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Imagini dell'autunno caldo argentino
Battaglie (anche visive) della protesta operaia
Mariano Mestman
Operai dietro il reticolato perimetrale delle fabbriche, arrampicati sui tetti, con cartelli e
bandiere, che occupano gli impianti;
lavoratori mobilitati, in manifestazioni massicce, che
organizzano barricate nelle vie, scontrandosi con la polizia. Si tratta, come sappiamo, di immagini
tipiche del conflitto sindacale nel XX secolo, che incontriamo in quasi tutte le pellicole girate sulla
protesta operaia e popolare, sia come registrazione diretta, sia inglobate come archivio sia
ricostruite in un documentario od un film di fiction.
Nel caso dell'Argentina, le immagini del Cordobazo furono emblematizzate dal cinema
militante quali simbolo delle lotte di tutto un periodo. Ma il senso che è stato loro attribuito non è
univoco e ci sono altre immagini dell'azione del movimento operaio argentino che sono disputate
uno spazio nella memoria sociale della lunga decade degli anni sessanta.
Il Cordobazo (maggio, 1969): Una sequenza ricorrente
Il 29 e 30 maggio del 1969, durante il governo militare del generale Juan Carlos Onganía, la
città di Córdova fu l'epicentro di una rivolta che lasciò il segno. Una serie di fattori nazionali e
locali contribuì a far sì che lo sciopero con mobilitazione preparato dalle due organizzazioni che
costituivano la CGT sfociasse in un'esplosione che ebbe come protagonisti operai e studenti, con un
forte appoggio da parte della popolazione ed un bilancio finale di morti, feriti, incarcerati e danni
materiali. La rivolta vide scontri nelle strade con la polizia, automobili e locali dati alle fiamme,
barricate e occupazione di quartieri della città da parte dei manifestanti (incluso, nella notte, il
Barrio Clínicas, residenza studentesca), resistenza dei franchi tiratori ed infine l'intervento
dell'esercito per ristabilire l'ordine.
L'instabilità politica in Argentina risaliva al golpe militare del 1955, che aveva rovesciato il
governo di Juan D. Perón (1946-1955) e si era mosso contro le conquiste operaie dando inizio a
diciotto anni di amministrazioni civili e militari con la proscrizione elettorale e politica del
peronismo. Dieci anni dopo, il golpe militare del 1966 aveva però creato una situazione particolare,
perché una serie di misure istituzionali ed economiche avevano accresciuto l'opposizione politica al
regime. Dopo la caduta di Perón nel 1955, il movimento operaio si era riorganizzato confrontandosi
in campo sindacale e politico con i vari governi successivi, dando vita al fenomeno noto come
2
"resistenza peronista", che comprese azioni di ogni genere (agitazione sindacale, sabotaggio della
produzione, lotta armata) volte ad ottenere il ritorno del leader in Argentina, talvolta in
collaborazione con la resistenza propriamente operaia. Negli anni sessanta, inoltre, mentre si venne
a costituire nei sindacati una cupola burocratica peronista – che giunse persino a pensare di
sostituire la leadership dello stesso Perón, costretto all’esilio – nel medesimo tempo si affermava un
peronismo combattivo, rivoluzionario, nel quadro della radicalizzazione mondiale del periodo.
Anche quest'ultimo influì sulle successive rotture che visse la sinistra classica comunista o socialista
e la conformazione di gruppi della "nuova sinistra".
In questo contesto, a Córdova confluirono alcuni elementi che aiutano a comprendere
l'entità, la complessità e la varietà di settori della classe operaia2 e delle altre classi che furono
protagoniste del Cordobazo. Era una città d'importanza nazionale con una grande tradizione di
discussione politica, un polo di recente e repentino sviluppo industriale guidato dal settore
automobilistico (IKA-Renault, Fiat, Ford), con uno strato operaio in larga misura giovane, un
sindacalismo indipendente con una certa autonomia rispetto alle sezioni nazionali (anche da parte
dei dirigenti peronisti), una pratica sindacale più democratica e combattiva che in altri luoghi del
paese, rappresentata da persone appartenenti a diversi sindacati (industriali, terziari) e di diverse
tendenze peroniste o di sinistra; con relazioni fluide e alleanze con un forte movimento studentesco
mobilitato negli anni precedenti ed in particolare in tutto il mese di maggio del 1969 in altre
manifestazioni represse (con morti) in città come Rosario o Corrientes; con settori della classe
media colpiti dal regime militare per quanto riguardava aspetti immediati e generali; con un
notevole accrescimento della (nuova) sinistra marxista, del peronismo rivoluzionario e del
Movimento dei Sacerdoti per il Terzo Mondo, creato l'anno prima proprio a Córdova.
