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Nota di Lunaria: questo scritto risale al 2012. Non mi ricordo da quale libro lo ricopiai, purtroppo. Mi pare di ricordare che fosse una sorta di collana tutta dedicata alla teologia del Medioevo, con le copertine di un verde chiaro. La Mistica del XII secolo Il XII secolo fu il secolo della Mistica d'Amore. Nelle più diverse esperienze letterarie, filosofiche, teologiche che si svilupparono in questo periodo, si incontra, declinato in senso religioso o in senso profano, il tema dell'Amore. Lasciando da parte il tema dell'amore in poesia o in letteratura, analizzerò il tema dell'amore monastico, che segna una svolta nel pensiero teologico medioevale, che viene spesso ricordato solo per il rigore e l'oscurantismo di San Tommaso d'Aquino. Avviata negli anni venti del XII secolo con Guglielmo di SaintThierry e Bernardo di Calirvaux, la riflessione sull'Amore e sulla Bellezza di Dio è al centro di numerosi trattati ("De Contemplando Deo", "De natura et dignitate amoris" di Guglielmo di Saint-Thierry il "De diligendo Deo" di Bernardo di Clairvaux, "Speculum caritatis" di Aelredo di Rievaulx, per citarne solo alcuni). Rispetto alle speculazioni spirituali o morali, questo genere di Mistica si differenzia per un linguaggio più passionale e ardente, al confine con l'erotico. è da ricordare che gran parte della letteratura cortese si conformava alla storia di Pietro Abelardo e di Eloisa, anche se, nel caso della Mistica, vista più in chiave allegorica: la conclusione del rapporto erotico con Eloisa in seguito alla castrazione di Abelardo, e il ritiro in convento di entrambi, viene vista come il trionfo dell'Amore Spirituale su quello carnale, alludendo anche all'anima contemplativa, considerata la sposa di Cristo. In tutta la riflessione monastica di questo secolo, dottrina cardinale è la creazione dell'essere umano a immagine e somiglianza di Dio, secondo le parole della Genesi: "Faciamus hominem ad imagine et similitudinem nostram" (che in realtà, in una concezione meno "sessuofobica" di quella che poi è stata la tradizione ebraica e 1 cristiana, si potrebbe benissimo vedere in quel "facciamo", - che viene spiegato in maniera davvero raffazzonata come "plurale majestatis"...- come il rivolgersi a qualche compagno, in una sorta di sessualizzazione della Creazione vista come un atto sessuale tra una divinità maschile e una femminile, magari riunite in un'unica sostanza; del resto qualcuno ipotizzava che l'essere umano fu proprio creato come androgino. Nota di Lunaria). La dottrina dell'immagine e della somiglianza racchiude infatti i principi essenziali che regolano l'esperienza amorosa dell'uomo, quelli che illuminano il cammino dell'anima innamorata verso Dio, per accedere alla Fruitio, ovvero l'Unione con Dio. Ma col peccato, l'anima ha perduto la sua rectitudo, e si è distolta dal desiderio di Dio - inscritto nella sua natura - e si è piegata verso il carnale e il terreno (potremmo usare la bellissima espressione di Cioran, "La caduta nel tempo"... Nota di Lunaria), si è inclinata, "incurvata": questa curvatura è perciò il vizio della volontà, che ritorcendosi verso se stessa, diventando voluntas propria, sfigura la sua tendenza originaria verso Dio: la caritas si trasforma in cupiditas. Scrive Guglielmo, nell'"Epistola ad fratres de Monte Dei": "Per questo soltanto siamo stati creati e viviamo: per essere simili a Dio. A immagine di Dio infatti siamo stati creati." Infatti, come afferma Aelredo, l'immagine di Dio si corruppe nell'uomo, pur senza esserne del tutto abolita: la perdita della somiglianza non comportò anche quella dell'immagine. L'uomo conserva l'innata libertà interiore che lo rende capace di anelare a Dio (essendo l'essere umano "imago Dei") e di congiungersi a Lui, una facoltà che non può essere perduta nemmeno se è usata per compiere il Male. La Perfetta Unione della creatura al suo Creatore è l'Adhaesio dell'essere umano a Dio; scrive Guglielmo: "Unitas Spiritus si ha quando l'uomo diventa una sola cosa con Dio, [...] cioè