Nothing Special   »   [go: up one dir, main page]

Academia.eduAcademia.edu

A. M. Penati, Leonardo, la natura, il giardino, il paesaggio, in Leonardo Da Vinci. La Sala delle Asse del Castello Sforzesco. All'ombra del Moro, a cura di C. Salsi, A. Alberti, SilvanaEditoriale, Cinisello Balsamo 2019, pp. 132-153

2019

Anna Maria Penati 4. Leonardo, la natura, il giardino, il paesaggio Novità di Leonardo fra naturalismo e illusionismo Di certo le pitture della “Sala delle Asse” rappresentano un esperimento geniale di Leonardo di portare nella decorazione murale quegli intrecci arborei, quelle cupole di verdure che egli aveva usato nelle sue architetture effimere di feste […]. Era stato ispirato in questo tipo di decorazione, per i nodi, dallo stesso suo maestro fiorentino, il Verrocchio e dalla sua propria insistente simbolistica su questo elegantissimo giuoco, per le fronde, vagamente, dall’arazzeria francese, – ne è da dimenticare la presenza di Bramante – ma tutti gli esempi precedenti erano stati da lui superati e risolti nella sua invenzione e in tutto il suo senso dell’inserimento della vita della natura nell’immagine artistica, anche nelle forme di applicato abbellimento o nelle più labili. Ed il grande abbozzo di rocce, radici e tronchi era anch’esso un’idea per sostituire le tradizionali architetture basamentali dipinte con una larga pagina di forme naturali1. Nel 1957 Giorgio Castelfranco delineava con rara efficacia i motivi di originalità della sala alberata dipinta da Leonardo. L’assimilazione, la comprensione, il superamento dei modelli tipologici e decorativi più antichi avveniva grazie al dirompente “inserimento della vita della natura nell’immagine artistica”. L’attuale aspetto della sala e la scoperta di nuovi brani naturalistici sulle pareti dell’ambiente non fanno che confermare questa chiave interpretativa e incoraggiare, anche per il futuro, una linea di ricerca volta 132 II. LA CAMERA DELLA TORRE ad approfondire i legami esistenti fra il progetto ludoviciano e la rappresentazione della natura nell’arte di Leonardo e dei suoi contemporanei. Per l’artista di Vinci lo studio della realtà fenomenica, nei suoi elementi sia costitutivi che atmosferici, era un’urgenza intrinseca, radicata nel milieu storico-culturale coevo ma al contempo unica nelle sue istanze conoscitive, capaci di coniugare scienza e arte, natura e pittura. Lo strumento privilegiato per l’indagine del reale è il disegno, che Leonardo – nella scioltezza derivatagli da una formazione fiorentina e da una propensione grafica peculiare – adeguava alla registrazione del dato reale, talvolta estemporanea e immediata, talora rielaborata nell’arduo tentativo intellettuale di comprendere le leggi naturali che regolano il cosmo2. Perciò nella “camera della torre” le riflessioni leonardesche intorno ai temi della natura, del giardino e del paesaggio conferiscono alla tradizionale tipologia delle sale dipinte a motivi arborei una cifra inconfondibile e di sperimentale novità, sia compositiva che iconografica: inoltre, al di sotto della volta di gelsi intrecciati e accanto alle rocce del cosiddetto Monocromo, i disegni preparatori recentemente riscoperti rivelano in maniera ancor più genuina le tangenze con le ricerche grafiche e scientifiche condotte da Leonardo nella Milano di fine Quattrocento, mentre l’artista lavorava presso la corte sforzesca, nelle poliedriche vesti di ingegnere militare, scultore, pittore, scenografo. La sala di rappresentanza voluta da Ludovico il Moro rappresenta l’estremo esito di quella 1. Tronco di gelso. Milano, Castello Sforzesco, Sala delle Asse, parete nord-est stagione e come tale esprime in maniera magistrale il connubio fra arte e natura. Una visione della realtà naturale, organica e vitalistica, improntata allo studio empirico del mondo, permea sia le chiome degli alberi dipinti – intuibile pur nella restituzione dei due restauri – che il sottobosco in cui essi affondano le loro radici; ma l’enorme trompe-l’œil del pergolato, in dialogo con il giardino esterno, è anche un raffinato artificio cortese, attraverso il quale, cercando di sorprendere l’osservatore, si aspirava al contempo a un fine più alto: la celebrazione allegorica del duca3. Gli studi “di naturale”: botanica e geologia della sala Lo spazio riservato alla raffigurazione della natura – e, in particolare, alla natura arborea – è l’aspetto che, da Beltrami in avanti, si è sempre riconosciuto come il più autentico contributo leonardesco all’opera commissionata da Ludovico4: quasi che l’artista intendesse rivendicare, anche all’interno dello spazio ducale, la propria immaginazione creativa, più volte celebrata come “deità del pittore” nelle pagine del suo Trattato della pittura. Proprio i precetti del Trattato – raccolti probabilmente entro il 1540 da Francesco Melzi (circa 1493 - 1567), fedele allievo di Leonardo ed erede dei manoscritti e dei materiali grafici – offrono la normalizzazione teorica di quanto l’artista toscano aveva già potuto sperimentare sul campo, studiando la real- II.4. LEONARDO, LA NATURA, IL GIARDINO, IL PAESAGGIO 133 2. 5. Leonardo da Vinci, Studi di ramificazione. Parigi, Institut de France, Manoscritto M, f. 78v Leonardo da Vinci, Boschetto di betulle. The Royal Collection / HM Queen Elisabeth II, RCIN 912431r 3. Leonardo da Vinci, Studi di ramificazione. Parigi, Institut de France, Manoscritto M, f. 77v 4. 