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Ductu auspicioque: Per una riflessione sui fondamenti religiosi del potere magistratuale fino all'epoca augustea

2008

This paper presents an analysis of a number of problems related to the auspices and the imperium of Roman magistrates and promagistrates. The first part concerns prorogued magistrates and confirms that, despite the lack of the auspicia urbana after the expiration of their annual magistracy, their power outside Rome was still considered valid, since it was founded on the auspices of departure that they had taken within the city during the consulate or the praetorship. Moreover, this fact caused that outside the city no clear hierarchy could exist between a consul and a proconsul, as shown by many examples. Still, some conservative senators would consider these promagistrates as private persons, since they could not act within the limits of the city. The second part examines some cases when the Roman popular assemblies elevated a lesser imperium to a higher degree. Then the validity of the auspices of the so called priuati cum imperio is discussed. These promagistrates too validated their military imperium with an auspication, but this was taken outside the city since they had no power within the pomerium. This analysis leads to refute the statements about the invalidity of the promagisterial auspices contained in two passages of Cicero (div. 2, 77 and nat. deor. 2, 9) and then to reconsider the whole case of the subordination of the proconsul of Africa Cossus Cornelius Lentulus to the auspices of the emperor Augustus in AD 7–8 (IRT 301). This was due to a voluntary act justified by the serious military crisis of those years and not to a permanent lack of the auspices by the proconsuls, as some scholars argue. A final note explores the particular and unprecedented auspical position of Augustus inside the city after 19 BC.

Alberto DAllA rosA Ductu Auspicioque Per unA riflessione sui fonDAmenti religiosi Del Potere mAgistrAtuAle fino All’ePocA AugusteA gli auspicia e il loro significato in connessione alla magistratura sono uno degli argomenti più oscuri della storia romana. il loro carattere arcaico ne rendeva ardua la comprensione anche per le nostre fonti del i sec. a.c., tuttavia il ruolo loro dato dalla tradizione era ancora importante e vivo. essi ebbero una posizione centrale nella lotta politica tra patrizi e plebei, nelle competizioni per gli onori trionfali al momento dell’espansione nel mediterraneo, nella lotta tra fazioni negli anni 60–50 a.c. e, infine, ebbero un ruolo anche nella definizione della posizione dell’imperatore all’inizio del principato. nelle fonti antiche e soprattutto in opere specialistiche della tarda repubblica, gli auspicia sono un concetto fondante per la civitas di roma1. la legge augurale era il fondamento costituzionale del potere dei magistrati, che veniva direttamente confermato da giove2. nel giorno dell’entrata in carica il magistrato designato 1 Vedi cic. nat. deor. 3, 5: mihique ita persuasi Romulum auspiciis, Numam sacris constitutis fundamenta iecisse nostrae civitatis; ancora div. 2, 33, 70: Romulum, qui urbem auspicato condidit e in Vat. 6, 14: auspicia, quibus haec urbs condita est, quibus omnis res publica atque imperium tenetur, contempseris. in questi passi più che in altri si sottolinea non solo l’importanza data alla religione in ogni atto della vita pubblica, ma si accenna a essa quasi come un principio costituzionale (gioVAnnini, Remarques, 176; per un elenco più dettagliato dei passi riguardanti il valore degli auspici di romolo vedi cAtAlAno, contributi, 575–583). riguardo all’importanza della religione per lo stato romano vedi Polyb. 6, 56, 6–15; liv. 5, 51, 5; 5, 52, 2; 44, 1, 11; Val. max. 1, 1, 9; cil i2, 2500. risale al periodo tardo repubblicano anche il trattato sul diritto augurale di m. Valerio messalla rufo, cos. 53 e augure per più di cinquanta anni, di cui ci è giunto un frammento grazie alla citazione di gell. 13, 15, 4–6. 2 riguardo alla differenza tra augurium e auspicium vedi cAtAlAno, contributi, 9–168 che ne considera dettagliatamente gli aspetti etimologici e giuridici. Per quello che riguarda la presente trattazione basti ricordare che l’auspicium era un’interrogazione della volontà divina con lo scopo di ottenerne l’approvazione per l’atto che si stava per iniziare. Questo atto poteva concludersi entro poche ore, ma anche durare per mesi (come nel caso delle campagne militari), o addirittura in perpetuo (come per le fondazioni di città). l’auspicazione poteva avere anche come 11_Dalla Rosa.indd 185 13-05-2008 9:20:19 186 Alberto DAllA rosA procedeva alla solenne auspicazione sul campidoglio che sanciva il momento dell’inizio della sua magistratura3. Questa procedura era possibile solamente se la persona che doveva essere investita dei poteri magistratuali era in possesso dell’auspicium, cioè della capacità di interrogare gli dei in nome dell’intera comunità. come alcuni studiosi hanno rimarcato4, questa doveva essere la più antica denominazione del potere a roma, in quanto strettamente connessa con la sfera religiosa e non adatta a esprimere né una stratificazione né una specializzazione settoriale delle magistrature. nelle nostre fonti gli auspici dei magistrati sono associati all’oscura lex curiata5. l’autorità di mommsen ha fatto considerare a lungo questa legge come una mera conferma sacrale dell’imperium già posseduto dai magistrati in base all’elezione da parte dei comizi6. contro questa visione largamente dominante, magdelain sostenne che la lex curiaoggetto una persona anziché un’azione, come nel caso della scelta del praetor della lega dell’aqua Ferentina in fest. 241. riguardo a efficacia e oggetto delle auspicazioni cfr. cAtAlAno, contributi, 42–48 e mommsen, staatsrecht, i, 96–97. sullo ius augurale va aggiunto il fondamentale studio di linDerski, Law; cfr. anche WissoWA, Augures; WissoWA, Religion, 454–460; neumAnn, Augur. molto importante riguardo alle auspicazioni di elezione, entrata in carica e partenza lo studio, meritevole di maggiore considerazione, di mAgDelAin, Recherches, 36–42. la grande importanza della legge augurale per tutto il periodo repubblicano è stata sottolineata da gioVAnnini, Livres e sarà rimarcata anche nel presente studio. sulla protezione di giove sulle assemblee convocate auspicato cfr. botsforD, Assemblies, 100–118. 3 Vedi mAgDelAin, Recherches, 5–12 per cui la conferma da parte di giove sarebbe l’unico fondamento giuridico alla base dei poteri dei re e dei magistrati repubblicani (cfr. anche brennAn, praetorship, 19 e infra). Questa teoria va contro l’ipotesi per cui ogni magistratura sarebbe stata creata e trarrebbe la sua legittimità da una legge costitutiva, richiamata poi nelle successive rogationes elettorali (cfr. le rispettive leggi in rotonDi, Leges). Di leggi costitutive, però, per i consoli, pretori ed edili non si trova traccia nelle fonti antiche; per i questori una legge rogata dal primo console P. Valerio Poplicola è menzionata da Plut. publ. 12, 2, ma quest’informazione (assai dubbia già di per sé) è contraddetta da tac. ann. 11, 22 che riferisce come i questori fossero in passato semplicemente nominati dai consoli, di cui erano collaboratori subordinati. inaffidabili sono anche le tradizioni su leggi costituenti per il dittatore (liv. 2, 18) e per i decemviri legibus scribundis (liv. 3, 31, 7–8). Per una critica alla teoria delle leggi costituenti vedi anche siber, Verfassungsrecht, 56. 4 in particolare bleicken, Amtsgewalt, 276–278. 5 non è questa la sede per una critica delle diverse teorie sulla legge curiata e sulla nascita delle magistrature repubblicane. Per un resoconto delle varie posizioni cfr. bleicken, Amtsgewalt, 15 n. 37. 6 l’origine di questo atto puramente confermativo sarebbe nel giuramento di obbedienza dei cittadini verso il re. cfr. mommsen, staatsrecht, i, 609–610; coli, scritti, i, 363; 480–82. 11_Dalla Rosa.indd 186 13-05-2008 9:20:20 Ductu Auspicioque 187 ta fosse il vero e proprio atto con cui gli auspici venivano concessi al futuro magistrato. secondo questo punto di vista, i comizi curiati sarebbero stati un’assemblea esclusivamente patrizia e per questo fonte degli auspicia publica populi Romani. A conferma di questo stava l’interregnum, momento in cui, per la venuta meno dei sommi magistrati, gli auspici tornavano ai loro legittimi proprietari: i patres7. Da loro sarebbe potuta nascere la catena di interrè che avrebbe portato all’elezione di nuovi consoli. in una serie di importanti articoli sulla legge augurale apparsi nei decenni successivi, linderski fece notare che un possesso esclusivo degli auspici da parte dei patrizi non era proponibile. se così fosse stato, il normale funzionamento della res publica si sarebbe configurato, con la sua annuale successione di magistrati, come una grande anomalia dal punto di vista augurale8. Al contrario, i legittimi proprietari degli auspici erano i magistrati, come i re lo erano stati in precedenza. l’auspicium non era conferito dall’assemblea curiata, bensì dal magistrato che presiedeva l’elezione del suo successore e che mediante la formale renuntiatio dell’eletto conferiva anche l’auspicium9. i comizi (anche quelli curiati) non facevano altro che conferire un’approvazione laica, mentre l’attribuzione 7 mAgDelAin, Auspicia. la teoria si basa sulla frase auspicia ad patres redeunt, dove il verbo redire significherebbe un ritorno ai legittimi proprietari, che procederebbero quindi alla renovatio auspiciorum (liv. 5, 31, 7; 52, 9; 6, 5, 6); essa era già sostenuta da mommsen, staatsrecht, 647–661. Della stessa opinione Heuss, Regierungsgewalt, 44–47; mAzzArino, Monarchia, 218; coli, scritti, i, 414–416; gioVAnnini, imperium, 53 e gioVAnnini, Magistratur, 406–436. il sostegno a questo punto di vista deriverebbe proprio dalle fonti antiche, che rispecchiavano un autentico tentativo patrizio di rivendicazione esclusiva degli auspici (cic. leg. 3, 9: auspicia patrum sunto); per una confutazione cfr. linDerski, Auspices, 38–40. 8 linderski in eDer, staatlichkeit, 476–477. 9 linDerski, Law, 2169 in cui lo studioso rimanda a una trattazione più distesa che però non è mai apparsa. la soluzione sembra la più probabile in quanto è più in linea con la nomina del secondo interrè da parte del primo, con la dictio del dittatore e, come vedremo in seguito, anche con la capacità per un console di delegare un imperium a livello pretorio. tutte queste azioni avvenivano senza bisogno dell’intervento del popolo, se non con un atto meramente confermativo nel caso del dittatore (la cosiddetta lex curiata de imperio) e quindi è probabile che la repubblica arcaica non desse che un ruolo di spettatore ai comizi curiati. essendo questi ultimi la più antica, e all’inizio unica, assemblea della res publica, si dovette inevitabilmente legare con la concessione della più arcaica denominazione del potere (auspicium) e quindi rimase in seguito tradizionalmente associata ad esso (cfr. cic. leg. agr. 2, 27), anche quando si svilupparono nuove denominazioni, come potestas e imperium. 11_Dalla Rosa.indd 187 13-05-2008 9:20:20 188 Alberto DAllA rosA della capacità di interrogare gli dei avveniva con un atto personale. Dopo questa designazione, il futuro magistrato provvedeva ai riti di entrata in carica e inaugurava la sua magistratura10. in definitiva era il dio a creare il magistrato, non il popolo: la sfera politica e quella religiosa della città erano profondamente intrecciate e indissolubili. ogni atto di rilevanza pubblica compiuto dai consoli si apriva innanzitutto con la presa degli auspici per garantire a se stessi e allo stato l’approvazione della divinità riguardo a quello che avrebbero fatto come rappresentanti della res publica (per questo si parla di auspicia publica11). Dalla loro investitura ricevevano autorità prima di tutto sul territorio cittadino compreso all’interno del pomerium. le auspicazioni compiute entro questo confine religioso sono appunto definite auspicia urbana12 e com10 con questa cerimonia il magistrato chiedeva a giove se gli fosse permesso (si fas est… liv. 1, 18, 10) essere magistrato del popolo romano. Quest’auspicazione avveniva il giorno dell’entrata in carica e garantiva l’approvazione divina per tutta la durata della magistratura. A proposito vedi: Dion. Hal. 2, 5, 1–2 con accenno alla formulazione che romolo avrebbe usato (eu[ceto Diiv te basi­ lei' kai; toi'~ a[lloi~ qeoi', ou}~ ejpoihvsato th'~ ajpoikiva~ hJgemovna~, ei; boulomevnoi~ aujtoi'~ ejsti basileuvesqai th;n povlin uJf ejautou', shmei'a oujravnia fanh'sqai kalav); 2, 6, 2–3 in cui si afferma che la pratica romulea fu continuata anche dai magistrati repubblicani; fest. 276, citando l. cincio poligrafo a proposito della nomina del praetor della lega latina, conferma che solo dopo l’auspicazione il magistrato era salutato come tale (ubi aves addixissent, militem illum, qui a communi Latio missus esset, illum quem avem addixerant, praetorem salutare solitum, qui eam provinciam optineret praetoris nomine); suet. Aug. 95; App. bell. civ. 3, 94; cass. Dio 46, 46, 2; 58, 5, 6–7; Val. max. 4, 4, 1: consulatus initium Valerius poplicola cum iunio Bruto auspicatus est; 8, 15, 8; fest. 289: renovativum fulgur vocatur, cum ex aliquo fulgure functio fieri coepit; Ps.-Ascon. 247 stangl: auspicari dicuntur ineuntes magistratus; cil Viii 774 relativa a un’ara, i cui lati riportano scolpiti dei fulmini. mommsen, staatsrecht, i, 81 n. 82; mAgDelAin, Recherches, 36–40; gioVAnnini, imperium, 51–53. Da questo tipo di auspicazione si è poi sviluppato l’uso di auspicare col senso di ‘iniziare’, ampiamente attestato nel latino imperiale e tardo-antico (thll ii, 1550–51). 11 in teoria non solo i magistrati potevano auspicare; secondo cAtAlAno, contributi, 196–210 ne avevano facoltà anche i sacerdoti, i patres familias, i filii familias, i plebei, gli stranieri e i servi. con il nome di auspicia publica (per cui cfr. liv. 4, 2, 5) gli studiosi moderni riassumono quelli che nelle fonti vengono definiti auspicia magistratuum, auspicia populi e gli auspicia dei sacerdoti. Per una discussione più accurata cfr. cAtAlAno, contributi, 450–451; 463–68; mAgDelAin, Auspicia, 454 e linDerski, Auspices, 35–37. le auspicazioni private, ancora menzionate da catone il censore, erano ormai in disuso alla fine del ii sec. a.c. (lAtte, Religionsgeschichte, 264). 12 una chiara definizione di pomerium come limite degli auspicia urbana, e quindi delle sfere di potere domi e militiae, è data da gell. 13, 14, 1 (pomerium est 11_Dalla Rosa.indd 188 13-05-2008 9:20:20 Ductu Auspicioque 189 prendono innanzitutto quelle necessarie per la riunione del popolo e del senato, come per tutte le altre azioni che potevano avvenire esclusivamente all’interno del pomerio. in quest’ultima categoria rientravano anche i noti auspici di partenza13, che venivano solennemente presi in campidoglio prima dell’uscita dei consoli dal pomerium, in testa alla legio, per compiere una campagna militare. grazie a quest’atto i magistrati estendevano oltre il pomerium la loro capacità di prendere gli auspici ed erano investiti dell’imperium militiae. non si trattava di una semplice cerimonia religiosa, ma di una richiesta di una nuova investitura che avrebbe dato al magistrato la possibilità di esercitare la sua autorità anche in campo militare14. con questo rito ricevevano dal dio la garanzia di una protezione su tutta la stagione di guerra, finché non fossero rientrati all’interno della città, cioè avessero di nuovo oltrepassato il pomerium15. solamente i magistrati potevano prendere gli auspici di partenza e quindi solo loro erano i veri titolari dell’esito delle operazioni, poiché era a loro che gli dei avevano manifestato locus intra agrum effatum per totius urbis circuitum pone muros regionibus certeis determinatus, qui facit finem urbani auspicii) e Varr. ling. lat. 5, 143 (postmoerium dictum †eiusque† auspicia urbana finiuntur). nel presente articolo il termine auspicia urbana sarà inteso non come la generica capacità di auspicare all’interno del pomerium, ma in connessione con quelle azioni che, avendo un carattere strettamente urbano, potevano essere compiute solamente (almeno in origine) all’interno del pomerium. 13 A proposito vedi mommsen, staatsrecht, i, 63–64 la cui ricostruzione è sempre valida; alcune puntualizzazioni in mAgDelAin, Recherches, 40; bleicken, Amtsgewalt, 268–269. 14 nel 177 a.c. il console c. claudio Pulcro partì per una campagna militare senza compiere i riti consueti sul campidoglio, convinto che l’imperium conferito dal popolo fosse sufficiente per la conduzione della guerra, ma fu costretto a ritornare a roma per prendere gli auspici, visto che le sue truppe si rifiutavano di seguirlo e gli rinfacciavano di non avere alcun potere (liv. 41, 10). similmente il senato si rifiutò, nel 217, di considerare il console flaminio più di un semplice privato, non dotato di imperium né di auspici poiché aveva omesso di celebrare l’investitura sacra del suo potere militare sul campidoglio prima della partenza (liv. 22, 1, 5–7: ibi cum de re publica rettulisset, redintegrata in c. Flaminium inuidia est: duos se consules creasse, unum habere; quod enim illi iustum imperium, quod auspicium esse? Magistratus id a domo, publicis priuatisque penatibus, Latinis feriis actis, sacrificio in monte perfecto, uotis rite in capitolio nuncupatis, secum ferre; nec priuatum auspicia sequi nec sine auspiciis profectum in externo ea solo noua atque integra concipere posse). 15 Questo doppio aspetto del potere militare è riassunto nella formula imperium auspiciumque che definisce il potere del generale romano combattente suis auspiciis. Vedi cil i2 626; liv. 22, 30, 4; 28, 27, 4; 29, 27, 2; 40, 52, 5; 41, 28, 8; Plaut. Amph. 196. 11_Dalla Rosa.indd 189 13-05-2008 9:20:20 190 Alberto DAllA rosA la loro approvazione. ogni vittoria conseguita da un loro legato o da un eventuale subordinato con imperium minore16 veniva ascritta ai magistrati titolari della spedizione, poiché la guerra veniva combattuta sotto i loro auspici, cioè sotto la protezione divina che questi avevano ottenuto con la presa degli auspici di partenza. se la vittoria conseguita era di una notevole importanza, allora il senato poteva tributare un trionfo al magistrato sotto i cui auspici si era combattuto. ovviamente non potevano essere decretati trionfi ai legati ed eventualmente agli altri magistrati che avevano combattuto alle dipendenze del generale vittorioso, perché essi non combattevano sotto i propri auspici (auspiciis suis) bensì sotto quelli di un altro (auspiciis alienis)17. Questa situazione rispecchiava la pratica di una piccola cittàstato i cui nemici non erano troppo lontani e non richiedevano una permanenza pluriennale dell’esercito fuori dalla città. l’uscita dei consoli dal pomerium era un fatto straordinario e quindi ritualizzato e si presupponeva che essi dovessero rientrare entro la fine dell’anno e, casomai, lasciare ai successori il compito di riprendere le ostilità. la continua espansione dei domini romani portò però a disattendere questo schema e a modificarlo in più modi con il risultato che, a secoli di distanza dalla formazione del diritto augurale, queste regole in parte non furono più rispettate oppure furono intese in maniera non congrua con il loro significato originario. la cosa si riflette nella nostra documentazione che è formata da opere teoriche, che riprendono spesso la vera natura della tradizione auspicale, e da altre fonti che ci informano su come, nel corso della storia romana, attraverso proroghe, intercessioni alla lex curiata, magistrature straordinarie, il ricorso ai privati cum imperio, l’attribuzione di imperia straordinari e molti altri tipi di violazioni, si siano sistematicamente disattese, anche se con livelli di consapevolezza diversi a seconda delle epoche, le regole che stabilivano chiaramente cosa fosse uno iustus magistratus e uno iustum imperium. 