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"Diversamente vivi": appunti del corso di Peppino Ortoleva, 2010/2011

Mitologie a bassa densità Mitologie dei morti viventi (zombie, fantasmi, mummie) e il loro rapporto con la storia della cultura di massa del XIX secolo. Queste mitologie si radicano nel rapporto fra media che riproducono con suono e immagine le credenze circa i miti dell’aldilà. Si può notare una simpatia reciproca tra i miti dei morti viventi e le pratiche dei mezzi di comunicazione che riproducono immagine e suono. I miti della cultura di massa contemporanea formano una mitologia moderna, che non chiede veramente una credenza effettiva totale. Le mitologie moderne possono essere chiamate mitologie a bassa intensità. Doppio dell’umano L’universo immaginario delle mitologie tradizionali e le mitologie a bassa intensità sono strumenti sociali per affrontare la morte. I non morti sono un discorso indiretto sulla morte, un mondo leggendario e consapevolmente inverosimile che serve ad affrontare l’argomento. Le mitologie dei morti viventi hanno trovato nella tecnologia, a partire da Daguerre con lo spiritismo, un alleato: l’intreccio tra la capacità della tecnica fotografica di creare doppi del mondo fisico e del mondo umano si accosta al culto del doppio che è una delle basi della mitologia dei morti viventi. Il cinema è una tecnologia per creare doppi dell’umano: il cinema stesso è in sé ombra, spettro, ritornante. Teorici del realismo come Bazin e studiosi che si sono soffermati sulla dimensione storica e sociale dei modi di produzione e rappresentazione del cinema hanno studiato il cinema ricorrendo a metafore sui non morti. Il complesso della mummia di Bazin, la sindrome di Frankenstein di Noel Burch esprimono la volontà del cinema non solo di creare un doppio della realtà, ma anche di trionfare sulla morte. I film operano una restituzione alla vita (virtualmente) eterna. Il personaggio di un film è diversamente vivo, proprio come il vampiro. Giacomo Leopardi, che era anche studioso dei greci e dei romani, scrisse “La primavera, o le favole antiche”. Per il poeta, le favole antiche sono le mitologie della cultura greca e romana. Non si trattava solamente di racconti, ma racconti che venivano radicati nella mente e nella vita delle persone. La mitologia antica popolava il mondo: questo perché tali racconti davano senso alla realtà, erano un modo di leggere il reale ben radicato nella cultura. Il mondo, quando gli dei abbandonano l’Olimpo, abbandonano anche la Terra. Gli eventi naturali non vengono più spiegati con la mitologia: non vi sono più significati simbolici della realtà. Tale pensiero venne ripreso da Max Weber, che parlò di desacralizzazione del mondo (non più divinità, luoghi mitici o festività ed eventi correlati alla ciclicità delle stagioni). Il mondo è stato svuotato di miti. Weber si chiede cosa ha fatto il Cristianesimo rispetto ai miti precedenti. Il cristianesimo è la causa dello svuotamento mitico del mondo: “Il Mio regno non è di questo mondo” è una frase centrale nel cristianesimo: il mondo a cui si aspira non è quello terrestre, ma quello celeste, il regno dei cieli. Tuttavia il nostro mondo è pieno di presenze di origine divina. Il mondo non si è svuotato di miti, ma è un mondo mitico più controllato e meno erotico, con una forte componente tragica ed emotiva. Anche il cristianesimo ha la sua mitologia ad altissima intensità (che si presentano, in fondo, come una rivisitazione delle feste pagane precedenti): chiede di credere veramente ai miracoli. Ad esempio: Gesù nasce il 25 dicembre, ovvero il giorno più corto dell’anno (equinozio d’inverno), e risorge a Pasqua, ovvero nella festa di primavera (solstizio di primavera): si tratta di feste pagane, le quali si trasformano nelle maggiori feste cristiane. Cioè, le feste pagane vengono espresse tramite un’altra storia; Presenza del Santo Patrono, legato al luogo-città specifico. Riti di passaggio: sacramenti. Es cresima = pubertà Dio non è sulla Terra, è Altrove: la terra è fatta di apparenze, il corpo è una prigione da cui ci si libera dopo la morte, poi c’è la resurrezione della carne. Da una parte desacralizza il mondo in quanto pone la Verità al di là del mondo tangibile. Dall’altra riempie il mondo di santi che sono legati ad un luogo specifico e a giorni specifici. Inoltre, Dio ha mandato il proprio figlio sulla terra. Il cristianesimo promette immortalità alle singole anime, ma contemporaneamente parla di un destino complessivo della specie umana, con il giudizio universale. Progressivamente, il cristianesimo ha perso molta della sua intensità e sacralità. Il mondo appare vuoto di qualsiasi mito. Van Gennepp: antropologo che scopre e studia i riti di passaggio, di matrimonio e di morte. Attraverso il rito ci si lega alla mitologia e alla cultura. Il rito di iniziazione, l’adolescente perde la sua infanzia e diventa adulto, viene accolto nella comunità degli adulti. I riti del cristianesimo stanno perdendo il loro significato e ad essi se ne sostituiscono altri. In un saggio egli afferma che i temi dei romanzi popolari sono gli stessi delle vite dei santi: non è vero allora che i miti sono scomparsi, ma si sono trasformati. Molti dei temi del cristianesimo diventano nuove storie, con una base religiosa diversa. La fede che richiede il romanzo non è una fede vera e propria, ma è sospensione temporanea della credulità. E’ proprio da qui che nasce l’emozione: so che quel che accade è verosimile, non vero. I miti a bassa identità richiedono che vi si aderisca, fare come se ci credessimo, di abbandonare lo scetticismo, di lasciare che queste storie si impossessassero di noi come se noi ci credessimo. Ci commuoviamo al cinema in quanto non ci crediamo ma ci crediamo allo stesso tempo abbandonandoci alla fantasia. Questa situazione mista è tipica della vita contemporanea. Prima si credeva alla vita dei santi. Quando non ci si crede più, le loro storie vengono riciclate. Le esperienze con i mass media avvengono durante il tempo libero. Nelle religioni, il tempo libero non esiste: “ricordati di santificarle feste”. La santificazione delle feste significa che non esiste il tempo dell’uomo, ma solo il tempo di Dio, che è un tempo pieno – più pieno del tempo del lavoro – di storie e pratiche. Con la riorganizzazione della società e del lavoro della modernità, la festa diventa un tempo vuoto, ma soprattutto umano. Il tempo viene riempito di storie – umane. I mezzi di comunicazione sono la culla delle storie umane. Ad esempio, il romanzo poliziesco ci fa notare la poesia della città perché le cose che di solito sono banali e anonime, si rivestono di attese e attenzione: ogni oggetto e ogni particolare è possibile indizio della detection. Ma la sua differenza rispetto al mito greco è il fatto che non c’è una presenza permanente della divinità. Il significato e la storia che c’è dietro ad un oggetto del romanzo è temporaneo e non permanente. Ad esempio, il divismo: il viso dell’attore famoso è carico di significato perché carico di tutte le storie che ha vissuto sullo schermo. Ciò vale anche per gli oggetti: Ray-Ban in Top-Gun, uccelli in Hitchcock. Gli oggetti vengono visti in maniera diversa. Bactin: studioso russo degli anni ’30 che fa un paragone fra il racconto classico – il poema epico – e il poema moderno – il romanzo: poema epico: non si può parlare di tutto come nel romanzo, erano accettabili solo certi personaggi e certe storie; Romanzo: può raccontare tutta l’esistenza. Tempo: Poema epico: remoto-mitico, un tempo senza tempo chiuso ed esaurito; è un racconto dato, fisso (possono cambiare i particolari); Romanzo: racconta il nostro tempo, in un tempo non compiuto (quello dell’autore e del lettore) e sempre manipolabile (storie sempre nuove e sempre diverse in tutto). Il nucleo di fondo però rimane stabile, nonostante le variazioni possibili siano quasi infinite; L’uomo ha un rapporto con i miti a diversi livelli: L’umanità ha bisogno di miti: non vi sono culture senza miti. I miti cambiano di senso in una società di ridiscussione culturale. Il romanzo nasce fra ‘400 e ‘500: Don Quisciotte è un eroe perché è come noi; egli è una rivoluzione perché trasforma in eroe un personaggio ridicolo. Contemporaneamente esce il Gargantua ed i saggi di Montaigne. Con Robinson Crusoe, l’eroe è completamente solo, un uomo che da solo si costruisce un intero mondo. Nel Settecento nasce effettivamente il romanzo. A partire dall’Ottocento, i poemi epici non vengono più letti normalmente. Per svago si legge il romanzo. Con l’eroe del romanzo, emerge anche l’importanza dell’individualità, la possibilità di crearsi da soli un proprio destino. La maturazione del processo è avvenuta in alcuni secoli. Vampiri: incontro-scontro fra epos e romanzo: il vampiro deriva da un mito conosciuto e fisso, senza possibilità di cambiare (figura definita una volta per tutte), ma la figura mitica si scontra con il mondo moderno e con personaggi moderni. Altro esempio di tale scontro è il Dottor Jekill e Mr. Hide di Stephenson. Hitler e Stalin sono superuomini perché perfetti nella loro cattiveria: sono epici. Perché i morti viventi: tecnologie della comunicazione e genere vampiresco Le mitologie di alta intensità hanno perso mordente: tuttavia, nella nostra cultura i miti esistono lo stesso, ma sotto altra forma, ovvero i racconti della cultura di massa. I miti a bassa intensità che i media costruiscono sono: Sospensione dell’incredulità: le storie non richiedono una fede totale come facevano i miti religiosi. Seguiamo le storie con la stessa passione, come se il