6. Alberelli di gelso. Milano, Castello Sforzesco, Sala delle Asse, parete sud-est (Foto M. Ranzani, 2019) Leonardo da Vinci, Studio di alberi. Parigi, Institut de France, Manoscritto L, f. 81v MANCANTE ANTEPRIMA DA WORD tà fenomenica in disegno e pittura5. Il ricordo delle proporzionate geometrie del grande pergolato di gelsi, ad esempio, sembra riemergere nei passi della parte sesta del Trattato (De li alberi 134 II. LA CAMERA DELLA TORRE e verdure), dedicati alla ramificazione arborea e ai principi della fillotassi e per lo più rielaborati da Melzi sulla base degli appunti vinciani contenuti nel Manoscritto G dell’Institut de France, databili intorno al 15106. In anni più vicini all’invenzione della Sala delle Asse si pongono invece due fogli del Manoscritto M (figg. 2-3), che modellano con attenzione le forme arboree indagando di pari passo lo sviluppo ramificato delle piante ad alto fusto e la loro esposizione ai raggi solari; talora ritenuti studi preparatori per i gelsi della “camera della torre” (fig. 4), in effetti ben avvicinabili ai due disegni del taccuino sia per cronologia che per comune sensibilità nella rappresentazione dell’ordine naturale7. Gli studi botanici approfonditi da Leonardo negli anni novanta del Quattrocento e qui riprodotti si saldano inoltre alle numerose ricerche di ottica e percezione visiva condotte dall’artista nell’intero arco del suo soggiorno milanese, con importanti esiti nelle opere pittoriche da lui realizzate in quel periodo8. La curiosità per i meccanismi della visione oculare spiega anche l’attenzione riservata all’incidenza di luci e ombre sulla percezione dei colori delle chiome arboree, aspetto di cui danno conto, oltre a diversi testi vinciani9, alcuni fogli che ben traducono – con il solo mezzo grafico della pietra rossa, trattato con estrema morbidezza tonale II.4. LEONARDO, LA NATURA, IL GIARDINO, IL PAESAGGIO 135 – i passaggi chiaroscurali fra i rami in ombra e “le foglie lustre per il sole che le allumina”10 (fig. 5). La raffigurazione botanica, curatissima, restituisce con estrema freschezza lo sviluppo spontaneo del paesaggio boschivo, in cui tronchi, polloni e chiome frondose si uniscono in una sola macchia arborea, avvolta dalla densità dell’aria (fig. 6) – un’immagine difficilmente indipendente, forse, dal progetto della “camera dei moroni”11. Il tema dell’accrescimento delle piante (anticipazione della più moderna fisiologia vegetale) è inoltre approfondito da Leonardo con uno sguardo ai due fattori naturali che lo determinano, la luce solare – fonte vitale oltre che elemento costitutivo dell’atmosfera (fig. 7) – e l’acqua, come ricorda un poetico passo del Trattato della pittura: “Il sole dà spirito e vita alle piante; e la terra co’ l’umido le notrisce […]. La foglia è tetta ovvero poppa del ramo o frutti che nascon l’anno che viene”12. Al netto delle ridipinture novecentesche, l’idea di una natura feconda, prodiga di frutti, trapela anche dalle fronde dei gelsi della Sala della Asse, associati alla celebrazione encomiastica del committente. La trasfigurazione allegorica della composizione non limitava però in alcun modo la veridicità del soggetto botanico scelto. In particolare, l’identificazione dei diciotto alberi del pergolato leonardesco nella specie del gelso (in latino Morus celsa) trova riscontro in un foglio del Codice Atlantico databile agli anni 1498-149913 (fig. 8): esso restituisce, come alcuni brani pittorici originali tuttora visibili, la carnosità delle bacche e delle foglie cuoriformi, dal profilo seghettato, tipiche della pianta coltivata per l’allevamento dei bachi da seta, riconoscibile in sala guardando anche alle nodosità dei tronchi14. La preponderante presenza dei “moroni” nella camera castellana non esclude tuttavia la possibilità che il pergolato dipinto potesse arricchirsi anche di qualche altra specie botanica, dalle foglie talvolta lobate e talora lanceolate – benché la parziale perdita della pittura originale, in molti punti della volta, renda difficile qualsiasi ipotesi. Sicuramente, anche nella rappresentazione della sola essenza del gelso, Leonardo avrebbe imitato la “tanto dilettevole natura e copiosa nel variare, che infra li alberi della medesima natura non si trovarebbe una pianta ch’appresso somigliassi all’altra, e non che le piante, ma li rami, o foglie, o frutti di quelle, non si troverà uno che precisamente somigli a un altro […]”15. 136 II. LA CAMERA DELLA TORRE 8. Leonardo da Vinci, Foglia e frutto di gelso. Milano, Veneranda Biblioteca Ambrosiana, Codice Atlantico, f. 713r 9. Monocromo, particolare botanico. Milano, Castello Sforzesco, Sala delle Asse, parete nord-est 10. Monocromo, particolare botanico. Milano, Castello Sforzesco, Sala delle Asse, parete nord-est Così, anche le presenze vegetali nel sottobosco della sala aspiravano ai medesimi intenti mimetici: in particolare, le erbe delineate fra le rocce squadrate del Monocromo sono state recentemente interpretate come un gigaro in frutto (Aurum maculatum; fig. 9) e un giaggiolo domestico (Iris germanica; fig. 10)16, in precedenza ritenuto simile, invece, al giunco palustre (Typha latifolia), studiato poco più tardi nella serie di fogli vinciani preparatori al dipinto della Leda col cigno17. L’indagine botanica dispiegata nella Sala delle Asse trovava in Leonardo un radicamento profondo, nato dalla pratica disegnativa giovanile, dalla propensione personalissima per lo studio “di naturale” di piante e verzure e dalla conoscenza dei testi, antichi e moderni, che, come si è visto, erano disponibili nella 7. Leonardo da Vinci, Studio sull’illuminazione di un albero. Parigi, Institut de France, Manoscritto I, f. 37v sua biblioteca o in altre raccolte librarie a lui accessibili, sia a Firenze che a Milano. Giunto nella città degli Sforza nel 1482, pare che l’artista avesse portato con sé, in cima a un elenco di numerosi altri oggetti, “molti fiori ritratti di naturale”18, a conferma di quanto racconta Giorgio Vasari, che ce lo descrive sin dall’apprendistato presso il Verrocchio come eccellente “pittore di erbe”, sempre studiate dal vivo19. Nel clima della Firenze laurenziana – incline a una certa idealizzazione di figure e natura – Leonardo si sarebbe distinto, sempre secondo Vasari, per la mimetica rappresentazione della realtà in un perduto cartone raffigurante il Peccato originale, destinato alla tessitura di un arazzo, nelle Fiandre, che sarebbe poi giunto in dono al re di Portogallo, dipingendo “di chiaro e scuro lumeggiato di biacca un prato di erbe II.4. LEONARDO, LA NATURA, IL GIARDINO, IL PAESAGGIO 137 infinite con alcuni animali, che invero può dirsi che in diligenza e naturalità al mondo divino ingegno far non la possa sì simile”20. Di seguito, la veridica rappresentazione delle specie botaniche, pur investite di sottili significati simbolici, si sarebbe via via perfezionata, come rivela la lenticolare indagine della natura, di ascendenza fiamminga, nel ritratto della fiorentina Ginevra Benci (fig. 11). L’ambiente milanese avrebbe fornito ulteriori stimoli ai molteplici interessi scientifici di Leonardo21, aiutandolo a elaborare