16 Ad esempio quello dei consoli rispetto a quello del dittatore o quello dei pretori rispetto a quello dei consoli; il principio era valido per campagne militari condotte in comune dai due titolari di imperium. cfr. Val. max. 2, 8, 2. 17 ciò non esclude che i legati o i magistrati subordinati potessero prendere auspici, poiché essi potevano sempre esercitare la loro personale capacità di auspicazione. Per una discussione sui requisiti tradizionali del trionfo cfr. mommsen, staatsrecht, 126–134; lAQueur, triumph; Versnel, triumphus, 164–195; DeVelin, tradition; sul capitolo de iure triumphandi di Val. max. 2, 8 cfr. engels, exempla e itgensHorst, pompa, 180–188. 11_Dalla Rosa.indd 190 13-05-2008 9:20:20 Ductu Auspicioque 191 gli studiosi moderni si sono avvicinati alle questioni augurali sia dal punto di vista della ricostruzione della pratica religiosa, sia da quello istituzionale, cioè considerando quegli aspetti, quali la lex curiata o gli auspici di partenza, che venivano visti dagli antichi come fondanti della loro organizzazione statale, in qualche modo ‘costituzionali’18. seguendo questo secondo punto di vista, gli studi del magdelain e le successive precisazioni di linderski ci hanno portato ad un quadro già abbastanza chiaro delle tradizioni auspicali che regolavano il diritto pubblico romano. tale modello formale19, che ho tentato di riportare brevemente nelle pagine precedenti, deve però essere giustapposto a una chiara ricostruzione dell’evoluzione del diritto pubblico a cui si applicava la tradizione augurale. Proprio in questo campo, la ricerca più recente ha cominciato a riconsiderare le fonti in nostro possesso, ormai arricchitesi di nuovi e importantissimi documenti, e a superare alcuni punti di vista errati che venivano ancora accettati quasi per tradizione20. 1. la pratica della prorogatio come si sa, la concessione della prorogatio fu sempre determinata da concrete esigenze di natura militare o dalla scarsezza del numero dei magistrati rispetto a quello delle province21. il ricorso 18 gioVAnnini, Remarques, 176. come ogni modello, anche quello qui proposto semplifica la realtà in modo da ricondurla a schemi più generici che però ci consentono di interpretare anche gli aspetti di cui siamo meno informati. se esso sembra funzionare bene per gli eventi qui analizzati, potrebbe avere bisogno di alcuni correttivi per essere applicato ad altre situazioni. esso comunque vuole ricostruire il sistema che doveva essere in opera nei primi decenni della repubblica, in un momento in cui la competenza elettorale dei comizi centuriati non si era ancora affermata (a proposito Heuss, entwicklung, 77; mAgDelAin, Recherches, 34 e soprattutto bleicken, Lex publica, 72–99). la scarsezza delle fonti e la loro contraddittorietà, nonché la nostra quasi totale ignoranza di ciò che di simile doveva esserci nelle altre città italiche, sono un ostacolo forse insormontabile per il definitivo scioglimento della questione e obbligano lo storico a un inevitabile utilizzo di un sistema principio-corollari senza il quale non si potrebbero ottenere risultati. 20 mi riferisco soprattutto alla smentita della presunta lex cornelia che avrebbe separato l’esercizio dell’imperium domi, riservato ai magistrati ordinari, da quello militiae, esercitato durante la promagistratura (gioVAnnini, imperium, 73–103). Questo fatto, come si vedrà in seguito, è essenziale per la considerazione dello statuto auspicale dei governatori provinciali nella tarda repubblica e in età imperiale. 21 A proposito mommsen, staatsrecht, ii, 646–647; JAsHemski, origins, 1–16; DeVelin, prorogation; kloft, prorogation; lintott, constitution, 113–114. 19 11_Dalla Rosa.indd 191 13-05-2008 9:20:21 192 Alberto DAllA rosA a questa pratica divenne quindi sempre più massiccio mano a mano che l’ingrandimento dell’impero portava i teatri di guerra sempre più lontano da roma, imponendo la necessità di mantenere una certa continuità nel comando delle operazioni22. non era stato infatti sufficiente anticipare dal 15 marzo al 1° gennaio l’inizio dell’anno consolare, né procedere, con gaio gracco, alla designazione delle province ancora prima dell’elezione dei consoli, in modo che essi potessero provvedere ai preparativi necessari per il reclutamento e l’addestramento delle truppe con un largo anticipo23. la mancanza di una riforma strutturale del sistema di governo provinciale rese inevitabile il ricorso sistematico alla pratica della prorogatio, ma l’utilizzo continuo di questa misura straordinaria lasciava aperti molti problemi, soprattutto nel rapporto tra i magistrati ordinari e quelli prorogati e sulla dignità auspicale di questi ultimi. non sembra che il primo caso di prorogatio abbia sollevato dei dubbi dal punto di vista del diritto augurale. secondo la tradizione seguita da livio24, nel 327 a.c., nell’ambito delle ostilità contro napoli, il console plebeo Q. Publilio filone era impegnato nell’assedio della città di Palepoli25 e, visto che il momento della caduta 22 si deve forse a situazioni di forte impegno militare l’introduzione dei tribuni militum consulari potestate, ma il problema è più complesso di quanto ci facciano intravedere le fonti antiche e va inserito nell’ampio e poco chiaro contesto di formazione delle supreme cariche dello stato nella lunga fase di lotte sociali tra patriziato e plebe. A proposito vedi mommsen, staatsrecht, ii, 180–192; riDley, tribunate; cornell, Beginnings, 334–337; lA rosA, tribuni; ricHArD, Réflexions; soHlberg, Militärtribunen. 23 Questa interpretazione difesa da scHulz, Herrschaft, 42–45 non esclude, a mio avviso, anche quella tradizionale dell’impedimento di assegnazioni di province ad personam (cfr. Willems, sénat, 563; mArQuArDt, staatsverwaltung, i, 522; steVenson, Administration, 61). 24 liv. 8, 23, 11–12: itaque cum et comitiorum dies instaret et publilium imminentem hostium muris auocari ab spe capiendae in dies urbis haud e re publica esset, actum cum tribunis est ad populum ferrent ut, cum q. publilius philo consulatu abisset, pro consule rem gereret quoad debellatum cum Graecis esset. conosciamo da Dionigi di Alicarnasso altri casi di proroga precedenti a quello di filone (k. fabius, cos. 479 procos. 478, sp. furius cos. 481 procos. 478 e t. Quinctius cos. 465 procos. 464 per cui vedi Dion. Hal. 9, 16, 3; 16, 4; 17, 5; 63, 2), ma abbiamo ragione di dubitarne, visto che livio e i fasti trionfali (inscrit Xiii, 1 p. 73) concordano nel fatto che filone fu primus proconsul. contra belocH, Geschichte, 416 che ritiene improbabile l’uso della proroga in questo periodo. Per ulteriori discussioni sull’episodio cfr. HölkeskAmP, Nobilität, 136–140; loreto, consenso, 35–77 (in generale anche loreto, Filone); oAkley, Livy, 658–661. 25 sui problemi di identificazione della città di palaepolis e della sua possibile confusione con napoli nelle nostre fonti cfr. oAkley, Livy, 640–645 e HoffmAnn, Rom, 21–35. 11_Dalla Rosa.indd 192 13-05-2008 9:20:21 Ductu Auspicioque 193 della città sembrava essere imminente, ottenne attraverso i tribuni che il popolo gli permettesse di condurre pro consule le operazioni, finché non fosse stata vinta la guerra con i greci. il fatto che una tale decisione fosse presa allora per la prima volta ci dimostra che l’assedio di Palepoli doveva essere considerato decisivo per le sorti di roma, tanto che lo stesso filone ottenne il trionfo al suo ritorno in patria. Questa eccezionalità colpì lo stesso livio che a proposito commenta duo singularia haec ei viro primum contigere, prorogatio imperii non ante in ullo facta et acto honore triumphus26. nessuna contestazione della validità di questo trionfo è segnalata dal nostro autore, che, però, riporta dettagliatamente la disputa sulla conformità o meno al diritto augurale della dictio del dittatore m. claudio marcello che avrebbe dovuto presiedere alle elezioni consolari, visto che anche al console collega di filone era stato permesso di rimanere fuori roma alla testa del suo esercito stazionato nel sannio. in seguito a un dubbio sulla validità di questa nomina, il consiglio degli auguri aveva confermato, evidentemente sulla sola base del rapporto consolare, l’esistenza di un vitium. l’anno cominciò così con un interregno agitato dalle proteste dei tribuni della plebe che accusavano gli auguri di non avere dati sufficienti per dire se la procedura era stata viziata e di aver voluto invalidare la dictio solamente perché il dittatore scelto era un plebeo27. niente di strano però fu trovato nel fatto che qualcuno potesse trionfare a causa di una vittoria riportata quando non era più console (acto honore), ma semplicemente provvisto dei poteri consolari. 26 liv. 8, 26, 6. liv. 8, 23, 12–13: L. cornelio, quia ne eum quidem in samnium iam ingressum reuocari ab impetu belli placebat, litterae missae ut dictatorem comitiorum causa diceret. dixit M. claudium Marcellum; ab eo magister equitum dictus sp. postumius. nec tamen ab dictatore comitia sunt habita, quia uitione creatus esset in disquisitionem uenit. consulti augures uitiosum uideri dictatorem pronuntiauerunt. eam rem tribuni suspectam infamemque criminando fecerunt: nam neque facile fuisse id uitium nosci, cum consul oriens de nocte silentio diceret dictatorem, neque ab consule cuiquam publice priuatimue de ea re scriptum esse nec quemquam mortalium exstare qui se uidisse aut audisse quid dicat quod auspicium dirimeret, neque augures diuinare Romae sedentes potuisse quid in castris consuli uitii obuenisset; cui non apparere, quod plebeius dictator sit, id uitium auguribus uisum? haec aliaque ab tribunis nequiquam iactata; tamen ad interregnum res redit. oAkley, Livy, 662 sottolinea giustamente che l’inclusione nella narrazione anche delle proteste dei tribuni della plebe deve essere stata opera di livio stesso e non delle sue fonti. Questo non toglie però che verosimilmente l’origine plebea del dittatore scelto, come anche la sua elezione in castris, fecero sorgere una certa diffidenza nel patriziato romano. 27 11_Dalla Rosa.indd 193 13-05-2008 9:20:21 194 Alberto DAllA rosA Questo doveva sicuramente dipendere dalla natura degli auspici bellici che, come abbiamo visto, potevano solamente essere presi da un magistrato e valevano per tutta la durata della campagna militare. la stessa espressione usata nella concessione della prorogatio da parte del senato e del popolo (quoad debellatum cum Graecis esset) potrebbe, nella sua genericità, richiamare la formula utilizzata dal console nell’auspicazione sul campidoglio prima dell’uscita dal pomerio. non abbiamo notizia di alcuna richiesta di un responso da parte del collegio degli auguri e probabilmente esso non ci fu, visto che la validità degli auspici di guerra sembrava incontestabile e non sussisteva alcun motivo politico, a quanto pare, per contestare il trionfo a filone. Al contrario un vizio di forma, pur non esattamente verificabile, portò all’esclusione di m. claudio marcello dalla dittatura, probabilmente in conseguenza di forti opposizioni dell’aristocrazia più conservatrice. Per il caso di filone furono gli stessi tribuni a sottoporre alla ratifica popolare la questione della sua prorogatio28. la prospettiva di un’interruzione dell’assedio e di un rinnovo della campagna militare per l’anno successivo avrebbe comportato un altro lungo periodo lontano dalla propria famiglia e dai propri campi per buona parte della popolazione maschile di roma. la particolare influenza di filone nella politica della seconda metà del iV secolo è testimoniata dal suo cursus honorum che non ebbe eguali tra i senatori di origine plebea prima di gaio mario. le prime notizie che abbiamo di lui ci informano che fu console nel 339 e che nello stesso anno divenne dittatore, nominato dal suo collega; a questo consolato risale la promulgazione della lex publilia philonis sull’accesso dei plebei alla censura, carica che egli stesso rivestì nel 332. Primo pretore plebeo nel 337 e magister equitum nel 335, filone rivestì altre tre volte il consolato nel 327, nel 320 e nel 315, finché non fu coinvolto nel processo contro il dittatore c. menio e, pur assolto, uscì dalla scena politica. egli quindi era il principale esponente della nuova nobilitas patrizio-plebea e non dovette quindi avere difficoltà nel raccogliere attorno a sé il consenso dei plebei seduti in senato. D’altro canto anche il patriziato si era in buona parte fatto promotore di una politica di espansione verso la campania che aveva già compiuto tappe importanti nei decenni precedenti, basti pensare solamente alla concessione della cittadinanza romana sine suffra28 riguardo alla procedura di concessione della prorogatio e al significato del ruolo di senato e popolo vedi infra. 11_Dalla Rosa.indd 194 13-05-2008 9:20:21 Ductu Auspicioque 195 gio a capua e cuma nel 334 e ad Acerra nel 332, tra l’altro decisa attraverso una lex papiria e probabilmente caldeggiata dallo stesso filone, censore nello stesso anno. la successiva guerra contro napoli del 327–26 e il relativo foedus aequum che ne derivò sono la diretta conseguenza di questa tendenza. come ha giustamente notato lo Harris, «during the fourth century a traditional aristocracy strongly oriented towards war was compelled to share power with a group of well-to-do upstars, and the intensified political competition which ensued encouraged regular warfare still further»29. Per questa nuova nobilitas la vittoria riportata da filone apriva la prospettiva per un allargamento ancora maggiore della sfera di influenza romana alla campania e alla zona meridionale della penisola a scapito soprattutto dei sanniti30. i patrizi tendevano comunque a conservare per sé il monopolio della vittoria e solo dal 306 il senato cominciò a votare regolarmente trionfi anche a generali plebei, ma la comunanza di intenti tra filone e i patrizi riguardo alla strategia da seguire in campania e la sua rispettabilità come uomo politico dovettero scansare ogni dubbio31. È chiaro quindi che gli evidenti vantaggi economici derivanti dalla buona riuscita dell’assedio, la sostanziale unanimità in politica estera della classe dirigente romana patrizio-plebea e l’appoggio dei tribuni della plebe garantirono a Publilio filone le condizioni politiche necessarie per far accettare il suo trionfo senza discussioni, anche se si trattava di qualcosa di inaudito e di non conforme alla tradizione32. in definitiva, sia che l’irregolarità non esistesse, sia che, pur esistendo, sia stata ignorata per convenienza, il caso di filone costituì un precedente per la legalità delle operazioni militari condotte dai magistrati prorogati che avessero preso i loro auspici di partenza prima del decorso della loro carica urbana. infatti è fuori questione che solamente gli auspici bellici, in quanto non delimitati da termini cronologici precisi, ma solamente dalla conclusione della campagna militare e dal ritorno 29 HArris, Warfare, 509. Per un’ulteriore discussione sulle possibili motivazioni economiche della guerra contro napoli cfr. cAssolA, Gruppi, 123–124 che pone l’accento sulla successiva monetazione romano-campana e sull’attività mercantile romana che avrebbe ricevuto i principali benefici dalla guerra; contra HArris, Rome, 103–104 e HArris, imperialism, 58–63 preferisce sottolineare i vantaggi dell’espansione territoriale nelle sue varie forme (tassazione, fornitura di contingenti militari da parte degli alleati, acquisizione di ager publicus). 31 HArris, Warfare, 505. 32 kloft, prorogation, 21. 30 11_Dalla Rosa.indd 195 13-05-2008 9:20:21 196 Alberto DAllA rosA a roma, potevano estendere la loro validità anche oltre la scadenza del mandato magistratuale. la cosa non accadeva per gli auspici urbani, che scadevano automaticamente alla fine dell’anno privando il magistrato prorogato della capacità di compiere qualunque atto che richiedesse un’auspicazione pubblica all’interno dei confini cittadini, come la convocazione dei comizi o del senato33. Questa situazione, finché fu mantenuta in questi termini di prolungamento eccezionale, non provocò particolari conflitti, ma quando l’uso della proroga divenne sistematico e venne a coinvolgere l’intero anno successivo a quello della magistratura, cominciarono a sorgere gravi dubbi di legittimità. Al momento della costituzione delle due nuove province iberiche nel 196 furono creati due nuovi pretori per mantenere il loro numero pari a quello dei territori d’oltremare34, ma già nel 192 l’affidamento ai pretori della flotta, della macedonia e dei Bruttii rese necessaria una proroga annuale dei governatori delle due Hispaniae35. negli anni successivi lo stesso provvedimento fu ripreso più volte, sempre a causa dei molteplici impegni militari che roma doveva affrontare36. Queste circostanze portarono anche a delle rimostranze da parte dei consoli del 187 m. emilio lepido e c. flaminio che si opposero alla decisione del senato di spedirli in liguria e contestarono il fatto 33 non era nemmeno possibile ai magistrati prorogati convocare il senato al di fuori del pomerium, nonostante il loro imperium non avesse alcuna differenza con quello consolare in questo ambito. la cosa, come giustamente visto da gioVAnnini, imperium, 43, è collegata alla mancanza degli auspici urbani, posseduti solo dai magistrati e necessari per la convocazione del senato e dei comizi centuriati. A proposito cfr. mommsen, staatsrecht, i, 210 n. 212 e iii, 947 n. 211 che cita una serie di esempi in cui il senato è convocato fuori dal pomerium a beneficio di un promagistrato, ma con un ordine di un magistrato. 34 liv. 32, 27, 6: sex praetores illo anno primum creati crescentibus iam prouinciis et latius patescente imperio. cfr. rotonDi, Leges, 266; mommsen, staatsrecht, 198–199. 35 in quel momento roma si trovava ad affrontare minacce armate su più fronti e questo rese necessaria anche la proroga dell’imperium del console dell’anno precedente Q. minucio, stazionato in liguria con il suo esercito. rimaneva un fatto comunque eccezionale una proroga di un pretore incaricato di governare una provincia inerme, in quanto in precedenza solo la conduzione di campagne militari aveva giustificato l’uso di una tale pratica. A proposito cfr. liv. 35, 20; gioVAnnini, imperium, 40; per una trattazione più generale sull’uso della proroga nel periodo successivo alla guerra annibalica cfr. kloft, prorogation, 35–46. l’utilizzo della proroga veniva anche incontro alla scarsa disponibilità del senato all’aumento del numero dei pretori, testimoniata dalla vicenda della lex Baebia del 181 a.c. (cfr. liv. 40, 44, 2; orf3 54; rotonDi, Leges, 271; kloft, prorogation). 