Anna Maria Penati
4.
Leonardo,
la natura,
il giardino,
il paesaggio
Novità di Leonardo fra naturalismo
e illusionismo
Di certo le pitture della “Sala delle Asse” rappresentano un esperimento geniale di Leonardo di portare nella decorazione murale quegli intrecci arborei,
quelle cupole di verdure che egli aveva usato nelle
sue architetture effimere di feste […]. Era stato ispirato in questo tipo di decorazione, per i nodi, dallo
stesso suo maestro fiorentino, il Verrocchio e dalla
sua propria insistente simbolistica su questo elegantissimo giuoco, per le fronde, vagamente, dall’arazzeria francese, – ne è da dimenticare la presenza di
Bramante – ma tutti gli esempi precedenti erano
stati da lui superati e risolti nella sua invenzione e
in tutto il suo senso dell’inserimento della vita della
natura nell’immagine artistica, anche nelle forme di
applicato abbellimento o nelle più labili. Ed il grande abbozzo di rocce, radici e tronchi era anch’esso un’idea per sostituire le tradizionali architetture
basamentali dipinte con una larga pagina di forme
naturali1.
Nel 1957 Giorgio Castelfranco delineava con
rara efficacia i motivi di originalità della sala
alberata dipinta da Leonardo. L’assimilazione, la
comprensione, il superamento dei modelli tipologici e decorativi più antichi avveniva grazie al
dirompente “inserimento della vita della natura
nell’immagine artistica”. L’attuale aspetto della
sala e la scoperta di nuovi brani naturalistici sulle pareti dell’ambiente non fanno che confermare questa chiave interpretativa e incoraggiare, anche per il futuro, una linea di ricerca volta
132
II. LA CAMERA DELLA TORRE
ad approfondire i legami esistenti fra il progetto
ludoviciano e la rappresentazione della natura
nell’arte di Leonardo e dei suoi contemporanei.
Per l’artista di Vinci lo studio della realtà fenomenica, nei suoi elementi sia costitutivi che
atmosferici, era un’urgenza intrinseca, radicata
nel milieu storico-culturale coevo ma al contempo unica nelle sue istanze conoscitive, capaci di coniugare scienza e arte, natura e pittura. Lo strumento privilegiato per l’indagine del
reale è il disegno, che Leonardo – nella scioltezza derivatagli da una formazione fiorentina
e da una propensione grafica peculiare – adeguava alla registrazione del dato reale, talvolta
estemporanea e immediata, talora rielaborata
nell’arduo tentativo intellettuale di comprendere le leggi naturali che regolano il cosmo2.
Perciò nella “camera della torre” le riflessioni
leonardesche intorno ai temi della natura, del
giardino e del paesaggio conferiscono alla tradizionale tipologia delle sale dipinte a motivi
arborei una cifra inconfondibile e di sperimentale novità, sia compositiva che iconografica:
inoltre, al di sotto della volta di gelsi intrecciati
e accanto alle rocce del cosiddetto Monocromo,
i disegni preparatori recentemente riscoperti
rivelano in maniera ancor più genuina le tangenze con le ricerche grafiche e scientifiche
condotte da Leonardo nella Milano di fine
Quattrocento, mentre l’artista lavorava presso
la corte sforzesca, nelle poliedriche vesti di ingegnere militare, scultore, pittore, scenografo.
La sala di rappresentanza voluta da Ludovico
il Moro rappresenta l’estremo esito di quella
1.
Tronco di gelso. Milano,
Castello Sforzesco, Sala
delle Asse, parete nord-est
stagione e come tale esprime in maniera magistrale il connubio fra arte e natura. Una visione della realtà naturale, organica e vitalistica,
improntata allo studio empirico del mondo,
permea sia le chiome degli alberi dipinti – intuibile pur nella restituzione dei due restauri
– che il sottobosco in cui essi affondano le loro
radici; ma l’enorme trompe-l’œil del pergolato,
in dialogo con il giardino esterno, è anche un
raffinato artificio cortese, attraverso il quale,
cercando di sorprendere l’osservatore, si aspirava al contempo a un fine più alto: la celebrazione allegorica del duca3.
Gli studi “di naturale”:
botanica e geologia della sala
Lo spazio riservato alla raffigurazione della natura – e, in particolare, alla natura arborea – è
l’aspetto che, da Beltrami in avanti, si è sempre
riconosciuto come il più autentico contributo
leonardesco all’opera commissionata da Ludovico4: quasi che l’artista intendesse rivendicare,
anche all’interno dello spazio ducale, la propria
immaginazione creativa, più volte celebrata
come “deità del pittore” nelle pagine del suo
Trattato della pittura. Proprio i precetti del Trattato – raccolti probabilmente entro il 1540 da
Francesco Melzi (circa 1493 - 1567), fedele allievo di Leonardo ed erede dei manoscritti e dei
materiali grafici – offrono la normalizzazione
teorica di quanto l’artista toscano aveva già potuto sperimentare sul campo, studiando la real-
II.4. LEONARDO, LA NATURA, IL GIARDINO, IL PAESAGGIO
133
2.
5.
Leonardo da Vinci, Studi di
ramificazione. Parigi, Institut
de France, Manoscritto M,
f. 78v
Leonardo da Vinci, Boschetto
di betulle. The Royal
Collection / HM Queen
Elisabeth II, RCIN 912431r
3.
Leonardo da Vinci, Studi di
ramificazione. Parigi, Institut
de France, Manoscritto M,
f. 77v
4.
6.
Alberelli di gelso. Milano,
Castello Sforzesco, Sala
delle Asse, parete sud-est
(Foto M. Ranzani, 2019)
Leonardo da Vinci, Studio
di alberi. Parigi, Institut de
France, Manoscritto L,
f. 81v
MANCANTE
ANTEPRIMA
DA WORD
tà fenomenica in disegno e pittura5. Il ricordo
delle proporzionate geometrie del grande pergolato di gelsi, ad esempio, sembra riemergere
nei passi della parte sesta del Trattato (De li alberi
134
II. LA CAMERA DELLA TORRE
e verdure), dedicati alla ramificazione arborea e
ai principi della fillotassi e per lo più rielaborati
da Melzi sulla base degli appunti vinciani contenuti nel Manoscritto G dell’Institut de France, databili intorno al 15106. In anni più vicini
all’invenzione della Sala delle Asse si pongono
invece due fogli del Manoscritto M (figg. 2-3),
che modellano con attenzione le forme arboree
indagando di pari passo lo sviluppo ramificato
delle piante ad alto fusto e la loro esposizione
ai raggi solari; talora ritenuti studi preparatori
per i gelsi della “camera della torre” (fig. 4), in
effetti ben avvicinabili ai due disegni del taccuino sia per cronologia che per comune sensibilità nella rappresentazione dell’ordine naturale7.
