COLLANA
INSUBRIA
PRESENZE CELTICHE
NEL
TERRITORIO DI VARESE
ATTI DELLA GIORNATA DI STUDI
®
Torques in bronzo della necropoli di Chouilly “Les Jogasses”: particolare, primo quarto del III secolo a.C.;
Museo di Epernay (foto D. Bertuzzi).
14
VENCESLAS KRUTA*
Immagini e simboli:
identità, arte e religione dei Celti antichi
Esiste tra le società umane una diversità ottimale che non può essere
superata ma nemmeno da cui si può recedere senza pericolo. Bisogna
riconoscere che questa diversità risulta in grande parte dal desiderio di
ogni cultura di opporsi a quelle che la circondano, di distinguersi da
loro, in poche parole di essere se stessi: non si ignorano, occasionalmente
praticano scambi, ma per non perire, è necessario che persista tra loro una
certa impermeabilità in altri rapporti.
CLAUDE LÉVI-STRAUSS
arte è indiscutilmente, assieme alla lingua, uno degli aspetti più significativi
dell’identità celtica. Esiste tuttavia una certa confusione nell’interpretazione
e nella comprensione di questa categoria di testimonianze1. Le cause di questa
situazione sono multiple. Anzitutto è una eredità del processo di riscoperta dell’arte
dei Celti continentali che parte dal confronto con l’arte etrusca e greca2. Questo
inizio ha condotto a considerare l’arte celtica come una manifestazione periferica
dell’arte mediterranea, privandola generalmente di una presenza autonoma nelle
opere di storia generale dell’arte3. In più, il legame stretto stabilito già alla fine
del XIX secolo tra la civiltà della seconda età del Ferro detta di La Tène o lateniana
e i Celti aveva come conseguenza la definizione di un’arte limitata al periodo e all’estensione geografica delle popolazioni caratterizzate da questa cultura. Le eventuali convergenze formali con l’arte di altri territori che, dalle testimonianze linguistiche
risultavano celtici, erano considerate essenzialmente come il prodotto dell’espansione dei Celti del nucleo lateniano nel IV-III secolo a.C.
Oltre che nel mondo mediterraneo, le radici di quest’arte erano cercate, più raramente, nella cultura hallstattiana del periodo precedente o nell’influenza dell’arte delle popolazioni nomadi delle steppe o dell’Oriente. Tuttavia, nessuno si interrogava
sul perchè dell’adozione di alcuni modelli piùttosto di altri e sul meccanismo della
loro trasformazione nel momento della loro adozione da parte degli artisti celtici.
* Archeologo, professore emerito École Pratique des Hautes Études, Parigi.
Ne è testimone la recente mostra britannica, che, già nel suo titolo, ostenta l’ambizione nell’esporre al
pubblico una chiave di lettura della questione: Celts. Art and Identity, London, British Museum, 2015.
L’ambiguità e i limiti dell’iniziativa sono stati colti molto bene da Maurizio Pasquero nel suo articolo “Arte
e identità dei Celti a Londra: tanto splendore e qualche abbaglio”, in Terra Insubre, 77, 2016.
(2)
Riassunto nell’introduzione di V. Kruta, L’art des Celtes (versione ingl. Celtic art), Phaidon, Paris-London,
2015; l’impostazione di partenza si trova nell’opera di P. Jacobsthal, Early Celtic Art, Oxford, 1944.
(3)
Il noto storico dell’arte Ernst Gombrich dedica ai Celti nella sua opera The Story of Art, uscita nel 1960 e
venduta in più di sette milioni di copie, soltanto pochissime righe (pp. 122-123 della versione francese Histoire de l’Art, Phaidon, Parigi, 2001). Si tratta inoltre della sola arte cristiana dell’Irlanda che egli considera
il risultato dell’impatto dell’arte nordica. Delle evidenti radici celtiche, ben anteriori, non c’è nessun accenno.
(1)
VENCESLAS KRUTA
L’idea che l’indubbia omogeneità nel tempo e nello spazio dell’espressione figurativa dei Celti non potesse essere soltanto il risultato di trasmissioni puramente formali,
ma piuttosto il riflesso di contenuti altrettanto diffusi e omogenei, ha condotto progressivamente a riconsiderare il rapporto del presunto nucleo lateniano con le altre
forme d’arte di popolazioni di lingua celtica, coeve, anteriori o addirittura posteriori.
Questo punto di vista ha cominciato a determinare una revisione della concezione tradizionale dell’arte lateniana, con risultati che hanno pienamente confermato
le antiche radici dell’ideologia che ne costituisce il supporto semantico e, a partire
da questo, lo sviluppo indipendente di un’espressione figurativa in diverse aree popolate da gruppi celtici. Dopo l’identificazione di alcuni temi, noti anche dalla
letteratura celtica trasmessa nell’ambito dei Celti delle Isole britanniche4, è stato
possibile intraprendere un confronto al di fuori dall’area lateniana, con altre aree
geografiche popolate da Celti. Un primo bilancio, molto convincente, è stato fatto
con diversi materiali dei Celti ispanici5. Ha permesso di individuare convergenze e
divergenze tra le due aree: le prime corrispondono ai contenuti, le seconde alla loro
espressione formale. Questo dimostra chiaramente la formazione cumulativa dell’arte di queste due popolazioni celtiche, a partire da un punto di partenza comune
(4)
V. Kruta, “Remarques sur l’apparition du rinceau dans l’art celtique”, in Études celtiques, 14, 1974, pp.
21-30; ID., “Les fibules laténiennes à décor d’inspiration végétale au IVe siècle avant notre ère”, in Études
celtiques, 15, 1976/1977, pp. 19-47; ID., “Aspects unitaires et faciès dans l’art celtique du IVe siècle avant
notre ère: l’hypothèse d’un foyer celto-italique”, in P.-M. Duval e V. Kruta (a c. di), L’art celtique de la période
d’expansion: IVe et IIIe siècles avant notre ère, Genève-Paris, 1982, pp. 35-49; ID. (con P. Roualet), “Une série
de torques marniens à décor de style végétal continu”, ibid., pp. 115-135; ID., “Les grandes périodes de l’art
celtique en Gaule”, nel catalogo della mostra L’art celtique en Gaule, Paris, 1983, pp. 18-22; ID. (con B. Lambot, J.-M. Lardy e A. Rapin), “Les fourreaux d’Epiais-Rhus (Val-d’Oise) et de Saint-Germainmont (Ardennes) et l’art celtique du IVe siècle av. J.-C.”, in Gallia, 42, 1984, pp. 1-20; ID., “Le corail, le vin et l’Arbre
de vie: observations sur l’art et la religion des Celtes du Ve au Ier siècle avant J.-C.”, in Études celtiques, 23,
1986, pp. 7-32, figg. 1-18; ID. (con P.-M. Duval), “Le fourreau celtique de Cernon-sur-Coole (Marne): I.