personaggio fosse reale. Realtà rivestita di nuovi significati: cfr il romanzo poliziesco. Il cinema traduce gli oggetti del reale in pezzi di storie in cui possiamo identificarci. Ad esempio il divismo: ciò che conta non è la bellezza, ma il carico di storie che quella faccia si è venuta riempiendo nel corso degli anni. Non in un passato remoto, ma in un tempo presente al nostro; Tanti racconti diversi, ma con strutture di base fisse: le storie sono sempre diverse, ma il succo mitico è sempre lo stesso (storie diverse, ma forma uguale). Il mondo è fatato a metà, è una convenzione sociale. Capire film, serie, fumetti, ecc. significa interpretare un sistema mitico a bassa intensità del nostro tempo che come tutte le cose umane è nato da un lento e complesso processo di adattamenti e prove. Tali miti sono nati nel folklore e si sono radicati nella cultura. La mitologia vampirica come noi la conosciamo inizia nel Settecento, che viene introdotta nel momento del declino della stregoneria (“i nuovi mostri da perseguitare dalla Chiesa”). Voltaire aveva pubblicato la voce “vampiro” nel vocabolario Nell’Ottocento alcuni autori riprendono la mitologia vampirica, come John Polidori, il segretario di Byron: egli ripesca le mitologie del Settecento. Mary Shelley, nello stesso periodo scrive “Frankenstein”. Hoffmann, “Vampirismus”, ovvero La donna vampiro. Nel 1894 Munch dipinge “Amore e dolore”, dove rappresenta una donna che sembra che succhi il sangue ad un uomo, ma il pittore non intendeva dipingere un vampiro. Le Fanu scrive Carmilla. Nel 1897, Stoker scrive Dracula dopo essersi documentato sui vampiri e sui Dracul, l’Impalatore, il quale viene forgiato insieme alla figura creata di Polidori. Nel romanzo si costruisce in maniera definitiva il mito del vampiro moderno. Questa mitologia segue un processo di adattamenti e casualità, fino ad arrivare ad un a forma più o meno definitiva. La tradizione dei vampiri nasce per un bisogno dell’uomo di rispondersi alla morte. Tutte le culture sono caratterizzate dal fatto che l’uomo è l’unico essere vivente che sa che dovrà morire. Inoltre, l’umanità è stata caratterizzata per migliaia di anni si distingue per il fatto che i cadaveri non sono abbandonati, ma accompagnati nella morte da un rito funebre. L’esigenza di dare ai cadaveri una forma di onoranza è ben radicata in tutte le culture. L’intervento universale sul cadavere si lega strettamente alla scoperta di Hertz, che nota un fenomeno estremamente diffuso: l’umanità non solo si occupa dei cadaveri, ma stabilisce anche un tempo che deve passare dalla morte ed il rito funebre. Tra il momento della morte ed il momento in cui la collettività riconosce la sua morte, c’è un tempo preciso, che potrebbe corrispondere all’avvenuta putrefazione. Il bisogno di un periodo di sospensione fra morte e commiato definitivo ha radici psicologiche, ma anche contropartite mitologiche. Freud, in “Lutto e malinconia” sostiene che l’uomo, di fronte alla morte di persone care, deve consolarsi, ma anche effettuare un lavoro di cordoglio, l’elaborazione del lutto che ci permette di fare i conti con quello che abbiamo perso e che ci permette di dare un addio definitivo, fare i conti con il nostro senso di colpa e rabbia. Il lavoro del cordoglio è la preparazione del commiato. Il periodo fra il dolore estremo e la chiusura dei conti è un bisogno umano. De Martino sostiene che il problema fondamentale è il passaggio da una condizione in cui la persona è totalmente persa (che rischia la follia). Il funerale e il pianto rituale sono modi per lenire il dolore, razionalizzarlo, controllarlo e collettivizzarlo. Il tempo di sospensione è un tempo pieno. Se non si segue un rituale per l’allontanamento del defunto, c’è il terrore del morto persecutore: il morto non morto che torna sulla terra per perseguitare i viventi. Al centro del timore e del fascino nei confronti degli spettri c’è la persecutorietà potenziale, il timore del ritorno del morto, cattivo per gelosia della vita dei vivi. La morte invece a loro ha strappato la possibilità per andare avanti. Nella cultura contemporanea, al posto di continuare con i miti classici, ci immergiamo nelle storie. De Martino nota che una volta le donne lucane tenevano normalmente i capelli raccolti e li scioglievano quando piangevano la morte di qualcuno, ora invece li tengono sempre sciolti e non piangono più. La non celebrazione dei morti non è soltanto una questione di non-fede: a partire dagli anni Cinquanta i rituali funebri hanno perso la loro consistenza e il loro significato. Gorer (1965) nota che ai funerali non ci va più nessuno, che i vedovi/e vengono evitati per imbarazzo. Mentre nel pianto antico, il momento del lutto è un momento di vita comunitaria, nel mondo moderno, il momento del lutto è solitario, in quanto non viene costruita un’attrezzatura rituale. Tutti dobbiamo morire e tutti passiamo attraverso il lutto, ma si tende sempre più spesso ad evitare il cordoglio collettivo, che è un bisogno profondo dell’essere umano (e si va dallo psicologo). Siamo la prima civiltà della storia incapace ad affrontare il lutto, il quale lo si affronta non più collettivamente, ma come un fatto privato. La seconda metà del Novecento è infatti attraversata da un dibattito: affrontare la morte come un tabù oppure renderla visibile agli eccessi, ad esempio negli spettacoli violenti. Gli abitanti di una civiltà secolarizzata, prive di un quadro religioso che costruisca un discorso sulla morte organizzato, finiscono con l’oscillare tra una varietà di soluzioni parziali e insoddisfacenti. Sulla morte prevale non la rimozione o il tabù, ma l’imbarazzo. La religiosità individuale, tradizionale o New Age aiuta in parte a liberarsi dall’imbarazzo, ma solo in parte proprio perché si tratta di scelte personali e non collettive. Inoltre, l’elemento di fascinazione del cinema che deriva dalla creazione di doppi è espresso dal Coppola in Dracula di Braham Stoker(1992): la scena di Mina e del conte al cinema è sia meta cinema che riflessione sul doppio. Morin: vi sono due principali rappresentazioni della morte nelle culture umane: La morte come dissolvimento nella specie: moriamo come singoli, nella morte torniamo alla razza umana generica da cui siamo venuti: morte-albero (modello di morte in cui l’individuo è fecondo e legato alla specie; la morte è vita); La morte come fine dell’individuo che ha come risultato l’immortalità dello spirito: morte-luna (modello di morte in cui l’individuo è sterile e slegato dalla specie; la morte è definitiva es vampiro). Questi modelli di rappresentazione sono uniti all’interno del cristianesimo. 1848: spiritismo (USA) Rituali del lutto e motivi di una mitologia contemporanea La nostra attrazione per i film su zombie e vampiri è data dal fatto che essi affrontano il tema della morte, che è un tema di peso in una società che come la nostra non ha un sistema condiviso e rassicurante di riti funebri. In altre società esistono sistemi cerimoniali largamente condivisi per tenere i morti al loro posto, onorarli, celebrarli e dir loro addio. Nella nostra società il rapporto con la morte e con il lutto è più problematico che in altre. Siamo lasciati soli dalla collettività nel momento del lutto. Forse vedere i film di vampiri sono un modo per avere il piacere della paura e sentire il brivido, senza fare tutte queste elucubrazioni antropologiche? Non è che la paura sia il vero senso che i film hanno? Le due cose non si escludono l’un l’altra. Forse esiste un impulso che ci fa consumare questi film. L’impulso legato al brivido è sicuramente forte. Lo spettacolo implica emozioni forti, al di fuori della vita quotidiana, in modo da avere una scarica emotiva che ci porta fuori dall’ordinario. La paura che evoca un film dell’orrore è legata a qualcosa di non vero: non si ha paura di aver paura perché si sa che non è una paura vera. É puro piacere della paura. Il brivido è un fine in sé. Ciò che caratterizza queste storie – il genere horror – è la paura. Ma perché le storie fanno paura? I film dell’orrore sono un genere cinematografico o letterario dove si ha paura perché c’è qualcosa di non perfettamente ordinario che turba le persone sullo schermo in cui ci identifichiamo e gli spettatori. Un certo tipo di film stabilisce una certa convenzione con lo spettatore: la gente va a vedere quei film che fanno paura. Ma cosa c’è nei morti viventi che fa paura? Le storie dell’orrore e dei mostri viventi sono popolate da adolescenti, nelle quali inoltre si mettono in mostra delle specie di riti collettivi/cerimonie fra adolescenti. Gli adolescenti non provano solo piacere ad essere spaventati, ma si cimentano con la paura e trovano nella paura di questi film una sfida – fra loro e con loro stessi. Ci si sfida a reggere l’impatto con il film: il film diventa una prova (iniziatica) collettiva che riguarda la morte e la nostra capacità di affrontare la morte ed i morti. Per questo motivo, l’adolescente prova il piacere della sfida alla morte (gare d’apnea, corse in macchina, coltello, …). Il rapporto così intenso di fascinazione-repulsione dalla morte si estende al mondo dei morti viventi, ovvero l’universo che si trova fra la vita e la morte. Quasi tutte le culture hanno dei riti di passaggio che danno senso alla vita umana ritualizzando i momenti fondamentali dell’esistenza. La nostra cultura manca del rito di iniziazione (ce l’ha ancora la Chiesa con la cresima = pubertà o fertilità, ma la laicizzazione della cultura è sempre più marcata). I riti di passaggio della nostra società possono essere considerati: patente, chiamata esercito. I