UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TORINO
DIPARTIMENTO DI STUDI STORICI
CORSO DI LAUREA IN STORIA
TESI DI LAUREA IN STORIA GRECA
L’UNIONE ARGO-CORINTO
Una storia parallela tra V e IV secolo
Relatore:
Candidato:
Prof.ssa Elisabetta Bianco
Matteo Giordano
Anno Accademico 2018/2019
1
Regnabo, regno, regnavi, sum sine regno
2
INDICE GENERALE
LA NUOVA ARGO DA SEPEIA AL COLPO DI STATO (494-418)
5
G. L’ALLEANZA
5
7
9
10
11
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14
IL COLPO DI STATO OLIGARCHICO IN ARGO
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A. IL PARTITO FILOSPARTANO ARGIVO
D. LA SITUAZIONE POLITICA DI ARGO DOPO LA GUERRA DEL PELOPONNESO
17
20
25
27
LE SPEDIZIONI IN ASIA E LA GUERRA DI CORINTO
30
A. DAL 400 ALLA STASIS CORINZIA DEL 392
D. UN COLPO DI STATO DEMOCRATICO?
30
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37
39
L’ISOPOLITEIA TRA ARGO E CORINTO
41
A. SENOFONTE, ANDOCIDE E DIODORO
41
51
A. LA DISFATTA DI SEPEIA
B. LE CONSEGUENZE SOCIALI E IL DECADIMENTO A POTENZA LOCALE
C. I ΔΟUΛΟΙ/ΠΕΡIΟΙΚΟΙ E LA QUESTIONE DEL METICCIATO
D. L’ESPANSIONE REGIONALE E SPARTA
E. LA DECADENZA DELLA TREGUA TRENTENNALE TRA ARGO E SPARTA E LA LEGA DEL 421
F. LA STRATEGIA CORINZIA
B. UN COLPO DI STATO ISTITUZIONALE
C. LA SITUAZIONE POLITICA DI CORINTO DOPO LA GUERRA DEL PELOPONNESO
B. LA STASIS DI CORINTO: 393 O 392?
C. LA CONSISTENZA DEI PARTITI DI CORINTO
B. IN FINE, UN DIALOGO TRA LE FONTI
C. LA PACE DI ANTALCIDA E LA FINE DELL’ISOPOLITEIA: IL FALLIMENTO DELLE TRATTATIVE DEL
392
55
D. LA RIPRESA DELLA GUERRA E LA FINE DELLE OSTILITÀ, IL CAPOLAVORO DIPLOMATICO DELLA
PERSIA
57
E. DOPO LO SCIOGLIMENTO DELL’UNIONE: SCITALISMO E STASIS AD ARGO (370)
59
F. L’ULTIMO TENTATIVO DEGLI ESULI: CORINTO DAL 386 AL 370
61
CONCLUSIONE
64
BIBLIOGRAFIA
65
3
INTRODUZIONE
Il presente lavoro intende descrivere principalmente le connessioni e i rapporti tra i
partiti oligarchici di Argo e gli omologhi corinzi, con l’ambizione di proporre una teoria
atta a spiegare gli avvenimenti che legarono le due città tra il 3921 e il 386. In queste pagine,
di concerto con l’argomentazione principale, viene descritto anche lo scenario storico, in
modo tale da collocare gli avvenimenti nel loro preciso contesto. La trattazione riguarderà
un arco temporale piuttosto ampio, dal 494 al 370, così da seguire molto da vicino e nel
dettaglio il percorso di sviluppo delle relazioni tra le due città e delle parallele vicende
interne.
La narrazione prende l’avvio dalla battaglia di Sepeia del 494, concentrandosi in
particolare sulle conseguenze che ebbe sugli equilibri interni di Argo, che venne in
quest’occasione sconfitta da Sparta. La vicenda ha una rilevanza fondamentale nel discorso
perché rimase una ferita aperta e portò con sé notevoli conseguenze: nei secoli successivi
infatti la politica di Argo fu sempre considerevolmente influenzata dalle frizioni sociali
derivanti dalla battaglia. Inoltre, verrà sottolineata la rivalità che dal 494 intercorse tra gli
Argivi e gli Spartani, al fine di descrivere lo scenario generale e comprendere le rispettive
scelte.
Dopodiché si parlerà dei primi avvenimenti che videro Argo e Corinto avvicinarsi
gradualmente l’una all’altra, fino alla firma di un trattato di alleanza nel 421, che ebbe il
chiaro intento di formare una terza forza in opposizione e in alternativa all’egemonia di
Sparta e Atene. L’alleanza, sebbene di corto respiro, è importante perché vi si può leggere
la prima presa di posizione pubblica dei partiti oligarchici delle due città, che, forti del loro
controllo sulle rispettive poleis, si misero qui per la prima volta in gioco, dandoci modo di
poterne analizzare le speranze e le modalità di azione. Sempre seguendo la storia degli
oligarchici si giungerà alla descrizione del colpo di stato che abbatté la democrazia in Argo
nel 418, che darà modo di comprendere maggiormente le aderenze politiche presenti in
città e le divisioni interne allo stesso partito tra una corrente filospartana e una filocorinzia.
Per dare un chiarimento circa le modalità di azione e le possibilità degli oligarchi verranno
a questo punto prese in esame le istituzioni di Argo, che come si vedrà lasciano spazio ad
un ampio dibattito circa la natura della costituzione della città, formalmente democratica,
ma con una forte presa sulle magistrature da parte del partito oligarchico. Allo stesso modo
gradualmente verrà descritta la costituzione di Corinto, una città sicuramente oligarchica,
in cui il popolo non aveva alcun ruolo dirimente e nella quale gli uomini più influenti si
trovarono spesso a lottare per il potere con sotterfugi e complotti, e una volta conquistato,
lo amministrarono con spregiudicatezza e pragmatismo.
Se da un lato la guerra del Peloponneso verrà trattata solo nelle sue intersecazioni con la
storia delle due poleis, così non sarà per la guerra di Corinto, descritta più ampiamente nelle
sue varie fasi a partire dalle spedizioni spartane in Asia Minore, per poi finire con la pace
di Antalcida del 386. All’interno di questo scenario si collocano alcuni avvenimenti di
grandissimo interesse: il colpo di stato di Corinto del 392, e il successivo trattato di isopoliteia
tra Argivi e Corinzi. Il primo ci aiuta a comprendere appieno i movimenti politici che
1
Tutte le date presenti nel testo sono da intendersi davanti Cristo, salvo ove altrimenti indicato.
4
interessarono la città nei primi anni del IV secolo, accendendo una luce sulle aspirazioni
politiche e personali sia di coloro che attuarono il golpe, sia di chi ne fu vittima. La strage
del 392 costituisce la chiave di volta della narrazione, un momento in cui gli oligarchici di
entrambe le città, soffocati e assediati dagli eventi bellici, furono costretti a venire allo
scoperto e a prendere decisioni gravi e rischiose, ma ai loro occhi irrinunciabili. Tra queste
scelte campeggia la decisione di unire le costituzioni delle due città, che così, dopo un lungo
avvicinamento, si trovarono a far parte di un’unica nazione, votandosi ad un comune
destino.
L’isopoliteia in queste pagine non verrà descritta seguendo un criterio ideologico, ma
privilegiando un approccio pragmatico, principalmente analizzando le convenienze
politiche di chi l’attuò, in modo tale da alleggerire la vicenda dal peso delle ideologie, che
certo in questo caso interessano più i moderni che gli antichi. Le affermazioni e le teorie
esposte in questo testo seguiranno lo studio critico delle fonti a nostra disposizione
riguardanti l’unione, nelle loro problematicità e incoerenze, provando a trarne il maggior
numero di informazioni utili per il nostro discorso. Contestualmente vi sarà l’analisi delle
posizioni dei moderni, dando ampio spazio alle proposte che nel tempo hanno beneficiato
del maggior seguito e della più benevola accoglienza.
L’unione di cui qui si parla non fu certo coronata dal successo e venne sciolta, sotto la
minaccia spartana di un intervento armato, alcuni anni dopo essere stata attuata, nel 386. A
questo evento seguì l’esilio di quei Corinzi che furono coinvolti, i quali ripararono ad Argo.
In ultima istanza si parlerà di un nuovo tentativo di prendere il potere degli esuli, che
tentarono la sorte negli anni ’70 del IV secolo, solo per vedersi nuovamente sconfitti. Negli
stessi anni vi fu un’ulteriore strage civile ad Argo, in cui il partito oligarchico, protagonista
dell’unione, fu decimato dalla furia del popolo democratico, fomentato dai demagoghi. Con
questa ulteriore sconfitta dei filoargivi di Corinto e degli oligarchici argivi, si esaurisce il
potenziale di questi partiti, e anche la nostra storia.
5
Capitolo I
LA NUOVA ARGO DA SEPEIA AL COLPO DI STATO (494-418)
a. La disfatta di Sepeia
La storia di Argo nel V secolo tratteggia la volontà di una città, precedentemente
egemone nel Peloponneso2 all’epoca di Fidone3 e dell’impero argivo, di ritrovare la sua
antica posizione di prestigio, riconosciuta in tutto il mondo greco, di cui fu spogliata dal re
Cleomene I di Sparta dopo la battaglia di Sepeia del 4944. Il secolo dunque si apre per Argo
con una catastrofica disfatta subita nei pressi di Tirinto, precisamente a Sepeia, dove si era
acquartierato l’esercito spartano sbarcato a Nauplia, dopo aver attraversato il golfo argolico
con l’aiuto di navi sicionee ed eginete5.
Per un po’ di tempo le due armate si fronteggiarono, finchè Cleomene I capì che gli
Argivi comprendevano e copiavano gli ordini che venivano impartiti tramite gli araldi ai
soldati Spartani6. Il re quindi comandò che venisse dato il segnale della colazione, ma
disponendo che, invece che seguirlo, i suoi uomini si preparassero per l’attacco e subito
caricassero veementemente i nemici. Il piano funzionò e gli Argivi, pensando che gli
avversari stessero facendo colazione, furono colti del tutto alla sprovvista e completamente
sbaragliati, ma nonostante le numerosissime perdite per la maggior parte riuscirono a
rifugiarsi nel bosco sacro all’eroe Argo, che si trovava poco oltre le loro linee e vicino
all’accampamento. Lì vennero accerchiati dagli Spartani e una cinquantina di loro venne
persuasa ad uscire allo scoperto dalle promesse dei vincitori, che, chiamandoli uno ad uno7,
giuravano di lasciarli andare senza far loro alcun male, soltanto richiedendo il riscatto di
due mine per ogni uomo, come d’uso tra gli abitanti del Peloponneso.
L’inganno venne scoperto da un argivo che salì su un albero e si rese conto che tutti
coloro che abbandonavano il riparo venivano in realtà immediatamente trucidati. A questo
punto Cleomene I ordinò agli Iloti, in modo tale da non aver le mani sporche di sangue, di
dare alle fiamme il bosco sacro8, decisione che sortì il completo annientamento dell’esercito
argivo, i cui uomini furono tutti arsi vivi9. L’impudenza degli Spartani non si fermo però a
Sulla storia precedente di Argo vd. Tomlinson 1972, pp. 51-86.
Per un approfondimento circa Fidone vd. Ragone 2006, pp. 27-105.
4 Paus. III, 4, 1 colloca la battaglia all’inizio del regno di Cleomene I (520-490).
5 Her. VI, 92. Gli Argivi rinfacciarono poi il gesto alle due poleis chiedendo il versamento di mille talenti,
cinquecento per ogni città. Solo Sicione si disse disposta a versare una parte dell’ammenda richiesta; Egina
invece rifiutò con forza.
6 Her. VI, 78.
7 Cleomene trasse le informazioni di cui aveva bisogno per attuare questa tattica da alcuni opliti che si erano
arresi. Her. VI, 79. Forrest 1960, p. 222 sgg., legge l’avvenimento proponendo addirittura che gli Argivi che
rivelarono i nomi stessero cercando di liberarsi dei loro nemici politici. In qualche modo l’autore prova anche
ad inserire questo fatto tra le concause del colpo di stato aristocratico/oligarchico dei figli dei caduti a Sepeia
chiedendosi: “Did Kleomenes, forgetting the lesson of 508, hold back because he hoped that these deserters,
their opponents eliminated, would acquire sufficient influence to direct Argive policy in a way more favourable
to himself[…]?”.
8 Her. VI, 80.
9 Le fonti parlano di 5000 (Paus. III, 4, 1), 6000 (Her. VII, 148), oppure 7777 uomini arsi vivi nell’incendio del
bosco sacro (Plut. Mor. 245d; Polyaen. VIII, 33). In ognuno di questi casi i numeri indicano la morte di pressoché
tutti i cittadini attivi di Argo, che formavano il nerbo della polis.
2
3
6
questo: infatti il re si recò all’Heraion per compiere un sacrificio in onore degli Dei, cosa che
gli venne impedita dal sacerdote10, che gli ricordò come fosse un sacrilegio per uno straniero
sacrificare nel tempio. Il pio Cleomene I non si perse però d’animo e di nuovo si servì degli
Iloti che accompagnavano la spedizione, imponendo loro di frustare il sacerdote e di
costringerlo ad abbandonare il tempio, dove, ormai solo, finalmente lo spartiata fece il suo
sacrificio in onore degli Dei che aveva così spregiudicatamente offeso11.
Quando la notizia giunse ad Argo la poetessa Telesilla12 si fece baluardo della resistenza
e convinse la cittadinanza ad armarsi, facendo affidamento anche sugli schiavi13 e sui
giovani e i vecchi argivi che non avevano partecipato alla battaglia come opliti; dato che
comunque le sorti di un eventuale assedio erano pesantemente a loro sfavore si decise di
armare anche le donne14. Quest’ultimo fatto portò gli Spartani a ritirarsi15, in quanto
consideravano fonte di sommo disonore incrociare le lame con delle donne, così la città si
salvò dalla completa distruzione. Questa catastrofica sconfitta16 portò necessariamente ad
operare forti cambiamenti nella sua costituzione reale17, che divenne, senza un
capovolgimento istituzionale18, ma sostanziale, ancor più orientata alla democrazia19.
Mentre Argo era costretta a ripartire da principio, cosa che richiese molto tempo, nella
ricostruzione della sua potenza, contestualmente Sparta ebbe gioco facile ad imporsi come
nuova egemone nel Peloponneso e a tessere alleanze che isolarono del tutto Argo,
circondata da poleis fortemente legate alla rivale e con la quale condividevano interessi e
forme di governo.
È curioso che Erodoto parli di un sacerdote e non di una sacerdotessa come officiante nel tempio di Era, che
tradizionalmente riguardava l’ambito femminile.
11 Dopo questo evento il racconto di Erodoto vede Cleomene I di ritorno in patria, poiché convinto che l’oracolo
che lo voleva protagonista della conquista di Argo si fosse ormai avverato con il rogo del bosco sacro: Her. VI,
80-81.
12 Gli eventi collegati alla figura di questa poetessa, di cui non si hanno comunque ulteriori informazioni, hanno
portato Frazer a pensare che l’evento fosse l’origine di un culto molto particolare della città di Argo che vedeva
una commistione delle figure divine di Ares e di Afrodite. Cfr. Frazer 1898, pp. 197-198.
13 Questa affermazione di Erodoto ha sollevato non poche discussioni cui vi è riferimento nelle pagine
immediatamente seguenti.
14 La partecipazione delle donne alla difesa di una città sotto assedio non era cosa di cui stupirsi. Cfr. Tomlinson
1972, p. 94.
15 Questa è la versione di Paus. II, 20, 8-9; III, 4, 1; Plut. Mor. 245c-e; Polyaen. VIII, 33. È da considerarsi più
probabile che la ritirata sia dipesa dal fatto che Cleomene ritenesse inutile proseguire la campagna e rischiare
delle perdite, dato che l’obiettivo principale, l’annientamento dell’esercito argivo, notoriamente piuttosto
imponente, era già stato conseguito. Probabilmente quindi, a prescindere dal ruolo della poetessa e dalla
reazione della cittadinanza, comunque gli Spartani non avrebbero tentato un temerario attacco diretto ad una
città ed un rischioso assedio, non possedendo doti poliorcetiche. Così Tomlinson 1972, pp. 95-96 e Bearzot 2006,
p. 112.
16 Paus. II, 20, 8, fornisce ulteriori dettagli circa questi eventi.
17 È stata inoltre avanzata l’ipotesi che lo stesso spirito identitario argivo abbia trovato nella battaglia di Sepeia
il suo nerbo, così da rendere la battaglia una sorta di mito fondativo della città a partire dal V secolo. Cfr. Piérart
2002, pp. 181-182.
18 Questo argomento è trattato nel dettaglio poco oltre: vd. cap. I, b.
19 Cfr. Piérart 2000, pp. 297-314.
10
7
b. Le conseguenze sociali e il decadimento a potenza locale
La gravissima oligantropia in cui venne a trovarsi la città dopo la battaglia, in cui
morirono pressoché tutti i cittadini maschi, costrinse obtorto collo ad inserire nel novero
degli abitanti anche un gran numero di coloro che fino ad allora ne erano stati esclusi,
quindi perieci e, forse, schiavi20, nell’attesa che i figli dei caduti raggiungessero la maggiore
età21. Questa traumatica evoluzione produsse severi cambiamenti sociali interni che
portarono sì la città ad una costituzione sempre più aperta al demos, ma furono in un certo
senso inficiati dalla brutalità con cui si verificarono, non avendo il necessario tempo di
assorbimento delle nuove istanze popolari, la cui formazione è da imputarsi alla vitalità
delle forze sociali cui per necessità era stato dato peso politico con l’ingresso nella
cittadinanza. Questi cambiamenti si basano quindi su una ferita, la battaglia di Sepeia e il
successivo allargamento della cittadinanza, che non si cicatrizzò mai, e le cui conseguenze
furono un continuo scontro tra un partito oligarchico22, e uno democratico, che caratterizzò
la storia della città per almeno due secoli.
Il primo effetto di questa ferita fu l’espulsione dei nuovi cittadini23, che ripararono a
Tirinto, da parte dei figli dei caduti a Sepeia che avevano ormai raggiunto la maggiore età.
Non vi sono però notizie di una involuzione costituzionale fondativa di istituzioni
maggiormente improntate all’oligarchia, forse perché anche i figli dei caduti vedevano in
Sparta la loro peggiore nemica e una riforma che portasse ad un sistema ancora più
oligarchico era probabilmente interpretata come una sottomissione nei confronti di un
modello sociale che vedeva in Lacedemone il più fulgido rappresentante, una sorta di
sottomissione ideologica. In questo senso è probabile che le frizioni sociali interne alla città
siano state un perenne monito funzionale a non dimenticare le azioni degli Spartani, cui
tutte le componenti della popolazione, a prescindere dalle proprie identità politiche, si
Aristot. Polit. V, 1303a-b parla di περίοικοι, invece Her. VI, 83, 1 di δοῦλοι. Per un approfondimento della
questione rimando a Forrest 1960, p. 222 e più di recente Bearzot 2005, che sottolinea la discendenza da
tradizione aristocratica del racconto erodoteo e diodoreo (Diod. X, 26), preferendo fonti giudicate più neutre
come Plutarco (Plut. Mor. 245f), e soprattutto il già citato Aristotele. Bearzot dunque ritiene da preferirsi la
naturalizzazione degli abitanti delle zone limitrofe piuttosto che una rivoluzione degli schiavi. Tomlinson 1972,
pp. 98-99, aveva dal canto suo formulato un’ipotesi mediana piuttosto complicata che tendeva ad identificare i
δοῦλοι con i περίοικοι.
21 Zambelli 1974, pp. 450-451; ibid. 1971, pp. 150-151, propone di ridimensionare la portata dell’ingresso nella
cittadinanza di un così ampio numero di περίοικοι non solo sostenendo, secondo me a ragione dato che non vi
è alcun accenno nelle fonti, che non ci sia stato un radicale cambiamento in senso democratico nelle istituzioni,
ma per di più che le magistrature fossero rimaste in mano ai cittadini originari, poiché l’accesso avrebbe dovuto
avvenire esclusivamente sulla scorta di privilegi aristocratici, cosa di cui non vi è comunque una traccia nelle
fonti. Questa posizione è molto difficile da condividere sia sul piano strettamente logico (i nuovi cittadini
avevano un peso politico sotto quasi ogni aspetto maggiore dei vecchi) sia su quello storiografico, in quanto
rifiuta in toto Her. VI, 83, 1.
22 Formato dai figli dei caduti, per Argo aristocratica nel VI secolo vd. Scott 2005, p. 579, in generale su Argo pp.
571-597. Bisogna comunque tenere ben presente che i figli dei caduti, nonostante fossero tendenzialmente più
elitaristi dei nuovi cittadini, erano comunque comprensibilmente radicalmente ostili a Sparta.
23 Sulle conseguenze dell’esilio dei περίοικοι/δοῦλοι, di recente immessi nella cittadinanza, è illuminante il
ragionamento di Tuci 2006, pp. 222-224, che pone l’accento sulla difficoltà di interpretare questo passaggio come
un duro moto reazionario, considerando come fondamentale il meticciato conseguente all’allargamento della
cittadinanza, tra i “vecchi cittadini” e i “nuovi”. Va in questo senso giustamente notato che fra la città di Argo
e Tirinto vi furono inizialmente ottimi rapporti. cfr. Her, VI, 83, 1.
20
8
dimostrarono per secoli ostili. Sia dunque la costituzione democratica24, in una regione a
prevalenza oligarchica, sia l’ormai forte e stabile predominio di Sparta, senza dimenticare
l’azzeramento delle risorse militari, non favorirono una riscossa argiva, che quindi si limitò
al perseguimento di interessi limitati all’area geografica a lei più vicina. Un ulteriore punto
a sfavore è dato dalla coincidenza di Sepeia con le guerre persiane, cui Argo non partecipò25,
sia perché aveva un gravissimo deficit di popolazione, sia perché non accettava di cedere il
comando delle truppe alla rivale; inoltre fu addotto a pretesto un oracolo delfico che
sconsigliava la guerra26. Dal punto di vista internazionale questa neutralità comportò il
totale isolamento nell’epoca dell’accordo promosso da Cimone27, come dimostra il fatto che
sia le fonti aristocratiche sia quelle ateniesi sono perlopiù ostili.
Nel periodo successivo al 494 dunque Argo, favorita in questo anche da una relativa
stabilità interna, si dedicò ad allargare la sua sfera di influenza in Argolide, con processi di
annessione o sinecismi che riguardarono gli insediamenti a lei più vicini28, così facendo
riuscì a tornare, dallo sfondo cui era stata relegata, ad un ruolo quantomeno di secondo
piano, cui fecero riferimento le altre città di orientamento democratico del Peloponneso
(Elide e Mantinea); non fu abbastanza però per dare alla città la forza di cui aveva bisogno
per opporsi allo strapotere di Sparta, dal momento che l’alleanza promossa dall’esule
Temistocle intorno al 470 con Cleone, Tegea, Mantinea ed Elide, che in quel periodo si
stavano avvicinando alla democrazia, andò incontro alla sconfitta sul campo di Tegea29,
riportando Argo a curare i suoi interessi regionali con la sottomissione, tra 469 e 464, di
Micene30 e Tirinto31, da cui gli esuli avevano intanto promosso una guerra.
Non bisogna lasciarsi trasportare da una definizione così netta e sintetica del sistema politico argivo in quanto,
a fronte di un ampliamento degli aventi diritto alla cittadinanza e di una forte influenza dell’assemblea, che
pure non pare sia stata fondata in concomitanza con l’allargamento della cittadinanza, rimanevano in auge
ancora fondamentali istituzioni di stampo oligarchico, tra cui più probabilmente la boule (vd. Zambelli 1971, pp.
150-156; 1974 pp. 450-451; Tuci 2006, p. 218 n. 35 e Forrest 1960, p. 225. Come fonte cfr. Her. VII, 148-149) e alcuni
magistrati molto influenti (cfr. [Them.] Ep. II,2, sulla cui attendibilità, invero molto dubbia, vd. Cortassa-Culasso
Gastaldi 1990, p. 261, oppure in termini generali ibidem pp. 253-288). È possibile che un accordo tra l’anima
vecchia e nuova di Argo sia stato trovato nella comune ostilità verso Sparta e favorito dal meticciato
inevitabilmente seguito a Sepeia.
25 Lo fecero però Micene e Tirinto, città dell'Argolide, che a Platea fornirono alla coalizione 400 opliti. Cfr. Her.
IX, 28. Micene in particolare aveva anche portato 80 suoi opliti alle Termopili ed entrambe le città sono
annoverate tra quelle che avevano partecipato alla guerra. Cfr. Her. VII, 202; Paus. II, 16, 5; Diod. XI, 65, 2; per
le città facenti parte della coalizione vd. Paus. V, 23, 1-2.
26 Le vicende sono raccontate con dovizia di particolari in Her. VII, 148-152.
27 Sordi 2002, pp. 341-360, riguardo l’epoca del compromesso cimoniano. Kelly 1974, pp. 81-99, sulle
conseguenze per Argo di questa rinnovata unità ed armonia tra le due maggiori potenze greche.
28 Cfr. Tomlinson 1972, p. 101 sgg.; Moggi 1976, pp. 246-255; Piérart-Touchais 1996, p. 42 sgg.
29 Her. IX, 35.
30 Diod. VI, 65 parla della caduta di Micene come una conseguenza del terremoto del 464, ma la colloca al 468/9,
su questo problema si è speso Forrest 1960, p. 231, che propone di vedere nel 469/8 la ribellione della città e nel
464 la sua caduta. Se questa datazione fosse accettabile significherebbe che l’indipendenza di Micene dipendeva
completamente da Sparta, che, non essendo nelle condizioni di difenderla per via della rivolta degli Iloti e della
devastazione causata dal terremoto, aveva lasciato che capitolasse. Il ragionamento appena esposto non inficia
però l’ipotesi di Lewis 1997, pp. 9-22, di un forte interesse corinzio per questa polis, che anche in questo caso
avrebbe potuto esistere, pur non essendo, forse, il cardine del sistema difensivo di Micene.
31 Her. VI, 83, 2.
24
9
c. I δοῦλοι/περίοικοι e la questione del meticciato
Molti studiosi collocano l’allontanamento dei δοῦλοι/περίοικοι da parte dei figli dei caduti
di Sepeia nel 46832, quindi ben 26 anni dopo la battaglia, e la guerra tra Tirinto e Argo nel
466, ma questo provoca non pochi problemi perché significherebbe che non solo i figli dei
cittadini originari nel 468 avevano di certo raggiunto la maggiore età e anzi alcuni tra loro
avevano già a loro volta dei discendenti, anche se non in età da avere un peso politico, ma
ancor più importante è il fatto che i figli di matrimoni misti33 tra le vedove argive e i
δοῦλοι/περίοικοι erano a questo punto maggiorenni, cosa che apre una discussione molto
complessa.
È davvero difficile ipotizzare, se si accetta il racconto di Erodoto di una presa del potere
dei nuovi abitanti34, che costoro non siano riusciti a garantire l’accesso alla cittadinanza
almeno per i loro figli meticci, sfruttando le ovvie implicazioni date dall’avere una madre
argiva; è più probabile infatti o che costoro avessero uno status giuridico di secondo livello,
oppure che fossero a pieno titolo cittadini. Sempre tenendo presente la cronologia
riconosciuta si deve allora affermare che lo scontro che si verificò nel 468 vide contrapposta
una generazione, quella dei figli degli antichi cittadini, a due generazioni, una dei nuovi
cittadini, che avevano dalla loro sia il controllo delle istituzioni, sia banalmente i numeri, e
una seconda, i loro figli, che potevano addurre a loro favore anche una forte pretesa alla
cittadinanza. In quest’ottica risulta impossibile accettare il racconto erodoteo, che punta a
descrivere una scissione volta ad esiliare tutti coloro che erano stati immessi nella
cittadinanza, perché si scontra con l’evidenza della sproporzione delle forze in campo, che
non avrebbe consentito un’operazione così dura.
Le ipotesi a questo punto possono essere soltanto due. Una è la retrodatazione degli
eventi di almeno due decadi35, accettando però la valenza radicale dell’espulsione. Questo
porrebbe gli eventi in uno scenario in cui solo i figli dei caduti avrebbero raggiunto la
maggiore età, ma non i figli meticci, cosa che riequilibrerebbe i rapporti di forza, ma non
risolverebbe il problema dei figli di madre argiva, di cui, in virtù dei loro diritti, sarebbe
comunque difficile ipotizzare un allontanamento poiché, per ovvi motivi, sarebbero stati
seguiti dalle loro madri, che per ricollegarci al racconto di Pausania erano le stesse che
avevano salvato la città da Cleomene I. La seconda ipotesi, tenendo sempre come punto di
Forrest 1960, pp. 226-229, 232 e Bearzot 2006, pp. 116-117, pongono la scissione nel 468, non considerando
però le criticità di questa posizione. Come chiosa aggiungo che nelle stesse pagine Bearzot, riprendendo il punto
di vista di Forrest (p. 228), ricostruisce le relazioni tra Sparta ed Argo dopo il 468 sulla base della Nemea X di
Pindaro, attestante buoni rapporti tra le due città, e adduce questa armonia e questo avvicinamento alla
“revanche aristocratica collocabile tra 469/8 e 464”, senza considerare però che gli aristocratici revanscisti di cui
parla avevano dovuto lottare per riacquisire il prestigio passato proprio perché gli Spartani avevano arso vivi
tutti i loro padri, cosa che rende difficile credere che la loro prima mossa, una volta ripreso il potere, sia stato
un ammiccamento proprio verso i Lacedemoni. Forrest dal canto suo estende ulteriormente il periodo di buoni
rapporti tra le due città fino a comprendere il 494 e il 451.
33 Plut. Mor, 245f.
34 Her. VI, 83.
35 In effetti Willets 1959, p. 499 e Vannicelli, Erodoto p. 85, propongono di retrodatare l’espulsione al 478, 16
anni dopo Sepeia, un’ipotesi comunque decisamente più logica del 468, poiché i figli di madre argiva sarebbero
stati ancora molto giovani e forse non ancora politicamente attivi.
32
10
riferimento il 468, è quella di una rivisitazione in chiave moderata degli esili, che quindi
non sarebbero stati né così generalizzati né così perentori, magari solo con l’espulsione di
coloro che ricoprivano incarichi, ma questo pone comunque il problema di come i figli
meticci abbiano potuto accettare l’esilio dei loro stessi padri.
Ovviamente ho tralasciato una questione: l’aspetto giuridico e numerico del meticciato.
Malgrado le fonti non ne parlino, è possibile che il meticciato fosse inviso e probabilmente
osteggiato in un contesto come quello argivo36, che comunque era di matrice aristocratica;
inoltre è anche ben probabile che i nuovi cittadini si siano trasferiti ad Argo portando con
loro le famiglie, e quindi i matrimoni misti non fossero stati così numerosi, ma anche in
questo caso la bilancia avrebbe propeso per i nuovi cittadini, sia pure solo per il numero e
il controllo delle magistrature. Se si scartano tutte le ipotesi di cui si è parlato l’unica cosa
che a questo punto potrebbe essere d’aiuto è il ridimensionamento della sconfitta del 49437.
Infatti, se si propone di limitare le perdite della battaglia, quindi immaginando che qualche
migliaio di cittadini in età militare siano sopravvissuti e siano riusciti a mantenere il
controllo di alcune istituzioni, si potrebbe forse giustificare gli eventi di Egina degli anni
precedenti il 48738 e accettare la scissione nel 468, ma senza dubbio tutto ciò andrebbe
fortemente contro le fonti; data la mancanza di elementi certi quindi è forse meglio lasciare
aperta la questione.
d. L’espansione regionale e Sparta
Tornando all’espansione regionale è difficile credere che sia un caso la concomitanza con
il terremoto che devastò la Laconia e Sparta in particolare nel 464; è molto probabile infatti
che quel terremoto abbia aperto inaspettati spazi di manovra per gli Argivi, che dunque
vedevano di fronte a loro diverse strade che potevano percorrere nel tempo che rimaneva
prima di una ripresa in pieno della forza laconica. Una possibilità era quella di attaccare
direttamente Sparta sia per aver vendetta, sia per riottenere il controllo della Tireatide,
ormai annessa dai Laconici, una spedizione volta a conseguire un obiettivo importante, ma
certo non dirimente. Una seconda opzione sarebbe stata quella di organizzare una
campagna di ampio respiro conducendo l’esercito a fondo nelle terre nemiche per ottenere
una vittoria che mettesse fuorigioco permanentemente, o comunque per lungo tempo, gli
Willets 1959, pp. 495 sgg., propone invece di vedere i matrimoni misti come un atto assolutamente conforme
alla legge, in quanto più volte nella storia argiva probabilmente fu necessario inserire nuovi elementi nella
cittadinanza e naturalizzarli, con tutti i diritti giuridici che ne conseguono.