una visione organica, manifestata, poi, anche nella Sala delle Asse. Oltre che raccogliere nella propria biblioteca le principali fonti botaniche della letteratura antica e dell’enciclopedismo medievale (da Teofrasto alla Naturalis Historia di Plinio, dal De rerum natura di Lucrezio sino ad Alberto Magno e al poema di Cecco d’Ascoli)22, Leonardo conobbe quasi certamente la tradizione lombarda dei Tacuina Sanitatis e degli erbari illustrati (fig. 12)23. Alcune testimonianze rivelano la curiosità del maestro toscano per questi libri contenenti la descrizione scientifica delle diverse essenze, ispirata al De materia medica di Dioscoride (risalente al I d.C.)24. Pure nella biblioteca dello stesso Leonardo, ormai a inizio Cinquecento, si registra un “Erbolarjo grande” che potrebbe identificarsi nelle più moderne edizioni a stampa dell’Herbarius latinus di Petrus Schöffer (Magonza 1484), in una sua versione manoscritta in volgare o anche in altre simili pubblicazioni coeve25. D’altronde, dal suo primo soggiorno milanese in avanti, lo stesso artista coltivò, pur in modo discontinuo, il desiderio di creare una propria trattazione scientifica sui temi della botanica, corredandola di raffigurazioni sistematiche delle diverse specie erbacee, memori – nella chiarezza incisoria dello stile grafico e nell’impostazione della pagina – degli erbari a stampa circolanti in Nord Italia alla fine del XV secolo (fig. 13)26. Dopo l’episodio della “camera dei moroni” (a cui vanno affiancati, negli anni precedenti, la Vergine delle Rocce e, ancor più, le ghirlande dipinte nelle lunette del Cenacolo), la pittura ‘botanica’ di Leonardo trovò a inizio Cinquecento il suo esito più virtuosistico nel progetto del perduto dipinto di Leda, immersa in un’ambientazione naturalistica studiata da una splendida serie di fogli che descrive con estrema precisione erbe, fiori, foglie e frutti pensati per la composizione (fig. 14)27. Fra questi, un rametto di more (Rubus fruticosus) rivela la perfetta 138 II. LA CAMERA DELLA TORRE con più ampie ricerche di ambito idrodinamico (fig. 17); e, infine, avrebbe perfezionato la similitudine morfologica e fisiologica fra il microcosmo umano, il microcosmo vegetale e il macrocosmo della terra29: E come il basso sangue in alto surge e per le rotte vene della fronte versa, e come dalla inferiore parte della vite l’acqua surmonta a sua tagliati rami così dall’infima profondità del mare l’acqua s’innalza alle sommità de’ monti, dove trovando le sue vene rotte, per quelle cade e al basso mare ritorna30. 11. Leonardo da Vinci, Ginevra de’ Benci, particolare, olio su tavola. Washington, National Gallery of Art, Ailsa Mellon Bruce Fund, inv. 1967.6.1.a 12. Anonimo lombardo, Morus, circa 1440, miniatura; in Tractatus de Herbis,. Londra, British Library, Manoscritto Sloane 4016, f. 61v compenetrazione raggiunta fra l’unità cromatica della tecnica grafica adottata dall’artista e una fine descrizione morfologica della pianta e delle sue peculiarità botaniche (fig. 15)28. Gli studi di natura condotti da Leonardo, dagli anni milanesi sino al primo decennio del Cinquecento, pur nella loro crescente analiticità, si sarebbero indirizzati a una concezione sempre più organica e complessa del mondo naturale. Privilegiando un andamento mentale di tipo analogico, l’artista avrebbe accostato le leggi della ramificazione arborea a quelle delle acque e della loro canalizzazione (fig. 16); indagando l’anatomia, avrebbe individuato un’affinità fra la circolazione dei flussi corporei (soprattutto cardiovascolari) e il movimento della linfa vegetale, in rapporto Tali suggestioni trovavano forse già spazio nel progetto della “camera dei moroni”, specie nella raffigurazione del sottobosco in cui si insinuano con estrema vitalità le poderose radici dei tronchi di gelso. È in particolare il cosiddetto Monocromo, all’angolo nord-orientale della sala (fig. 18), a farci comprendere come la parte inferiore dell’ambiente potesse apparire nell’idea – poi incompiuta – di Leonardo, benché grazie al recente intervento di descialbo anche nell’angolo opposto siano emerse flebili tracce di quello che sembrerebbe un terrapieno costituito da ampie superfici litiche, lisce e regolari31. Fin dalla sua definitiva riscoperta, avvenuta negli anni cinquanta del secolo scorso32, nel Monocromo si riconosceva l’espressione degli interessi naturali e più propriamente geologici coltivati da Leonardo, declinati nella rappresentazione cosmologica delle forze di una natura selvaggia, controllata dall’uomo – all’interno della stessa sala – nelle forme armoniose del pergolato sovrastante. Leonardo accoglieva come i suoi contemporanei la curiosità per le forme (talvolta bizzarre) delle concrezioni rocciose esistenti in natura33, ma ben presto sarebbe arrivato a indagarne, in modo più concreto, anche le cause d’erosione, riconoscendo nell’acqua il motore principale della transmutazione del mondo (fig. 19)34. Sarà la più tarda serie dei Diluvi, talvolta considerata estremo, apocalittico esito della composizione del Monocromo35, a dar conto della furia di agenti atmosferici e acque, capace di sconvolgere “le deradicate piante, miste co’ sassi, radici, terra e schiuma”36. Le pietre squadrate protagoniste della fascia inferiore della sala, dalle forme estremamente regolari, sembrano invece alludere a una dimensione che non è scevra dall’intervento dell’uomo. Già in passato accostate ai “muri inbrattati di varie machie o pietre” che Leonardo descriveva come stimolo per la fantasia II.4. LEONARDO, LA NATURA, IL GIARDINO, IL PAESAGGIO 139 13. Leonardo da Vinci, Studio di viole. Parigi, Institut de France, Manoscritto B, f. 14r 14. Leonardo da Vinci, Leda e il cigno. Rotterdam, Museum Boijmans Van Beuningen, inv. I 466 (PK) del pittore37, le rocce del Monocromo poterono forse imitare, in parte, anche formazioni geologiche realmente esistite in natura38, benché – a differenza di quanto accadeva per l’uso degli erbari nello studio della botanica – i testi dei lapidari medievali che l’artista pur possedeva dessero spazio più alla narrazione delle virtù miracolose di pietre e gemme, che a descrizioni di impronta scientifica39. Non è escluso che nella composizione di rocce e radici pensata per la sala si potessero annidare