riti di iniziazione sono in genere un momento nel quale l’adolescente si allontana dalla società e attraversa delle prove che lo fanno sentire vicino alla morte: sta morendo il bambino e sta nascendo l’uomo; muore una parte del suo Sé, ma ne rinasce un’altra. L’adolescente si confronta con una soglia da superare, che comporta una prova. Nella cultura occidentale, con l’industrializzazione di Settecento Ottocento, cade il momento di passaggio decisivo e al suo posto succede un’epoca di passaggio: l’adolescenza. Essa è una lunga fase di passaggio, in cui non c’è un vero momento iniziatico imposto dalla collettività. Vi sono però riti individuali che si avvicinano o toccano la morte apparente che ci si infligge da soli (la prima sbornia, la droga, …). Per questo motivo molti film dell’orrore vedono come protagonisti degli adolescenti (ad esempio Lasciami entrare). I morti viventi sono un modo di rappresentare la morte come soglia perennemente insuperata, come qualcosa che si mitizza, affrontare il tema dell’immortalità e della diversità. In generale, i morti viventi esprimono la consapevolezza che esiste un passaggio fra la vita e la morte, e che questo passaggio possiamo sognare di non viverlo in modo definitivo ma viverlo in fino all’eternità. Questo mito è un sogno-orrore. L’umanità, salvo vaghi miti sulla fine del mondo, vive una paura specifica – di cui le storie di zombie sono espressione – ovvero la paura della fine di tutto: la morte atomica, la grande epidemia, la terra distrutta dall’umanità stessa nella sua voracità incontrollabile. Lo zombie rappresenta la speranza dell’immortalità nel singolo. Rappresentazione della morte Il mito Bara del Madagascar dice che possiamo morire come l’albero (una volta per tutte, ma continuando a nutrire la vita. Morte fertile) o come la luna (che poi ricompare la notte dopo. Morte non fertile, si sogna di essere individuo eterno). Morin individua nel cristianesimo un modello di credenza che mette insieme le due concezioni di morte del mito Bara: continuiamo a vivere come anime e però il nostro destino è parte del destino dell’umanità. Quando risorgeremo tramite la risurrezione della carne, torneremo a vivere come parte dell’intera specie umana. Le mitologie dei morti viventi e le rappresentazioni collettive della morte Secondo Morin, la rappresentazione cristiana della morte ha l’astuzia di mettere insieme due tipi di giudizio: quello del singolo, che viene giudicato da Dio e andrà poi in Paradiso, Purgatorio o Inferno e quella dell’intera umanità, che verrà giudicata nel Giudizio Universale. L’immortalità dell’anima è affiancata al fatto che la nostra morte diventa un ritornare delle anime che alimenta l’intera vita della specie umana. La dialettica fra individualismo e accettazione di un fato di sommersione e fecondazione delle specie successive è presente in una grande varietà di culture. Assmann, egittologo, ha individuato nella cultura egizia altri tre modelli di rappresentazione della morte che in parte coincidono con quelli individuati da Morin: Ritorno a casa: la morte coincide con la divinità madre, tornare alla terra significa tornare dalla madre. La morte non è una fine ma un ritorno a qualcosa che è protettivo, affettuoso, rassicurante. La dea Nuth accoglie i morti. Tale rito è legato al culto del seppellimento: la terra è vista come grembo materno al quale si fa ritorno. Omicidio e Giudizio: l’omicidio è rappresentato dal dio Seth, è la morte innaturale. La controparte della morte intesa come omicidio è rappresentata dalla morte come giudizio: rappresentato dal dio Osiride, il dio giudicante che toglie dalle mani di Seth il potere di vita e di morte, giudica l’anima del morto. Oltre la vita l’uomo viene giudicato: se il suo cuore pesa più della piuma, il morto non ha il privilegio della vita oltre la morte. Il mito del giudizio nasce in prima istanza come ribellione contro la morte: Seth è rappresentato come dio assassino mentre Osiride è colui che sbarra la strada a Seth e razionalizza la sua azione. NB: il cuore viene considerato il centro della vita; la vita allora è messa in relazione con la circolazione sanguigna, il che ritorna con forza all’interno della mitologia vampirica. Mistero irrisolvibile: cosa succede dopo la morte? L'evoluzione storica della rappresentazione della morte La mitologia dei morti viventi deve essere da noi intesa come un grande collettore di tutti questi temi, ansie e miti collettivi. Le tre visioni della morte possono essere collegate a tre epoche storiche. Ernesto de Martino, in Morte e pianto rituale, propone una rappresentazione della morte nel pianto antico (dalla poesia di Carducci), fatto di tradizioni precristiane che sopravvivono nel folklore e in genere nella cultura. Elementi culturali nati in epoche differenti convivono anche nelle mitologie a bassa intensità. In generale, il mondo della cultura di massa è il luogo in cui l’arcaico si confronta con il nuovo. Forma arcaica: ritorno a casa. Il ciclo della vita inizia nell’utero materno e finisce in quello della madre terra. Ancora adesso tale visione della morte è quella più forte e prevalente nelle civiltà. Un aspetto importante è la caratteristica attenzione da parte delle forme arcaiche della sepoltura alla quale si affianca il ritratto. I monumenti della sepoltura possono essere estremamente elaborati – come le piramidi egizie: l’uomo costruisce delle montagne per i propri cadaveri. La componente ritrattistica del rito funebre è fondamentale. Il ritratto accompagna da tempi antichissimi il rito del seppellimento nella civiltà occidentale. Esso è la rappresentazione del volto del defunto ma è anche una traccia fisica del suo volto che permane nel tempo. É un tentativo di bloccare il tempo e gli effetti della morte. Il ritratto funebre è tale in quanto non è soltanto una rappresentazione del defunto, ma è direttamente connesso con il corpo del defunto; è un prolungamento dell’esistenza. Rappresentazione e traccia si sovrappongono (esempio ritratti greci del Faioum, dove il volto del morte veniva dipinto sul sarcofago che lo contiene). Il ritratto di una persona sembra avere in tutta la storia dell’arte, delle arti e delle culture (che lo accettano) una centralità ed un’importanza fondamentali in quanto è il volto umano che parla al nostro volto. Il volto umano non ci dice cose riassumibili in parole ma chiama il nostro volto, allo stesso modo in cui il sorriso di una persona chiama l’impulso a sorridere. Il ritratto comporta un dialogo che va al di là delle parole. Il ritratto funebre fa sì che si prolunghi una presenza. Non si può capire l’importanza della macchina fotografica se non si tiene in conto tutto questo perché essa è una macchina che è contemporaneamente traccia e rappresentazione (Bazin). La cosa più inquietante della fotografia non è la sua veridicità ma il fatto che davanti ad essa è il segno di una presenza che si è verificata al momento dello scatto (il disegno può essere fatto con fantasia, senza la presenza). Il ritratto sopravvive, così come il nome, al defunto. Infatti, i monumenti funebri sono fatti di nomi e di ritratti. Lo zombie di solito ha un volto ma non ha un nome, mentre il fantasma non ha né corpo né volto, ma di norma ha il nome del defunto. Il ritratto ci invita ad interrogarci e a interrogarlo. La visione antica è dunque centrata sul ritorno a casa, sul rito funebre che si focalizza sul racconto della vita del defunto e sul ritratto. Giudizio. Con il monoteismo – soprattutto cristianesimo e islamismo – la visione più rilevante e drammatica della morte è quella incentrata sul doppio giudizio: quello individuale e quello universale. Nell’universo cristiano la morte è il momento nel quale passiamo dalla vita come prova che Dio ci dà e occasione per misurarci alla morte come luogo in cui veniamo retribuiti per quel che abbiamo fatto nella vita. La retribuzione diventa la chiave stessa del dare un senso alla morte. Da qui nasce la contrapposizione fra Paradiso e Inferno. Il Purgatorio – la possibilità di riscattarsi il Paradiso - è un’invenzione del cattolicesimo a partire dall’undicesimo secolo ed è uno dei grandi temi di contestazione da parte dei protestanti. Il mito del doppio giudizio fonde la rappresentazione individuale (luna) e quello della morte collettiva (albero). Il giudizio universale è infatti il giudizio della specie. Alla giustizia si affianca sempre la grazia: “molti saranno gli eletti, pochi saranno i chiamati”. La forza della grazie è un prolungamento terrestre della misericordia divina. La vita è l’esame e alla morte viene dato il voto. Mistero. Non sappiamo cosa c’è dopo la soglia della morte e ne siamo intimoriti. Nel momento in cui si secolarizza la società l’idea di morte come mistero diventa prevalente. Il numero dei credenti nella società secolare è lo stesso. Quel che cambia è la fede, che non è pubblica ma privata, non è collettiva ma è una scelta personale: non c’è più un vincolo sociale. Quello che mi lega alla società non è un sistema di credenze e pratiche religiose ma una serie di fatti pratici, materiali, quotidiani. Il fatto stesso che il dubbio caratterizzi la società significa semplicemente che la società non è in grado di dare una sicurezza assoluta. Inoltre, oggi una grossa fetta della società non solo non crede in dio, ma non crede nemmeno nell’ateismo. La fede è un fatto privato e l’idea della morte come mistero è la sola base comune a tutti. Non sappiamo nulla della morte. La morte è il luogo del dubbio perennemente irrisolto. Essendo un mistero e avendo dunque il proprio significato celato, la morte