36 liv. 37, 2, 1; 38, 42, 1. 11_Dalla Rosa.indd 196 13-05-2008 9:20:21 Ductu Auspicioque 197 che già da un biennio, invece, i precedenti consoli m. fulvio e c. manlio continuavano a condurre le guerre contro i macedoni e i seleucidi, pur essendo dei semplici privati37. Questa testimonianza ci informa dell’esistenza di una linea interpretativa rigorista per cui i magistrati prorogati, non avendo la possibilità di auspicare all’interno del pomerio (auspicium urbanum), non potevano essere considerati magistrati, ma solo privati. gli auspici dei prorogati erano una stranezza e quindi non potevano essere considerati validi. i promotori di questa linea, se tolleravano la temporanea azione pro consule di ex magistrati per la semplice conclusione di una campagna, non ammettevano che nella regolare conduzione della guerra si eliminasse quel principio di annualità che i padri della res publica avevano costituito contro la possibilità di una nuova tirannide38. un’interpretazione legittima di un aspetto non perfettamente coerente del diritto augurale aveva permesso la concessione della prima prorogatio e aveva veicolato l’idea di una prima disgiunzione tra il potere militare extrapomeriale e quello urbano39. restava non affrontato il problema di come comportarsi nel caso in cui un console e un proconsole si fossero trovati a operare sul medesimo campo. l’occasione si presentò al momendo delle guerre contro i cimbri e i teutoni. la sconfitta di Arausio nel 105 fu causata soprattutto dal conflitto di poteri derivato dal rifiuto del proconsole Q. servilio cepione 37 liv. 38, 42, 8-10: itaque consulibus nouis, quo die de prouinciis et de re publica rettulerunt, senatus utrisque Ligures prouinciam decreuit. Huic senatus consulto Lepidus consul intercedebat, indignum esse praedicans consules ambos in ualles Ligurum includi, M. Fuluium et cn. Manlium biennium iam, alterum in europa, alterum in Asia, uelut pro philippo atque Antiocho substitutos regnare. si exercitus in his terris esse placeat, consules iis potius quam priuatos praeesse oportere. 38 in senso conservatore infatti vanno la già citata lex Baebia del 181 e la lex Villia annalis del 180 che si affiancava alla lex Genucia del 342 (spesso disattesa) sull’intervallo decennale per la rielezione alla stessa magistratura. cfr. liv. 40, 44, 1; rotonDi, Leges, 226; 277–78; mommsen, staatsrecht, i, 505; roegler, Lex Villia; eVAns, kleiJWegt, Lex Villia; più in generale Astin, Lex annalis. 39 certamente la differenza tra la scadenza degli auspici urbani e di quelli militari conteneva già in sé il germe della prorogatio imperii, ma non si può comunque dire che essa fosse prevista dalla legge augurale. bisogna ricordare che secondo il calendario romano anche la guerra era ritualizzata e aveva le sue cerimonie di inizio nel mese di marzo con l’esposizione degli scudi di marte da parte dei salii (1 marzo), gli equirria (14 marzo) le quinquatrus (17 marzo) e il tubilustrium; quelle conclusive erano in ottobre e comprendevano l’october equus (15 ottobre) e l’Armilustrium (19 ottobre), purificazione delle armi e fine delle campagne militari. inserita in questo complesso ritualistico, anche la guerra assumeva un ciclo annuale e quindi escludeva da sé la possibilità di prorogatio. 11_Dalla Rosa.indd 197 13-05-2008 9:20:22 198 Alberto DAllA rosA di sottomettersi all’autorità del console c. manlio massimo, che aveva ricevuto la provincia con un regolare mandato del senato40. evidentemente il fatto che uno dei due fosse un magistrato in carica non aveva nessuna importanza, visto che il loro imperium, considerato nei limiti della provincia in questione, non aveva alcuna differenza. servilio cepione stava combattendo sotto i propri auspici e probabilmente non voleva accettare che le vittorie che avrebbe potuto riportare si andassero ora a legare al nuovo comandante41. il comportamento del proconsole fu gravemente controproducente e contrario alla tradizionale collaborazione tra i magistrati e il senato, ma non si può dire che sia stato incostituzionale. non vi era una regolamentazione generale dei rapporti tra i consoli e i promagistrati alla guida delle province42. la collaborazione tra questi possessori di imperium fu sempre gestita nel rispetto verso il mandato senatorio e nell’interesse della res publica43, ma mai con una legislazione mirata ad introdurre una gerarchia di comando. 40 liv. per. 67; flor. 1, 38, 4; il resoconto più dettagliato è in cass. Dio 27, fr. 91, 1–4, in particolare 91, 1: o{ti oJ Serouivlio~ uJpo; tou` pro;~ to;n sunavrconta fqovnou (ta; me;n a[lla ejx i[sou ejpetevtrapto, tw`/ de; dh; ajxiwvmati oi\a uJpateuvonto~ aujtou` hjlattou`to) pollw`n kai; kakw`n ai[tio~ tw`/ strateuvmati ejgevneto. kai; ga;r oJ Mavllio~ meta; qavnaton Skauvrou to;n Serouivlion metepevmyato: oJ d’ ajpekrivnato th;n eJautou` ejkavteron dei`n fulavttein. 41 il passo di cassio Dione precisa che il console era stato mandato per sostituire servilio cepione dopo la morte del suo collega emilio scauro (oJ Mavllio~ ... to;n Serouivlion metepevmyato). la collaborazione tra i due non era quindi inizialmente prevista e il senato dovette probabilmente accettare suo malgrado la recalcitranza del proconsole a farsi sostituire. se la situazione è rispecchiata fedelmente da cassio Dione, allora è inevitabile concludere che entrambi i generali avevano preso gli auspici di partenza chiedendo la protezione divina per la medesima provincia, ma che a mallio spettava comunque una superiorità in quanto console. A conferma di questa gerarchizzazione non degli imperia, ma degli auspicia ci sarebbe anche il comportamento tenuto da cepione: egli avrebbe infatti sempre cercato di agire da solo, lontano dal console, in modo da non compiere nulla che potesse ricadere sotto i suoi auspici. Per altri esempi di una subordinazione auspicale cfr. infra. 42 È difficile separare, nel comportamento politico, ciò che era dettato da principi costituzionali quali quelli del diritto augurale e ciò che invece era fissato dalla tradizione e che era, per sua natura, in continua evoluzione. A proposito vedi lintott, constitution, 3–8 che riporta significativi esempi sulla variabilità del mos. 43 la stessa titolatura non differenziava i magistrati prorogati da quelli titolari. lo studio compiuto da gioVAnnini, imperium, 60–64 mostra come i governatori provinciali, se avevano ottenuto il loro incarico durante la pretura, continuavano a portare il titolo di praetor e che in un caso del 201 sembra che il titolare della magistratura abbia inteso la sua proroga erroneamente come una seconda elezione alla pretura, qualificandosi praitor iterum (cil XiV 4268). 11_Dalla Rosa.indd 198 13-05-2008 9:20:22 Ductu Auspicioque 199 Questa indeterminatezza è largamente erede della concezione arcaica che comprendeva sotto l’auspicium l’intero potere magistratuale romano e che quindi era naturalmente refrattaria a una differenziazione sia quantitativa che qualitativa. il fatto di Arausio mostra chiaramente che non era possibile per le istituzioni repubblicane revocare o ridefinire gerarchicamente il potere militare, in quanto quest’ultimo non derivava da esse, ma dalla presa degli auspici bellici e quindi non poteva cessare se non con l’attraversamento del pomerium, con una rinuncia personale o con una lex de imperio abrogando. Quest’ultima misura, però, è attestata solamente dalla seconda guerra punica ed è già espressione della tendenza che considerava come fondamento della magistratura la volontà popolare e non l’approvazione divina attraverso la presa degli auspici di investitura44. i modi in cui veniva stabilita la proroga mostrano come le decisioni del popolo o del senato riguardo alla permanenza di un ex magistrato in provincia avessero la funzione di prolungamento del mandato e di assicurazione che la presenza in provincia oltre i termini della magistratura era ben accetta a roma45. il fatto che in seguito si arrivasse alla concessione automatica della proroga annuale semplicemente non inviando il successore nella provincia in questione, dimostra che il governatore aveva già tutti i requisiti di legittimità costituzionale per rimanere in provincia e che popolo e senato potevano conferirgli una convalida semplicemente politica. l’estensione del comando militare oltre la fine della magistratura era già implicita nella natura degli auspici bellici che valevano fino al rientro nel pomerium. modificare questi termini era impossibile, 44 A questo riguardo mommsen, staatsrecht, i, 643 pensa che sia lecito al senato togliere ogni potere al magistrato prorogato e a suo supporto invoca il principio generale per cui «wer ein befugnis geben, sie auch wieder nehmen kann», ma esso non può applicarsi ai casi della prorogatio imperii. se si pone alla base del potere magistratuale la volontà popolare, allora solamente i comizi centuriati avrebbero potuto concedere la proroga e eventualmente revocarla, in quanto assemblea elettiva dei magistrati cum imperio. il senato poteva richiamare in patria magistrati e promagistrati, in quanto l’obbedienza al mandato senatorio era una tradizione inderogabile della vita politica romana. in caso di insubordinazione era necessaria un’abrogazione in toto dell’imperium della persona in questione e ci si doveva comportare esattamente come quando si sfiduciavano i magistrati in carica, cioè attraverso una lex de imperio abrogando. Questo era sempre dovuto allo statuto auspicale dei promagistrati che non aveva alcuna differenza con quello dei magistrati in ambito militare e quindi doveva essere annullato nello stesso modo. Per alcuni esempi di abrogazione cfr. mommsen, staatsrecht, i, 629 n. 624. 45 mommsen, staatsrecht, i, 636–645. 11_Dalla Rosa.indd 199 13-05-2008 9:20:22 200 Alberto DAllA rosA a meno di mettere in discussione i fondamenti religiosi della repubblica46. Questo fattore di arretratezza, mano a mano che il sistema provinciale andava evolvendosi47, richiese una legislazione mirata a impedire la libera iniziativa dei governatori provinciali e a sottometterli al volere del senato. un primo esempio si trova proprio a ridosso di Arausio, nella lex de piratis persequendis (100 a.c. ca.), in cui compare un riferimento a una lex porcia che stabiliva l’impossibilità per i governatori di uscire dalla propria provincia e intraprendere autonomamente spedizioni militari senza autorizzazione48. nonostante questo tentativo di limitare l’azione magistratuale al solo ambito stabilito dal senato, troviamo nel testo anche la 46 la precisazione di mommsen, staatsrecht, i, 623 e 641 riguardo alla cessazione dell’imperium di un promagistrato all’arrivo del successore nella provincia non poggia su alcuna fonte certa. l’arrivo del successore faceva scadere il mandato che il senato o il popolo avevano dato al governatore, ma l’imperium rimaneva valido fino all’ingresso a roma. Parlando del suo proconsolato, cicerone definisce sempre come annuale la durata della sua missione, come in ad Att. 6, 2, 6 (annuae operae); 6, 4, 1 (annui muneris); 6, 5, 3 (annuum tempus), 15, 14, 5 (hanc provinciam... annuam). Questa testimonianza, tra l’altro riferita a un incarico di governo provinciale ben definito e circoscritto, mostra come fosse presente una distinzione tra il livello del mero potere militare, legato ancora alle arcaiche delimitazioni pomeriali, e il mandato senatorio, che prevedeva che questo potere si esercitasse solamente nei confini prestabiliti dall’assemblea. il caso di cicerone si riferisce alla categoria dei privati cum imperio, ma è sicuramente erede di una tradizione riferita alla prorogatio imperii degli ex magistrati. in quest’ottica frasi come quella di catone censore in gell. 20, 2, 1 (ne imperium sit veteri ubi novus venerit) e quella di liv. 32, 28, 9 (t. quinctio prorogatum imperium donec successor ex senatus consulto venisset) vanno intese nel senso di un avallo politico: il compimento della missione che t. Quinzio stava portando avanti per la res publica non indicava la fine del suo imperium, che scadeva solo al ritorno in patria; nelle fonti giuridiche del principato il proconsole detiene il potere dall’uscita dalla città fino al suo rientro, anche se lo può esercitare pienamente solo nella provincia assegnatagli (Dig. 1, 16, 1: proconsul ubique quidem proconsularia insignia habet statim atque urbem egressus est: potestatem autem non exercet nisi in ea provincia sola, quae ei decreta est; 1, 16, 2: omnes proconsules statim quam urbem egressi fuerint habent iurisdictionem, sed non contentiosam, sed voluntariam; 1, 16, 16: proconsul portam Romae ingressus deponit imperium). 47 A proposito cfr. crAWforD, origini, 103–112. 48 HAssAl, crAWforD, reynolDs, provinces, 202 col. iii cnido 204–205: kai; Ma`rko~ P[ovrkio~] Kavtwn strathgo;~ ejkuvrwse pro; hJmerw`n g’ nwnw`n Febraivwn ejkto;~ th`~ [ej]parceiva~ e{kasto~... ejkto;~ t[h`~] ejparceiva~ h|~ aujto;n ejparceiva~ kata; tou`ton to;n novmon ei\nai dei` h] dehvsei eij mh; ajpo; sunklhvtou gnwvmh~ poreuvesqai mhvte proagevtw eij mh; diaporeiva~ e{neken h] dhmosivwn cavrin pragmavtwn tou`~ te eJautou` kwluvetw eijdw;~ a[neu dovlou ponhrou`. cfr. anche gioVAnnini, grzybek, Lex, 39. 11_Dalla Rosa.indd 200 13-05-2008 9:20:22 Ductu Auspicioque 201 conferma che il governatore manteneva il proprio imperium e gli era permesso esercitare la propria iurisdictio fino al ritorno a roma (e{w~ a]n eij~ th;n [ÔR]wvmhn ejpanevlqhi e[stw)49. Questa legislazione mirava a introdurre delle sfumature nei poteri dei governatori provinciali e a legarli più saldamente alle decisioni prese a roma in modo da evitare i conflitti verificatisi in passato50. Pur mettendo in opera una gestione più efficiente, essa non poteva prescindere dal fondamento religioso dell’autorità magistratuale e non faceva quindi altro che aumentare il divario tra la natura dell’imperium e il suo utilizzo politico. 2. i privati cum imperio e il loro statuto auspicale uno dei grandi punti di forza del popolo romano era quello di saper venire incontro alle situazioni di eccezionale pericolo con elasticità e questo riguardava anche la disponibilità a modificare alcuni principi costituzionali. la seconda guerra punica fu il momento di maggiore difficoltà che si dovette affrontare. la sopravvivenza di roma dipendeva dalla capacità di mobilitazione del maggior numero degli assidui e dalla capacità di rispondere agli attacchi del nemico non solo respingendolo in italia, ma anche aggredendolo in spagna. l’entrata in guerra della macedonia aggiunse un terzo fronte alla guerra e in una situazione di tale impegno il numero di magistrati cum imperio si rivelò decisamente inferiore a quello necessario. non era solo la quantità a mancare; nei primi anni di campagne in italia, i romani avevano subito una serie di sconfitte senza precedenti e il panico si era più volte diffuso tra la popolazione. Questo rendeva necessario ricercare e promuovere al più presto le persone con le migliori doti militari, anche attraverso canali non tradizionali. il punto d’arrivo di questo processo fu la concessione di un comando supremo, di rango consolare, a un privato che non 49 HAssAl, crAWforD, reynolDs, provinces, 204 col. iV cnido 32–40: eja;n ou|t[o~] oJ strathgo;~ w|i th`~ ∆Asiva~ Makedoniva~ te ejpar[ceiv]a ejgevneto th`~ ajrch`~ auJto;n ajpeivphi ajpeivphtai n[c. 4]n (=p[resbeuth;]n?) ejpitagh`i ejxousiva pavntwn pragmavtwn [ejp]istroghvn te poiei`sqai kolavzein dikaiodotei`n kreivn[ein k]rita;~ xenokrivta~ didovnai ajnadocw`n kthmavtwn [c. 6] EARODOSEIS ajpeleuqerwvsei~ wJsauvtw~ kata; th;n [d]ikaiodosivan e[stw kaqw;~ ejn th`i ajrch`i uJph`rcen o[u|]to~ te oJ ajnquvpato~ e{w~ touvtou a]n eij~ th;n [ÔR]wvmhn ejpanevlqhi e[stw. 50 Per dare ancora maggiore forza all’obbedienza al mandato, una clausola della legge prevedeva che i governatori giurassero di rispettarne le direttive (HAssAl, crAWforD, reynolDs, provinces, 205 col. iV Delfi 208–228). 11_Dalla Rosa.indd 201 13-05-2008 9:20:22 202 Alberto DAllA rosA aveva mai rivestito in precedenza alcuna magistratura, P. cornelio scipione. la nomina era qualcosa di eccezionale, ma non mancavano dei precedenti che avevano preparato la strada a questa innovazione che si rivelerà estremamente produttiva nel corso della tarda repubblica e dell’impero. il presupposto più importante era la capacità di delega di un imperium di rango pretorio da parte di un console. È probabile che quest’atto non fosse possibile fin dalle origini, ma solamente dopo la nascita della pretura e quindi dell’imperium minus, come ha recentemente proposto il brennan51. Qualunque fosse la sua origine, la delega venne comunque solamente usata in casi eccezionali e prima della seconda guerra punica ne abbiamo notizia solamente per il 295 a.c., anno in cui una formidabile coalizione di sanniti, galli ed etruschi aveva formato un fronte antiromano mai apparso in precedenza. in quell’anno il console Q. fabio massimo rulliano fu richiamato a roma per consultarsi con il senato sulla conduzione della guerra. il magistrato si trovava accampato presso clusium con il suo esercito e al momento della partenza decise di lasciare il comando nelle mani di l. scipione barbato (cos. 298) in qualità di pro praetore52. il passo di livio non menziona esplicitamente nessuna procedura di nomina, ma si limita a dire praeposito castris L. scipione pro praetore Romam ipse (Q. fabio massimo rulliano) ad consultandum de bello rediit. una maggiore precisione, anche se non sufficiente per appagare gli studiosi della costituzione romana, è offerta dal racconto della devotio di P. Decio mure, sempre nello stesso anno. Dopo il sacrificio del generale romano, al comando della legione troviamo il pontefice m. livio Dentre (cos. 302), cui lictores Decius tradiderat iusseratque pro praetore esse53. nessun accenno alla delega invece per quanto riguarda i modi della concessione dell’imperium pretorio ad altri due privati, l. Postumio megello (cos. 305) e cn. fulvio massimo centumalo (cos. 298), sempre nel contesto dei piani difensivi concordati in senato nel 295. Dotati di imperium pretorio (propraetores ambo) sono messi al comando di due guarnigioni a salvaguardia della città, l’una nell’agro falisco e l’altra nell’agro vaticano. È probabile che anche questi due privati fossero stati forniti di imperium mediante delega da parte dei consoli, entrambi presenti in città per via delle consultazioni con il senato. una concessione autonoma da parte del senato 51 52 53 11_Dalla Rosa.indd 202 brennAn, praetorship, 25–78. liv. 10, 25. liv. 10, 29, 3. 