nella partecipazione all'Amore fra il Padre e il Figlio, nella Deificatio." L'anima subisce un'azione spirituale da parte di Dio, al quale essa è "disposta" e "trasformata" (Affecta), in modo da diventare sempre più simile a Lui. Ispirandosi al Cantico dei Cantici, compaiono le metafore del Bacio e dell'Abbraccio fra l'anima e Dio; è nella "Expositio super Cantica 2 Canticorum" che Guglielmo sviluppa tutta la Mistica Nuziale: attraverso la simbologia dei rapporti tra lo Sposo e la Sposa nel Cantico, egli descrive le modalità e gli effetti dell'Unione (Coniunctio) fra l'anima e Dio. Le metafore del Bacio e della Coniunctio alludono al tema fondamentale della Presenza Divina, l'Estasi Mistica (Excessus Mentis, Visione del Volto di Dio, Raptus). Dopo aver provato l'Unione Mistica, tutto appare incolore e insapore (Guglielmo usa la metafora di una persona cresciuta in campagna e abituata a cibi rustici, che, dopo essere entrata una volta sola in una reggia, ed essersi seduta alla ricca tavola, ne sia subito scacciata; "allora" - scrive Guglielmo- "si rassegna malvolentieri a ritornare nella casa della sua povertà"), ma una stabile Unione con Dio non è consentita in questa vita: la Luce del Volto di Dio "è come una luce chiusa fra le mani, che appare e scompare a piacimento di chi la porta". Le Estasi e le Teofanie in questo mondo non sono che anticipazioni, promesse, della Visione Piena ed Eterna del Volto di Dio, della Visione "Facie ad Faciem". L'Estasi è così descritta: "Proclamerò beato e santo colui al quale è stato concesso di fare una simile esperienza durante questa vita mortale, magari di rado, o anche una volta sola, e questo fugacemente, per un istante appena. Perchè perdere in qualche modo te stesso come se non esistessi (tamquam qui non sis), non avere più alcuna coscienza di te, svuotarti di te stesso (a temetipso exinaniri) e quasi annullarti (paene annullari) sono cose che appartengono alla condizione celeste, non alla sensibilità umana. [...] così nei santi ogni sentimento (affectionem) umano dovrà dissolversi (liquescere) in una certa ineffabile maniera e riversarsi nel fondo (penitus transfundi) della volontà di Dio. [...] Il terzo grado dell'amore si ha quando la mente dell'uomo è rapita (rapitur) in quell'Abisso di Luce Divina, tanto che in quello stato lo spirito umano, dimentico di tutte le cose esterne, perde completamente la coscienza di sé e passa interamente nel Dio suo [...] in questo stato, l'anima che viene alienata da se stessa, rapita fino al Sacrario del Mistero Divino, circondata da ogni parte dall'incendio dell'Amore Divino, penetrata nel profondo, infiammata dappertutto, si spoglia completamente di se stessa, si riveste quasi di un sentimento (Affectum) divino e, conformatasi alla Bellezza che ammira, passa tutta intera a una nuova Gloria [...] 3 Il Soave Amplexus con Dio, la Sua Contemplazione senza veli." Le Regole di un Convento Benedettino La giovane che, col grado di novizia, entra a far parte dell'Ordine benedettino, si lascia alle spalle il mondo, e tutto ciò che questo poteva offrirle. Nel suo guardaroba c'è posto solo per due tonache di misera stoffa e rozza fattura, un paio di scarpe e altrettante calze. Ridotte all'essenziale anche le suppellettili, nelle piccole celle o nei grandi dormitori, fiocamente rischiarati sin dall'alba da una lucerna, anche per impedire che le novizie, le quali, comunque, non devono stare vicine, indulgano a quell'abominevole vizio solitario, che la Chiesa condanna più della fornicazione. Per letto la monaca non ha che una stuoia, ruvida e malsagomata, senza lenzuola e con un'ispida e fetida coperta e un guanciale imbottito di crine (se ha freddo, si corica col saio). Ma le sue rinunce, i suoi sacrifici, non finiscono qui: anche a tavola deve accontentarsi del minimo indispensabile ché la gola è uno dei sette peccati capitali, sebbene non il più grave. Dovrà scegliere fra due pietanze cotte e una cruda, a base di verdura fresca, cui sarà aggiunta una libbra di pane, da ripartire nei due pasti principali. 4