Gli studi botanici approfonditi da Leonardo negli anni novanta del Quattrocento e qui riprodotti si saldano inoltre alle numerose ricerche
di ottica e percezione visiva condotte dall’artista nell’intero arco del suo soggiorno milanese,
con importanti esiti nelle opere pittoriche da
lui realizzate in quel periodo8. La curiosità per
i meccanismi della visione oculare spiega anche l’attenzione riservata all’incidenza di luci e
ombre sulla percezione dei colori delle chiome
arboree, aspetto di cui danno conto, oltre a diversi testi vinciani9, alcuni fogli che ben traducono – con il solo mezzo grafico della pietra
rossa, trattato con estrema morbidezza tonale
II.4. LEONARDO, LA NATURA, IL GIARDINO, IL PAESAGGIO
135
– i passaggi chiaroscurali fra i rami in ombra
e “le foglie lustre per il sole che le allumina”10
(fig. 5). La raffigurazione botanica, curatissima,
restituisce con estrema freschezza lo sviluppo
spontaneo del paesaggio boschivo, in cui tronchi, polloni e chiome frondose si uniscono in
una sola macchia arborea, avvolta dalla densità
dell’aria (fig. 6) – un’immagine difficilmente
indipendente, forse, dal progetto della “camera
dei moroni”11.
Il tema dell’accrescimento delle piante (anticipazione della più moderna fisiologia vegetale) è inoltre approfondito da Leonardo
con uno sguardo ai due fattori naturali che
lo determinano, la luce solare – fonte vitale
oltre che elemento costitutivo dell’atmosfera
(fig. 7) – e l’acqua, come ricorda un poetico
passo del Trattato della pittura: “Il sole dà spirito
e vita alle piante; e la terra co’ l’umido le notrisce […]. La foglia è tetta ovvero poppa del
ramo o frutti che nascon l’anno che viene”12.
Al netto delle ridipinture novecentesche, l’idea di una natura feconda, prodiga di frutti,
trapela anche dalle fronde dei gelsi della Sala
della Asse, associati alla celebrazione encomiastica del committente. La trasfigurazione allegorica della composizione non limitava però
in alcun modo la veridicità del soggetto botanico scelto. In particolare, l’identificazione
dei diciotto alberi del pergolato leonardesco
nella specie del gelso (in latino Morus celsa)
trova riscontro in un foglio del Codice Atlantico databile agli anni 1498-149913 (fig.
8): esso restituisce, come alcuni brani pittorici originali tuttora visibili, la carnosità delle
bacche e delle foglie cuoriformi, dal profilo
seghettato, tipiche della pianta coltivata per
l’allevamento dei bachi da seta, riconoscibile in sala guardando anche alle nodosità dei
tronchi14. La preponderante presenza dei
“moroni” nella camera castellana non esclude
tuttavia la possibilità che il pergolato dipinto potesse arricchirsi anche di qualche altra
specie botanica, dalle foglie talvolta lobate e
talora lanceolate – benché la parziale perdita della pittura originale, in molti punti della
volta, renda difficile qualsiasi ipotesi. Sicuramente, anche nella rappresentazione della sola
essenza del gelso, Leonardo avrebbe imitato la
“tanto dilettevole natura e copiosa nel variare,
che infra li alberi della medesima natura non
si trovarebbe una pianta ch’appresso somigliassi all’altra, e non che le piante, ma li rami,
o foglie, o frutti di quelle, non si troverà uno
che precisamente somigli a un altro […]”15.
136
II. LA CAMERA DELLA TORRE
8.
Leonardo da Vinci, Foglia
e frutto di gelso. Milano,
Veneranda Biblioteca
Ambrosiana, Codice
Atlantico, f. 713r
9.
Monocromo, particolare
botanico. Milano, Castello
Sforzesco, Sala delle Asse,
parete nord-est
10.
Monocromo, particolare
botanico. Milano, Castello
Sforzesco, Sala delle Asse,
parete nord-est
Così, anche le presenze vegetali nel sottobosco della sala aspiravano ai medesimi intenti
mimetici: in particolare, le erbe delineate fra
le rocce squadrate del Monocromo sono state recentemente interpretate come un gigaro in frutto (Aurum maculatum; fig. 9) e
un giaggiolo domestico (Iris germanica; fig.
10)16, in precedenza ritenuto simile, invece,
al giunco palustre (Typha latifolia), studiato poco più tardi nella serie di fogli vinciani preparatori al dipinto della Leda col cigno17.
L’indagine botanica dispiegata nella Sala delle Asse trovava in Leonardo un radicamento
profondo, nato dalla pratica disegnativa giovanile, dalla propensione personalissima per
lo studio “di naturale” di piante e verzure e
dalla conoscenza dei testi, antichi e moderni,
che, come si è visto, erano disponibili nella
7.
Leonardo da Vinci, Studio
sull’illuminazione di un
albero. Parigi, Institut de
France, Manoscritto I,
f. 37v
sua biblioteca o in altre raccolte librarie a lui
accessibili, sia a Firenze che a Milano. Giunto
nella città degli Sforza nel 1482, pare che l’artista avesse portato con sé, in cima a un elenco
di numerosi altri oggetti, “molti fiori ritratti
di naturale”18, a conferma di quanto racconta
Giorgio Vasari, che ce lo descrive sin dall’apprendistato presso il Verrocchio come eccellente “pittore di erbe”, sempre studiate dal vivo19.
Nel clima della Firenze laurenziana – incline
a una certa idealizzazione di figure e natura – Leonardo si sarebbe distinto, sempre secondo Vasari, per la mimetica rappresentazione
della realtà in un perduto cartone raffigurante
il Peccato originale, destinato alla tessitura di un
arazzo, nelle Fiandre, che sarebbe poi giunto in
dono al re di Portogallo, dipingendo “di chiaro
e scuro lumeggiato di biacca un prato di erbe
II.4. LEONARDO, LA NATURA, IL GIARDINO, IL PAESAGGIO
137
infinite con alcuni animali, che invero può
dirsi che in diligenza e naturalità al mondo
divino ingegno far non la possa sì simile”20.
Di seguito, la veridica rappresentazione delle
specie botaniche, pur investite di sottili significati simbolici, si sarebbe via via perfezionata, come rivela la lenticolare indagine della
natura, di ascendenza fiamminga, nel ritratto della fiorentina Ginevra Benci (fig. 11).