13-05-2008 9:20:23 Ductu Auspicioque 203 non mi sembra proponibile, ma è sicuramente verosimile che la delega sia avvenuta con l’appoggio, se non su pressione, dell’alta assemblea. come già detto, i dettagli forniti da livio, non molto interessato alle questioni costituzionali, sono parziali e probabilmente anche viziati dalla confusione che lo storiografo trovava nelle sue fonti54. Quello che appare sicuro è che tutti e quattro gli incarichi affidati avevano una durata di al massimo qualche mese. i senatori scelti erano tutti dei consolari, quindi uomini di fiducia ed esperienza, anche se al momento della delega erano dei privati. l’ambito dei loro incarichi era esclusivamente militare ed extraurbano e nemmeno nelle epoche successive si riscontra l’attività di privati con imperium delegato all’interno del limite pomeriale. il popolo non intervenne sicuramente nei casi di scipione barbato e di livio Dentre, avvenuti lontano dalla città e con una tempistica che rendeva impossibile qualunque tipo di interrogazione, ed è probabile che non sia intervenuto nemmeno negli altri due casi, pur essendo le notizie in nostro possesso troppo scarne55. Quello che veniva trasmesso era un imperium minus rispetto a quello consolare, ma, a giudicare dagli incarichi assegnati ai personaggi in questione, in tutto e per tutto identico a quello di un pretore che si trovasse fuori dalla città. Postumio megello e fulvio centumalo combatterono indipendentemente contro Perusini e clusini, una cosa insolita se non fossero stati entrambi dotati di un corretto statuto auspicale. la delega era una capacità personale del magistrato, una concessione di imperium, inteso nel senso stretto del termine, da una persona all’altra, con una subordinazione nel caso i due si fossero trovati ad 54 Ad esempio, l’intero racconto della disputa sulla sortitio delle province tra i due consoli fabio massimo rulliano e Decio mure è probabilmente inventato, come fa intendere lo stesso livio con una nota di disappunto: inuenio apud quosdam extemplo consulatu inito profectos in etruriam Fabium Deciumque sine ulla mentione sortis prouinciarum certaminumque inter collegas quae exposui. sunt <qui>, quibus ne haec quidem <certamina> exponere satis fuerit, adiecerint et Appi criminationes de Fabio absente ad populum et pertinaciam aduersus praesentem consulem praetoris contentionemque aliam inter collegas tendente Decio ut suae quisque prouinciae sortem tueretur. constare res incipit ex eo tempore quo profecti ambo consules ad bellum sunt (10, 26, 5–7). 55 la delega di imperium pretorio da parte di un console, se limitata a missioni brevi e di importanza relativamente marginale, non risulta avesse bisogno di ratifiche popolari. Queste si incontrano per la prima volta solo quando entra in gioco l’imperium consolare, sia che si tratti di innalzare un possessore di imperium pretorio al rango consolare, sia che si tratti di attribuire il potere supremo a un individuo sprovvisto di qualunque imperium. cfr. infra. 11_Dalla Rosa.indd 203 13-05-2008 9:20:23 204 Alberto DAllA rosA agire nello stesso ambito. la concessione personale ricorda la dictio del dittatore da parte del solo console e il passaggio dell’auspicium da un interrè all’altro. contrariamente a questi due esempi però, la delega concede un potere limitato, valido solamente in ambito militare e senza alcun effetto all’interno del pomerium. il dittatore, al contrario dei delegati, era però un superiore dei consoli e poteva impartire loro degli ordini. la delega venne nuovamente utilizzata nel corso della ii guerra punica, ma, come per i primi casi dell’inizio del secolo, le nostre informazioni sono decisamente scarse e non permettono di identificare nessuna innovazione in quello che doveva essere il principio alla base di quest’azione56. nel corso della guerra si venne ad affermare un altro principio, quello della possibilità di innalzare, con votazione popolare, un imperium già esistente al grado più elevato. Questo accadde già nel 217, anno della sconfitta del trasimeno e della nomina a dittatore di Q. fabio massimo cunctator. fu proprio la famosa tattica militare di questo, considerata inconcludente, a creare malcontento a roma e a far proporre al tribuno della plebe m. metilio una rogatio de aequando magistri equitum et dictatoris iure57. È importante notare che minucio rufo non divenne un secondo dittatore: l’innalzamento riguardò solamente la natura del suo imperium, non della magistratura58. la cosa non era mai successa prima e le fonti non riferiscono di alcun dubbio di legittimità né di opposizione a questa misura straordinaria. la stessa nomina di Q. fabio massimo era avvenuta in maniera particolare, attraverso un’elezione comiziale e non attraverso la dictio consolare. le motivazioni erano state principalmente pratiche, in quanto bisognava agire con tempismo e in quel momento il console servilio, unico sopravvissuto dopo 56 Per la discussione di alcuni di questi casi cfr. brennAn, praetorship, 340– 347. 57 liv. 22, 25, 10. successivamente, al ritorno del magister equitum Q. minucio rufo sul campo di battaglia, i due si divisero le legioni e allestirono accampamenti separati, allo stesso modo dei consoli, dotati di par potestas (liv. 22, 27). 58 basandosi su Polyb. 3, 103, 3–8 e su cil i2 607, alcuni studiosi (tra cui mommsen, staatsrecht, ii, 148) hanno pensato che minucio fosse stato nominato co-dittatore, ma di fatto l’iscrizione in questione si riferisce alla sua precedente dittatura tra il 221 e il 219. gli stessi fasti non riportano alcun cambiamento della magistratura (cfr. DegrAssi, Fasti, 44–45; 118–19) come pure lo stesso livio. magistrature cum imperio non furono mai create dai comizi plebei, né metilio aveva intenzione di farlo. la plebe agì su un imperium già presente e solo su quello, lasciando invariata la carica rivestita da minucio. ulteriori fonti e bibliografia in HArtfielD, Dictatorship, 498–499. 11_Dalla Rosa.indd 204 13-05-2008 9:20:23 Ductu Auspicioque 205 la battaglia del trasimeno, si trovava lontano da roma. tra il 301 e il 217 un dittatore rei gerundae causa era stato nominato solo un’altra volta, nel 249 e solo con grande riluttanza si arrivò alla decisione di concedere a una persona sola un così grande potere59. le intenzioni di limitare il potere del nuovo dittatore erano chiare e si partì probabilmente sottraendogli il diritto di nominare il proprio magister equitum, facendolo invece eleggere dal popolo60. minucio rufo aveva una diversa tattica militare ed era forse legato a famiglie rivali dei fabii61. le tensioni con il senato non mancarono, soprattutto quando l’alta assemblea si rifiutò di concedere al dittatore il denaro pattuito per una restituzione di prigionieri concordata con i cartaginesi, perché questa intesa era avvenuta senza la previa consultazione del senato62. sommando questi attriti con lo scontento provocato dalla tattica militare di fabio, non è difficile immaginare che la mossa di metilio godesse di ottimi appoggi in senato e infatti Appiano e Valerio massimo, seguendo una diversa tradizione rispetto a livio, non citano nemmeno l’intervento del tribuno della plebe, ma fanno ricadere tutta la responsabilità sull’alta assemblea63. il dittatore continuava però ad avere i suoi sostenitori e un’abrogazione dell’imperium, pur ventilata dai suoi oppositori64, non poteva essere messa in pratica. i fautori di una tattica aggressiva avevano in minucio il loro uomo65 e, non potendo farlo subentrare al posto di fabio, trovarono la soluzione in una lex de aequando imperio. la misura era concepita come soluzione a una situazione di stallo politico all’interno del senato, ma in tal modo un precedente era comunque stato creato per 59 liv. 22, 8, 5: itaque ad remedium iam diu neque desideratum nec adhibitum, dictatorem dicendum, ciuitas confugit; et quia et consul aberat, a quo uno dici posse uidebatur, nec per occupatam armis punicis italiam facile erat aut nuntium aut litteras mitti [nec dictatorem populus creare poterat], quod nunquam ante eam diem factum erat, dictatorem populus creauit q. Fabium Maximum et magistrum equitum M. Minucium Rufum. 60 Per una più precisa ricostruzione del contesto della lex Metilia cfr. liPPolD, consules, 150–158 e Dorey, Minucius, seguiti da brennAn, praetorship, 264 n. 288 e HArtfielD, Dictatorship, 496–497. in liv. 22, 25, 13 e 27, 3 è riportata l’intenzione, da parte di Q. fabio massimo, di punire il suo sottoposto per insubordinazione. 61 bleicken, Volkstribunat, 37 e münzer re XV 1958. 62 liv. 22, 23, 5–6; Plut. Fab. 7, 5–6; Val. max. 4, 8, 1–2. 63 App. Ann. 12, 52; Val. max. 3, 8, 2. 64 liv. 22, 25: quas ob res, si antiquus animus plebei Romanae esset, audaciter se laturum fuisse de abrogando q. Fabi imperio; nunc modicam rogationem promulgaturum de aequando magistri equitum et dictatoris iure. 65 liPPolD, consules, 158. 11_Dalla Rosa.indd 205 13-05-2008 9:20:23 206 Alberto DAllA rosA la modificazione, mediante intervento popolare, di un imperium già in possesso di un magistrato. un episodio simile e ancora una volta contornato di risvolti politici avvenne due anni dopo e vide come protagonista il pretore m. claudio marcello. Di nascita plebea, era stato l’unico comandante romano che, nel disastroso anno della battaglia di canne, era riuscito a infliggere una sconfitta, seppur modesta, ad Annibale. la sua popolarità a roma era ovviamente altissima e marcello doveva essere sufficientemente ambizioso da sfruttare nel migliore dei modi questa fama. Alla fine dell’anno consolare 216 a.c. la situazione sembrava decisamente preoccupante: uno dei consoli era caduto a canne e l’altro, dopo aver effettuato la dictio del dittatore m. giunio Pera, era ritornato in Puglia. era necessario provvedere all’elezione dei nuovi consoli e riorganizzare le forze in campo dopo un anno disastroso. le elezioni furono tenute dal dittatore e furono creati consoli ti. sempronio gracco, al momento magister equitum, e l. Postumio Albino, in absentia in quanto pretore in gallia66. non vi è nessun accenno a una volontà di marcello di accedere al consolato in questo momento, ma l’occasione dovette presentarsi alla notizia della morte di Postumio, ucciso in seguito a un attacco improvviso da parte dei galli67. A detta di livio, la città venne presa dal panico68 ed è possibile che il popolo e la nobilitas plebea richiedessero di assegnare il consolato vacante a marcello. la cosa però non era proponibile, in quanto si sarebbe ottenuta una coppia consolare composta da soli plebei, fatto ancora non avvenuto e improponibile proprio a causa della tradizione auspicale. la presenza di almeno un console patrizio garantiva la legittimità della successione auspicale, che, come abbiamo visto, avveniva attraverso un passaggio personale e richiedeva che almeno uno dei supremi magistrati avesse la capacità di possedere gli auspicia. Ai plebei era stato concesso di amministrare questi auspici, non di possederli69. ciò rendeva marcello non eleggibile, ma il patriziato doveva egualmente fare i conti con la popolarità del pretore e una semplice proroga non sarebbe bastata ad appagare i suoi sostenitori. 66 liv. 23, 24, 3–4. liv. 23, 24, 6–11. 68 liv. 23, 25, 1: Hac nuntiata clade cum per dies multos in tanto pauore fuisset ciuitas ut tabernis clausis uelut nocturna solitudine per urbem acta senatus aedilibus negotium daret ut urbem circumirent aperirique tabernas et maestitiae publicae speciem urbi demi iuberent. 69 linDerski, Auspices, 41–43. 67 11_Dalla Rosa.indd 206 13-05-2008 9:20:23 Ductu Auspicioque 207 il caso di minucio rufo di due anni prima aveva già fornito un precedente per innalzare una minor potestas al grado maggiore, senza che questo però andasse a modificare la magistratura posseduta dal beneficiato. secondo la notizia di liv. 23, 30 a marcello sarebbe stato conferito dal popolo un imperium consolare (M. Marcello pro consule imperium esse populus iussit, quod post cannensem cladem unus Romanorum imperatorum in italia prospere rem gessisset). la misura è riferita all’inizio dell’anno consolare 215, subito dopo l’elenco dei magistrati regolari dell’anno, ma è verosimile che sia stata votata prima delle idi di marzo70. se fosse così, allora marcello avrebbe trascorso l’ultimo periodo dell’anno come praetor pro consule, venendo poi prorogato semplicemente come pro consule una volta terminata la magistratura cittadina71. i patrizi non volevano che marcello arrivasse al consolato72 e tentarono di appagarlo con una promozione di imperium, visti i suoi meriti mostrati sul campo contro Annibale. la cosa non fu sufficiente ed egli si propose ugualmente per la magistratura, risultando facilmente vincitore; ma un prodigium, occorso durante la presa degli auspici di entrata in carica, fece decretare agli auguri la presenza di un vitium e marcello dovette rinunciare73. fino a questo momento non si era ancora osato arrivare alla concessione di un imperium consolare slegato da una magistratura. l’elezione di un console davanti ai comizi era ancora l’unico modo in cui poteva esser trasmesso un potere consolare da un magistrato 70 subito dopo l’elenco dei magistrati segue il resoconto della seduta del senato delle idi di marzo e non vi è alcun cenno a una votazione sull’imperium di marcello. si fa semplicemente menzione della sua missione di condurre due legioni urbane in un accampamento in campania (liv. 23, 31). 71 Questo è in effetti il titolo che porta in liv. 23, 31, 12–14 e 32, 2. 72 sulle pressioni per un’elezione di marcello cfr. liv. 23, 31: ubi ablegatum uelut de industria M. Marcellum uiderunt, quem maxime consulem in eum annum ob egregie in praetura res gestas creari uolebant, fremitus in curia ortus. 73 la più corretta interpretazione della questione è offerta da linDerski, Law, 2169. non serve pensare, come fa brennAn, praetorship, 192, che l’imperium sia stato concesso come compensazione al mancato consolato. il timore della sua candidatura e quindi della presenza di una coppia interamente plebea, doveva essere sorto già alla fine dell’anno precedente. la posizione del riferimento di livio alla votazione lo conferma. non è nemmeno probabile che marcello fosse un privato al momento della sua candidatura al consolato. i comizi centuriati si tenevano fuori dal pomerium e quindi bastava non attraversarlo per non far decadere il proprio imperium. una concessione di poteri consolari a un privato sarebbe prematura nel 215; il precedente di minucio era molto più attinente al caso presente e si conforma meglio alle informazioni che abbiamo dalle fonti. 11_Dalla Rosa.indd 207 13-05-2008 9:20:23 208 Alberto DAllA rosA a un privato. Proprio per questo motivo l’elezione di P. cornelio scipione a proconsole nel 210 riscontra molte somiglianze con una regolare elezione magistratuale. secondo livio, una discussione in senato aveva prodotto alcuni nomi di candidati, ma, non arrivando a nessuna conclusione l’assemblea rimise la decisione al popolo. la cosa era successa in precedenza e proprio riguardo al comando delle spagne. Dopo la morte di Publio e gneo scipioni il senato aveva deciso di incaricare i consoli di concordare con i tribuni una convocazione dei concili plebei allo scopo di scegliere un sostituto da mandare quanto prima74. la scelta ricadde sul pretore dell’anno precedente c. claudio nerone, al momento ancora in possesso di un imperium pretorio mediante proroga. non vi fu alcuna ulteriore assegnazione di poteri, ma semplicemente una mutazione di provincia. un procedimento simile, però, non avrebbe permesso l’invio di un generale con poteri consolari: i concilia plebis non avevano una tale autorità. nonostante nelle fonti scipione si candidi al proconsolato solamente di fronte ai comizi, doveva essere stato deciso ben prima di mandare il giovane e dotato figlio di Publio oltremare e, essendo un privato e non avendo mai rivestito magistrature cum imperio in precedenza, bisognava trovare una soluzione. Ancora una volta la necessità politica piegò alle sue esigenze la tradizione augurale. si tentò quindi di rendere la cosa il più simile possibile a un’elezione magistratuale. i consoli convocarono i comizi centuriati e scipione fu presentato come un candidato. Alla fine le centurie p. scipioni imperium esse in Hispania iusserunt. la procedura è simile a quella dell’elezione dei magistrati ordinari, ma presenta importanti differenze. essa riflette quelli che si credeva che fossero i requisiti fondamentali dell’imperium alla fine del iii sec., dopo secoli di lotte di classe e dopo i precedenti che abbiamo analizzato sopra. innanzitutto alla base di questa concezione sta il principio per cui la capacità di conferire l’auspicium a un magistrato sta nell’elezione popolare, concetto estraneo all’età regia e alla primissima epoca repubblicana. il popolo, anche quando era costituito dalle sole curie, non faceva altro che fornire al magistrato un’investitura laica, mentre era la renuntiatio da parte del magistrato rogatore a conferire l’auspicium al suo successore75. 74 liv. 26, 2: de nulla re prius consules rettulerunt, omniumque in unum sententiae congruebant agendum cum tribunis plebis esse, primo quoque tempore ad plebem ferrent quem cum imperio mitti placeret in Hispaniam ad eum exercitum cui cn. scipio imperator praefuisset. ea res cum tribunis acta promulgataque est. 75 cfr. supra. 11_Dalla Rosa.indd 208 13-05-2008 9:20:23 Ductu Auspicioque 209 il motore di questa innovazione furono sicuramente le lotte tra patrizi e plebei per l’accesso alle magistrature. la loro importanza per lo sviluppo di una competenza popolare nello stabilire norme vincolanti per l’intera comunità è stata già sottolineata dal bleicken76 e anche in questo caso è facile vedere come l’elezione dei tribuni della plebe, dipendente solamente dal voto dei concilia e estranea a ogni tipo di trasmissione religiosa del potere, abbia sicuramente influito anche sulla creazione dei magistrati. la forza rivoluzionaria dei tribuni aveva la sua base nel giuramento di obbedienza che la plebe aveva fatto (lex sacrata)77. Questo vincolo era garantito da una sanzione religiosa, ma veicolava l’idea che la legittimità dell’azione dei rappresentanti della plebe si trovasse nella volontà della classe sociale che li aveva espressi. Questo introduceva un principio fortemente laico nella vita pubblica romana. Al momento della nascita dei comizi centuriati, al più tardi nel periodo delle Xii tavole, questi non divennero subito il motore delle istanze riformatrici frutto della lotta tra patrizi e plebei78; ma dal momento in cui i plebei furono ammessi al consolato, fu inevitabile che i comizi centuriati venissero interpretati dalla plebe come un’ulteriore occasione per eleggere un proprio rappresentante nella vita pubblica79. il significato del ruolo dei comizi nell’elezione consolare venne gradualmente accostato a quello dei concilia plebis riguardo ai tribuni e quindi si andò sviluppando poco a poco il principio per cui era il voto popolare a conferire l’imperium. naturalmente anche il crescente ruolo dell’esercito e dell’impegno militare di roma contro le vicine popolazioni italiche fece passare presto in secondo piano i comizi curiati. Questi vennero, probabilmente fin dalla metà del V sec. a.c., ovvero con la nascita dell’assemblea del popolo in armi, limitati a quelle competenze che la tradizione aveva già fissato, diventando rapidamente un relitto di una situazione arcaica e sorpassata. È possibile che già al tempo della ii guerra punica le curie fossero semplicemente rappresentate 76 bleicken, Lex publica, 72–99. cic. pro sest. 79; liv. 2, 33, 2; 3, 55, 6; cass. Dio 6, 89, 3. 