37 Come propongono per esempio Forrest 1960, p. 221 e Kelly 1974, p. 82. Vd. anche infra n. 38.
38 Her. VI, 92, 2-3. A quest’epoca infuriava la guerra tra Atene e Egina e mille Argivi giunsero nell’isola in aiuto
degli Egineti, si trattava però di volontari poiché Argo aveva rifiutato ufficialmente il suo aiuto come ritorsione
per il supporto fornito dall’isola a Cleomene I, (vd. supra p. 1). Zambelli 1974, pp. 442-453 propone di giustificare
l’intervento con il fatto che gli aristocratici argivi, per mantenere il potere, avessero liberato i loro schiavi, “che
rimanevano a loro legati attraverso una sorta di vincolo feudale”. Costoro dunque sarebbero stati armati e
inviati ad Egina come opliti, ma ovviamente questo non considera il carattere volontario della scelta, in quanto,
nell’ottica di Zambelli, gli aristocratici avevano il pieno controllo su coloro che erano ancora e comunque i loro
sottoposti. Forrest 1960, p.225, afferma che il governo dei δοῦλοι/περίοικοι non fosse così forte e che vi fosse
pertanto un’importante opposizione aristocratica, quindi che quei mille opliti fossero stati mandati dai
dissidenti, questo però sarebbe fortemente in contraddizione con le fonti perché, come accennato, smentirebbe
lo stato di oligantropia su cui tutti gli antichi sono d’accordo. Se non si vuole pensare ad una forte divisione
nella cittadinanza però, si può dire che entrambi gli schieramenti politici vedessero nella vicenda di Egina un
modo per opporsi a Sparta (Tomlinson 1974, pp. 99-100), a Corinto (Lewis 1997, pp. 9-22), o a entrambe.
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Spartani, i quali, già alle prese con la difficile sfida dell’insurrezione messenica, sarebbero
molto probabilmente stati sconfitti. Entrambe queste ipotesi però avrebbero incontrato due
forti difficoltà: infatti probabilmente Argo non era ancora tornata alla potenza militare che
aveva prima del 494, e d’altro canto non è possibile sapere fino a che punto l’esercito
spartano fosse stato indebolito dal terremoto, perché pur essendo certo che la Laconia
avesse subito fortissimi danni sia economici sia in termini di vite umane, probabilmente era
ancora in grado di reagire. Quello di cui possiamo però essere sicuri è che un’entrata in
guerra violenta e repentina, benché giustificata sul piano internazionale dalle
rivendicazioni riconosciute da tutti sulla Tireatide, comunque avrebbe portato Atene ad
aiutare gli alleati spartani, essendo ancora in vigore il compromesso cimoniano e l’alleanza
formulata dopo le guerre persiane; tutto ciò senza contare che in Argolide c’erano
comunque città indipendenti e ostili come Micene e forse Tirinto, che non avrebbero
consentito una veloce avanzata se avessero opposto resistenza, dando modo ai nemici di
reagire, oppure, se fossero state ignorate, sarebbero rimaste una costante minaccia alle
retrovie. Gli Argivi scelsero quindi una terza via, meno rischiosa ma anche meno proficua,
e optarono per curare i loro interessi regionali sottomettendo appunto Micene e Tirinto39.
Nel 462 Argo stipulò un’alleanza con Tessali e Ateniesi40, che fu però di scarsa efficacia,
anche perché sia Ateniesi sia Argivi guardavano alla crescente potenza e all’intraprendenza
di Corinto, più libera di muoversi in quegli anni, con più attenzione di quella riservata a
Sparta, che era stata messa ai margini, per il momento, dal terremoto del 46441.Tuttavia
l’alleanza si dimostrò ben poco foriera di risultati e si preferì quindi ricorrere alla
diplomazia con i Peloponnesiaci.
e. La decadenza della tregua trentennale tra Argo e Sparta e la lega del 421
Nel 451 Argo e Sparta stipularono una tregua trentennale42, che fu uno dei motivi che
comportò la sostanziale neutralità della prima nella decade iniziale della guerra del
Peloponneso. Nel 42143 però, allo scadere del trattato, Argo richiese provocatoriamente la
restituzione della Cinuria, antico motivo di contrasto tra Spartani e Argivi, poiché territorio
di confine precedentemente detenuto da questi ultimi, e respinse le richieste dei
Lacedemoni, avanzate tramite gli ambasciatori Ampelide e Lica44, che proponevano una
dilazione della tregua. La richiesta era chiaramente inaccettabile, dal momento che la
regione era stata ceduta dagli stessi Lacedemoni agli Egineti45 esiliati nel 431 dopo la
conquista ateniese.
Tomlinson 1974, p. 100, suggerisce che sia stato possibile per Argo sottomettere queste due città solo nel 464
per via del fatto che fino ad allora erano tutelate efficacemente da Sparta. Lewis 1997, pp. 9-22, afferma che la
tutela di Micene sia invece da imputare ai Corinzi.
40 Per l’alleanza tra Atene, Argo e i Tessali cfr. Thuc. I, 102, 4; Diod. XI, 80, 1; Paus. IV, 24.
41 Su questo periodo, da me trattato piuttosto sinteticamente, rimando a Bearzot 2006, pp. 118-122.
42 Thuc. V, 14, 4. La scarsa efficacia dell’alleanza tra Argo e Atene stipulata nel 462/461 portò la polis attica a
stipulare una tregua quinquennale con Sparta, dopodiché Argo, essendo ormai rimasta isolata, concluse a sua
volta una tregua trentennale nello stesso 451.
43 Per il periodo che spazia dal 421 al colpo di stato di Argo del 418 vd. Silvestrini 1974, pp. 329-335.
44 Thuc. V, 22, 2. Lica figlio di Arcesilao era prosseno di Argo cfr. V, 76, 3.
45 Thuc. II, 27, 2; IV, 56, 2. Agli Egineti, per la loro ostilità verso gli Ateniesi, venne assegnata la Tireatide, dove
vi era l’unica pianura della regione della Cinuria, per il resto formata da strette vallate.
39
12
Sparta era dunque esposta ad un ulteriore pericolo: il benessere economico e militare di
cui godeva Argo e la sua storia prestigiosa potevano portare le città del Peloponneso, come
in effetti avvenne, a sceglierla come leader di una nuova alleanza in sostituzione di Sparta.
Aggiungendo poi che la guerra non aveva portato, come pensavano i Peloponnesiaci, ad
una rapida distruzione della potenza ateniese, ma anzi aveva visto la lega di Delo ottenere
alcune significative vittorie tattiche (Pilo e Sfacteria) e strategiche (il dominio sul mare e le
continue incursioni nella Laconia), Sparta, temendo una guerra con Argo e la lega di Delo
unite, fu portata ad intavolare trattative di pace con Atene nel 421 che dapprima stabilirono
una tregua, e poi si trasformarono in alleanza.
Questa pace, detta di Nicia, non fu gradita agli alleati di Sparta più orientati alla
prosecuzione della guerra; inoltre queste stesse poleis si sentivano danneggiate nei loro
interessi dalle condizioni dell’alleanza, che stabilivano il ripristino dello status quo ante.
f. La strategia corinzia
I più ostili al trattato, tanto da rifiutarsi di ratificarlo, furono Megaresi, Beoti, Elei e
soprattutto Corinzi46, i quali, tornando dalle trattative, si fermarono nella città di Argo per
discutere di una possibile alleanza, vedendo una minaccia nell’intesa tra Sparta e Atene47.
La strategia dei Corinzi è abbastanza facile da intendersi dal punto di vista della politica
estera, dato che, avendo fatto fronte comune le due maggiori potenze, la città istmica decise
di rivolgersi alla polis militarmente più forte del Peloponneso dopo Sparta per costruire una
nuova lega e tutelare i propri interessi48. È invece più difficile comprenderne i motivi sia se
si considerano i pregressi rapporti di amicizia tra Argo e Atene, sanciti dall’alleanza del
462/149, sia alla luce delle differenti costituzioni dei due stati: una democratica e l’altra
oligarchica. L’amicizia con Atene è un fatto dirimente se si vuole vedere questa mossa
Thuc. V, 17, 2. Ogni polis aveva i propri motivi per essere contraria alla pace: i Beoti non volevano cedere
Platea, i Megaresi non si videro riconosciuto il controllo del porto di Nisea, sul golfo Saronico, gli Elei erano in
lite per la questione di Lepreo, ma soprattutto i Corinzi erano fortemente danneggiati dall’influenza ateniese su
Potidea e Corcira ed inoltre per l’incorporazione nella Confederazione Acarnana delle colonie affacciantesi sullo
Ionio.
47 Thuc. V, 27, 2. Questa nuova alleanza era aperta a tutte le città che volessero aderire, indipendentemente dallo
schieramento di cui avevano fatto parte nei precedenti anni di guerra, ma ne vennero esplicitamente escluse
Atene e Sparta, dimostrando la chiara opposizione alla pace di Nicia e nello stesso tempo la volontà di formare
un “terzo polo” con un peso specifico tale da garantire anche le aspettative degli attori secondari della guerra
del Peloponneso, ignorate invece dalle due principali protagoniste.
48 A tutti gli effetti, in accordo con le fonti, questa alleanza deve essere vista come puramente difensiva. I Corinzi
avevano dovuto cedere molte delle loro posizioni, durante la guerra archidamica, che non erano state
riconsegnate dal trattato del 421. Considerato quindi che Sparta non poteva più essere considerata un’alleata
affidabile, i Corinzi dovettero cercare una nuova copertura per proteggere ciò che ancora rimaneva
dall’espansionismo ateniese. Westlake 1940, pp. 415 sgg., invece pone l’accento sul qui prodest e si domanda cosa
mai avrebbero avuto da guadagnare i Corinzi da una guerra aperta contro Sparta, che sembrava essere nelle
intenzioni dichiarate di tutti i contraenti. Per arricchire questa posizione l’autore afferma che in realtà l’obiettivo
corinzio era una nuova guerra contro Atene, che rimaneva la principale preoccupazione, e per conseguirlo si
faceva affidamento sull’ingresso nell’alleanza di stati dichiaratamente anti-ateniesi come Megara, i Calcidesi e
la Beozia, che avrebbero orientato il potenziale bellico contro la lega delio-attica. Questa posizione è senza
dubbio non priva di supporto ed interessante, ma probabilmente, anche qualora questo fosse stato il piano,
comunque sarebbe stato un passo successivo rispetto alla difesa dei loro possedimenti.
49Per le fonti vd. supra n. 40; 42. L’ amicizia fra Ateniesi e Argivi è menzionata anche con la tregua del 446/445
tra Atene e Sparta, che recitava: “alla pace stipulata tra Ateniesi e Spartani non partecipi la città degli Argivi,
ma Ateniesi e Argivi, se lo desiderano, possano stringere rapporti di amicizia”; sulla tregua cfr. Thuc. I, 112, 1 e
Paus. V, 23, 4.
46
13
politica, come è stato proposto arditamente da una parte della critica, come indirizzata a
forzare una nuova guerra contro Atene50. Una possibile chiave di lettura è rappresentata
dai legami tra gli esponenti della fazione oligarchica di Argo e le élites di Corinto. Tucidide
racconta che nel 430 l’argivo Pollide, a titolo personale, quindi senza avere un mandato
dell’assemblea che era competente in materia di politica estera51, si recò in Persia con
ambasciatori corinzi, tegeati e lacedemoni per cercare di coinvolgerla nella guerra dalla
parte dei Peloponnesiaci o quantomeno a fornire denaro52. La mancanza di un mandato e il
carattere privato dell’ambasceria di Pollide ci dicono che costui evidentemente non era
passato attraverso i canali istituzionali, che probabilmente gli erano stati preclusi o da cui
comunque non aveva avuto un riscontro positivo. Le finalità della sua missione poi, senza
dubbio favorevoli ai Peloponnesiaci, portano a pensare che Pollide sia un esponente della
fazione oligarchica, dimostrandone ad un tempo sia l’esistenza sia l’attivismo politico in
questo periodo.
La seconda informazione utile riguarda il 425, anno in cui gli Argivi, ed è probabile si
parli anche in questo caso di esponenti oligarchici, avvertirono Corinto di un imminente
attacco ateniese53: poiché esclusivamente questa città venne avvertita dei piani di guerra, è
lecito pensare che il motivo sia la tutela degli interessi privati e dei rapporti privilegiati che
gli oligarchici argivi coltivavano con la città istmica. Tutto ciò ci è utile non solo perché ci
dimostra l’esistenza e le manovre degli oligarchici argivi, i quali svolgevano un ruolo nella
politica della loro città, nonostante la costituzione vigente non vedesse in loro i detentori
del potere, ma anche per accertare la presenza di rapporti consolidati tra questo partito e il
suo omologo corinzio. Lo scenario quindi mette in luce che la città di Argo, formalmente
amica di Atene e con una costituzione democratica, ospitava in realtà al suo interno un
vivace partito oligarchico filocorinzio. In queste contraddizioni interne cercarono di
inserirsi i Corinzi, i quali riferirono le loro proposte ad autorità argive54 chiedendo che:
“designassero pochi uomini con poteri illimitati e non ne parlassero al popolo, affinché non
Salmon 1984, pp. 324 sgg., afferma che i motivi di contrasto tra Spartani e Corinzi fossero solo di facciata, in
quanto il vero obiettivo dell’alleanza doveva essere una nuova guerra contro Atene. Ovviamente questo
ragionamento è fortemente limitato dai rapporti che erano intrattenuti da Argo con Atene, che avrebbero reso
piuttosto difficile un’entrata in guerra della prima contro la seconda. A questo proposito l’autore suggerisce che
il piano dei Corinzi fosse di incitare una rivoluzione oligarchica all’interno di Argo in modo tale da orientare la
città verso la guerra contro Atene. Il discorso di Salmon è molto affascinante, ma incontra alcuni problemi. Da
un lato furono gli stessi Corinzi a ritirarsi dall’alleanza perché non persuasi dal renderla oltre che difensiva
anche offensiva, in più non sembra che, malgrado i contatti tra gli oligarchi delle due città, il partito legato a
Corinto fosse così forte da riuscire a prendere il potere da solo, dal momento che nel 418/7 saranno i filospartani
ad operare un colpo di stato. Ciò su cui si può essere pienamente d’accordo è il fatto che vi siano legami stretti
tra gli oligarchi delle due città, un aspetto certamente poco considerato nelle sue implicazioni.
51 Sulle istituzioni di Argo in generale vd. Tuci 2006, pp. 209-272.
52 Thuc. II, 67, 1.
53 Thuc. IV, 42, 3.
54 Thuc. V, 27, 2 riferisce che le proposte furono avanzate genericamente ad “alcune delle autorità argive” e
successivamente racconta che queste autorità a loro volta riferirono “ai magistrati ed al popolo”. Potrebbe
sembrare in un certo senso che le autorità siano escluse dal novero dei magistrati, ma questo è abbastanza
improbabile perché vorrebbe dire che la proposta dei Corinzi sarebbe stata rivolta a privati cittadini, sia pure
molto influenti. Dal momento che proporre un progetto di quel genere a uomini che non avevano un peso
istituzionale e senza ottenere l’appoggio dell’assemblea, nelle intenzioni dei Corinzi da mettere ai margini, non
avrebbe mai potuto avere successo, è probabilmente da scartarsi l’ipotesi che li vede come privati cittadini. È
molto più probabile che gli interlocutori argivi fossero i magistrati della città più vicini a Corinto.
50
14
venissero rivelati coloro che non fossero riusciti a persuadere la maggioranza”55. A questo
punto si può trarre la conclusione che a Corinto vi sia un partito oligarchico ostile a Sparta,
che guadagna influenza dopo la pace di Nicia e si attiva per cercare una soluzione di
alleanza alternativa con il partito oligarchico argivo, il quale, già almeno in due occasioni,
aveva dimostrato la sua affinità. Gli ambasciatori corinzi dunque vedevano nel partito
oligarchico il loro interlocutore, ma ciò che è più significativo è la prosecuzione del
racconto; dal momento che i magistrati argivi, nonostante le richieste corinzie, riferirono le
proposte all’assemblea56, che le accettò57 e incaricò dodici uomini, quindi seguendo le
richieste un collegio piuttosto ristretto, della gestione della diplomazia, a patto che le
trattative fossero ricevute, discusse e approvate dal popolo, quindi senza dar loro, come
suggerito dai Corinzi, poteri illimitati. Per quest’ultimo fatto possiamo quindi dedurre che
l’assemblea continuasse ad avere un ruolo centrale nel sistema di potere argivo, ma si
dimostrò in questa occasione del tutto in linea con l’orientamento degli esponenti
oligarchici, che sembrano, almeno in questo caso, condurre il gioco della politica
efficacemente e senza ostacoli.
g. L’alleanza
Questa proposta riconosceva in Argo la guida della coalizione ed ebbe inizialmente un
buon riscontro in termini di adesioni, infatti, malgrado le proteste dei Lacedemoni58, aderì
subito Mantinea e poi seguirono gli Elei, i Calcidesi di Tracia, e la stessa Corinto, promotrice
della lega. Subito dopo entrambi i fondatori tentarono di convincere i Tegeati ad aderire,
ma non ebbero successo; inoltre anche Beoti59 e Megaresi rifiutarono per via dello stretto
controllo degli Spartani e nello stesso tempo per la lontananza dal governo democratico di
Argo60. Questi insuccessi, unitamente al fatto che dalle altre poleis l’alleanza era vista come
ideologicamente orientata alla democrazia, dato che a tutti gli effetti la costituzione Argiva
aveva una forte connotazione assembleare e che tutti gli aderenti, esclusi i Corinzi, erano
democratici, e per questo di minor interesse per gli stati oligarchici di cui era necessario
l’appoggio, portarono Corinto ad allontanarsi dal progetto. Un altro motivo che ruppe
Thuc. V, 27, 2. La nomina dei “pochi uomini con pieni poteri”, secondo i Corinzi, non avrebbe dovuto essere
attuata attraverso metodi democratici assembleari, cui si chiede di non delegare la scelta, ma piuttosto dagli
stessi magistrati argivi, seguendo un modo di procedere tipicamente oligarchico. Sottotraccia è possibile leggere
qui una pressione per incaricare dei negoziati con le altre città esponenti del partito oligarchico argivo ed inoltre
la prudenza dei Corinzi nell’avviare trattative invise sia a Sparta che ad Atene.
56 I ritrovamenti epigrafici sembrano dimostrare che la presidenza di boule e assemblea in Argo fosse individuale
quindi più facilmente influenzabile, a differenza per esempio di quella collegiale di Atene. Su questo argomento
cfr. Ruzè 1997 pp. 270-274.
57 È singolare che Tucidide non accenni ad alcuna posizione contraria all’interno dell’assemblea, dal suo
racconto sembra infatti che i magistrati ed il popolo accettarono le proposte delle “autorità” che avevano trattato
con i Corinzi quasi come una pura ratifica delle decisioni altrui. Thuc. V, 28, 1.
58 Thuc. V, 30, 1-5.
59 Nel 420 i beotarchi, che avevano dichiarato la loro adesione all’alleanza nelle prime fasi della trattativa con
gli Argivi, proposero il trattato all’assemblea per la votazione, ma fu respinto. Questo lascia intendere che non
vi fossero delle appartenenze solide e stabilite tra i rappresentanti ed i votanti, i quali evidentemente non
possedevano un loro “pacchetto di voti” in assemblea. I buleuti quindi potevano votare liberamente anche
contro i beotarchi. La conclusione è che non esistessero organizzazioni politiche stabili in Beozia, quindi le
decisioni venivano prese sulla base di interessi contingenti o per l’abilità persuasiva dei proponenti. Cfr. Thuc.
V, 38-38. Vd. più nel dettagio Cook 1988, p. 67.
60 Thuc. V, 31, 1-6.
55
15
l’unità degli alleati fu la volontà di ampliare l’orizzonte e le finalità del patto, che venne
trasformato da difensivo a offensivo61. In realtà gli Argivi successivamente inviarono
comunque un’ulteriore ambasceria ai Corinzi chiedendo di partecipare all’alleanza, ma
questi opposero un rifiuto62. È da sottolineare come, alle richieste di immediata alleanza i
governanti Corinzi risposero di tornare alla seguente riunione (ξύλλογον)63, facendo un po’
di luce sulle istituzioni che presentano, a quanto pare, una sorta di sinedrio di otto oligarchi
che rivestivano la carica di πρόβουλοι64.
Il 420 non fu un anno particolarmente facile per Argo, dal momento che la costituzione
del terzo polo stava incontrando forti difficoltà, soprattutto per via della mancata adesione
di Beoti e Tegeati. Ragionevolmente in città vi fu timore di rimanere isolati o addirittura,
nel caso peggiore, di dover combattere nello stesso momento contro Tegeati, Beoti, Ateniesi
e Spartani, un nemico senza dubbio formidabile e oltre le forze di Argo. Malgrado nel 421
la città avesse rifiutato le richieste di Ampelide e Lica con una certa superbia, solo un anno
dopo, con il fallimento delle trattative, vennero inviati a Sparta in tutta fretta due
ambasciatori, Eustrofo ed Esone, con il mandato di concludere quantomeno un trattato di
non aggressione ed evitare il peggio. Quando i due ambasciatori giunsero, dapprima
proposero la risoluzione dell’annosa questione della Cinuria tramite l’arbitrato e il giudizio
di una polis terza e imparziale, ma dal momento che gli Spartani non volevano neanche
sentirne parlare, si addivenne ad un trattato uguale a quello stipulato nel 451, che avrebbe
però in questo caso dovuto avere la durata di cinquant’anni65. Fu quindi trovato un accordo
su queste proposte, ma venne chiesto ad Eustrofo ed Esone, prima di giurare, di tornare in
patria per avere il consenso del popolo; una volta ricevuta l’approvazione, avrebbero
dovuto tornare a Sparta per ratificarlo66. Mentre tutto ciò si stava verificando, venivano a
crearsi sempre maggiori frizioni tra Lacedemoni e Ateniesi, che contribuirono a sfibrare i
rapporti e a logorare la tenuta del trattato di pace67.
61 I fautori di questo cambio di passo furono proprio gli Argivi, che manifestarono così le loro aspettative
politiche e presero in mano le redini delle trattative. Il bersaglio principale delle mire degli alleati era senza
dubbio Sparta. Corinto certo non era interessata a schierarsi contro la sua vecchia alleata, anche perché in caso
di vittoria non avrebbe ottenuto alcunché, non potendo strappare ai Lacedemoni capisaldi importanti sul mare;
la più immediata conseguenza di un indebolimento di Sparta sarebbe stata la rimozione del più rilevante
ostacolo all’imperialismo ateniese. Nel caso in cui fosse stata la sconfitta il fato di Corinto allora la città
semplicemente sarebbe tornata nella sfera di influenza Spartana, ma con tutta probabilità subendo un controllo
molto più stretto.
62 Thuc. V, 50, 5.
63 Thuc. V, 30, 5.
64 Su altre evidenze della presenza di un sinedrio a Corinto vd. Salmon 1984, pp. 231-240.
65 A proposito di questo trattato non si può non citarne la clausola più sorprendente. Argivi e Spartani decisero
che, in un momento in cui le due città fossero state in forze e in pace, avrebbero entrambe scelto un manipolo
di campioni, che, schierati in falange, avrebbero dovuto affrontarsi in battaglia; al vincitore sarebbe poi spettato
il controllo della Cinuria. Tucidide racconta che la proposta fu giudicata semplicemente una insensata pazzia
(μωρία ταῦτα) dagli Spartani, ma nonostante questo accettata, per paura che un rifiuto facesse naufragare
l’accordo. I Lacedemoni erano tutt’altro che sicuri dell’alleanza di Atene e volevano quindi almeno assicurarsi
la neutralità di Argo. Cfr. Thuc. V, 40, 3. Bisogna puntualizzare che gli ambasciatori argivi si riferivano ad un
illustre precedente: la battaglia dei campioni del 550, nella quale trecento soldati scelti ne affrontarono
altrettanti. In quell’occasione però entrambi gli schieramenti si dichiararono vincitori dopo lo scontro e la
questione non fu risolta. Her. I, 82.
66 Thuc. V, 41, 1. Gli Spartani sembrano in questo caso pienamente consapevoli del funzionamento della
democrazia Argiva, che aveva dotato l’assemblea popolare delle competenze in materia di politica estera.
67 Con ciò mi riferisco alla vicenda della distruzione di Panacto da parte dei Beoti e al trattato di alleanza
stipulato da questi ultimi con gli Spartani, separatamente (Thuc. V, 42, 1).
16
A questo punto entrò in scena Alcibiade, favorevole al rinnovarsi della guerra68. Costui
tramò in modo tale da portare la sua città a stipulare un’alleanza con Argo, sapendo bene
che questo trattato avrebbe esasperato la situazione internazionale e i rapporti con Sparta.
Quando gli Argivi vennero informati della situazione e delle manovre di Alcibiade, ne
furono compiaciuti e persero del tutto l’interesse per le trattative che in quel momento
stavano avendo luogo con Eustrofo ed Esone; così si volsero ad Atene, con la quale
stipularono l’alleanza69. L’ingresso di Atene, seppur motivato dal timore di un isolamento
e dalle macchinazioni di Alcibiade, dovette dall’esterno essere considerata la riprova della
vicinanza della città al fronte democratico, di cui Atene era capofila.
L’accostamento delle due poleis, unitamente a tutte le frizioni legate alle clausole del
trattato, portò alla ripresa della guerra e condusse nuovamente Corinto nella Lega del
Peloponneso, ma la coalizione del 421, seppure con la defezione di Corinto e l’ingresso di
Atene, perdurò formalmente fino alla battaglia di Mantinea del 418, preludio al colpo di
stato del 418/41770. Con questo evento i filospartani acquisirono potere e portarono la città
a cambiare fronte stipulando un’alleanza con Lacedemone.
L’esperienza di una lega peloponnesiaca a guida argiva, con la regia di Corinto, ci è utile
perché precisa sia le contraddizioni interne all’alleanza guidata da Sparta, sia il risorgere di
progetti egemonici da parte di Argo; in più è da sottolineare come per le due città che più
ci interessano per questo lavoro, le differenze nei governi, quello democratico argivo e
quello oligarchico di Corinto, non inficiano la possibilità di un avvicinamento tra le due,
dimostrando da un lato la realpolitik delle élites dominanti nelle due città, quanto dall’altro
la mancanza di un invalicabile muro ideologico che impedisca l’avvicinamento di città
schierate su diversi e opposti fronti e con forme di governo considerate antitetiche.
Era d’altro canto ostile al trattato stipulato da Nicia e Lachete perché non vi aveva preso parte, nonostante il
suo rapporto di prossenia con Sparta, ereditato dai suoi avi. Cfr. Thuc. V, 43, 2. In questo passo vi è anche la
prima menzione di Alcibiade nell’opera tucididea.
69 Bisogna notare che, come l’alleanza con la Beozia permetteva agli Spartani di minacciare direttamente l’attica
e Atene, così l’alleanza con Argivi, Mantineesi ed Elei consentiva ad Atene di esercitare la sua influenza nel
Peloponneso, a ridosso di Sparta.
70Le fonti che parlano del colpo di stato sono: Thuc. V, 76-81; Aristot. Pol. 1304 a 25-27; Diod. XII, 80, 2-3; Paus.
II, 20, 2 e Plut. Alc. 15, 3.
68
17
Capitolo II
IL COLPO DI STATO OLIGARCHICO IN ARGO
a. Il partito filospartano argivo
Finora si è descritta l’esistenza di una fazione oligarchica in città, la quale aveva due
possibili sponde in politica estera: Sparta o Corinto. Se questo lavoro riguarda più da vicino
coloro che scelsero la seconda, parlando del colpo di stato del 418 è necessario dare un
contesto e una descrizione della corrente dell’oligarchia argiva che vedeva in Sparta una
città cui volgere le proprie simpatie.
In primo luogo, vi è da dire che costoro, alla luce degli eventi pregressi, che nella storia
della loro patria erano stati caratterizzati da un vivo antagonismo nei confronti dei
Lacedemoni, dovevano essere persone piuttosto pragmatiche e attente ai loro interessi
particolari, più che interessate alle ideologie o all’attaccamento alla storia71 della polis.
Tralascio qui di parlare dell’ambasceria di Pollide del 430, certo attinente al discorso, ma di
cui si è già trattato in precedenza72.
La prima circostanza di un certo interesse riguarda gli ambasciatori Eustrofo ed Esone,
inviati all’inizio dell’estate del 420 a trattare con Sparta in un momento di grande
confusione, dal momento che la città temeva di rimanere isolata73. Nel racconto tucidideo
della vicenda costoro «sembravano essere i più graditi» agli Spartani, una descrizione
piuttosto leggera del filolaconismo dei due, ma sufficiente per dipingere entrambi come
oligarchi laconizzanti74.
Nell’estate del 418 il re spartano Agide guidò una spedizione contro Argo75. Le manovre
militari furono gestite magistralmente dai Lacedemoni, così gli Argivi si trovarono
circondati e senza via di fuga76, ancora in attesa del contingente ateniese che avrebbe dovuto
giungere in aiuto. I difensori erano guidati da due strateghi: Trasillo e Alcifrone, il quale
era anche prosseno degli Spartani. A questo punto i generali argivi, poco prima dello
scontro decisivo, presero una decisione di carattere personale77. Vennero a patti con i nemici
e stabilirono una tregua di quattro mesi con Agide, dichiarando che:
Vedi supra n. 17 per la valenza dell’antagonismo tra Sparta e Argo.
Vd. supra p. 13.
73 Per le vicende del periodo successivo alla pace di Nicia in generale vd. supra cap. I, e-g.
74 Thuc. V, 40, 3. I moderni concordano sul connotare politicamente i due ambasciatori come filospartani e
oligarchici. Si vedano a titolo di esempio Bultrighini 1990, p. 129 e Tuci 2006, p. 244.
75 Thuc. V, 57, 1; Diod. XII, 78, 2. Il casus belli della spedizione era la difficile situazione di Epidauro, assediata
dagli Argivi. Il piano, ideato da Alcibiade e strategicamente piuttosto intelligente (Thuc. V, 53), vedeva nella
conquista della città una via per collegare Atene e Argo attraverso Egina. Il secondo motivo della spedizione,
forse ancora più impellente, era evitare che altre città della lega defezionassero in favore della coalizione argiva.
Vd. Westlake 1971, p. 320 per un’analisi accurata del passo anche nei suoi più profondi significati politici e
Lewis, p. 16 sgg., per i rapporti tra Corinto ed Epidauro. Tra le altre cose Tucidide afferma che la presa di
Epidauro avrebbe portato con sé la neutralità della città istmica.
76 Thuc. V, 59, 3. Nella piana di Argo erano acquartierati i Lacedemoni, ponendosi tra gli Argivi e Argo; Corinzi,
Fliasi e Pelleni tenevano le alture e Beoti, Sicioni e Megaresi chiudevano la strada per Nemea.
77 Si è già discusso del carattere assembleare, nella democrazia argiva, delle decisioni che riguardavano la
politica estera, che dovevano necessariamente essere approvate dal popolo. A questo aspetto della loro politeia
gli Argivi pare fossero particolarmente affezionati. Per una argomentazione più estesa vd. supra cap. I, f.
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«gli Argivi erano pronti a sottostare ad un arbitrato su una base di equità e
uguaglianza, se i Lacedemoni avevano delle rimostranze nei loro confronti, e
nel futuro erano disposti a rispettare la pace dopo aver concluso un trattato.78.»
Diodoro parla di mutua decisione degli strateghi di giungere ad un accordo, ma dato
che non fa menzione della grave situazione strategica di cui parla Tucidide, e anzi racconta
questo episodio immediatamente dopo l’arrivo delle truppe di rinforzo di Mantinea e
dell’Elide, pare che l’autore siceliota abbia in mente una giustificazione di ordine politico e
non militare. La disomogeneità delle due fonti può essere analizzata in base ad un ulteriore
dettaglio che emerge in Tucidide. L’autore infatti dice chiaramente che gli Argivi e i loro
alleati erano del tutto ottimisti in vista dell’imminente scontro79, cosa che pare fortemente
in contraddizione con quanto era stato affermato solo poco prima: la disperata situazione
conseguente all’accerchiamento.
Pare poco probabile che Agide abbia accettato un compromesso con gli strateghi argivi
per paura dell’arrivo alle sue spalle del contingente ateniese, che contava circa mille opliti
e alcuni cavalieri.80 Lo scontro con l’esercito alleato era infatti imminente e sembrava sicuro
che, anche se non fossero state impegnate tutte le forze di cui i Peloponnesiaci erano in
grado di disporre, gli Argivi sarebbero stati ancora una volta pesantemente sconfitti. In
questo senso è piuttosto strano pensare che il re abbia accettato un accordo paritario,
quando avrebbe potuto facilmente imporre con la forza le sue condizioni, nella formula da
lui preferita e senza aver bisogno di alcun intermediario, semplicemente infliggendo
un’altra sconfitta memorabile agli Argivi. L’ipotesi che Agide si sia ritirato in buon ordine,
peraltro ignorando le richieste degli alleati che premevano per ingaggiar battaglia81, può
forse essere compresa nel caso in cui i termini della proposta di Trasillo e Alcifrone avessero
un risvolto ulteriore, che forse è possibile indagare. Se infatti si volesse pensare che il colpo
di stato che avvenne poco in là nel tempo fosse già in preparazione in questo momento, e
che Trasillo e Alcifrone, come comunemente accettato, fossero oligarchi filospartani, non
sarebbe strano pensare che ambedue fossero informati di ciò che stava per accadere e che
quindi fosse la fedeltà di Argo la contropartita che offrirono nelle trattative di quella fatidica
estate. Accettare un arbitrato su base di parità con una città che era stata messa in scacco
era chiaramente da parte del re una mossa di incompetenza rara; se si volesse però dar
credito alla lungimiranza politica di Agide, nonché cercar di risolvere le incoerenze delle
fonti, si potrebbe seguire la pista di un colpo di stato già in fase piuttosto avanzata, posto
sul piatto della trattativa dagli strateghi argivi82. I due autori di riferimento narrano le
Thuc. V, 59, 5.