comporta l’idea dell’assurdità della morte, che è sempre in agguato. Tale assurdità cerca di essere razionalizzata con l’idea del giudizio e della giustizia. Siamo nel mondo dell’assurdo. Negli anni Sessanta emerge la critica all’assurdità della morte. Nel 1965 esce Eleonor Rigby dei Beatles, che parla del fatto che a nessuno importa più dei morti. Nel 1968 esce L’alba dei morti viventi, che mette in mostra quello che noi saremo: gli zombie e l’orrore puro. La mitologia dei morti viventi è sensibile a preoccupazioni, temi culturali e sensibilità che si sono fatti strada a partire dai riti funebri, la celebrazione del cadavere. La morte è anonima come una fossa comune: lo zombie è debole come un cadavere individualmente ma invincibile come massa. Come la morte in quanto mistero è presente anche nelle culture religiosamente più solide, altrettanto nessuna civiltà può affidarsi completamente alla morte come mistero: il risorgere di altri tipi di rappresentazione è inevitabile. La tendenza delle culture cristiane ad introdurre un elemento ludico e comico nella rappresentazione della morte è molto forte: qui la morte è oggetto soprattutto di scherzo. Questo è il tema fondamentale nel periodo gotico e del primo periodo rinascimentale: la danza macabra e il trionfo della morte. In questi quadri viene rappresentato il trionfo della morte, ma anche una componente comica: gli scheletri tornano sulla terra e ballano. La morte, l’unica cosa certa della nostra vita, si fa beffe di noi e lo fa dimostrandosi un essere scherzoso: la vita è tutta una presa in giro e la morte è l’entità che ci prende in giro ma prende in giro anche se stessa. La morte balla e si fa dolciume. In Que viva Mexico di Ejzensteijn i bambini mangiano teschi in una festa carnevalesca molto sentita. Il carnevale che si trasforma in Halloween dimostra che la morte diventa ludico scherzo. É una festa in cui si scherza sulla e con la morte. La spiegazione è perché la morte può essere senza senso. Il memento mori della cultura cristiana ricorda che la morte è una presenza nel vivere. Il mito del vampiro: le origini La vendetta del morto: il morto persecutore. Alcune delle mitologie dei morti viventi nascono in momenti profondamente remoti della storia umana. L’idea del morto persecutore che torna sulla terra vendicarsi dei vivi per il fatto che non lo hanno congedato in modo sufficientemente solenne oppure soltanto per la gelosia della vita – che si lega al senso di colpa umano nei confronti del morto (sentirsi in colpa perché si è vivi) – è antichissima e stratificata. Tale senso di colpa proietta su chi è morto un potenziale desideri di vendetta: il sopravvissuto sa che superata la fase più orribile del lutto dovrà infine prendere le distanze dal morto, ma proprio per questo si sente in difficoltà e in imbarazzo. La paura di un morto su cui si è proiettato un potenziale di tipo vendicativo è una caratteristica banale e per questo presente in tutte le culture. Lavoro del lutto. A ciò si aggiunge la paura di un morto persecutore specifico. Hertz nel 1905 aveva già tracciato un sentiero che le ricerche etnografiche di tutto il secolo hanno poi confermato: al di là del morto persecutore troviamo il tema del bisogno di stabilire una sorta di tempo di distanziamento fra chi sopravvive e chi è morto. Freud teorizza il bisogno da parte di chi è sopravvissuto il “lavoro del cordoglio”: il lutto è un lavoro. Colui che rimane deve attraversare diverse fasi di distanziamento dalla persona defunta. In queste fasi si costruisce un’immagine – prima di tutto dentro di sé – del morto: lo si colloca dove deve stare, ovvero nella memoria. Per Freud non basta uno sforzo mentale per il congedo, ma ci vuole tempo. Il lavoro del lutto richiede un congedo che non può essere immediato come invece lo è la morte. Per il congedo sono necessari dei riti del distacco: giorni di veglia prima del seppellimento, momento solenne della sepoltura, trigesima. In questo periodo il lavoro del cordoglio serve a distanziarci pienamente dalla persona mancata. Il bisogno di distacco comporta l’evocazione del morto e il racconto di chi era stato. Kracauer raccontava, a tal proposito, cosa accadeva il 25 novembre del 1963, i giorni successivi alla morte di JF Kennedy: si formavano capannelli spontanei di persone che sentivano il bisogno di raccontare l’accaduto. Il racconto esprime il bisogno del ricordo. De Martino afferma che al centro del rito funebre esiste il “racconto protetto”: lo stare all’interno di una situazione socievole e organizzata e lasciarsi andare a ricordare il morto. Ricordare raccontando: il racconto è lo strumento per elaborare il passare del tempo e dunque il distacco. Si dà a se stessi un’immagine-racconto del morto che equivale ad un monumento funebre. Il tempo psicologico per l’elaborazione del lutto – secondo Hertz – non è sufficiente: è necessario anche un lavoro del lutto collettivo. In molte società il morto viene sepolto due volte: primo seppellimento (dove al corpo manca la vita, ma è ancora fisicamente come quando era in vita) e secondo seppellimento (ossa) si distanziano fra loro dal tempo della putrefazione. Gli zombie sembrano essere cadaveri che non vogliono completare il loro stato di putrefazione e così scomparire. Per un motivo sociale e per un motivo personale esiste – oltre al timore psicologico del morto che torna a perseguitarci – un altro timore sociale riguardo al morto che non è stato congedato con adeguata solennità. Esiste dunque un bisogno profondo di dare ai morti un congedo non solo psicologico ma anche sociale. Nessuna civiltà abbandona i cadaveri. Il morto vivente è per definizione un morto che non è stato congedato in maniera sufficiente. Questo è un tema molto antico: il fantasma è presente in moltissime culture. Esso rappresenta la paura di una dissociazione fra il corpo che muore e la presenza persistente di un’anima, la quale però – secondo la mitologia cristiana – dovrebbe essere liberata nel momento della morte. Ma il fantasma è per definizione un’anima non libera: il distacco fra corpo e anima è patologico perché l’anima invece di andare in una nuova sede rimane vicino al cadavere in quanto non riesce a distaccarsene. I vivi non hanno fatto abbastanza perché avvenisse tale distacco. Nel caso degli zombie, il persistere del corpo è privato dell’anima. Lo zombie è un cadavere senza anima. Esso è un cadavere che non lascia la terra nonostante sia morto. Il vampiro appare invece essere un dannato che sconta le sue pene sulla terra: ha sia corpo che anima. In generale, quando il morto non si decide a lasciare la terra, nasce la mitologia dei morti viventi. Il mondo dei morti viventi è intermedio a quello della vita e quello della morte. “Quando l’anima non si decide a lasciare il corpo, allora regna il terrore”: senso di colpa, vendetta, paura e mistero sono le basi di tale mitologia. In molte culture esiste la paura degli specchi, proprio perché è legata a questo senso della soglia invalicabile. La mitologia dei morti viventi è anche legata alle diverse fasi storiche e culturali. Non si può capire tale mitologia se non si tiene anche conto di come sia cambiata la rappresentazione e la celebrazione della morte nei secoli. La mitologia dei morti viventi è tipica di una società dove non esiste un’idea precisa della morte, ma al posto del mito istituzionalizzato, esiste il mito a bassa intensità. La mitologia dei morti viventi è storica e astorica allo stesso tempo: si lega a certe epoche storiche, ma ha anche caratteristiche permanenti. Vampiri. La mitologia dei vampiri nasce dai pipistrelli. Il mito della mantide religiosa è uguale in molte culture. Il comportamento reale di una specie animale fa emergere le potenzialità psicologiche dell’uomo. Il pipistrello è una creatura che in moltissime culture produce miti spaventosi in quanto è innaturale per diversi motivi: È un topo: provoca timore e ribrezzo, è il grado zero dell’animalità; È l’unico mammifero volante: ciò lo pone al confine fra due regni animali separati; È un mammifero notturno (cosa rara); Alcuni pipistrelli succhiano il sangue. Su una figura di questo genere si appunta la fantasia e il timore, come sulla mantide religiosa. Questo timore per il pipistrello-vampiro è diffuso in molte culture per la malvagità in quanto succhia-sangue e notturno. Il vampiro è una proiezione del pipistrello: la figura del pipistrello è presente in tutti i film di vampiri. Il tema del furto del sangue ha un peso fortissimo a partire dal Medioevo, anche ad esempio nell’antisemitismo popolare. Gli ebrei che rubano il sangue ai cristiani è un mito caratteristico dell’Europa dell’est, dove è nato il mito del vampiro. Il vampiro succhia il sangue delle donne seducendole. Succhiando loro il sangue le fa diventare schiave e vampire anche loro. L’accusa del furto del sangue si pensa fonte del dominio di una razza sull’altra. Nel castello maledetto delle 120 giornate di Sodoma del marchese di Sade, un piccolo gruppo di uomini vecchi domina altre persone attraverso il controllo dei fluidi vitali, non solo il sangue, ma anche lo sperma di persone giovani che vengono succhiate di tutte le loro energie e lasciati come cadaveri, a volte anche oggetti di necrofilia. Il tema della circolazione del sangue è una sorta di emulazione della circolazione del denaro, ma è anche uno strumento assoluto di potere. Questo è un tema ossessivo prima nel Medioevo cristiano, visto come uno dei maggiori orrori della storia dell’antisemitismo e poi di una rappresentazione nella vita culturale. Sade ha avuto una grandissima influenza culturale in quanto