L’ambiente milanese avrebbe fornito ulteriori stimoli ai molteplici interessi scientifici di
Leonardo21, aiutandolo a elaborare una visione organica, manifestata, poi, anche nella Sala
delle Asse. Oltre che raccogliere nella propria
biblioteca le principali fonti botaniche della
letteratura antica e dell’enciclopedismo medievale (da Teofrasto alla Naturalis Historia di
Plinio, dal De rerum natura di Lucrezio sino
ad Alberto Magno e al poema di Cecco d’Ascoli)22, Leonardo conobbe quasi certamente
la tradizione lombarda dei Tacuina Sanitatis
e degli erbari illustrati (fig. 12)23. Alcune testimonianze rivelano la curiosità del maestro
toscano per questi libri contenenti la descrizione scientifica delle diverse essenze, ispirata
al De materia medica di Dioscoride (risalente
al I d.C.)24. Pure nella biblioteca dello stesso Leonardo, ormai a inizio Cinquecento, si
registra un “Erbolarjo grande” che potrebbe identificarsi nelle più moderne edizioni a
stampa dell’Herbarius latinus di Petrus Schöffer
(Magonza 1484), in una sua versione manoscritta in volgare o anche in altre simili pubblicazioni coeve25. D’altronde, dal suo primo
soggiorno milanese in avanti, lo stesso artista
coltivò, pur in modo discontinuo, il desiderio
di creare una propria trattazione scientifica sui
temi della botanica, corredandola di raffigurazioni sistematiche delle diverse specie erbacee,
memori – nella chiarezza incisoria dello stile
grafico e nell’impostazione della pagina – degli erbari a stampa circolanti in Nord Italia
alla fine del XV secolo (fig. 13)26. Dopo l’episodio della “camera dei moroni” (a cui vanno
affiancati, negli anni precedenti, la Vergine delle
Rocce e, ancor più, le ghirlande dipinte nelle
lunette del Cenacolo), la pittura ‘botanica’ di
Leonardo trovò a inizio Cinquecento il suo
esito più virtuosistico nel progetto del perduto dipinto di Leda, immersa in un’ambientazione naturalistica studiata da una splendida
serie di fogli che descrive con estrema precisione erbe, fiori, foglie e frutti pensati per la
composizione (fig. 14)27. Fra questi, un rametto di more (Rubus fruticosus) rivela la perfetta
138
II. LA CAMERA DELLA TORRE
con più ampie ricerche di ambito idrodinamico (fig. 17); e, infine, avrebbe perfezionato
la similitudine morfologica e fisiologica fra il
microcosmo umano, il microcosmo vegetale e
il macrocosmo della terra29:
E come il basso sangue in alto surge e per le rotte
vene della fronte versa, e come dalla inferiore parte
della vite l’acqua surmonta a sua tagliati rami così
dall’infima profondità del mare l’acqua s’innalza
alle sommità de’ monti, dove trovando le sue vene
rotte, per quelle cade e al basso mare ritorna30.
11.
Leonardo da Vinci, Ginevra
de’ Benci, particolare, olio
su tavola. Washington,
National Gallery of Art,
Ailsa Mellon Bruce Fund,
inv. 1967.6.1.a
12.
Anonimo lombardo, Morus,
circa 1440, miniatura;
in Tractatus de Herbis,.
Londra, British Library,
Manoscritto Sloane 4016,
f. 61v
compenetrazione raggiunta fra l’unità cromatica della tecnica grafica adottata dall’artista e
una fine descrizione morfologica della pianta
e delle sue peculiarità botaniche (fig. 15)28.
Gli studi di natura condotti da Leonardo, dagli anni milanesi sino al primo decennio del
Cinquecento, pur nella loro crescente analiticità, si sarebbero indirizzati a una concezione
sempre più organica e complessa del mondo
naturale. Privilegiando un andamento mentale di tipo analogico, l’artista avrebbe accostato le leggi della ramificazione arborea a
quelle delle acque e della loro canalizzazione (fig. 16); indagando l’anatomia, avrebbe
individuato un’affinità fra la circolazione dei
flussi corporei (soprattutto cardiovascolari) e
il movimento della linfa vegetale, in rapporto
Tali suggestioni trovavano forse già spazio
nel progetto della “camera dei moroni”, specie nella raffigurazione del sottobosco in cui
si insinuano con estrema vitalità le poderose
radici dei tronchi di gelso. È in particolare il
cosiddetto Monocromo, all’angolo nord-orientale della sala (fig. 18), a farci comprendere
come la parte inferiore dell’ambiente potesse
apparire nell’idea – poi incompiuta – di Leonardo, benché grazie al recente intervento
di descialbo anche nell’angolo opposto siano
emerse flebili tracce di quello che sembrerebbe un terrapieno costituito da ampie superfici
litiche, lisce e regolari31. Fin dalla sua definitiva riscoperta, avvenuta negli anni cinquanta
del secolo scorso32, nel Monocromo si riconosceva l’espressione degli interessi naturali e più
propriamente geologici coltivati da Leonardo,
declinati nella rappresentazione cosmologica
delle forze di una natura selvaggia, controllata
dall’uomo – all’interno della stessa sala – nelle forme armoniose del pergolato sovrastante.
Leonardo accoglieva come i suoi contemporanei la curiosità per le forme (talvolta bizzarre) delle concrezioni rocciose esistenti in
natura33, ma ben presto sarebbe arrivato a indagarne, in modo più concreto, anche le cause
d’erosione, riconoscendo nell’acqua il motore
principale della transmutazione del mondo
(fig. 19)34. Sarà la più tarda serie dei Diluvi,
talvolta considerata estremo, apocalittico esito della composizione del Monocromo35, a dar
conto della furia di agenti atmosferici e acque,
capace di sconvolgere “le deradicate piante,
miste co’ sassi, radici, terra e schiuma”36. Le
pietre squadrate protagoniste della fascia inferiore della sala, dalle forme estremamente
regolari, sembrano invece alludere a una dimensione che non è scevra dall’intervento
dell’uomo. Già in passato accostate ai “muri
inbrattati di varie machie o pietre” che Leonardo descriveva come stimolo per la fantasia
II.4. LEONARDO, LA NATURA, IL GIARDINO, IL PAESAGGIO
139
13.
Leonardo da Vinci, Studio
di viole. Parigi, Institut de
France, Manoscritto B,
f. 14r
14.
Leonardo da Vinci, Leda e il
cigno. Rotterdam, Museum
Boijmans Van Beuningen,
inv. I 466 (PK)
del pittore37, le rocce del Monocromo poterono
forse imitare, in parte, anche formazioni geologiche realmente esistite in natura38, benché –
a differenza di quanto accadeva per l’uso degli
erbari nello studio della botanica – i testi dei
lapidari medievali che l’artista pur possedeva
dessero spazio più alla narrazione delle virtù
miracolose di pietre e gemme, che a descrizioni di impronta scientifica39. Non è escluso che nella composizione di rocce e radici
pensata per la sala si potessero annidare anche
significati simbolici, di carattere celebrativo: se
si pensa alla posizione privilegiata del Monocromo in rapporto al camino, elemento architettonico tradizionalmente associato alla raf-
140
II. LA CAMERA DELLA TORRE
figurazione di motivi araldici, forse anche le
radici del gelso lì rappresentate richiamavano
il repertorio delle imprese visconteo-sforzesche, come si illustrerà nel prossimo capitolo40.
La favola vinciana della noce e della cornacchia, databile intorno al 1490 e spesso rievocata come anticipazione letteraria del sottobosco che fu poi creato nella “camera della
torre”, allude invece a una dimensione più
prettamente antropizzata41:
Trovandosi la noce essere dalla cornacchia portata sopra un alto campanile, e per una fessura dove
cadde fu liberata dal mortale suo becco, pregò
esso muro, per quella grazia che Dio li aveva dato
II.4. LEONARDO, LA NATURA, IL GIARDINO, IL PAESAGGIO
141
15.
Leonardo da Vinci, Ramo
di more, particolare. The
Royal Collection / HM
Queen Elisabeth II, RCIN
912420r
16.
Leonardo da Vinci,
Sistemazione del piano
stradale per il deflusso
delle acque lungo il corso
di Porta Vercellina e studi
di ramificazione. Milano,
Veneranda Biblioteca
Ambrosiana, Codice
Altantico, f. 551v
142
II. LA CAMERA DELLA TORRE
17.