78 la principale differenza introdotta fu quella di un’assemblea di carattere chiaramente militare contro una di marca strettamente urbana. cfr. DeVelin, Lex curiata, 52–58; bleicken, Lex publica, 78–79. 79 Questo avrebbe ancora più significato qualora si ipotizzasse, come bleicken, Amtsgewalt, 279–287, che il collegio consolare sia nato proprio con l’accostamento al magistrato patrizio di un collega plebeo con par potestas. la cosa non è però necessaria per il ragionamento qui sviluppato. 77 11_Dalla Rosa.indd 209 13-05-2008 9:20:24 210 Alberto DAllA rosA da trenta littori, come riferisce cicerone per l’anno 6380. riguardo alle magistrature, esse continuavano, come un tempo, a essere collegate con quella che era stata la primitiva denominazione del potere a roma, l’auspicium. la crescente complessità della società e degli incarichi pubblici, unita a una moltiplicazione e maggiore specializzazione delle magistrature, aveva portato all’elaborazione di altre e più duttili definizioni, come potestas e imperium81. con la nascita delle prime magistrature minori, che non prevedevano la possibilità di comandi militari, si delineò una competenza esclusiva dei comizi centuriati per quanto riguardava le cariche cum imperio. Da questo punto, però, il passaggio al conferimento diretto di un imperium da parte del popolo non è ancora compiuto. Particolari contrasti politici avvenuti in situazioni di emergenza per lo stato, crearono il caso dell’equiparazione dell’imperium di minucio rufo con quello di Q. fabio massimo, seguito da quello di m. claudio marcello, e stabilirono la possibilità per il popolo di modificare il grado di un potere già assegnato. il passo decisivo, compiuto con il conferimento del proconsolato a scipione, avvenne però attraverso la conservazione del principio della trasmissione personale dell’auspicium. la presidenza di un console in occasione dell’elezione del futuro Africano significava in primo luogo che sarebbe stato egli stesso a fare la renuntiatio, che era verosimilmente il modo in cui concretamente veniva conferita la capacità di interrogare gli dei in nome della comunità (auspicium). ugualmente solo con la partecipazione popolare era possibile per un console nominare il suo successore e quindi trasmettere un potere che fosse pari al suo. il potere che si intendeva attribuire era un imperium nel senso stretto del termine, quindi limitato alla sfera extrapomeriale. il concetto era diventato ormai comune grazie all’utilizzo della proroga e delle deleghe. grazie alla competenza sviluppata dai comizi centuriati per l’ambito militare fu naturale che non si sentisse l’esigenza di una conferma anche mediante una lex curiata. Questa era ormai legata solo per tradizione alla magistratura e quindi all’ambito strettamente urbano; era un istituto che i romani, per prendere in prestito un termine della linguistica, non sentivano più produttivo82, 80 cic. leg. agr. 2, 26–31; tAylor, Assemblies, 4. bleicken, Amtsgewalt, 278–297. il percorso storico tracciato dal bleicken è qui sostanzialmente seguito, anche se con qualche differenza riguardo a singoli aspetti delle tre denominazioni di potere (auspicium, potestas, imperium). 82 Per chiarire: nella lingua italiana attuale tutti i verbi di nuova coniazione ricadono nella prima coniugazione (ad es. faxare, flirtare ecc…), mentre il numero 81 11_Dalla Rosa.indd 210 13-05-2008 9:20:24 Ductu Auspicioque 211 cioè capace di essere impiegato per esprimere le innovazioni che si andavano introducendo nello stato. la lex curiata rimase quindi confinata alle sue competenze tradizionali, legate all’auspicium e alla magistratura83. Quella che si voleva conferire a scipione non era una magistratura, ma un incarico puramente militare che, vista l’importanza e la durata della missione attribuita, aveva bisogno di una forza e di una legittimazione politica maggiore di quella di una semplice delega di imperium e questa forza fu data attraverso l’elezione centuriata, la presidenza consolare e il senatusconsultum che ordinava tutto il procedimento. i requisiti per la legittimità del proconsolato di scipione erano quindi l’affidamento dell’incarico da parte dell’assemblea che più era considerata competente per le questioni militari e la presenza di un magistrato di rango consolare che, mediante la renuntiatio, gli conferisse un auspicium (militiae) che, pur valido solo per la sfera extrapomeriale, era pur sempre la base del suo imperium84. grazie dei verbi delle altre coniugazioni è destinato a rimanere fisso, o a diminuire con la perdita d’uso. solamente la desinenza -are della prima coniugazione continua a essere produttiva, cioè a essere impiegata per la costruzione di nuovi verbi, mentre le desinenze -ere e -ire sono ormai diventate un relitto. similmente i comizi curiati non furono più usati per il conferimento di nuove forme di potere e furono confinati al loro uso tradizionale. 83 nonostante la lex curiata venga spesso impiegata per fornire una base costituzionale all’imperium (da ultimo brennAn, praetorship, 646), non esiste nessuna testimonianza del suo utilizzo se non per la magistratura. come ha giustamente notato bleicken, Lex publica, 104 «für die Wahl eines Versammlungstyps mischten sich so erinnerungen an alte zuständigkeiten für einzelne typen und eine gewisse beobachtung traditioneller übungen mit nüchternen überlegungen praktischer und auch praktisch-politischer opportunität». nel 210 a.c. i comizi curiati erano solamente un fossile di un’epoca arcaica e per questo limitati ai compiti che la tradizione aveva riservato loro. un tentativo di rivitalizzarli fu quello compiuto da rullo nel 63 a.c. (cfr. infra), ma non possiamo basarci sul suo tentativo, frutto di una ricostruzione antiquaria, per postulare una produttività di questa assemblea durante la ii guerra punica. 84 scipione è l’unico che nelle nostre fonti viene chiaramente indicato come eletto dai comizi centuriati. l’intervento dei tribuni e dei concili plebei nei casi successivi ha fatto nascere l’idea di una competenza di questi ultimi (cfr. kloft, prorogation, 47–56), ma analizzando le formule con cui livio presenta le votazioni si possono notare delle importanti sfumature. il secondo caso di un privato mandato come proconsole in spagna fu c. cornelio cetego nel 200 (per il titolo liv. 31, 49, 7). A proposito della sua nomina liv. 30, 41, 4–5: uti consules cum tribunis agerent ut si iis uideretur plebem rogarent cui iuberent in Hispania imperium esse. stando a questa formulazione non si trattò di un semplice plebiscito, ma di una procedura più complessa: in base a senatusconsultum i consoli furono incaricati di far eleggere un candidato; essi, anziché convocare i comizi centuriati 11_Dalla Rosa.indd 211 13-05-2008 9:20:24 212 Alberto DAllA rosA a questo, scipione poteva provvedere regolarmente all’auspicazione (fatta al di fuori del pomerio) con cui avrebbe attivato il suo imperium, proprio come i magistrati, grazie alla designazione ricevuta il giorno dell’elezione, auspicavano al momento della loro entrata in carica. la mancanza della legge curiata (e quindi della magistratura) toglieva al privato cum imperio gli auspicia urbana che erano legati strettamente all’attività dei magistrati della città. Questo però non impediva che scipione potesse condurre la sua campagna militare in spagna suis auspiciis85 e al suo ritorno il trionfo gli fu negato solamente perché non si era mai verificato in precedenza che un non magistrato ricevesse il trionfo86, non per un vizio del suo imperium. come nel caso di scipione, preferirono avvalersi della collaborazione dei tribuni e far scegliere il proconsole dai concilia plebis, che non dovevano essere convocati auspicato e richiedevano una procedura di voto meno complessa di quella dei comizi. Dalla lex Hortensia del 287 a.c. i plebisciti erano considerati vincolanti per l’intero popolo e quindi, in forza di questa legge e dell’auctoritas senatus conferita mediante il decreto dell’assemblea, era possibile che anche la decisione della plebe fosse valida per il conferimento di un imperium consulare. l’utilizzo del verbo iubere in collegamento con la votazione sembra esserne una conferma. la stessa collaborazione tra senato, consoli e tribuni della plebe fu messa in atto per la nomina a proconsoli di cn. cornelio blasio e l. stertinio nel 199 (liv. 31, 50, 11: plebes cn. cornelio Lentulo [errore per Blasio] et L. stertinio pro consulibus imperium esse in Hispania iussit); il discorso è inserito in un contesto di misure che il senato chiede ai consoli di sottoporre alla plebe mediante i tribuni (liv. 31, 50: consules si iis videretur cum tribunis plebis agerent uti ad plebem ferrent). Altri casi ci sono noti con molti meno particolari e quindi non possiamo definire di fronte a quale assemblea essi fossero portati; essi sono: t. manlio torquato nel 211, possibile precedente per scipione (liv. 23, 34, 10–15 incarico della scelta dato dal senato al pretore urbano), m. Valerio levino nel 201 (liv. 31, 3, 2–3 scelta affidata dal senato al console; possibile anche una semplice delega); costante invece è la presenza di un console o di un pretore che agivano in base a senatusconsultum. non c’era quindi nessuna competenza specifica di una particolare assemblea. ciò che contava era che questa fosse capace di rappresentare il populus e che fosse presente un magistrato per effettuare la renuntiatio ufficiale e conferire così l’auspicium al privato designato. il caso di minucio rufo conferma invece che per la modifica di un imperium già in vigore non serviva la presenza di un magistrato e quindi poteva essere compiuta anche dai concili plebei (cfr. supra). 85 liv. 28, 16, 14; 28, 38, 1 (haec in Hispania p. scipionis ductu auspicioque gesta). 86 liv. 28, 38: ob has res gestas magis temptata est triumphi spes quam petita pertinaciter, quia neminem ad eam diem triumphasse qui sine magistratu res gessisset constabat. sul fatto che i tribuni militum consulari potestate non potessero celebrare trionfi cfr. da ultimo brennAn, praetorship, 51–53. Anche nel caso della mancata concessione delle spolia opima a licinio crasso nel 28 a.c., il motivo ufficiale fu quello che solamente dei consoli avevano in precedenza ottenuto questo onore. Per una trattazione più completa cfr. infra. 11_Dalla Rosa.indd 212 13-05-2008 9:20:24 Ductu Auspicioque 213 Quasi quarant’anni fa magdelain portò una prova decisiva a questa interpretazione notando che la lex arae Augustae Narbonensis mostra che il momento del conferimento dell’imperium pro praetore a ottaviano nel 43 a.c. non coincideva con il giorno in cui esso venne inaugurato (imperium… auspicatum est)87. la seduta del senato in cui venne presa la decisione si tenne il 2 gennaio, mentre l’auspicazione avvenne il 7 gennaio, quando l’erede di cesare si trovava a spoleto88. il momento della cerimonia religiosa costituiva il vero inizio della validità dell’imperium e questo era, ancora una volta, dettato dalla tradizione augurale. ottaviano, pur non essendo magistrato, aveva la capacità e l’obbligo di attivare il suo imperium mediante un’auspicazione. in secondo luogo, era naturale che questa avvenisse al di fuori del pomerium, in quanto l’auspicium di ottaviano non era valido per il territorio cittadino. troviamo spesso nelle narrazioni annalistiche concessioni di proroghe e di missioni con una ben precisa limitazione temporale, che poteva essere annuale o dipendere dal compimento della missione stessa. Abbiamo visto in precedenza che queste limitazioni riguardavano solamente la durata dell’incarico affidato, cioè fissavano politicamente dei limiti di utilizzo dell’imperium. solo il superamento del limite del pomerio faceva cessare definitivamente il potere fino a quel momento detenuto da magistrati prorogati o da privati in possesso di imperium. la cosa era valida nel periodo della seconda guerra punica89, ma rimase in vigore anche nella tarda repubblica90 87 cil Xii, 4333 (p. 845) = ils 112 = Ae 1964, 187 = 1980, 609 ln. 21–23: Vii quoq(ue) / idus ianuar(ias) qua die primum imperium / orbis terrarum auspicatus est. sui poteri conferiti a ottaviano vedi Res gestae 1, 2; liv. per. 118; cic. phil. 6, 3; 11, 20; App. Bell. civ. 3, 51; cass. Dio 46, 29; 46, 41. Per ulteriore discussione cfr. mAgDelAin, Recherches, 53. sulla rassomiglianza di varie formule di questa lex sacrata con la lex arae iovis salonitanae cfr. lAffi, Lex. 88 Plin. Nat. Hist. 11, 190. 89 cfr. in particolare liv. 28, 38 in cui si specifica chiaramente come scipione venisse ascoltato dal senato riunito nel tempio di bellona, sito extra urbem, e che, solamente dopo aver ricevuto il rifiuto al trionfo, entrò in città (senatu misso urbem est ingressus). 90 il governatore rimaneva cum imperio anche dopo la scadenza del mandato, fino al rientro in città: questo permetteva che in casi di necessità gli potesse essere conferita un’ulteriore missione, come nei casi di Pompeo nel 71 a.c., cui venne richiesto di aiutare m. licinio crasso nel combattere spartaco e il suo esercito (brougHton, Magistrates, ii, 124; girArDet, pompeius, 168), e cicerone nel 49 a.c., cui fu affidato il reclutamento di truppe da mandare contro cesare (brougHton, Magistrates, ii, 264; cic. fam. 16, 11, 3; 12, 5; Att. 7, 11, 5; 14, 2; 15, 2; 8, 3, 4; 11b, 1 e 3; 11d, 5; 9, 11a, 2). entrambi erano sulla via del ritorno, ma ancora 11_Dalla Rosa.indd 213 13-05-2008 9:20:24 214 Alberto DAllA rosA e durante il principato, come confermano gli escerti dal de officio proconsulis di ulpiano91. la perdita della narrazione liviana riguardante il periodo successivo ai primi decenni del ii sec. a.c. non ci permette di seguire, se non a grandi linee, l’utilizzo di questo tipo di comandanti. Dalle nostre fonti sembra chiaro che vi fu un forte ritorno alla tradizione e una maggiore regolamentazione dell’accesso e dell’utilizzo delle magistrature proprio in quegli anni92 ed è molto probabile che il ritorno all’assegnazione di un imperium consulare a un privato ci sia stato solamente con la lex sulpicia che nell’88 diede a c. mario, al momento un privato, l’incarico di condurre la guerra contro mitridate in Asia. Anche se subito abrogato dalla marcia su roma da parte di silla, questo fu il primo atto che aprì la serie di comandi straordinari del successivo cinquantennio, alcuni dei quali attribuiti a privati. Questa situazione precaria e violentemente influenzata dal in possesso di un imperium consulare e quindi capaci di ricevere nuovi incarichi (provinciae) dal senato. un altro caso è fornito dalla rivendicazione della legittimità del proprio potere da parte di Appio claudio Pulcro nel 54 a.c. Questa si basava su di una lex cornelia che gli avrebbe conferito l’imperium finché non fosse rientrato in città (cic. ad fam. 1, 9, 25: lege cornelia imperium habiturum, quoad in urbem introisset). Questa delimitazione non riflette una formula speciale di quella particolare legge, ma sono i limiti naturali dell’imperium militiae; qui Appio claudio voleva sottolineare il possesso di un valido imperium anche dal punto di vista auspicale a seguito delle ben note polemiche sulla mancanza della lex curiata. in realtà la legge in questione non faceva altro che conferirgli una provincia consolare e non un imperium (che in quanto console aveva già). È evidente la confusione che regnava tra gli stessi membri della classe dirigente a proposito dei fondamenti del potere magistratuale. 91 il sistema di attribuzione dei comandi per le province senatorie si basava, nel principato, su una legge varata nel 27 a.c. che riproponeva quelli che dovevano essere i contenuti della famosa lex pompeia de provinciis; i proconsoli nominati in base a questa legge erano dei privati cum imperio e dovevano essere investiti dai comizi. ulpiano, testimone di un’epoca in cui questo sistema era ancora sostanzialmente in vigore, riporta traccia di questo relitto arcaico in Dig. 1, 16, 1 (proconsul ubique quidem proconsularia insignia habet statim atque urbem egressus est) e in 1, 16, 16 (proconsul portam Romae ingressus deponit imperium). nel primo caso abbiamo un riferimento chiaro all’auspicazione con cui si inaugurava l’imperium, proprio come nel caso di ottaviano. 92 Prodotto di questa tendenza furono le varie leggi (tra cui la lex Villia annalis) e senatusconsulta che regolarono l’accesso alle magistrature e tentarono di porre dei limiti all’ambitio di molti uomini politici per evitare che si ripetessero casi come quello di scipione o di t. Quinzio flaminino: cfr. scullArD, politics, 173–174; grimAl, scipions, 257; HAckl, senat, 3; DeVelin, patterns, 81–85; altra bibliografia supra n. 38. 11_Dalla Rosa.indd 214 13-05-2008 9:20:25 Ductu Auspicioque 215 supporto militare a favore di alcuni uomini politici produsse alcuni casi senza precedenti nella storia repubblicana. il ritorno alla concessione di imperia a dei privati, attraverso delegazione, mandato del senato o legge, l’importanza delle azioni militari da questi portate a termine e soprattutto il nuovo peso dell’esercito nella politica della tarda repubblica fecero finalmente cadere il divieto di assegnazione di trionfo a questa categoria di comandanti. il trionfo di Pompeo ex Africa in un anno non meglio precisato tra l’81 e il 79 è il primo caso sicuro e anche quello più eclatante93. A soli 23 anni ricevette dal senato, senza aver rivestito nessun tipo di incarico pubblico in precedenza, un imperium pro praetore, che esercitò in sicilia e Africa, dimostrando una capacità militare eccezionale. Acclamato imperatore e denominato ‘il grande’ dalle sue truppe in Africa, fece ritorno a roma e celebrò, pur senza il pieno appoggio di silla, un magnifico trionfo94. Pompeo si trovava sempre nella condizione di privatus quando ricevette un imperium pro consule nel 77–71 (in spagna mediante senatusconsultum) e nel 67–61 (contro i pirati in base alla lex Gabinia, quindi 93 cic. Manil. 61; liv. per. 89; gran. lic. 31 f.; Plin. nat. hist. 7, 96 (eques Romanus, id quod ante nemo, curru triumphali revectus). sul primo trionfo di Pompeo e la sua datazione cfr. bADiAn, servilius; cAstritius, Aureus; tWymAn, triumph; girArDet, pompeius, 163. ci potrebbero essere due trionfi precedenti a quello di Pompeo, ma comunque sempre da inserire negli anni 80 del i sec. a.c., anche se non siamo bene informati sull’origine dell’imperium dei personaggi in questione: c. Valerio flacco, cos. 93, proconsole in gallia transalpina, ottenne un trionfo nell’81; egli fu a capo della provincia negli anni precedenti, forse già dall’85 (cic. quinct. 