Sebbene le interpretazioni del Cordobazo siano state oggetto di discussioni tuttora aperte 3,
esse concordano sul fatto che, per la sua portata, questo episodio modificò il clima politico
nazionale. Nell'immediato, accelerò la caduta della dittattura militare del governo del generale
Onganía l'anno successivo. E, più avanti, diventò un simbolo dell'insurrezione popolare all'inizio di
un periodo di "lotta nelle strade" e, soprattutto a Córdova, di sviluppo di tendenze classiste in
importanti sindacati.
Le immagini degli avvenimenti catturate dalle telecamere portarono nelle case l'irruzione
violenta della protesta, raccontando il disordine e la confusione che regnavano in un primo
momento, mentre avvenivano gli scontri sul colle centrale della città. I movimenti rapidi della
3
camera tenuta ad altezza d'uomo, nel cuore stesso di quegli scontri, nel mezzo delle corse, dei gas e
delle esplosioni, trasmettevano il vortice degli avvenimenti. Le immagini traballanti ottenute con la
macchina portata in spalla rispecchiavano la sensazione di sorpresa ed imprevedibilità,
dell'incontrollabilità degli avvenimenti filmati.4
Ma nel medessimo tempo, a partire dal momento stesso della loro registrazione, queste
immagini televisive furono controverse. Non soltanto perché erano accompagnate dalle parole dei
corrispondenti che le inviavano, o perché quando venivano trasmesse (il che non avveniva in
diretta, dal vivo, ma solo il giorno dopo e nei giorni successivi) erano montate e "commentate" in
modo diverso, ma anche perché il cinema politico se ne appropriò dando loro un diverso significato.
Quasi tutti i film militanti successivi, anche se trattavano altri temi, si rifecero al Cordobazo
utilizzando la stessa sequenza televisiva per rappresentarlo come punto di svolta storico e
proclamare che a partire da lì si generalizzava la protesta anti-dittattura, le classi popolari
riprendevano l'iniziativa o si generava un salto qualitativo. La sequenza in questione mostra la
polizia a cavallo che avanza al galoppo lungo una strada verso un gruppo di manifestanti mentre
questi cominciano a lanciare pietre contro i cavalieri, che in maniera disordinata e precipitosa fanno
dietrofront in rapida ritirata.
L'utilizzo di questa sequenza mostra l’atteggiamento del cinema militante a fronte dei
possibili "limiti" della registrazione televisiva di questo tipo di fatti. Interessato a "l'effetto diretto"
delle immagini per l'autenticità e la potenziale identificazione che portano le riprese dal cuore stesso
delle mobilitazioni operaie, il cinema militante si preoccupa al contempo di ridurre il più possibile i
margini dell'ambiguità. La scelta di questa sequenza emblematica e l'ancoraggio del suo significato
mediante le voci di autorità dei film risultano imprescindibili quando si tratta di esprimere le tesi
militanti che interpretano l'evento: dal riferimento, a fatti appena avvenuti, al momento in cui
"cominciamo ad essere noi i dominatori della situazione" (Ya es tiempo de violencia di Enrique
Juárez, 1969), oppure al fatto che "a semplici sassate li faremo indietreggiare" (il segmento di Pablo
Szir nel film collettivo Los caminos de la liberación del gruppo Realizadores de Mayo, 1969),
passando per la considerazione che "la marea impediva di tornare indietro" (Operación Masacre di
Jorge Cedrón, 1972), fino alle ricostruzioni successive al golpe militare del 1976, che individuano
nel Cordobazo l'origine di "un nuovo entusiasmo e fiducia delle masse" (Las vacas sagradas di
Jorge Giannoni-A.Melián, 1977), oppure la "ritirata dei carnefici” (Resistir di Julián Calinki/Jorge
Cedrón, 1978).
In altri casi, queste immagini emblematiche acquistano un nuovo significato
quando vengono abbinate a canzoni popolari di protesta come la famosa "Marcia della rabbia/della
4
protesta" (Los traidores di Raymundo Gleyzer, 1973) od al proprio inno nazionale (La tortura
política en Argentina, 1966-1972 di Carlos Vallina ed altri, 1972).