anche significati simbolici, di carattere celebrativo: se si pensa alla posizione privilegiata del Monocromo in rapporto al camino, elemento architettonico tradizionalmente associato alla raf- 140 II. LA CAMERA DELLA TORRE figurazione di motivi araldici, forse anche le radici del gelso lì rappresentate richiamavano il repertorio delle imprese visconteo-sforzesche, come si illustrerà nel prossimo capitolo40. La favola vinciana della noce e della cornacchia, databile intorno al 1490 e spesso rievocata come anticipazione letteraria del sottobosco che fu poi creato nella “camera della torre”, allude invece a una dimensione più prettamente antropizzata41: Trovandosi la noce essere dalla cornacchia portata sopra un alto campanile, e per una fessura dove cadde fu liberata dal mortale suo becco, pregò esso muro, per quella grazia che Dio li aveva dato II.4. LEONARDO, LA NATURA, IL GIARDINO, IL PAESAGGIO 141 15. Leonardo da Vinci, Ramo di more, particolare. The Royal Collection / HM Queen Elisabeth II, RCIN 912420r 16. Leonardo da Vinci, Sistemazione del piano stradale per il deflusso delle acque lungo il corso di Porta Vercellina e studi di ramificazione. Milano, Veneranda Biblioteca Ambrosiana, Codice Altantico, f. 551v 142 II. LA CAMERA DELLA TORRE 17. 18. Leonardo da Vinci, Disegni anatomici sul cuore e la circolazione sanguigna. The Royal Collection / HM Queen Elisabeth II, RCIN 919073v Monocromo, dettaglio di pietre e radici. Milano, Castello Sforzesco, Sala delle Asse, parete nord-est (foto M. Ranzani, 2015) II.4. LEONARDO, LA NATURA, IL GIARDINO, IL PAESAGGIO 143 19. Leonardo da Vinci, Fiume che scorre tra le rocce. The Royal Collection / HM Queen Elisabeth II, RCIN 912395 20. Leonardo da Vinci, Adorazione dei magi, particolare. Firenze, Galleria degli Uffizi, inv. 1890 n. 1594 21. Andrea Mantegna, Dalila e Sansone, circa 1500, tempera magra su tela. Londra, The National Gallery, inv. NG1145 dell’essere tanto eminente e magno e ricco di sì belle campane e di tanto onorevole sono, che la dovessi soccorrere; perché, poi che le non era potuta cadere sotto i verdi rami del suo vecchio padre, e essere nella grassa terra ricoperta dalle sue cadenti foglie, che non la volessi lui abbandonare: imperò ch’ella, trovandosi nel fiero becco della cornacchia, ch’ella si botò, che, scampando da essa, voleva finire 144 II. LA CAMERA DELLA TORRE la vita sua ’n un picciolo buso. Alle quali parole il muro, mosso a compassione, fu contento ricettarla nel loco ov’era caduta. E in fra poco tempo la noce cominciò aprirsi, e mettere le radici infra le fessure delle pietre e quelle allargare e gittare i rami fori della sua caverna; e quegli in brieve levati sopra lo edifizio e ingrossate le ritorte radici, cominciò aprire i muri e cacciare le antiche pietre de’ loro II.4. LEONARDO, LA NATURA, IL GIARDINO, IL PAESAGGIO 145 vecchi lochi. Allora il muro tardi e indarno pianse la cagione del suo danno e, in brieve aperto, rovinò gran parte delle sua membre42 . L’apologo, memore dei racconti classici di Esopo (autore presente nella stessa biblioteca leonardesca43), descrive la potenza della natura al confronto con la fragilità degli antichi muri di un edificio eretto dall’uomo. Così, anche nel Monocromo sembra possibile cogliere il medesimo paragone fra natura e arte, e nelle sue rocce, scorciate da sotto in su, l’allusione ad antiche pietre di costruzione. Il tema, di sapore vagamente antiquario, avrebbe trovato negli scritti di Leonardo la consueta declinazione scientifica, volta a indagare i tempi e i meccanismi geologici in base ai quali l’accrescimento della terra, nel corso del tempo, fagocita le vestigia della civiltà umana: Or non vedi tu negli alti monti i muri delle antiche e disfatte città essere da l’accrescimento della terra occupate e nascoste? Or non si è veduto le sassose cime de’ monti la viva pietra per lungo tempo col suo accrescimento avere inghiottito una appoggiata colonna e, scalzata co’ taglienti ferri e quella trattane, avere lasciato nel vivo sasso la sua accanalata forma?44 Sospese fra naturalità e artificio, le rocce della sala sembrerebbero recuperare in modo peculiare questa stessa sensibilità, riallacciandosi – pur sottilmente – al filone degli studi antiquari che attraversa l’arte del Quattrocento e che tangenzialmente interessa lo stesso Leonardo, fin dai suoi esordi fiorentini (fig. 20)45. Il già segnalato accostamento fra il Monocromo e alcune incisioni di scuola mantegnesca è in questo senso suggestivo, così come il confronto – pur meramente iconografico – con varie opere pittoriche dipinte dall’artista padovano attivo alla corte dei Gonzaga. L’immagine del muro di pietre sbrecciate, coperte di arbusti e radici – già adottata con forte intento antiquario da Mantegna, ad esempio nel suo San Sebastiano (circa 1457-1459)46 – non sembra essere poi così lontana dalla composizione della Sala delle Asse; il medesimo topos prende forma, mutando ancora una volta, anche nella pagina del Paulo e Daria di Gaspare Ambrogio Visconti (miniata intorno al 1495 e citata in precedenza in rapporto ai cinquecenteschi affreschi dello Studiolo di Viboldone), a riprova della probabile circolazione milanese di un modello comune47. Anche il raffinato 146 II. LA CAMERA DELLA TORRE incontro fra natura arborea e rocce squadrate, che incornicia ad arte la scena monocroma di Dalila e Sansone (fig. 21), parla un linguaggio affine a quello che Leonardo avrebbe potuto recepire nella Milano sforzesca, dove le decorazioni in grisaille, “al colore del marmoro umbrato”, erano particolarmente amate nelle feste di corte, a rievocare forme e cromie dei bassorilievi antichi48. “Lochi ombrosi o foschi ne’ tempi caldi”: giardino e paesaggio All’originale concezione leonardesca della “camera della torre” poté contribuire, infine, l’attenzione che l’artista riservò, proprio nel contesto milanese, allo studio dei giardini e alla diretta esperienza degli spazi verdeggianti circostanti il castello, che i duchi amavano frequentare49. Come si è già evidenziato in precedenza, la sala posta al cantone nord-orientale della fortezza sforzesca godeva di un rapporto privilegiato con il cosiddetto “zardino” castellano, sito oltre il fossato, e con il barco ducale, la riserva di caccia che si apriva