Thuc.V, 59, 4. «La maggioranza degli Argivi e degli alleati non considerava così pericolosa la situazione, ma
pensava che la battaglia sarebbe avvenuta in un momento favorevole e che i Lacedemoni erano stretti nel loro
territorio e vicino alla città.»
80 Thuc. V, 60, 1. Il distaccamento degli Ateniesi contava precisamente mille opliti e trecento cavalieri, comandati
dagli strateghi Lachete e Nicostrato. Evidentemente Alcibiade non era stato riconfermato stratego in quell’anno.
81 Thuc. V, 60, 2.
82 Per una motivazione politica delle scelte di re Agide si dimostra, pur senza argomentare la questione, Bearzot
2006, p. 137, che rimanda a Gillis 1963, pp. 199-226, il quale dal canto suo analizza dettagliatamente le
motivazioni di tale gesto. Sulla stessa linea si trova Mitsos 1983, p. 247, che afferma: “L’initiative du général
argien pourrait être interprétée comme une premiére tentative du parti oligarchique puor s’emparer du pouvoir
à Argos, avec la bénédiction de Sparte”. Da ultimo Bultrighini 1990, p. 133, si colloca in una posizione mediana
tenendo in gran conto le considerazioni di carattere militare. Secondo l’autore Agide può essere stato indotto
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conseguenze della decisione congiunta di Spartani e Argivi sia negli accampamenti sia, una
volta rientrati, nelle rispettive città83. Il primo a pagare il fio delle sue azioni fu Trasillo, che
rischiò di finire lapidato e linciato dalla folla, ma riuscì miracolosamente a raggiungere un
altare mettendosi in salvo. La sua casa, le proprietà e i suoi averi però non lo raggiunsero
al sicuro e furono confiscati84. Sul fronte spartano quantomeno Agide non rischiò la vita,
ma comunque dovette affrontare lo scoramento delle sue truppe e di quelle alleate, che non
capirono e osteggiarono la decisione di non sfruttare una così palese occasione di successo.
Il re scelse di non prestare l’orecchio a tali dicerie mormorate dai suoi soldati e una volta
rientrato in patria promise azioni riparatorie, ma non fu tanto abile da evitare l’imposizione
di dieci consiglieri: un commissariamento85.
Diodoro descrive questi fatti come immediatamente successivi al ritiro dall’Argolide e
alla tregua; Tucidide invece li intende come conseguenze della caduta di Orcomeno in
mano agli Argivi e ai loro alleati. Questo fatto non è da sottovalutare perché, se come detto
Trasillo e Alcifrone avevano offerto a Sparta una futura aderenza politica, il fatto che invece
si sia proseguita la guerra e che anzi gli Argivi fossero passati all’offensiva, sembra voler
dire che i piani dei tre fossero del tutto naufragati. In questo senso probabilmente la
cronologia di Tucidide può essere più accurata.
Ad Argo la reazione popolare fu probabilmente manovrata dai fautori della democrazia
con i loro rappresentanti, che vivendo in un perenne clima di sospetto e di diffidenza nei
confronti della fazione oligarchica non si fecero scrupoli ad attaccare duramente gli
strateghi, esponenti del partito avverso.
Mentre tutto ciò stava avvenendo giunsero in città ambasciatori ateniesi ed elei, che
vennero dapprima ricevuti da un concilio ristretto di Argivi. Costoro pare avessero una
funzione probuleumatica, e dovevano probabilmente decidere l’eventuale accesso
all’assemblea. Nonostante lo smacco subito da Trasillo e Alcifrone, i filospartani comunque
riuscirono a mettere in pratica un ostruzionismo tale da impedire in un primo momento
che gli inviati ateniesi ed elei fossero introdotti a parlare di fronte al popolo86; sembrava a
quel punto che il piano nonostante tutto stesse funzionando. Dopo le continue e pervicaci
insistenze degli ambasciatori però i filospartani capitolarono e l’assemblea ascoltò le
proposte degli Ateniesi, che volevano il proseguimento della guerra. Sebbene vi fosse stata
una forte opposizione democratica all’accordo stipulato dagli strateghi, comunque in un
primo momento anche l’assemblea si dimostrò poco incline ad ottemperare alle richieste
degli ambasciatori mantineesi ed elei87, che volevano marciare subito contro gli Spartani.
Giuridicamente infatti la città si trovava in una situazione piuttosto complicata dato che,
nonostante Trasillo e Alcifrone non avessero un mandato ufficiale, comunque le σπονδαί
alla ritirata dalla paura dell’arrivo del contingente ateniese. Le cifre del supporto ateniese riportate da Tucidide,
appena 1000 opliti, sembrano però lasciare poco spazio a giudizi di questa risma.
83 Thuc. V, 60, 2 sgg.; 63, 1 sgg.; Diod. XII, 78, 5 sgg.
84 Secondo Diodoro vennero rase al suolo le case di entrambi gli strateghi, qui il dettaglio da notare è che l’autore
indica come corresponsabili davanti alla giustizia entrambi i generali. Da Tucidide invece pare che la legge si
sia abbattuta esclusivamente su Trasillo, in un certo senso responsabile per entrambi, forse come “comandante
in capo”.
85 Alcuni pensano che questi uomini fossero i componenti di un collegio e che ricoprissero una magistratura. Si
veda ad esempio Piccirilli 1999, pp. 261-265.
86 Thuc. V, 61, 1.
87 Thuc. V, 61, 1.
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appena concluse avevano innegabilmente un valore88. Malgrado tutte queste resistenze si
giunse infine ad accettare le richieste degli alleati89, evidentemente considerate più
pressanti, e venne mobilitato l’esercito contro Orcomeno90, che venne conquistata anche
grazie all’inerzia degli Spartani.
Una volta coronata col successo l’impresa d’Arcadia gli alleati erano divisi sulla
prossima mossa: attaccare Lepreo come chiedevano gli Elei o Tegea, come suggerivano i
Mantineesi. Optarono per la seconda e per tutta risposta gli Elei si ritirarono
polemicamente91.
I Lacedemoni non stettero però a guardare e, una volta risolte le diatribe interne,
marciarono contro i coalizzati, che videro la disfatta nei pressi di Mantinea, nel 41892.
La vicenda dei due strateghi suggerisce chiaramente che, nonostante dall’esterno la città
fosse vista come democratica, comunque il partito popolare al potere non era affatto
saldamente al comando della vita pubblica, e men che meno delle istituzioni.
b. Un colpo di stato istituzionale
Dopo la sconfitta subita a Mantinea, i democratici antispartani persero influenza a
vantaggio degli oligarchici, i quali, tra l’inverno e la primavera del 418/7, si resero
protagonisti di un colpo di stato. Le fonti parlano della vicenda in modo diverso, per
esempio Tucidide riferisce una presa del potere pacifica, mentre sia Diodoro sia Pausania
descrivono un regime di terrore retto da condanne capitali ed esili93. Quel che è certo è che,
subito dopo la battaglia, mentre vi erano già le prime avvisaglie di una possibile
A questo proposito vd. Musti 1963, p. 256; Gillis 1963, p. 205.
Tra gli altri alleati, Alcibiade era presente all’assemblea tenutasi ad Argo. L’ateniese fece valere le sue ragioni
dicendo che non era onesto concludere una tregua separata con i Lacedemoni e che, dato che ora tutti gli alleati
erano presenti con i rispettivi contingenti, era necessario proseguire la guerra. Cfr. Thuc. V, 61, 2.
90 Quando l’esercito si mise in marcia alla volta di Orcomeno gli Argivi si attardarono nei preparativi, ma poi,
trascinati dagli eventi sebbene non pienamente convinti, si mossero anche loro raggiungendo gli alleati. Oltre
che per la sua posizione strategica, la città era al centro degli interessi bellici anche perché lì i Lacedemoni
avevano lasciato dei prigionieri dell’Arcadia. Una volta accerchiata la città gli Orcomeni, temendo di venire in
poco tempo costretti alla resa, ricorsero alla diplomazia: rilasciarono i prigionieri, consegnarono alcuni ostaggi
ai Mantineesi, e passarono nell’alleanza Argiva. Thuc. V, 61, 3-5; 62, 1-2.
91 Thuc. V, 62, 1. La scelta di marciare contro Tegea fu probabilmente favorita anche dal fatto che in città vi
fossero molti disposti ad abbandonare l’alleanza con Sparta; la spedizione militare fu giudicata la spinta
necessaria a favorire l’ingresso di Tegea nella coalizione. Una volta presa la città sarebbe stata aperta la via ad
un’invasione diretta della Laconia.
92 La battaglia fu un trionfo di incompetenza militare da ambedue i lati. Le manovre cominciarono con la folle
decisione di Agide di attaccare frontalmente il campo fortificato degli Argivi, per di più allestito su un’altura.
Una volta a ridosso delle palizzate, resosi conto dell’errore, si ritirò in gran fretta con grande sconcerto dei
nemici, che non capivano il gesto. A questo punto i soldati Argivi cominciarono ad accusare i loro strateghi di
collusione, dal momento che non avevano dato l’ordine di inseguire i nemici; così i generali, messi alle strette,
fecero uscire l’esercito e lo schierarono nella pianura sottostante, proprio ciò che speravano gli Spartani. Una
volta schierati gli eserciti e cominciata l’avanzata, quando ormai stavano per venire alla lotta, Agide del tutto
repentinamente ordinò alla sua ala destra di cambiare completamente posizione andando a collocarsi
all’estrema sinistra, cosa che provocò grandissima confusione nel suo schieramento. Nonostante queste pazzie
il re spartano, un uomo fortunato, grazie al valore individuale dei suoi soldati ottenne la vittoria rompendo il
centro della falange argiva. Thuc. V, 65-73.
93 Si veda David 1986, pp. 113-124, per un apprezzamento delle posizioni non tucididee.
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rivoluzione94, il già citato Lica giunse in qualità di ambasciatore per proporre all’assemblea
due possibilità: proseguire la guerra o accettare la pace95.
A questo punto Tucidide espone tre passaggi fondamentali, nel percorso della
rivoluzione, che vedono protagonista l’assemblea, all’interno della quale le opposizioni
democratiche vengono gradualmente ridotte al silenzio. Il primo passo fu un vivace
dibattito sulle proposte di Lica tra bellicisti, tendenzialmente filoateniesi e antispartani, e
oligarchi filospartani pacifisti, che vide prevalere questi ultimi96. È importante notare che
lo stesso svolgersi di un acceso dibattito in questa fase dimostra chiaramente che la fazione
democratica era in principio tutt’altro che doma, ma cosa ancora più rilevante Tucidide ci
racconta che ormai i filospartani “agivano con audacia alla luce del sole”97. Come abbiamo
visto, finora gli oligarchici avevano tutelato i loro interessi operando nell’ombra e
occupando, ove possibile, le istituzioni democratiche, riconoscendo però che il favore di cui
godeva la democrazia non avrebbe consentito un rivolgimento costituzionale tale da
assicurare loro il pieno controllo della politica argiva. La sconfitta militare fu il pretesto che
permise di aspirare ad un ruolo di maggior peso: la realistica opportunità di conquistare il
potere fu giudicata una contropartita adeguata al rischio comportato dal presentarsi
apertamente in pubblico come sovversivi.
L’insistenza di Tucidide sul tema del sospetto accende una luce sul clima che doveva
respirarsi in città. La società argiva infatti, come abbiamo detto, non era mai riuscita a
ricomporre le fratture date dall’ingresso nella cittadinanza di un ampio numero di perieci,
portatori di istanze molto diverse da quelle tradizionali, cui rimanevano legati i discendenti
degli antichi abitanti. Le relazioni tra i cittadini erano quindi molto tese e pensanti perchè
la parte di discendenza aristocratica vedeva come usurpatori e disprezzava apertamente
tutti coloro che non facevano parte delle sue fila. Il punto di vista degli oligarchici
prevedeva un atteggiamento fortemente degradante delle altre componenti sociali, cui si
univa, dato che il potere non fu mai pienamente e stabilmente in mano agli oligarchici, un
forte risentimento per quello che era percepito come un diritto negato e un revanscismo
strisciante, che certo non avrà mai fatto dormire sonni tranquilli ai democratici, sempre
minacciati98. In questo senso deve essere interpretata la forte ombra di sospetto che incupiva
Argo, in cui le relazioni non erano mai basate su una forte fiducia, ma piuttosto sulla
diffidenza e sull’astio, portando spesso a sanguinosi scontri tra le due componenti.
Il secondo passaggio vede gli oligarchici rinunciare comprensibilmente all’alleanza con
Elide, Mantinea e Atene per coalizzarsi con Sparta99, infine con la terza votazione
assembleare decretarono, ormai senza più opposizione, di non ricevere ambascerie ateniesi
finchè i nemici non avessero abbandonato il Peloponneso e di muovere guerra solo insieme
Thuc. V, 76, 2.
Thuc. V, 76, 3; Diod. XII, 80, 1; Il trattato di pace si trova integralmente in Thuc. V, 77.
96 La discussione fu senza dubbio non poco influenzata dalla presenza dell’esercito Spartano a Tegea, che
rappresentava una minaccia latente al partito favorevole al proseguimento della guerra; dopo l’approvazione
della proposta di pace, infatti, gli Spartani si ritirarono.
97 Thuc. V, 76, 3.
98 A questo proposito per un approfondimento vd. Bearzot 1999, pp. 266-269, che pur parlando di Atene è
interessante per delineare più precisamente in cosa consistesse il carattere di clandestinità delle forze
antidemocratiche.
99 Per l’abbandono delle precedenti alleanze Thuc. V, 78; per il testo della nuova Thuc. V, 79.
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a Sparta100. Dopo quest’ultimo atto i nuovi governanti, con l’aiuto dei Lacedemoni,
abbandonarono la democrazia e costituirono un governo oligarchico fedele a Sparta101.
Se le fonti sono concordi nel descrivere una presa del potere che procedette per gradi in
via istituzionale, non lo sono altrettanto nel raccontare il parallelo corollario di atti che, extra
lege, ebbero lo scopo di intimidire le opposizioni. A questo proposito per esempio
Diodoro102 dice che vi furono condanne a morte inflitte ai democratici, quindi è possibile
che i golpisti controllassero l’amministrazione della giustizia, oppure che vi siano stati
processi sommari. I congiurati quindi riuscirono a prendere il controllo della città sia con
queste azioni repressive, tralasciate da Tucidide, sia perché, in effetti, i cittadini che non
erano irriducibili sostenitori né dei democratici né degli oligarchici, facendo così parte di
una sorta di zona grigia, dopo Mantinea si erano volti con favore a Sparta senza esserne
costretti.
Le fonti che parlano del colpo di stato, pur diversamente, fanno riferimento al corpo
scelto dei Mille103: un gruppo militare addestrato a spese pubbliche che avrebbe
rappresentato il reparto più competitivo a disposizione della città di Argo. Questi soldati
sono già ricordati da Tucidide a proposito della battaglia di Mantinea del 418, in cui
affiancarono i concittadini più anziani, chiamati i cinque lochi. Il dibattito circa la questione
dei Mille è piuttosto ampio, soprattutto perchè le fonti divergono sulla questione della data
di creazione e contestualmente circa i campi e gli scenari in cui questi soldati siano stati
impegnati104. Diodoro racconta che questo reparto d’élite vide la luce nel periodo della pace
di Nicia, un momento in cui la città aveva assunto un ruolo di primo piano sulla scena
internazionale105; inoltre lo storico narra che Argo istituì il corpo militare per sfruttare a
proprio vantaggio le interessanti opportunità di cui i periodi di incertezza possono essere
forieri. I Mille erano quindi giovani, benestanti, e venivano allenati per la guerra a tempo
pieno a spese dello stato; perché fossero liberi da ogni preoccupazione veniva fornito loro
tutto l’occorrente ed erano esonerati da qualsiasi altra attività, anche pubblica106.
Per ciò che riguarda questo lavoro è sufficiente notare che la partecipazione al colpo di
stato è confermata se si paragonano le fonti, in più, dopo la restaurazione democratica, di
Thuc. V, 80, 1.
Thuc. V, 81, 2.
102 Diod. XII, 80, 3; Paus. II, 20, 2.
103 In Diod. XII, 80, 2-3 la complicità di questo corpo di soldati non può essere messa in discussione, come anche
in Paus. II, 20, 2 e in Plut. Alc. 15, 3; in Aristot. Pol. 1304, a 25-27 vengono citati come responsabili i soldati che
avevano partecipato alla battaglia di Mantinea nel 418. Tucidide invece non accenna alla questione se non in un
controverso passo in V, 81, 2, dal quale però sembra una forzatura pretendere di riscontrare un'ulteriore prova
della complicità dei Mille.
104 Tucidide per esempio dice che gli Argivi “da molto tempo fornivano loro a spese pubbliche un’esercitazione
militare”, cosa che porterebbe ad escludere che l’autore collochi la creazione dell’istituzione nel 421. Thuc. V,
67, 2. Da ultimo Paus. II, 20, 2 afferma che furono creati nell’imminenza del colpo di stato, quindi nel 418/7.
105 Bultrighini 1990, p. 130, avanza l’ipotesi che sia stato il concilio degli Ottanta, un retaggio dell’epoca
aristocratica, ad istituire il corpo. Il collegio manteneva un accesso limitato forse ai 20 membri più influenti di
ogni tribù argiva, e molto probabilmente aveva un orientamento oligarchico. È chiaro che se si seguisse questa
interessante ipotesi si vedrebbe chiaramente un filo conduttore tra gli eventi che intercorrono dal 421 al 418.
Nonostante questa teoria di Bultrighini sia certamente acuta e verisimile non ve n’è alcun riscontro nelle fonti.
106 Diod. XII, 75, 7. Oltre che parlare della creazione dei Mille e il funzionamento del corpo, Diodoro sottolinea
la grande efficacia bellica di questi soldati addestrati, molto simili a professionisti della guerra. Se si volesse
seguire l’ipotesi che i Mille non siano stati istituiti da un organo oligarchico, forse si potrebbe pensare che
l’esclusione dagli incarichi pubblici fosse un modo per evitare un accentramento del potere nelle mani di poche
persone, peraltro addestrate alla guerra. Potrebbe essere stata quindi una precauzione per evitare conflitti
d’interesse e possibili colpi di mano.
100
101
23
questa compagine non viene più fatta menzione, lasciando intendere che sia stata soppressa
con il ripristino della vecchia costituzione, in quanto i suoi membri si erano macchiati di
complicità con i sovversivi. La vicenda dei Mille integra le nostre conoscenze circa il reale
potenziale della fazione oligarchica che quindi era stata capace, accrescendo la sua
influenza, non solo di occupare numerose cariche pubbliche, con cui riusciva perfino ad
orientare le decisioni dell’assemblea anche prima del colpo di stato, ma era stata altresì in
grado di servirsi di un corpo militare addestrato a spese pubbliche e a lei fedele con cui,
all’occorrenza, esercitare il potere.
Per tornare alle vicende istituzionali, malgrado Diodoro parli di abrogazione di leggi,
non abbiamo indicazioni chiare sui risvolti istituzionali che comportò il colpo di stato; non
vi sono né fonti letterarie né epigrafiche che possano chiarire se vi siano state delle
istituzioni soppresse, come quella più rappresentativa della democrazia, l’assemblea,
oppure semplicemente l’occupazione di tutte le magistrature da parte dei golpisti, ma
mantenendo formalmente l’impianto costituzionale precedente, magari solo con un
ridimensionamento degli aventi diritto alla cittadinanza107.
L’esperimento di un governo oligarchico filospartano ebbe vita breve e cadde già
nell’estate del 417 in seguito ad un ritorno di fiamma della fazione democratica, che
attraverso l’uso della violenza riprese il potere108. L’ovvia conseguenza di questo nuovo
capovolgimento è la restaurazione del governo democratico, molto probabilmente nelle
stesse forme precedenti al golpe, dopodiché si procedette a sciogliere il corpo dei Mille e ad
esiliare coloro che si erano compromessi. La restaurazione non ebbe però un risvolto
particolarmente sanguinario dal momento che, nonostante coloro che si erano dimostrati
favorevoli all’oligarchia fossero molti, non sono ricordate dalle fonti grandi stragi o
epurazioni di massa. La mancanza di decisione nell’eliminare la minaccia degli oligarchici,
dovuta ad un governo democratico fragile e non certo a clemenza, si dimostrò un problema
già poco tempo dopo, tanto che vi fu una perdurante instabilità politica dovuta da un lato
agli esuli, dall’altro a coloro che non erano stati colpiti ed erano rimasti in città109. Questo
problema venne affrontato nel tempo con l’aiuto di Alcibiade110 e di Atene tramite
epurazioni111, che si estesero nel tempo fino al 415/4, ma non risolsero definitivamente il
problema dell’instabilità. È probabile che nel periodo successivo al colpo di stato il partito
oligarchico sia tornato ad influenzare la politica della propria città ricominciando ad
adottare le strategie di cui si era servito in precedenza, mantenendo quindi un basso profilo
e agendo clandestinamente per raggiungere posizioni di vertice che consentissero, se non
In effetti spesso le rivoluzioni non comportarono una riforma della costituzione favorevole al partito
vincitore, dimostrando che la questione non era dirimente agli occhi dei contemporanei. Per un
approfondimento vd. Cook 1988, pp. 57-85.
108 Vi furono numerose richieste di aiuto da parte degli oligarchici agli Spartani, i quali dapprima ignorarono le
richieste preferendo celebrare le Gymnopedie, poi inviarono una spedizione, che servì però solo a constatare la
caduta del regime. La presa di posizione dei Lacedemoni è piuttosto curiosa se si considera la fatica e l’impegno
che avevano speso nelle relazioni con Argo. Kagan 1981, pp. 139-140, pensa che gli Spartani dapprima abbiano
sottovalutato il problema, e poi abbiano tentennato perché non sapevano quale reazione ci sarebbe stata da
parte Ateniese. In più forse i Lacedemoni non avevano un’opinione concorde sugli eventi e magari qualcuno
dava per inevitabile la caduta del governo filospartano, che non aveva nessun appoggio nell’opinione pubblica
argiva.
109 Thuc. V, 82, 4; 83, 3; 115, 1; VI 7, 1.
110 Thuc. V, 84, 1; Diod. XII, 81, 24-25; Plut. Alc. 15, 4. Per una bibliografia su Alcibiade e i suoi rapporti con Argo:
Rhodes 2011, pp. 31-37, De Romilly 2018, pp. 47-63.
111 Thuc. V, 116, 1.
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di governare, quanto meno di influenzare pesantemente la politica interna ed estera della
loro città.
Dopo il ritorno alla democrazia Argo si avvicinò nuovamente ad Atene112 e iniziò la
costruzione di lunghe mura fino al mare, cosa a tal punto invisa agli Spartani da portarli a
cercare di bloccarne l’edificazione insieme agli alleati nel 417/6113. Gli unici componenti
dell’alleanza peloponnesiaca che non parteciparono a questa spedizione furono i Corinzi,
poiché, dice Tucidide, “tra alcuni cittadini del luogo e loro venivano condotte alcune
pratiche.”114 Il riavvicinamento ad Atene non comportò significativi sviluppi sul piano dello
scenario politico internazionale, ma fu invece rilevante per la politica interna dal momento
che, dopo l’attacco argivo a Fliunte, che aveva accolto i fuggitivi oligarchici, Alcibiade
nell’estate del 416 arrestò trecento filospartani argivi e li deportò nelle isole, ma
successivamente furono gli stessi Argivi amici Alcibiade115 (oἵ ξένοι τοῦ Ἀλκιβιάδου), dopo
il suo passaggio dalla parte degli Spartani, ad essere sospettati e dunque allontanati. Anche
in questo periodo quindi il personaggio che tira le fila della politica è il sospetto,
ingombrante ospite sul palcoscenico argivo.
La vicenda del colpo di stato permette di trarre alcune conclusioni: per prima cosa
possiamo dire che esisteva un partito oligarchico filospartano accanto ad un omologo
filocorinzio, ma bisogna precisare che non si deve leggere in modo molto stringente il
concetto di “partito” dal momento che è possibile, come succede nel caso di Timolao a
Corinto di cui parlerò dopo, che gli esponenti dei due partiti si muovessero dall’uno
all’altro seguendo le opportunità che man mano si venivano a creare, tanto che non è
difficile credere che esponenti filocorinzi, che ricoprivano incarichi magistratuali, abbiano
aiutato i filospartani nella presa del potere del 417, anche se magari non apertamente. Il
secondo punto di interesse è la dimostrazione plastica, dopo le pur rilevanti avvisaglie di
cui ho parlato in precedenza, di quanto esteso fosse il controllo degli oligarchici sulle
istituzioni democratiche, tanto da permettere una presa del potere e un rivolgimento
costituzionale attuato tramite canali legali; in più, è impressionante il numero e il peso delle
istituzioni che promossero il colpo di stato in cui possiamo annoverare: il corpo dei Mille,
l’assemblea116, buona parte dei magistrati e forse anche l’amministrazione della giustizia.
Per una descrizione più approfondita di questa rinnovata amicizia e dei suoi risvolti nel contesto
internazionale si veda Bearzot 2006, pp 138-139.
113 In Thuc. V, 82, 4 si legge che la spedizione fu lungamente discussa e ci furono numerosi ritardi e rinvii, perché
evidentemente gli alleati non erano concordi nelle loro posizioni; non abbiamo però né un resoconto del
dibattito né Tucidide ci mette a parte di chi e perché in quell’occasione si sia opposto alla via militare. È facile
ovviare a questo problema alla luce della mancata partecipazione dei Corinzi, che evidentemente durante
l’assemblea degli alleati avevano fatto tutto il possibile per evitare la spedizione, e poi, fallito questo tentativo,
operarono una sorta di ostruzionismo per rimandarla e guadagnare tempo, probabilmente per consentire agli
Argivi di completare le mura per potersi difendere. Per la costruzione delle lunghe mura fino al mare Thuc. V,
82, 5, Plutarco fa risalire l’idea ad Alcibiade. Plut, Alc. 1, 15.
114 Su questo passo di Tucidide Kagan 1981, pp.141-142, ricalcando le posizioni di Will 1955, p. 628, prova a dare
delle motivazioni in termini geopolitici affermando che una consistente minaccia argiva consentiva a Corinto
di avere un grande peso all’interno della coalizione peloponnesiaca. Questa potrebbe essere una spiegazione,
ma si tratta comunque di congetture. Sarebbe meglio in questo caso, pur tenendo presente questo punto di vista,
dare una spiegazione attinente le fonti e basarsi quindi sul racconto Tucidideo, che motiva il dissenso corinzio
con i legami che intercorrevano tra i partiti oligarchici delle due città.
115 Thuc. VI, 61, 3; Diod. XIII, 5, 1.
116 Il controllo degli oligarchici su questa istituzione potrebbe spiegare per quale motivo nel 421, quando i
Corinzi proposero un’alleanza, questa fu discussa e approvata in assemblea malgrado i Corinzi chiedessero
112
25
Da ultimo è da notarsi il fatto che, mentre i congiurati filospartani venivano colpiti
duramente, il partito filocorinzio manteneva una certa vitalità, forse perché, rimanendo più
defilato, non aveva consumato tutto il suo potenziale; la conseguenza fu che quando gli
Spartani radunarono l’esercito e gli alleati per fermare la costruzione delle lunghe mura, i
Corinzi non risposero alla chiamata né nel 417 né nel 416117, emulando con questo gesto ciò
che gli Argivi avevano fatto nel 425.
c. La situazione politica di Corinto dopo la guerra del Peloponneso
Dopo la guerra del Peloponneso la città di Corinto aveva visto deluse le sue aspettative
in quanto, pur essendo scesa in guerra al fianco di Sparta, perché colpita nei suoi interessi
commerciali dalla presenza di Atene nel porto istmico di Megara,, oltre che per la vicenda
di Corcira e quella precedente di Egina118, non ottenne né la distruzione totale di Atene119
né la limitazione della sua influenza nella zona dell’istmo. Vi furono poi divergenze
episodiche, ma accese, già durante lo svolgimento della guerra del Peloponneso120, acuite
dal diffuso scontento per l’intervento Spartano a Siracusa, antica colonia corinzia121, al
fianco di Dionigi122. Tutto ciò provocò un allontanamento da Sparta che si manifestò nel
rifiuto di marciare al fianco di Pausania, che voleva restaurare il governo dei Trenta Tiranni
ad Atene123, nella mancata partecipazione alla campagna punitiva contro Elide nel
400/399124 e nel disertare sia la spedizione del re Agesilao in Asia del 396 sia la successiva
guerra contro Tebe125.
Dal punto di vista istituzionale la città era ancora retta da una oligarchia, che nonostante
la presa di coscienza generale del demos, non era comunque attraversata, per quanto
possiamo apprendere dalle fonti, da alcun movimento ideologicamente orientato alla
democrazia. Probabilmente la chiave della longevità dell’oligarchia corinzia era non solo la
sua moderazione, ma anche la sua capacità di ascoltare l’opinione pubblica quando non
riusciva a portarla dove voleva126. L’ascolto del popolo era d’altro canto un precetto già
suggerito da Aristotele ai governanti127. Gli unici problemi interni sono dati dalla sempre
più violenta lotta tra diversi partiti oligarchici, come dirò meglio dopo. La mancanza di forti
discrezione: è possibile ipotizzare che già in questo periodo l’influenza del partito oligarchico fosse
sufficientemente forte da rendere i magistrati sicuri del risultato della votazione.
117 Thuc. V, 83, 1 (417); VI, 7, 1 (416)
118 Su Megara Thuc. I, 103, 4; Su Egina Thuc. I, 105, 2 e sgg. Per ciò che riguarda Corcira, ma soprattutto Egina,
nel contesto dell’espansionismo commerciale e territoriale corinzio precedente alla Guerra del Peloponneso,
rimando a Lewis 1997 pp. 9-22.
119 Xen. Hell, II, 2, 19.
120 Ne è un esempio la vicenda del cospicuo bottino raccolto dopo l’occupazione di Decelea e la battaglia di
Egospotami: le richieste degli alleati per una spartizione furono interpretate dagli Spartani come un insulto e
rifiutate. (Plut. Lys. 27,4 racconta solo di Tebe, mentre Iustin. Epit. V, 10, 12-13 parla di richieste avanzate da
entrambi Tebani e Corinzi). Xen. Hell. III, 5, 5; Dem. In Timocr. [XXIV], 128-129.
Sull’argomento vd. Buckler 2003, pp. 3-4. Per altre accuse rivolte ai Tebani Xen. Hell, III, 5, 5.
121 È prezioso il contributo di Graham sugli stretti rapporti, commerciali e politici, che legavano Corinto alle sue
colonie, oltre che per un approfondimento sulle relazioni con Corcira. Cfr. Graham 1966 p. 142 e sgg.
122 Isocr. De Pace, 99; Diod. XIV 10 1-4; Per un approfondimento Caven 1990, p. 114.
123 Xen. Hell. II, 4, 30;
124 Xen. Hell, III, 2, 25.
125 Xen. Hell, III, 5, 17.
126 Salmon 1984, pp. 231-240.
127 Aristot. Pol. 1310a, 2-12.
26
istanze democratiche porta quindi alla conclusione che la costituzione non sia radicalmente
cambiata negli anni e dunque che le istituzioni siano perlopiù rimaste le stesse, sebbene
molto probabilmente abbiano subito dei lievi ritocchi con il passare del tempo, come, per
fare un esempio, l’ampliamento del numero di cittadini con diritti politici, tradizionalmente
molto ristretto nei regimi oligarchici più conservatori. Per tornare alla struttura reale della
costituzione corinzia dobbiamo ricordare gli istituti e le magistrature su cui è possibile,
nonostante la scarsezza delle fonti, dare un giudizio certo: esse sono il sinedrio128, molto
probabilmente composto da otto membri in ossequio alla divisione tribale129, i probouleuti,
che sembrano essere i più importanti tra i magistrati e forse i componenti del collegio130 con
un ruolo di indirizzo della politica in chiave appunto probouleumatica, forse una boule131,
la strategia, che appare come non gerarchicamente strutturata, ma collegiale, e per finire gli
altri magistrati. Sul ruolo che poteva avere il popolo ci sono varie ipotesi, ma in assenza di
notizie certe forse è meglio astenersi da teorie che necessariamente sarebbe molto difficile
provare132.