Sebbene in tutte queste pellicole il Cordobazo venga letto come punto di svolta e queste
immagini simboleggino un'epopea di insurrezione operaia, popolare, vi sono tuttavia delle
differenze sul modo di leggere la importanza di questa protesta nella serie storica di quelli anni fra i
registi legati al peronismo e quelli legati alla sinistra marxista.
Mentre i primi tendono a
identificare l'avvenimento come un momento (per quanto prominente) delle lotte della "Resistenza"
posteriori al 1955 – ed incluso in qualche caso quale punto di arrivo più alto che avrebbe aperto una
nuova tappa nella quale Perón o il peronismo avrebbero svolto un ruolo da protagonisti – i secondi
si concentrano su come il Cordobazo fosse l’espressione della comparsa di un'alternativa
rivoluzionaria classista, indipendente dalle vecchie leadership politiche o sindacali.5
In ogni caso, un elemento comune a molti film è la relazione dell’insurrezione popolare di
Córdova con altri modi di lotta che diventeranno molto importanti negli anni successivi. In qualche
pellicola, inoltre, questa relazione è messa in evidenza da una voice over che fa discorsi epocali
sulla liberazione terzomondista, la guerrigla, ecc. In altri film, essa passa attraverso l’esperienza
degli stessi protagonisti della rivolta.
La parola operaia
Appena avvenuti i fatti, furono realizzati due dei film prima citati: El camino de la
liberación, un film collettivo del gruppo Realizadores de Mayo ("Registi di maggio"), costituito da
dieci cortometraggi,6 e il lungometraggio Ya es el tiempo de la violencia di Enrique Juárez
(presentato come di autore anonimo).7
Il lungometraggio di Juárez ed il corto di Pablo Szir (nel film collettivo) hanno in comune
una caretteristica singolare: il modo di utilizzare la testimonianza dei protagonisti dei fatti. Com'è
noto, il cinema politico di quegli anni si preoccupò di esporre la voce operaia cedendole l'autorità
testuale del film, adattandola – se non addirittura subordinandola – alle tesi militanti esposte con la
voce over o "negoziando" la sua presenza in qualche altro modo.
I film che ci interessano
presentano testimonianze operaie "ricreate", neelle quali si possono così leggere i luoghi comuni sul
Cordobazo ed anche un legame quasi naturale tra l'azione operaia e la resistenza (dopo la lotta)
armata, sebbene questa non fu una caratteristica principale nello stesso Cordobazo.9
5
Ya es tiempo de violencia comincia con una voce over dominante che dopo qualche minuto
cede l'autorità testuale alla testimonianza (fuori campo) di un operaio che ricostruisce la sua
esperienza personale dei fatti. In questo modo, il registro della voce si modifica: non si tratta più
della retorica (neutra o solenne) del narratore, ma del racconto di un "compagno", spiegato in un
linguaggio colloquiale. Il suo resoconto ripercorre le tre sequenze temporali "classiche" del
Cordobazo: 1) la salita delle colonne di operai dai luoghi di lavoro la mattina del 29 maggio; 2)
l'assassinio a mezzogiorno dell'operaio Máximo Mena, la escalation degli scontri, l'occupazione di
quartieri della città e il soverchiamento della polizia da parte dei manifestanti;
3) l'irruzione
dell'esercito e la comparsa dei franchi tiratori che resistono.
Mentre a concludere questa testimonianza in prima persona ritorna la voce over che in terza
persona generalizza questa esperienza personale, la voce operaia partecipa in maniera considerevole
all'interpretazione dei fatti, alla configurazione dei topoi che diedero al Cordobazo il suo potere
simbolico insurrezionale8, incluso quello che servì comunque a consolidare il significato delle
suddette sequenze dei manifestanti che fanno indietreggiare la polizia a cavallo.
Da quel che sappiamo, questo racconto fu ricostruito da Enrique Juárez sulla base di
interviste a partecipanti al Cordobazo, e fu narrato dalla voce di un attore. Sebbene abbia origine,
dunque, in racconti "veritieri" (di protagonisti "reali"), questa narrazione operaia assume, nella sua
configurazione finale per il film, un'identità particolare, selettiva rispetto all'universo di ideologie ed
identità sindacali e politiche presenti nelle vie di Córdova e che senza dubbio risulta affine al regista
ed al suo gruppo. "En passant", veniamo informati che chi parla è un operaio metalmeccanico,
iscritto al sindacato SMATA (uno dei più mobilitati in quelle giornate di maggio), che, negli anni
precedenti, quando viveva a Buenos Aires o Córdova, aderì al peronismo ed alle sue conquiste, e
che allo stesso tempo rivendica la democrazia sindacale antiburocratica che conobbe quando giunse
a Córdova.