28; schol. Bob. 96 stangl; caes. bell. Gall. 1, 47, 4; grueber, coins, ii, 388–390; brougHton, Magistrates, 58; 59 n. 3) ed è possibile che sia trascorso un certo tempo tra il suo consolato e il suo invio in provincia. l. licinio murena era uno dei luogotenenti di silla in oriente e si distinse nell’assedio del Pireo e come comandante dell’ala sinistra della cavalleria nella battaglia di cheronea nell’86. lasciato al comando dell’Asia nell’84, celebrò un trionfo su mitridate nell’81 ex praetura, secondo quanto riferisce cic. Mur. 15, ma non è escluso che il termine usato da cicerone sia di natura non tecnica (la sua pretura dovrebbe comunque risalire all’88/87); l’ipotesi di una delegazione di imperium da parte di silla rimane quindi possibile (titolo di imperator sig3 745; iPriene 121 linn. 40–41; brougHton, Magistrates, 62; 64; mAgie, Asia, i, 243–245). 94 cic. Manil. 61; liv. per. 89: cn. pompeius in siciliam cum imperio a senatu missus; non è escluso che il conferimento sia avvenuto anche attraverso una legge, ma, per la concessione di imperia pro praetore, esistono diversi precedenti dell’assegnazione solo attraverso senatusconsultum e (probabile) delegazione consolare (cfr. supra). girArDet, pompeius, 162 pensa, erroneamente, all’intervento di una lex curiata. sul cognome Magnus e il suo significato cfr. Plin. nat. hist. 7, 96; Plut. pomp. 13, 4; Ae 1957, 309; crAWforD, coinage, n. 402; WeiPPert, imitatio, 56–104; eDWArDs, pompeius; mArtin, imitatio; DAHlHeim, pompeius. 11_Dalla Rosa.indd 215 13-05-2008 9:20:25 216 Alberto DAllA rosA contro mitridate in base alla lex Manilia) e nel 57–54/53 (cura annonae in base alla lex cornelia caecilia). nei primi due casi la sua missione si concluse con la celebrazione di un trionfo95. un uso massiccio dei cosiddetti privati cum imperio fu introdotto da un’importantissima riforma di Pompeo nel 52 a.c., che metteva definitivamente in pratica un senatusconsultum del 5396. la ricostruzione del funzionamento della lex pompeia non è facile, poiché la legge fu messa in atto per pochi anni97 e, quando Augusto ne 95 sull’imperium consulare del 77 cfr. cic. Manil. 62; phil. 11, 18; Plut. pomp. 17, 3–4; cass. Dio 36, 25, 3; 27, 4; Val. max. 8, 15, 8 (che specifica che fu mandato pari imperio con il proconsole cecilio metello Pio); liv. per. 91 (con la definizione, di epoca imperiale, cum imperio proconsulari). Anche se non nominata dalle fonti, è probabile ci sia stata una ratifica popolare, visto che non ci sono precedenti di concessioni di un imperium consulare da parte del solo senato. Da escludere la votazione di una lex curiata (postulata da girArDet, pompeius, 167 n. 150). sull’acclamazione imperatoria cfr. brougHton, Magistrates, iii, 165. sulla lex Gabinia e il problema della pirateria cfr. cobbAn, senate, 123–125; PoHl, piraterie, 278–280; De souzA, piracy, 149–178; seAger, pompey, 44–52; sull’imperium di Pompeo in relazione agli altri proconsoli cfr. tHommen, Volkstribunat, 57 (sull’imperium infinitum); Vell. Pat. 2, 31, 2; cass. Dio 36, 37, 1 e la precisa analisi di girArDet, pompeius, 172 n.173 e 173–176 che paragona lo status di Pompeo a quello di Agrippa nel 18–13 a.c. Per una nuova considerazione del rapporto di Pompeo con i pretori d’Asia in base alla lex Manilia cfr. girArDet, pompeius, 178–185. sulla lex cornelia caecilia cfr. cic. Att. 4, 1, 7; liv. per. 104; cass. Dio 39, 9, 3. in questo caso si trattava di un imperium aequum. i tre trionfi riportati da Pompeo rimanevano comunque gli unici (sicuri) celebrati da un privato prima dell’introduzione della riforma dell’amministrazione provinciale nel 52 a.c. 96 cass. Dio 40, 56, 2–3: tov te dovgma to; mikro;n e[mprosqe genovmenon, w{ste tou;~ a[rxonta~ ejn th`/ povlei mh; provteron ej~ ta;~ e[xw hJgemoniva~, pri;n pevnte e[th parelqei`n, klhrou`ntai, ejpekuvrwsen. oujd᾽ hj/scuvnqe tovte me;n toiau`ta gravya~, u{steron de; ouj pollw`/ aujtov~ te th;n ∆Iberivan ej~ pevnte a[lla e[th labwvn. cfr. anche cic. fam. 8, 8, 5–7; 8, 10, 2; caes. bell. civ. 1, 6, 5. esisteva anche una disposizione transitoria che prevedeva che, prima del regolare utilizzo dei consolari e pretori secondo le modalità della legge, le province fossero assegnate a quegli ex magistrati che non erano andati in provincia durante la loro carica e il cui collegio magistratuale era il più vicino cronologicamente a quello che sarebbe dovuto partire per la provincia (cfr. cic. fam. 8, 8, 7 riguardo ai pretorii). 97 la legge fu approvata nel 52 a.c. e fu quindi applicata alle assegnazioni provinciali del 51, 50 e 49, anche se in quest’ultimo anno la sortitio avvenne in un momento di panico a causa della minaccia cesariana che aveva indotto il senato a emettere il senatusconsultum ultimum. È però verosimile che l’assegnazione si sia verificata in modo sostanzialmente regolare (cfr. infra). sul funzionamento della legge cfr. crook, Giovannini, 288; girArDet, Lex iulia, 292–300 di cui qui non si condivide la posizione a proposito dell’applicazione della legge alle sole province pretorie, formulata per primo da gioVAnnini, imperium, 116–117; contra ferrAry, pouvoirs, 105–108. 11_Dalla Rosa.indd 216 13-05-2008 9:20:25 Ductu Auspicioque 217 rimise in vigore le norme, la funzione del popolo era ormai decisamente marginale e quindi incapace di attirare le attenzioni degli storiografi del periodo. sappiamo che tutti i governatori provinciali sarebbero stati scelti tra privati cittadini che avessero rivestito la pretura o il consolato da almeno cinque anni. lo scopo di questa legge fu disputato anche nell’antichità: la motivazione ufficiale pare che fosse quella di impedire ai candidati al consolato di speculare sulle ricchezze che sarebbero derivate dall’imminente governo provinciale per promuovere la propria campagna elettorale98. cesare lo considerava un espediente per privarlo del suo comando straordinario nelle gallie, che era una diretta conseguenza del suo imperium consulare rivestito nel 5999. tra le altre motivazioni avanzate si può menzionare quella di rendere più flessibile il sistema di assegnazione, permettendo di fronteggiare meglio le esigenze militari100. Questa legge però non doveva per nulla limitare il potere dei consoli in carica al solo pomerium. essi potevano ancora essere inviati a discrezione del senato laddove lo si ritenesse più opportuno per il bene dello stato. essendo ora i consoli dispensati dalla routine del governo provinciale era evidente che l’assegnazione di questi compiti non fu più anteriore ai comizi consolari né immune dal diritto di veto dei tribuni della plebe101. 98 cass. Dio 40, 30, 1; 46, 2; 56, 1. caes. Bell. civ. 1, 85, 9: omnia haec iam pridem contra se parari; in se novi generis imperia constitui, ut idem ad portas urbanis praesideat rebus et duas bellicosissimas provincias absens tot annis obtineat; in se iura magistratuum commutari, ne ex praetura et consulatu, ut semper, sed per paucos probati et electi in provincias mittantur. tAylor, politics, 151, spiega come questo avrebbe impedito a cesare, se eletto al consolato per il 49, di mantenere un comando provinciale, rendendolo vulnerabile agli attacchi della parte avversaria. Per il significato di ex praetura e ex consulatu cfr. gioVAnnini, imperium, 79–80. 100 Questa motivazione sarebbe stata influenzata dalla disfatta di carre dello stesso anno. i problemi con Daci e Parti avrebbero, secondo ADcock, Lucca, 627–628, mostrato l’inadeguatezza del sistema di nomina graccano. 101 giustamente ferrAry, pouvoirs, 106–107 ha ribadito come le fonti non escludano le province consolari dalla lex pompeia, ma, anzi, mostrino il contrario: la discussione in senato del 29 settembre 51 riportata da cic. fam. 8, 8, 5–6 dimostra che la discussione de provinciis consularibus fu posteriore alle elezioni consolari e che la mancata intercessione da parte dei tribuni era dovuta semplicemente al fatto che in quella sede si decise di rimandare l’assegnazione al marzo dell’anno successivo. l’ostruzionismo dei tribuni della plebe nel 50 impedì al senato di inviare i successori dei due consolari cicerone e calpurnio bibulo, con il risultato che per quell’anno cilicia e siria furono rette rispettivamente dal quaestor pro praetore c. celio caldo (cic. fam. 2, 15, 4; Att. 6, 6, 3–4; 7, 1, 6; brougHton, Magistrates, 250) e dal legatus pro praetore fabricio Veientone (cic. Att. 7, 35, 5; 4, 17, 3; 99 11_Dalla Rosa.indd 217 13-05-2008 9:20:25 218 Alberto DAllA rosA la nostra migliore fonte di informazioni sulle modalità di nomina dei nuovi governatori provinciali, ora giustamente definibili ‘proconsoli’, è l’epistolario di cicerone riguardo al suo governo in cilicia nel 51–50 a.c., assegnato in base ai criteri della nuova legge. l’anno in cui cicerone ricevette l’incarico doveva essere compreso in un periodo di transizione, per cui, in attesa di avere a disposizione per la prima volta ex consoli che non avessero mai ricoperto un governo provinciale nei cinque anni successivi alla fine della magistratura, il senato preferì inviare quei consolari che avevano rinunciato a partire per una provincia durante il loro mandato102. cicerone dice di essere stato inviato in provincia in base a due provvedimenti, una lex e un senatus consultum, passati probabilmente all’inizio dell’anno di consolato di m. claudio marcello (51 a.c.) a cui si riferisce nella lettera che menziona i due atti103. il senatus consultum riguardava la nomina da parte del senato che doveva decidere quali province affidare agli ex magistrati in base alla regolamentazione della lex pompeia. soprattutto in questo periodo in cui la legge non era ancora entrata nella sua completa funzionalità potevano sorgere delle discussioni riguardo a chi fosse più adatto ad essere inviato in provincia e il decreto del senato dovette riflettere questi dibattiti. Dopo la decisione dell’assemblea era necessario che il nuovo governatore ricevesse dal popolo l’imperium consulare e a questo si riferisce il termine lex usato da cicerone. Anche se non sappiamo di fronte a quale assemblea si svolse la votazione, possiamo congetturare ragionevolmente che il console marcello riunì i brougHton, Magistrates, 253). se la lex sempronia fosse rimasta in vigore, l’assegnazione delle province consolari sarebbe rimasta inappellabile. Per il resto le altre province furono assegnate a pretorii (provinciae, quas praetorii pro praetore obtinerent). All’inizio del 49 un s.c. ultimum impedì ai tribuni di continuare il loro ostruzionismo e le province furono assegnate a consolari e pretorii (cfr. caes. bell. civ. 1, 6, 5: provinciae privatis decernuntur, duae consulares, reliquae praetoriae). Q. cecilio metello Pio scipione nasica (cos. 52) fu mandato in siria, mentre cn. Domizio enobarbo (cos. 54) fu mandato in gallia. Anche tra i pretorii di cui riusciamo a ricostruire la carriera si vede che la legge fu rispettata: A. Plauzio (pr. urb. 51) andò in bitinia e Ponto, mentre la sicilia toccò a catone (pr. 54). Per le fonti cfr. brougHton, Magistrates, 259–264. Probabilmente, vista l’emergenza, si fece a meno del sorteggio. Per ulteriore discussione cfr. la bibliografia supra; per la questione dei consoli e del loro imperium militiae cfr. infra. 102 cfr. supra n. 96. 103 cic. ad Fam. 15, 9, 2: unum vero si addis ad praeclarissimas res consulatus tui, ut aut mihi succedat quam primum aliquis aut ne quid accedat temporis ad id, quod tu mihi et senatus consulto et lege finisti, omnia me per te consecutum putabo. 11_Dalla Rosa.indd 218 13-05-2008 9:20:26 Ductu Auspicioque 219 comizi centuriati per far votare una lex de imperio che dava all’Arpinate, semplice privato, il potere per governare effettivamente la provincia104. nella legge si doveva specificare la natura, la durata e i limiti territoriali della missione. il governatore, a seconda del rango, riceveva un imperium pro consule o pro praetore che significava che avrebbe governato la provincia con un potere pari a quello di un console o di un pretore. la riforma di Pompeo portava una grande modernizzazione a roma, ancora abituata a impiegare le magistrature della città-stato per governare il suo vasto impero mediterraneo. Dalla riforma sillana la pretura era stata completamente assorbita dalla presidenza delle quaestiones giudiziarie e l’accresciuta competenza in campo legislativo del consolato aveva costretto questi magistrati a lasciare la città per partire per le proprie province sempre più tardi nel corso dell’anno. consoli come cesare poi, per la necessità di controllare la vita politica della capitale non si mossero mai e non assunsero comandi provinciali se non dopo la conclusione del periodo di servizio. scorporare così la suprema magistratura dello stato dal governo ordinario di una provincia, affidato ora a consolari ritornati alla vita privata da almeno cinque anni, poteva servire, tra l’altro, a dare maggiore flessibilità e prestigio proprio al consolato. l’impiego dei supremi magistrati sarebbe stato solamente richiesto nei momenti e nei luoghi dove il senato avesse visto una grave necessità e quindi non sarebbe stato più riservato all’amministrazione di province che, pur esigendo un comandante militare, non avevano bisogno altro che di un semplice controllo. non si escludeva quindi la possibilità che a fianco delle tradizionali province consolari, ora affidate a ex magistrati, si potessero creare altre provinciae particolarmente importanti da riservare ai consoli in carica. i compiti affidati ai consoli sarebbero per questo risultati anche più prestigiosi, visto che quelli di routine erano affidati ai consolari e non è escluso che Pompeo volesse restringere ai soli consoli l’assegnazione dei cosiddetti comandi straordinari105. nell’intento di Pompeo è proba104 Questa legge non poteva essere una lex curiata, come pensa ADcock, Lucca, 629. Per l’argomentazione cfr. supra. 105 la lex pompeia non introduceva la supposta separazione, di mommseniana memoria (mommsen, staatsrecht, ii, 94–95), tra imperium domi e militiae, né confinava i consoli al solo ambito urbano (cfr. chiaramente girArDet, Lex iulia, 293–296; girArDet, entmachung, 91; ferrAry, pouvoirs, 102). i consoli rimanevano sempre in possesso di tutte le loro prerogative e avrebbero ancora potuto usarle. essi avevano sempre assunto un comando provinciale in base a decreti del senato e leggi: dispensando i magistrati dall’ordinaria amministrazione provinciale 11_Dalla Rosa.indd 219 13-05-2008 9:20:26 220 Alberto DAllA rosA bile che ci fosse anche il ristabilimento dell’annualità nei governi provinciali. la scelta dei governatori tra gli ex magistrati poteva fornire nuove risorse umane per il superamento definitivo della pratica della proroga, necessaria e utilizzata largamente soprattutto durante il i sec. a.c. Al di là quindi delle motivazioni strettamente contingenti, come quella di evitare la corruzione oppure quella di creare degli intralci a cesare allora in gallia, sembra che la legislazione di Pompeo si possa ben inquadrare in quella tendenza ad ammodernare lo stato e rendere l’amministrazione più congrua all’estensione dei domini di roma perseguita anche in seguito da cesare. nello stesso tempo si tentava anche di ristabilire alcuni dei principi della tradizione repubblicana, quali la preminenza politica e militare dei consoli, schiacciata dall’utilizzo dei comandi straordinari, e la successione annuale dei magistrati, anche nel campo del governo provinciale. gli studiosi che ritengono che i proconsoli nominati in questo modo (quindi principalmente tutti quelli dell’epoca del principato) non avessero l’auspicium, si basano soprattutto su due famosi passi di cicerone: div. 2, 77: bellicam rem administrari maiores nostri nisi auspicato noluerunt; quam multi anni sunt, cum bella a proconsulibus et a propraetoribus administrantur, qui auspicia non habent. nat. deor. 2, 9: tum enim bella gerere nostri duces incipiunt, cum auspicia posuerunt. cicerone era un augure molto ben informato, come anche il già citato Valerio messalla che nei suoi commentari scriveva, del tutto coerentemente col pensiero ciceroniano, de caelo auspicari ius era ovvio che il loro impiego diventasse un fatto più raro ed eccezionale, legato a situazioni di particolari difficoltà. nel 50 si pensò di mandare i consoli in siria per supplire al vuoto lasciato dalla partenza di bibulo e per scongiurare un attacco dei Parti (cic. fam. 8, 10, 2) e nel 49 anche i consoli furono impiegati nella difesa della repubblica contro cesare (brougHton, Magistrates, 256). Alquanto straordinario, ma sempre conforme alla legge, il governo delle spagne rinnovato al console sine collega Pompeo nel 52 (cass. Dio 40, 56, 2 cit. supra n. 96). se questa visione si dimostrasse corretta si vedrebbe nell’intento di Pompeo proprio quello della formazione di una specie di principato imperniato sulla lotta politica tra un ristretto numero di nobiles che avrebbero fondato il loro prestigio sulle azioni compiute durante il consolato, lasciando agli altri senatori solo l’ordinario mantenimento delle province. 11_Dalla Rosa.indd 220 13-05-2008 9:20:26 Ductu Auspicioque 221 nemini sit praeter magistratum106. Da queste fonti sembrerebbe ben attestata un’incapacità auspicale dei privati cum imperio, semplicemente ignorata dalla negligenza religiosa dei politici della tarda repubblica. inserendo i due passi ciceroniani nel loro contesto si vede come essi non sono che una parte delle lamentele contro la scarsa importanza attribuita alle auspicazioni, anche sul piano semplicemente privato. l’arpinate si fa qui rappresentante di una visione ultraconservatrice, simile a quella di messalla, ma anche a quella che espressero i consoli del 187 a.c. m. emilio lepido e c. flaminio che, contrariati per la proroga dei loro predecessori in grecia, li accusarono di essere dei semplici privati e quindi non legittimati a esercitare un imperium107. Poiché la loro magistratura era scaduta, essi avevano perso la possibilità di prendere gli auspici all’interno del pomerio, cioè di rappresentare davanti agli dei la comunità cittadina. Per l’originaria dottrina augurale non potevano esistere deviazioni come la prorogatio, la delega o il conferimento di imperium a privati mediante votazione popolare. l’auspicium era una capacità che era collegata solamente con la magistratura (da qui il precetto di messalla). D’altra parte l’originaria magistratura e il suo potere (l’auspicium) erano altrettanto strettamente legate con l’unica assemblea popolare della repubblica primitiva: i comizi curiati. le innovazioni che abbiamo analizzato nelle pagine precedenti mostrano come questo legame originario si sia venuto a disfare e si sia creato un sistema alternativo, basato su una capacità popolare di conferire i poteri e il principio della trasmissione personale da parte dei magistrati. il risultato di queste nuove forme di potere era qualcosa di differente dalla magistratura e quindi senza riferimento alla lex curiata. Quest’ultima è attestata, nelle nostre fonti, sempre ed esclusivamente in collegamento con le magistrature ordinarie e il suo utilizzo per la giustificazione di imperia diversi da quelli magistratuali rimane solo un’ipotesi degli storici moderni 108. 106 Varr. Antiquit. rer. hum. et div. fr. 84 (non. 92, 8). episodio già menzionato supra. 