oltre la Ghirlanda. Il grande pergolato dipinto traduceva quindi nelle forme di un imponente trompe-l’æil la reale contiguità di questi spazi, la cui presenza era probabilmente percepibile anche attraverso i due finestroni dell’ambiente50. In un dialogo costante fra interno ed esterno, fra finzione e natura, Leonardo intrecciava in una sola invenzione la sua personale sensibilità per lo studio del mondo fenomenico e il gusto artificioso degli allestimenti di corte – spesso abbelliti da fastosi motivi vegetali più volte ricordati (fig. 22). Negli anni trascorsi al servizio del Moro, l’artista aveva osservato le effimere strutture architettoniche disseminate nei giardini ducali, per poi progettarne di nuove. In particolare, in un foglio del Manoscritto B disegnava il “padiglione del zardino della duchessa di Milano”, un grazioso edificio a pianta centrale, coperto da cupola con lanternino, che sembra identificabile in una costruzione già esistente nel parco di Porta Giovia dalla fine degli anni sessanta del Quattrocento (fig. 23)51. Un simile padiglione era stato infatti costruito da Galeazzo Maria nella cascina, munita di ponte levatoio, destinata alla duchessa Bona di Savoia: un visitatore fiorentino, l’umanista Giovanni Ridolfi (1448-1514), ce lo descri- 22. Giovan Pietro Birago, Mese di maggio, 1490-1494, miniatura appartenuta al manoscritto delle Ore Sforza. Londra, British Library, Add MS 62997 ve, nel 1480, circondato da “acque vive con siepe a mo’ di labirinto, et evi una pergola”, elementi che – se ancora esistenti al tempo in cui giunse Leonardo – poterono affascinare l’artista52.Vari suoi progetti successivi ripropongono l’idea di un padiglione in legno, da usarsi a Vigevano, residenza prediletta da Ludovico e Beatrice53; si trattava di una struttura modulare, a pianta quadrata, con tetto piramidale e finestre apribili, forse più simile a un’alcova trasportabile che a un luogo di delizie quale doveva apparire, invece, il padiglione milanese – o, oltre a esso, anche una simile costruzione attestata nel parco ducale di Pavia e ricordata delle fonti cinquecentesche quale bagno dove “nel tempo di gran caldo, venivano a lavarsi i Duchi e le Duchesse”54. Nei dintorni di Vigevano, sorgeva inoltre la Sforzesca, grande tenuta agricola fondata da Ludovico a partire dal 1486 e assegnata al novero dei beni della consorte Beatrice d’Este55. Votata all’allevamento di razze pregiate e alla coltivazione di gelsi, viti e noci – a cui Leonardo stesso s’interessò, in alcuni studi per nuovi sistemi di irrigazione56 – la fattoria accoglieva anche qualche spazio di carattere più eminentemente ornamentale, come il labirinto di melograni con la statua del minotauro che il letterato Domenico Maccaneo, forse non senza qualche licenza poetica, descrisse nel suo Chorographya Verbani Lacus dedicato a Gaspare Ambrogio Visconti (Milano 1490), una notizia che sarà ripresa e discussa nel prossimo capitolo57. Simili sollecitazioni, unite alla già evocata circolazione milanese di testi letterari dedicati al topos del giardino (primo fra tutti il De agricultura di de’ Crescenzi58), poterono agire anche nell’invenzione leonardesca del pergolato della sala, che, pur nella naturalità della sua composizione, recupera i ritmi armoniosi e controllati delle coeve architetture vegetali, non avulse da un certo gusto per gli horti all’antica, diffuso nella cultura del tempo (fig. 24)59. Tale aspetto avrebbe trovato maggiore consistenza nei progetti per giardini di delizie sviluppati dall’artista dagli inizi del Cinquecento in poi, in particolare per la villa milanese di Charles d’Amboise e più tardi per la residenza di Romorantin di Francesco I di Francia60; ma già al termine del soggiorno presso il Moro, l’artista sembrava offrire una prima, peculiare sintesi del tema proprio negli spazi dipinti della “camera della torre”. All’illusionistica costruzione della pergola sorretta da diciotto tronchi di gelso, Leonardo univa l’elemento del paesaggio – rinnovando i già ricordati precedenti delle sale alberate e della pittura di giardini. Distante dalla tradizione delle sale nord-italiane di contesto profano in cui le decorazioni parietali erano trattate come “spazi avulsi dal loro contesto architettonico o come se simulassero arazzi o tappeti” di gusto ancora squisitamente gotico, l’artista toscano si riallacciava piuttosto al cambiamento inaugurato in palazzo Borromeo o a Castiglione Olona, proseguendo la via aperta a Milano da Foppa, Bergognone e Zenale, nel crescente uso di una prospettiva illusionistica61. I risultati del recente restauro condotto sulle pareti della sala confermano come, al di là degli alberi e del sottobosco posti in primo piano, l’innovazione di Leonardo passasse attraverso “i principi dello sfondamento delle pareti”, grazie ad aperture II.4. LEONARDO, LA NATURA, IL GIARDINO, IL PAESAGGIO 147 di soggetto paesistico62. Se ne coglie almeno una traccia nella piccola veduta collinare, di alberi e case in lontananza, delineata sul lato occidentale dell’ambiente. La perdita dell’intonaco originale nella fascia inferiore delle pareti impedisce purtroppo di valutare al colpo d’occhio l’effettiva incidenza del tema nell’intera composizione anticamente ideata 148 II. LA CAMERA DELLA TORRE da Leonardo. Tuttavia, i confronti con alcuni d’après cinquecenteschi della sala – in primis lo Studiolo del Priore a Viboldone – inducono a pensare che la presenza del paesaggio avesse un ruolo molto importante anche nell’immersione naturalistica progettata, con notevole grado di modernità, nel Castello di Milano63. L’artista fiorentino fin dall’età 23. 