Analyse et description”, in Gallia, 44, 1986; ID., “L’emploi du compas lors de la conception et de la réalisation de la plaque de Paillart”, in Gallia, 44, 1986, pp. 49-53; ID., “Le masque et la palmette au IIIe siècle
avant J.-C.: Loisy-sur-Marne et Brno-Malomerice”, in Études celtiques, 24, 1987, pp. 13-32; ID., “L’art celtique laténien du Ve siècle avant J.-C.: le signe et l’image”, in Les princes celtes et la Méditerranée, Paris, 1988,
pp. 81-92; ID., “Brennos et l’image des dieux: la représentation de la figure humaine chez les Celtes”, in Académie des Inscriptions et Belles-Lettres, Comptes rendus des séances de l’année 1992, novembre-décembre, Paris,
De Bocard, 1992 (uscito nel 1994), pp. 821-843; ID., La cruche celte de Brno. Chef-d’œuvre de l’art, miroir de
l’Univers, Éd. Faton, Dijon, 2007; ID., “Les fondements idéologiques de l’imagerie des anciens Celtes”, in
Actes du colloque UISPP-CISENP, Paris, octobre 2007, Les expressions intellectuelles et spirituelles des peuples sans
écriture, CISPE, Capo di Ponte, 2007, pp. 65-75; ID., “La place et la signification du cheval dans l‘imagerie
celtique”, in Études celtiques, 38, 2012, pp. 43-59; ID. (con M. Cizmár), “Un manche de coutelas exceptionnel de Nemcice en Moravie”, in Archeologické rozhledy, 63, 2011, pp. 425-442; ID., “Les bronzes de Castiglione delle Stiviere: carnyx ou effigie d’un échassier?”, in Études celtiques, 39, 2013, pp. 41-60; ID., “Esses
et palmettes: la fibule de Marefy (ex Bucovice) dans son contexte européen”, in Moravské krizovatky. Strední
Podunají mezi pravekem a historií, Brno, 2014, pp. 691-698; ID. (con L. Kruta Poppi), “La fibule de Moscano di Fabriano: un jalon important de l’évolution de l’art celtique au IVe siècle avant J.-C.”, in Celtic Art in Europe: making connections. Essays in honour of Vincent Megaw on his 80 th birthday, Oxford, 2014, pp. 150-157;
ID., “‘Têtes jumelées’ et jumeaux divins: essai d’iconographie celtique”, in Études celtiques, 42, 2016, pp. 33-57.
(5)
Questo confronto, iniziato nel 2015 con V. Kruta, “L’art des Celtes au nord et au sud des Pyrénées: essai
d’iconographie comparée”, in Os Celtas da Europa Atlântica, vol. II, Atas do III Congresso Internacional Os Cel^^
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PRESENZE CELTICHE
molto antico, risalente cioè all’adozione di simboli caratteristici del sostrato neolitico
dell’Europa occidentale arricchiti nella seconda metà del III millennio a.C. da una
ideologia propria dei gruppi indoeuropei antenati dei Celti6. La base comune
rimane pressocchè immutata fino al Cristianesimo, ma le sue espressioni formali
cambiano nel tempo e nello spazio.
Questa situazione trova una convincente testimonianza nel rapporto tra l’arte
geometrica dei Celti e le immagini degli inizi dell’arte lateniana7 della seconda
metà del V secolo a.C.
Il regesto del repertorio rappresentativo dell’arte delle popolazioni celtiche, dalle
immagini più semplici a quelle più complesse, secondo un’ordine che corrisponde
nelle sue linee generali alla sequenza cronologica dei reperti noti attualmente,
permette di individuare gli aspetti più significativi di quest’arte.
I SIMBOLI FONDAMENTALI:
SPIRALE, ‘ESSE’, DOPPIA SPIRALE, TRISCELE, SVASTICA, RUOTA SOLARE
Due spirali a rotazione identica collegate da una linea disegnano il motivo noto
come ‘esse’. Questa immagine che schematizza il percorso immaginario del sole
sopra e sotto l’orizzonte, da un solstizio d’inverno all’altro, separato dal momento
d’equilibrio mediano del solstizio d’estate, è indubbiamente il motivo più diffuso
del repertorio celtico. Le sue origini pre-celtiche sono molto antiche: è documentato infatti in Europa occidentale già nell’arte neolitica del VI-IV millennio a.C.8
Due spirali con rotazione contraria possono essere disposte una accanto all’altra,
il punto d’equilibrio del solstizio d’estate è in questo caso raffigurato da una specie
di occhiello mediano. Questa doppia spirale è la forma data ai primi pendagli in filo d’oro del III millennio a.C. Dal IV secolo a.C., le forme molto semplificate di
palmetta con coppia di spirali della base ripeteranno questo motivo, che richiama
un viso umano caricaturale molto schematico visto frontalmente, frequente soprattutto sugli anelli in metallo prezioso.
Una forma particolare della doppia spirale è presente negli spilloni della prima
età del Ferro, particolarmente abbondanti nella necropoli di Hallstatt9. Nell’ambito
tas da Europa Atlântica, pp. 59-102, prosegue con ID., “Deux représentations en images de l’année celtique:
le vase des taureaux de Numance et la cruche de Brno”, nel volume di omaggi dedicato a Martin Almagro,
Complutum, Madrid, in corso di stampa; ID., “L’iconographie des poteries peintes de Numance et le répertoire de l’art celtique laténien”, in Études celtiques 44, 2018, in corso di stampa.
(6)
Sul processo di formazione delle popolazioni celtiche vedi V. Kruta, “La questione dell’origine dei Celti» (testo aggiornato e aumentato del saggio del 2010), in I Celti in Insubria. Nuove prospettive, Varese, 2016, pp. 7-23.
(7)
V. Kruta, “La question de l’art géométrique des Celtes”, in Ktéma, 35, 2010, pp. 243-252; ID. (con V.
Moucha), “Une fibule ornithomorphe du début du Ve siècle avant J.-C. au musée de Slany´ (Bohême)”, in
Archeologické rozhledy, 2018, LXX, pp. 67-90.