Corinto, dalla fine della guerra, era attraversata da tensioni politiche tra filo e
antispartani133 dovute non solo alla delusione successiva alla guerra del Peloponneso, che
aveva indebolito il partito filospartano, ma anche al rafforzamento del partito contrario a
Sparta che aveva tratto beneficio dal denaro distribuito dal satrapo Titrauste, satrapo di
Lidia e successore di Tissaferne, tramite Timocrate di Rodi, a Timolao e Poliante134,
entrambi oligarchi in questa fase antispartani135. Il tema della consistenza numerica dei
partiti contrari e favorevoli a Sparta all’interno di Corinto è piuttosto complicato per la
mancanza di dati certi e per la scarsa chiarezza del racconto di Senofonte, il quale nelle
Elleniche136 descrive una Corinto contraria all’allontanamento della guarnigione argiva,
simbolo dell’unione e dell’avversione per Sparta, e nell’ Agesilao137 tratteggia una città che,
minacciata da Sparta, accoglie gli esuli filospartani, dando modo di pensare che l’unione
Thuc. V, 30, 5. Più nel dettaglio vd. Will 1955, p. 609.
Così Suidas, s. v. πάντα ὀκτώ.
130 Aristot. Pol. 1298b 33-4, parla di una possibile finalità consultiva degli organi collegiali, come il sinedrio, nei
regimi oligarchici.
131 Si accenna la descrizione di una boule di 9 membri in un frammento di Nic. Dam FGrHist 90, F (J) 60,1. Will
1955, p. 609, riferendosi ad Aristot. Pol. 1299b, dice che è probabile che questa avesse una funzione di
rappresentanza del demos.
132 Tra le più interessanti vi è la posizione di Will 1955, pp. 609-625, che definisce la costituzione corinzia come
una sorta di compromesso tra democrazia e oligarchia, con l’enfasi dell’elemento oligarchico. Più in generale
vd. anche Salmon 1984, pp. 331-340.
133 Per la divisione politica dei partiti di Corinto vedi Kagan 1962, pp. 447-457, il quale li divide su base
economica in tre: aristocratici proprietari terrieri, oligarchi con interessi nel commercio marittimo, popolino
formato da artigiani, marinai e piccoli proprietari terrieri. Per posizioni più moderne, condivisibili e supportate
dalle fonti vedi Perlman 1964, pp. 64-81 e Cook 1988, pp. 57-85, che si occupa in particolare della situazione
della Beozia, facendo anche interessanti collegamenti con l’Attica. Questi ultimi propongono di leggere le
questioni politiche greche in modo più scevro da anacronismi, e propongono la cosiddetta “politics of
personalities”.
134 Poliante durante la Guerra del Peloponneso si era distinto nel golfo di Siracusa in alcune battaglie, sempre
combattute dalla parte di Sparta, a danno degli Ateniesi. Thuc. VII, 34, 2; 1; Paus. III, 9, 8. Vd. Salmon 1984, p.
346.
135 Xen. Hell, III, 5, 1; Hell. Oxy. 2, 3. Dal passo delle Elleniche di Ossirinco possiamo trarre l’informazione,
ignorata da Senofonte, di un cambio di fronte operato da Timolao il quale, durante la guerra deceleica, aveva
guidato alcune operazioni militari ai danni degli Ateniesi.
136 Xen. Hell. V, 1 34
137 Xen. Ages. 2, 21
128
129
27
con Argo e il governo antispartano godessero di un certo consenso, invece in precedenza138
Senofonte parla de “la maggioranza, e specialmente gli aristocratici”139 come partito di
opposizione. A mio parere in ogni caso il numero degli organici dei due partiti è un “non
problema” per due ragioni: in primo luogo la preminenza politica del partito filospartano,
almeno fino alla fine della Guerra del Peloponneso, è dimostrata, salvo rare eccezioni (come
la parentesi del 421), con le scelte di politica estera dei Corinzi, e ancor più chiaro è il
ribaltamento delle posizioni a favore degli antispartani a partire dalla fine della Guerra del
Peloponneso; il secondo motivo è la fluidità delle appartenenze politiche degli esponenti
più in vista dei due partiti, i quali, come dimostra il caso di Timolao140 , non si facevano
scrupoli a cambiare disinvoltamente schieramento. In queste condizioni il partito
antispartano, seppure tradizionalmente minoritario all’interno di Corinto, riuscì a
conquistare il potere, portando, in politica estera, a sottoscrivere un’alleanza con città
accomunate dai medesimi sentimenti antilaconici quali Atene, Tebe, e Argo, anch’esse
destinatarie del denaro persiano141. Delle lotte politiche qui accennate e circa l’influenza dei
diversi schieramenti parlerò poi più completamente a proposito della stasis del 493/92.
Questi fatti possono considerarsi, per la polis di Corinto, le cause e i prodromi della
dichiarazione di guerra aperta al fianco della coalizione antispartana.
d. La situazione politica di Argo dopo la guerra del Peloponneso
Dal punto di vista istituzionale, per ciò che riguarda quindi la politeia argiva142 e le sue
espressioni, la città non cambiò molto dal punto di vista sostanziale nel periodo che
intercorse tra il 494 e il 404. La polis era divisa in 4 tribù: Illei, Panfili, Dimani e Irnati, ognuna
era poi a sua volta divisa in 12 fratrie, le quali nel loro complesso rappresentavano il corpo
civico143.
Era presente una boule, chiamata βολά, che si riuniva in un bouleuterion. Nonostante
avesse ceduto parte del suo potere in favore dell’assemblea144 del popolo, comunque
in Hell. IV, 4, 1
cfr. Thompson 1986, p. 168 per una attenta analisi grammaticale del passo.
140 vd. supra n. 134.
141 In Xen. Hell, III, 5, 1 non viene annoverata la città di Atene tra coloro che ricevono il denaro da Titrauste, ma
Senofonte è smentito, o piuttosto integrato, sia da Hell. Oxy. 2, 2, sia da Pausania III, 9, 8.
142 Alla luce della storia argiva successiva è interessante ciò che dice Plutarco a proposito della costituzione di
Argo e Messene nel VI secolo nella Vita di Licurgo. Le due città furono afflitte da scontri civili tra il re ed il popolo
e da una pessima politeia (7, 4). Poco dopo afferma che Messeni ed Argivi, per l’arroganza dei loro re, e per la
riottosità del popolo all’ubbidienza, sconvolsero le loro istituzioni (7, 5).
143 A proposito della divisione in tribù vi è probabilmente il più importante cambiamento che avvenne nel corso
di questo secolo. Originariamente infatti vi erano solo le tre tradizionali tribù doriche (Illei, Panfili e Dimani:
Cfr. Steph. Byz., s.v. Δυμᾶνες; FGrHist 70, F 15.) alle quali, sicuramente prima del 450, ne venne aggiunta una
quarta. La questione della creazione artificiale della quarta tribù è di una complessità piuttosto elevata e
rimando per un dettagliato appofondimento a: Tuci 2006 p. 229 n. 81, il quale peraltro ipotizza che della quarta
facessero parte i δοῦλοι/περίοικοι immessi nella cittadinanza dopo Sepeia; Piérart 1985, pp. 345-348; idem 2000,
pp. 167-168.
144 Ancora nel periodo della prima guerra persiana, i poteri della boule pare fossero rimasti piuttosto ampi. In
Her. VII, 148-149, l’autore riferisce di alcune proposte che vengono portate all’attenzione di Argo da parte degli
altri Greci, e soprattutto da parte degli Spartani. Va notato che a raccogliere le richieste è la boule argiva (148, 3),
la quale poi dà anche un responso, senza appoggiarsi ad alcun altro organo (149, 1). Questa sarebbe l’unica
attestazione di una boule con piena autonomia decisionale nel V secolo; in ogni altra occasione le decisioni più
importanti vengono prese in ultima istanza dall’assemblea. Per questo motivo, unitamente al fatto che Erodoto
138
139
28
manteneva alcune prerogative, probabilmente di carattere probuleumatico: in questo
consesso veniva per esempio deciso se gli ambasciatori avessero diritto di presentarsi di
fronte all’assemblea, o proposto l’ordine del giorno della discussione. Circa la
composizione della boule non ci sono fonti che dicano con certezza da chi fosse formata,
eppure sembra lecito affermare che, in continuità con realtà contemporanee di ambito
peloponnesiaco145, l’istituzione rappresentasse gli interessi aristocratici. D’altro canto,
questo istituto nei fatti e nella maggioranza dei casi produsse, seguendo la storia argiva,
decisioni atte a favorire gli interessi degli oligarchi. Probabilmente la boule era affiancata da
un altro organo: gli Ottanta. Sebbene non si sappia molto di questa istituzione, che compare
per la prima volta nel 420146, la forma numerica sembra dirci che vi fosse attinenza con la
divisione tribale: forse era composta da venti uomini per tribù. In questo caso le pertinenze
erano di carattere giudiziario e forse finanziario147.
Come accennato, l’istituzione cardinale del sistema argivo era l’assemblea, che viene
chiamata, nella prima attestazione in nostro possesso, ἀλιάια148; in questo caso è l’assemblea
ad apparire beneficiaria di una completa autonomia decisionale: non è infatti menzionata
la boule. Sia l’assemblea che la boule avevano una presidenza individuale149 e molto
probabilmente entrambe erano cariche ricoperte a rotazione150 da personaggi in vista e
influenti. Accanto a queste istituzioni comparivano i magistrati151 e gli strateghi. Né gli uni
né gli altri pare avessero autonomia decisionale e che dovessero attendere la ratifica
dell’assemblea. Ciononostante, in alcuni casi, come per esempio nel 418 con Trasillo e
Alcifrone, sembra che qualora gli strateghi prendessero delle decisioni autonome in politica
estera, personalmente fossero passibili di condanna, ma che i trattati eventualmente stabiliti
avessero comunque validità.
Tutto questo complesso sistema istituzionale era il terreno di scontro e di incontro tra la
fazione oligarchica e quella democratica. Va detto che in questo quadro, le intersecazioni
tra l’una e l’altra probabilmente anziché attenuare il conflitto lo acuivano, lasciando la città,
come abbiamo visto, in una perdurante instabilità. Dal punto di vista internazionale
nuovamente Argo era divisa: una parte della fazione oligarchica durante il V secolo si lasciò
dichiari apertamente di avere una fonte argiva per il suo racconto, la quale potrebbe aver mistificato la faccenda,
si tende a pensare che la boule fosse sì più importante, ma comunque non autonoma.
145 Vd. cap. II, c, n. 130. Si attesta su questa linea per esempio Tuci 2006, p. 238, n. 110.
146 In Thuc. V, 47, 9, si parla del trattato di alleanza tra Ateniesi, Argivi, Mantineesi ed Elei. Per gli Argivi
offrirono il proprio giuramento οἱ ὀγδοήκοντα. Nei giuramenti vengono annoverati, oltre alla boule, anche gli
artynoi, la cui identificazione pare del tutto oscura. Si veda ad esempio: Piérart 2000, p. 305; idem 2002, p. 168
oppure per una ricostruzione alternativa Tomlinson 1972, p. 198.
147 Cfr. Piérart 2004, p. 168.
148 Si fa qui riferimento ad un decreto di prossenia risalente al 480/470, è inoltre probabile che la presidenza
dell’assemblea venisse assegnata seguendo la rotazione delle tribù. La polis era divisa in 4 tribù: Illei, Panfili,
Dimani e Irnati, ognuna era poi a sua volta divisa in 12 fratrie. Per la presidenza vd. Tuci 2006, p. 224, n. 54. La
fonte che attesta per la prima volta l’esistenza dell’ἀλιάια è un decreto di prossenia risalente alla seconda metà
del decennio 480/470: vd. Van Effenterre-Ruzè 1994, pp. 150-151.
149 È anche stata avanzata l’ipotesi che vi fosse una presidenza comune per boule ed assemblea da Ruzè 1997,
pp. 270-275 (p. 271 e n. 16 per l’ipotesi opposta).
150 Una seconda iscrizione (IG, IV, 554) ci informa che la città aveva una boule, la quale serviva a rotazione con
una sua propria presidenza. Cfr. Van Effenterre-Ruzè 1994, pp. 380-383; Piérart 2000, p. 304.
151 Per le magistrature minori, di carattere ad esempio finanziario o religioso, vd Tuci 2006, pp. 220-225.
Particolarmente interessante tra queste è la permanenza in vita di un retaggio del passato, il βασιλεύς. Questa
carica era stata ormai spogliata di quasi tutte le sue passate prerogative e ridotta ad orpello, ma rimaneva la
funzione eponima.
29
alle spalle l’ostilità con Sparta e provò ad avvicinarvisi, un’altra parte invece vedeva in
Corinto una possibile sponda; i democratici invece, ça va sans dire, guardavano con
ammirazione e fiducia in direzione di Atene.
Per quanto riguarda la visione che le altre poleis avevano di Argo, è esemplificativo ciò
che avvenne dopo la resa di Atene. Dopo la capitolazione, la città aveva dovuto cedere alle
richieste spartane: aveva consegnato la flotta, ad eccezione di dodici navi, abbattuto le
lunghe mura, sciolto la lega di Delo in favore dell’ingresso nella lega peloponnesiaca,
accettato il rientro degli esuli e un rivolgimento costituzionale di tipo oligarchico
rappresentato dal regime dei Trenta Tiranni. I Trenta si ritrovarono, pur con l’appoggio di
Sparta, a governare una città da lungo tempo democratica in cui la popolazione covava
risentimento nei confronti dei Lacedemoni per la guerra: per questo il partito, nonché il
governo oligarchico da loro rappresentato, riscuoteva solo un consenso minoritario tra i
cittadini152. I nuovi governanti scelsero così di instaurare un regime di terrore
contraddistinto da processi giudiziari, sequestri di beni, esili e, non di rado, condanne a
morte153.A questo punto, rivelatasi una delle espressioni dell’egemonia spartana in tutta la
sua brutalità, alcune città, tra cui Argo e Tebe, furono la meta degli esiliati di parte
democratica e rifiutarono di ottemperare alle richieste di estradizione dei Trenta154,
sostenuti dagli Spartani, consentendoci pertanto non solo di definire con una certa
chiarezza il ruolo di opposizione che avevano le due città nei confronti di Lacedemone, ma
anche, soprattutto nel caso di Argo155, di constatare che gli esuli di Atene consideravano la
città un’amica ed una sorta di porto franco.
152 In Xen. Hell, II, 3, 19 il discorso di Teramene vede nella mancanza di consenso del governo oligarchico, oltre
che nelle pessime scelte di governo, la debolezza del regime. Cfr. Xen. Hell, II, 2, 20 e sgg. per una panoramica
generale del regime dei Trenta.
153 Lys. Eratosth. [XII], 21; Xen. Hell, II, 3, 18 e sgg.
154 Diod. XIV, 6, 2; Plut. Lys,27,6. Cfr. Lys. Eratosth. [XII], 95 sulle richieste di estradizione.
155 Buckler 2006 p. 6 propone di vedere la questione in modo del tutto avulso dalle ideologie politiche, ma
piuttosto puramente in chiave di politica estera e antispartana, una posizione che condivido in pieno, in quanto
integra considerazioni diverse e più ideologiche, che vedono come motivo dell’accoglienza l’affinità delle
costituzioni, come quelle di Bertoli cfr. Bertoli 2006, pp. 273-275.
30
Capitolo III
LE SPEDIZIONI IN ASIA E LA GUERRA DI CORINTO
a. dal 400 alla stasis Corinzia del 392
Al termine della Guerra del Peloponneso Sparta sorse come egemone della Grecia,
avendo esteso il suo dominio, oltre che sul continente, anche sulle isole e le città
precedentemente facenti parte dell’Impero Ateniese, da cui aveva anche ereditato il ruolo
di protettrice delle poleis asiatiche. Questa supremazia venne amministrata con durezza e
severo controllo156, attraverso il sistema ideato da Lisandro157, in quel momento il
personaggio più influente di Sparta. Il neonato dominio era caratterizzato dallo
scioglimento dei governi democratici, l’imposizione di una guarnigione spartana
comandata da un armosta, e la formazione di un regime politico retto da dieci o trenta
uomini (decarchia e triacontarchia)158. Se Sparta durante la guerra si era appellata al
principio della libertà, su cui aveva riunito i suoi alleati contro Atene, ora apparivano
evidenti alcune contraddizioni: come Lisandro era diventato il personaggio più influente
della città di Sparta, sebbene la regola fondativa fosse l’uguaglianza di tutti i (pochissimi)
cittadini, tanto che gli vennero tributati onori eroici e dedicati altari, così Sparta, nonostante
ogni città dopo la guerra avesse formalmente il diritto di essere libera e su un piano di
parità, era l’unica polis veramente indipendente ed autonoma, cui tutte le altre erano
obbligate ad obbedire. Ben presto questo soffocante dominio divenne fortemente inviso sia
alle città di recente passate sotto il controllo di Sparta, sia da parte degli alleati di sempre,
tra cui, come abbiamo detto, soprattutto i Corinzi.
L’esperienza di Lisandro è utile per comprendere l’evoluzione della società greca tra V
e IV secolo. Lo spartiata, benché provenisse da una società fortemente conservatrice,
arcaica, e votata all’uguaglianza, ci rivela che, in un certo senso, la stratificazione sociale,
da cui anche Sparta era stata toccata159, portava con se la nascita di nuove forze, che
evolvendosi e acquisendo importanza per via delle sperequazioni di prestigio e di
ricchezza160, diventavano centri di potere che aspiravano ad un ruolo politico; la maggiore
complessità sociale, anche in contesti in cui tradizionalmente non esisteva, portò sempre
Xen. Hell. III, 5, 13.
Xen. Hell. I 5-6; II 1-3 sugli ultimi eventi della Guerra del Peloponneso che resero Lisandro tanto potente e
popolare, oppure più in generale si veda Plut. Lys.
158 Ne è un esempio il regime dei Trenta Tiranni, issato al potere in Atene, o le decarchie (Cfr. Nep., Lys. 2, 1)
che vennero istituite a Bisanzio, Calcedone, Sesto, nell’Asia Minore, sulle coste della Tracia e nelle isole. Il
regime dei Trenta cadde poi per la rivolta capeggiata da Trasibulo; invece le decarchie furono abolite dalla stessa
Sparta, che le vedeva come uno strumento di potere in mano a Lisandro, il quale le controllava consegnando il
governo a oligarchi a lui vicini (Xen. Hell. III, 5, 13; Diod. XIII, 70, 4; Plut. Lys. 13, 5-9). In particolare sulla
questione di Clearco a Bisanzio, e quindi sulle conseguenze della reputazione di Sparta sulla solidità della sua
egemonia vd. Perlman 1964, p. 76. Cfr. Diod. XIV, 12.
159 Nel caso di Sparta Plutarco mette fortemente in risalto le conseguenze portate dal “corruttore incorrotto”
Lisandro con l’introduzione di somme ingenti a Sparta, fino ad allora priva di economia monetaria. Plut. Lys. 2,
6-8; 16-17.
160 Un esempio della mancanza di familiarità degli Spartani con le ricchezze emerge chiaramente dalla vicenda
di Gilippo: cfr. Plut. Lys. 16-17.
156
157
31
più all’affermarsi di quella che possiamo chiamare “politica delle personalità”, che ebbe
come conseguenza il sempre maggior peso di singoli individui161.
Da parte sua Sparta aveva ottenuto maggiori responsabilità nell’ambito della politica
internazionale greca e dunque si vide costretta nel 400 a rispondere all’appello delle città
dell’Asia Minore, nuovamente minacciate dall’Impero persiano. Furono inviate diverse
spedizioni, la prima fu quella di Tibrone, cui fece seguito Dercillida nel 399-97162, e da
ultimo giunse lo stesso re Agesilao dal 396 al 394, ma la campagna non fu mai una minaccia
particolarmente pressante per l’impero, essendo stata impostata dai generali più per
contenere l’espansionismo persiano che per risolvere il problema163, tanto che, malgrado le
parole dell’entusiasta Senofonte, non ottenne alcun significativo conseguimento.
Il Gran Re in quel momento sul trono, Artaserse II, attraverso i suoi satrapi, sfruttò la
politica inaugurata da suo padre Dario II, il quale aveva preferito tessere rapporti
diplomatici con cui influenzare la politica greca piuttosto che riproporre una risoluzione
militare164. Questo fu il presupposto della distribuzione di denaro a quelle poleis che, avendo
un discreto peso nella politica greca, si opponevano all’egemonia di Sparta; queste erano
Argo, Tebe, Atene e Corinto165. Vennero dunque concessi alle poleis europee 50 talenti, una
somma di certo consistente, ma che impallidiva di fronte ai 220 talenti dati a Conone per
l’assemblamento di una flotta166 o ai 30 consegnati da Titrauste al solo Agesilao167; molto
più importante della somma in sé era la sicurezza data dall’avere le spalle coperte
dall’appoggio persiano ed è chiaro quindi che il movente del denaro fu uno dei fattori che
influenzarono la decisione di ribellarsi, ma certamente non il principale168.
Furono i Tebani a prendere per primi l’iniziativa: vedendo che l’esercito spartano era
impegnato in Asia Minore provarono a violare la regola aurea di quel periodo, l’autonomia
di tutte le poleis, e fomentarono discordie tra Locresi e Focesi, che chiesero l’aiuto
lacedemone. A questo punto la reazione spartana non si fece attendere e si presentò in
Beozia Lisandro, con un esercito raccogliticcio di cui facevano parte i soldati che
Un ulteriore esempio dei cambiamenti sociali di questo periodo è la congiura di Cinadone del 399. Cfr. Xen.
Hell. III, 3, 4-11. Sulle incertezze della cronologia: cfr. Bommelaer 1981, p. 174 sgg.
162 Cfr. Xenoph. Hell. III 1, 4-8 (Tibrone); 1, 8-27 e 2 (Dercillida). Luoghi e anni: Valle del Caico (399): Xen. Hell.
III, 1, 6-7; Diod. XIV, 36, 3; Troade (399): Xen. Hell. III, 1, 16/28; Diod. XIV, 38, 3; Bitinia (399): Xen. Hell. III, 2, 2;
Diod. XIV, 38, 7: Plin. NH, 4, 43; Eolide (398): Xen. Hell. III, 2, 11; Frigia (396): Xen. Hell. III, 4, 12; Ages. 1, 18;
Diod. XIV, 79, 2-3; Paus. III, 9, 2-3; Ellesponto (396): Xen. Hell. III, 4, 10; Paus. III, 8, 3; Ionia e Sardi (395) Xen.
Hell. III, 4, 19-21; Ages. 1, 34; Efeso (390): Diod. XIV, 99, 3; Caria (391): Xen. Hell. IV, 8, 22-24; Abido (388): Xen.
Hell. V, 1, 6.
163 Se la logica generale della spedizione, per la mancanza di risorse economiche, militari, e per la scarsa
autonomia che avevano i comandanti, si dimostrò essere un puro contenimento della minaccia persiana, non
mancarono casi di strategie più risolutive e di ampio respiro, si pensi al progetto di Tibrone di attaccare il nemico
principale, Tissaferne, direttamente nella sua sede in Caria, oppure il progetto di Agesilao di marciare in
Cappadocia per tagliare i collegamenti tra il Gran Re e i suoi satrapi.
164 Sull’Impero persiano in quegli anni vd. Wiesehöfer 1999.
165 In Xen. Hell. III, 5, 1 non viene annoverata la città di Atene tra coloro che ricevono il denaro da Titrauste, ma
Senofonte è smentito, o piuttosto integrato, sia da Hell. Oxy. 2, 2, sia da Paus. III, 9, 8.
166 Hell. Oxy. 14, 3.
167 Xen. Hell. III, 4, 26. Per un approfondimento Luppino 1992, p. 127 sgg.
168 Questo banale ragionamento è ignorato da Senofonte che con la sua consueta imparzialità, soprattutto
quando si parla di Tebe, adduce esclusivamente al denaro persiano e alla grettezza morale di chi lo ricevette lo
scoppio della guerra. Cfr. Xen. Hell. III, 5, 1. Sulla politica interna di Tebe come fonte attendibile vd. Hell. Oxy.
20, 2; 10, 2-5. Sul pregiudizio anti-tebano di Senofonte vd. Sordi 2000, p. 148 sgg. Circa lo scoppio della guerra
è da sottolineare che anche Isocrate, con una analisi politica di spessore, fa risalire l’inizio del conflitto al
carattere dei Tebani, che a suo dire peccano di ὕβϱις. Cfr. Isocr. Plat. [XIV], 27.
161
32
precedentemente avevano combattuto con Brasida in Tracia. Dapprima liberò Orcomeno169,
unica città che poteva insidiare il controllo di Tebe sulla Beozia, ma poi pagò il fio della sua
arroganza e venne duramente sconfitto sotto le mura di Aliarto170, dove trovò la morte.
Questa inaspettata vittoria dimostrò alle altre città che era possibile sconfiggere gli Spartani
in campo aperto e produsse una maggiore sicurezza171, che fece passare Argivi e Tebani
all’offensiva al nord in Tessaglia, dove conseguirono importanti successi172. Dopo questi
eventi l’esercito di Agesilao fu richiamato in patria da Epichidida e, solo dopo aver
nominato armosta Eusseno con 4000 soldati173, abbandonò precipitosamente le posizioni al
di là dell’Egeo per fronteggiare i ribelli.
Gli efori chiamarono a raccolta tutte le forze che riuscirono a riunire e le posero sotto il
comando di Aristodemo, mentre dall’altro lato gli alleati, e più di tutti Timolao di Corinto,
formularono una strategia che puntava ad attaccare direttamente la Laconia174. Purtroppo
per gli alleati quando l’esercito si mise in marcia gli Spartani erano già nei pressi di Corinto,
così, colti alla sprovvista, si ritirarono in città e permisero agli avversari di acquartierarsi a
Sicione. Tra maggio e aprile del 394 i coalizzati finalmente si mossero contro
l’accampamento spartano, nei pressi di Nemea175. La battaglia fu molto dura per entrambi
i contendenti, ma nel caso degli Spartani si rivelò, nelle sue prime fasi, un completo disastro:
i Beoti sconfissero gli Achei, gli opliti di Tespie misero in rotta i Pelleni e gli Argivi ruppero
poi completamente il centro, così il fronte peloponnesiaco si trovò per buona parte in fuga,
ad eccezione degli Spartani. I Lacedemoni in questa occasione però dimostrarono tutto il
loro valore e, complice anche la disorganizzazione dell’esercito coalizzato, sconfissero
dapprima gli Ateniesi e poi uno per uno tutti i contingenti che gli si paravano davanti,
vincendo da soli la battaglia di Nemea. Dopo lo scontro gli alleati cercarono rifugio entro
le mura di Corinto, ma non vennero fatti entrare, così si risolsero a tornare nel campo che
avevano allestito fuori le mura. La presa di posizione corinzia si può spiegare o poiché la
polis non era affatto coesa al suo interno176, cosa peraltro facilmente dimostrabile alla luce
degli eventi successivi, oppure più semplicemente i cittadini furono presi dal panico per la
schiacciante vittoria che avevano guadagnato gli Spartani. L’arrivo di Agesilao sul teatro
delle operazioni fu preceduto, mentre si trovava ancora in Tessaglia, da un’ulteriore
Xen. Hell. III, 5, 6; in IV, 3, 15 è ricordato che Orcomeno unì le sue truppe a quelle di Lisandro.
Xen. Hell. III, 5, 18-21; Plut. Lys. 28, 6; Nep. Lys. 3-4; Paus. III, 5, 3; IX, 32, 5.
171 Diod. XIV, 82, 1 ci racconta che dopo Aliarto, sotto l’arcontato di Diofanto (Ecatomb. 395-394) Beoti, Ateniesi,
Corinzi e Argivi strinsero alleanza contro Sparta. Cfr. Andoc. De Pace, [III], 21-22; Xen. Hell. III, 5, 17-23.
172 Cfr. Buckler 2003, pp. 82-85.
173 Xen. Hell. IV, 2, 5. Aggiungo qui che in questo stesso passo si vede che buona parte dei soldati di Agesilao si
rifiutarono di seguirlo nella ritirata poiché non volevano combattere contro altri greci, cosa che lascia intendere
che la causa degli alleati riscuotesse consenso anche tra le truppe del re. Gli uomini che seguirono Agesilao lo
fecero infatti solo a fronte di un compenso e oltretutto il re, temendo defezioni, fu costretto a mentire a proposito
della battaglia di Cnido per evitare di demoralizzare ulteriormente le sue truppe.
174 Xen. Hell. IV, 2, 9 per gli efori e IV, 2, 11 per il discorso di Timolao.
175 Xen. Hell. IV, 2, 16-23; Diod. XIV, 83, 1-2.
176 Bisogna ricordare che gli Ateniesi mossero accuse molto pesanti verso i Corinzi ventilando un tradimento.
Cfr. Dem. In Lept. [XX], 52-53. Senofonte in Hell. IV, 2, 23, a differenza di Demostene, non adduce la
responsabilità della decisione al partito filo-spartano, ma genericamente a «i Corinzi». Un’altra differenza è data
dal fatto che secondo Demostene, subito dopo la battaglia, furono intavolate trattative per una pace separata tra
Corinzi e Spartani, ma non ve n’è traccia in Senofonte. Bettalli 2012, p. 168 n. 22, ritiene questo passo di
Demostene: “un tocco retorico in un passo che riprende vagamente fatti di 40 anni prima, quindi non
particolarmente probante”, al contrario Di Gioia 1974, pp. 38-39, lo usa come base per la narrazione degli eventi
del 393.
169
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pessima notizia: l’annientamento della flotta spartana ad opera dell’ateniese Conone. Il re
però non si perse d’animo e, pur tacendo quest’informazione ai suoi soldati per non
demoralizzarli, proseguì verso la Beozia, dove trovò la più grande battaglia di questa
guerra sulla piana di Coronea. Il 14 Agosto 394, giorno in cui vi fu una parziale eclissi solare,
Agesilao si preparò alla battaglia. Aveva a sua disposizione una mora e mezza di Spartani,
neodamodi, il drappello di mercenari comandato da Erippida e truppe provenienti
dall’Asia, da Orcomeno e dalla Focide, disponeva inoltre di un maggior numero di peltasti
dei suoi avversari. Contro di lui c’erano Tebani, Ateniesi, Argivi, Corinzi, Enieni, Euboici e
i soldati di ambedue le Locridi. Entrambi gli eserciti erano formati da veterani ed uno di
questi era lo stesso Senofonte, che descrisse poi vividamente la battaglia177. Gli eserciti
vennero schierati in modo che i Tebani fronteggiassero le truppe di Orcomeno, gli Argivi
sulla sinistra gli Spartani di Agesilao, e i restanti contingenti si scontrassero al centro.
Quando gli eserciti furono a ridosso l’uno dell’altro i più ferventi, Erippida e i Tebani,
caricarono, portandosi dietro tutto il resto dello schieramento. Durante le prime fasi dello
scontro gli Argivi si ritirarono sul monte Elicona quando videro la carica degli Spartani,
come fecero anche buona parte degli Ateniesi, ma dall’altro lato i Tebani annientarono le
truppe di Orcomeno e si spinsero in avanti fino a saccheggiare i carriaggi di vettovaglie di
Agesilao. A questo punto i Lacedemoni riformarono le fila e si prepararono ad affrontare i
Tebani, che dal canto loro avevano deciso di raggiungere gli alleati argivi sul monte Elicona.
Le due formazioni si affrontarono a ranghi compatti in un clangore di scudi e lance poiché
in questa occasione, in spregio alle più elementari tattiche della guerra oplitica, Agesilao
decise di non allargare le fila per accerchiare i nemici, ma preferì resistere metro per metro
alla loro carica finché, inaspettatamente, il fronte lacedemone cedette ed i Tebani si aprirono
un varco fino a ricongiungersi con i loro alleati. La battaglia era finita ed Agesilao era
padrone del campo; pur rimanendo gravemente ferito per aver occupato personalmente il
punto più caldo dello schieramento, risultò vincitore178, ma senza infliggere danni tali da
mettere fuori gioco gli alleati.
A questo punto la coalizione decise di collocare il quartier generale a Corinto, una scelta
piuttosto ovvia dal momento che il controllo dell’istmo permetteva di salvaguardare Atene
da un attacco, pericolosissimo in quanto la città era ancora priva di mura179; e inoltre perché
la città era lo snodo delle comunicazioni tra gli alleati, essendo la cerniera tra tutti i loro
territori. Gli Spartani replicarono acquartierandosi a Sicione: la guerra si era ormai spostata
nel Peloponneso, ed in particolare nel territorio dell’istmo180.
177 Lo scontro è narrato con dovizia di particolari in Xen. Hell. IV, 3, 15-23. Lo stesso Senofonte prese parte alla
battaglia al fianco del suo amato capitano.
178 Esprime una posizione diametralmente opposta Buckler 2003, p. 95, che, contraddicendo il punto di vista
degli storici antichi, ritiene la battaglia una vittoria degli alleati, e tra loro principalmente dei Tebani, cui sembra
essere piuttosto vicino. Dal punto di vista strategico è almeno opinabile che Agesilao abbia ottenuto qualche
conseguimento, dato che i Peloponnesiaci si ritirarono a Delfi senza aver raggiunto alcun obiettivo di rilievo,
tantomeno aver piegato i Beoti. Dall’altro lato affermare che fu una vittoria tattica tebana pare davvero forzato
dato che in ogni caso Agesilao ruppe sia il centro sia l’ala sinistra degli alleati mettendoli in fuga. Anche nel
successivo scontro con i Tebani inflisse loro gravissime perdite e non è da escludere che i Beoti siano riusciti a
superare la falange nemica perché gli Spartani, pur rendendosi conto dell’errore di serrare i ranghi
tardivamente, li lasciarono passare colpendoli sui fianchi.