24. Leonardo, Padiglione della Duchessa e studio di fortificazione romboidale. Parigi, Institut de France, Manoscritto B, f. 12r Leonardo da Vinci, Studio per un muro da giardino. Milano,Veneranda Biblioteca Ambrosiana, Codice Atlantico, f. 988v giovanile si era mostrato sorprendentemente incline – in anticipo sui contemporanei – a rievocare con un linguaggio grafico analogico, estremamente personale, i dati del paesaggio reale (fig. 25)64. Calati in una dimensione sospesa fra naturalismo e astrazione, alberi, rocce, fiumi e paesi in lontananza si sposavano a un sentimento della natura che “po- trebbe essere definitivo, nei suoi primi anni, ‘petrarchesco’”65 e che a Milano proseguiva nelle immagini della poesia cortese, come nel Canzoniere miniato di Antonio Grifo66. “Il pittore è padrone di tutte le cose che possono cadere in pensiero all’omo” si sarebbe scritto nel Libro di Pittura, rivendicando il primato dichiarato da Leonardo finanche sui II.4. LEONARDO, LA NATURA, IL GIARDINO, IL PAESAGGIO 149 poeti e quasi ricordando l’incredibile bellezza di quei paesaggi dipinti che in Sala delle Asse sono oggi perduti: E se vol generare siti e deserti, lochi ombrosi o foschi ne’ tempi caldi, esso li figura, e così lochi caldi ne’ tempi freddi. Se vol valli, se vole delle alte cime de’ monti scoprire gran campagne, e se vole dopo 150 II. LA CAMERA DELLA TORRE quelle vedere l’orizzonte del mare, egli n’è signore, e se delle basse valli vol vedere li alti monti, o delli alti monti le basse valli e spiagge. Et in effetto, ciò ch’è ne l’universo per essenzia, presenzia o imaginazione, esso l’ha prima nella mente, e poi nelle mani, e quelle sono de tanta eccelenzia, che in pari tempo generano una proporzionata armonia in un solo sguardo qual fanno le cose67. 25. Leonardo da Vinci, Paesaggio. Firenze, Gabinetto dei Disegni e delle Stampe degli Uffizi, inv. 8 Pr 1 Castelfranco 1957 (p. 520) scriveva all’indomani della riscoperta del Monocromo nella Sala della Asse, riallestita dai BBPR negli anni cinquanta del secolo scorso. Il ritrovamento del potente brano raffigurante “rocce, radici e tronchi” – che Beltrami 1902 (pp. 66-67) aveva liquidato come “lavoro eseguito durante il periodo della dominazione spagnola” e perciò coperto nel primo allestimento della stanza – condizionò in modo significativo gli studiosi, spostando la loro attenzione verso una lettura della sala più attenta agli aspetti cosmologici e vitalistici della decorazione ideata da Leonardo (cfr. Penati 2018-2019, pp. 36-37). 2 Sul ruolo del disegno nella ricerca scientifica e artistica di Leonardo (confrontata a quella intrapresa dal più giovane artista norimberghese Albrecht Dürer) si vedano le riflessioni di Salvini 1977, p. 379, poi riprese da Marani 2007. Il valore creativo e conoscitivo del disegno è messo in luce anche da: Taglialagamba 2010, pp. 9-12, con utili rimandi al Trattato della pittura; Faietti 2008, pp. 63-68 e Bambach 2015 (in particolare pp. 59-60), con più specifico interesse per il segno grafico adottato dall’artista. 3 Syson 2011, p. 42 evidenzia bene nella sala l’abilità creativa di Leonardo “to transform the natural, as experienced by the senses, into something new, by the disciplined exercise of reason (scientia) and imagination (fantasia)”. 4 Beltrami 1902, p. 34. Entro la vasta bibliografia dedicata agli studi di botanica approfonditi da Leonardo si segnalano fin d’ora alcuni utili contributi di carattere monografico: De Toni 1922; Goldscheider 1952; Bazardi 1953; Emboden 1973; Morley 1979; Emboden 1987 (in particolare pp. 95114, 141-160); Ames-Lewis 1997; Marani 2008b; Cordera 2008; Taglialagamba 2010; Perissa Torrini 2013. 5 Per le vicende compositive del Libro di Pittura, composto da Francesco Melzi nel Codice Urbinate Latino 1270 della Biblioteca Apostolica Vaticana, si rimanda alla fondamentale edizione curata da Pedretti, Vecce 1995 e, in particolare, all’introduzione del volume firmata da Carlo Pedretti, pp. 11-81. Per i passi del Trattato citati nel testo, di qui in avanti, si è adottata la trascrizione critica curata da Carlo Vecce. 6 Cordera 2008, p. 30. L’eredità leonardesca nello studio della natura e, nella fattispecie, delle ramificazioni arboree, ben si coglie anche in alcuni disegni ricollegabili al magistero milanese dell’artista toscano (cfr. Wolk-Simon 2004, p. 48): l’albero attribuito a Cesare da Sesto (cfr. cat. 3 nella parte IV di questo libro; già richiamato da Beltrami 1902a, p. 40 in rapporto alla Sala delle Asse) e il foglio di Aurelio Luini (1530-1593), figlio di Bernardino, che descrive a penna e inchiostro, con efficace naturalismo, tronchi e rami arborei (Milano,Veneranda Biblioteca Ambrosiana, inv. F 264 inf. n. 29 recto e verso; R. Coleman, in Renaissance Drawings 1984, pp. 104-107, n. 44). Il tema trova un corrispettivo teorico, infine, nel capitolo De i moti de gl’arbori e di tutto ciò che si muove del Trattato dell’arte della Pittura di Giovanni Paolo Lomazzo (Lomazzo 1584, libro II, cap. XXIII; cfr. Edit 16 CNCE 78276); inoltre, per la possibile ricezione della Sala delle Asse negli scritti di Lomazzo si veda supra I.1 e II.3. 7 Cfr. Beltrami 1902, pp. 41-65; Marani 1984b, pp. 51-52 (con interessanti note sullo stile grafico, a tratteggi curvi e modellanti, adottato nel f. 77v); P.C. Marani, in Léonard de Vinci 2003, pp. 418-419, n. 148; Cordera 2008, p. 29; Fiorio 2018, p. 7. 8 Per un approfondimento sul tema si rimanda agli atti del convegno Leonardo da Vinci and optics 2013, curati da Francesca Fiorani e Alessandro Nova, e allo studio L’occhio di Leonoardo 2014. 9 Fiorio 2018, pp. 5-7; Palazzo 2018, p. 96. 10 Così recita il testo vinciano che compare al di sotto dello studio arboreo, sul verso del foglio di Windsor RCIN 912431 (1500 circa): “Quella parte dell’albero che campeggia di verso l’ombra è tutta d’un colore e dove li alberi overo rami son più spessi ivi è più scuro, perchè li manco si stampa l’aria. Ma dove li rami campeggiano sopra altri rami, quivi le parti luminose si dimostran più chiare e le foglie lustre per il sole che le allumina” (cfr. Fiorio 2018, p. 5 per un commento in riferimento a simili riflessioni contenute in altri scritti vinciani e nel Trattato della pittura). 11 Cfr. Fiorio 2018, pp. 5-6. 12 Pedretti, Vecce 1995, pp. 475-476, [832]; Bazardi 1953, p. 9. 13 Codice Atlantico, f. 713r (ex 264r-b); Botanica, intrecci 2011, p. 18 (con bibliografia precedente); Fiorio 2018, p. 7. 14 Per l’identificazione della specie del gelso (e in particolare del Morus alba) si veda quanto osservato nel cap. I.1 e l’analisi botanica di Banfi 2018-2019, pp. 61-64. 15 Pedretti,Vecce 1995, p. 342, [501]. 16 Banfi 2018-2019, pp. 63-65. 17 Per il confronto con l’arbusto di thypha latifolia (Windsor, The Royal Collection, RCIN 912430 verso, 1505-1510 circa; Clayton 2018, p. 142, n. 106) si vedano Castelfranco 1957, pp. 519-520 e Ottino Della Chiesa 1967, p. 100. 