18.
Leonardo da Vinci, Disegni
anatomici sul cuore e la
circolazione sanguigna.
The Royal Collection /
HM Queen Elisabeth II,
RCIN 919073v
Monocromo, dettaglio di
pietre e radici. Milano,
Castello Sforzesco, Sala
delle Asse, parete nord-est
(foto M. Ranzani, 2015)
II.4. LEONARDO, LA NATURA, IL GIARDINO, IL PAESAGGIO
143
19.
Leonardo da Vinci, Fiume
che scorre tra le rocce.
The Royal Collection /
HM Queen Elisabeth II,
RCIN 912395
20.
Leonardo da Vinci,
Adorazione dei magi,
particolare. Firenze,
Galleria degli Uffizi,
inv. 1890 n. 1594
21.
Andrea Mantegna, Dalila
e Sansone, circa 1500,
tempera magra su tela.
Londra, The National
Gallery, inv. NG1145
dell’essere tanto eminente e magno e ricco di sì
belle campane e di tanto onorevole sono, che la
dovessi soccorrere; perché, poi che le non era potuta cadere sotto i verdi rami del suo vecchio padre,
e essere nella grassa terra ricoperta dalle sue cadenti foglie, che non la volessi lui abbandonare: imperò
ch’ella, trovandosi nel fiero becco della cornacchia,
ch’ella si botò, che, scampando da essa, voleva finire
144
II. LA CAMERA DELLA TORRE
la vita sua ’n un picciolo buso. Alle quali parole il
muro, mosso a compassione, fu contento ricettarla
nel loco ov’era caduta. E in fra poco tempo la noce
cominciò aprirsi, e mettere le radici infra le fessure
delle pietre e quelle allargare e gittare i rami fori
della sua caverna; e quegli in brieve levati sopra
lo edifizio e ingrossate le ritorte radici, cominciò
aprire i muri e cacciare le antiche pietre de’ loro
II.4. LEONARDO, LA NATURA, IL GIARDINO, IL PAESAGGIO
145
vecchi lochi. Allora il muro tardi e indarno pianse
la cagione del suo danno e, in brieve aperto, rovinò
gran parte delle sua membre42 .
L’apologo, memore dei racconti classici di
Esopo (autore presente nella stessa biblioteca
leonardesca43), descrive la potenza della natura
al confronto con la fragilità degli antichi muri
di un edificio eretto dall’uomo. Così, anche
nel Monocromo sembra possibile cogliere il
medesimo paragone fra natura e arte, e nelle
sue rocce, scorciate da sotto in su, l’allusione
ad antiche pietre di costruzione. Il tema, di
sapore vagamente antiquario, avrebbe trovato
negli scritti di Leonardo la consueta declinazione scientifica, volta a indagare i tempi e i
meccanismi geologici in base ai quali l’accrescimento della terra, nel corso del tempo, fagocita le vestigia della civiltà umana:
Or non vedi tu negli alti monti i muri delle antiche e disfatte città essere da l’accrescimento della terra occupate e nascoste? Or non si è veduto
le sassose cime de’ monti la viva pietra per lungo
tempo col suo accrescimento avere inghiottito una
appoggiata colonna e, scalzata co’ taglienti ferri e
quella trattane, avere lasciato nel vivo sasso la sua
accanalata forma?44
Sospese fra naturalità e artificio, le rocce della
sala sembrerebbero recuperare in modo peculiare questa stessa sensibilità, riallacciandosi
– pur sottilmente – al filone degli studi antiquari che attraversa l’arte del Quattrocento e
che tangenzialmente interessa lo stesso Leonardo, fin dai suoi esordi fiorentini (fig. 20)45.
Il già segnalato accostamento fra il Monocromo
e alcune incisioni di scuola mantegnesca è in
questo senso suggestivo, così come il confronto – pur meramente iconografico – con varie
opere pittoriche dipinte dall’artista padovano
attivo alla corte dei Gonzaga. L’immagine del
muro di pietre sbrecciate, coperte di arbusti
e radici – già adottata con forte intento antiquario da Mantegna, ad esempio nel suo San
Sebastiano (circa 1457-1459)46 – non sembra
essere poi così lontana dalla composizione
della Sala delle Asse; il medesimo topos prende
forma, mutando ancora una volta, anche nella
pagina del Paulo e Daria di Gaspare Ambrogio Visconti (miniata intorno al 1495 e citata
in precedenza in rapporto ai cinquecenteschi affreschi dello Studiolo di Viboldone), a
riprova della probabile circolazione milanese
di un modello comune47. Anche il raffinato
146
II. LA CAMERA DELLA TORRE
incontro fra natura arborea e rocce squadrate,
che incornicia ad arte la scena monocroma di
Dalila e Sansone (fig. 21), parla un linguaggio
affine a quello che Leonardo avrebbe potuto
recepire nella Milano sforzesca, dove le decorazioni in grisaille, “al colore del marmoro
umbrato”, erano particolarmente amate nelle
feste di corte, a rievocare forme e cromie dei
bassorilievi antichi48.
“Lochi ombrosi o foschi ne’ tempi caldi”:
giardino e paesaggio
All’originale concezione leonardesca della “camera della torre” poté contribuire, infine, l’attenzione che l’artista riservò,
proprio nel contesto milanese, allo studio
dei giardini e alla diretta esperienza degli spazi verdeggianti circostanti il castello, che i duchi amavano frequentare49.
Come si è già evidenziato in precedenza, la
sala posta al cantone nord-orientale della fortezza sforzesca godeva di un rapporto privilegiato con il cosiddetto “zardino” castellano,
sito oltre il fossato, e con il barco ducale, la
riserva di caccia che si apriva oltre la Ghirlanda. Il grande pergolato dipinto traduceva
quindi nelle forme di un imponente trompe-l’æil la reale contiguità di questi spazi, la
cui presenza era probabilmente percepibile
anche attraverso i due finestroni dell’ambiente50. In un dialogo costante fra interno
ed esterno, fra finzione e natura, Leonardo
intrecciava in una sola invenzione la sua personale sensibilità per lo studio del mondo
fenomenico e il gusto artificioso degli allestimenti di corte – spesso abbelliti da fastosi
motivi vegetali più volte ricordati (fig. 22).
Negli anni trascorsi al servizio del Moro, l’artista aveva osservato le effimere strutture architettoniche disseminate nei giardini ducali,
per poi progettarne di nuove. In particolare,
in un foglio del Manoscritto B disegnava il
“padiglione del zardino della duchessa di Milano”, un grazioso edificio a pianta centrale,
coperto da cupola con lanternino, che sembra
identificabile in una costruzione già esistente nel parco di Porta Giovia dalla fine degli
anni sessanta del Quattrocento (fig. 23)51. Un
simile padiglione era stato infatti costruito
da Galeazzo Maria nella cascina, munita di
ponte levatoio, destinata alla duchessa Bona
di Savoia: un visitatore fiorentino, l’umanista
Giovanni Ridolfi (1448-1514), ce lo descri-
22.