Dal canto suo, quello di Pablo Szir è l'unico cortometraggio del film El camino de la
liberación a lavorare sulle immagini del Cordobazo seguendo una testimonianza operaia. Anche qui
c'è una sintesi di altre testimonianze "reali", narrate fuori campo dalla voce di un attore. In questo
caso, le immagini dei fatti si alternano ad altre girate nei giorni successivi, che ne mostrano le
conseguenze. Così, il corto inizia con il ritorno dell'operaio alla sua fabbrica (la IKA Renault)
qualche giorno dopo la rivolta. Il viaggio in autobus gli permette di riflettere con un monologo
interiore mentre osserva i resti, le tracce della rivolta: graffiti sui muri, locali distrutti o automobili
6
bruciate. Da questo momento, le immagini dei giorni successivi si alternano a quelle della protesta:
i manifestanti, gli incendi e le barricate, incluse le immagini emblematiche che abbiamo già
commentato. La prima persona (pur essendo qui un operaio peronista) fa spesso riferimento, come
nell'altro caso, ad un "noi" inclusivo che racconta gli avvenimenti seguendo la cronologia classica
riferita e considerando comunque il fatto un punto di svolta: immagini della repressione e delle
corse, i gas contro le pietre, e la costruzione di un'epopea del più debole che, sentendosi fra i suoi
compagni, non ha più paura10 e che invoca la giustizia dell'azione collettiva ("la violenza giusta,
pulita, indispensabile") come risposta alla violenza ufficiale.
In entrambi i film, al calare della notte l'operaio cerca una pistola in casa sua, ritorna al
centro città, si nasconde sui tetti e spara contro le forze dell'ordine.
Il finale del racconto operaio nel corto di Szir11, così come il finale della testimonianza
operaia (o dopo il discorso del narratore) in quello di Juárez, presenta proclami insurrezionali che
riassumono quello che il Cordobazo rappresentò per gran parte di una nuova sinistra ascendente
(peronista o marxista) in Argentina. Un cammino che collega l'azione sindacale alla lotta armata e
che qui è narrato mediante questi resoconti di operai (recitati da un attore), ben articolati ma con
inflessioni retoriche che li presentano come "naturali", "quotidiani", in parte "intimi" e "spontanei".
Racconti di operai metalmeccanici che salgono in corteo insieme ai loro compagni fino alla
fabbrica, vengono bloccati e di conseguenza si scontrano con la polizia, e infine – anche in modo
spontaneo, per difendersi o resistere – afferrano un'arma e proclamano la "guerra" (rivoluzionaria).12
I due film che abbiamo commentato culminano con una ripresa ravvicinata (fatta zoomando
o in sede di montaggio) di una foto sgranata di un giovane che lancia una pietra con violenza.
Quest’immagine fissa, come anche i mobili delle barricate, le automobili ed i locali dati alle fiamme
oppure le immagini dei manifestanti che fanno indietreggiare la polizia, diventò, a partire dal
Cordobazo, un simbolo predominante dell'insurrezione in Argentina.
Tuttavia, anche se queste erano forse le immagini più rappresentative di queste ore di
radicalizzazione, non erano le uniche disponibili, né furono le uniche utilizzate, per costruire
un'epopea dell'azione operaia negli anni sessanta.
Prima (e dopo) il Cordobazo: l’occupazione delle fabbriche
Unitamente agli scioperi e alle mobilitazioni, l’occupazione degli stabilimenti produttivi
(per questioni salariali, licenziamenti, trattative, ecc.) acquistò rilevanza come mezzo di azione
diretta della classe operaia argentina dalla caduta del peronismo e fino all'ultimo golpe militare, nel
7
1976. Però, specialmente verso maggio/giugno del 1964, si verificò un processo di occupazione
singolare, un'azione "qualitativamente diversa" per il suo carattere massiccio, a livello nazionale, a
direzione centralizzata, pianificata e con un programma comune. Si trattò della seconda fase di un
Piano di Lotta della CGT (Confederazione Generale del Lavoro), programmato in cinque tappe che
si sviluppò fra maggio del 1963 e ottobre del 1965.13
Questa esperienza fu rievocata da Cine Liberación, il principale gruppo del cinema politico
argentino, che, un anno prima del Cordobazo, in La hora de los hornos (L´ore dei forni), le dedicò
un famoso episodio intitolato "Le occupazioni delle fabbriche", in cui – pur segnalandone i limiti
per la presa del potere – la considerava "il punto più alto raggiunto dalla Resistenza". Anche i
sucessivi film di Cine Liberación, come El camino hacia la muerte del viejo Reales di Gerardo
Vallejo (1971) o Los hijos de Fierro di Solanas (1975), attribuirono una posizione privilegiata a
questa azione operaia.
