumatori una scelta ideologica, ma un’adesione che parte da un ripensamento delle sue priorità in rapporto alle specifiche preferenze per le diverse categorie di beni. In ogni caso, poco o tanto che sia la spesa in low cost, essa è socialmente accettabile e non connotata con lo stigma della povertà. 15