108 la connessione esclusiva che questa legge aveva con la magistratura era ben presente anche agli esperti del diritto augurale che avevano consigliato rullo nella sua rogatio agraria del 63, cui cicerone si oppose così duramente. il progetto prevedeva la creazione di una nuova magistratura che, pur eletta anche con il voto di sole 17 tribù dei concili plebei, sarebbe stata convalidata da una lex curiata. un tale procedimento non era conforme a quello previsto per le normali magistrature e infatti cicerone obiettò prima di tutto iam hoc inauditum et plane novum, uti 107 11_Dalla Rosa.indd 221 13-05-2008 9:20:26 222 Alberto DAllA rosA i richiami di cicerone vanno intesi come riferiti agli auspici che erano propri dei magistrati urbani. la critica è rivolta al continuo uso della proroga e al fatto che sempre più spesso i consoli si riducevano a partire per le province loro assegnate a ridosso della scadenza della magistratura, quando si depongono gli auspicia urbana109. nonostante l’opinione conservatrice di cicerone, magistrati prorogati e privati cum imperio continuavano a godere di uno statuto auspicale perfettamente regolare. i proconsoli erano da considerare dei privati, ma secondo cicerone. Questa era un’opinione personale, condivisa anche da altri senatori, ma non rispecchiava la realtà costituzionale, stabilita dai molti casi precedenti. un privato che aveva ricevuto un imperium consolare o pretorio, per esserne in pieno possesso, non poteva fare altro che attivarlo mediante un’auspicazione. non era possibile per nessuno, magistrato o privato, possedere un imperium senza curiata lege magistratus detur qui nullis comitiis ante sit datus (leg. agr. 2, 26, 1). nell’ottica ciceroniana, e nella communis opinio di allora, l’elezione avveniva davanti alle centurie o alle tribù, mentre le curie erano rimaste collegate solo con il conferimento dell’auspicium. c’era bisogno di entrambe queste fasi, una sola non era sufficiente. la giustificazione della proposta del tribuno, invece, doveva fondarsi su una concezione della lex curiata come vero mezzo della creazione della magistratura, a prescindere dall’assemblea che l’avesse designata. si trattò di un ragionamento che tentava di estrarre dei principi costituzionali dalla pratica elettorale della tarda repubblica, ma che non rispecchiava la realtà dell’inizio della repubblica (cfr. per una concettualizzazione simile il capitolo de iure triumphandi in Val. max. 2, 8). Vicino alle idee espresse da rullo doveva essere anche il già citato augure messalla, autore della frase minoribus creatis magistratibus tributis comitiis magistratus, sed iustus curiata datur lege (cfr. supra), mentre tra i moderni possiamo annoverare principalmente mAgDelAin, Recherches. il funzionamento della res publica romana si basava principalmente sulla tradizione e non su principi generali e può essere pericoloso estrapolare da cic. leg. agr. 2, 30 (consuli, si legem curiatam non habet, attingere rem mlitarem non licet) che i privati cum imperio necessitavano di una legge curiata per trionfare. Questa affermazione va legata solo ai consoli, perché la lex curiata riguardava solo i magistrati. ulteriori e simili spunti sono offerti dallo scandalo di Appio claudio Pulcro e dalla questione dell’intercessione tribunizia alla lex (cic. ad Att. 4, 18, 4; ad fam. 1, 9, 25; ad. quint. 3, 2, 3; cfr. supra). Vedi anche il caso del tentativo del senato in esilio a tessalonica di far eleggere i consoli prima della battaglia di farsalo, naufragato perché i consoli del 49 non avevano ricevuto l’investitura delle curie e quindi non si sentivano legittimati a nominare i propri successori (cass. Dio 41, 43, 3). 109 ovviamente l’auspicium dei magistrati era unico, esercitato sia all’interno, sia all’esterno del pomerium, ma allo scadere della magistratura non era più possibile per chi avesse ricevuto una proroga (e quindi era sempre in possesso di un auspicium) compiere quelle azioni caratteristiche della magistratura che potevano avvenire solamente all’interno del pomerium e quindi costituivano un gruppo di auspicazioni a sé stante. cfr. supra n. 12. 11_Dalla Rosa.indd 222 13-05-2008 9:20:26 Ductu Auspicioque 223 auspicium, poiché senza l’approvazione divina, verificata mediante l’auspicazione, non era possibile esercitare nessun imperium. molti studiosi considerano corretta l’opinione di cicerone e desumono che nessuno, a parte i magistrati, possedesse l’auspicium. magistrati prorogati e privati cum imperio eserciterebbero quindi il loro potere senza il diritto di prendere gli auspici, ma questa situazione costituirebbe un’assurdità per il diritto augurale. cicerone era un augure con un’ottima conoscenza della tradizione e quindi dobbiamo trarre tutte le conseguenze che sono contenute nelle sue parole. se solo i magistrati avevano l’auspicium, questo comportava che le altre categorie di possessori di imperium non potevano esistere. un’applicazione del pensiero ciceroniano avrebbe quindi riportato la situazione presente prima del 326 a.c., ma questo era impossibile data la vastità dell’impero e doveva essere chiaro sia a cicerone sia ai suoi contemporanei. nella realtà, i magistrati prorogati e i privati cum imperio avevano l’auspicium, altrimenti non avrebbero potuto esercitare alcuna autorità. oltre alle fonti riportate nelle pagine precedenti, è la loro stessa esistenza a darne una conferma. la lex pompeia inseriva nella regolare amministrazione dell’impero ciò che fino a quel momento era stato considerato una misura straordinaria, creando di fatto una nuova categoria di funzionari pubblici, con poteri del tutto equivalenti a quelli di consoli o pretori in ambito militare e, dopo il caso dello stesso Pompeo, anche abilitati al trionfo. Questo faceva sicuramente storcere il naso ai tradizionalisti, ma i numerosi precedenti fornivano una giustificazione accettabile e rendevano la pratica perfettamente costituzionale. 3. Auspiciis imperatoris ductu proconsulis. Augusto rimise in vigore la legge di Pompeo che suo padre aveva dismesso: è quindi con questa categoria di proconsoli che il nuovo principe collaborò nella gestione dell’impero110. essi potevano però costituire anche una potenziale minaccia alla sua supremazia politica, soprattutto nella fase in cui si andavano ancora elaborando quegli assetti costituzionali che avrebbero dato una maggiore stabilità al ruolo dell’imperatore. 110 Augusto dovette promulgare una lex iulia che si ispirava quasi totalmente a quella di Pompeo, tranne nel fatto che ora anche i governatori pretorii venivano mandati in provincia con il titolo di proconsules. come discusso in precedenza (cfr. supra) quest’atto non doveva restringere la sfera di attività consolare alla sola città di roma. 11_Dalla Rosa.indd 223 13-05-2008 9:20:26 224 Alberto DAllA rosA Dal punto di vista auspicale niente impediva che i proconsoli avessero ancora la possibilità di condurre campagne suis auspiciis come avveniva anche sotto il triumvirato111 e questo è confermato dai trionfi riportati da m. licinio crasso e m. Valerio messalla nel 27, da sex. Appuleio nel 26, da l. sempronio Atratino nel 21 e da l. cornelio balbo nel 19112. stando a questi fatti è da escludere che qualcosa sia cambiato nel 23, quando Augusto, avendo rinunciato al consolato e ai vantaggi che ne derivavano, ottenne che il suo imperium consulare fosse maggiore di quello dei governatori senatori delle province in cui si recava e venne dispensato dalla regola del pomerium113. la data dell’ultimo trionfo venne però a coincidere con un altro importante avvenimento, cioè quello dell’assegnazione ad Augusto di una non meglio definita ejxousiva tw`n uJpavtwn, del privilegio di essere sempre accompagnato dai littori ovunque si trovasse e di poter sedere tra i consoli in carica. lo stesso anno Agrippa, di ritorno dalle sue campagne in Hispania (che aveva condotto con un imperium indipendente da quello di Augusto), non volle celebrare il trionfo che il senato e, almeno apparentemente, 111 in generale cfr. scHumAcHer, Akklamationen, che ha avuto il grande merito di dimostrare come le acclamazioni imperatorie dei triumviri derivassero solamente da operazioni condotte da loro stessi o dai loro legati e non dai proconsoli che, pur essendo da loro nominati, continuavano ad avere un imperium autonomo. 112 cil i2 p. 50 e 77; inscrit Xiii 1 p. 86–87 e 344–45; bAlbuzA, siegesideologie, 296–297 con elenco di trionfatori, ovantes e possessori di ornamenta triumphalia sotto Augusto. 113 Questa deduzione è effettuata da ferrAry, pouvoirs, 130–141 in base alla posizione di germanico rispetto ai governatori delle province orientali espressa dal senatusconsultum de cn. pisone patre (eck, cAbAllos, fernánDez, senatusconsultum, llnn. 33–36) che conferma come non esistesse ancora a quel tempo un concetto di imperium maius in senso assoluto, ma solamente in relazione ad un altro, come esprime anche l’uso del comparativo invece del superlativo maximum. A proposito vedi bArnes, tacitus, 144. contra girArDet, imperium, 219–227 pensa che invece la situazione di germanico fosse un caso particolare, una concessione fatta da tiberio stesso, il cui imperium, in teoria, era ancora senza nessuna specificazione di superiorità rispetto a quello dei proconsoli. l’opinione del ferrary è più coerente anche con l’affermazione di cass. Dio 53, 32, 5; 54, 28, 1 riguardo alla concessione ad Augusto di un potere maggiore di quello dei governatori provinciali, che può essere vista come una teorizzazione a posteriori, influenzata anche dalla situazione del iii secolo. giusta anche l’osservazione di mcfAyDen, princeps, 36–37 che collega il provvedimento con il viaggio di Augusto in sicilia e in oriente dal 22 al 19. il rapporto tra tiberio e germanico nel menzionato s.c. però mostra come il potere dell’imperatore sia definito maius rispetto a quello del figliastro in maniera generale, senza nessuna specificazione territoriale, cosa che poi si evolverà nella definizione ulpianea praeses provinciae maius imperium in ea provincia habet omnibus post principem (Dig. 1, 18, 4; ferrAry, pouvoirs, 137). 11_Dalla Rosa.indd 224 13-05-2008 9:20:27 Ductu Auspicioque 225 anche Augusto volevano concedergli. l. cornelio balbo rimase quindi l’ultimo trionfatore della lista fatta incidere da Augusto sull’arco che commemorava, nel foro, la restituzione delle insegne perse da crasso contro i Parti114. Da quel momento solamente i membri della domus Augusta ebbero il privilegio di trionfare, mentre proconsoli e legati dovettero accontentarsi al massimo degli ornamenta triumphalia. un’ulteriore innovazione sembra fu introdotta nel rapporto con i proconsoli a capo delle province pubbliche, gli unici ancora in possesso di un imperium autonomo e non delegato dall’imperatore. in alcuni casi siamo informati del fatto che essi combatterono sotto gli auspici dell’imperatore, perdendo quindi a priori la possibilità di celebrare un trionfo. Di fronte a questa innegabile gestione quasi monopolistica della vittoria e degli onori che ne derivavano, molti storici moderni si sono chiesti se questi fatti non rispondessero anche a una qualche innovazione costituzionale che avrebbe per sempre tolto ai governatori provinciali la possibilità di poter condurre delle campagne militari suis auspiciis, riservando questa possibilità solo all’imperatore e alla sua famiglia115. 114 il grande valore simbolico di questa lista era direttamente collegato al foro di Augusto e alla serie di ritratti e elogia dei viri triumphales della repubblica. con il compimento di questo grande progetto propagandistico, Augusto si poneva come sintesi e culmine della serie dei grandi generali romani, riprendendone anzi l’origine, avendo celebrato un triplice trionfo come il fondatore della città, romolo. tra la nutrita bibliografia sulla questione cfr. syme, Revolution, 449–450; 470–71; DegrAssi, Virgilio; brAccesi, Fasti; zAnker, Bilder, 111–118; Hickson, triumphator, 126–127; cHioffi, elogia; sPAnnAgel, exemplaria, 245–250; kienAst, Augustus, 408ss ; bAlbuzA, siegesideologie, 286–288; scott, Arch; itgensHorst, Augustus, 449–457; 115 Prime tracce di un’ipotesi di monopolizzazione degli auspicia da parte dell’imperatore si trovano in gAgé, Romulus, 166–167; gAgé, Victoria, 1–35; gAgé, théologie, 2–11 che collega il fatto al conferimento del nome di Augustus. mommsen, staatsrecht, i, 101, pur senza sviluppare una teoria monopolistica, si basa su una cattiva interpretazione di cic. div. 2, 76 e nat. deor. 2, 9 (discussi supra) e conclude che essi non disponessero degli auspici. similmente mAgDelAin, Recherches, 55–56 (che però mantiene una posizione inspiegabilmente intermedia); gioVAnnini, imperium, 43–44; 77–79; ricH, spolia, 102–103; itgensHorst, Augustus, 452 (solo un accenno); Hurlet, Auspices, 159–161; 169–80 che, partendo dai due passi ciceroniani, propone per primo una completa teoria sul monopolio auspicale. Di una ‘neutralizzazione’ degli auspici dei proconsoli parla invece in JAcQues, scHeiD, empire, 120–121 e scHeiD, Religion, 100–101. sottolineano l’accentramento imperiale a spese dei proconsoli rüPke, Domi militiae, 241; PAni, politica, 243–244; una motivazione puramente politica è difesa da eck, self-Representation, 139 e eck, Augustus, 59. cfr. anche kneissl, siegestitulatur, 24–25. 11_Dalla Rosa.indd 225 13-05-2008 9:20:27 226 Alberto DAllA rosA la risposta a questa domanda non è immediata ed è impossibile da dare senza tenere conto della vicenda degli auspicia delineata nelle pagine precedenti, ma innanzitutto bisogna tenere a mente che, dopo il 19, per un proconsole le occasioni di distinguersi sul campo di battaglia erano diventate rarissime. già nel 10 a.c. le legioni in Pannonia e in macedonia vennero tolte ai proconsoli e affidate a legati di Augusto: nel primo caso con il passaggio della provincia al controllo imperiale e nel secondo con lo spostamento delle truppe in mesia sotto il comando di un legato imperiale116. le truppe della legione iii Augusta stanziate in Africa rimasero sotto il controllo del senato solamente fino al 39 d.c., anno in cui caligola le affidò a un legato di sua nomina. si vede quindi che la ragione è prima di tutto pratica, ma comunque non è possibile ignorare il fatto che, tra il 19 a.c. e il 39 d.c., cinque proconsoli d’Africa ottennero gli ornamenti trionfali con azioni che, se fossero state compiute qualche tempo prima, avrebbero probabilmente meritato un trionfo. conviene quindi riprendere e analizzare tutte le fonti possibili per chiarire quali aspetti costituzionali fossero collegati a questo monopolio fattuale del trionfo da parte del principe e dei suoi famigliari. Due testimonianze ci informano sul fatto che campagne militari in Africa furono condotte sotto gli auspici dell’imperatore e semplicemente ductu proconsulis. Questo avvenne nel bellum Gaetulicum condotto da cosso cornelio lentulo nel 6–8 d.c. di cui ci informa un’iscrizione di leptis magna che riporta la formula auspiciis imp(eratoris) caesaris Aug(usti) / pontificis maxumi patris / patriae ductu cossi Lentuli / co(n)s(ulis) XVviri sacris faciundis / proco(n)s(ulis)117. Anche cass. Dio 55, 28, 1–5 narra della vittoria di cosso sui getuli e la inserisce nel contesto delle rivolte che scoppiarono in varie parti dell’impero, spingendo il senato a lasciare ad Augusto la nomina extra sortem di tutti i proconsoli, che sarebbero rimasti in carica per il biennio successivo118. Analogamente le cam116 cass. Dio 53, 12, 7; 54, 4, 1. irt 301 = Ae 1940, 68: Marti Augusto sacrum / auspiciis imp(eratoris) caesaris Aug(usti) / pontificis maxumi patris / patriae ductu cossi Lentuli / co(n)s(ulis) XVviri sacris faciundis / proco(n)s(ulis) provincia Africa / bello Gaetulico liberata / civitas Lepcitana. 118 cass. Dio 55, 28, 1–2: kajn toi`~ aujtoi`~ touvtoi~ crovnoi~ kai; povlemoi polloi; ejgevnonto. kai; ga;r lh/stai; sucna; katevtrecon, w{ste th;n Sardw; mhd’ a[rconta bouleuth;n e[tesiv tisi scei`n, ajlla; stratiwvtai~ te kai; stratiavrcai~ iJppeu`sin ejpitraph`nai: kai; povlei~ oujk ojlivgai ejnewtevri­ zon, w{ste kai; ejpi; duvo e[th tou;~ aujtou;~ ejn toi`~ tou` dhvmou e[qnesi, kai; aiJretouv~ ge ajnti; tw`n klhrwtw`n, a[rxai: ta; ga;r tou` Kaivsaro~ kai; a[llw~ 117 11_Dalla Rosa.indd 226 13-05-2008 9:20:27 Ductu Auspicioque 227 pagne contro tacfarinas condotte da giunio bleso nel 21–23 furono portate a termine sotto gli auspici dell’imperatore tiberio, come tramanda Vell. 2, 129, 4 (Magni etiam terroris bellum Africum et cotidiano auctu maius auspiciis consiliisque eius [scil. tiberii caesaris] brevi sepultum est). il proconsole in questione era stato scelto extra sortem, in quanto il sorteggio per la provincia d’Africa era stato sostituito da una scelta diretta che il senato effettuò tra i due candidati che gli erano stati proposti dall’imperatore119. in maniera del tutto simile, nel 44–46, galba fu mandato nella stessa provincia con poteri straordinari, anche sopra la legione iii Augusta, normalmente affidata ad un legato imperiale a quel tempo120. in suet. Gal. 7, 1 si dice chiaramente Africam pro consule biennio optinuit extra sortem electus e la sua missione ebbe un successo tale da fargli attribuire gli ornamenti trionfali. non sappiamo se galba combattesse sotto gli auspici di claudio, anche se la cosa rimane molto probabile, visto che in quel periodo l’imperatore guadagnò un’ulteriore acclamazione imperatoria121. Alcuni studiosi hanno voluto collegare questi fatti con i passi ciceroniani riguardanti la validità degli auspicia di proconsoli e propretori122. interpretando questi passi nel senso di un’incapacità ejpi; pleivw crovnon toi`~ aujtoi`~ prosetavtteto. [...] kai; Gaivtouloi tw`/ te ∆Iouvba/ tw`/ basilei` ajcqovmenoi, kai; a{ma ajpaxiou`nte~ mh; ouj kai; aujtoi; uJpo; tw`n ÔRwmaivwn a[rcesqai, ejpanevstesan aujtw`/, kai; thvn te provscwron ejpovrqhsan kai; sucnou;~ kai; tw`n ÔRwmaivwn ejpistrateuvsantav~ sfisin ajpevkteinan, tov te suvmpan ejpi; tosou`ton ejphuxhvqhsan w{ste Kornhvlion Kovsson to;n katergasavmenovn sfa~ timav~ te ejpinikivou~ kai; ejpwnumivan ajp’aujtw`n labei`n. 119 tac. ann. 3, 32–35. 120 tac. hist. 4, 48; cass. Dio 59, 20, 7. 121 kienAst, Kaisertabelle, 91; mAttingly, coinage, i, 125 nr. 116–121. non sembra plausibile poter connettere l’acclamazione con la semplice annessione della tracia al novero delle province romane dopo l’assassinio del re remetalce iii. A. Didio gallo, governatore di mesia e incaricato di prendere possesso della nuova provincia, incontrò qualche resistenza, ma nulla che giustificasse un’acclamazione imperatoria. egli però ricevette gli ornamenti trionfali per la piccola guerra contro il re mitridate del bosforo conclusasi con l’installazione di cotys sul trono. Questi fatti sono posti nel 45–46, ma non sappiamo con sicurezza se non che avvennero prima del 49, come risulta da tac. Ann. 12, 15. non sarebbe quindi azzardato ipotizzare che l’undicesima acclamazione imperatoria sia da attribuire alla spedizione di galba in Africa, mentre la dodicesima, registrata nel 46–47, toccherebbe allora al bellum Mithridaticum di Didio gallo. A proposito di gallo vedi Pir2 D70 e cil iii 7247 con commento. 122 cfr. supra. bibliografia supra. n. 109. 