In La hora de los hornos, le allusioni alla storia delle occupazioni delle fabbriche in vari
capitoli rimandano a caratteristici topoi visuali e sonori: porte e portoni serrati, squadre di polizia in
giro, folle di operai raggruppate dietro barriere o reti di recinzione, che percorrono gli stabilimenti,
testimonianze di dirigenti, cartelli con rivendicazioni o con la scritta "fabbrica occupata",
moltitudini vocianti, sirene che ululano, e così via. E nel capitolo dedicato al tema, le occupazione
delle fabriche si caratterizzano attraverso una voce over che introduce e chiude la narrazione, ma
anche con testimonianze di dirigenti di base (delegati di commissione interna) di due dei conflitti
che ebbero la maggiore ripercussione mediatica del succitato Piano di Lotta della CGT, entrambi
nell’area metropolitana di Buenos Aires e nei settori più colpiti, quello metallurgico e quello tessile.
Uno di questi conflitti fu, l’occupazione della Siam-Monte Chingolo. Qui la messa in scena
documentarista è partecipe dell'epica della Resistenza di tutto il film, e in particolare ricostruisce
l'intento di sgomberare la fabbrica occupata. Questa situazione piú o meno comune alle ultime
giornate del Piano di Lotta della CGT del maggio/giugno del 196414 – viene trattata con un
ingegnoso montaggio, in cui la testimonianza resa davanti alla cinepresa dal dirigente sindacale
(dentro la fabbrica) si alterna con le immagini del funzionario giudiziario fuori dalla fabbrica
occupata, protetto da personale civile e di polizia (rappresentato da attori). Mentre il delegato dei
metalmeccanici fa un resoconto dettagliato della discussione che lui avessi avuto con il funzionario,
le immagini del volto del funzionario variano fra la rabbia, la prepotenza o forse lo spavento davanti
alla minaccia operaia di distruggere lo stabilimento.
8
L'altro conflitto scelto rimanda anch'esso ad un caso clamoroso, anche se per altre questioni.
Qui, giovani operaie della fabbrica tessile La Bernalesa (a Quilmes, a sud dell’area metropolitana di
Buenos Aires) raccontano l'occupazione (illustrata con immagini di operaie dietro le barriere e della
fabbrica in pieno funzionamento) e si dilungano a sottolineare un fatto peculiare di questo caso: la
continuazione della produzione con la fabbrica nelle mani dei lavoratori.
Dal canto suo, una parte importante di El camino hacia la muerte del viejo Reales si
concentrò sul conflitto negli zuccherifici di Tucumán (nel nord del paese), colpiti dalla politica di
chiusura e riconversione del governo militare di Onganía dal 1966. In questo caso, la pellicola
ripercorre mobilitazioni, moti popolari, repressione ed occupazione, rimandando anche a momenti
precedenti come il 1965, quando gli operai degli zuccherifici di Tucumán furono protagonisti del
processo "più rilevante" delle occupazioni di fabbrica registrati in tutto il paese.
In una specie di digressione (una sorte di “aggiunto” testimoniale), la pellicola di Vallejo
ripercorre la storia della lotta della Fotia (Federazione degli Operai dell'Industria dello Zucchero) e
presenta testimonianze di dirigenti come Benito Romano e Raúl Zelarrayán. Quest'ultimo narra la
sua esperienza nella prima occupazione di uno zuccherificio, il Santa Lucía, nel 1958, e fa
riferimento alle difficoltà incontrate come lavoratore di fabbrica a far capire alla gente che lavorava
nei campi di canna da zucchero gli obiettivi della lotta. Tuttavia, afferma che dopo averli convinti,
essi portarono la canna tagliata quel giorno alla fabbrica, cosicché l'impianto preso dai lavoratori
poté battere un record di produzione.15
Sebbene in Los hijos de Fierro il capitolo dedicato al Cordobazo sia molto importante –
perché lo prende come punto di svolta (in questo caso verso il ritorno di Perón in Argentina) e per
l'ingegnosità di un’impostazione che enfatizza la vorticosità dei fatti, alla maniera di una “diretta”
quasi "forwardata"/accelerata – anche le occupazioni delle fabbriche a partire dall'inizio della
Resistenza hanno un posto prominente. Nel capitolo "Il primo combattimento, o la resistenza in
fabbrica", Solanas si concentra sui tre figli di Fierro che si adoperano come attivisti sindacali in una
fabbrica metallurgica. In questo caso, a differenza che in altri film, le scene dell'occupazione, con
la partecipazione massiccia dei lavoratori, includono la presa dei dirigenti come ostaggi, un'azione
che aggiunge tensione e radicalità all'azione. Infatti, la presa degli ostaggi provocò allarme e
preoccupazione nei capi del governo e nei dirigenti imprenditori che percepirono in questo metodo
(come anche nell'occupazione stessa) una sfida violenta alla proprietà o all'organizzazione
capitalista della produzione.