18 Codice Atlantico, f. 888r (ex 324r); cfr.Villata 1999, p. 15, doc. n. 19 con bibliografia precedente; Botanica, intrecci 2011 p. 8. 19 Cfr. Leonardo da Vinci 1982, p. 37; Cordera 2008, pp. 16-19; Botanica, intrecci 2011, p. 8. 20 Per la citazione, tratta dalle Vite di Vasari (1568), si veda Vasari 1966-1987, vol. IV [1976], p. 20. Cfr. Suida 1929 (2001), pp. 52-54; Tongiorgi Tomasi 2002, p. 22; Marani 2008b, p. 17; Taglialagamba 2010, p. 45. 21 Agosti 2002, pp. 18-27. 22 Per gli autori ricordati si vedano le note dell’articolo di Alessia Alberti che precede e la ricostruzione di Descendre 2010, pp. 592-595; La Biblioteca, il tempo 2009, p. 82; Perissa Torrini 2013, p. 101, con particolare riguardo per il Liber aggregationis seu Liber secretorum Alberti Magni de virtutibus herbarum, lapidum et animalium quorumda, probabilmente posseduto da Leonardo nella traduzione volgare del 1486 (cfr. anche Emboden 1987, p. 31) e utile fonte per lo studio delle scienze naturali. 23 Sulla tradizione dei Tacuina sanitatis, utile la lettura di Hoeniger 2016 e il suggestivo confronto fra la Sala delle Asse e le opere miniate da Giovannino de’ Grassi (1355/13601398) accennato da Rossi 2006, p. 22, nota 54. Per i motivi gotici recuperati dal pergolato leonardesco si veda supra II.3. 24 Cfr. Codice Forster III, f. 37v, circa 1493-1494 (Villata 1999, p. 81, doc. 78, con precedente bibliografia): “Maestro Giuliano da Marliano ha un bello erbolaro […]”. La nota sembra registrare la conoscenza (e forse la consultazione) da parte di Leonardo di un erbario posseduto da Giuliano da Marliano, personaggio dubitativamente riconoscibile nel “Giuliano da Marian medico” citato in un appunto del Codice Forster II (f. 43v, circa 1495; cfr.Villata 1999, p. 88, doc. 96, con precedente bibliografia). A commento della nota vinciana, si vedano le osservazioni di De Toni 1922, pp. 2526; Botanica, intrecci 2011, p. 22. 25 Cfr. Codice Madrid II, f. 2 v. Cfr. Emboden 1973, p. 3; Emboden 1987, pp. 30-31; Botanica, intrecci 2011, pp. 21-22; Fiorio 2016, pp. 172-173. Per l’identificazione dell’erbario posseduto da Leonardo nell’Herbarius latinus di Petrus Schöffer (Magonza 1484; ISTC ih00062000) si veda la ricostruzione di Descendre 2010, pp. 592-595. 26 Cfr. Ames-Lewis 1997, pp. 121-123; Reeds 2016; Fiorio 2016, p. 176. 27 Leonardo da Vinci 1982, pp. 43-45; Ames-Lewis 1997; Taglialagamba 2010, pp. 66-68; Perissa Torrini 2013, p. 99. Sul- II.4. LEONARDO, LA NATURA, IL GIARDINO, IL PAESAGGIO 151 la vicenda del dipinto perduto della Leda col cigno si vedano il catalogo della mostra Leonardo e il mito di Leda 2001 curato da Gigetta Dalli Regoli, Romano Nanni e Antonio Natali; utile, inoltre, la sintetica ricognizione di Versiero 2012, pp. 292-299. 28 Windsor Castle, The Royal Collection, RCIN 912420r, circa 1506-1512; cfr. Clayton 2018, p. 146, n. 110. 29 La questione del metodo analogico nel pensiero di Leonardo è stata puntualmente affrontata dal recente contributo di Nova 2016. Si vedano inoltre: sulle affinità fra anatomia e botanica, Cordera 2008, pp. 33-35 (cfr. inoltre cat. 2 nella parte IV); sulle analogie fra ramificazioni arboree e canalizzazioni idriche, Emboden 1987, pp. 92-93. 30 Codice Atlantico, f. 468r (ex 171r). Per la trascrizione del passo si veda Marinoni, Pedretti 2000, vol. II, p. 881. 31 Si veda supra I.1. 32 Tale lettura, inizialmente proposta da Baroni 1955 e Mariani 1957, trovava spazio anche nella descrizione del Monocromo contenuta nella terza edizione, in lingua italiana, di The drawings of the Florentine painters di Bernard Berenson, di rado citata nonostante il suo indubbio valore interpretativo: “Questi abbozzi rimessi in luce rimuovendo le spalliere che li nascondevano da cinquant’anni, non sono sinopie, bensì – pur su scala gigantesca – veri e propri disegni nei quali il chiaroscuro delle rocce, la modellatura classica delle radici sono ottenuti con un fitto tratteggio. Il concetto che ispirò Leonardo, nell’ideare la decorazione a fresco di questa sala, deve essere stato di rappresentare l’evoluzione dal sotterraneo mistero naturale alla simmetrica chiarezza dell’ordinamento umano. Infatti, dai tronchi che scandiscono le pareti, mentre in alto partono ramificazioni che s’incrociano secondo uno schema geometrico, accentuato dai regolari intrecci delle corde, in basso s’insinuano, fra le aspre stratificazioni terrestri, radici piene di una vita arcana e serpentina, irregolare, imprevista e vagamente malefica. Il contrasto fra questo mondo demoniaco e quello della logica armonia è oggi guastato dal fatto che ben poco rimane della parte inferiore e che la parte superiore, dei tronchi e delle fronde, ha acquistato, nelle successive ridipinture, una pesante meccanicità”. (Berenson 1961, II, pp. 203-204, n. 1048). La stessa dualità, nel confronto fra le forme naturali del Monocromo e la rigorosa geometria del pergolato, sarebbe poi stata messa in luce da Brizio 1981, pp. 68-69 e più recentemente sottolineata da Marani 2015, p. 105 (cfr. Catturini, Tosi 2017, pp. 278-280). 33 Per il tema dell’antropomorfismo delle rocce nella Sala delle Asse si ricordano le più fantasiose ipotesi di Gantner 1958 e Gantner 1959 (che intravedeva un teschio umano fra le pietra del Monocromo), l’interessate contributo di Berra 1999 (in particolare a p. 393) e l’efficace commento di Marani 2007, p. 60, nota 25 (con ampi rimandi al tema nella pittura di Zenale e Bramantino). 34 Per approfondire la tematica, già affrontata da De Lorenzo 1920 e Gianotti 1953, si vedano i più recenti contributi di Geddes 2015 e Laurenza 2015. 35 I paesaggi apocalittici dei Diluvi (tutti databili all’incirca fra il 1513 e il 1518, cfr. Leonardo da Vinci 1982, pp. 55-57; Clayton 2018, pp. 231-241) sono stati messi in correlazione con il Monocromo da: Mariani 1957, p. 59 (con specifico rimando al foglio di Windsor, The Royal Collection, RCIN 912376, circa 1513-1518); Villata 2000, p. 66; Fiorio 2015, p. 90; Fiorio 2016, p. 173. Inoltre cfr. cat. 6 della parte IV. 36 Pedretti,Vecce 1995, p. 178, [68]. 