Giovan Pietro Birago,
Mese di maggio, 1490-1494,
miniatura appartenuta
al manoscritto delle Ore
Sforza. Londra, British
Library, Add MS 62997
ve, nel 1480, circondato da “acque vive con
siepe a mo’ di labirinto, et evi una pergola”,
elementi che – se ancora esistenti al tempo
in cui giunse Leonardo – poterono affascinare l’artista52.Vari suoi progetti successivi ripropongono l’idea di un padiglione in legno,
da usarsi a Vigevano, residenza prediletta da
Ludovico e Beatrice53; si trattava di una struttura modulare, a pianta quadrata, con tetto
piramidale e finestre apribili, forse più simile
a un’alcova trasportabile che a un luogo di
delizie quale doveva apparire, invece, il padiglione milanese – o, oltre a esso, anche una simile costruzione attestata nel parco ducale di
Pavia e ricordata delle fonti cinquecentesche
quale bagno dove “nel tempo di gran caldo,
venivano a lavarsi i Duchi e le Duchesse”54.
Nei dintorni di Vigevano, sorgeva inoltre
la Sforzesca, grande tenuta agricola fondata
da Ludovico a partire dal 1486 e assegnata
al novero dei beni della consorte Beatrice
d’Este55. Votata all’allevamento di razze pregiate e alla coltivazione di gelsi, viti e noci
– a cui Leonardo stesso s’interessò, in alcuni
studi per nuovi sistemi di irrigazione56 – la
fattoria accoglieva anche qualche spazio di
carattere più eminentemente ornamentale,
come il labirinto di melograni con la statua
del minotauro che il letterato Domenico
Maccaneo, forse non senza qualche licenza poetica, descrisse nel suo Chorographya
Verbani Lacus dedicato a Gaspare Ambrogio
Visconti (Milano 1490), una notizia che sarà
ripresa e discussa nel prossimo capitolo57.
Simili sollecitazioni, unite alla già evocata
circolazione milanese di testi letterari dedicati al topos del giardino (primo fra tutti il De
agricultura di de’ Crescenzi58), poterono agire
anche nell’invenzione leonardesca del pergolato della sala, che, pur nella naturalità della
sua composizione, recupera i ritmi armoniosi
e controllati delle coeve architetture vegetali, non avulse da un certo gusto per gli horti
all’antica, diffuso nella cultura del tempo (fig.
24)59. Tale aspetto avrebbe trovato maggiore
consistenza nei progetti per giardini di delizie
sviluppati dall’artista dagli inizi del Cinquecento in poi, in particolare per la villa milanese di Charles d’Amboise e più tardi per
la residenza di Romorantin di Francesco I
di Francia60; ma già al termine del soggiorno presso il Moro, l’artista sembrava offrire
una prima, peculiare sintesi del tema proprio
negli spazi dipinti della “camera della torre”.
All’illusionistica costruzione della pergola
sorretta da diciotto tronchi di gelso, Leonardo
univa l’elemento del paesaggio – rinnovando
i già ricordati precedenti delle sale alberate
e della pittura di giardini. Distante dalla tradizione delle sale nord-italiane di contesto
profano in cui le decorazioni parietali erano
trattate come “spazi avulsi dal loro contesto
architettonico o come se simulassero arazzi
o tappeti” di gusto ancora squisitamente gotico, l’artista toscano si riallacciava piuttosto
al cambiamento inaugurato in palazzo Borromeo o a Castiglione Olona, proseguendo
la via aperta a Milano da Foppa, Bergognone
e Zenale, nel crescente uso di una prospettiva
illusionistica61. I risultati del recente restauro
condotto sulle pareti della sala confermano
come, al di là degli alberi e del sottobosco
posti in primo piano, l’innovazione di Leonardo passasse attraverso “i principi dello
sfondamento delle pareti”, grazie ad aperture
II.4. LEONARDO, LA NATURA, IL GIARDINO, IL PAESAGGIO
147
di soggetto paesistico62. Se ne coglie almeno
una traccia nella piccola veduta collinare, di
alberi e case in lontananza, delineata sul lato
occidentale dell’ambiente. La perdita dell’intonaco originale nella fascia inferiore delle pareti impedisce purtroppo di valutare al
colpo d’occhio l’effettiva incidenza del tema
nell’intera composizione anticamente ideata
148
II. LA CAMERA DELLA TORRE
da Leonardo. Tuttavia, i confronti con alcuni
d’après cinquecenteschi della sala – in primis
lo Studiolo del Priore a Viboldone – inducono a pensare che la presenza del paesaggio avesse un ruolo molto importante anche
nell’immersione naturalistica progettata, con
notevole grado di modernità, nel Castello
di Milano63. L’artista fiorentino fin dall’età
23.
24.
Leonardo, Padiglione
della Duchessa e studio di
fortificazione romboidale.
Parigi, Institut de France,
Manoscritto B, f. 12r
Leonardo da Vinci, Studio
per un muro da giardino.
Milano,Veneranda
Biblioteca Ambrosiana,
Codice Atlantico, f. 988v
giovanile si era mostrato sorprendentemente
incline – in anticipo sui contemporanei – a
rievocare con un linguaggio grafico analogico, estremamente personale, i dati del paesaggio reale (fig. 25)64. Calati in una dimensione
sospesa fra naturalismo e astrazione, alberi,
rocce, fiumi e paesi in lontananza si sposavano a un sentimento della natura che “po-
trebbe essere definitivo, nei suoi primi anni,
‘petrarchesco’”65 e che a Milano proseguiva
nelle immagini della poesia cortese, come
nel Canzoniere miniato di Antonio Grifo66.
“Il pittore è padrone di tutte le cose che possono cadere in pensiero all’omo” si sarebbe
scritto nel Libro di Pittura, rivendicando il
primato dichiarato da Leonardo finanche sui
II.4. LEONARDO, LA NATURA, IL GIARDINO, IL PAESAGGIO
149
poeti e quasi ricordando l’incredibile bellezza
di quei paesaggi dipinti che in Sala delle Asse
sono oggi perduti:
E se vol generare siti e deserti, lochi ombrosi o foschi ne’ tempi caldi, esso li figura, e così lochi caldi
ne’ tempi freddi. Se vol valli, se vole delle alte cime
de’ monti scoprire gran campagne, e se vole dopo
150
II. LA CAMERA DELLA TORRE
quelle vedere l’orizzonte del mare, egli n’è signore,
e se delle basse valli vol vedere li alti monti, o delli
alti monti le basse valli e spiagge. Et in effetto, ciò
ch’è ne l’universo per essenzia, presenzia o imaginazione, esso l’ha prima nella mente, e poi nelle
mani, e quelle sono de tanta eccelenzia, che in pari
tempo generano una proporzionata armonia in un
solo sguardo qual fanno le cose67.
25.
Leonardo da Vinci,
Paesaggio. Firenze,
Gabinetto dei Disegni e
delle Stampe degli Uffizi,
inv. 8 Pr
1
Castelfranco 1957 (p. 520) scriveva all’indomani della riscoperta del Monocromo nella Sala della Asse, riallestita dai
BBPR negli anni cinquanta del secolo scorso. Il ritrovamento del potente brano raffigurante “rocce, radici e tronchi” –
che Beltrami 1902 (pp. 66-67) aveva liquidato come “lavoro
eseguito durante il periodo della dominazione spagnola” e
perciò coperto nel primo allestimento della stanza – condizionò in modo significativo gli studiosi, spostando la loro
attenzione verso una lettura della sala più attenta agli aspetti
cosmologici e vitalistici della decorazione ideata da Leonardo (cfr. Penati 2018-2019, pp. 36-37).