9
Opzioni politiche / opzioni visive
Sebbene le immagini di strada del Cordobazo possano essere considerate in maggior
sintonia visiva con quelle degli scontri del '68 nel mondo, anche quelle delle occupazioni delle
fabbriche hanno avuto un luogo importante in quelli anni, come si evince non solo dai frequenti
riferimenti all'episodio de La hora de los hornos nelle riviste dell'epoca, ma anche dall'inserimento
dell'intero episodio da parte del regista francese Marin Karmitz nel suo film di finzione Camarades
(1970), in cui un gruppo di giovani operai e militanti francesi discute sulla propria esperienza
sindacale dopo aver visto le sequenze sull’occupazione delle fabbriche del film argentino.
La radicalità che a tratti assunse questo tipo di azione operaia è indubbia16, e tuttavia le
occupazioni delle fabbriche nel quadro del Piano di Lotta della CGT nel 1963-1965 consentono
certamente letture differenti. Se da un lato dimostravano il potere del movimento operaio argentino,
dall'altro costituivano parte della politica di "integrazione" della burocrazia sindacale peronista
("colpire per negoziare") che così mostrava il proprio potere a fronte del debole governo del
presidente Arturo Illia (UCR), davanti ai militari sempre in agguato e anche nelle sue dispute (in
particolare, quelle del dirigente metallurgico Augusto T. Vandor) con lo stesso Perón in esilio.
In questo senso, in Los traidores (Raymundo Gleyzer, 1973) – un film di finzione attorno al
quale si organizza il gruppo di sinistra marxista Cine de la Base – l'agitazione sindacale della metà
degli anni sessanta rimane associata ad un accordo fra la burocrazia sindacale e settori militari per
logorare e destabilizzare il governo civile di Illia e facilitare il golpe militare del generale Juan
Carlos Onganía nel 1966. Tuttavia, nella misura in cui l'esperienza delle occupazioni delle fabbriche
risultava fondamentale anche per questo gruppo di registi quando narravano le azioni dell'attivismo
sindacale classista in opposizione alla burocrazia sindacale peronista, la sua messa in scena risultava
importante. In questo modo, essa riporta ad un momento successivo al ritorno del peronismo al
governo nel 1973. La scena mostra la prima azione di confronto fra le rivendicazioni delle basi
operaie e la burocrazia sindacale. Girata per la maggior parte all'esterno della fabbrica, si mette in
risalto la reazione dei militanti arrampicati sulla recinzione in atteggiamento ostile davanti ai
guardaspalle del burocrate sindacale Barrera, il quale chiede loro di abbandonare l’occupazione.
Sebbene l’aver deciso di fare un film di finzione facilitasse l'inclusione di qualche scena
dell'occupazione vista dall'interno dello stabilimento (come in Los hijos de Fierro), Gleyzer scelse
di presentare le parti in conflitto (base contro burocrazia) mediante un elemento espressivo visivo –
gli operai appesi alla rete di recinzione della fabbrica – molto diffuso nelle registrazioni televisive
10
di quegli anni, quando tendenze alternative, classiste, esercitavano o contestavano la leadership di
alcuni sindacati peronisti.18
Analogamente, non è un caso che le scene emblematiche del
Cordobazo (quella dei manifestanti contro la polizia a cavallo) occupino un posto a sé anche in
questo film, dove sono inframezzate con altre immagini televisive del Viborazo, conosciuto anche
come "secondo Cordobazo" ma con un maggiore protagonismo dei sindacati classisti di Cordóva.