179 Conone diede avvio alla ricostruzione delle mura nel 393. Diod. XIV, 85, 3.
180 Xen. Hell. IV, 4, 1.
34
In questo momento dunque la situazione vide alcuni importanti cambiamenti che è
necessario sottolineare, senza tralasciare le loro implicazioni. Il re spartano Agesilao
assunse, dopo le prime battaglie, una strategia volta ad evitare grandi battaglie campali,
che avrebbero potuto causare la morte degli Spartiati, che andavano assottigliandosi, così
preferì invadere i territori nemici saccheggiando le loro risorse ed indebolendoli181, in modo
tale da costringerli, senza avere eccessive perdite, alla resa. Anche dall’altro punto di vista
però vi furono importanti sviluppi perché la decisione di spostare le truppe nel territorio di
Corinto comportò come ovvia conseguenza il fatto che gli Spartani invadessero
principalmente quel territorio, ormai diventato il cuore strategico della guerra.
La tattica Spartana e i continui scontri a bassa intensità produssero ingenti devastazioni
nel fertile territorio tra Sicione e la città istmica, dove alcuni grandi proprietari terrieri
avevano fondi coltivati a vite e ulivo, quindi piuttosto difficili da rendere nuovamente
produttivi nel breve periodo182. È quindi evidente che coloro che, tra gli oligarchi,
fondavano le loro ricchezze sull’agricoltura, furono sempre più toccati da un vigoroso
sentimento pacifista, a prescindere da quali fossero le loro intenzioni allo scoppio della
guerra183. È possibile che costoro siano gli stessi che venivano accusati da Demostene di
aver intavolato trattative di pace subito dopo la battaglia di Nemea184. Il nuovo corso della
guerra fu quindi a tutti gli effetti un duro colpo per la popolarità del nuovo governo
antispartano, da poco insediatosi a Corinto, il quale evidentemente vedeva nel conflitto
un’opportunità per rinsaldare il suo potere all’interno ed assumere una maggiore influenza,
anche dal punto di vista economico, all’esterno. Nulla però, per i Corinzi, andò secondo i
piani, la guerra si trascinava portando con sé sempre maggiori devastazioni e senza atti
risolutivi da nessuna delle due parti, quindi il governo si trovò pressato da ingenti
difficoltà, che lo portarono a prendere una decisione che si rivelerà fondamentale.
181 Il punto nodale dell’economia corinzia era però tradizionalmente rappresentato dai commerci, i quali, per
via della sopraggiunta debolezza degli Spartani sul mare e per l’intelligente uso che fecero i Corinzi dei denari
concessi dal Gran Re, non furono danneggiati. Questo significa che molto probabilmente alcuni passarono dal
partito favorevole a quello contrario alla guerra, ma questo cambiamento non fu certo amplissimo.
182 Sulle risorse agricole della Corinzia vd. Strab. VIII, 6, 20-23; Athen V, 219a; Liv. XXVII, 31, 1. Vd. anche Will
1955, pp. 306 sgg.
183 Salmon 1984, p. 154 si spinge addirittura ad affermare che l’agricoltura fosse la risorsa economica principale
di Corinto, invece Buckler 2003, p. 102 afferma che il resto delle terre, quelle ciò non facenti parte della piana
tra Sicione e Corinto, fossero di proprietà di piccoli proprietari, affermazione supportata da nessuna evidenza,
ma che potrebbe far pensare che, dato che quelle terre non furono saccheggiate in questo periodo dagli Spartani,
i piccoli proprietari terrieri, ove mai esistessero, non fossero ostili alla guerra. Questa posizione si avvicina molto
a quella di Kagan 1962, pp. 447-457 e di Hamilton 1972, p. 23, che descrivono la politica di Corinto divisa in tre
partiti, di cui uno, quello dei piccoli artigiani, proprietari terrieri e marinai, era orientato alla democrazia e
favorevole alla guerra. È ovvio che il modello proposto da questi autori abbia una forte conseguenza sugli eventi
del 493/2, perchè le forze sociali di cui si parla divengono in quegli anni il nucleo di potere che porta Timolao
e Poliante ad instaurare un governo democratico. Altri autori moderni che si avvicinano alla tesi di una forte
influenza del demos sono Griffith 1950, pp. 240-241, Tuplin 1982, p. 82 n. 29, e Whitby 1984, p. 303, pur con una
certa freddezza. Tuplin e Whitby azzardano addirittura l’ipotesi che il demos che fece richiamare in patria Ificrate
non fosse ateniese, ma argivo-corinzio. Che il popolo di Corinto avesse influenza nella politica della città o che
Timolao e Poliante abbiano sovvertito la costituzione e instaurato un governo democratico sono però idee che
mancano totalmente di riscontro nelle fonti. Vd. Perlman 1964, p. 68.
184 Per la pace separata vd. Dem. In Lept. [XX] 52-53. Il passo peraltro si apre dichiarando che le informazioni
esposte nell’orazione siano state raccolte dai “vecchi ateniesi”, cosa che lascia dei dubbi sull’attendibilità
generale. In più di questi abboccamenti tra Corinzi e Spartani non c’è traccia in Senofonte. Tra i moderni ad
esempio Bettalli 2012, p. 168 n. 22, avanza dei dubbi sull’attendibilità dell’orazione come fonte storica.
35
b. La stasis di Corinto: 393 o 392?
Giunti a questo punto per prima cosa è necessario parlare della questione della datazione
dell’avvenimento, partendo dal fatto che la maggioranza degli studiosi prende come punto
di riferimento la celebrazione delle Euclee, feste in onore di Artemide. Non è chiaro
precisamente quando questi riti fossero officiati nel calendario corinzio, di cui abbiamo
scarsa nozione, ma il fatto che a Delfi avessero luogo tra febbraio e marzo può essere un
indizio importante: con tutta probabilità infatti anche Corinto le celebrava tra la fine
dell’inverno e l’inizio della primavera. Una volta accettato il periodo, il problema si pone
nel momento in cui si voglia chiarire se la stasis si sia verificata nel 393 o nel 392. La griglia
cronologica di Senofonte è spesso, e questo caso ne è un lampante esempio, piuttosto vaga
e a volte addirittura contraddittoria, soprattutto perché l’autore narra gli eventi nel loro
fluire, ma senza darsi pena di stabilire o indicare quanto tempo intercorra tra un evento e
l’altro, dando vita a non pochi problemi. In questo caso, se si considera che la strage venne
attuata in relazione alla devastazione del territorio corinzio ad opera dei Peloponnesiaci, ci
si dovrebbe domandare di quanto tempo i Corinzi ebbero bisogno per arrivare alla loro
soglia critica di sopportazione, che è per ovvi motivi un argomento difficile da dipanare
con sicurezza scientifica, essendo in gioco un importante fattore umano. Senofonte, dopo la
battaglia di Coronea (agosto 394), in cui aveva combattuto al fianco di Agesilao, non
partecipò più agli avvenimenti bellici dopo lo scioglimento dell’esercito; non è quindi
improbabile che da qui nascano le sue imprecisioni e omissioni circa l’anno 393185. In questo
caso, sarebbe plausibile accettare l’ipotesi che semplicemente gli avvenimenti di quell’anno
non siano trattati dal racconto senfonteo, che riprende nel 392. La seconda fonte che parla
di questo periodo, Diodoro, è anch’essa piuttosto sommaria e non aiuta in alcun modo a
ricostruirne la cronologia. Generalmente gli autori si attestano quindi su questa linea e
collocano nel 392186 la data della stasis, ma vi sono anche altri studiosi che preferiscono
retrodatare l’avvenimento al 393. Le basi per la scelta di questa seconda via sono piuttosto
complesse e si basano da un lato su questioni filologiche, dall’altro su un’analisi certamente
accurata delle fonti187. Pare però impossibile dare un giudizio certo in merito, essendo la
questione priva di punti saldi ed avendo ottime ragioni entrambi188.
Vd. Aucello 1964, pp. 29-45; Di Gioia 1974, pp. 36-45; Buckler 1999, p. 210 n. 1.
Mi riferisco a Treves 1937, pp. 125-126; Griffith 1950, p. 241; Accame 1951, pp. 107-109: Kagan 1962, pp. 447457; Moggi 1976, pp. 125-126; Hamilton 1979, p. 266; Tuplin 1982, pp. 75-76; Gehrke 1985, p. 85.; Tuplin 1993, p.
69 n. 14; Bettalli 2012, p. 164. Segnalo che curiosamente Bettalli a p. 164, n. 7, parla di Tuplin 1993 inserendolo
tra i fautori del 393, che al contrario Tuplin critica.
187 Di Gioia, pp. 36-45 propone di datare la stasis al 393. L’autrice afferma che le prime avvisaglie di una possibile
congiura filospartana risalgono al luglio del 394, all’indomani della battaglia di Nemea, quando i Corinzi
chiusero le porte agli alleati. Per questo primo passaggio lo storico necessariamente ripone fiducia nell’orazione
di Dem. In Lept. [XX], 52-53. Considerato che Senofonte colloca la strage dopo la battaglia di Coronea dell’agosto
394, e che vi erano già state delle avvisaglie di un possibile colpo di stato nel luglio 394, Di Gioia pensa che sia
impossibile che i governanti e i coalizzati abbiano agito nel marzo 392, addirittura quasi due anni dopo aver
saputo che era in preparazione un golpe ai loro danni. A suffragare questa ipotesi acutamente l’autrice
sottolinea che l’heteria di Pasimelo fosse riunita in armi al Craneo nei giorni in cui venivano celebrate le Euclee,
segno tangibile della natura offensiva di quella riunione.
Va da sé che questa ricostruzione, benché certamente intelligente e interessante, si ramifica su un altro fattore
tipicamente umano e risponde soggettivamente alla domanda: “di quanto tempo ebbero bisogno Timolao,
Poliante e gli alleati per reagire al tentativo dei filospartani?”.
188 In questo lavoro si sceglie come data il 392, più per convenzione che per convinzione.
185
186
36
Il punto di stallo cui era giunta la guerra, con la devastazione provocata dagli Spartani
alla chora tra Sicione e Corinto, ebbe una forte e negativa influenza sulla coesione interna
della città189, come d’altra parte avevano già sottolineato alcuni eventi precedenti tra cui: la
chiusura delle porte agli alleati dopo la battaglia di Nemea, e i possibili successivi
abboccamenti con gli Spartani190, volti a stipulare una pace separata. Il partito contrario alla
guerra, quindi, certamente aveva aggiunto nuovi aderenti alle sue fila alla luce degli
avvenimenti bellici, di sicuro non confacenti le aspettative dei governanti corinzi, che
probabilmente, con una discreta dose di ingenuità, si aspettavano una rapida vittoria.
L’opposizione dunque, secondo Senofonte formata da «οἱ πλεῖστοι καὶ βέλτιστοι»191, scelta di
parole sorprendente per il fatto che generalmente οἱ βέλτιστοι non sono allo stesso tempo οἱ
πλεῖστοι192, cominciò a complottare nel corso di riunioni, che avevano come evidente fine
quello di scalzare i bellicisti antispartani al potere e instaurare un nuovo governo più vicino
alla tradizionale collocazione filolaconica.
Purtroppo per i congiurati il piano venne scoperto e considerato una minaccia tale che,
nell’ultimo giorno delle Euclee della primavera del 392, il partito al potere, con la complicità
degli alleati, organizzò una strage193 che portò alla morte di numerosissimi filospartani194,
compresi coloro che cercarono rifugio nei luoghi sacri. Senofonte parla a questo proposito
espressamente di come coloro che avevano ricevuto denaro dal Gran Re tra gli Argivi, gli
Ateniesi, i Beoti ed i Corinzi, e quindi erano i più favorevoli al proseguimento della
guerra195, si rendessero conto che il rischio di un colpo di stato filospartano a Corinto
avrebbe portato la città sul fronte avverso, cosa che la coalizione non si poteva permettere.
La città era infatti un nodo strategico di vitale importanza per la buona riuscita delle
Xen. Hell. IV, 4, 1.
Salmon 1984, p. 354, ventila anche la possibilità che il piano di invasione della Laconia fosse stato rivelato
dagli stessi Corinzi ai nemici.
191 Come detto in precedenza per questo passo pare che sia preferibile la traduzione di Thompson 1986, p. 168,
che propone “la maggioranza, tra cui (o in particolare) gli aristocratici”. Thompson inoltre analizza
grammaticalmente il passo con attenzione.
192 Una possibile soluzione è proposta da Buckler 1999, p. 213, il quale unisce i due gruppi perché non designa
i βέλτιστοι come aristocratici, ma soltanto come “gli uomini migliori”, con valenza morale. La traduzione in
questo caso sarebbe: “la maggioranza, costituita dagli uomini migliori”. L’ipotesi di Buckler è molto interessante
se si considera l’avversione di Senofonte per i governanti corinzi, contrapposta alla vicinanza per l’opposizione,
che era fautrice del ritorno alla tradizionale politica filospartana di Corinto; in questo senso non è difficile
pensare che l’autore ritenga “migliori” coloro che condividevano le sue idee, il fatto poi che fossero anche “la
maggioranza” può essere vero nella sostanza o avere una valenza denigratoria nel senso che per converso
descrive un ristretto gruppo di politici che non solo avevano le idee peggiori, ma in più non godevano neanche
del consenso generale perché avevano condotto la città verso una guerra disastrosa per gli interessi dei
concittadini. La traduzione delle Elleniche di Ceva 1996 propone invece “la maggioranza, costituita da
aristocratici”, che pare però la meno probabile proprio perché si incorre nel problema logico esposto prima: i
nobili non possono costituire la maggioranza dei Corinzi.
193 Xen. Hell. IV, 4, 2.
194 Come rileva molto acutamente Bettalli 2012, p. 163, n. 6, Senofonte (Hell. IV, 4, 2) dice che i bersagli dei sicari
sono “coloro che si erano volti alla pace”, lasciando intendere quindi che fossero precedentemente antispartani.
Questo passo è un’ulteriore conferma di quanto sia velleitario cercare di dare una consistenza numerica od un
peso politico specifico ai partiti di Corinto; il fatto che esponenti dell’uno possano approdare senza problemi
nelle fila degli altri, come d’altra parte dimostra la vicenda di Timolao, rende non solo infattibile, ma anche
superflua una discussione sul tema.
195 Ancora una volta Senofonte non parla affatto dei motivi reali della guerra e del risentimento degli alleati,
dovuto al carattere dell’egemonia spartana. L’autore preferisce invece ribattere ancora una volta il carattere del
tutto individualistico delle posizioni dei capi alleati, adducendo motivazioni squisitamente personali per le
decisioni che venivano prese e svilendo moralmente gli antispartani, che non avendo idee politiche erano
semplicemente corrotti. Una volta ancora l’intento delegittimante appare qui con tutta la sua forza.
189
190
37
operazioni militari. Seguendo il racconto di Senofonte tutti gli alleati concordavano con gli
esponenti corinzi ed erano pienamente consapevoli sia dei complotti dei filospartani sia
della strage che stavano organizzando i governanti per puntellare il loro potere.
Curiosamente Senofonte dapprima parla di una comunione di intenti tra i coalizzati, ma
subito dopo, raccontando gli avvenimenti della strage, parla espressamente solo delle
azioni degli Argivi196, tralasciando ciò che fecero gli altri.
Il fatto che gli assassinii fossero stati attuati in base ad una sorta di lista di proscrizione
scritta dal governo197 significa evidentemente che la strage era stata pianificata
probabilmente già quando ci furono le prime defezioni al tempo della battaglia di Nemea198.
Si salvarono dallo zelo dei sicari solo i più giovani guidati da Pasimelo che, in armi, si erano
riuniti al ginnasio del Craneo, il quartiere orientale della città, senza partecipare alle feste.
Non deve sfuggire il fatto che Pasimelo e la sua heteria fossero riuniti in armi al Craneo;
questo dettaglio infatti potrebbe avvalorare la tesi che il colpo di stato filospartano fosse già
in atto e ad uno stadio piuttosto avanzato. Seguendo questa ipotesi quindi la strage fu
un’extrema ratio resa necessaria dalla irriducibile riottosità dei filospartani, che erano ormai
pronti all’azione199. Sulle reali intenzioni dei nobili riuniti al ginnasio non è possibile dare
un giudizio certo per via dell’ambiguità delle fonti, certamente però si può convenire che
la strage sia stato un atto preventivo per evitare che la città laconizzasse nuovamente.
Pasimelo ed i suoi compagni furono informati, forse da alcuni fuggiaschi, del massacro
che stava avendo luogo nelle strade e fuggirono sull’Acrocorinto200, dove si asserragliarono
riuscendo perfino a respingere un assalto degli Argivi, dopodiché abbandonarono la città.
In seguito a questi avvenimenti, con la mediazione di parenti e amici, che si facevano
portatori delle garanzie di incolumità dei governanti, alcuni superstiti tornarono in città
una volta garantita loro l’amnistia, ma la maggior parte, con lo stesso Pasimelo, intraprese
la via dell’esilio. Il saldo finale del massacro fu di 120 vittime e di 500 esiliati201.
c. La consistenza dei partiti di Corinto
In merito alla distribuzione del potere in città, ed in particolare riguardo la consistenza
minoritaria o maggioritaria del partito al governo, non sono mancate discussioni piuttosto
accese. Bisogna premettere che la lacunosità delle fonti sulla politica interna di Corinto,
nonché sulla sua costituzione, non permette di raggiungere una posizione di solida
sicurezza in materia, in qualsiasi modo si voglia affrontare la questione202. C’è da dire che
gli autori che raccontano gli eventi sono bene o male orientati ad una descrizione piuttosto
negativa di queste vicende, quindi trarre delle informazioni risulta piuttosto difficile per la
Anche Diod. XIV, 86, 1 parla solo degli Argivi come cooperanti attivi durante la strage, introducendo Beoti
e Ateniesi solo in un secondo momento.
197 Xen. Hell. IV, 4, 3.
198 Tomlinson 1972, p. 131, afferma che il saccheggio della chora intorno a Corinto portò i grandi proprietari
terrieri a schierarsi a cercare la pace dopo la battaglia.
199 Noemi Di Gioia propone questa lettura dei fatti, affermando che le intenzioni di Pasimelo e dei suoi fossero
offensive, e che quindi Timolao e Poliante siano stati costretti ad agire dalle manovre dei loro avversari, che non
potevano più essere ignorate. Cfr. Di Gioia 1974, pp. 37-38.
200 Xen. Hell. IV, 4, 4.
201 Diod. XIV, 86, 1.
202 Gli studi più approfonditi in materia sono quelli di Salmon 1984, pp. 331-340. e di Will 1955, pp. 609-625.
196
38
pesante valenza politica che deriva dal tratteggiare l’uno o l’altro schieramento come
maggioritario, e quindi più influente.
Senza pretendere quindi di dare una interpretazione che possa dirsi definitiva si può
dire che il partito antispartano fosse ormai da lungo tempo maggioritario, ma che il suo
peso specifico sia stato fortemente eroso dall’andamento della guerra. Gli eventi bellici
avevano senza dubbio toccato molto da vicino gli interessi di alcuni suoi sostenitori, che
per questo erano nuovamente passati al fronte opposto. Non può essere di certo messo in
dubbio che i filospartani fossero dal canto loro sempre stati più importanti degli avversari
in città, probabilmente non per questioni ideologiche, ma perché la conflittualità con Atene,
scaturita dai colpi subiti da Corinto nei suoi vitali interessi commerciali, era una dolorosa
spina nel fianco e in un certo senso compattò le linee politiche dei vari partiti di Corinto
avvicinandoli a Sparta, elevata a nume tutelare. È quindi probabile che l’alleanza sia stata
vista come una protezione, per i Corinzi, dalle ingerenze ateniesi, in modo tale che la città
potesse coltivare i suoi interessi più liberamente e con una maggiore efficacia, anche perché
Sparta, fino a quel momento, non era neanche lontanamente una possibile concorrente sul
mare per i commerci. Si era quindi venuto a creare un rapporto politico di simbiosi in cui
Corinto accresceva il peso politico e la potenza militare di Sparta203, mentre per converso
riusciva a ritagliarsi un maggiore spazio di manovra per la cura dei suoi interessi
commerciali.
In merito all’alleanza con Sparta durante la guerra del Peloponneso solo in secondo
piano si possono mettere considerazioni ideologiche sulle affinità tra i loro sistemi
costituzionali, perché non vi è motivo di pensare che la città istmica ed il suo ceto dirigente
avessero bisogno di tutelarsi da un eventuale rivolgimento democratico o da ingerenze
politiche esterne, essendo il sistema piuttosto stabile204; dal punto di vista ideologico si
possono prendere in considerazione, come fenomeno in un certo senso dirimente, i rapporti
tra i singoli oligarchici corinzi e spartani, che per affinità ed interessi comuni potevano aver
stabilito legami più o meno stretti.
Questo stato di cose, il predominio dei filospartani, si è mantenuto invariato per lungo
tempo fino alla resa di Atene, vero punto di svolta delle aspettative corinzie. Non pare di
certo un caso che le fonti ricordino l’inizio dell’ostilità dei Corinzi verso gli Spartani come
conseguente alla mancata ripartizione del bottino di guerra, che in termini generali doveva
comprendere tutto l’ex impero ateniese, perché probabilmente proprio l’acquisizione di
maggiori spazi commerciali e marittimi era il fine ultimo della politica filospartana di
Corinto. Dopo la Guerra del Peloponneso gli Spartani non solo rifiutarono le richieste, ma
diventarono loro, con le politiche di annessione degli appartenenti alla lega di Delo e con
A proposito del contributo di Corinto all’alleanza peloponnesiaca va considerato che nel 413 re Agide
raccolse denaro per allestire una flotta di 100 navi. I primi come effettivi sono gli stessi Spartani e i Beoti, che
contribuiscono con 25 navi ciascuno, immediatamente dopo seguono i Corinzi con 15 triremi. Il fatto che i
Corinzi siano in questa posizione ovviamente dà l’idea della loro importanza all’interno dell’alleanza. Cfr. Thuc.
VIII, 3, 12 Per un approfondimento su questo episodio e in generale a proposito della guerra navale in ambito
peloponnesiaco vd. Bianco 2018, p. 25 n. 2.
204 Spesso una dei motivi che contribuivano spingere una determinata polis e il suo ceto dirigente a stipulare
un’alleanza con un’altra città poteva essere la volontà di ottenere il riconoscimento del proprio governo ed un
eventuale appoggio in caso di crisi. Si veda a questo proposito supra cap. II a-b per il caso di Argo e infra cap. IV
b, per Corinto nel 392. Durante la guerra del Peloponneso comunque pare che il governo di Corinto fosse
piuttosto stabile e che quindi sia da escludere che quello appena citato sia stato uno dei fattori maggiormente
considerati.
203
39
la costruzione della loro propria flotta, i veri nemici degli interessi dell’oligarchia
mercantile di Corinto, che quindi verosimilmente si spostò massicciamente verso posizioni
fortemente ostili che sfociarono poi nella guerra contro Sparta, ripetendo lo stesso schema
del 421. A questo punto quindi il partito filospartano venne privato dell’appoggio della
componente oligarchica che vedeva nei commerci la sua sfera di interesse, ma
probabilmente poteva ancora contare sull’appoggio di alcuni irriducibili, legati ad interessi
privati e non economici, che necessariamente si svilupparono in un così lungo periodo di
contiguità. Probabilmente anche i proprietari terrieri rimasero filospartani poiché, per la
natura dei loro interessi, vedevano molto da lontano le vicende che si consumavano sul
mare, il cui andamento negativo non sarà stato certo dirimente per le loro adesioni politiche.
Tutto ciò premesso, la discussione sulla composizione numerica dei due partiti pare
piuttosto fatua, dato che vi era una così forte mobilità degli esponenti politici, che seguivano
i loro interessi personali senza pensare granché alle ideologie.
d. Un colpo di stato democratico?
Gli eventi del 392 sono stati discussi negli ultimi anni e il dibattito ha prodotto diverse
possibili interpretazioni circa le finalità della strage. È certo che la decisione venne presa
per prevenire una possibile inversione di marcia del governo ed un ritorno della città sul
fronte spartano, cosa che giustifica l’appoggio degli alleati, ma alcuni, forse alla luce degli
eventi successivi205, si sono spinti ad interpretare la vicenda come un colpo di stato volto ad
instaurare un governo democratico. Questa posizione non ha nessun appoggio se non un
passo di Diodoro206 emendato da Wurm, ma l’impronta ideologica di cui viene caricata
l’espressione rimane piuttosto isolata dal momento che la parola δημοκρατία e i suoi derivati
non sono presenti in nessun’altra fonte che parli della stasis207. L’autore delle Elleniche di
Ossirinco a questo proposito descrive gli stragisti come “coloro che volevano cambiare lo
stato delle cose”208, che è una locuzione troppo vaga per leggervi con sicurezza un’ideologia
politica in controluce; oltre a questo Senofonte racconta che, dopo il ritorno degli esuli
filospartani, vi fu un ritorno all’ eunomia209, ancora una volta un’affermazione piuttosto
vaga, seppur di sicura valenza oligarchica210.
Con ciò faccio riferimento alla questione dell’“unione” tra Argo e Corinto degli anni immediatamente
seguenti. È chiaro che una delle problematiche fondamentali a questo riguardo stia nelle diverse costituzioni
delle due città, stabilire quindi a priori che vi fosse a Corinto un governo democratico a partire dal 392 rende
molto più facile il racconto dell’unione.
206 Diod XIV, 86, 1. La tradizione riporta “Ἐν δὲ τῇ Κορίνθῳ τινὲς τῶν ἐπιθυμίᾳ κρατούντων συστραφέντες ἀγώνων
ὄντων ἐν τῷ θεάτρῳ φόνον ἐποίησαν καὶ στάσεως ἐπλήρωσαν τὴν πόλιν”. Qui Wurm 1827-1840 preferisce leggere
“δημοκρατίας ἐπιθυμούντων” al posto di “ἐπιθυμίᾳ κρατούντων”, che sembra di difficile interpretazione. Molti,
come Griffith 1950, p. 241; Sordi 2006, p. 301, accettano in toto l’emendamento, invece Perlman 1964, p. 69;
Salmon 1984, p. 355; Thompson 1986, pp. 160-162; Buckler 1999, pp. 210-214 e Bettalli 2012, pp. 161-179,
propongono soluzioni alternative. In particolare, è molto vicino al testo tràdito l’emendamento di Buckler che
legge “ἐπιθυμούντων κράτους” (trad. “coloro che aspiravano al potere”), preferendolo a “ἐπιθυμίᾳ κρατούντων” o
anche a “δημοκρατίας ἐπιθυμούντων”, che carica l’espressione di una forte connotazione ideologica.
207 A dire il vero, come sottolinea Buckler: “The suggestions of Wurm, Madvig, and Bezzel would constitute the
first and only mention of an organized democratic group in Corinthian politics” (Buckler 1999, p. 211).
208 Hell. Oxy. 7, 3 “οἱ μεταστῆσαι τὰ πρά[γμ]ατα ζητοῦντες”.
209 Xen. Hell. IV, 4, 6.
210 Il fatto che venga utilizzata una locuzione appartenente al lessico degli oligarchi ci dice solamente che le fonti
da cui Senofonte trae le proprie informazioni sono i filospartani legati a Pasimelo, di cui il racconto Senofonteo
ricalca il punto di vista. Cfr. Griffith 1950, pp. 241-242.
205
40
Altri ancora definiscono demagoghi211 coloro che ricevettero il denaro da Timocrate, ma
possiamo dire che questa sia una sorta di sintesi o di generalizzazione degli autori antichi,
poiché i moderni sono ora abbastanza concordi nel dire che almeno nel caso della Beozia i
destinatari del denaro non fossero democratici, cosa che riduce notevolmente la
connotazione democratica del termine, usato probabilmente solo per la sua valenza
dispregiativa e non per una stretta attinenza al valore semantico.
Non sono narrati dalle fonti cambiamenti costituzionali avvenuti in seguito alla strage;
infatti neanche il pio Senofonte, così attento a descrivere tutte le malefatte di Timolao e dei
suoi, si lascia sfuggire una sola parola a riguardo di qualche abrogazione di leggi o di un
ingresso nell’apparato decisionale del demos. L’autore212, raccontando il governo di Timolao
e Poliante, li chiama τοὺς τυραννεύοντας, ma non dice affatto che governassero in spregio
delle leggi patrie e tradizionali e tantomeno che agissero di concerto con il popolo. La
terminologia utilizzata porta alla conclusione che la critica non stia tanto nell’immissione
negli organi decisionali del demos, quanto piuttosto nell’esclusione dei filospartani di
Pasimelo, che quindi in questo senso si trovarono a contare meno dei meteci. L’ipotesi che
il partito al potere fosse democratico, quindi, è molto labile se si analizzano testualmente le
fonti, ma anche se si considera il contesto politico e lo scenario generale. Durante la guerra
infatti si era schierata contro Sparta la Beozia, che i moderni sono concordi nel definire un
regime oligarchico213. In più si è parlato precedentemente degli eventi del 421, anno in cui
Corinto si alleò con la democratica Argo in funzione anche antispartana, ma conservando
la sua forma di governo storica.
In ogni caso la discussione circa l’ideologia professata da coloro che attuarono la strage
è essenziale per spiegare gli eventi solo se la si rende tale; infatti si può ben comprendere la
vicenda anche senza farne una questione di idee, ma semplicemente di opportunità e di
necessità politica. Possiamo essere certi infatti che il partito bellicista e antispartano
rappresentato da Timolao e Poliante sia stato messo fortemente in difficoltà dal crescere e
dal rafforzarsi dell’opposizione214, sia per via delle devastazioni provocate dall’esercito
spartano, sia per l’assenza di vittorie militari da poter spendere a loro favore
propagandisticamente. È quindi chiaro che, a prescindere da quali fossero le loro idee,
vedendo un sempre crescente intralcio nell’opposizione, Timolao e Poliante, per mantenersi
al potere, fossero costretti ad agire. Bisogna anche sottolineare che se il partito al potere
fosse stato democratico, bisognerebbe anche affermare che le istanze di cui si fece portatore
furono del tutto abbandonate nella storia successiva di Corinto e mai più perseguite, dato
che la città rimase poi oligarchica fino almeno all’epoca di Filippo.
È quindi per questi motivi che si può escludere una valenza democratica sia del governo
di Timolao e Poliante sia per la strage di cui furono i mandanti.
Plut. Ages. 15, 8; Polyaen. I, 48, 3.
Senofonte comincia la narrazione con ὁρῶντες, chiarendo che il suo racconto è ripreso da ciò che videro
personalmente le sue fonti. Da questo presupposto non può che seguire una narrazione del tutto soggettiva e
relativa dei fatti, che quindi va attentamente valutata prima di essere accolta.
213 Hell. Oxy. 17, 1. Per i moderni sul caso di Ismenias a Tebe vedi ad esempio Landucci Gattinoni 2000, p. 143
sgg., oppure Perlman 1964, p. 65 sgg. e Cook 1988, pp. 58 sgg., che fa riferimento a Hell. Oxy. 12, 1.
214 Anche se fosse una esagerazione la dimensione del partito favorevole a Sparta data da Senofonte (Hell. IV, 4,
1), comunque non c’è motivo di dubitare che l’opposizione esistesse nel 394 e che si fosse rafforzata nel 392.
211
212
41
Capitolo IV
L’ISOPOLITEIA TRA ARGO E CORINTO
a. Senofonte, Andocide e Diodoro
Senofonte
Hell. IV, 4, 6-7: «Ma quando furono consapevoli che coloro che erano al potere si
comportavano come tiranni e si resero conto che la città era in procinto di scomparire, in quanto
erano rimossi i cippi di confine, che alla patria era dato il nome di Argo anziché Corinto ed erano
obbligati ad assumere la cittadinanza argiva, di cui non avevano bisogno, mentre nella loro città
contavano meno di meteci, alcuni ritennero che la vita, in queste condizioni, era insostenibile; se
invece avessero tentato di far tornare Corinto ad essere la loro patria, così come era stata da
sempre, a proclamarla libera e purificata da quegli uomini sacrileghi che la oltraggiavano, in un
regime di buone leggi, sarebbe valsa la pena, in caso di successo, diventare i salvatori della città
e, in caso contrario, affrontare una nobile morte per una causa nobile e gloriosa. 7. Fu così che
due uomini, Pasimelo e Alcimene, decisero di attraversare a nuoto il torrente e di incontrarsi con
Prassita, il polemarco spartano che con il suo battaglione si trovava in presidio a Sicione, per
dirgli che potevano garantirgli l’accesso alle mura che si estendono fino al Lecheo. Conoscendo
già da tempo la fidatezza dei due215, egli diede loro credito e fece in modo che il battaglione, già
in procinto di lasciare Sicione216, vi continuasse a restare, quindi preparò il piano per entrare nella
città.»