(8)
M. Brennan, The Stars and the Stones. Ancient Art and Astronomy in Ireland, London, 1983, pp. 190, 192;
V. Kruta, L’Europa delle Origini, Milano, 1993, fig. 77.
(9)
Sono le “Brillenfibeln” della terminologia tedesca: K. Kromer, Das Gräberfeld von Hallstatt, Firenze, 1959,
tavv. 2/12, 3/5, 6, 14, 28, 5/3 e passim.
VENCESLAS KRUTA
celtiberico costituisce l’elemento base di pettorali a simbologia calendariale10: le spirali
sono disposte da una parte e dall’altra di un asse mediano per gruppi di tre con
rotazione contraria intorno al punto centrale; la fila inferiore di spirali porta pendagli
costituiti da piccole spirali doppie; si tratta quindi della raffigurazione schematica di
un anno diviso a metà intorno al solstizio d’estate, con due stagioni di sei mesi,
ognuno di essi composto da due quindicine lunari.
Tre spirali riunite formano un triscele. Anche questo motivo è noto già nell’arte
megalitica del II millennio a.C.11 Raffigura probabilmente in modo schematico e dinamico le tre posizioni principali del sole sul piano verticale: sorgere, zenit e tramonto.
Un altro motivo giratorio, stavolta quaternario, è la svastica. Molto diffusa già
all’età del Bronzo in quasi tutta l’area europea, è frequente nel repertorio dei Celti
hallstattiani, ma meno in quello lateniano. È il simbolo più diffuso nell’arte dei
Celti ispanici. La svastica è nota fuori dall’Europa e la sua lontana origine sembra
da cercare nelle quattro posizioni, quotidiane ed annuali, di costellazioni che girano
intorno al polo celeste, particolarmente visibili nelle aree circumpolari. Sarebbe
quindi legata ai quattro eventi del ciclo annuale del sole: solstizi ed equinozi. Esprimerebbe pertanto un concetto sia temporale che spaziale12.
Molto antico è anche il simbolo della ruota solare, indipendentemente dalla sua
esistenza nei veicoli da trasporto. Particolarmente frequente nell’età del Bronzo13, presenta quattro o otto raggi. Associa il sole alla divisione dello spazio in quattro aree orizzontali definite dal suo percorso quotidiano. Ritroviamo la ruota tra gli oggetti votivi di
terracotta deposti in una tomba della Boemia centrale nel VI secolo a.C.; è accompagnata da un triscele, una foglia di quercia - riduzione simbolica dell’albero cosmico - e
una miniatura di scudo, oggetto noto nei depositi votivi della fine del periodo lateniano14.
Tutti i motivi basati sulla spirale possono apparire anche isolati, come avviene anzitutto nell’arte lateniana del III secolo a.C., oppure ripetuti in modo da formare
una catena continua. Lo stesso accade per la ‘esse’, motivo che illustra così il concetto
dell’alternanza continua, mentre per il triscele è più raro.
GLI ANIMALI
Immagini di animali sono presenti già nel repertorio dell’età del Bronzo dei popoli
presunti celtici. Si tratta anzitutto di uccelli acquatici, legati al ciclo solare e al cambio
stagionale. Rimangono presenti nell’arte hallstattiana e sono frequenti nella fase iniJ. L. Argente et alii, Tiermes V. Carratiermes, necrópolis celtiberica, Memorias, Arqueología en Castilla y León,
9, Valladolid, 2000, figg. p. 114, pp. 115-117; Kruta, “L’iconographie…”, in corso di stampa, cit. nota 5.
(11)
Brenann, The Stars and the Stones, cit. nota 8, pp. 193-194; Kruta, L’Europa delle Origini, 1993, cit. nota
8, p. 330, fig. 263; per i Celti lateniani vedi F. Maier, “Die Dreizahl in Mythos, Kult und Ornamentwelt
der Kelten. Ein Versuch”, in Germania, 82/1, pp. 381-396.
(12)
J. Haudry, “La symbolique du svastika”, Hyperborée, 2 (NS), 2012, pp. 91-96.
(13)
Kruta, L’Europa delle Origini, 1993, cit. nota 8, figg. 104, 111, 112, 116, 284, 285, 296.
(14)
Kruta, L’art des Celtes, 2015, cit. nota 2, p. 36.
(10)
PRESENZE CELTICHE
ziale dell’arte lateniana15. Le file di ucelli acquatici sono spesso associate a file di cavalli:
sulle cinture femminili di lamina stampigliata, sui vasi di bronzo16, ma anche sulla
ceramica, addiritura su lamelle di stagno applicate17. A volte, i cavalli sono montati da
un cavaliere dalla chioma raggiante, che indica chiaramente la sua natura solare. Il
collegamento del cavallo col sole è evidente già nella sequenza elaborata sui rasoi scandinavi, dove corrisponde alla posizione zenitale dell’astro18. L’esempio più noto di
questa giustapposizione del cavallo e dell’immagine del sole è il noto carrello di Trundholm, col disco solare decorato differentemente sulle due facce, preceduto dal cavallo.
Uccelli e cavalli, figurano lo svolgimento dell’anno presso i Celti del VI secolo a.
C. sul pettorale calendariale della tomba n. 94 di Hallstatt19 (fig. 1): la placca porta
incisa in basso una doppia spirale che disegna una sorta di barca solare e porta una
fila di uccelli acquatici schematizzati, al di sotto dodici pendagli discoidali corrispon-
Fig. 1: pettorale calendariale in bronzo della tomba n. 94 di Hallstatt (Austria), VI secolo a.C.;
Salisburgo, Museo Carolino-Augusteum (da KROMER 1959).
Kruta e Moucha, “Une fibule ornithomorphe…”, 2018, cit. nota 7.
Kruta, L’Europa delle Origini, 1993, cit. nota 8, fig. 301.
(17)
S. Desenne, C. Pommepuy, J.-P. Demoule et alii, “Buçy-le-Long. Une nécropole de La Tène ancienne”,
Revue archéologique de Picardie, numero speciale 26, 2009, III, fig. 104.
(18)
F. Kaul, Ships on Bronzes. A Study in Bronze Age Religion and Iconography, Kopenhagen, 1998; V. Kruta,
“Il cielo e gli uomini nell’Europa delle origini”, in V. Kruta, L. Kruta Poppi, E. Magni (a c. di), Gli occhi
della notte. Celti, Etruschi, Italici e la volta celeste, Milano, 2008, pp. 15-23; Kruta, “La place et la signification du cheval…”, 2012, cit. nota 4, p. 51.