In questo modo, negli anni dell'autunno caldo argentino, l'impeto rivoluzionario per il
cambiamento sociale poté essere simbolizzato mediante più tipi di immagini. E' certo che occupare
una fabbrica non è la stessa cosa che distruggerne la produzione e occupare una città. In altre
parole, le immagini delle fabbriche occupate da masse di operai durante il Piano di Lotta della CGT
del 1964 (o quelle successive) non sono la stessa cosa di quelle emblematiche dei manifestanti che
fanno indietreggiare la polizia a cavallo o quelle degli operai metalmeccanici che distruggono i
locali delle concessionarie o incendiano la propria produzione (le automobili) nelle barricate del
centro della città di Cordóva. Ma neanche distruggere la proprietà privata è lo stesso che
"espropriarla" (seppure soltanto per qualche ora), prendendone in ostaggio i dirigenti e dimostrando
la capacità degli operai di battere i record di produzione. Al di là della portata limitata di queste
ultime azioni, e quantunque risulterebbe difficile ottenerne registrazioni dirette, l’accennarvi o
addirittura metterle in scena, come abbiamo visto, in forma di documentario o di film di finzione,
forniva altri potenti simboli del potere operaio che il cinema politico utilizzò nella sua smania di
intervenire nella lotta di quegli anni.
--------1
Ricercatore del CONICET (Consiglio Nazionale della Ricerca) e dell'Università di Buenos Aires, Argentina.
2
I quattro principali sindacati che parteciparono – con istanze comuni e specifiche – furono: Luz y Fuerza
(ente statale dell'energia elettrica), SMATA (metalmeccanici), UOM (metallurgici) e UTA (trasporti).
3
Fin qui, abbiamo seguito una recente rivisitazione di quel periodo: James Brennan e Mónica Gordillo,
Córdoba Rebelde, Buenos Aires, De la Campana, 2008. Ci sono inoltre altri importanti lavori dei medesimi
autori, nonché di (fra gli altri) Beva e Beatriz Balvé, Nicolás Iñigo Carrera, Juan Carlos Cena, Daniel James,
Alejandro Schneider e Pablo Pozzi.
4
Nel suo studio sulla televisione argentina, Mirta Varela ha osservato inoltre che di fronte ad un evento
simile, la televisione, interrompendo la sua normale programmazione, ha avuto "una reazione immediata che
11
proiettò istantaneamente il Cordobazo a livello nazionale". (La televisión criolla. Desde sus inicios hasta la
llegada del hombre a la luna. 1951-1969, Buenos Aires, Edhasa, 2005, p. 236).
Si veda uno studio comparato piú vasto in M. Mestman e F.M. Peña, “Una imagen recurrente. La
5
representación del Cordobazo en el cine argentino de intervención política” (Film Historia, online, Vol. XII,
Barcellona, n. 3, 2002). Inoltre: M. Mestman, “Testimonios obreros, imágenes de protesta. El directo en la
encrucijada del cine militante argentino”, in María Luisa Ortega e Noemí García (a cura di), Cine Directo:
reflexiones en torno a un concepto, Madrid, T&B Ed., 2008, pp. 141-149.
6
Regia di Mauricio Berú, Nemesio Juárez (fratello di Enrique), Rodolfo Kuhn, Octavio Getino, Jorge Martín
(Catú), Humberto Ríos, Rubén Salguero, Eliseo Subiela, Pablo Szir. Si veda Héctor Kohen, “Realizadores de
Mayo, Argentina 1969: los caminos de la liberación”, in Claudio España (a cura di), Cine argentino,
modernidad y vanguardias 1957/1983, vol. II, Bs.As., FNA, 2005. Inoltre: Javier Campo, “Revolución Doble.
Argentina, mayo de 1969: los caminos de la liberación”, in Ana L. Lusnich e Pablo Piedras (a cura di), Una
historia del cine político y social en Argentina (1986-1969), Bs.As., Nueva Libería, 2009.
7
Mentre quest'ultimo film si riferisce ai fatti del Cordobazo ed alle loro conseguenze, il primo si occupa
anche di altri fatti, precedenti o successivi, come il Rosariazo, e analizza alcune tematiche epocali utilizzando
anche l'ironia e l'umorismo, modalità non molto frequentate dal cinema politico argentino. D'altra parte, il
film di Juárez e alcuni cortometraggi dei Realizadores de Mayo seguirono sotto vari aspetti (narrativi,
formali) il modello de La hora de los hornos (Solanas e Getino, 1968). Questo film, uscito nel giugno del
1968, non poté evidentemente trattare i fatti del Cordobazo, ma con il ritorno alla democrazia, nel 1973,
quando poté debuttare nelle sale, vi furono inserite alcune brevi riprese di quegli eventi.