Per prima cosa bisogna cercare di liberare il campo dall’annosa questione, anche in
questo caso, della cronologia. In queste prime righe Senofonte infatti afferma che Corinto
facesse già parte di Argo nel periodo immediatamente successivo alla stasis, quindi nel 392.
Il testo senofonteo è stato senza dubbio redatto a partire dalle testimonianze di coloro
che erano al potere a Corinto nel periodo successivo alla pace di Antalcida, quindi Pasimelo
ed i suoi accoliti217, i quali però nel 392 erano stati ridotti in minoranza ed addirittura
perseguitati, da coloro che avevano preso il potere in città. Tutto ciò lascia pensare che la
loro opinione dei governanti non fosse particolarmente benevola e che, nel caso venisse
chiesto loro di descriverne l’operato, avrebbero di certo taciuto le scelte positive ed
ingigantito le azioni negative.
Dopo la strage alcuni intrapresero la via dell’esilio, mentre altri, e tra questi lo stesso
Pasimelo, accolsero le proposte di pace civile di Timolao e Poliante, accompagnate anche
dalla garanzia dell’amnistia. Dopo un periodo di titubanza tornarono in città numerosi
filospartani, convinti dalle promesse di incolumità di parenti e amici, ma solo per constatare
Secondo Cartledge 1987, p. 255, Pasimelo era da sempre: «a member of Agesilao’s Peloponnesian circle».
Questa informazione potrebbe essere d’aiuto per la datazione degli eventi. Di Gioia 1974, p. 39, n. 9, riflette
sul fatto che Prassita avesse fatto in modo che la sua mora, che stava per essere ricondotta in patria, rimanesse a
Sicione. Poiché il battaglione era in procinto di levare le tende, si potrebbe pensare che si sia alla fine dell’anno
spartano, quindi in agosto. Strauss 1986, p. 147, n. 62, ritiene invece sia meglio spostare la vicenda in autunno,
poiché i torrenti nel territorio di Corinto in estate non hanno una goccia d’acqua.
217 Questa è la posizione generalmente accolta dai moderni, è comunemente accettato che Senofonte racconti gli
eventi seguendo secondo il racconto soggettivo di Pasimelo. Vd. ad esempio: Griffith 1950, pp. 241-242; Di Gioia
1974, p. 39; Bettalli 2012, p. 169. Senofonte si recò a Corinto dopo che la sua villa in Elide fu sequestrata dagli
Elei, nel periodo successivo alla battaglia di Leuttra del 371.
215
216
42
in quali terribili condizioni versasse la loro città. Decisero così di liberare la patria dal gioco
dei sacrileghi filoargivi e di ricondurre Corinto alla libertà e all’eunomia218.
In questo passo non si può non notare un particolare curioso: tutto ciò che i turpi
individui al potere stavano facendo portò Pasimelo e i suoi sodali a pensare ad un colpo di
stato per ristabilire l’ordine precedente alla guerra di Corinto. Poco tempo dopo,
casualmente, vi fu proprio un tentativo di questo genere da parte dei filospartani, che
tradirono la città facendo entrare dalle porte un contingente spartano. Per questo motivo,
anche se l’unica fonte in nostro possesso fosse Senofonte, ci sarebbe la necessità di usare
moltissima cautela nel dire che una qualche forma di sinecismo o di isopoliteia fosse già
stata attuata nel 392. Sarebbe in verità molto facile pensare che sia stata anticipata al 392
una vicenda successiva, quella dell’annessione da parte di Argo, proprio per giustificare
l’altrimenti ingiustificabile tradimento di Pasimelo, che cercò di consegnare la città
all’occupazione spartana219. Se infatti si prendesse come affidabile il racconto di Senofonte,
allora si vedrebbero quasi come eroi coloro che, con sprezzo del pericolo e mettendo a
repentaglio la loro stessa vita, aprirono le porte alle truppe spartane, che portavano in città
la salvezza dalle turpitudini di Timolao e Poliante. Al contrario, se si liberasse il campo
dalla descrizione della durissima annessione argiva, Pasimelo sembrerebbe semplicemente
un traditore, pronto a vendere la sua città agli Spartani in cambio della sua restaurazione al
potere. Per ora, nell’attesa di analizzare ulteriori elementi, lasceremo aperta la questione
della data.
Veniamo ora ad analizzare la sostanza di ciò che Senofonte descrive come una brutale
annessione: I) vennero rimossi i cippi limitanei, II) Corinto fu rinominata Argo, III) i Corinzi
furono costretti ad assumere la cittadinanza argiva, IV) i Corinzi avevano meno potere dei
meteci.
I) La prima affermazione non può essere confermata, poiché compare unicamente nel
testo senofonteo. Nessun autore moderno che si sia applicato a questo argomento ha mai
speso particolari riflessioni, lasciando galleggiare la questione nel limbo dell’incertezza.
Non vi sono comunque particolari motivi per dubitare che un atto di questa sorta sia stato
messo in pratica, ed a riguardo la maggior parte degli studiosi, pur non approfondendo,
sono concordi.
II) Il fatto che Corinto sia stata rinominata Argo è forse ciò che di più inverosimile vi sia
nel racconto di questa vicenda. È del tutto impossibile che una cosa di questo genere sia
mai avvenuta, sia perché l’annientamento dell’identità e della storia cittadina sarebbe stata
un sacrilegio intollerabile da parte di ogni polis greca, sia perché non sarebbe mai stato
accettato dai Corinzi. Dato che nessun’altra fonte accenna ad un fatto di questa gravità, si
può facilmente dire che qui le fonti filospartane di Senofonte si siano decisamente lasciate
prendere la mano220.
218 Anche l’utilizzo del lessico, di chiara derivazione oligarchica, avvalora e rafforza l’idea che appartenenti a
questo gruppo fossero anche le fonti di Senofonte.
219 Secondo Whitby 1950, p. 296, Senofonte parla di annessione subito dopo la strage perchè la sua fonte, gli
oligarchi di Pasimelo, che gli raccontano la storia negli anni ’50 del IV secolo, avevano la necessità di giustificare
il loro tradimento quando aprirono le porte agli Spartani.
220 Nonostante questo, si potrebbe forse pensare che l’affermazione sia una sorta di figura retorica volta a far
immediatamente cogliere al lettore la gravità delle condizioni dei Corinzi. L’unico che crede alla storia di
Senofonte è Tuplin 1982, p. 76, che però sembra in tutto l’articolo impegnare a fondo le sue forze per ricondurre
43
III) Che i Corinzi fossero obbligati ad assumere la cittadinanza argiva è un’affermazione
di ben più difficile analisi. Le fonti antiche infatti non definiscono mai l’aspetto giuridico
dell’unione, in ogni caso sembra, dallo svolgersi degli eventi riguardanti i giochi istmici,
che una forma di isopoliteia vi sia stata. Rimane da capire a questo riguardo quale fosse lo
scopo di una tale presa di posizione e soprattutto quale conseguenza abbia avuto.
Su questo passo è possibile spendere due parole su quante persone furono in realtà
immesse nella cittadinanza argiva. Sempre tenendo ben presente che il racconto in
questione è narrato da Pasimelo e gli altri, non è così scontato che in questo caso costoro si
riferissero a tutti i Corinzi come coloro che erano stati obbligati ad assumere la cittadinanza.
Si potrebbe invece ritenere che solo alcuni fossero stati obbligati a partecipare della politeia
argiva per poter esercitare il potere.
IV) Alla luce di “III” dovrebbe essere letta questa affermazione, che renderebbe il
significato del testo così: dato che gli oligarchi che volevano esercitare il potere erano
obbligati ad accettare la cittadinanza argiva221, coloro che non erano disposti contavano
meno che meteci222. È ovvio che una condizione di questo genere fosse del tutto
inaccettabile per coloro che erano da sempre abituati ad avere il potere in città. Infatti, anche
nel caso in cui il partito politico di Pasimelo fosse stato ridotto in minoranza, comunque
avrebbe potuto esercitare la propria influenza e indirizzare almeno parzialmente la politica
della propria città. È possibile che nel periodo dell’unione assumere la cittadinanza argiva
fosse il pedaggio richiesto per poter accedere alle magistrature o più in generale per poter
aver parte ai circoli del potere ufficiale.
Hell. IV, 5, 1-2: «In seguito gli Spartani, informati dai fuorusciti che i Corinzi della città
tenevano al sicuro tutti gli armenti al Peiraion, dove molti avevano quindi di che sostentarsi,
marciarono di nuovo contro Corinto, ancora al comando di Agesilao. Egli raggiunse innanzitutto
l’istmo, perché era il mese in cui si celebravano le Istmiche e gli Argivi vi si recavano a offrire
sacrifici a Poseidone, come se Corinto facesse parte di Argo. Ma appena vennero a sapere che
Agesilao si avvicinava, abbandonarono le vittime già consacrate e i banchetti che stavano
preparando e si rifugiarono terrorizzati entro la città dalla strada Cancrea 2. Pur vedendoli,
Agesilao non li inseguì, ma si accampò nel recinto del santuario e offrì anch’egli sacrifici al dio,
poi attese finché gli esuli corinzi terminarono i loro e le gare. Dopo la sua partenza, comunque,
gli Argivi ripresero dall’inizio la celebrazione delle Istmiche223. Quell’anno, perciò, in alcune gare
vi fu chi fu sconfitto due volte e chi invece venne proclamato due volte vincitore.»
quegli eventi ad una sua idea preconcetta: un’annessione già realizzata in toto nel 392. Per una radicale
confutazione di queste teorie vd. Whitby 1984, pp. 295-308.
221 Tuplin 1982, p. 76, dice che coloro Senofonte in IV, 4, 6 fa parlare gli oligarchici di Pasimelo per sé stessi,
quindi quando parla di condividere la cittadinanza Argiva non si riferisce a tutti i loro concittadini corinzi, ma
solo a coloro che sono al potere.
222 Griffith 1950, p. 248, dice che la questione dei meteci è da interpretarsi così: gli oligarchi corinzi, abituati a
detenere il potere, non ne vennero privati, ma quello stesso potere decisionale venne concesso anche a tutti i
cittadini di Argo. Per questo motivo persero completamente la loro influenza, essendo il loro peso politico
diluito all’interno del mare magnum del demos argivo. Dato che la storia viene narrata da Senofonte, e che le sue
fonti sono filospartane e oligarchiche, lo storico riporta probabilmente le loro parole e chiama questi “nuovi
arrivati” esattamente come fanno le sue fonti, cioè meteci. Griffith dà questa interpretazione a partire dal fatto
che a Corinto sia in vigore una costituzione democratica, cosa che è però da escludersi.
223 Ogni volta che un rito sacro, in questo caso i sacrifici in onore di Poseidone, veniva interrotto, era necessario
ricominciare da capo con le celebrazioni.
44
In questo passo Senofonte parla di ciò che successe nell’estate del 390224 e racconta di
come gli Argivi avessero celebrato le Istmiche «come se Corinto facesse parte di Argo» e in
questo modo conferma la versione dei fatti che aveva esposto poco prima. Dato che
l’avvenimento è trattato, seppur molto sinteticamente, anche da altri autori225, risulta
difficile affermare che tra il 392 e il 390 non vi sia stato alcunché di significativo nei rapporti
tra le due città. A questo punto si possono percorrere due strade: o ritenere che i fatti delle
feste in onore di Poseidone confermino e siano la conseguenza della totale distruzione
dell’identità cittadina corinzia, oppure avere una posizione più moderata, e magari
collocare tra il 392 e il 390 quell’accordo di isopoliteia cui sembra far riferimento lo stesso
Senofonte. La seconda via vede ormai Argivi e Corinzi accomunati dalla condivisione della
stessa politeia, quindi i secondi avevano pari diritto a celebrare le Istmie, che infatti ebbero
un patrocinio comune. Emerge in modo lapalissiano dal testo che la contesa verta su chi
abbia il diritto di sacrificare a Poseidone, e quindi a celebrare i giochi: va da sé che questo
privilegio degli Argivi non fu di certo riconosciuto né dagli Spartani, né dagli esuli corinzi,
i quali vedevano piuttosto la questione come un’usurpazione e un’ennesima empietà.
Senofonte si colloca, dato che le sue fonti sono proprio gli esuli, tra coloro che gridano al
sacrilegio, tanto che sembra interpretare l’incendio al tempio di Poseidone, che vi fu in quei
giorni, come una punizione divina per le scelleratezze degli Argivi226. Con questo gesto gli
Argivi, compiendo i sacrifici, stavano pubblicamente dimostrando la loro pretesa ai
medesimi diritti religiosi dei Corinzi, e così facendo, cercavano di ottenere un
riconoscimento anche sacro al trattato che garantiva loro quest’onore227. In ogni caso da
questo passo, anche se è certo che vi fosse in atto una qualche forma di unione, non è
comunque possibile chiarire di che natura essa fosse. Rimane quindi ancora in campo
l’ipotesi di una completa annessione nel 392, proposta da Tuplin228, accompagnata però
dalla teoria dell’isopoliteia, seguita per esempio da Griffith.
Hell. IV, 8, 13-15: «Venutine a conoscenza, gli Ateniesi mandarono a loro volta un’ambasceria
con Conone, Ermogene, Dione, Callistene e Callimedonte. Invitarono a farne parte anche
ambasciatori alleati; li accompagnarono, infatti, rappresentanti della Beozia, di Corinto e di Argo.
14. Giunti a destinazione, Antalcida disse a Tiribazo che era venuto a chiedere la pace con il Gran
Re a nome della sua città, una pace a condizioni quali il Gran Re desiderava da tempo. Non
contestavano infatti le sue rivendicazioni sulle città greche d’Asia e si accontentavano della
concessione dell’autonomia a tutte le isole e alle altre città. “Essendo tali le nostre condizioni soggiunse- per quale motivo i Greci o il Gran Re dovrebbero farci la guerra o spendere denaro
Per la datazione vd. Whitby 1984, p. 297 n. 10, che propone una collocazione tra il tardo giugno e l’inizio di
luglio del 390.
225 Mi riferisco qui a Diod. XIV, 86, 5; Paus. III, 10, 2; Plut Ages. 21, 2-3. Pausania in particolare non accenna alla
questione dei sacrifici officiati dagli Argivi, ma si limita a raccontare che gli Argivi erano presenti durante le
celebrazioni. In questo modo avrebbero avuto il ruolo di protettori dei Corinzi, esattamente come Agesilao con
gli esuli. La versione di Pausania però è contraddetta sia da Diodoro che da Plutarco. Quest’ultimo in particolare
pare abbia avuto una fonte diversa da Senofonte, rendendo la ricostruzione degli eventi piuttosto solida. Cfr.
Cawkwell 1976, p. 64 n. 12.
226 Xen. Hell. IV, 5, 4. Per questa lettura vd. Whitby 1984, p. 298 n. 12.
227 Vd. Griffith 1950, p. 249. Un trattato di isopoliteia sarebbe stato sufficiente agli Argivi per pretendere uguali
diritti religiosi. Si veda ad esempio la vicenda di Mileto e Olbia (IV sec.) o di Festo e Tenedo (III sec.), di cui
parla Gawantka 1975 p. 14 sgg; 22 sgg. Nei trattati era infatti stabilito che: «μετέχειν ἱερῶν καὶ ἀρχείων καὶ τῶν
λοιπῶν ἀπάντων».
228 L’autore dice giustamente che: «we must also admit that what Xenophon says at 4. 5. 1 is entirely consistent
with what he says at 4. 4. 6 and that the two stand (or fall) together». Tuplin 1982, p. 77.
224
45
per noi? In verità una spedizione contro il Gran Re non sarebbe possibile né per gli Ateniesi, se
non fossimo noi a guidarla, né per noi, se le città fossero autonome.” 15. Tiribazo approvò
pienamente le proposte di Antalcida, ma gli altri sollevarono delle obiezioni. Gli Ateniesi
temevano infatti che ad accettare la concessione dell’autonomia alle città e alle isole avrebbero
perduto Lemno, Imbro e Sciro; i Tebani, che sarebbero stati costretti a lasciare autonome le città
della Beozi; e anche gli Argivi pensavano che, se si fosse stipulato un trattato del genere, non
avrebbero più potuto fare di Corinto un’altra Argo, cosa che invece desideravano ardentemente.
Ecco perché questa pace non fu conclusa, e ognuno tornò in patria.
In questo passo vengono affermate due cose: alla conferenza di Sardi229 erano presenti
ambasciatori sia argivi sia corinzi e gli argivi non erano disposti ad accettare una pace
fondata sul principio dell’autonomia, perché in quel caso «non avrebbero più potuto fare
di Corinto un’altra Argo»230. Arrivati a questo punto il racconto sembra diventare
fortemente contraddittorio. Se ci fosse stata una annessione, o comunque una unione coatta
nella forma descritta in IV, 5, 1 e IV, 4 6, non sarebbe assolutamente concepibile che i Corinzi
mantenessero comunque la possibilità di svolgere una propria politica estera. Inoltre,
qualora i precedenti passi di Senofonte raccontino il vero, quella conferenza sarebbe stata
il momento buono per i Corinzi di spingere a favore della pace, perchè in questo modo
avrebbero riottenuto la tanto agognata autonomia; eppure, gli ambasciatori, tacciono. Ora,
è anche vero che gli ambasciatori, temendo ritorsioni, avrebbero potuto scegliere
prudentemente di mettere in campo il loro sostegno alla pace solo dopo aver visto se vi
fosse speranza di successo, cosa che apparve impossibile fin dall’inizio. Questa è comunque
solo una speculazione: il testo infatti dice chiaramente che i Corinzi mantenevano una loro
autonomia in politica estera, tanto da essere loro a rappresentare la città e non, come ci si
aspetterebbe, gli Argivi. Anche la seconda affermazione entra in rotta di collisione con i
fautori dell’unione nel 392, perché il testo dice espressamente che gli Argivi avevano paura
di non poter rendere Corinto una nuova Argo, dando chiaramente il senso di qualcosa che
non era ancora avvenuto.
Hell. IV, 8, 34: «Appena ne furono informati gli Ateniesi, temendo di perdere i vantaggi
ottenuti nell’Ellesponto grazie a Trasibulo, gli inviarono contro Ificrate con otto navi e circa
milleduecento peltasti, la maggior parte dei quali era costituita dagli stessi che aveva comandato
a Corinto. Gli Argivi infatti, dopo che riuscirono a incorporare Corinto nella loro città,
dichiararono di non avere più bisogno di loro - Ificrate, in verità, aveva messo a morte alcuni
esponenti filoargivi -; era perciò tornato ad Atene, dove si trovava in quel periodo.»
Quello appena esposto è forse il passo più utile per collocare con maggiore certezza la
data dell’unione: Senofonte infatti stabilisce un legame tra l’annessione di Corinto e
La conferenza ebbe luogo probabilmente dopo il tradimento di Pasimelo e Alcimene, quindi durante la
situazione di stallo che seguì la stagione di guerra del 392.
230 Tuplin 1982, p. 77, afferma che: “The desideratum «τὴν Κόρινθον ὡς Ἄργος ἔχειν» might still be in the future
and expected to be incapable of fulfillment if the peace is made. But equally, and I suspect more probably, it
could be that the holding of Corinth as 'Argos' is already going on and that the Argives' fear is that they will
not be allowed to continue to hold it.” Agli occhi dell’autore dunque gli Argivi non avevano paura che i loro
piani per annettere Corinto naufragassero, ma piuttosto temevano di non poter rendere ancora più sicuro il loro
controllo (che già avevano) sulla città. Quella di Tuplin in questo caso appare a tutti gli effetti una forzatura del
testo. Whitby 1984, p. 199, analizzando attentamente il passo nella sua organicità, e soffermandosi
particolarmente su «οὗ ἐπεθύμουν», che descrive le preoccupazioni argive come di diversa natura rispetto a
quelle ateniesi e tebane, facilmente smentisce questa tesi.
229
46
l’allontanamento di Ificrate, che sarebbe stata una delle conseguenze231. Siccome si concorda
sul fatto che lo stratego ateniese sia stato mandato nell’Ellesponto nel 390232, allora si può
essere abbastanza certi che l’unione di cui parla Senofonte sia da collocarsi in quell’anno, o
comunque poco prima. Rimane altamente improbabile infatti che Ificrate, dopo i grandi
successi ottenuti, sia rimasto inattivo ad Atene per lungo tempo. Si può affermare a questo
punto che la svolta nel rapporto tra Argo e Corinto in questo periodo sia un evento che ebbe
luogo nel 390, concomitante con l’allontanamento del capo mercenario.
Dopodichè va sottolineato anche un altro fatto: Ificrate, prima di essere allontanato,
aveva condannato a morte alcuni filoargivi. L’intraprendenza dello stratego fa pensare che
vi fosse una grave situazione di incertezza in città e che costui, magari a titolo personale,
abbia cercato di volgerla a proprio vantaggio, provando a rompere i punti di unione tra
Argivi e Corinzi. Ificrate poteva contare su un indubbio prestigio militare, avendo
compiuto grandi imprese, quindi forse aveva in città alcuni sostenitori scontenti
dell’avvicinamento ad Argo, che potevano vedere in lui o in Atene233 un punto di
riferimento. Come dimostrano i fatti però, questo tentativo non ebbe un esito positivo per
l’opposizione del demos ateniese, o forse corinzio234. Nel primo caso potrebbe essere stata
una scelta da parte di Atene che aveva lo scopo di mantenere buoni i rapporti all’interno
dell’alleanza, evitando di infastidire gli Argivi; nel secondo invece sarebbe ancora più
interessante, perché vorrebbe dire che i Corinzi, in tutte le loro componenti sociali, erano
soddisfatti dell’avvicinamento ad Argo.
Hell. V, 1, 34: «I Corinzi, d’altra parte, non volevano licenziare la guarnigione degli Argivi.
Ma Agesilao fece loro sapere – ai primi (i Corinzi) se non avessero licenziato gli Argivi, agli altri
(gli Argivi) se non se ne fossero andati da Corinto – che egli avrebbe portato la guerra contro di
loro. Dopo che, spaventatisi gli uni e gli altri, gli Argivi se ne andarono e lo stato di Corinto fu
ricostituito, gli autori della strage e i corresponsabili dell’impresa si allontanarono da Corinto di
propria iniziativa, mentre gli altri cittadini accoglievano235 di buon grado coloro che in
precedenza erano in esilio.»
Qui l’autore parla degli ultimi respiri dell’unione, ormai condannata dalla stipula della
pace di Antalcida del 386, che riconosceva l’autonomia delle poleis. Sebbene tutte le città
avessero firmato il trattato, costrette dall’ormai preponderante forza bellica degli Spartani,
appoggiati dalla Persia, comunque appare evidente che né gli Argivi né i Corinzi avessero
Tuplin 1982, p. 77 si inerpica anche in questo caso in una complicata ricostruzione del significato della frase,
sostenendo che il motivo dell’allontanamento dei peltasti non fosse la fine dello stato di necessità conseguente
all’unione, ma piuttosto il fatto che Ificrate avesse ucciso alcuni Corinzi argolizzanti. Il significato in questo
modo attribuito al passo è comunque frutto di una interpretazione forzata del greco e piuttosto innaturale.
232 Vd. Bettalli 2012, p. 170, n. 26, che situa gli avvenimenti dell’Ellesponto nel periodo 390/89. Bisogna prendere
in considerazione anche il fatto che molto probabilmente le fonti di Senofonte, che presenta la vicenda dal solo
punto di vista ateniese, non siano i Corinzi filospartani. Per questo motivo questo passo è tendenzialmente più
affidabile. Cfr. Whitby 1984, p. 300, n 17.
233 Quando l’unione venne sciolta alcuni di coloro che l’avevano attuata riparano infatti ad Atene. Cfr. Dem. In
Lept. [XX] 51-7. Forse vi erano a Corinto alcuni filoateniesi, coraggiosi come i filospartani di Argo, che dapprima
osteggiarono l’unione, ma poi probabilmente ne colsero i frutti e appoggiarono il governo. Quando andarono
in esilio si fecero forti delle antiche amicizie e vennero accolti in Atene.
234 Diod. XIV, 92, 2. Di questo passo si tratterò meglio dopo, nella parte su Diodoro.
235 Moggi 1976, p. 252 n. 1, propone di seguire la lezione ἑκόντες, perché più consona al tono della tradizione
accolta da Senofonte, che è chiaramente favorevole agli aristocratici mandati in esilio e ostile a coloro che
avevano attuato la fusione di Corinto in Argo.
231
47
alcuna intenzione di sciogliere la loro unione, provando a tergiversare. Senofonte non parla
però del partito di Timolao e Poliante, descrivendo coloro che si opponevano al ritiro della
guarnigione argiva, ma si riferisce piuttosto a «οἱ Κορίνθιοι», lasciando il sospetto che tutta
la città fosse comunque piuttosto soddisfatta dell’unione. Le minacce di Agesilao
rendevano infatti molto propizio il tentativo di scalzare dal potere Timolao e Poliante per
coloro che a Corinto si opponevano agli Argivi; eppure, come dice lo stesso autore: «gli
autori della strage e i corresponsabili dell’impresa si allontanarono da Corinto di propria
iniziativa». La mancanza di una forte opposizione in città è comunque giustificabile con la
presenza della guarnigione argiva; forse una minaccia sufficiente ad evitare questo tipo di
manovre. In ogni caso alla fine i Corinzi «accoglievano di buon grado coloro che in
precedenza erano in esilio», stando a significare che la popolazione era piuttosto avversa
all’esperimento politico dei filoargivi, e confermando in questo caso la coerenza del testo
senofonteo, che già dalle prime battute aveva descritto l’unione come sacrilega e gestita in
modo tirannico. Malgrado possa sembrare quindi che i Corinzi abbiano tirato un sospiro di
sollievo con l’allontanamento della guarnigione argiva, le cose non sono in verità così
semplici. Nell’Agesilao (2, 21) infatti, un contesto certamente meno tendenzioso in cui viene
trattata l’isopoliteia in modo marginale, e in cui soprattutto le informazioni non giungono
dal partito di Pasimelo, Senofonte afferma esplicitamente: «(Agesilao) costrinse le città di
Corinto e di Tebe a riaccogliere in patria quelli che erano stati mandati in esilio». Non vi è
alcun accenno al giubilo della folla al rientro degli esuli e questo perché, probabilmente,
esso stava più nelle parole di Pasimelo che nei sentimenti dei Corinzi.
Andocide
Per prima cosa bisogna dire che questo discorso fu recitato di fronte all’assemblea
ateniese probabilmente nel 392/1236, dopo la presa spartana del Lecheo e prima
dell’invasione dell’Argolide del 391. Andocide si era recato a Sparta come ambasciatore, su
mandato del demos, con l’incarico di valutare le condizioni di una possibile pace. Dopo un
periodo di trattativa egli tornò in patria recando con sé le condizioni dei Lacedemoni, che
espose appunto in questa orazione, ovviamente con lo scopo di ottenere l’approvazione e
la ratifica degli Ateniesi. A differenza delle altre fonti prese in esame, Andocide aveva un
chiaro interesse: far approvare la pace, e per raggiungerlo non si fece alcuno scrupolo nel
mistificare la realtà, nell’omettere alcune informazioni, o nel magnificare le proposte
spartane237. Per questo motivo le sue parole devono essere trattate in generale con estrema
cautela. Per fortuna però, l’ambasciatore riferì comunque ad un’assemblea informata sui
fatti contingenti, quindi non poteva permettersi, pena la sua credibilità e la riuscita del suo
piano, di stravolgere completamente gli avvenimenti, perché per questa via l’uditorio non
l’avrebbe seguito. È senza dubbio vero che Andocide mentiva con una scioltezza rara, ma
è altrettanto vero che non gli sarebbe venuto alcun vantaggio dall’alterare ciò che in quel
Seguendo il contesto di Philoch. FGrHist 328, F 149.
Senza contare errori storici grossolani contenuti nell’orazione: la pace del 446 diventa di 50 anziché di 30
anni; la costruzione del Pireo e delle Lunghe mura, rispettivamente al tempo di Temistocle e di Pericle, viene
da Andocide collocata dopo il 446, al punto che l’orazione fa un’impressione del tutto negativa dal punto di
vista dell’accuratezza storica.
236
237
48
periodo stava avvenendo ad Argo e a Corinto, per questo non trattarlo come fonte sarebbe
certamente una scelta a dir poco opinabile.
De Pace, 26-27: «Alcuni pensano che sia possibile238, ma a patto di controllare Corinto e
mantenere l’alleanza argiva. Ma in caso di un attacco spartano contro Argo, correremo o no in
suo aiuto? Una risposta è necessaria. Se non portiamo aiuto non c’è dubbio che noi siamo in torto
e gli Argivi hanno tutti i diritti di comportarsi come vogliono. In caso invece di nostro intervento
ad Argo, non è forse inevitabile la guerra contro Sparta? Ma per ottenere che cosa? Per perdere,
in caso di sconfitta, oltre a Corinto, anche il nostro territorio239, o, in caso di vittoria, per cedere
Corinto agli Argivi. Non è per questo che combatteremo? 27. Analizziamo ora anche le parole
degli Argivi. Ci invitano ad unirci a loro e ai Corinzi nella guerra, ma per un accordo privato essi
escludono il combattimento nel loro territorio. E se poi stipuliamo la pace con tutti gli alleati non
vogliono che noi diamo fiducia agli Spartani, ma per contro sostengono che gli Spartani non
hanno mai violato, in nessuna occasione, gli accordi che hanno stretto in privato con loro. E
definiscono prerogativa loro personale la pace di cui fruiscono, ma non permettono che diventi
tale per gli altri Greci. Infatti, se la guerra si protrae a lungo essi confidano di prendere Corinto,
e sperano di battere coloro che li hanno sempre dominati e di liquidare anche chi è stato insieme
a loro artefice della vittoria.»
In questo passo Andocide argomenta a sfavore di un proseguimento della guerra,
dicendo chiaramente che non sarebbe affatto benefico per gli interessi ateniesi, ma
esclusivamente per le aspettative particolari di Argo. Qui vi è la prima omissione: infatti
l’oratore neanche accenna al fatto che le clausole della pace proposte dagli Spartani
prevedano l’imposizione dell’autonomia a tutte le poleis greche, e che quindi
guadagnerebbero l’indipendenza anche le storiche cleruchie di Lemno, Imbro e Sciro240. In
più tutto il discorso si basa sul fatto che si dia per scontata la stipula di una pace separata
tra Beoti e Spartani, che in realtà in quel momento è soltanto allo stadio della trattativa.
Dopodiché c’è una affermazione curiosa: «se gli Ateniesi non portano aiuto noi siamo in
torto e gli Argivi hanno tutti i diritti di comportarsi come vogliono». Qui Andocide lascia
aleggiare tra l’uditorio il sospetto che gli alleati potrebbero portare avanti azioni a
detrimento di Atene241, una affermazione che lascia piuttosto perplessi dal momento che
non vi è memoria di alcuna azione ostile di Argo contro Atene. Forse in questo caso si
potrebbe prendere in considerazione la politica corinzia, che aveva una storica rivalità con
Atene; se si volesse considerare infatti che i Corinzi esercitassero una loro influenza
all’interno dell’unione, allora non sarebbe difficile pensare che se gli Ateniesi avessero
Andocide comincia riferendo le posizioni dei fautori della guerra, dicendo che costoro pensano sia possibile
proseguire le ostilità, anche nel caso in cui i Beoti stipulino una pace separata, solo nel caso in cui si mantenga
il controllo di Corinto e rimanga in vigore l’alleanza con Argo. Dopodichè prosegue cercando di dimostrare che
Atene non abbia alcun interesse nel perseguire questa linea.
239 Qui l’autore si riferisce alla paura degli Ateniesi per una nuova invasione dell’Attica: un incubo ancora ben
presente nella loro memoria. Ve n’è riferimento anche in Xen. Hell. IV, 4, 18. Ovviamente la caduta di Corinto
avrebbe aperto la strada all’esercito peloponnesiaco.
240 Bisogna tenere presente che l’orazione di Andocide, malgrado omissioni e raggiri, non riuscì a persuadere il
popolo ateniese, che rifiutò le proposte di pace elaborate a Sparta. L’ambasciatore scientemente evitò di citare
l’abbandono delle città della Ionia in mano ad Artaserse II, ciononostante il demos vide in questo tradimento
uno degli argomenti più incalzanti per declinare l’offerta.
241 Come rileva giustamente Tuplin 1980, p. 79, l’assemblea non era affatto favorevole all’esperimento argivocorinzio: probabilmente era preoccupata dal profilarsi di una importante “terza forza” nella zona dell’istmo.
D’altra parte, per avvalorare la portata politica della sua ambasceria, l’oratore dovette necessariamente inserire
nel suo discorso argomenti che fossero in grado di convincere il suo pubblico, per questo si può credere che vi
fosse timore e ostilità in Atene nei confronti dell’unione.
238
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tradito, i Corinzi avrebbero avuto buon gioco a spingere Argo su posizioni ostili.
Ciononostante, questa rimane solo un’ipotesi, molto più probabilmente qui l’oratore vuole
semplicemente inserire dubbio e sospetto, fomentando le paure dei concittadini.