(19)
Kromer, Das Gräberfeld von Hallstatt, 1959, cit. nota 9, tav. 251; Kruta, L’Europa delle Origini, 1993,
cit. nota 8, figg. 121, 122; ID., L’art des Celtes, 2015, cit. nota 2, p. 41.
(15)
(16)
VENCESLAS KRUTA
dono ai mesi lunari; sulla placca sono fissati quattro figurine a tutto tondo: due cavalli affiancati nel centro segnano la bella stagione, due uccelli acquatici disposti obliquamente negli angoli opposti indicano il cambio di stagione. La disposizione d’insieme
impone una lettura dall’alto a sinistra verso il basso a destra, da dove prosegue con
gli uccelli incisi sulla sagoma della barca che sfilano da destra a sinistra e collegano
le due spirali. Questa disposizione, certamente non casuale, suggerisce un’immagine
coerente e completa del ciclo annuale, impostata in senso orario. Si tratta quindi di
una descrizione dinamica dell’anno, un abbozzo di narrazione completa e coerente.
Il bestiario dell’arte lateniana comprende una varietà di altri animali che non sono
sempre rintracciabili nei periodi anteriori: sono il toro, animale celeste identificato
già allora con la costellazione omonima, praticolarmente importante presso i Celti
ispanici20, l’ariete, anch’esso legato probabilmente alla sua raffigurazione celeste21,
il cervo, che figura sulla situla di Sesto Calende, rara e antica testimonianza dell’arte
dei Celti golasecchiani22 databile alla fine del VII secolo a.C., il cinghiale, uccelli rapaci (per esempio i corvi presenti ancora sulla situla di Sesto Calende, aquile e
predatori notturni)23, la gru24 ed altri, che figurano con una diversità particolarmente
diffusa sulle immagini delle monete e nella piccola plastica del II-I secolo a.C.25
Eccezionale, il bacino cerimoniale di Gundestrup, con la sua fauna abbondante26.
GLI ESSERI MOSTRUOSI
La combinazione di elementi appartenenti a differenti esseri viventi, uomo
compreso, per elaborare mostri che non trovano equivalenti in natura, risale al neolitico ed è stata introdotta in Europa dagli agricoltori di origine microasiatica dal
VII millennio a.C.27 Queste raffigurazioni personificano chiaramente esseri o entità
soprannaturali. Nel periodo della formazione dei popoli celtici della seconda metà del III millennio a.C. non sono documentati, ma dal Bronzo recente il drago a
corpo serpentiforme è presente nel repertorio delle popolazioni dell’area scandinava:
accompagna il sole nella sua discesa verso il tramonto nella sequenza rilevata sui rasoi
incisi28. Il drago riemerge nel VI secolo a.C. sul pomo traforato dell’impugnatura di
un pugnale della tomba n. 116 di Hallstatt (fig. 2) dove la coppia di mostri avvolge
(20)
Kruta, “Deux représentations en images de l’année celtique…”, in corso di stampa, cit. nota 5; ID.,
“L’iconographie des poteries peintes de Numance…”, 2018, in corso di stampa, cit. nota 5; ID., L’art des
Celtes, 2015, cit. nota 2, pp. 152-153.
(21)
Kruta, L’art des Celtes, 2015, cit. nota 2, p. 60.
(22)
Kruta, L’Europa delle Origini, 1993, cit. nota 8, fig. 303.
(23)
W. Krämer e F. Schubert, “Zwei Achsnägel aus Manching. Zeugnisse keltischer Kunst der Mittellatènezeit”, in Jahrbuch des Deutschen Archäologischen Instituts, 94, 1979, pp. 366-390; J.-J. Charpy, “Le bélier,
l’oiseau rapace et leurs rapports avec la divinité principale”, in Études celtiques, 38, 2012, pp. 61-76.
(24)
Kruta, “Les bronzes de Castiglione…”, 2013, cit. nota 4.
(25)
Kruta, L’art des Celtes, 2015, cit. nota 2, pp. 161-163.
(26)
Kruta, L’art des Celtes, 2015, cit. nota 2, pp. 168-171.
(27)
Kruta, L’Europa delle Origini, 1993, cit. nota 8, p. 88, figg. 68-72.
(28)
Kaul, Ships on Bronzes…, 1998, cit. nota 18; Kruta, L’Europa delle Origini, 1993, cit. nota 8, figg. 290,
292; ID., “La place et la signification du cheval…”, 2012, cit. nota 4, p. 51.
PRESENZE CELTICHE
due piccoli personaggi, disposti perpendicolarmente all’asse dell’arma. Si tratta probabilmente della prima raffigurazione nota del tema dei gemelli, che sarà sviluppato soprattutto dal secolo successivo29.
Il drago a corpo serpentiforme accompagna anche la nascita dell’arte lateniana
nel V secolo a.C. Figura generalmente in
coppia araldica a fianco dell’Albero cosmico o a una delle sue riduzioni simboliche30.
Talvolta i draghi possono disegnare una
‘esse’, con le estremità costituite da teste di
uccelli acquatici o, più spesso, di rapaci,
confermando così la natura solare della
composizione. La chiavetta del mozzo di
carro di Oberndorf (fig. 3)31, della seconda
metà del V secolo a.C., presenta nel centro
la faccia della divinità coronata da una
palmetta che simbolizza l’Albero cosmico.
I draghi a corpo serpentiforme costituiranno con i grifi dal IV secolo a.C. l’emblema detto della “coppia di draghi”, inciso o
applicato sui foderi di spada di confraternite guerriere estremamente mobili32. Questi simboli sono sparsi in diverse aree legate
più o meno direttamente alla espansione
militare di questi secoli. Con i mercenari, reduci dalle unità con armamento celtico, arriveranno sporadicamente anche in
alcune località dell’area celtiberica.
Il mostro più originale e sconcertante inventato dai Celti lateniani è il cavallo a testa
umana. Non è il risultato di un adattamento
del centauro greco che nasce dall’innesto di
un torso umano sul corpo di un cavallo o,
Fig. 2: pomo in bronzo del pugnale della
tomba n. 116 di Hallstatt (Austria),
VI secolo a.C.; Vienna, Naturhistorisches
Museum (da KROMER 1959).
Fig. 3: testa di bronzo di una chiavetta
dal carro da Oberndorf (Austria), seconda
metà del V secolo a.C.; Vienna,
Bundesdenkmalamt (da KRUTA 1986).