37 Cfr. Manoscritto A, f. 102v (ex Cod. Ashburnham 1875/2, f. 22v): “Non resterò però di mettere intra questi precietti una nuova inventione di speculatione, la quale benché paia piccola e quasi degnia di riso, nondimeno è di grande uti- 152 II. LA CAMERA DELLA TORRE lità a destrare lo ingeno a varie inventioni, e questa è se tu guarderai in alcuni muri inbrattati di varie machie o pietre di vari misti, se avrai a inventionare qualche sito potrai lì vedere similitudine di diviersi paesi, ornati di montagnie, fiumi, sassi, albori, pianure, grandi valli e colli in diversi modi, ancora vi potrai vedere diverse battaglie e atti pronti di figure, strane arie di volti e abiti e infinite cose”. Il passo poi rielaborato nel Libro di Pittura (Pedretti, Vecce 1995, I, pp. 177-178: II, 66) è accostato al Monocromo, seppur en passant, da Brizio 1981, p. 69 e poi da Berra 1999, p. 393. 38 In questo senso, si ricordano i raffronti proposti da Baroni 1955, p. 23 fra le rocce del Monocromo e alcuni fogli vinciani dedicati a vedute geologiche e fluviali, presenti nella Royal Collection di Windsor: RCIN 912395 (1482-1485 circa); RCIN 912401 (cfr. qui la parte IV); RCIN 912394 (15101513 circa). 39 Al riguardo, si vedano Emboden 1987, p. 32; Descendre 2010, pp. 592-595; Vecce 2017, pp. 126-127. 40 Si veda infra 3.1 e, per intanto, Marani 1982, pp. 109-112. 41 Kemp 1982, p. 173; Emboden 1987, p. 135; Fiorio 2006, pp. 21-29; Cordera 2008, p. 29; Fiorio 2015, p. 90; Fiorio 2018, p. 17. 42 Codice Atlantico, f. 187r (ex 67r-a). Cfr. Marinoni, Pedretti 2000, vol. I, p. 240 e Leonardo: Favole e Facezie 2013, p. 28, n. 18. 43 Cfr. Descendre 2010; l’introduzione di C. Vecce, in Leonardo: Favole e Facezie 2013, pp. 9-14 e M. Versiero, in La biblioteca di Leonardo 2015. Per ulteriori riferimenti al tema si veda infra III.2. 44 Codice Atlantico, f. 715r (ex 265r-a). Cfr. Marinoni, Pedretti 2000, vol. II, p. 1396. Per un commento al passo, si veda Vecce 2015, pp. 193-194. 45 Sulla raffigurazione delle rovine nell’arte della seconda metà del Quattrocento si vedano le interessanti riflessioni di Frommel 2013 e Conforti 2013, con richiami al contesto fiorentino e milanese. 46 Per il dipinto (Vienna, Kunsthistorisches Museum, Gemäldeglaerie, inv. 301), si rimanda alla scheda di M. Servi, in Mantegna 2008, pp. 206-207, n. 71, ove è sostenuta la datazione longhiana al 1470 circa, non distante dal completamento della Camera degli Sposi; più precoce, al 1459 circa, la cronologia riferita invece da Christiansen 2010, pp. 41-46 ora accolta in Mantegna e Bellini 2018, p. 199. 47 Si veda quanto abbiamo evidenziato nel nostro contributo precedente in questa sede a riguardo (con relativa bilbiografia) e Fiorio 2018, pp. 21-22. 48 Ornamentazioni di questo tipo abbellirono la sala della Balla del Castello Sforzesco di Milano (ex sala nova, nel corpo meridionale della Corte Ducale) in occasione del doppio matrimonio Este-Sforza del gennaio 1491, così come emerge dalla descrizione offerta da una lettera di Eleonora d’Aragona al marito Ercole I di Ferrara (ASMo, Case e Stato, 132; per la trascrizione cfr. P.L. Mulas, in Ludovicus Dux 1995, pp. 52-55, nota 16; cfr. Ballarin 2010, p. 472). Il gusto per decorazioni effimere monocrome è ben messo in luce da P.L. Mulas, in Ludovicus Dux 1995, p. 53. 49 Azzi Visentini 2007, in particolare alle pp. 194-195. 50 Ballarin 2010, p. 512; Catturini 2016, p. 17; Palazzo 2016, p. 130; Tasso 2017, nota 67. 51 Cfr. Pedretti 1978 (2007), pp. 64-66; Marani 1984a, pp. 102104, n. 12; Fiorio 2005, p. 168; Ballarin 2010, vol. I, pp. 468469; Catturini 2013-2014, p. 68, n. 157. Un breve richiamo al foglio è proposto da Marani 2015a, p. 104, saggio che affronta il tema del giardino all’interno della produzione pittorica e disegnativa di Leonardo, Sala delle Asse compresa. 52 Cfr. Beltrami 1894a, pp. 382-383; Pedretti 1978 (2007), p. 66; Ballarin 2010, pp. 468-469. 53 Manoscritto H, ff. 50v, 78r, 79r, 89r (circa 1494). Cfr. Pedretti 1978 (2007), pp. 63-71; Schofield 1982, pp. 100-101; Giordano 2012, pp. 217-218. 54 Breventano 1570, ff. 11v-12r (cfr. Edit 16 CNCE 7562); Schofield 1982, p. 101; Giordano 2012, p. 218. 55 Schofield 1982, pp. 94-97; L. Giordano, in Ludovicus Dux 1995, pp. 33-36. 56 Manoscritto H, ff. 65v, 38r (1494). Cfr. Giordano 2012, p. 217. Gli interessi botanici e ‘agronomici’ di Leonardo trovarono spazio, a Milano, anche nell’orto situato a Porta Vercellina, fornito di una vigna di sedici pertiche: il terreno fu acquisito dall’artista fra l’autunno 1498 e l’aprile 1499, su dono di Ludovico il Moro (cfr. Beltrami 1920); perciò, anche se in mancanza di dati probanti, Costa 2006, pp. 200201 (riprendendo Beltrami 1902, p. 61) ipotizza che potesse essere il pagamento ducale per la realizzazione dei “moroni” dipinti nella Sala delle Asse. 57 Per un commento ulteriore al testo, pubblicato anche da Schofield 1982, p. 138, Appendice 1, cfr. 3.1. Utile in riferimento al gusto antiquario presso la corte del Moro, Agosti 1990, pp. 61-63. 58 Si veda supra II.3 e lo studio di Pizzoni 2018-2019. 59 Cfr. Morley 1979, p. 554; L’architettura, le feste 2010, pp. 138-139, n. 38; per le radici fiorentine di una simi- le sensibilità si rimanda infine a Rinaldi 1994, pp. 7-12. Marani 2015a, pp. 101-102; Emboden 1987, pp. 43-72. 61 Si veda ancora Alberti nel saggio precedente e cfr. Marani 1990, p. 10 (da cui le citazioni nel testo); Pirovano 1981; Villata 2004. 62 Ancora, si evidenzia come Marani 1990, p. 10 avesse intuito il dato confermato dai recenti risultati del cantiere di restauro. 63 Si veda quanto esposto nel capitolo iniziale. Si rimanda sempre a Villata 2015, p. 295 per le interessanti osservazioni relative al superamento della prospettiva tradizionale nello “spazio continuo e in vitale movimento” della camera dei moroni; sul tema del paesaggio nella sala, anticipatore di motivi poi ripresi nell’arte del Cinquecento, anche Marani 2004, pp. 126-127. 64 Nel richiamare il Paesaggio giovanile disegnato da Leonardo il 5 agosto 1473 (Firenze, Gabinetto dei Disegni e delle Stampe degli Uffizi, inv. 8 P) si veda l’efficace analisi proposta in nuce da Faietti 2008, p. 64, poi ampliata in Faietti 2015 e Faietti 2016; in rapporto alla Sala delle Asse, si rimanda anche alle osservazioni di Fiorio 2018, p. 6. 65 Nova 2015, p. 300, in un commento al Paesaggio 8 P degli Uffizi. 66 Si veda supra II.3. 67 Pedretti,Vecce 1995, p. 138, [13]. 60 II.4. LEONARDO, LA NATURA, IL GIARDINO, IL PAESAGGIO 153