ha legittimato una sessualità e un tipo di potere diversi. Prima di Sade il vampirismo diventa una parola significativa nel Seicento Settecento, quando il cristianesimo cattolico esalta il proprio potere anche attraverso la caccia alla stregoneria. In quel tempo, sui Carpazi (Ungheria, Romania, Serbia), si diffonde un’ulteriore superstizione: come ci sono le streghe che vanno bruciate sul rogo, così ci sono i vampiri, creature che vivono di notte, succhiano il sangue e non muoiono in quanto già morti. C’è un unico modo di disfarsi di loro: andare nella loro tomba, scoprirli e piantar loro un paletto (spada o spiedo) nel cuore e magari tagliar loro anche la testa. In questa fase, i vampiri come le streghe di nobile non hanno nulla: sono dei poveri morti che mettono in discussione l’ordine esistente. Una parte della Chiesa cattolica afferma che i vampiri esistono e che vanno combattuti; un’altra parte della Chiesa afferma che si tratta solo di superstizione. C’è una frattura fra il mondo occidentale e l’Europa dell’est: i primi non sono superstiziosi, i secondi sì. I vampiri entrano fino in fondo nella letteratura della storia occidentale a inizio Ottocento: i vampiri compaiono nelle vesti di protagonisti letterari. I testi fondamentali sono: Il vampiro, 1820: compare prima con il nome del grande Lord Byron, ma era stato scritto in realtà dal suo segretario Polidori. Nel 1816 Byron, Percy Shelley e sua moglie Mary, e Polidori si trovano tutti insieme; dopo aver letto alcuni romanzi gotici si sfidano a scriverne uno. Mary Shelley scrive Frankenstein, il marito e Byron non li scrivono; Polidori scrive Il Vampiro. I quattro era scrittori scettici e interessati anche ai culti satanici. Nel lavoro su queste storie c’è la curiosità verso ciò che è demoniaco. Byron accetta che il romanzo sia pubblicato sotto il suo nome. La particolarità è che esso ha come figura principale proprio Byron: in questo romanzo, per la prima volta, il vampiro diventa una figura aristocratica. L’aristocratico è sadico e allo stesso tempo si sente superiore alla morale corrente, in grado di vivere esperienze al di fuori della normalità dell’uomo. Il protagonista del romanzo è il conte Rutven, dei Balcani. Il vampirismo è da lui usato per soggiogare le donne. Vampirismus (La donna vampira), 1827, di Hoffmann: il vampiro è donna e amante e insieme persecutrice (figura che ricorda il mito della mantide religiosa); Carmilla, 1847, di Le Fanu: vampiro donna aristocratico e omosessuale. Si tratta di una vampira che seduce le altre donne. Carmilla era la somma di tutte le perversioni. Ha più personalità, è aristocratica, interessata solo al potere e succhia sangue per vivere. Ispirerà Stoker. Il conte Dracula, 1897, Stoker: fa viaggi in Europa orientale e ne studia i miti. Il nome per il protagonista deriva da una regione della Romania sui monti Carpazi, la Transilvania. Dracul (uomo drago), l’impalatore persecutore dei turchi Vlad Tepes che non aveva nulla di vampirico, ma era terribile, aristocratico, spaventosamente malvagio e con un castello. In più, dalle aggiunte di Stoker, è circondato da donne vampiro. Deve succhiare sangue per vivere ed è anche malvagio: è crudele ed inevitabilmente immorale. Il romanzo si colloca in un passaggio fondamentale della nostra cultura: quanto colui che fa del male è responsabile del male che ha fatto. Dracula è cattivo perché è un morto vivente o è un morto vivente perché è cattivo? Il tema da Dracula ai post-vampiri Stoker, autore di storie e racconti popolari, quando decide di scrivere la storia di Dracula, voleva intitolarlo The Undead; poi intreccia il vampirismo con la storia di Dracul. Si documenta sulle leggende di vampiri che in particolare dell’Europa orientale. Leggende antiche e radicate divengono testo (come per la Teogonia di Esiodo) e si standardizzano. Il vampiro, nonostante i romanzi precedenti abbiano avuto una grande influenza, viene standardizzato da Stoker. Dracula diventa l’emblema della mitologia vampirica, un insieme di regole fisse su cui si rifanno e si basano i vampiri successivi: Contagio: se il vampiro morde e succhia, anche la vittima diventa vampiro (dopo un lasso di tempo). Si diventa vampiri morendo per i morsi del vampiro. Il vampiro è in grado di contagiare, ma questo contagio passa attraverso la morte della persona che viene morsa dal vampiro. Egli è un morto che non muore ma che è rimasto in un limbo. NB: nel mondo moderno le malattie contagiose sono molto temute; peste, colera, AIDS sono tra le paure più forti. Potere: Dracula come il vampiro di Polidori è un aristocratico. Possiede un castello – in cui non c’è una servitù, ma ha potere su una serie di persone che lo aiutano. Si tratta di zingari, che rappresentano il limite della socialità – così come il vampiro vive al limite fra vita e morte. Inoltre, gli zingari sono senza terra. Il vampiro invece ha un legame fortissimo con la terra: la sua bara e la terra nella quale è stato sepolto. Dracula è un nobile che si ritiene al di sopra delle leggi. Inoltre è uno che – anche per la sua nobiltà di casato – si ritiene al di sopra delle norme che regolano i normali esseri umani. Malvagità: Dracula è cattivo. Da una parte sembra che egli non abbia scelto la propria condizione – questa condanna o inferno in terra – ma d’altra parte egli è un malvagio come lo era in vita. Trae piacere dalla propria malvagità (cosa che non succede con le mitologie post-vampiriche, in cui il vampiro è inesorabilmente condannato a quella pseudo-vita e prova disgusto per se stesso). Scienza vs mistero: lo scontro fra Dracula ed i suoi antagonisti (lo psichiatra Stewart ed il dottor Van Elsin) non è che metafora dello scontro fra la fiducia nella scienza e le credenze popolari intrise di mistero e dunque di irrazionalità – caratteristiche dell’Europa dell’est. Van Elsin è uno scienziato ai margini della comunità scientifica in quanto crede ai vampiri. Inoltre non è ateo – come tipico degli scienziati dell’età positivistica – ma ha una grande fede. Piccola geografia dei non-morti: Fantasmi: autoctoni o caratteristici della Scozia Vampiri: Europa dell’est Mummie: Egitto Zombie: isole dei Caraibi Il mondo Occidentale si difende con la scienza ed è assediato dai morti viventi, che rappresentano le aree oggetto del colonialismo ma anche le aree di cui si teme l’arretratezza, ma anche la superstiziosità, il fondo misterioso quasi impenetrabile. Appare chiaro che il romanzo di Stoker sia metafora dello scontro fra scienza e oscurità (dentro di noi e parte di una geografia immaginaria del mondo). Dracula viene scritto nello stesso periodo dell’Interpretazione dei sogni di Freud. Ombra e riflesso: il vampiro non si rispecchia negli specchi e non ha ombra perché è egli stesso un riflesso. La sua è una corporeità di secondo grado, non è altro che un residuo in quanto è un non morto. Come può un riflesso riflettersi? In molti film il vampiro viene scoperto per questa caratteristica. Crocefisso: il timore del vampiro nei confronti del crocefisso è un chiaro residuo di esorcismo cristiano. Il romanzo di Stoker ebbe un grandissimo successo. Uscito due anni dopo la nascita del cinema, a differenza del film di Frankenstein (1910), Dracula apparirà nel cinema molto più tardi. Il vampiro come metafora dell’uomo che si muove di notte, che ruba i beni degli altri uomini si esprime con il film I vampiri, di Feuillade, dove i protagonisti sono dei ladri. Il vampiro Dracula appare nel cinema con il film di Murnau, Nosferatus, nel 1924. E un film tedesco con un adattamento per cui Dracula non va a Londra ma a Brema. L’uccisione di Dracula e la sua stessa personalità vengono romanticizzate: in Stoker fra il vampiro e le sue due donne c’è una relazione parasessuale; in Murnau Dracula porta con sé la peste. In Stoker Dracula è associato ai pipistrelli e ai lupi (che circondano la sua abitazione); in Murnau è associato ai topi in quanto veicolo di peste. L’arrivo di Dracula dall’Europa dell’est al mondo occidentale è un fattore di grande contagio. Il film, con tecniche espressioniste di montaggio, dà alla vicenda di Stoker una componente emozionale molto forte che nel romanzo è meno evidente. Il film ha un notevole successo anche all’estero, ma rimane un episodio piuttosto isolato, mentre negli anni Venti Dracula viene portato sulle scena teatrale (Stoker era un uomo di teatro). La versione teatrale di Dracula parte da testi di cui il principale autore è John Baldestone (inventore del ciclo della mummia) e come attore fondamentale c’è Bela Lugosi. L’Universal decise di puntare su una serie di film spaventosi per attirare il pubblico e una delle prime scelte cade su Todd Browining (1931), che riprende tutte le particolarità teatrali e prende come attore principale Bela Lugosi. Dopo vi saranno diversi sequel, come è tipico nelle storie dei morti viventi. Serialità dei morti viventi: Non muoiono: potenzialmente, i morti viventi non vengono mai sconfitti definitivamente; i morti viventi non muoiono perché già morti; Depressione: per portare gente al cinema durante il periodo di grande crisi, si producono molto B-movies (“paghi uno vedi due”), cioè sequel del primo film. Nei film di vampiri degli anni Trenta c’è una forte ciclicità delle storie e gli elementi fondamentali di Stoker vengono ripresi. Ciò significa che il pubblico già conosce molte delle caratteristiche del vampiro: il pubblico ha una competenza che gli autori del film rispettano. Si tratta dunque di storie molto ripetitive, ma comunque attente ad introdurre elementi di variazione. Il grande successo dei film dei vampiri è relativo