2
Sul ruolo del disegno nella ricerca scientifica e artistica di
Leonardo (confrontata a quella intrapresa dal più giovane
artista norimberghese Albrecht Dürer) si vedano le riflessioni di Salvini 1977, p. 379, poi riprese da Marani 2007.
Il valore creativo e conoscitivo del disegno è messo in luce
anche da: Taglialagamba 2010, pp. 9-12, con utili rimandi al
Trattato della pittura; Faietti 2008, pp. 63-68 e Bambach 2015
(in particolare pp. 59-60), con più specifico interesse per il
segno grafico adottato dall’artista.
3
Syson 2011, p. 42 evidenzia bene nella sala l’abilità creativa
di Leonardo “to transform the natural, as experienced by
the senses, into something new, by the disciplined exercise
of reason (scientia) and imagination (fantasia)”.
4
Beltrami 1902, p. 34. Entro la vasta bibliografia dedicata
agli studi di botanica approfonditi da Leonardo si segnalano
fin d’ora alcuni utili contributi di carattere monografico:
De Toni 1922; Goldscheider 1952; Bazardi 1953; Emboden
1973; Morley 1979; Emboden 1987 (in particolare pp. 95114, 141-160); Ames-Lewis 1997; Marani 2008b; Cordera
2008; Taglialagamba 2010; Perissa Torrini 2013.
5
Per le vicende compositive del Libro di Pittura, composto
da Francesco Melzi nel Codice Urbinate Latino 1270 della
Biblioteca Apostolica Vaticana, si rimanda alla fondamentale edizione curata da Pedretti, Vecce 1995 e, in particolare,
all’introduzione del volume firmata da Carlo Pedretti, pp.
11-81. Per i passi del Trattato citati nel testo, di qui in avanti, si è adottata la trascrizione critica curata da Carlo Vecce.
6
Cordera 2008, p. 30. L’eredità leonardesca nello studio della natura e, nella fattispecie, delle ramificazioni arboree, ben
si coglie anche in alcuni disegni ricollegabili al magistero
milanese dell’artista toscano (cfr. Wolk-Simon 2004, p. 48):
l’albero attribuito a Cesare da Sesto (cfr. cat. 3 nella parte
IV di questo libro; già richiamato da Beltrami 1902a, p. 40
in rapporto alla Sala delle Asse) e il foglio di Aurelio Luini
(1530-1593), figlio di Bernardino, che descrive a penna e
inchiostro, con efficace naturalismo, tronchi e rami arborei
(Milano,Veneranda Biblioteca Ambrosiana, inv. F 264 inf. n.
29 recto e verso; R. Coleman, in Renaissance Drawings 1984,
pp. 104-107, n. 44). Il tema trova un corrispettivo teorico,
infine, nel capitolo De i moti de gl’arbori e di tutto ciò che si
muove del Trattato dell’arte della Pittura di Giovanni Paolo
Lomazzo (Lomazzo 1584, libro II, cap. XXIII; cfr. Edit 16
CNCE 78276); inoltre, per la possibile ricezione della Sala
delle Asse negli scritti di Lomazzo si veda supra I.1 e II.3.
7
Cfr. Beltrami 1902, pp. 41-65; Marani 1984b, pp. 51-52
(con interessanti note sullo stile grafico, a tratteggi curvi e
modellanti, adottato nel f. 77v); P.C. Marani, in Léonard de
Vinci 2003, pp. 418-419, n. 148; Cordera 2008, p. 29; Fiorio
2018, p. 7.
8
Per un approfondimento sul tema si rimanda agli atti del
convegno Leonardo da Vinci and optics 2013, curati da Francesca Fiorani e Alessandro Nova, e allo studio L’occhio di
Leonoardo 2014.
9
Fiorio 2018, pp. 5-7; Palazzo 2018, p. 96.
10
Così recita il testo vinciano che compare al di sotto dello studio arboreo, sul verso del foglio di Windsor RCIN
912431 (1500 circa): “Quella parte dell’albero che campeggia di verso l’ombra è tutta d’un colore e dove li alberi
overo rami son più spessi ivi è più scuro, perchè li manco si
stampa l’aria. Ma dove li rami campeggiano sopra altri rami,
quivi le parti luminose si dimostran più chiare e le foglie
lustre per il sole che le allumina” (cfr. Fiorio 2018, p. 5 per
un commento in riferimento a simili riflessioni contenute
in altri scritti vinciani e nel Trattato della pittura).
11
Cfr. Fiorio 2018, pp. 5-6.
12
Pedretti, Vecce 1995, pp. 475-476, [832]; Bazardi 1953,
p. 9.
13
Codice Atlantico, f. 713r (ex 264r-b); Botanica, intrecci
2011, p. 18 (con bibliografia precedente); Fiorio 2018, p. 7.
14
Per l’identificazione della specie del gelso (e in particolare
del Morus alba) si veda quanto osservato nel cap. I.1 e l’analisi botanica di Banfi 2018-2019, pp. 61-64.
15
Pedretti,Vecce 1995, p. 342, [501].
16
Banfi 2018-2019, pp. 63-65.
17
Per il confronto con l’arbusto di thypha latifolia (Windsor, The Royal Collection, RCIN 912430 verso, 1505-1510
circa; Clayton 2018, p. 142, n. 106) si vedano Castelfranco
1957, pp. 519-520 e Ottino Della Chiesa 1967, p. 100.
18
Codice Atlantico, f. 888r (ex 324r); cfr.Villata 1999, p. 15,
doc. n. 19 con bibliografia precedente; Botanica, intrecci 2011
p. 8.
19
Cfr. Leonardo da Vinci 1982, p. 37; Cordera 2008, pp. 16-19;
Botanica, intrecci 2011, p. 8.
20
Per la citazione, tratta dalle Vite di Vasari (1568), si veda
Vasari 1966-1987, vol. IV [1976], p. 20. Cfr. Suida 1929
(2001), pp. 52-54; Tongiorgi Tomasi 2002, p. 22; Marani
2008b, p. 17; Taglialagamba 2010, p. 45.
21
Agosti 2002, pp. 18-27.
22
Per gli autori ricordati si vedano le note dell’articolo di
Alessia Alberti che precede e la ricostruzione di Descendre 2010, pp. 592-595; La Biblioteca, il tempo 2009, p. 82;
Perissa Torrini 2013, p. 101, con particolare riguardo per il
Liber aggregationis seu Liber secretorum Alberti Magni de virtutibus herbarum, lapidum et animalium quorumda, probabilmente
posseduto da Leonardo nella traduzione volgare del 1486
(cfr. anche Emboden 1987, p. 31) e utile fonte per lo studio
delle scienze naturali.
23
Sulla tradizione dei Tacuina sanitatis, utile la lettura di Hoeniger 2016 e il suggestivo confronto fra la Sala delle Asse
e le opere miniate da Giovannino de’ Grassi (1355/13601398) accennato da Rossi 2006, p. 22, nota 54. Per i motivi
gotici recuperati dal pergolato leonardesco si veda supra II.3.