Dopo queste parole Andocide parla di ciò che potrebbe succedere nel caso in cui gli
Ateniesi optassero per proseguire la guerra e dice che: «νικήσαντες δὲ τὴν Κορινθίων Ἀργείων
ποιήσωμεν»; in caso di sconfitta invece «μὲν καὶ τὴν οἰκείαν χώραν ἀπολέσωμεν πρὸς τῇ
Κορινθίων». Alla luce di queste parole sembra impossibile dire che l’unione fosse già attuata
nel 392, proprio per questo futuro «ποιήσωμεν». A fronte di quanto detto sopra
sull’attendibilità di questa orazione, è necessario fare qui alcune osservazioni. Andocide
presenta l’unione come non ancora avvenuta, o comunque non concretizzata nella sua
interezza, malgrado fosse già in atto una qualche forma di isopoliteia. Che l’oratore abbia
omesso di citare un evento di questa portata, data la gravità intrinseca di «ἀφανιζομένην τὴν
πόλιν242», per citare Senofonte243, e dato che Andocide stava in quell’occasione cercando di
far sciogliere l’alleanza con gli Argivi in favore di Sparta, sarebbe del tutto incredibile.
L’ateniese certo non si sarebbe lasciato sfuggire l’occasione di tacciare di empietà gli Argivi,
dal momento che sarebbe stata certamente un’ottima freccia al suo arco. Dato che non citare
questo fatto è più a detrimento della solidità del suo discorso che a favore, si può con una
certa sicurezza dire che l’informazione sia attendibile, e che quindi nel 391 non vi fosse
ancora stata alcuna annessione.
Nel paragrafo 27 vengono analizzate nel dettaglio le proposte argive, che ovviamente
suggerivano caldamente di tener fede ai trattati e proseguire la guerra, ma viene anche
citato un trattato che gli Argivi avrebbero stipulato privatamente con gli Spartani per
salvaguardare l’Argolide dalle devastazioni della guerra, ma su questa circostanza i
moderni sembrano piuttosto divisi244. In ultima battuta nuovamente Andocide fa balenare
un’ennesima fittizia sciagura che avrebbe potuto colpire gli Ateniesi: se agli Argivi fosse
concesso di prendere Corinto essi diventerebbero molto forti, e una volta liquidati gli
Spartani, volgerebbero le loro mire anche nei confronti di Atene stessa. Subito dopo si fa
nuovamente riferimento all’unione, presentata però anche in questo caso come qualcosa di
non ancora effettivo, che avrebbe potuto avere un seguito soltanto nel caso in cui si fosse
proseguita la guerra.
De Pace, 32: «Ora dunque non ci resta altro che preferire anche ora la guerra alla pace,
l’alleanza con Argo a quella con i Beoti e chi ora domina sulla città di Corinto agli Spartani? No,
o Ateniesi, nessuno vi convinca a questo: gli esempi degli sbagli passati servono a preservare
dagli errori gli uomini saggi.»
242 Il verbo «ἀφανίζω», “faccio scomparire/distruggo”, nella voce media («ἀφανίζομαι») sta per “scompaio”. La
scelta di questo verbo rende bene il senso di annientamento che voleva portare Senofonte nella mente del lettore,
prefigurando non una distruzione fisica, terribile ma ricorrente nel mondo greco, ma una inaccettabile
distruzione dell’identità cittadina stessa: qualcosa di indubbio impatto psicologico sui contemporanei. Per un
approfondimento vd. Bearzot 2004, pp. 34-36.
243 Xen. Hell. IV, 4, 6.
244 Gli Argivi, per evitare un’invasione ed il conseguente saccheggio delle loro terre, modificarono più volte il
loro calendario in modo tale da far coincidere le celebrazioni religiose con la stagione di guerra. Così facendo,
quando l’esercito spartano era in procinto di entrare in Argolide, gli Argivi avevano la possibilità di invocare
una tregua sacra per impedire l’intervento armato. Molto probabilmente è a questo che fa riferimento Andocide;
d’altro canto non vi è alcuna attestazione di un trattato privato stipulato tra Argivi e Spartani.
50
In questo passo per prima cosa appare fondamentale notare che ancora una volta Corinto
è identificata come un’entità politica a sé stante, che mantiene un proprio governo,
d’altronde sembra davvero improbabile e forzato pensare che Andocide, con «chi ora
domina sulla città di Corinto245», si riferisca nuovamente agli Argivi. Allo stesso modo si
rimane colpiti dalla scelta di parole dell’oratore, «Κορινθίων δὲ τοὺς νῦν ἔχοντας τὴν πόλιν»,
che offre la sponda ad alcune riflessioni. Da un lato Andocide non parla di Corinto nella
sua totalità, come fa negli altri casi, ma piuttosto di coloro che hanno il potere, lasciando
pensare che quindi, malgrado tutto, la polis viva ancora forti divisioni al suo interno e un
perdurante stato di caos. Da un altro punto di vista queste parole sono la spia di un governo,
quello di Timolao e Poliante, presumibilmente ancora poco stabile.
De Pace, 41: «E se non ve ne piace nessuna è inevitabile la guerra; tutto questo dipende da voi,
o Ateniesi. Scegliete quello che desiderate. Ci sono Argivi e Corinzi ad indicare i vantaggi della
guerra, sono qui gli Spartani a convincervi alla pace; la decisione dipende da voi, non dagli
Spartani, grazie a noi. Noi ambasciatori facciamo voi tutti ambasciatori: chi di voi sta per alzare
la mano per parlare è l’ambasciatore della pace o della guerra, quel che preferisce. Ricordatevi
dunque, o Ateniesi, delle nostre parole e la vostra decisione sia tale che non ve ne dobbiate mai
pentire.»
Una volta chiarito nei passi precedenti che a Corinto vi sia un governo autosufficiente,
ora l’ambasciatore dichiara espressamente che questo partito mantiene una propria politica
estera, come avevamo già visto con Senofonte. Senza dubbio però, in tutta l’orazione, il
governo filoargivo non dimostra una particolare personalità in questo periodo, essendo
sempre citato in simbiosi d’intenti con Argo. Questa circostanza in ogni caso non è
particolarmente rivelatrice, perché una volta stabilito che vi sia stato un atto di isopoliteia, o
qualcosa di molto simile, intorno al 392, è del tutto verisimile che le azioni di politica estera
dei due stati venissero preventivamente concertate tra i rispettivi governanti. Ovviamente
il secondo caso vede Corinto seguire una più forte e influente Argo nella collocazione
internazionale, però anche così non si potrebbe escludere l’ipotesi di un’unione volontaria
(ma in questo caso non paritaria).
Diodoro
XIV, 92, 1-2: «Dopo questi fatti246 gli Argivi fecero una massiccia spedizione armata contro
Corinto occupando l’acropoli, si impadronirono della città e annessero ad Argo il territorio di
Corinto. 2. Anche l’ateniese Ificrate aveva intenzione di prendere la città, utile ai fini
La questione filologica in questo caso è piuttosto avviluppata, ma Whitby 1984, pp. 303-305, prova
convincentemente a dipanarla. Contra Tuplin 1980, p. 80, n. 18.
246 Diodoro qui si riferisce agli eventi successivi alla stagione di guerra del 390. Diod. XIV, 91, 2-3; Xen. Hell. IV,
5, 11 sgg. In XIV, 91, 2 in particolare Diodoro racconta un evento tralasciato da Senofonte, che riporta delle voci
in Hell. IV, 5, 3. A quanto pare gli esuli corinzi, attestati al Lecheo dopo la conquista spartana, nottetempo
cercarono di introdursi in città, ma la pronta reazione di Ificrate portò alla morte di trecento dei loro, che
vennero ricacciati al Lecheo. Comprensibilmente Senofonte si dimentica della sconfitta subita dai suoi amici
filospartani, ma il fatto che sia presente in Diodoro ci dice che i due seguono fonti diverse. Per Diodoro la fonte
probabilmente è Eforo.
245
51
dell’egemonia sulla Grecia; ma, in seguito al divieto da parte del popolo247, si dimise dalla carica
e gli Ateniesi mandarono in sua vece a Corinto lo stratego Cabria.»
Anche Diodoro, come già in qualche modo Senofonte, colloca la presa di Corinto in
relazione all’impresa di Ificrate, resosi responsabile dell’assassinio di alcuni filoargivi. Il
fatto che i due abbiano con tutta probabilità fonti diverse riesce a dirimere finalmente la
questione della cronologia e pone un’eventuale annessione in concomitanza con
l’intervento del capo mercenario, quindi inequivocabilmente nel 390. Eforo, attraverso
Diodoro, ci mette a parte anche del fatto che gli Argivi siano giunti in forze a Corinto e
abbiano militarizzato la città. L’avvenimento è molto importante per dare un senso
all’affermazione di Senofonte a proposito del 386, che descrive l’Acrocorinto come occupato
da una guarnigione argiva, ma senza descrivere il pregresso. A quanto pare di capire
quindi, intorno al 390 Ificrate provò, per motivi non chiari, ad interrompere l’attuazione
dell’avvicinamento tra le due città, ma venne intralciato dall’opposizione del popolo
ateniese che non riconobbe la sua condotta248. A questo punto Ificrate venne richiamato in
patria e Cabria prese il suo posto nella Corintide. Gli Argivi poi marciarono in forze sulla
città e stabilirono una guarnigione permanente sull’Acrocorinto, che venne smobilitata,
dopo alcune resistenze, solo dopo la pace di Antalcida. Il racconto offre anche
un’interpretazione del retropensiero degli Argivi, i quali avrebbero occupato la città per
annetterla al loro territorio, ma questa lettura degli avvenimenti potrebbe essere influenzata
dalla propaganda spartana. Non sarebbe affatto strano che i Corinzi stessi avessero
richiesto l’aiuto militare di Argo, in quanto, con un potere traballante e venendo attaccati
ormai apertamente anche dagli alleati, si ritrovavano ad avere la necessità di un aiuto
esterno; Argo, per parte sua, non aveva nulla da perdere e tutto da guadagnare.
b. In fine, un dialogo tra le fonti
Si è dunque capito che intorno al 392 vi sia stato tra le due città un trattato di isopoliteia,
o comunque un tipo di accordo che molto vi si avvicinava. Sembra chiaro che sostanza
dell’intesa riguardasse una forma di condivisione, non è chiaro quanto allargata, della
politeia delle due città249. Seguendo le fonti emerge anche chiaramente che le decisioni prese
dalle due città furono sempre armoniche, lasciando intendere che vi fosse una qualche
forma di concertazione all’origine250. Questo ci porta inevitabilmente a pensare che intorno
al 392 vi sia stata l’’istituzione di un organismo comune in cui le varie proposte venivano
247 Tuplin 1980, p. 82, n. 29, avanza l’ipotesi che il demos in questione non sia quello ateniese, ma argivo-corinzio.
L’idea è davvero interessante, perché significherebbe che il popolo corinzio, per salvaguardare l’unione e evitare
la discordia civile, si sia impegnato per rimuovere il principale ostacolo che c’era in città, Ificrate. In ogni caso
sembra molto difficile che questa visione possa essere accettata, in quanto essendo la politeia corinzia oligarchica,
per essere generosi il popolo poteva avere al massimo un ruolo consultivo, ma non certo un potere decisionale
tale da poter rimandare in patria uno stratego ateniese. In definitiva, nonostante il fascino, questa via deve
essere accantonata.
248 Appare evidente quindi che l’azione dello stratego non fosse stata preventivamente concordata con
l’assemblea: fu a tutti gli effetti una decisione personale.
249 Questa è per esempio la posizione di Griffith 1950, p. 247; il quale individua il pilastro di questo
ragionamento, molto acutamente, nella presidenza argiva dei giochi istmici. L’autore pensa però che sia stata
attuata su basi paritarie e democratiche. Anche Di Gioia 1974, pp. 36-45, parla di “unione libera e paritaria”.
250 Vari autori, tra cui Griffith 1950, p. 250, ipotizzano che vi fosse un organismo in cui venivano formulate
strategie comuni per le due città.
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discusse al fine di trovare una sintesi. Un luogo di questo tipo si avvicinava molto a quello
che era sotto gli occhi dei contemporanei, cioè il sinedrio degli alleati, preposto a concordare
le decisioni riguardanti la perdurante guerra di Corinto. A questo punto si deve cercare di
dirimere la questione più propriamente riguardante la natura dell’unione.
Si potrebbe pensare, seguendo buona parte dei moderni, che la nuova “costituzione”
abbia portato le due città a condividere un medesimo governo democratico, che vedeva in
Argo il faro e la guida251. Questa proposta ha un suo fascino e una sua validità, eppure
sembra molto difficile conciliarla con lo svolgimento degli avvenimenti. Un governo
democratico non era mai stato sperimentato in città, quindi la sua repentina istituzione “a
tavolino” avrebbe prodotto forti frizioni interne, piano certo non ottimale per stabilizzare
la città. In più non si comprende appieno per quale motivo Timolao e Poliante, due
oligarchi, avrebbero dovuto cedere al popolo poteri che erano in quel momento
esclusivamente di loro pertinenza252. Nonostante questo, si potrebbe superare l’ostacolo
affermando che l’influenza di Argo fosse così forte da rendere questa scelta obbligata. A
questo punto bisogna quindi indagare i motivi per cui gli Argivi avrebbero dovuto fare forti
pressioni o addirittura imporre una direzione di questo tipo all’oligarchia corinzia. Si
potrebbe dire che la condivisione della cittadinanza avrebbe dato all’esperimento di unione,
già istituzionalizzato con il sinedrio, una visione di lungo periodo, svincolando la questione
dall’ambito contingente e bellico per porla sul più alto piano delle scelte di carattere
storico253. Analizzando più da vicino la posizione degli Argivi l’armonia di questa
ricostruzione comincia però a stridere. Tenendo presente la storia di Argo non si può,
quando viene preso in considerazione l’ingresso nella politeia argiva di un gran numero di
stranieri, non ritornare con la memoria al V secolo e al disastro di Sepeia. Considerando che
quel periodo e quella battaglia rimasero incastonate nel patrimonio culturale argivo, e che
le seguenti staseis civili derivarono dalle ferite provocate da quella sconfitta e dall’adozione
dei δοῦλοι/περίοικοι, sembra difficile pensare che un atto della medesima caratura sia stato
sperimentato in questo periodo. D’altro canto, la parte democratica e quella oligarchica, che
videro la luce dopo la battaglia e ancora ben vivaci nei primi anni del IV secolo, sarebbero
state entrambe indebolite da questa forma di isopoliteia: se fossero stati introdotti nella
cittadinanza argiva tutti i Corinzi, quindi sia il popolo sia gli oligarchi, allora il potere di
entrambe sarebbe stato senza dubbio diluito254. Ovviamente questo stato di cose avrebbe
prodotto una comunione di intenti tra le due forze che a sua volta avrebbe reso inattuabile
l’isopoliteia in questa forma. Non si capisce quindi per quale motivo una città molto più forte
e stabile in quel momento avrebbe dovuto optare per una scelta così controproducente.
251 Per l’isopoliteia si sono dichiarati la maggior parte degli studiosi. Tra i quali in modo più approfondito: Griffith
1950, pp. 236-256; Hamilton 1972, pp. 21-37; Di Gioia 1974, pp. 36-45; Whitby 1984 pp. 295-308; Bearzot 202, pp.
229-259; Bearzot 2004, pp. 31-36; Bettalli 2012, pp. 160-179. La maggior parte degli studiosi ritiene che questo
esperimento avesse una base ideologica democratica, in particolar modo addirittura Bearzot pensa che tutti i
fenomeni di isopoliteia siano nella sostanza democratici.
252 La costituzione oligarchica corinzia vedeva riconosciuto il potere esclusivamente agli aristocratici o
comunque ai personaggi più influenti. In generale vd. supra cap. II c.
253 Cfr. Whitby 1984 pp. 295-308 sostiene con vigore questa condivisibile tesi.
254 Bisogna dire che comunque le decisioni sarebbero state prese ad Argo, cosa che avrebbe reso piuttosto
difficile una grande affluenza di Corinzi in assemblea. Eppure, non bisogna dimenticare che Corinto era già
diventata il fulcro della guerra e subiva costanti e ingenti devastazioni, quindi l’afflusso di un numero magari
anche ampio di Corinzi ad Argo, forse non sarebbe stato da escludersi così facilmente.
53
Per quanto riguarda i Corinzi invece abbiamo visto che si opposero al ritiro della
guarnigione e che riaccolsero gli esuli solo quando costretti dalle minacce di Agesilao; per
questi motivi non è difficile ritenere che l’unione fosse vista con favore, dunque affermare
che sia stata imposta dagli Argivi pare una posizione piuttosto debole. Sempre partendo
dal fatto che l’unione fu osteggiata all’esterno, ma favorita e apprezzata all’interno, se si
pensa che la nuova politeia comune fu democratica, si incorrerebbe in ulteriori problemi. In
questo caso non sarebbe affatto facile capire per quale motivo il demos, che aveva così
gradito la democrazia quando ebbe nelle sue mani il potere, dopo il 386 lo rimise nelle mani
degli aristocratici senza mai più tentare di riconquistarlo: Corinto infatti rimase infatti
sempre oligarchica255.
Una posizione che potrebbe essere considerata vede come beneficiari dell’isopoliteia non
tanto i cittadini delle due città nella loro interezza, quanto piuttosto coloro che detenevano
il potere. Gli oligarchici argivi, unitamente ai loro omologhi corinzi, dal momento che
tenevano nelle loro mani il potere decisionale nelle rispettive poleis, furono a tutti gli effetti
i fautori dell’unione, dunque non è da escludere che fossero costoro a trarne i maggiori
benefici. Un’unione di questo genere potrebbe far pensare ad un trattato su base libera e
paritaria, eppure considerazioni di tale natura non terrebbero in considerazione il contesto
generale della vicenda. Se infatti a prima vista potrebbe sembrare che i Corinzi al governo
abbiano liberamente scelto di unirsi ad Argo, nella realtà dei fatti, con un governo in forte
difficoltà e instabile a causa dell’andamento della guerra, un appoggio esterno nel 392 ebbe
una sicura sfumatura di necessità. D’altra parte, anche la definizione di un’unione paritaria
potrebbe trarre in inganno, poiché tra le due, sicuramente la città più forte e stabile fu Argo,
che manteneva quindi un peso politico maggiore.
Come detto però, entrambi i contraenti ebbero il loro tornaconto da questa unione. In
primo luogo, questa manovra portò sostanzialmente ad istituzionalizzare l'unione, che
quindi diede un peso politico maggiore alle due città, entrambe più forti sul piano
internazionale se unite. Poi di certo rispose alle aspettative argive di un ampliamento della
loro zona d'influenza, ricercata a più riprese durante il V secolo. Inoltre, gli oligarchi argivi
che ne furono i promotori ebbero sicuramente un ampio profitto politico potendo spendere
a loro vantaggio il grande successo diplomatico ottenuto256, che collocava Argo in una
posizione di maggior forza sul piano internazionale greco. Dal punto di vista argivo poi un
ulteriore beneficio era portato dall'istituzionalizzazione del rapporto dei governanti di
Corinto con Argo, che, essendosi già dimostrati in grado di cambiare schieramento (vd.
Timolao e Poliante), probabilmente non erano considerati interlocutori particolarmente
affidabili, e per questo da controllare più strettamente. In questo quadro le decisioni che
venivano prese certo seguivano più le aspettative di Argo che quelle di Timolao e Poliante,
in quanto per i secondi la tutela argiva era necessaria e irrinunciabile.
In secondo luogo, l’adozione della cittadinanza argiva doveva anche essere il requisito
fondamentale per l'esercizio del potere a Corinto, che portava più di un vantaggio ai
filoargivi stessi. Coloro che erano ostili alla politica di Timolao e Poliante, ma avevano
A questo proposito vd. Tomlinson 1972 pp. 138-139.
Bisogna sempre tenere presente che nonostante gli oligarchi abbiano gestito in numerose occasioni, come
quella presa ora in esame, la politica della loro città, comunque in patria dovevano sempre fare i conti con
l’assemblea del popolo.
255
256
54
accettato di tornare in città dopo la strage delle Euclee, potevano sempre rappresentare una
minaccia, avendo comunque i diritti per accedere a posizioni di potere. In questo senso la
mossa dei filoargivi mirava ad escludere e depotenziare i loro oppositori, che avrebbero
dovuto necessariamente ottenere la cittadinanza per esercitare il potere, cosa che di per sé
avrebbe notevolmente depotenziato la forza propagandistica della loro politica
indipendentista257.
Per quanto riguarda il punto di vista di Timolao e Poliante invece, lo stato di cose
permetteva non solo di stabilizzare il loro potere indebolendo le opposizioni tramite
l'esclusione dal circolo di potere, ma in più consentiva di intravedere la possibilità, in
un'ottica futura, di influenzare la politica interna argiva, dal momento che detenevano tutti
i diritti politici degli stessi Argivi.
Una volta chiarita la probabile natura dell’unione si deve parlare del tentativo di Ificrate
del 390. La nascita di un nuovo stato di questa grandezza in una posizione strategica e con
grande potenziale bellico, portò anche gli alleati, e particolarmente Atene, a vedere sotto
una cattiva luce l’esperimento, quindi Ificrate, probabilmente con azioni di carattere
individuale, ma di certo non in disaccordo con la madrepatria, tentò di sabotarla. L’azione
venne però condotta in modo piuttosto grossolano attraverso l’assassinio di alcuni
filoargivi e subito scoperta, quindi ad Atene rimaneva un dilemma: riconoscere le azioni di
Ificrate e rilanciarle, oppure disconoscerle e richiamarlo in patria. Ificrate venne destituito
e rimpiazzato con Cabria258. A questo punto Argo inviò l’esercito al completo a Corinto e vi
stabilì una guarnigione. Questo fatto è stato interpretato da alcuni come un’annessione259,
anche perché le fonti ne parlano in questi termini. Eppure, si è già visto che quella stessa
guarnigione cui si sta facendo riferimento, che avrebbe dovuto schiacciare sotto il suo
stivale Corinto, in realtà venne rimandata a casa solo quando i Corinzi furono costretti; in
più si è già avuto modo di dire che nel 386, all’epoca dello scioglimento, l’unione fosse
apprezzata da entrambe le poleis interessate. Certo questi fatti non sembrano affatto
descrivere lo scenario di una dura occupazione militare sul modello della Cadmea tebana.
Sembra più logico affermare che la collocazione di una guarnigione venne anche in questo
Qualora gli oppositori non avessero accettato lo stato delle cose e l’adozione della cittadinanza argiva,
rimaneva loro solo una via per non consegnarsi all’irrilevanza: il colpo di stato. Questa strada però era stata già
percorsa e si era rivelata impraticabile per questo partito, ormai decimato dalla stasis e fortemente indebolito.
Per Timolao e Poliante quindi, una volta accantonata l’ipotesi di essere estromessi dal potere violentemente,
rimaneva solo un pericolo da scongiurare, cioè il sabotaggio dall’interno. Ovviamente infatti sarebbe stato
possibile per gli oppositori assumere la cittadinanza argiva e poi operare dall’interno per indebolire l’unione,
ma in quel caso oltre ai filoargivi costoro sarebbero stati guardati dappresso anche dagli Argivi che avevano
assunto la cittadinanza corinzia. Questa mossa si rivelò efficace per Timolao e Poliante quando Pasimelo e
Alcimene, dopo essere rientrati in città accettando l’amnistia, tradirono e fecero entrare lo spartano Prassita
dalle lunghe mura. Il tentativo di Pasimelo enAlcimene fu infatti immediatamente rintuzzato dagli Argivi, che
schierarono l’esercito e impedirono la capitolazione della città.
258 Alcuni autori si sono domandati per quale motivo non sia stata presa in considerazione Atene per l’isopoliteia.
La risposta più plausibile è che i sostenitori di Ificrate in questo momento abbiano parteggiato per il mercenario
solo perché era l’unica alternativa ad Argo. In effetti pensare che vi fosse un forte partito filoateniese in Corinto
sembra piuttosto azzardato, data la storica rivalità tra le due poleis. Inoltre, non va dimenticato che Atene era
caratterizzata da una democrazia più “radicale” di quella argiva, molto spesso eterodiretta dal partito
oligarchico. Sembra quindi più probabile che dovendo scegliere, anche qualora non vi fossero rapporti
preesistenti, gli oligarchici corinzi avrebbero comunque optato per Argo. Così Griffith 1950, p. 255, n. 56, e
Tomlinson 1972, pp. 138-139.
259 Tra gli altri coloro che sostengono più accanitamente questa tesi sono Moggi 1976 pp. 246-255 e Tuplin 1982,
pp. 74-83.
257
55
caso concordata e che servì sia agli Argivi che ai filoargivi per non perdere il controllo della
città.
In conclusione, l’isopoliteia ebbe la natura di uno scambio di cittadinanza tra gli
oligarchici corinzi e argivi, da cui entrambi ebbero da guadagnare. Non erano in gioco
ideologie politiche democratiche o la visione utopica di un favoloso mondo di concordia,
ma un semplice calcolo di convenienza politica e brama di potere. In ogni caso, nonostante
queste fossero state le basi di partenza dell’esperimento, i governanti delle città unite,
raccolti nel sinedrio comune, attuarono una saggia politica di amministrazione delle due
poleis e ottennero, quasi senza volerlo, il consenso di tutti i cittadini. Questa concordia venne
impressa nell’unica fonte favorevole all’unione, le monete coniate in quel periodo che
raffiguravano specularmente le due poleis: da un lato il pegaso corinzio in volo, e dall’altro
i delfini argivi, i due simboli dell’unione260.
c. La pace di Antalcida e la fine dell’isopoliteia: Il fallimento delle trattative del 392
Il richiamo di Agesilao e il ritiro dei Lacedemoni dal teatro bellico asiatico fu un evento
che influì grandemente sul corso degli avvenimenti, dal momento che Sparta rivide
apertamente le proprie priorità e pose come massima urgenza la protezione della sua
posizione egemonica in Grecia261.
Nonostante questo, rimaneva ancora in possesso dell’Egeo con la sua flotta; inoltre
manteneva il controllo di Efeso, la base delle operazioni militari di terra. Per questi motivi
quindi, una volta terminata la guerra in Grecia e ridotti al silenzio i ribelli, avrebbe
comunque potuto, se si fosse mantenuto questo stato di cose, tornare in Asia e terminare la
campagna militare, come in effetti aveva promesso Agesilao prima di partire. Eppure, il
controllo dell’Egeo venne ben presto ceduto agli Ateniesi, che con lo stratego Conone262,
finanziato da Farnabazo, inflissero una decisiva sconfitta ai Lacedemoni nelle acque di
Cnido nel 394263. Poco dopo anche Efeso defezionò passando sotto la tutela di Conone. A
questo punto la guerra contro la Persia era definitivamente perduta, ma per il vittorioso
Gran Re e per i suoi satrapi si profilava all’orizzonte una nuova minaccia: la possibile
rinascita di un nuovo impero ateniese.
Tutto ciò ritagliò lo spazio per un alleggerimento della tensione tra Persiani e Spartani.
Il prezzo per la riconciliazione fu chiaramente l’abbandono di ogni possibile velleità circa
le città greche d’Asia, ora in balia del Gran Re, ma considerato che la forza spartana
nell’Egeo era stata annientata dall’ateniese Conone, comunque ormai le poleis della Ionia
non potevano più essere aiutate, anche volendo. Tra il 393 e il 392 pertanto vi fu un
Unicamente Di Gioia 1974, p. 43-45, suffraga le sue teorie con lo studio dei reperti numismatici.
Per gli eventi di questo periodo vd. tra gli altri Buckler 2003, pp. 75-184.
262 Conone fu molto attivo nel mondo politico e militare ateniese di quegli anni, viene citato per la prima volta
da Senofonte in Hell. I,4,10. Fu uno di quei capi militari greci che, alla testa di truppe mercenarie, servirono
anche sotto le insegne di potenze straniere. (figure storiche che ebbero grande diffusione nel mondo greco di IV
secolo e che diedero impulso allo sviluppo del mercenariato – si pensi alla figura di Ificrate ateniese durante la
campagna di Corinto del 392, cfr. Xenoph. Hell. IV,4,9 e Diod. XIV,86; e alle azioni pur poco note compiute
sempre in quel contesto da Cabria, cfr. Xenoph. Hell. IV,8,34 e Diod. XIV,92,2; vd. Bianco 2000, pp. 47-49), nel
suo caso della Persia. Per il suo ruolo in quel periodo, cfr. Xenoph. Hell. IV,3,10-13; 8,1-16 e vd. Asmonti 2015,
pp. 116-154.
263 Xen. Hell. IV, 3, 11-14.
260
261
56
ribaltamento della politica estera spartana verso la Persia, seguito a stretto giro da un
cambiamento di prospettiva da parte della Persia stessa. A Sparta la politica filopersiana
trovava in Antalcida264 il suo infaticabile araldo, il quale per 25 anni mise in pratica una
politica di intesa strettissima per poi, quando conobbe il fallimento e il naufragio, suicidarsi.
Nel 393 Antalcida denuncia al governatore di Sardi265, Tiribazo, il fatto che gli Ateniesi,
con il denaro ricevuto da Farnabazo, stiano ricostruendo le lunghe mura e allestendo una
nuova flotta266. Senofonte in questa occasione si dimostra piuttosto obiettivo e non fa
mistero degli elementi che potrebbero portare a tacciare Sparta di grettezza in quanto, per
la sua rivalità con Atene, non esitava a rinunciare ad una politica, quella antipersiana di
tutela del mondo greco, cui aveva dedicato impegno, vite umane e risorse. Antalcida,
durante le trattative di Sardi, dopo aver esposto le proprie recriminazioni, propose di
abbandonare ogni velleità di tutela dell’autonomia e dell’indipendenza delle città greche
d’Asia, chiedendo in cambio soltanto la pace.
Nel 392 Antalcida e Tiribazo trovarono un accordo per stipulare la pace, che si reggeva
sulla questione dell’autonomia delle poleis e sul riconoscimento dell’autorità del Gran Re in
Asia. Ovviamente il principio dell’autonomia avrebbe favorito Sparta castrando senza
dubbio le ambizioni egemoniche delle sue rivali, che non sarebbero più state favorite dalla
Persia nella loro corsa verso il potere. Dal punto di vista di Sparta questa trattativa poteva
inoltre portare ad un totale disimpegno al di là dell’Egeo e a sperare che il Gren Re, una
volta stabilita la pace, avrebbe cessato di finanziare i nemici. Dall’altro lato la Persia avrebbe
ottenuto il tanto agognato riconoscimento della sua autorità sulle poleis anatoliche e avrebbe
potuto concentrare tutti i suoi sforzi a Cipro e verso il recalcitrante Egitto.
Appena si diffuse la voce di questa intesa persiano-spartana, giunsero a Sardi anche i
rappresentanti degli Ateniesi, degli Argivi, dei Corinzi e dei Tebani, spaventati
dall’evoluzione dalle possibili conseguenze di queste trattative267. L’ingresso degli alleati
nel gioco diplomatico portò ad inserire nel dibattito che stava avendo luogo a Sardi anche
le questioni più propriamente riguardanti la guerra di Grecia; divenne quindi chiaro che
una pace basata vagamente sul principio dell’autonomia non potesse essere accettata dagli
alleati, tutti convintamente ostili ad abbandonare le loro conquiste. Per questi motivi il
dialogo terminò con un nulla di fatto e gli ambasciatori tornarono in patria268. Nonostante
264
Antalcida fu un personaggio senza dubbio di primo piano per ciò che riguarda la della diplomazia spartana
di quel periodo. Si oppose alla politica imperialistica di Sparta in Asia Minore, sostenuta ad esempio da
Lisandro o Agesilao, in un’ottica più ‘tradizionalista’ che mirava a impegnare Sparta non oltre i limiti del
Peloponneso (conflitto d’interessi che animava la città da almeno un secolo). vd. Corsaro 1994, pp. 122-123.
265 A riguardo di queste prime trattative tenutesi a Sardi, vd. Ryder 1965, pp. 27-31.
266 Xen. Hell. IV, 4, 12. Delle rimostranze spartane venne messo a parte Tiribazo in qualità di comandante
supremo; costui infatti si fregiava del titolo di carano. (Xen. Hell. I, 4, 3). Sappiamo inoltre da Diodoro (XV, 10)
che Tiribazo era piuttosto addentro i circoli del potere e favorito da Artaserse. Cornelio Nepote (Con. 5, 3) invece
riporta che costui ricopriva anche l’incarico di satrapo di Lidia. Plutarco, in Artax 5,4 definisce Tiribazo “non
malvagio, ma superficiale e strambo”.
267 Atene non voleva accettare questa pace perché non aveva alcuna intenzione di abbandonare le vecchie
cleruchie di Lemno, Imbro e Sciro, di recente riportate sotto il suo dominio; Tebe, dopo aver faticosamente
acquisito il controllo di tutta la Beozia non era disposta a ricominciare da capo lasciando libere tutte le città
sottomesse; Argo e Corinto dal canto loro erano tutt’altro che inclini a sciogliere la loro unione. Per tutti questi
motivi la proposta di Tiribazo era totalmente inattuabile e irrealistica. Xen. Hell. IV, 4, 15.