Kromer, Das Gräberfeld von Hallstatt, 1959, cit. nota 9, tav. 16/3; Kruta, “‘Têtes jumelées’…”, 2016,
cit. nota 4, p. 34.
(30)
Kruta, L’art des Celtes, 2015, cit. nota 2, p. 63.
(31)
Kruta, L’art des Celtes, 2015, cit. nota 2, p. 66.
(32)
N. Ginoux, Le thème symbolique de la “paire de dragons” sur les fourreaux celtiques (IVe-IIe siècles av. J.-C.).
Étude iconographique et typologie, BAR International Series 1702, Oxford, 2007; Kruta, L’art des Celtes,
2015, cit. nota 2, pp. 142-143.
(29)
VENCESLAS KRUTA
nella versione arcaica, del treno posteriore del quadrupede sul corpo di
un uomo. Il cavallo androcefalo esprime la natura polimorfa della divinità dotata di una capacità di metamorfosi propria della sua condizione soprannaturale: può prendere l’aspetto di un animale o di un
uomo, ma anche di un albero33. La prima immagine del cavallo
androcefalo è la statuetta sul coperchio della
brocca cerimoniale di Reinheim, della seconda
metà del V secolo a.C. (fig. 4)34. Il viso è inquadrato dal motivo della “doppia foglia di vischio”
che in questo modo segnala lo stretto legame del
personaggio con le tre forme di vita: umana, animale e vegetale. Non abbiamo più per circa due
secoli nessun’altra testimonianza di questa singolare creatura, ma la vediamo riemergere in Gallia nella trasformazione del cavallo sul rovescio
degli stateri macedoni o in quella, meno nota,
delle didramme campane in Europa centrale.
Fig. 4: statuetta di bronzo da ReinUn parallelo può essere trovato in ambito celheim (Germania), seconda metà del V
tiberico,
nel repertorio della pittura vascolare di
secolo a.C.; Saarbrück, Museum für VorNumantia,
con un personaggio che porta una teund Frühgeschichte (da KRUTA 1986).
sta animale - cavallo o ariete - su un corpo umano (fig. 5)35. Le spirali che ornano sia il corpo che la testa indicano la sua natura solare. Si tratterebbe quindi dell’equivalente autonomo del cavallo androcefalo lateniano.
Fig. 5:
ippocefalo dipinto
su una brocca monocroma
di Numantia (Spagna),
III-II secolo a.C.;
Soria, Museo Numantino
(da WATTENBERG 1963).
Kruta, “Brennos et l’image des dieux…”, 1992, cit. nota 4.
Kruta, L’art des Celtes, 2015, cit. nota 2, p. 60.
(35)
Kruta, L’art des Celtes, 2015, cit. nota 2, p. 153; ID., “L’iconographie des poteries peintes de Numance…”,
2018, in corso di stampa, cit. nota 5.
(33)
(34)
PRESENZE CELTICHE
LE FIBULE “A MASCHERE” E ASSOCIATE
Una categoria di opere particolarmente
importante e caratteristica della fase iniziale dell’arte lateniana del V secolo a. C.
è costituita da fibule configurate, che portano, sia sull’arco che sul piede, delle immagini di facce umane e delle teste di
rapace generalmente di grifi (fig. 6)36. Un
certo numero di queste fibule presenta dei
visi gemellati, riuniti per l’occipite o sovrapposti. Non sono mai totalmente uguali, ma
Fig. 6: fibula “a maschere” di bronzo
distinti da piccoli particolari. Si tratta
da
Nová Hut’ (Boemia), seconda metà
della prima serie di raffigurazioni dei ge´ Západoceské
del
V secolo a.C.; Plzen,
melli divini, che ritroviamo in modo abMuzeum (da KRUTA 2016).
37
bastanza frequente nei secoli successivi in
particolare su monete38. Il tema non è stato finora individuato nel repertorio celtiberico.
^
L’ IMPATTO DELL’ ICONOGRAFIA MEDITERRANEA :
LA PALMETTA E MOTIVI ASSOCIATI
Il motivo che riflette meglio di altri l’impatto del repertorio mediterraneo sul
mondo lateniano nella fase iniziale del V secolo a.C. è la palmetta, identificata
probabilmente già allora con l’Albero cosmico. I modelli che giungono nell’area
transalpina figurano su diversi supporti
di bronzo come di ceramica, essenzialmente elementi del servizio da bere di
origine greca o etrusca. Sono sovente palmette isolate - per esempio sugli attacchi delle anse di brocche - o fregi di palmette, generalmente associate a fiori di
loto. Proprio su un fregio di questo tipo
possiamo seguire l’emergenza di un motivo tipico dell’arte lateniana: “la doppia Fig. 7: sviluppo schematico della guarnizione di
foglia di vischio”. Si tratta della guarni- foglia d’oro traforata da Eigenbilzen (Belgio),
zione di un corno potorio della tomba seconda metà del V secolo a.C.; Bruxelles, Muprincipesca di Eingenbilzen (fig. 7)39, che sées royaux d’art et d’histoire (da KRUTA 2004).
Cui la fibula di Nová Hut’ in Boemia: Kruta, L’art des Celtes, 2015, cit. nota 2, p. 64 ; altre fibule
rappresentative di questa categoria, ibid., pp. 50, 51, 65, 67, 68.
(37)
Kruta, “‘Têtes jumelées’ et jumeaux divins…”, 2016; ID., L’art des Celtes, 2015, cit. nota 2, pp. 74, 75,
79, 95, 101, 119, 123, 136, 138
(38)
D. Gricourt e D. Hollard, Les jumeaux divins dans le Festiaire celtique, Marseille, 2017.
(39)
Kruta, L’art des Celtes, 2015, cit. nota 2, p. 70.
(36)
VENCESLAS KRUTA
documenta uno dei meccanismi di trasformazione: la palmetta è ridotta a tre foglie e
la sua base è collegata con quella del fiore di loto da una ‘esse’; le estremità dei petali
del fiore sono riunite con un motivo circolare. In questo modo, il motivo può essere
letto in due modi: il fiore di loto o una doppia foglia che può essere identificata senza
troppe esitazioni con il vischio, un vegetale parassita perenne venerato dai Celti, come riferisce Plinio il Vecchio (Storie della natura, XVI, 249-251). Un’altra possibilità
è la sua derivazione dalla palmetta, ridotta alla coppia di foglie inferiori. I Celti vedevano probabilmente in questa pianta, verde anche durante la temporanea morte
invernale del rovere che la portava, la materializzazione dell’anima immortale…
Diventa quindi un attributo della divinità associata all’Albero cosmico, che viene
dorenavanti raffigurata spesso con il viso inquadrato dalla “doppia foglia”40.