24
Cfr. Codice Forster III, f. 37v, circa 1493-1494 (Villata
1999, p. 81, doc. 78, con precedente bibliografia): “Maestro
Giuliano da Marliano ha un bello erbolaro […]”. La nota
sembra registrare la conoscenza (e forse la consultazione)
da parte di Leonardo di un erbario posseduto da Giuliano
da Marliano, personaggio dubitativamente riconoscibile nel
“Giuliano da Marian medico” citato in un appunto del Codice Forster II (f. 43v, circa 1495; cfr.Villata 1999, p. 88, doc.
96, con precedente bibliografia). A commento della nota
vinciana, si vedano le osservazioni di De Toni 1922, pp. 2526; Botanica, intrecci 2011, p. 22.
25
Cfr. Codice Madrid II, f. 2 v. Cfr. Emboden 1973, p. 3;
Emboden 1987, pp. 30-31; Botanica, intrecci 2011, pp. 21-22;
Fiorio 2016, pp. 172-173. Per l’identificazione dell’erbario posseduto da Leonardo nell’Herbarius latinus di Petrus
Schöffer (Magonza 1484; ISTC ih00062000) si veda la ricostruzione di Descendre 2010, pp. 592-595.
26
Cfr. Ames-Lewis 1997, pp. 121-123; Reeds 2016; Fiorio
2016, p. 176.
27
Leonardo da Vinci 1982, pp. 43-45; Ames-Lewis 1997; Taglialagamba 2010, pp. 66-68; Perissa Torrini 2013, p. 99. Sul-
II.4. LEONARDO, LA NATURA, IL GIARDINO, IL PAESAGGIO
151
la vicenda del dipinto perduto della Leda col cigno si vedano
il catalogo della mostra Leonardo e il mito di Leda 2001 curato
da Gigetta Dalli Regoli, Romano Nanni e Antonio Natali;
utile, inoltre, la sintetica ricognizione di Versiero 2012, pp.
292-299.
28
Windsor Castle, The Royal Collection, RCIN 912420r,
circa 1506-1512; cfr. Clayton 2018, p. 146, n. 110.
29
La questione del metodo analogico nel pensiero di Leonardo è stata puntualmente affrontata dal recente contributo di Nova 2016. Si vedano inoltre: sulle affinità fra anatomia e botanica, Cordera 2008, pp. 33-35 (cfr. inoltre cat.
2 nella parte IV); sulle analogie fra ramificazioni arboree e
canalizzazioni idriche, Emboden 1987, pp. 92-93.
30
Codice Atlantico, f. 468r (ex 171r). Per la trascrizione del
passo si veda Marinoni, Pedretti 2000, vol. II, p. 881.
31
Si veda supra I.1.
32
Tale lettura, inizialmente proposta da Baroni 1955 e Mariani 1957, trovava spazio anche nella descrizione del Monocromo contenuta nella terza edizione, in lingua italiana, di
The drawings of the Florentine painters di Bernard Berenson, di
rado citata nonostante il suo indubbio valore interpretativo: “Questi abbozzi rimessi in luce rimuovendo le spalliere
che li nascondevano da cinquant’anni, non sono sinopie,
bensì – pur su scala gigantesca – veri e propri disegni nei
quali il chiaroscuro delle rocce, la modellatura classica delle radici sono ottenuti con un fitto tratteggio. Il concetto
che ispirò Leonardo, nell’ideare la decorazione a fresco di
questa sala, deve essere stato di rappresentare l’evoluzione
dal sotterraneo mistero naturale alla simmetrica chiarezza
dell’ordinamento umano. Infatti, dai tronchi che scandiscono le pareti, mentre in alto partono ramificazioni che
s’incrociano secondo uno schema geometrico, accentuato
dai regolari intrecci delle corde, in basso s’insinuano, fra le
aspre stratificazioni terrestri, radici piene di una vita arcana
e serpentina, irregolare, imprevista e vagamente malefica. Il
contrasto fra questo mondo demoniaco e quello della logica armonia è oggi guastato dal fatto che ben poco rimane
della parte inferiore e che la parte superiore, dei tronchi e
delle fronde, ha acquistato, nelle successive ridipinture, una
pesante meccanicità”. (Berenson 1961, II, pp. 203-204, n.
1048). La stessa dualità, nel confronto fra le forme naturali del Monocromo e la rigorosa geometria del pergolato,
sarebbe poi stata messa in luce da Brizio 1981, pp. 68-69 e
più recentemente sottolineata da Marani 2015, p. 105 (cfr.
Catturini, Tosi 2017, pp. 278-280).
33
Per il tema dell’antropomorfismo delle rocce nella Sala
delle Asse si ricordano le più fantasiose ipotesi di Gantner
1958 e Gantner 1959 (che intravedeva un teschio umano
fra le pietra del Monocromo), l’interessate contributo di Berra 1999 (in particolare a p. 393) e l’efficace commento di
Marani 2007, p. 60, nota 25 (con ampi rimandi al tema nella
pittura di Zenale e Bramantino).
34
Per approfondire la tematica, già affrontata da De Lorenzo
1920 e Gianotti 1953, si vedano i più recenti contributi di
Geddes 2015 e Laurenza 2015.
35
I paesaggi apocalittici dei Diluvi (tutti databili all’incirca
fra il 1513 e il 1518, cfr. Leonardo da Vinci 1982, pp. 55-57;
Clayton 2018, pp. 231-241) sono stati messi in correlazione
con il Monocromo da: Mariani 1957, p. 59 (con specifico rimando al foglio di Windsor, The Royal Collection, RCIN
912376, circa 1513-1518); Villata 2000, p. 66; Fiorio 2015,
p. 90; Fiorio 2016, p. 173. Inoltre cfr. cat. 6 della parte IV.
36
Pedretti,Vecce 1995, p. 178, [68].
37
Cfr. Manoscritto A, f. 102v (ex Cod. Ashburnham 1875/2,
f. 22v): “Non resterò però di mettere intra questi precietti
una nuova inventione di speculatione, la quale benché paia
piccola e quasi degnia di riso, nondimeno è di grande uti-
152
II. LA CAMERA DELLA TORRE
lità a destrare lo ingeno a varie inventioni, e questa è se tu
guarderai in alcuni muri inbrattati di varie machie o pietre
di vari misti, se avrai a inventionare qualche sito potrai lì vedere similitudine di diviersi paesi, ornati di montagnie, fiumi, sassi, albori, pianure, grandi valli e colli in diversi modi,
ancora vi potrai vedere diverse battaglie e atti pronti di figure, strane arie di volti e abiti e infinite cose”. Il passo poi
rielaborato nel Libro di Pittura (Pedretti, Vecce 1995, I, pp.
177-178: II, 66) è accostato al Monocromo, seppur en passant,
da Brizio 1981, p. 69 e poi da Berra 1999, p. 393.