268 Per la verità anche il satrapo non era affatto sicuro di stipulare questa pace con gli Spartani. Il Gran Re
Artaserse, memore delle campagne militari spartane, era ancora piuttosto ostile ai Lacedemoni, quindi il satrapo
temeva che il suo tentativo non venisse riconosciuto.
57
questo, gli Spartani non tornarono a mani vuote. Antalcida infatti ottenne segretamente da
Tiribazo del denaro per allestire una nuova flotta con cui contendere il mare agli Ateniesi;
inoltre Conone venne arrestato poiché sospettato di condurre attività ostili contro la Persia,
così facendo Atene veniva privata del suo migliore generale269.
d. La ripresa della guerra e la fine delle ostilità, il capolavoro diplomatico della Persia
Nell’agosto 392 gli Spartani conquistarono il Lecheo, il porto sul golfo di Corinto, per via
del tradimento di Pasimelo e Alcimene, nell’inverno 392/1 ebbero luogo le trattative di
Sparta270 e sempre 391 i Lacedemoni ripresero il porto corinzio, nel frattempo nuovamente
passato in mano agli alleati. Gli Spartani rinnovarono la guerra contro la Persia
concentrando le manovre belliche su Struta, satrapo di Ionia e filoateniese271. Per perseguire
questa strategia vennero inviati sul teatro delle operazioni Dercillida272 e Tibrone273, poi
sostituito da Difrida. Gli Ateniesi per parte loro seguirono una politica più coerente ed
antipersiana nonostante il fatto che Struta fosse filoateniese; nel 390 infatti inviarono aiuti
al ribelle indipendentista Evagora di Cipro274, che si era autoproclamato re, continuando ad
attuare in buona sostanza una politica di difesa del mondo greco275. Intorno al 388 venne
destituito il satrapo Struta, che venne nuovamente rimpiazzato dal filospartano Tiribazo276,
preludio alla conclusione della guerra nel 386 con la pace tessuta da Antalcida.
Sia nel contesto egeo sia sul continente, in Grecia, la guerra proseguì con un andamento
oscillante a favore dell’uno o dell’altro schieramento, ma la giravolta diplomatica ed il
voltafaccia dei Persiani a danno degli Ateniesi, che permise ad Antalcida bi bloccare le
esiziali rotte di approvvigionamento attraverso l’Ellesponto, condussero Atene, che vedeva
profilarsi all’orizzonte lo spettro della sua capitolazione, a schierarsi decisamente a favore
della pace. Nonostante il conseguimento di alcune vittorie sul fronte greco, anche gli alleati
Xen. Hell. IV, 8, 16. Tiribazo pensava che la presenza di navi nemiche avrebbe influito nell’orientare gli
Ateniesi ed i loro alleati a favore della pace.
270 Senofonte non accenna alla questione delle trattative di Sparta, ma al suo posto ne parlano Demostene e
Andocide. Cfr, Andoc. De Pace, [III] ; Dem. [XIX] 277-279. A questo proposito vd. Ryder 1965, pp. 31-33
271 Xen. Hell. IV, 8, 17. Il filolaconismo del precedente satrapo Tiribazo spinse il Gran Re alla sua deposizione ed
a cedere il suo incarico appunto a Struta. Era ancora troppo recente nella memoria persiana l’avventura militare
degli Spartani in Asia Minore, per questo non c’erano ancora le condizioni per operare un cambiamento di
fronte repentino a favore della città che fino ad allora era considerata la principale nemica. Lo svolgimento degli
avvenimenti portò comunque successivamente il Gran Re a più miti consigli, tanto che il dominio di Struta non
durò più che tre anni.
272 Dercillida era già stato protagonista degli eventi bellici dopo il 400 in Asia, in sostituzione di Tibrone, che si
era reso inviso agli alleati con i suoi ripetuti saccheggi. Cfr. Xen. Hell. III, 1, 4-8; III, 2, 1.
273 Tibrone venne ucciso per via della sua scarsa prudenza (stava infatti esercitandosi al lancio del disco col
flautista Tesandro, anziché allestire delle difese) in un attacco a sorpresa di Struta. L’esercito spartano andò
immediatamente in rotta dopo la morte del generale. Xen. Hell. IV, 8, 18.
274 Evagora, re di Salamina di Cipro, è un personaggio complesso negli eventi di quegli anni: formalmente
soggetto al Gran Re, esercitò una politica autonoma e tentò di conquistare l’intera isola e sottrarla al controllo
persiano in un lungo scontro condotto con alterne vicende (in virtù dell’antica amicizia di questi con Conone,
gli Ateniesi tentarono di inviargli aiuti nel 390) che si concluse, dopo la Pace del Re, con la sua definitiva
sottomissione al Persiano. cfr. Xen. Hell. IV,8,24; V,1,10 e vd. Asmonti 2015, pp. 104-116.
275 Curiosamente Teleutia, spartano, cattura alcune navi ateniesi destinate ad aiutare Evagora, che quindi
portavano avanti una missione antipersiana, la quale almeno in teoria avrebbe dovuto essere condivisa dagli
Spartani, anch’essi in guerra con la Persia. Questo fatto conferma che dal 392 gli Spartani agiscono
sostanzialmente come alleati dei Persiani, e gli ateniesi come nemici; infatti gli sforzi bellici dei Lacedemoni si
concentrano contro il filoateniese Struta. Cfr. Xen. Hell. IV, 8, 24.
276 Xen. Hell. V, 1, 28
269
58
Argivi, Tebani e Corinzi si vedevano sempre più messi alle strette dall’abbandono dei loro
alleati persiani e dal conseguente rafforzamento di Sparta, dunque anche loro erano sempre
più disposti alla pace. Tutti i protagonisti della guerra di Corinto erano a questo punto
stanchi e provati per un conflitto che sembrava non portare più benefici, se mai ve ne erano
stati, così, nella primavera del 386, delegazioni di tutti gli stati greci confluirono a Sardi.
Qui, nella propria residenza, il satrapo Tiribazo estrasse il testo della pace come inviata dal
Gran Re, ne mostrò i sigilli agli ambasciatori e diede lettura del testo277, cui tutti erano ormai
disposti a sottostare278.
Venne così riconosciuta l’autorità di Artaserse II non solo sulle città greche d’Asia, ma
pure sull’isola di Cipro e su Clazomene279, delineando definitivamente la sfera d’influenza
diretta della Persia. In Europa invece tutte le poleis avrebbero dovuto essere autonome280,
ad eccezione di Lemno, Imbro e Sciro, che come in passato, rimasero sotto l’egida di Atene.
In un mondo greco costretto a dividersi in innumerevoli poleis indipendenti, Sparta
emergeva chiaramente come la più forte e aveva solide basi per controllare il Peloponneso
per altri 60 anni, nonché, per buona parte di questo tempo, la maggior parte della Grecia.
Sparta divenne così addirittura più odiata di quanto non lo fosse Atene all’apice del suo
potere imperiale e fu costretta a combattere quasi senza sosta per mantenere le sue
posizioni.
L’ultimo passo del trattato era una esplicita minaccia: se qualcuno avesse osato opporsi
a questa pace o non la sottoscrivesse, il Gran Re avrebbe mosso immediatamente guerra281.
Vi fu grande malumore tra Ateniesi e Tebani per l’abbandono della causa dei greci d’Asia,
pertanto gli unici esultanti e soddisfatti furono gli Spartani282. I Greci erano prossimi al
giuramento, ma a questo punto i Tebani ancora una volta vollero sottoscrivere il trattato a
nome di tutta la Beozia, per non perdere il controllo delle città della lega, così facendo però
si misero da subito in conflitto con il testo della pace che erano chiamati a ratificare.
Agesilao non volle sentire ragioni e minacciò i Tebani di raccogliere un esercito per
marciare immediatamente contro di loro se non avessero accettato anche questa clausola; i
Xen. Hell. V, 1, 31; V, 1, 35-36; V, 3, 27; Plut. Ages. 23; Artax. 21, 5-6.
Sull’ambiguità del ruolo assegnato a Sparta nella pace e le sue conseguenze, vd. Seager 1974, pp. 36-44.
279 Cipro, abitata in gran parte da popolazioni di stirpe greca, era già stata sottomessa ai tempi di Ciro il Grande;
la piccola isola di Clazomene venne invece inserita dal Re tra i territori che considerava di propria pertinenza
per via della sua posizione strategica, a poca distanza dalla costa ionica presso la foce del fiume Ermo
280 Il dibattito di quegli anni gira tutto intorno all’αὐτονομία appunto, un concetto difficile da definire
chiaramente e che si prestò ad interpretazioni molto diverse tra loro. In una delle sue accezioni venne per
esempio usato come strumento di propaganda da Atene per legare a sé varie città dell’Egeo. Per il significato e
le origini del concetto e del principio politico della αὐτονομία in Grecia negli anni precedenti alla Pace del Re,
vd. Ryder 1965, pp. 1-24.
281 Questo punto costituisce una delle clausole più dibattute della Pace del 386, sia per quanto riguarda la
possibilità di un intervento persiano, sia quella dell’esistenza di vincoli specifici per i contraenti (vd. Cawkwell
1981, pp. 76-77).
282 Xen. Hell. V, 1, 30-34; Diod. XIV, 110, 3. L’esposizione senofontea delle συνθήκαι della pace del 387/6
corrisponde essenzialmente a quella di Diodoro, che l’aveva con ogni probabilità ricavata da Eforo: “il Re
dichiarò che avrebbe fatto la pace alle seguenti condizioni: la soggezione al Re delle città greche d’Asia e
l’autonomia a tutti gli altri Greci; a quelli, poi, che non avessero accettato e rispettato i termini del trattato,
avrebbe fatto guerra con l’aiuto di quelli che li avessero approvati.” cfr. anche Plut. Artax. 21,5-6. Vd. Ryder
1965, pp. 122-123.
277
278
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Tebani furono costretti a chinare il capo e persero il controllo della Lega Beotica, che venne
sciolta283.
Anche a Corinto284 vi furono alcuni problemi perché le disposizioni della pace non
vennero attuate immediatamente: la città aveva intenzione di trattenere la guarnigione
argiva e sembrava non volersi risolvere a rimandarla a casa. Subito giunsero le minacce
spartane di uno scioglimento coatto dell’unione con mezzi tutt’altro che gentili qualora non
fosse stata allontanata la guarnigione, così, seppur a malincuore, anche Argivi e Corinzi
obbedirono. Così ebbe termine la guerra.
e. Dopo lo scioglimento dell’unione: scitalismo e stasis ad Argo (370)
Dopo la fine della guerra la città non ebbe affatto vita facile: era infatti stata messa ai
margini della politica internazionale ed isolata da ogni lato, dal momento che nel
Peloponneso e nella Grecia intera Sparta spadroneggiava ormai come egemone. Le fu
comunque concesso di mantenere la sua politeia democratica, e ancora una volta, subito
dopo la battaglia di Leuttra, gli Argivi tornarono protagonisti non tanto per astute manovre
politiche o militari, ma piuttosto per un clamoroso fatto di sangue tra oligarchici e
democratici che ebbe luogo all’interno delle mura cittadine285.
Nel 370 Argo sperimentò un evento politico drammatico, una strage che Diodoro286
ricorda come la più terribile rivoluzione mai avvenuta in una città greca287. A quel tempo,
Argo era retta da una democrazia e i capi dei partiti popolari, o comunque coloro che
avevano nelle proprie mani le redini dei sentimenti dell’opinione pubblica, incitarono il
demos contro la minoranza oligarchica, i cittadini più illustri e ricchi. Per paura di ciò che
avrebbe potuto accadere, costoro cominciarono a cospirare e a riunirsi per progettare il
rovesciamento della democrazia, similmente a ciò che era accaduto nel 418/7, ma le loro
intenzioni furono ben presto scoperte ed il piano rivelato. I democratici agirono per primi,
così alcuni cospiratori vennero arrestati e torturati, ma spesso preferirono il suicidio
piuttosto che rivelare i nomi dei congiurati. Uno degli oligarchi non fu però così stolido nel
mantenere il segreto e, per aver salva la vita, scambiò il proprio onore con i nomi degli altri
uomini compromessi con il colpo di stato. Coloro i cui nomi vennero pronunciati furono
messi a morte immediatamente e senza alcun processo, ma a questo punto ormai il sospetto
si era impadronito delle menti dei fautori della strage e dilagava in città. Il popolo, spinto
alla follia dai discorsi dei demagoghi, e aizzato dalle prospettive di un facile guadagno con
l’esproprio di beni altrui, proseguì nella strage, che irrorò ancora per giorni il suolo argivo:
L’ultimatum di Agesilao che sciolse la Lega costituì anche il primo esempio di diretto intervento spartano
negli affari interni di altre poleis (cfr. Xen.. Hell. V,1,32-34; Diod. XIV,110,4).
284 Xen. Hell. V,1,34. I fatti riguardanti Corinto sono stati ampiamente esposti supra nel cap. IV a-b.
285 Questo bagno di sangue da allora venne chiamato scitalismo: da schitale, il bastone che i democratici avevano
utilizzato per eseguire le condanne a morte che essi stessi avevano sommariamente comminato.
286 Diod. XV, 57, 3-58. Diodoro non è comunque l’unico a narrare questi eventi. Possiamo anche leggerne in Plut
Mor. 814b e Dion. Halic. VII, 66, 5. In ogni caso il racconto Diodoreo rimane il più dettagliato: ad esempio
Dionigi di Alicarnasso si limita a ricordare una stasis che ebbe luogo tra gli Argivi.
287 Va trattata a parte la testimonianza invero molto discussa di Enea Tattico. (Aen. Tact. XI, 7-10) L’autore in
effetti racconta di una strage civile, ma essendo un testo molto corrotto, è piuttosto difficile poter dire con
certezza che si riferisca proprio allo scitalismo del 370. Per un approfondimento generale sullo scitalismo ed in
particolare circa la questione di Enea Tattico vd. Bertoli 2006, pp.273-299 e soprattutto il lavoro di Bettalli 1990,
pp. 97-102.
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dalle fonti risulta infatti che tra i cittadini illustri vi furono addirittura 1200 morti288. Come
spesso accade, ben presto la situazione sfuggì dal controllo dei demagoghi che avevano
istigato il popolo, i quali dapprima cercarono di porre un freno allo scorrere del sangue
senza riuscirci, quindi, non molto tempo dopo, furono additati loro stessi come nemici e
condannati a morte. Furono quindi essi stessi le ultime vittime della strage. Anche costoro,
infatti, provenivano da famiglie agiate e di rilievo, per cui il loro tentativo di limitare la
furia popolare fu probabilmente visto come un tradimento e divenne la causa della loro
caduta.
Questo evento ci fornisce un dettaglio su quale fosse la situazione di Argo durante il
periodo dell’egemonia spartana. Alcuni autori propongono che Sparta avesse aiutato ad
instaurare ad Argo un governo oligarchico nel 387, ma in questo caso sarebbe sorprendente
che Diodoro semplicemente affermi che c’era un governo democratico, e non che questo
fosse stato di recente restaurato, con il verificarsi poco dopo della strage di cui abbiamo
detto289. L’alternativa ovviamente è che la città sia rimasta democratica ed una presa del
potere degli oligarchici nel 387 non vi sia stata. In questo caso la strage sarebbe ancora più
deprecabile, in quanto non effettuata seguendo il basilare istinto di sopravvivenza, ma fu
piuttosto una vendetta operata a danno di un partito il cui nume tutelare, Sparta, era troppo
debole per difendere.
Sembra in ogni caso sorprendente che Sparta fosse pronta ad intervenire contro
Mantinea e Fliunte290 mentre invece Argo non fosse annoverabile tra le sue priorità. La
politica spartana è comunque spiegabile: limitò infatti il suo interventismo in aree per lei di
vitale interesse, per evitare di spingere all’estremo o fornire argomenti al dissenso che
ormai tutta la Grecia condivideva nei confronti del suo dominio. Le interferenze nella
politica interna erano infatti viste dalle altre poleis come qualcosa di incredibilmente
negativo e creavano istantaneamente un forte timore, per questo Sparta ritenne sufficiente
limitare il potere di Argo isolandola, piuttosto che schierarsi nettamente a favore degli
oligarchici. Il controllo di Mantinea, di Fliunte e Corinto era già sufficienti a Sparta per
garantirsi i collegamenti con il nord della Grecia, creando un corridoio esterno all’Argolide.
Plut. Mor. 814b, tratta in modo cursorio la vicenda e si limita a dire che: «gli Argivi uccisero 1500 loro
concittadini». Sul numero effettivo dei morti bisogna ricordare che il testo di Diodoro è corrotto e per questo le
edizioni critiche riportano due versioni possibili: διακοσίων oppure ἐξακοσίων.
289 Così Tomlinson 1972, pp. 140-141, le cui perplessità paiono del tutto condivisibili. Nel caso in cui lo scitalismo
non sia stato un modo per riprendere il potere dei democratici, allora apparirebbe ancora più ingiustificato e
gratuito. Proprio per cercare di giustificare l’incoerenza di una strage così sanguinaria viene ricondotto il
racconto di Enea Tattico a questa vicenda. L’autore infatti nel suo racconto parla espressamente della volontà
degli oligarchici di prendere il potere come causa scatenante. Sebbene questa tesi sia piuttosto interessante,
anche dal racconto dello scrittore appare però evidente che gli oligarchici non siano in quel momento al potere.
Quindi al massimo si potrebbe dire che il massacro fu un atto preventivo, ma non certo un colpo di stato.
290 Dopo la guerra gli Spartani vollero vendicarsi di coloro che li avevano traditi e per prima cosa si volsero
contro Mantinea, imponendole di abbattere le proprie mura. Dal momento che ovviamente le richieste furono
respinte, fu decretata la mobilitazione dell’esercito. Quando la città venne assediata Agesipoli, comandante
spartano, deviò il fiume che la attraversava, allagandola e costringendo gli abitanti alla resa. Sebbene a questo i
Mantineesi abbiano accettato di abbattere le mura, comunque gli Spartani non lo reputarono sufficiente e la polis
venne smembrata in dieci villaggi autonomi, ponendo fine alla sua identità unitaria. Cfr. Xen. Hell V, 2, 1-7.
A Fliunte invece venne imposto il rientro degli esuli e la riconsegna dei loro beni. Anche in questo caso i Fliasi
furono costretti ad accettare dalla paura di incontrare una sorte non dissimile a quella di Mantinea. Su questi
argomenti e sulla durezza dell’egemonia spartana. Vd. Rice 1974, pp. 166-175; Devoto 1982, pp. 178-184;
Hamilton 1991, pp. 125-134.
288
61
Oltretutto vi era la possibilità di minacciare Argo di invasione in ogni direzione291, quindi
il controllo poteva darsi come pressoché certo.
Sparta aveva lasciato che gli Ateniesi seguissero la forma di governo che a loro
sembrasse più opportuna, anche perché la prima ed unica volta che gli Spartani avevano
cercato di imporre un governo oligarchico l’esperienza non potè di certo dirsi positiva.
Probabilmente il medesimo motivo si pone alla base della mancanza di interesse di Sparta
nei confronti degli oligarchici argivi, così come era già accaduto nel 418/7. Nonostante
questo disinteresse però, lo scitalismo ebbe luogo nel 370, dopo la battaglia di Leuttra,
quando cioè era sicuro che Sparta non avrebbe reagito.
f. L’ultimo tentativo degli esuli: Corinto dal 386 al 370
Durante la guerra di Corinto l’omonima città fu quella che più soffrì le conseguenze del
conflitto, sia internamente, con stragi e rivolgimenti politici, sia economicamente, per via
delle devastazioni portate dagli eserciti che si dedicavano al saccheggio. Agesilao, dopo
aver minacciato l’intervento armato per imporre lo scioglimento dell’unione, costrinse la
città a riaccogliere coloro che erano fuggiti o erano stati esiliati al tempo della stasis;
conseguentemente, con la scomparsa del loro peso politico e ormai ridotti in minoranza e
all’opposizione, gli oligarchici fino ad allora al governo scelsero la via dell’esilio e si
recarono ad Atene e, come ci si poteva aspettare, ad Argo292. Da questo momento in avanti
Corinto comprensibilmente cambiò ancora una volta drasticamente fronte e, sebbene quasi
certamente non con una grande convinzione, rimase al fianco di Sparta. Le scelte di politica
estera in tutto questo periodo sono fortemente influenzate dallo strapotere esercitato
dall’amica-nemica nel Peloponneso, che non consentiva alcuno spazio di manovra nei primi
tempi per scelte ostili.
D’altronde il partito attualmente al governo doveva stare ben attento a seguire
dappresso le manovre e le decisioni della sua città guida, sia pure soltanto per assicurarsi
il suo appoggio nel rendere stabile il governo. Nonostante tutto ciò la collocazione politica
di Corinto era in quel periodo assolutamente necessaria, tanto che le fonti ne parlano come
uno degli alleati più fedeli di Sparta293. I Corinzi, a differenza degli Argivi, furono coinvolti
in prima persona dal nuovo movimento repressivo e imperialistico di Sparta,
ideologicamente guidato dall’interpretazione corrotta e ambigua del principio
dell’autonomia, già stabilito con la ratifica della pace del Re. I primi a farne le spese furono
i Mantineesi, la cui madrepatria venne smembrata in dieci villaggi, dopodichè fu la volta di
Fliunte, costretta a ritornare su posizioni filospartane e da ultimo venne sciolta la lega delle
città calcidesi, vicine a Corinto già dal periodo della rivolta di Potidea. L’ultima città che si
vide toccata dalle ingerenze spartane fu Tebe cui, grazie al tradimento del famigerato
Leonziade, venne imposta una guarnigione in Cadmea294, che protesse il governo
laconizzante dello stesso Leonziade e del suo sodale Archia fino al colpo di stato dei
291 Fliunte venne utilizzata come base delle operazioni contro Argo sia da Agide nel 418, sia da Agesipoli nel
388.
292 Diod. XV, 40, 3 (Argo); Dem. [XX], 50-7 (Atene).
293 Xen. Hell. V, 3, 27.
294 Xen. Hell. V, 2, 25-35; Diod. XV, 20; Plut. Ages. 23, 6-11. La guarnigione ebbe in effetti una vita effimera; venne
infatti costretta a smobilitare già nel 379. Cfr. Xen. Hell. V, 4, 1-11; Diod. XV, 25-7.
62
democratici Pelopida ed Epaminonda. Sparta dunque, ben lungi dal comprendere i motivi
alla base della guerra di Corinto, e altrettanto lontana dal fare autocritica, provò con Sfodria
ad attaccare il Pireo295, riuscendo soltanto a portare la città a schierarsi nel fronte ostie
guidato da Tebe. Nacque in opposizione a Sparta la seconda lega navale Ateniese, con lo
scopo di proteggere i membri dalle ingerenze e far rispettare la pace del Re.
Certamente non si può negare che per il tempo trascorso tra la pace del 386 e la battaglia
di Leuttra Corinto rimase fedele a Sparta, malgrado non si possa sapere nè quale fu il suo
apporto alle guerre che venivano combattute e nello stesso tempo non è possibile sapere se
questa fedeltà cieca sia stata adottata per convinzione o per paura. La posizione strategica
della città, che assicurava una via d’accesso sicura alla Grecia centrale ed alla Beozia in
particolare, al centro dell’attenzione in quegli anni, porta a pensare che Sparta non vi
avrebbe mai rinunciato, a costo di intervenire anche duramente, essendo la questione
ancora più fondamentale di Mantinea e di Fliunte.
L’unico momento in cui Corinto sembra partecipare alle spedizioni belliche con un certo
interesse, dato che preferisce rischiare i suoi propri uomini piuttosto che fornire
semplicemnete denaro, è il momento della spedizione contro Corcira di Mnasippo, in cui la
città insieme alle colonie di Ambracia e Leucade, è posta in apice alla lista degli alleati che
parteciparono alla spedizione, probabilmente per il rilievo del supporto fornito
nell’assemrbamento della flotta di 60 navi296. Non deve essere stato difficile convincere i
Corinzi a partecipare ad una spedizione contro l’antica rivale, anche perché forse le
ambizioni del quinto secolo non erano ancora sopite. Inoltre, è possibile che la città volesse
ritagliarsi nuovamente uno spazio per accrescere la sua potenza navale: se non si poteva
evitare di partecipare alla lega del Peloponneso, allora una strategia efficace avrebbe potuto
essere rendersi fondamentali, per esempio diventando la principale forza marittima
dell’alleanza.
In nessuno dei fronti aperti Sparta ottenne qualche significativo risultato: le numerose
spedizioni in Beozia non sortirono alcun effetto, la lega navale ateniese cominciò ad
ottenere successi sempre maggiori nell’Egeo con Cabria297, così, nel 375, vi fu il rinnovo
della pace del re e Sparta fu costretta a fare concessioni298.
Diodoro ricorda che la pace del 375 diede rapidamente vita ad un tentativo di colpo di
stato299 degli oligarchi esiliati ad Argo, i fautori dell’unione. Esso fu parte di un movimento
di ampia scala che puntava a togliere il potere a coloro che erano al governo nelle varie
poleis tutelando gli interessi spartani. È anche possibile che tale evento abbia avuto luogo
subito dopo Leuttra, nella confusione generale l’unica cosa chiara a tutti era la debolezza di
Sparta, che produceva a cascata un indebolimento di tutti i governi filospartani. Il tentativo
degli esuli fallì.
Xen. Hell. V, 4, 20-1; Diod. XV, 29, 5-6; Plut. Ages. 24, 4-8; Pelop. 14, 2-6.
Xen. Hell. VI, 2, 3.
297 Per un approfondimento vd. Bianco 2000, pp. 47-72.
298 Xen. Hell. VI, 3, 18. Furono ritirati gli armosti dalle città, sciolte le forze navali e terrestri e concessa
l’autonomia a tutte le poleis. Veniva garantita una sorta di indipendenza ai membri di alleanze e leghe, ma
questo mise in luce la prima ambiguità: tutti giurarono a proprio nome, ma Sparta lo fece anche per i propri
alleati, ancora una volta un comportamento ambiguo. Una volta sottoscritti i trattati i Tebani si consultarono,
dopodichè avanzarono la richiesta di firmare a nome di tutti i Beoti, ma Agesilao, sempre molto morbido con
questo popolo, rifiutò perentoriamente, così i Tebani preferirono ritirarsi dal novero dei sottoscrittori.
299 Diod. XV, 40, 3.
295
296
63
Come abbiamo visto il governo di Corinto doveva la sua permanenza al potere al
supporto spartano, quindi è evidente che la debolezza degli Spartani dopo Leuttra avrebbe
favorito dei cambiamenti. Non ci sono riferimenti a rivolgimenti politici in questo periodo,
però è possibile retrodatare il racconto di Diodoro, che pone un colpo di stato nel 375/4, al
periodo successivo al 370. Lo storico colloca questo evento in un più ampio contesto di
movimenti contro i regimi filospartani in varie città300, quindi senza dare particolari
motivazioni e senza approfondire la questione specifica di Corinto. Nonostante il racconto
sia molto sommario sappiamo che numerosi Corinzi esiliati rientrarono in città grazie alla
complicità di parenti ed amici, che, data la popolarità del loro governo, non dovevano
essere affatto pochi. Una volta arrivati però furono scoperti e denunciati, ma piuttosto che
finire sotto processo e torturati, scelsero il suicidio; molti altri invece furono accusati di
complicità e messi a morte o esiliati. Argo era la città con cui era stata provata la recente
unione, favorita proprio dai Corinzi che vennero esiliati con il ritorno allo status quo ante
imposto dalla pace di Antalcida, quindi il posto perfetto dove trovare rifugio. È molto
probabile che il fine ultimo degli esiliati fosse proprio una restaurazione dell’esperienza da
poco vissuta con Argo; d’altra parte la situazione politica generale, con Sparta
fortissimamente indebolita e le altre poleis generalmente non ostili a questo tipo di
esperimento301, avrebbe potuto dare molti meno problemi nella realizzazione di un simile
progetto. Non è detto che le intenzioni originarie degli esuli che fecero ritorno in patria
fossero volte ad un colpo di stato, ma forse non è così importante.
Il solo fatto che l’unione avesse riscosso un amplissimo consenso tra i cittadini, in
contrapposizione all’odiato governo filospartano, fece molto probabilmente confluire le
aspettative della cittadinanza verso i nuovi arrivati, che quindi furono spinti dal sentire
comune, se non ad organizzare un colpo di stato, quantomeno a non dimostrare
discontinuità con le idee professate nel periodo della guerra di Corinto: già solo questo fu
giudicato sufficiente per essere considerati una minaccia. La reazione rabbiosa, violenta e
sanguinaria dei filospartani è rivelatrice di vari aspetti della vita pubblica della città in quel
periodo. Da un lato il governo era molto debole, anche per via della sua impopolarità,
quindi reagì con particolare violenza, dall’altro il solo fatto che gli esuli tornassero a casa
diede vita ad un massacro, mettendo chiaramente in luce la grande stima di cui godevano
tra i concittadini, di per sé sufficiente a condurli verso la morte. Con il fallimento di
quest’ultimo tentativo degli esuli di Argo si esaurì definitivamente il potenziale della
fazione filoargiva e antispartana, almeno in queste forme. Così termina il racconto dei fatti
collegati e conseguenti all’unione del 392.
Diod. XV, 40.
Salmon 1984, p. 384, afferma che, essendo questo tentativo concomitante con l’invasione del Peloponneso di
Epaminonda, ci potrebbe essere una connessione tra i due eventi. Le fonti non parlano di possibili abboccamenti
tra gli esiliati ad Argo e i Tebani, ma è certo che la situazione internazionale creatasi in quegli anni poteva
certamente favorire un colpo di stato antispartano.
300
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CONCLUSIONE
Con questo lavoro abbiamo seguito da vicino la vita e le scelte dei partiti e delle fazioni
presenti in Argo e Corinto, concentrandoci in particolare sui partiti oligarchici delle due
città. Si è avuto modo di apprendere come il movente alla base delle scelte dei protagonisti
della nostra storia sia stato pressoché sempre di carattere personale, senza considerare alti
valori o anche solo un progetto di lunga durata per il benessere dei propri concittadini.
Ovviamente, come si è avuto modo di apprendere, questo approccio alla politica ha portato
nelle due poleis un sempre maggiore acutizzarsi delle frizioni e dei conflitti all’interno del
corpo sociale, che a sua volta ha comportato un limite per coloro che hanno detenuto il
potere nelle proprie mani, ed un’opportunità per chi vi si è opposto.
Con alterne vicende quindi si sono visti sorgere ad Argo i democratici, subito limitati
dall’odio dei precedenti governanti aristocratici, che, sentendosi depauperati del potere, su
cui ritenevano di avere un arcano privilegio, attuarono manovre sotterranee per prendere
il comando e scalzare i rivali, indirizzando la città su un terreno di forte instabilità e di
continue rivoluzioni civili. Questo percorso ha dimostrato come la grande città di Argo,
stimata in tutto il mondo greco, sia lentamente sprofondata in un baratro di sospetto e di
discordia, precludendosi la possibilità di giocare un ruolo di primo piano, cui tutte le parti
in lotta sentivano nel loro cuore di aver diritto, ma di cui ogni fazione si sentiva l’unica
legittima interprete. In questo senso i vari partiti argivi sono apparsi del tutto inconsapevoli
del fatto che le loro stesse azioni siano state il più forte ostacolo alla riuscita dei loro piani.
Elaborarono i fallimenti infatti soltanto acutizzando il risentimento che nutrivano nei
confronti dei loro concittadini, ma senza mai provare un percorso alternativo che non
facesse della chiusura e dell’elitarismo la sua cifra distintiva.
Dal canto suo abbiamo visto una netta differenza in Corinto. In un primo momento
infatti le due correnti dell’oligarchia, sebbene divise su come attuarle, volevano entrambe
adottare politiche volte a tutelare i loro interessi personali ed i commerci. Eppure, dal
momento in cui l’alleanza con Sparta si rivelò a tutti gli effetti più venefica che benefica,
ecco che subito sorse, nel movimento guidato da Pasimelo, una miope identificazione con
una tradizione che ormai aveva dimostrato tutti i suoi limiti. A questo punto, con il
confliggere di due posizioni inamovibili, anche nella città istmica mise radici il seme della
discordia. Da questo momento tutte le fazioni si trovarono ad essere trascinate dagli eventi,
giocando una partita fatta di continui rilanci e la cui posta era il dominio della patria. Questa
climax ebbe il suo risvolto tragico nel momento in cui Timolao e Poliante si giocarono il tutto
per tutto e decisero di far strage degli oppositori, giungendo ad un punto di non ritorno.
Il contesto interno portò quindi le due città ad avere una politica istintuale e fatta spesso
di espedienti, in un clima di fortissima incertezza in cui nessuno poteva dirsi sicuro della
sua posizione. In uno scenario di guerra spesso affrontato con leggerezza e non di rado
superficialità, con fortune personali soggette all’inclemente andamento della sorte, tutti i
personaggi in gioco, forse loro malgrado, si trovarono disposti a prendere qualsiasi
posizione potesse dar loro respiro e sicurezza.
Queste, in estrema sintesi, sono le premesse che ci hanno consentito di vedere da un altro
punto di vista, forse più coerente, il fenomeno di isopoliteia che legò Argo e Corinto.
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