Il motivo viene tuttavia usato anche isolatamente, per esempio nelle stampiglie sulla ceramica. Più tardi ne viene sfruttata una versione dinamica, risultato dell’iscrizione della ‘esse’ in un cerchio. Si diffonde così, anzitutto nel III secolo a.
C., il motivo giratorio che è un equivalente dello
“yin-yang” cinese. L’alternanza dinamica dei contrari viene talvolta sottolineata dal trattamento
diverso della superficie di una delle parti (fig. 8)41.
In generale, a partire dal IV secolo a. C., la
palmetta subisce delle modificazioni che la assimilano a un viso caricaturale. Queste “maschere”42,
che di solito fanno riferimento alla raffigurazione dell’alternanza ciclica, sono spesso inserite in
Fig. 8: particolare di anello da cacomposizioni più complesse, fondate su disposiviglia a ovuli cavi di bronzo da Praga (Boemia); prima metà del III se- zioni ispirate da modelli greci. Lo schema è genecolo a.C.; Praga, Národní Muzeum ralmente in questi casi una ‘esse’ o un fregio.
L’esempio più significativo è il noto fodero di
(da KRUTA 1975).
Filottrano (fig. 9)43: il punto di partenza è un fregio di palmette affiancate da racemi e collegate con delle ‘esse’; il risultato è una
composizione che permette diverse letture e rivela il suo contenuto soltanto dopo un
esame molto attento. Si possono allora individuare non solo delle “maschere” nate
dalla trasformazione delle palmette, con la possibilità di intravvedere sui lati la forma
di palchi di cervo nei racemi stilizzati, ma i due simboli elementari, la ‘esse’ e il
triscele. Questo contenuto multiplo non percepibile immediatamente da un occhio
Kruta, L’art des Celtes, 2015, cit. nota 2, pp. 46, 52, 60, 63, 68, 72, 80, 81,101.
Particolare di una cavigliera ad ovuli cavi in bronzo da Praga: V. Kruta, L’art celtique en Bohême: les
parures métalliques du Ve au IIe siècle avant notre ère, Bibliothèque de l’Ecole des Hautes Etudes, vol. 324,
Paris, 1975, figg. 44/4; ID., Le monde des anciens Celtes, Fouesnant, 2015, p. 32.
(42)
Kruta, “Le masque et la palmette…”, 1987, cit. nota 4.
(43)
Kruta, L’art des Celtes, 2015, cit. nota 2, p. 94.
(40)
(41)
PRESENZE CELTICHE
Fig. 9: sviluppo schematico di un segmento della decorazione del fodero in lamina di bronzo di
Filottrano (Italia), con le due possibilità di lettura; metà del IV secolo a.C.; Ancona, Museo nazionale delle Marche (da KRUTA 2007).
non avvertito non è casuale ma è il risultato di una accurata ricerca da parte degli
artigiani celtici che criptavano volontariamente i loro messaggi.
La trasformazione del modello iniziale del fregio di palmette è particolarmente
ben illustrata e percepibile nella facies centro-europea del IV-III secolo a.C. (fig.
10)44. Vi si può seguire la prevalenza progressiva dei simboli fondamentali - la ‘esse’
e il triscele - che si allontanavano dai modelli iniziali fino a delle semplificazioni geometriche che ne conservano soltanto la struttura di base, cioè una semplice linea a
zig-zag. Si tratta tuttavia sempre dell’espressione figurata del concetto dell’alternanza
ciclica, cioè della successione ininterrotta di principi opposti: oscurità della notte seguita dalla luce del giorno, freddo invernale dal caldo estivo, morte da una nuova vita…
Espressa in diversi modi, questa convinzione che porta la speranza di una nuova
vita, di un rinnovo ciclico che segue quello della natura, era profondamente ancorata
nella spiritualità celtica ed è uno dei temi fondamentali della loro espressione artistica.
Fig. 10: trasformazione del fregio di palmette su braccialetti in bronzo della Boemia; fine del IVinizi del III secolo a.C. (da KRUTA 1975).
Kruta, “La question de l’art géométrique…”, 2010, cit. nota 7, figg. 3-7; ID., “Boïens et Volques: les
deux visages celtiques de la Bohême et de la Moravie”, Pavúk-Klonza-Harding (a c. di), !"#$%&'(.
Studies in honor of prof. Jan Bouzek, Praga, in corso di stampa.
(44)
VENCESLAS KRUTA
LE IMMAGINI DEL MONDO
Lo schema di uno spazio diviso in quattro parti corrispondenti ai punti cardinali
è presente già nell’immagine della ruota solare. Questo schema viene perfezionato
con la nascita dell’arte lateniana. È sottolineato dall’asse principale della corsa solare
da est verso ovest che viene evidenziato con una lunghezza superiore. Il centro,
punto di passaggio dell’asse cosmico, che nella concezione celtica corrisponde a uno
spazio mediano dove si compie l’unità delle parti, viene emfatizzato con un trattamento speciale - incrostazioni di corallo o d’ambra, motivi concentrici ecc.
La placca di Chlum in Boemia (fig. 11)45 che porta una versione geometrica sul
rovescio, mostra chiaramente l’elaborazione di questa immagine che ha preceduto
la nascita dell’arte lateniana.
Fig. 11: placca di bronzo da Chlum (Boemia), che porta sul lato principale un rivestimento di
foglia d’oro e sul retro una decorazione geometrica incisa; seconda metà del V secolo a.C.; Praga,
Národní Muzeum (da KRUTA 2010).
Esistono tuttavia anche delle versioni circolari, sapientemente costruite a compasso. Gli esemplari traforati dimostrano un’ammirevole capacità di lavorazione del
metallo poichè i trafori sono realizzati con un seghetto. L’uso diretto del compasso
per l’impostazione di oggetti di questo tipo è stato osservato ancora nell’arte dei
Celti insulari nel I secolo d.C.46
L’importanza di quest’impostazione che vuol riprodurre l’ordine del mondo è documentata da una serie di strumenti con funzione indubbiamente rituale, trovati in
contesto soltanto in una tomba della Champagne francese, assieme a una patera di
bronzo per libagioni. Altri numerosi esemplari sono stati rinvenuti isolati nelle Isole
britanniche. Si tratta di cucchiai piatti con all’interno una croce col centro eviden(45)
Kruta, “La question de l’art géométrique…”, 2010, cit. nota 7, fig. 8; ID., L’art des Celtes, 2015, cit.
nota 2, p. 73.