agli anni Trenta, poi spariscono in quanto cambiano i generi. I film di vampiri verranno ripresi alla fine degli anni Cinquanta, e si legheranno ad un bisogno di trovare il proprio spazio all’interno dell’industria cinematografica britannica. Il cinema inglese ha sempre subito l’egemonia della produzione americana. Alla fine degli anni Cinquanta, la Hammerfield di Londra decide di ripescare le vecchie storie di vampiri e viene lanciata una terza ondata di film di vampiri che hanno come protagonista Cristhopher Lee e come protagonista nelle vesti di Van Elsin Peter Cushin. Le storie di vampiri degli anni Sessanta iniziano ad essere catalogate in un nuovo genere: gli horror movies. Altre case si affiancano alla Hammerfield. Le caratteristiche: Storie standardizzate e rigide; A colori; Professionalità: la qualità media è piuttosto buona; Contemporaneità: alla fine degli anni Sessanta, le storie dei vampiri iniziano ad essere ambientate nel mondo contemporaneo. I vampiri sono tra noi. L’ambientazione contemporanea dei vampiri apre in due direzione. Da una parte si fa un parallelismo politico: i vampiri sono metafora dei capitalisti, ovvero coloro che succhiano il sangue di tutti i sottoposti per arricchirsi ed acquisire potere. Dall’altra parte ci si concentra sulla componente sessuale: infatti negli anni Sessanta cadono molti dei tabù sessuali. L’allusione erotica sottintesa in tutte le storie dei vampiri diventa più esplicita. La modernizzazione del vampiro coincide con la fine della tradizionale figura del vampiro. Post-Vampirismo Nel nuovo millennio il vampirismo viene accantonato per un breve periodo, fino all’emergere la figura di un nuovo tipo di vampiro, un nuovo modello che rielabora la mitologia del vampiro. L’avvento dei nuovi vampiri non soppianta la mitologia tradizionale, ma la sposta: Questi nuovi vampiri segnalano uno slittamento (complementare a quello dei nuovi zombi di Romero presentati nel 1968) complessivo del sistema mitico relativo ai non morti. A partire dagli anni Novanta, ma soprattutto oggi, si nota un’esplosione di romanzi, film e serie tv che rappresentano vampiri completamente diversi dai precedenti. Da tenere presente Intervista col vampiro, 1976: il romanzo di Anne Rice fu scritto nel 1976, in seguito fu prodotto il film, che non fu portato sugli schermi fino agli anni Novanta (Intervista col vampiro, Neil Jordan, 1994). Si ricordi che già in passato una varietà di autori aveva compiuto singoli esperimenti in direzioni che sarebbero poi diventate caratteristiche delle storie dei post-vampiri: Augustus Delerth (anni Trenta) ambientava i suoi racconti di non morti nella quotidianità americana; Peter Schuyler Miller (anni Quaranta) aveva scritto storie dalla prospettiva del vampiro; Milly Williamson aveva presentato vampiri buoni. Si trattava però di variazioni sul tema del vampiro classico, innovazioni parziali e incrementali, che non comportavano un cambiamento di senso del mito. Con il post-vampirismo, invece, emerge un nuovo e coerente paradigma. Iniziano le storie del Post-vampirismo, che hanno queste caratteristiche: Scritte quasi sempre da donne: Anne Rice, Stephanie Mayer (Twilight), Lisa Jane Smith, Jeanne Kalogridis, Charlaine Harris. L’eccezione che conferma la regola è John Linqvist (Lasciami entrare); Serialità: storie serializzate e sequel; Storie incentrate su vampiri adolescenti e giovani, destinati a restare tali; Il tema della morte e della condizione del non morto appare rimosso e il vampirismo si presenta come una sorta di via anomala all’immortalità; I post-vampiri presentano tutte le caratteristiche di una minoranza perseguitata; Giocare con le convenzioni di genere (esempio True Blood: il sangue è in lattina); Non più un pubblico generalista, ma un target specifico, ovvero gli adolescenti; Molteplici livelli di lettura (come le minoranze perseguitate, il tema dell’adolescenza, la rimedi azione della mitologia precedente…). Post-vampiri e minoranze emergono negli anni Settanta: l’emergere dei nuovi vampiri è coevo con una trasformazione dei modi e degli stili di fruizione dei prodotti culturali: gli anni Settanta vedono il manifestarsi dei fenomeni cult. Il post-vampiro presenta nuove caratteristiche particolari: Vive di notte e non sopporta la luce del sole. Tipicamente, il vampiro moderno vive in discoteca, in quanto fa parte della cultura giovanile (la quale tende ad adorare la notte); Diversità: il post-vampiro è diverso dagli altri: egli è una diversità inaccessibile. L’amore fra un umano e un vampiro è impossibile: non è possibile un’identificazione totale l’uno nell’altro; il Sé del vampiro non può rispecchiarsi completamente nell’Altro, la diversità è incolmabile. Proprio perché il vampiro è immortale, non può legarsi all’umano se non rendendo anch’egli immortale; ma per fare questo deve contagiarlo, facendolo diventare vampiro a sua volta e dunque facendogli compiere un rito di passaggio. È la riprova di una società che elimina le diversità che non rendono possibile la convivenza; non esiste una religione comune ed inoltre è una società che ha affrontato l’emergenza dell’AIDS e il portatore di AIDS non viene trattato come un assassino ed un estraneo. L’elemento di non-morte è meno centrale rispetto ad altre caratteristiche: contano di più la diversità e l’immortalità; Giovinezza (e bellezza), seduzione: sono portatori di una diversità inestinguibile in quanto vampiri. Per sua natura, il vampiro è portato a seguire le regole del vampiro. Ma è pieno di sensi di colpa perché appartengono ad un’altra specie e contemporaneamente cercano di essere come noi. Addomesticamento: i nuovi vampiri sono diversi dai vecchi soprattutto in quanto buoni, o almeno simpatici. Ad esempio i vampiri, diversamente da Dracula, hanno una famiglia. I membri della famiglia dei Cullen (Twilight), per dare un significato alle loro vite, cercano di mescolarsi nella società nel modo migliore possibile, addomesticando gli impulsi vampireschi e allontanandosi dai vampiri nomadi (che presentano le caratteristiche dei vampiri classici, e che sono i cattivi della serie). Questa contrapposizione evidenzia il fatto che all’aumentare della partecipazione, la società ha la predominanza sull’individuo (l’individuo che si apre alle partecipazioni mette da parte la propria individualità), mentre se non vi è partecipazione, l’individuo si ripiega su se stesso (e sul terrore della morte: cfr Morin). Per vivere in società, i post-vampiri si sottopongono ad un processo di limitazione dei loro comportamenti e della loro vita istintuale. Inoltre, diversamente dalla mitologia precedente, l’istinto di succhiare sangue è distinto dall’impulso erotico. Vivono i cittadine americane, hanno nomi comuni, bevono sangue sintetico. Nel post vampiro si nota quindi una scissione fra il vampiro buono ed il vampiro omicida. Il post vampiro cerca di convivere con la società e vi si adegua. I post vampiri sono diversi fino a quando la loro diversità è “glamour”: chi va oltre è un vampiro “cattivo”, eccessivo, dominato più dagli impulsi vampireschi piuttosto che razionali tipicamente umani. Adolescenza: il limite è un concetto caratteristico dei vampiri: essi vivono infatti tra la vita e la morte, i post-vampiri vivono il limite anche per questioni d’età: sono adolescenti e dunque in bilico fra l’infanzia e l’età adulta. A metà fra vita e morte, è anche a metà fra infanzia e vita adulta. Spesso non si conosce nemmeno il loro vero sesso (Eli di Lasciami entrare). Ciò è indicativo dell’identità non definita del nuovo vampiro, che non è che metafora di un’identità in crisi come quella dell’uomo contemporaneo: emerge la nostalgia per i riti di iniziazione di cui la nostra cultura – la prima nella storia – ha creduto di fare a meno. I riti di iniziazione sono prove di morte: indicativo che i post-vampiri e i non morti siano metafora sostitutiva di tali riti. Coscienza: se il vampiro è un essere per natura necessitato all’omicidio e a un comportamento distruttivo, come si fa a giudicarlo un mostro? Il problema del libero arbitrio è centrale nel post-vampirismo: i post-vampiri odiano essere tali. Ad esempio, in True Blood, serie ambientata in Lousiana, i vampiri bevono “sangue in scatola”. La loro coscienza è la nostra, ed è la condizione per poterci identificare con loro. La loro immortalità comporta il fatto che i post-vampiri siamo creature più compiute dei mortali: hanno fatto esperienze centenarie. Il motivo per cui questa nuova mitologia rimane agganciata alla vecchia sta proprio nel radicato pregiudizio romantico per cui solo chi ha vissuto l’estremo conosce il sublime sul piano estetico e la verità più profonda delle cose sul piano etico. Immortalità: non è visto come un non morto, ma è immortale. Ma i post-vampiri possono essere allora ancora definiti vampiri? La definizione “vampiro” appare più un’etichetta trasgressiva, una delle ultime possibili in un mondo in cui anche i comportamenti erotici più estremi hanno visto riconosciuti i loro diritti, piuttosto che un’effettiva caratterizzazione in termini antropologici. Il post vampiro diventa dunque buono dopo decenni. Buono, ma anche bello, intelligente, attraente. Siamo in un’epoca di incertezza morale tale che probabilmente tutti i tipo di diversità devono essere accolti come possibili forme di vita alternative. La diversità non ha più un equivalente morale. La classica mitologia vampirica è morta negli anni Settanta Ottanta. La nuova mitologia vampirica non è centrata tanto sul vampiro come non morto che torna a perseguitarci, ma sull’uso di una figura di massa come quella del