38
In questo senso, si ricordano i raffronti proposti da Baroni
1955, p. 23 fra le rocce del Monocromo e alcuni fogli vinciani
dedicati a vedute geologiche e fluviali, presenti nella Royal
Collection di Windsor: RCIN 912395 (1482-1485 circa);
RCIN 912401 (cfr. qui la parte IV); RCIN 912394 (15101513 circa).
39
Al riguardo, si vedano Emboden 1987, p. 32; Descendre 2010, pp. 592-595; Vecce 2017, pp. 126-127.
40
Si veda infra 3.1 e, per intanto, Marani 1982, pp. 109-112.
41
Kemp 1982, p. 173; Emboden 1987, p. 135; Fiorio 2006,
pp. 21-29; Cordera 2008, p. 29; Fiorio 2015, p. 90; Fiorio
2018, p. 17.
42
Codice Atlantico, f. 187r (ex 67r-a). Cfr. Marinoni, Pedretti 2000, vol. I, p. 240 e Leonardo: Favole e Facezie 2013,
p. 28, n. 18.
43
Cfr. Descendre 2010; l’introduzione di C. Vecce, in Leonardo: Favole e Facezie 2013, pp. 9-14 e M. Versiero, in La
biblioteca di Leonardo 2015. Per ulteriori riferimenti al tema
si veda infra III.2.
44
Codice Atlantico, f. 715r (ex 265r-a). Cfr. Marinoni, Pedretti 2000, vol. II, p. 1396. Per un commento al passo, si
veda Vecce 2015, pp. 193-194.
45
Sulla raffigurazione delle rovine nell’arte della seconda
metà del Quattrocento si vedano le interessanti riflessioni
di Frommel 2013 e Conforti 2013, con richiami al contesto
fiorentino e milanese.
46
Per il dipinto (Vienna, Kunsthistorisches Museum,
Gemäldeglaerie, inv. 301), si rimanda alla scheda di M. Servi, in Mantegna 2008, pp. 206-207, n. 71, ove è sostenuta
la datazione longhiana al 1470 circa, non distante dal completamento della Camera degli Sposi; più precoce, al 1459
circa, la cronologia riferita invece da Christiansen 2010, pp.
41-46 ora accolta in Mantegna e Bellini 2018, p. 199.
47
Si veda quanto abbiamo evidenziato nel nostro contributo precedente in questa sede a riguardo (con relativa bilbiografia) e Fiorio 2018, pp. 21-22.
48
Ornamentazioni di questo tipo abbellirono la sala della
Balla del Castello Sforzesco di Milano (ex sala nova, nel
corpo meridionale della Corte Ducale) in occasione del
doppio matrimonio Este-Sforza del gennaio 1491, così
come emerge dalla descrizione offerta da una lettera di Eleonora d’Aragona al marito Ercole I di Ferrara (ASMo, Case
e Stato, 132; per la trascrizione cfr. P.L. Mulas, in Ludovicus
Dux 1995, pp. 52-55, nota 16; cfr. Ballarin 2010, p. 472). Il
gusto per decorazioni effimere monocrome è ben messo in
luce da P.L. Mulas, in Ludovicus Dux 1995, p. 53.
49
Azzi Visentini 2007, in particolare alle pp. 194-195.
50
Ballarin 2010, p. 512; Catturini 2016, p. 17; Palazzo 2016,
p. 130; Tasso 2017, nota 67.
51
Cfr. Pedretti 1978 (2007), pp. 64-66; Marani 1984a, pp. 102104, n. 12; Fiorio 2005, p. 168; Ballarin 2010, vol. I, pp. 468469; Catturini 2013-2014, p. 68, n. 157. Un breve richiamo al
foglio è proposto da Marani 2015a, p. 104, saggio che affronta
il tema del giardino all’interno della produzione pittorica e
disegnativa di Leonardo, Sala delle Asse compresa.
52
Cfr. Beltrami 1894a, pp. 382-383; Pedretti 1978 (2007), p.
66; Ballarin 2010, pp. 468-469.
53
Manoscritto H, ff. 50v, 78r, 79r, 89r (circa 1494). Cfr. Pedretti 1978 (2007), pp. 63-71; Schofield 1982, pp. 100-101;
Giordano 2012, pp. 217-218.
54
Breventano 1570, ff. 11v-12r (cfr. Edit 16 CNCE 7562);
Schofield 1982, p. 101; Giordano 2012, p. 218.
55
Schofield 1982, pp. 94-97; L. Giordano, in Ludovicus Dux
1995, pp. 33-36.
56
Manoscritto H, ff. 65v, 38r (1494). Cfr. Giordano 2012,
p. 217. Gli interessi botanici e ‘agronomici’ di Leonardo
trovarono spazio, a Milano, anche nell’orto situato a Porta
Vercellina, fornito di una vigna di sedici pertiche: il terreno
fu acquisito dall’artista fra l’autunno 1498 e l’aprile 1499,
su dono di Ludovico il Moro (cfr. Beltrami 1920); perciò,
anche se in mancanza di dati probanti, Costa 2006, pp. 200201 (riprendendo Beltrami 1902, p. 61) ipotizza che potesse
essere il pagamento ducale per la realizzazione dei “moroni”
dipinti nella Sala delle Asse.
57
Per un commento ulteriore al testo, pubblicato anche da
Schofield 1982, p. 138, Appendice 1, cfr. 3.1. Utile in riferimento al gusto antiquario presso la corte del Moro, Agosti
1990, pp. 61-63.
58
Si veda supra II.3 e lo studio di Pizzoni 2018-2019.
59
Cfr. Morley 1979, p. 554; L’architettura, le feste 2010,
pp. 138-139, n. 38; per le radici fiorentine di una simi-
le sensibilità si rimanda infine a Rinaldi 1994, pp. 7-12.
Marani 2015a, pp. 101-102; Emboden 1987, pp. 43-72.
61
Si veda ancora Alberti nel saggio precedente e cfr. Marani
1990, p. 10 (da cui le citazioni nel testo); Pirovano 1981;
Villata 2004.
62
Ancora, si evidenzia come Marani 1990, p. 10 avesse intuito
il dato confermato dai recenti risultati del cantiere di restauro.
63
Si veda quanto esposto nel capitolo iniziale. Si rimanda
sempre a Villata 2015, p. 295 per le interessanti osservazioni
relative al superamento della prospettiva tradizionale nello
“spazio continuo e in vitale movimento” della camera dei
moroni; sul tema del paesaggio nella sala, anticipatore di
motivi poi ripresi nell’arte del Cinquecento, anche Marani
2004, pp. 126-127.
64
Nel richiamare il Paesaggio giovanile disegnato da Leonardo il 5 agosto 1473 (Firenze, Gabinetto dei Disegni e delle
Stampe degli Uffizi, inv. 8 P) si veda l’efficace analisi proposta in nuce da Faietti 2008, p. 64, poi ampliata in Faietti 2015
e Faietti 2016; in rapporto alla Sala delle Asse, si rimanda
anche alle osservazioni di Fiorio 2018, p. 6.
65
Nova 2015, p. 300, in un commento al Paesaggio 8 P degli
Uffizi.
66
Si veda supra II.3.
67
Pedretti,Vecce 1995, p. 138, [13].
60
II.4. LEONARDO, LA NATURA, IL GIARDINO, IL PAESAGGIO
153