(46)
Kruta, « L’emploi du compas … » 1986, cit. nota 4.
PRESENZE CELTICHE
ziato da un cerchio47. L’oggetto viene spesso
forato proprio in questo punto, rendendolo del tutto improprio a un uso normale.
Un analogo schema spaziale è documentato anche nel mondo celtiberico48.
Oltre a questo schema del mondo orizzontale disponiamo di immagini della suddivisione verticale, particolarmente evidente sull’elmo da parata di Agris (fig. 12)49 che identifica il suo portatore con un’emanazione
dell’asse cosmico: illustra infatti i tre mondi
sovrapposti - celeste e infernale con immagini della divinità tutelare, in alto coronata
con la “doppia foglia di vischio”, in basso,
orientata a rovescio, con aggiunta di corna;
la fascia mediana, quella del mondo terrestre
degli umani soggetto all’alternanza ciclica, è
indicata da una sequenza di ‘esse’ che inquadrano delle piccole “immagini del Mondo”,
cioè dei motivi quadrilobati
Fig. 12: sviluppo parziale dell’elmo da para- terminanti in palmette.
ta di Agris (Francia), di ferro, rivestito di
L’unico copriguancia ribronzo con applicazione di foglia d’oro e insertrovato
è un riassunto di
ti di corallo; metà del IV secolo a.C.; Angoututti
i
simboli
e temi fonlême, Musée archéologique (daKRUTA 2015).
damentali del repertorio:
‘esse’, doppie spirali, motivi raggianti e quadrilobati, “foglie di vischio”, infine, un serpente a testa d’ariete che disegna una ‘esse’ iscritta
in un cerchio... Le ricche incrostazioni di corallo, una materia che
per i Celti è la materializzazione del “fuoco nell’aqua”, altro concetto essenziale per loro50, rinforzano il valore simbolico dell’oggetto.
Sono giunti fino a noi alcuni monumenti di pietra che segnalavanoilpuntodelpassaggio presunto dell’asse cosmico che marca il
centro simbolico di un territorio. Il pilastro di Pfalzfeld (fig. 13)51,
Fig. 13: pilastro scolpito sui quattro lati da Pfalzfeld (Germania), seconda
metà del V secolo a.C.; Bonn, Rheinisches Landesmuseum (da KRUTA 2015).
V. Kruta, I Celti occidentali, Novara, 1986, p. 110; ID., Le monde des anciens Celtes, 2015, cit. nota 37, p. 202.
Kruta, “L’iconographie des poteries peintes de Numance…”, 2018, in corso di stampa, cit. nota 5.
(49)
Kruta, L’art des Celtes, 2015, cit. nota 2, p. 101.
(50)
Kruta, La cruche celte de Brno…, 2007, cit. nota 4, p. 31; ID., “Esses et palmettes...”, cit. nota 4, p. 693;
Ph. Jouët, Dictionnaire de la mythologie et de la religion celtiques, Fouesnant, 2012, pp. 441-442; J. Haudry,
Le feu dans la tradition indo-européenne, Milano, 2016, pp. 44-49, 292-297, 371, 486.
(51)
Kruta, L’art des Celtes, 2015, cit. nota 2, p. 81; ID., Le monde des anciens Celtes, 2015, cit. nota 37, p. 368.
(47)
(48)
VENCESLAS KRUTA
in Renania, è di sezione quadrangolare: porta sui quattro lati l’immagine di un viso
schematico, incoronato dalla “doppia foglia di vischio”, con una palmetta trilobata che pende sotto il mento. Delle file di ‘esse’ corrono lungo i lati, mentre sopra
la testa si sviluppa una composizione derivata ancora dalla palmetta. Il significato
dell’ornamentazione del pilastro non lascia il minimo dubbio: rappresenta l’effigie del
personaggio divino, tutore dell’Albero cosmico, che protegge le quattro parti del territorio. Le quattro statue di grandezza quasi naturale - una completa e tre in frammenti rinvenute sul sito monumentale del Glauberg52 svolgevano probabilmente la stessa funzione. Non si tratterebbe quindi della raffigurazione del
defunto di una della tombe eccentriche situate all’interno del grande fossato circolare.
Sono noti finora soltanto altri tre di questi
omfaloi, cioè di questi ombelichi del Mondo.
Ciascuno di loro presenta un’impostazione diversa, dovuta probabilmente al diverso scaglionamento nel tempo e nello spazio: i primi due,
del IV secolo a.C., provengono dall’Armorica
e dalla Germania centrale, il terzo, molto più
recente, dall’Irlanda53.
Lo schema delle quattro parti intorno a un’area
centrale che circonda il punto di passaggio dell’asse
cosmico è riproposto in verticale nelle croci irlandesi.
La continuità col periodo pre-cristiano è testimoniata
da degli esemplati che presentano nel centro un motivo solare, a volte circondato addirittura dai draghi che
intraprendevano in questo luogo il loro combattimen54
Fig. 14: stele di pietra scolpita to stagionale. Sulla stele di Gallen Priory (fig. 14) alla
base dell’asse verticale si trova un piccolo personaggio
da Gallen Priory (Irlanda),
con braccia aperte, identico al “domatore di draghi”
VII-VIII secolo d.C.
del repertorio lateniano del V secolo a.C.55 È una delle
(da KRUTA 2015).
testimonianze più convincenti delle radici profonde
dell’arte cristiana dell’Irlanda e della continuità tra i due repertori iconografici.
LE SEQUENZE VISUALI DELL’ANNO
Due opere eccezionali permettono di cogliere l’alto livello di conoscenze astronomiche dei druidi, detentori del sapere che seguendo Cesare: «…discutono molto inoltre tra loro degli astri e dei loro movimenti, della grandezza dell’universo
Kruta, L’art des Celtes, 2015, cit. nota 2, p. 80; ID., Le monde des anciens Celtes, 2015, cit. nota 37, p. 92.
Kruta, L’art des Celtes, 2015, cit. nota 2, pp. 104-105; ID., Le monde des anciens Celtes, 2015, cit. nota
37, pp. 369-371.
(54)
Kruta, Le monde des anciens Celtes, 2015, cit. nota 37, p. 372.
(55)
Kruta, L’art des Celtes, 2015, cit. nota 2, p. 63.