8
Per esempio, l'idea della "maturità politica" dei manifestanti (occupazione della città, barricate, incendi,
distruzioni, ma con selezione degli obiettivi e nessuna ruberia), il protagonismo della "massa operaiostudentesca", le figure riscattate (il dirigente Agustín Tosco, la cui lettera dal carcere viene inclusa nel finale,
e l'ex presidente Perón), il problema della democrazia sindacale, i martiri caduti.
9
Enrique Juárez e Pablo Szir si identificavano con il peronismo di sinistra o rivoluzionario. Per poco tempo
entrambi aderirono a Montoneros, un'organizzazione politico-militare sorta nel 1970, e sarebbero stati fatti
sparire dalla dittatura militare. Juárez fu inoltre fondatore e dirigente della Juventud Trabajadora Peronista
(Gioventù Lavoratrice Peronista), il raggruppamento sindacale della suddetta organizzazione, creato nel 1973.
Anche il film I traditori (1973) di Raymundo Gleyzer, rappresentante della sinistra marxista, metteva in
rapporto azione sindacale e lotta armata.
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"Ebbi paura anche quando li vidi avanzare in fila ed io con un sasso come risposta (...). Però sentii una cosa
rara, che la sbirraglia aveva paura, che tutti stavano accanto a me e che non intendevano retrocedere. Così
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nacque la barricata, senza rendermene conto, ne stava facendo una". E più avanti, fa riferimento all’essersi
reso conto che "loro non erano invincibili".
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Quando, dopo i fatti, ritorna alla fabbrica, afferma: "Se io da solo tutta la notte li feci diventare matti, che
succederà quando ognuno di noi avrà una pistola (...) A Córdova, il 29 maggio, abbiamo dichiarato loro
guerra".
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L'opzione armata contro l'oppressione, in particolare durante la dittatura militare del 1966-1973, fu
inglobata – con maggiore o minor frequenza – in quasi tutte le pellicole del cinema militante, sin dalla sua
posizione dominante, in voce ed immagini, nella terza parte de La hora de los hornos ("L'ora dei forni").
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Si veda, fra gli altri, María C. Cotarelo e Fabián Fernández, La toma de fábricas. Argentina, 1964,
documento di lavoro PIMSA, n. 2, 1995; ciclostile, 31 pp.; R. Bisio e H. Cordone, “El Plan de Lucha de la
CGT en 1964”, in Justicia Social, anno 5, n. 8, 1989; Guy Bourdé, “La CGT argentine et les occupations
d´usines de mai-juin 1964”, in Le Mouvement Social, n. 103, 1978; A. Schneider, Los compañeros.
Trabajadores, izquierda y peronismo, 1955-1973, Buenos Aires, Imago Mundi, 2005.
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Sebbene ciò non venga specificato, l’evento raccontato sembra riferirsi alla giornata del 24 giugno 1964,
quando circa 1.150.000 lavoratori occuparono circa quattromila fabbriche in tutto il paese. Secondo Scheider
(op. cit., pp. 222-223), in questa giornata (così come in quella del 18), e contrariamente alle previsioni, ci
sarebbe stata una maggiore presenza della polizia di un tribunale repressivo (e giudiziario) con obiettivo di
sgombero. E l'esempio a cui rimanda è quello della Siam di Monte Chingolo.
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Qui viene ripreso in modo testuale dalla voce over il riferimento al tema trattato ne La hora de los hornos:
"Come abbiamo detto in La hora de los hornos, le occupazioni sono azioni violente, alienanti, che cancellano
dalla coscienza dei lavoratori una storia fatta di miti, saccheggi ed inganni. Nella disputa sui mezzi di
produzione, i lavoratori approfondiscono la loro decolonizzazione. Impossessandosi del proprio lavoro, si
stanno impossessando della propria umanità (...).
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Si pensi che questi mezzi potevano generare incertezza anche per i vertici del sindacato: erano pianificati e
necessari per rafforzare il loro potere di trattativa con gli imprenditori o lo Stato, ma allo stesso tempo
potevano essere sopraffatti dalla base.
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E' da notare il fatto che a bilanciare l’iscrizione di Gleyzer al PRT-ERP, emerge fin da questa medesima
scena la coscienza del carattere peronista della grande maggioranza delle basi operaie in quegli anni. Ho ne
analizato in: M.Mestman, “Mundo del trabajo, representación gremial e identidad obrera en Los traidores”.
Nuevo Mundo Mundos Nuevos (Paris, dicembre 2008). http://nuevomundo.revues.org/index44963.html.
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