vampiro per raccontarci altre nuove storie. La figura classica del vampiro si è banalizzata ed è soltanto una figura della cultura di massa adatta a raccontare nuove storie aggiornate alla contemporaneità. Estraneità e paura nei confronti dei vampiri scompaiono, per lasciare un pallido timore nei confronti della loro figura: non si tratta di film dell’orrore, quanto piuttosto di film in cui si studia un’identità patologica. Cambiamento e continuità nelle storie dei morti viventi - la mitologia zombie Esiste un fondo di leggende e di miti relativamente stabile nel corso della storia dell’uomo in quanto affonda le proprie radici nelle istanze profonde nella psiche e della società. La figura del morto che ritorna, del doppio congedo ecc. La morte è un destino già doloroso, reso ancora più tremendo dal fatto che di noi non resterà più niente se non un po’ di ossa, destinate anch’esse poi a dissolversi. La mitologia dei morti viventi ha tre diversi livelli: Livello invariante: mitologia di base; Grandi mutazioni delle mitologie: passaggi in cui storie e personaggi cambiano significato in quanto cambiano significati importanti all’interno della vicenda. Creazione di storie sempre nuove: tuttavia, nella cultura di massa non si butta via niente, ma si fa sempre un ritorno al passato. Grandi mutazioni: In Nosteratu di Murnau il protagonista non viene ucciso dagli scienziati, come accadeva in origine, ma muore in quanto, intrattenutosi troppo a lungo con l’amata, viene ucciso dalla luce del sole dell’alba. Dracula viene qui interpretato in chiave romantica: non ucciso da forze esterne, ma dalla forza interna dell’amore. Tale mutazione è importante in quanto il mito del vampiro si incontra con una tradizione romantica rivisitata nel Novecento. Nelle versioni hollywoodiane di Dracula – dal 1931 al 1950 – il protagonista, con tutti i suoi parenti e discendenti, è quasi un ritorno al Dracula di Stoker, ma poi se ne distacca progressivamente. Nel 1959, Dracula il vampiro è abbastanza fedele all’originale. Negli anni Ottanta abbiamo l’ultimo grande ritorno: Dracula di Braham Stoker di Coppola. Il salto più grande è stato con Intervista col vampiro, in cui il vampiro cambia completamente pelle e da creatura mostruosa, vecchia e condannata a fare un male che è anche parte della sua natura morale; il vampiro diventa allora un eterno giovane adolescente che usa il vampirismo non solo per non morire, ma per non diventare mai vecchio – “Dracula incontra Peter Pan”. Inoltre, non è più un essere immondo e orribile, ma bello e affascinante. Cosa più importante, il vampiro non vuole uccidere, ma lo fa perché deve. Con questo film nasce un nuovo tipo di vampiro. I nuovi vampiri sono anche creature ispiratrici di un fascino diretto e di uno stile di vita. Mentre nelle storie classiche di vampiri il protagonista è solo il vampiro, nei film dei post vampiri i protagonisti sono diversi: sia umani che vampiri. Il coprotagonista umano è un personaggio chiave: quel che si vuole raccontare è il rapporto fra il vampirismo ed il resto della società. Rapporto non più di semplice guerra fra entità diverse, ma di un’attrazione difficile e sofferta. La domanda fondamentale è se sarà o meno possibile la realizzazione di un amore totale fra entità diverse. La nuova ondata può che essere definita post romantica, il vampiro risponde ad una domanda precisa: in una società in cui nulla (o quasi) è considerato un comportamento assolutamente inaccettabile, chi è veramente diverso? Il diverso viene allora pescato nella fiction. Nei sistemi di culto contemporanei personaggi di finzione vengono trasformati in chiavi per l’accesso ad un’assoluta verità. Una fiction dichiarata viene proposta come base per un nuovo sistema di credenze: la presenza fondamentale della fiction nella cultura di massa è diventata progressivamente e paradossalmente una delle vie attraverso cui si costituiscono nuove forme di culto, molto differenti rispetto – ad esempio – le religioni. La fiction però non richiede una credenza piena: è un mondo a parte che si inserisce nel nostro immaginario e attraverso di esso penetra nella vita reale. Negli ultimi decenni abbiamo avuto alcune generazioni che hanno giocato con la fiction come se fosse una base di credenze per capire il mondo. I post vampiri sono personaggi di finzione ai quali però si tende ad attribuire da parte dei loro autori un valore anche morale (es spaccatura fra vampiri buoni e vampiri cattivi). Il sistema di semicredenze costituito dai media ha acquisito negli ultimi decenni un peso sociale diverso rispetto al passato. Zombi. Il vocabolo deriva dalla cultura folkloristica di Haiti. I culti misti fra le religiosità africane e il nuovo mondo sono presenti in buona parte delle Americhe, indiani d’America compresi. Nell’area che comprende le Isole Caraibiche e il nord delle Americhe fino al Brasile si sono sviluppati dei culti fortemente impregnati di magia nera. La magia è uno strumento di rafforzamento di potere di chi la pratica. La magia esercita sentimenti di odio e rancore, o il desiderio di sopraffazione: dà potere per uccidere, soggiogare o far soffrire qualcuno. L’articolo del codice penale di Haiti fa direttamente riferimento alle pratiche di magia nera del woodooo: l’idea dell’esistenza di magie era forte e radicata nella cultura e nella società, in modo tale da essere diventata parte del sistema normativa. Nella tradizione haitiana, lo zombi non è un morto vivente ma un morto apparente: è una persona che viene sepolta dopo che lo stregone o hungan – personaggio chiave della cultura haitiana – ha operato su di lui con della magia nera per soggiogarlo. Lo hungan può produrre magie che permettono di portare in vita persone morte per trasformarli in propri assoluti schiavi. Lo zombi è un sepolto vivo nel mito haitiano, ma è un sepolto in letargo: è un uomo che è stato consegnato dallo hungan attraverso i suoi farmaci ad uno stato di finta morte, sepolto e poi tirato fuori. La caratteristica fondamentale degli zombi è che sono corpi senz’anima. Lo zombi è l’esatto opposto del fantasma (anima senza corpo): un corpo privo di una propria volontà o consapevolezza umana. Lo zombi è lo schiavo nella sua forma più estrema. Metro afferma che il popolo haitiano è così colpito dalla figura dello zombie perché esso rappresenterebbe quello che essi erano prima della liberazione: sarebbe una sorta di proiezione mitica della condizione a cui erano costretti in precedenza. Lo schiavista bianco diventa il cattivo hungan e gli haitiani schiavi diventano gli zombie. Lo zombie è un personaggio importante ma vuoto: il grado zero dell’umanità. Caratteristiche dello zombie nel culto haitiano: L’essere sopravvissuto alla tomba: plausibile che possa sopravvivere a tutto il resto; Non pensa: per lui pensa lo hungan, è manipolato da qualcuno. Nei primi anni Trenta un produttore indipendente – Halperin – decide, nel momento in cui le storie che sarebbero poi state catalogate come horror stavano prendendo piede, di pescare nella mitologia haitiana per trovare storie di morti viventi nuove e ancora non toccate da altri produttori cinematografici. Mentre gli altri morti viventi del cinema erano stati preceduti da romanzi letterari, il culto dello zombi nasce con il cinema. Un film di nicchia, Withe Zombie (L’isola degli zombies) del 1932, periodo della Grande Depressione; ha per protagonista non lo hungan ma una donna che per una certa fase viene ridotta allo stato di zombi. “Tempi insoliti richiedono storie insolite” era lo slogan, e rispecchiava totalmente l’epoca difficile e critica che la società stava affrontando. Infatti, il centro della storia è il lavoro (il tasso di disoccupazione era altissimo): gli zombi sono come operai in una catena di montaggio. Essi rappresentano una morte di massa. La metafora era molto forte. Ma gli zombi sono soprattutto persone in vita per servire qualcuno che li soggioga. Nel film lo hungan è interpretato da Bela Lugosi: si vuole che la gente veda questa nuova storia, ma che allo stesso tempo abbia in mente Dracula. Il personaggio chiave del film sono gli zombi (morti viventi), insieme alla zombi bianca, una morta apparente. Ho camminato con uno zombi, il film di zombi successivo, si ispira ad un romanzo di Charlotte Bronthe, Jane Air: storia d’amore frenata da un personaggio drammatico ma totalmente privo di consapevolezza. Questa persona - da pazza che era nel libro - viene tramutata in zombie nel film. Il genere zombi rimane minore, fino al 1968, anno in cui esce La notte dei morti viventi di John Romero, che con degli amici ed una produzione indipendente si cimenta nel genere horror. Il film era una versione del libro Io sono leggenda, romanzo post apocalittico in cui un piccolo gruppo sopravvive in un mondo nel quale tutti gli altri sono diventato zombi. Caratteristica fondamentale degli zombi è che sono “come as you are”: personaggi vestiti allo stesso modo in cui sono morti. Non c’è un vestito particolare per uno zombi. A differenza degli zombi precedenti, in questo libro e poi nel film, gli zombi non sono schiavi di nessuno. Nessuno li manipola, ma la sola cosa che li guida è la fame: gli zombie di Romero sono antropofagi. Inoltre, odiano gli esseri umani viventi. Per odio e per fame, gli zombi uccidono e dilaniano il corpo dell’uomo. Romero ha definito le regole della mitologia degli zombi della seconda fase. I morti risorgono dalle tombe e perseguono i viventi perché li odiano e perché sono fonte di nutrimento. Chi viene morso da uno zombi viene contagiato. L’unico modo per finire uno zombi è spaccargli il cervello: mentre nelle storie di vampiri siamo ancora legati al credo ottocentesco secondo cui il centro della vita umana è il cuore, nel Novecento si afferma che il centro della vita è il cervello. L’orrore del perché i morti diventano zombi è mistero. Ma ciò che conta non è la causa, è il destino. Gli zombi sono i futuri noi. Vecchi e nuovi zombi, il mito della mummia Il mercato della produzione dei mezzi di comunicazione funziona in base all’equilibrio fra nuovo e sempre uguale: cambiano attori e facce, cambiano dei particolare, ma il nucleo di fondo delle storie è sempre lo stesso (Warshow). Ad un livello profondo diversi aspetti, per millenni, rimangono sempre gli stessi: il tema del morto persecutore - tema esistente in quasi tutte le culture; la figura dello spettro. Ad un livello intermedio abbiamo un livello delicato: le storie, diverse nella forma ma in fondo sempre uguali, in determinati momenti subiscono dei cambiamenti radicali. È quello che accade per esempio con i post vampiri: negli anni Settanta si ha una mutazione del mito antico. Il senso di questa nuova mitologia si aggiunge alla vecchia – non la sostituisce. Ciò è accaduto per i vampiri, ed è accaduto anche per gli zombi. La prima apparizione degli zombi nella cultura di massa è White Zombie, del 1932; esso ha avuto una serie di seguiti dagli anni Cinquanta in poi. Nel 1968 nasce, con La notte dei morti viventi di Romero, un nuovo tipo di zombi. Film a budget ridottissimo che ottiene un grandissimo successo. Ciò è indicativo della sintonia fra questo film e le questioni rilevanti che circolano nella società. Gli zombi sono molto radicati nella cultura di massa, nel modo in cui sono stati presentati da Romero. I temi che segnano questa nuova ondata di film di zombi – che continua tutt’ora – sono: Morte di massa: gli zombi si legano a grandi eventi distruttivi (bomba atomica, virus, distruzione della terra). Sono legati al genere post apocalittico: cosa succede dopo la fine del mondo? Il genere post apocalittico nasce infatti negli anni Cinquanta, con la consapevolezza ormai diffusa che l’umanità può autodistruggersi. Cosa resterà dopo il suicidio dell’umanità? Il post apocalittico delle storie degli zombi non è un mondo deserto, ma affollato di umani che non sono umani. La peste della post apocalisse siamo noi stessi. Il suicidio dell’umanità è una tematica fondamentale, e gli zombi ne sono la conseguenza. Assenza di giudizio: nello zombi, il giudizio è completamente scomparso: non giudicato, non può giudicare perché non più umano, non risparmia nessuno. Tutti quelli che diventano zombi, lo diventano alla stesso modo: nessuno si salva, ma l’essere zombi è il destino di tutti noi. Il sopravvissuto è solo un sopravvissuto temporaneo. Gli zombi non possono essere considerati cattivi in quanto non hanno essenza morale. Immortalità: l’immortalità dello zombi non è un privilegio ma un dato di fatto orripilante. Tutti vogliono ammazzare lo zombi: possono sembrare i nostri cari ma non lo sono. Sono animali. Diversità: Lo zombi è la nuova versione dell’alieno: animato da una sorta di alienità misteriosa, tanto coinvolgente in quanto siamo noi stessi dopo aver subito una mostruosa trasformazione. Sono noi dal punti di vista fisico ma si comportano come marziani o come un’umanità regredita tremendamente. Somiglianza: assomigliano ai nostri progenitori. Violenza: lo zombi manifesta la sua possibilità di diventare umano tramite la violenza (es contatto con le armi che lo ri-umanizza). La violenza sembra essere ciò che tiene unito la società, ciò che trasforma una razza in una civiltà. In molti film, l’essere umano viene mostrato più cattivo dello zombi. Morte interiore: soprattutto in L’alba dei morti viventi - che racconta l’invasione zombi di un centro commerciale e il cui tema fondamentale è “noi siamo tutti degli zombi anche se non lo sapevamo” – parla della morte. Morti dentro: non solo gli zombi rappresentano l’essenza di moralità umana, ma molti personaggi umani – militari, stupratori, assassini – sono peggiori degli zombi. Si tratta della morte fisica, ma anche di quella metaforica. Sbranato dagli zombi: scena chiave dei film di zombi. In molti casi questa scena – che è una sorta di versione mostruosa dell’eucarestia – in qualche caso è volontaria (sacrificio). In questa scena c’è sempre una giustizia paradossale: il vivente che è peggiore degli zombi finisce nelle loro mani. Tutti i film di zombi giocano con il paradosso (il credo – non credo dello spettatore). Mummia. La mummia è un morto vivente anomalo e del tutto particolare in quanto il suo non è uno stato tra la vita e la morte, non si trova fra due mondi: è morta da millenni e il suo corpo ha subito rigorosi ed elaborati riti funebri. La figura della mummia è meno onnipresente nell’immaginazione collettiva rispetto alle altre figura di morti viventi. La figura della mummia ha una storia analoga a quella del vampiro: abbiamo una presenza letteraria della mummia che torna in vita. La vicenda della mummia che ricompare è un’idea ottocentesca e che emerge nella letteratura dell’Ottocento, perché: Enorme interesse per la civiltà egizia: ai primi dell’Ottocento viene decifrata la Stele di Rosetta. Champolion trovò una pietra con una scritta in tre lingue diverse e fu in grado di tradurre e decifrare progressivamente le altre scritture egizie. Una civiltà di migliaia di anni è riuscita a fare grandi operazioni ancora a noi oscure. Sappiamo molto della civiltà egizia, ma vi sono dei punti molto oscuri. È questo che affascina degli egizi: nonostante li conosciamo, conservano una sorta di mistero. La cultura egizia è una cultura della morte, della religione e della costruzione. Il fascino della cultura egizia è un tema ricorrente in tutti i film e romanzi della mummia. Ritorno delle pratiche di imbalsamazione: a partire dalla guerra civile americana, negli Stati Uniti una parte considerevole dei cadaveri venivano imbalsamati. Ciò ha creato molte discussioni circa la liceità del gesto dal punto di vista cristiano. Il ritorno all’imbalsamazione acquisisce importanza nel primo Ottocento (saranno imbalsamate molte delle salme politicamente importanti). L’imbalsamazione ritorna di moda e una delle grandi domande è se il riuscire a sottrarre il cadavere dalla putrefazione sia una sorta di sacrilegio o sia una sfida alla morte o entrambi. Tale domanda è la base di tutti i film di mummia. Esotismo: la mummia arriva da una terra lontana ma anche da un tempo lontano. A differenza degli altri morti viventi – che non sono totalmente morti – la mummia è morta, ma è anche stata sepolta tramite elaborati riti funebri e per migliaia di anni è stata rinchiusa nel suo sarcofago. Ritorna viva. La morte ridà la vita alla mummia nonostante essa sia morta. I primi racconto di mummie compaiono nell’Ottocento: The Mummy! Di Jane Webb, 1827; Dialogo di Federico Ruysch e delle sue mummie, nelle Operette morali di Giacomo Leopardi, uscite nel 1824 (Ruysch era un imbalsamatore). La morte viene cantata dalle mummie come l’unica cosa eterna e come il destino di tutte le creature e infine è la grande consolatrice. La domanda chiave della fine del dialogo è cosa si senta nel momento della morte: il passaggio tra vivere e morire è mistero. Storie romantiche di mummie: Il romanzo della mummia, di Gautier (scrisse anche racconti su Pompei): affascinato da tutta l’archeologia. Caratteristiche della mummia: Come uno zombi: il suo modo di muoversi – il poter ancora camminare, incurante dei colpi d’arma da fuoco, la sua camminata rigida e dal passo incerto – prefigura la saga degli zombi di Romero. Tema amoroso: la mummia rivive soprattutto perché è innamorata e perché vuole ritrovare il suo amore (come succede nel racconto di Conan Doyle). Violazione delle regole umane e divine da parte della mummia. Esempio Imohtep, l’architetto egizio che cercò di sedurre la figlia del faraone. La leggenda della maledizione di Tutankamon attesta che la civiltà egizia non vuole essere violata. La morte non deve essere violata. Il paradosso delle mummie è che il loro risveglio viene a strapparle non semplicemente al sepolcro ma anche a una pace incomparabile. Antagonista: archeologo (innamorato delle stessa donna): sacrilego in quanto viola la tomba; ed il capo della spedizione archeologica. L’archeologo ricorda lo scienziato pazzo perché come lui mette in moto delle forze che non riesce a controllare; turbando la quiete del sepolcro richiama potenze legare alla religione egizia. Egli è vittima della sete di conoscenza. La violazione del sepolcro da parte dell’archeologo è l’interruzione del riposo. Lo scavo archeologico viene rappresentato come un atto di violenza nei confronti di una tradizione religiosa diversa dalla nostra ma meritevole di rispetto. Un gesto involontario ma sacrilego. Persecuzione dei viventi: il suo ritorno sulla terra semina il terrore. La mummia vuole vendicarsi dei viventi per una vita che non ha più. Relazioni con altri film dell’orrore: Boris Karloff è stato protagonista di Frankenstein di Whale (1931) e della Mummia (nel film di Freund, 1932); Balderston ha collaborato per il film Dracula di Browning (1931) in quanto aveva portato a teatro il romanzo di Stoker. Distanza: lo zombi, il morto di massa, è quello che noi stessi potremmo diventare; il vampiro è un mostro proveniente da un mondo lontano ma approdato in Occidente. La mummia è distante da noi 4000 anni. Freund e Baldeston (sceneggiatore delle storie di Dracula) riscuotono grande successo con la Mummia nel 1932. Baldeston aveva seguito come giornalista la scoperta della toma di Tutankamon.