(52)
(53)
PRESENZE CELTICHE
Fig. 15: brocca cerimoniale di Brno, particolare della guarnizione di bronzo traforato
corrispondente al cielo di Belteine, ca. 280 a.C.; Museo Moravo di Brno (foto D. Bertuzzi).
e della terra, della natura delle cose, della forza e della potenza degli dèi immortali…» (De bello Gallico, VI, 14).
Il primo è un’opera di straordinaria qualità artistica, la brocca cerimoniale rinvenuta a Brno in Moravia56. Costituisce un riassunto completo del sistema di riferimenti celesti dell’anno celtico, realizzato in ogni particolare con una maestria che ne fa un
capolavoro senza equivalenti e rappresenta ammirevolmente l’arte degli antichi Celti.
Sul coperchio, una statuetta, che raffigura la coppia di draghi nella loro lotta
ciclica, è posta al centro di un motivo quadrilobato che vuole indicare il punto
centrale del passaggio dell’asse cosmico del luogo. Intorno alla pancia del recipiente
sono applicate quattro guarnizioni traforate: le due grandi, che a prima vista sembrano un intreccio di esseri mostruosi, sono in realtà l’evocazione precisa del cielo
stellato che, secondo il calcolatore dell’Osservatorio astronomico di Brera, sormontava
Brno (fig. 15) nei giorni delle due grandi feste - Samain e Belteine - che determinavano l’inizio e la fine delle due grandi stagioni, quella buia-invernale, e quella chiara(56)
Kruta, La cruche celte de Brno…, 2007, cit. nota 4; ID., “La brocca di Brno: il cielo stellato dei druidi
agli inizi del III secolo a.C.”, in Gli occhi della notte, 2008, cit. nota 18, pp. 55-71; ID., L’art des Celtes, 2015,
cit. nota 2, pp. 120-123; ID., Le monde des anciens Celtes, 2015, cit. nota 37, pp. 174-184.
VENCESLAS KRUTA
estiva. Le stelle corrispondono agli
occhi delle creature mostruose. Le
due piccole guarnizioni segnano i
solstizi con riferimento alla costellazione dei Gemelli, collegata in queste date alla
levata e al tramonto del sole : i due occhi della guarnizione invernale sono inseriti in una
Fig. 16: piccola guarnizione traforata ‘esse’, quelli della guarnizione estiva, quando
le stelle sono occultate dal sole, diventano
di bronzo della Brocca di Brno,
parte di un viso rotondo, espressione della
raffigurante il solstizio d’estate, ca.
pienezza dell’astro. Il naso a forma di goccia
280 a.C.; Brno, Moravské Muzeum
richiama l’antico motivo della doppia spirale,
(da CIZMÁROVÁ 2005).
e segnala la svolta solstiziale (fig. 16).
Il predominio della costellazione del Toro nel cielo delle due grandi feste stagionali sulla brocca di Brno ha permesso di decifrare il significato di un’altra opera
emblematica, il cosìdetto “vaso dei tori” di Numantia
(fig. 17)57. Infatti, i due tori della sequenza dipinta sul vaso celtiberico corrispondono a
due immagini di questa costellazione:
in quella invernale, il corpo scuro dell’animale poggia dritto sulle zampe sopra un pesce doppio, richiamo del segno zodiacale inverFig. 17:
nale, mentre il toro estivo ha
sviluppo della
sequenza dipinta
un corpo chiaro, senza gamsul
“vaso dei tori”
be e presenta una strana prodi Numantia
tuberanza triangolare in mez(Spagna),
zo alla pancia, che segna proIII secolo a.C.;
babilmente il punto di equiSoria, Museo
librio solstiziale. Numerosi seNumantino
gni astrali sono presenti sia sui
(da WATTENBERG 1963).
corpi che sullo sfondo, collegati tra loro da linee per indicare
l’appartenenza ad un asterismo.
Gli unici che si possono individuare senza un’analisi paleoastronomica sono le due stelle dei Gemelli e il
cosiddetto Triangolo estivo che segna la fine
della stagione invernale e l’inizio di quella esti^
^
^
Kruta, L’art des Celtes, 2015, cit. nota 2, p. 152; ID., “Deux représentations en images de l’année
celtique…”, in corso di stampa, cit. nota 5.
(57)
PRESENZE CELTICHE
va. Abbiamo quindi due versioni formalmente indipendenti ma concettualmente simili della raffigurazione di un anno secondo le credenze dei Celti antichi.
Come per altri confronti tra due aree culturali celtiche molto distanti tra loro,
la differenza nella forma nasconde un’identica sostanza. La presenza o assenza
di alcuni temi è la conseguenza di scelte iconografiche autonome. Tuttavia la
struttura dello sfondo ideologico trasmesso dalle immagini è del tutto analoga.
Non per caso, le somiglianze maggiori vengono dai simboli fondamentali,
quelli più semplici, più presenti e più persistenti.
L’esame del repertorio iconografico dell’arte dei Celti rivela che si è costruito in
modo cumulativo a partire da una serie di simboli molto antichi, pre-celtici, ai
quali sono state aggiunte, un po’ casualmente, in modo non sistematico, delle immagini più autenticamente celtiche, riferibili a un fondo comune di radice indoeuropea. È quindi evidente che l’espressione artistica è un segno di identità al pari
della lingua, ma questo aspetto si può cogliere soltanto con la ricerca dei significati
aldilà delle apparenze formali. La semplice giustapposizione di immagini non
basta a svelare la parentela strutturale di due repertori iconografici. Lo stesso vale
per il rapporto, tanto discusso, sul ruolo delle influenze mediterranee: quello che
è importante non sono tanto le somiglianze formali, ma le differenze semantiche
che risultano dalla trasformazione dei modelli iniziali. È necessario capire non
solo cosa è stato cambiato, ma perchè…
Illustrata in modo convincente non solo presso i gruppi continentali fino all’arte
cristiana dell’Irlanda alto-medioevale, la continuità dell’arte dei Celti a partire
dalle lontane radici nella seconda metà del III millennio a.C. s’appoggia sulla persistenza di un sostrato spirituale che può cambiare nei particolari formali, ma rimane
immutato nella sostanza. È una constatazione sempre più evidente anche nel campo della tradizione letteraria, sia in quella delle Isole che in quella continentale del Medioevo. Strettamente collegate, l’eredità iconografica e letteraria, sono delle testimonianze del profondo e forte radicamento di un’identità che ha potuto cambiare le sue
apparenze, fino a sembrare cancellata, ma che mantiene l’essenziale della sostanza.