11_Dalla Rosa.indd 227 13-05-2008 9:20:27 228 Alberto DAllA rosA auspicale dei magistrati prorogati (e dei privati cum imperio anche se non esplicitamente menzionati), hanno concluso che alla base del loro imperium esisteva un vizio di forma e che Augusto si sarebbe appellato a questo fatto per impedire che essi ricevessero un trionfo. il primo utilizzo politico di questo espediente formale sarebbe stato compiuto nei confronti del proconsole m. licinio crasso (cos. 30, procos. 29–27), per impedirgli di depositare le spolia opima nel tempio di giove feretrio123. in seguito, nel 19 a.c., ci sarebbe stato un giro di vite da parte di Augusto che avrebbe, sempre sulla base di questa mancanza di auspicia da parte dei proconsoli, fatto passare un’interpretazione rigorista, togliendo definitivamente ai governatori delle province pubbliche la possibilità di trionfare124. egli sarebbe rimasto, nella pratica, l’unico in grado di esercitare un comando suis auspiciis, poiché i consoli rimanevano ormai confinati a roma per i pochi mesi del loro incarico125. nelle pagine precedenti abbiamo dimostrato che sia i magistrati prorogati, sia i privati cum imperio godevano di uno statuto auspicale regolare e che i passi ciceroniani vanno interpretati come l’espressione di un punto di vista conserva123 le spolia opima potevano essere dedicate solamente da chi avesse ucciso in battaglia il generale nemico. nella storia di roma questo era toccato solamente a romolo, A. cornelio cosso nel 437 a.c. e m. claudio marcello nel 222 (fonti riguardo ai tre dedicatari in ricH, spolia, 85 n. 81). m. licinio crasso uccise con le proprie mani Deldone, re dei bastarni, ma cass. Dio 51, 24, 4 dice che non potè dedicare le spolia opima perché non era in possesso di un comando supremo (ka]n ta; skuvla aujtou` tw`/ Feretrivou Dii; wJ~ kai; ojpi`ma ajnevqeken, ei[per aujtokravtwr strategov~ ejgegovnei). Da questo passo alcuni studiosi hanno voluto inferire che egli non avesse gli auspici (sempre in collegamento con i passi ciceroniani sopra discussi: cfr. DessAu, Livius, 145; keHne, Drusus, 200; Hurlet, Auspices, 164–166), ma abbiamo dimostrato che i proconsoli, in quanto privati cum imperio, avevano gli auspicia, tanto che m. licinio crasso ottenne il trionfo (inscrit Xiii 1, 86–87; 344–45; 571). una motivazione giuridica (sempre che se ne debba cercare per forza una: cfr. ricH, spolia, 106–109) sarebbe piuttosto da cercare nella notizia che fornisce liv. 4, 20, 5–7 da cui sappiamo che Augusto, ispezionando il tempio di giove feretrio in vista di un restauro, verificò che al momento della dedica delle spolia opima cosso era console. in quanto anche m. claudio marcello era console al momento della dedica, Augusto avrebbe obiettato a crasso che solo i consoli potevano ricevere questo onore; cfr. syme, Revolution, 308–310; syme, Livy, 44. Per alcuni contributi recenti alla questione cfr. licA, Akklamation; krAfft, cossus; mAffi, opima spolia; floWer, tradition; DettenHofer, Herrschaft, 70–72; rocco, crasso. 124 cfr. in particolar modo Hurlet, Auspices, 173–174. 125 cfr. girArDet, entmachung, la sola esauriente analisi sulla questione, anche se non se ne condivide l’ipotesi di restrizione formale dell’imperium dei consoli alla sola sfera cittadina a partire dal 19 a.c.; cfr. infra, n. 166. 11_Dalla Rosa.indd 228 13-05-2008 9:20:27 Ductu Auspicioque 229 tore, nostalgico di un rispetto della tradizione augurale scomparso ormai da tempo. essi non possono essere utilizzati per dedurre un vizio di forma alla base del potere dei governatori provinciali. È quindi necessario abbandonare l’idea di una variazione definitiva in base a una legge e pensare a delle misure ad hoc per chiarire il motivo per cui, pur godendo di una posizione di completa autonomia dal potere imperiale, ci sono almeno due casi (probabilmente tre) in cui il proconsole d’Africa combattè sotto gli auspici dell’imperatore, pur senza diventare in alcun modo un suo legatus pro praetore. non fu una riforma costituzionale a costringere cosso cornelio lentulo a combattere sotto gli auspici di Augusto, bensì una decisione del senato per fare fronte alla forte ondata di ribellioni che si scatenò tra il 6 e il 9 d.c. la più grave insanguinò l’illirico e costrinse tiberio ad abbandonare le operazioni in boemia per tornare a pacificare la regione che lui stesso aveva soggiogato quindici anni prima. la sardegna fu assegnata alle province dell’imperatore in seguito a una recrudescenza degli attacchi dei corsari e ci furono, sempre secondo cassio Dione, delle sollevazioni in varie città dell’impero, tanto che si decise di sospendere temporaneamente i sorteggi per le province senatorie e di inviarvi per due anni dei proconsoli scelti extra sortem da Augusto126. l’iscrizione di cosso cornelio lentulo corrisponde proprio a questo periodo e confermerebbe che oltre alla nomina imperiale, il senato decise di sottomettere gli auspicia dei proconsoli di quel periodo a quelli di Augusto, in modo da garantire una maggiore protezione all’impero. ci sarebbe quindi, come in tutti gli altri casi analizzati in precedenza, una concreta situazione d’emergenza alla base di quest’innovazione costituzionale destinata a essere nuovamente riapplicata. sappiamo sicuramente che il provvedimento fu ripreso quando in Africa fu mandato giunio bleso e probabilmente anche quando galba fu incaricato da claudio di rimettere ordine nella provincia. senza dubbio l’eventualità dell’esercizio di questa prerogativa non fu prevista al momento dell’attribuzione ad Augusto dei nuovi poteri nel 19 a.c., nel senso che l’esigenza di garantire una forma di superiorità auspicale ad Augusto non costituì, a mio avviso, uno dei moventi di quella riforma. ritengo, tuttavia, che la possibilità di estendere la protezione degli auspici dell’imperatore anche alle province non di sua competenza sia stata resa praticabile proprio in seguito alla nuova posizione acquisita dal principe. 126 11_Dalla Rosa.indd 229 cfr. supra, n. 119. 13-05-2008 9:20:28 230 Alberto DAllA rosA È necessario perciò analizzare le riforme del 19 a.c. e vedere se e quale influenza possono aver esercitato sul rapporto tra Augusto e i proconsoli. cassio Dione parla della concessione al principe di un notevole insieme di poteri, comprendenti la cura morum e la censoria potestas per cinque anni, il potere consolare a vita (ejxousiva tw'n uJpavtwn dia bivou), compreso il diritto di essere preceduto da dodici littori e la possibilità di sedersi tra i consoli in senato127. il significato di queste attribuzioni è ancora oggetto di forte dibattito tra gli studiosi128 e si è tentato di gettare maggiore luce sulla questione concentrandosi su ciò che Augusto compì negli anni successivi per tentare di capire in che misura egli si sia avvalso di questi nuovi diritti. nelle Res Gestae Augusto stesso dice di aver condotto tre volte un censimento generale della popolazione nel 28 a.c. in consulatu sexto, nell’8 a.c. e nel 14 d.c. consulari cum imperio129. non ci 127 cass. Dio 54, 10, 5: ejpimelethv~ te tw`n trovpwn ej~ pevnte <e[th> paraklhqei;~ dh; ejceirotonhvqh, kai; th;n ejxousivan th;n me;n tw`n timhtw`n ej~ to;n aujto;n crovnon, th;n de; tw`n uJpavtwn dia; bivou e[laben, w{ste kai; toi`~ dwvdeka rJavbdoi~ ajei; kai; pantacou` crh`sqai kai; me;n ejn mevsw/ tw`n ajei; uJpateuovntwn ejpi; tou` ajrcikou` divfrou kaqivzesqai. 128 l’opinione prevalente tra il XiX e il XX sec. era quella di una semplice attribuzione delle insegne esteriori del potere, senza alcuna variazione rispetto alla posizione del 23 (che però considerava Augusto in possesso di un imperium proconsulare maius, esercitato da roma e valido solo nelle province): cfr. mommsen, staatsrecht, ii, 871–872; Von Premerstein, prinzipat, 237–238, ma anche bleicken, triumvirat, 100–103; lAcey, evolution, 151; crook, History, 91–92; DettenHofer, Herrschaft, 125–126. PelHAm, essays, 69–70 al contrario ritiene che l’assunzione delle insegne fosse solamente un completamento di una possibilità già reale di esercitare il proprio imperium in italia e a roma dal 23. similmente il recente contributo di cotton, yAkobson, Arcanum, 195–203 (di cui non capisco l’idea di un’equiparazione all’imperium dei consoli se Augusto poteva, secondo i due studiosi, esercitare il suo imperium consulare a roma e in italia già dal 23). un’altra corrente vede una vera e propria equiparazione del suo imperium a quello dei consoli: cfr. eck, Augustus, 57; girArDet, entmachung, 120–121; kienAst, Augustus, 111–113; parla di un’equiparazione dell’imperium di Augusto a quello dei consoli a roma e in italia Jones, imperium, 118; Jones, studies, 13–15 e Jones, Augustus, 59–60; una posizione più cauta è espressa da brunt, problems, 73 che preferisce pensare alla concessione di utilizzo dell’imperium consulare senza limiti territoriali solo nel 19. ferrAry, pouvoirs, 124 per cui l’attribuzione delle insegne doveva almeno comportare la concessione della giurisdizione e della coercizione che era permessa a tutti i proconsoli al di fuori della propria provincia. 129 Res Gestae 8, 2–4: senatum ter legi, et in consulatu sexto censum populi conlega M. Agrippa egi. Lustrum post annum alterum et quadragensimum feci, quo lustro civium Romanorum censa sunt capita quadragiens centum millia et sexagin- 11_Dalla Rosa.indd 230 13-05-2008 9:20:28 Ductu Auspicioque 231 sono dubbi che nel 28 ottaviano, in quanto console, potesse farsi affidare dal senato e dal popolo i poteri censori, come era avvenuto in precedenza in assenza dei magistrati specifici130, ma nelle due successive occasioni egli non poteva più avvalersi della carica di console, che aveva smesso di rivestire in maniera continuativa dal 23 a.c. Per affrontare il problema però è necessario comprendere bene il significato dell’espressione consulari cum imperio che va intesa semplicemente come ‘quando ero in possesso di un imperium consulare’ e non ‘in virtù di un imperium consulare’131. il consulare imperium posseduto da Augusto doveva permettergli di ricevere dal senato e dal popolo i poteri censori e quindi di far compiere il censimento generale e la lectio senatus. Questo consulare imperium non era altro che quello già posseduto da Augusto dal 27 e modificato nel 23 in modo che esso potesse valere anche all’interno del pomerium132. nel 19 era stato accordato al principe di poter avere anche all’interno della città le insegne di questo potere, cosa che non faceva di lui un console, ma che doveva lasciare diverse ambiguità, visto che egli, oltre ai semplici ornamenti esteriori, poteva ora esercitare un concreto potere coercizionale anche a roma e in italia. ta tria millia. tum iterum consulari cum imperio lustrum solus feci c. censorino et c. Asinio cos., quo lustro censa sunt civium Romanorum capita quadragiens centum millia et ducenta triginta tria millia. et tertium consulari cum imperio lustrum conlega tib. caesare filio meo feci sex. pompeio et sex. Appuleio cos., quo lustro censa sunt civium Romanorum capitum quadragiens centum millia et nongenta triginta et septem millia. 130 Questo avvenne nel 75 a.c. come sappiamo da cic. Verr. 2, 1, 130 e 2, 3, 18–19 (prudentissimi viri summa auctoritate praediti, quibus senatus legum dicendarum in locandis vectigalibus omnem potestatem permiserat populusque Romanus idem iusserat), anche se non si trattò di un censimento, ma della locazione dei vectigalia per la sicilia. Questa operazione divenne competenza dei consoli anche per la provincia d’Asia, come riporta la lex portorii del 73. era sempre possibile, mediante decreto senatorio o voto popolare, conferire temporaneamente ai consoli degli incarichi, come la conduzione del census, che un tempo dovevano appartenere alla suprema magistratura, ma che in seguito erano state scorporate da essa e affidate a nuovi funzionari; a proposito cfr. kunkel, WittmAnn, Magistratur, 329–330. la necessità che il compito debba essere ratificato da senato e popolo rende dubbioso il fatto che i compiti censori fossero normalmente inclusi nell’imperium consolare nella tarda repubblica, come invece pensano HArDy, Lectio, 45 e DettenHofer, Herrschaft, 65 n. 33. 131 ferrAry, pouvoirs, 126 con n. 99. gli esempi di questa interpretazione sono numerosissimi in formule come cum imperio esse, o con verbi di moto del tipo cum imperio ire, adire, venire o con mittere. 132 cass. Dio 53, 32, 5; ferrAry, pouvoirs, 116–117; eck, Augustus, 54–55. 11_Dalla Rosa.indd 231 13-05-2008 9:20:28 232 Alberto DAllA rosA una tale situazione, già profilatasi di fatto dal 23, trovò il suo compimento nel 19, quando la posizione del principe si fece sempre più simile a quella di un magistrato che a quella di un promagistrato. l’abolizione del limite pomeriale per i poteri di Augusto tolse l’ultima superiorità territoriale che i magistrati ordinari avevano avuto nei confronti del principe, anche se con la concessione della potestà tribunizia si era già provvisto a garantire un efficacie strumento di controllo politico dell’attività del senato e del popolo. l’attribuzione delle insegne consolari e dei dodici littori dava ora ad Augusto una posizione di diritto del tutto simile a quella dei consoli, tanto che era ora possibile affidargli compiti, quali la lectio senatus e il census, che erano sempre state appannaggio dei supremi magistrati133. Questi compiti esulavano da quelli che aveva esercitato finora come proconsole, visto che riguardavano la repubblica nella sua totalità e non solo le province di sua competenza. nel 19 egli ritrovava gran parte di quello che aveva perduto abdicando al consolato, ma forse proprio l’uscita dalla magistratura più importante gli permise di sviluppare un potere e un’influenza del tutto simili a quelli dei consoli, ma più incisivi e anche più flessibili. il senato fu senza dubbio partecipe di questa modificazione, visto che propose addirittura una speciale curatio legum et morum summa potestate, che Augusto rifiutò. si cercava di trovare una base costituzionale per l’intervento dell’imperatore in tutti i campi dell’organizzazione statale; una forma di potere che racchiudesse una competenza che andasse oltre le province assegnategli e allo stesso tempo non richiedesse il conferimento di una magistratura. la concessione di quella che cassio Dione chiama hJ ejxousiva hJ de; tw`n uJpavtwn non dava ad Augusto alcun nuovo imperium, bensì la capacità di ricevere, per senatusconsultum o voto popolare, incarichi e competenze tradizionalmente riservate ai consoli, quindi senza limiti territoriali. egli poi avrebbe svolto tali compiti sulla base dei poteri (vastissimi) di cui era già in possesso (l’imperium consulare e la tribunicia potestas)134. Questa soluzione eliminava la necessità della 133 Per i problemi relativi all’inclusione nei privilegi consolari della nomina del praefectus urbi cfr. brunt, problems, 70. 134 Augusto possedeva già un imperium qualitativamente uguale ai consoli, anche se limitato alle province assegnategli dal mandato di senato e popolo. non mancavano precedenti di assegnazioni di incarichi a promagistrati nel territorio italico: nel 49 a.c. fu affidato al proconsole cicerone l’incarico di reclutare delle truppe per la difesa della regione di capua, un compito normalmente solo affidato ai consoli (cic. fam. 16, 11, 3; 12, 5; Att. 7, 11, 15; 14, 2; 15, 2; 8, 3, 4; 11b, 1 11_Dalla Rosa.indd 232 13-05-2008 9:20:28 Ductu Auspicioque 233 continua approvazione di nuove leggi per concedere singolarmente questi poteri all’imperatore. in questa prospettiva si può interpretare in maniera più precisa anche la questione del presunto monopolio auspicale. Al momento delle insurrezioni degli anni 6–9 d.c. era necessario un notevole sforzo militare in molte parti dell’impero, anche in quelle non governate direttamente dall’imperatore. Per assicurare un’adeguata protezione alle campagne militari che dovevano essere condotte sarebbe stato opportuno far agire sotto gli auspici di Augusto anche le truppe poste sotto il comando dei proconsoli. una soluzione sarebbe stata quella di passare momentaneamente tutte le province sotto il controllo imperiale, ma la cosa non era praticabile, in quanto Augusto sarebbe diventato l’equivalente di un monarca assoluto. sfruttando l’equiparazione con i consoli garantita dalle riforme del 19 a.c. si decise di subordinare gli auspici dei proconsoli a quelli dell’imperatore, lasciando però salvo il loro grado di imperium. non era una decisione del tutto innovativa e dei precedenti repubblicani mostravano che essa era una prerogativa consolare135. Abbiamo visto come a volte fosse stato necessario far agire un console e un proconsole sullo stesso campo e questo non successe mai senza una decisione del senato volta a chiarire un’eventuale subordinazione136. All’inizio del 216 a.c. i consoli dell’anno precedente (cn. servilio gemino e il suffetto Attilio regolo) furono prorogati e lasciati in Puglia a tenere sotto controllo i movimenti di Annibale in attesa dell’arrivo dei consoli. Questi ultimi si occuparono di reclutare e addestrare nuove forze prima di giungere, probabilmente solo all’inizio dell’estate, presso canne. livio nota solamente che servilio e regolo furono prorogati, ma Polibio dice che furono nominati ajntistravthgoi dal console emilio Paullo137. e 3; 11D, 5; 9, 11A, 2). l’incarico era straordinario, ma possibile per il fatto che l’imperium di cicerone era valido fino al rientro nel pomerium (cfr. supra sulla questione della posizione dei promagistrati durante il ritorno dalla provincia). non era quindi in vista di un singolo incarico che Augusto mirava ad ottenere i poteri consolari. egli voleva questa posizione per essere in grado di governare la res publica assieme al senato, come facevano i consoli, ma senza rivestire continuamente la magistratura. 135 Augusto disponeva sicuramente dell’auctoritas adeguata per far applicare dei precedenti repubblicani, anche isolati, alla sua persona: cfr. brunt, problems, 71. 136 Vedi l’episodio di Arausio nel 105 a.c. descritto supra. 137 liv. 22, 34, 1; Polyb. 3, 106, 2: proceirisqevnte~ uJpo; tw`n peri; Aijmiv­ 11_Dalla Rosa.indd 233 13-05-2008 9:20:28 234 Alberto DAllA rosA il termine usato dallo storico greco non costringe a pensare che il loro imperium fosse abbassato al livello pretorio, in quanto il titolo è utilizzato anche riguardo ai consoli durante la loro proroga138. Durante la seconda guerra punica abbiamo notizia solo di innalzamenti del livello di imperium e sempre in base a una votazione popolare139. il termine usato da Polibio parrebbe però esprimere una subordinazione in questo contesto, visto che in seguito lo storico conferma che servilio eseguì gli ordini dei consoli e fu sicuramente sottoposto a essi al momento della battaglia di canne140. le fonti latine, invece, continuano a chiamare servilio, l’unico dei due a essere rimasto a canne141, semplicemente prioris anni consul, pur presentando uno scenario in cui sono i due consoli titolari ad avere il comando142. la soluzione può essere quella di una subordinazione agli auspici dei consoli in carica. servilio gemino e Attilio regolo, accettando di collaborare, persero la possibilità di condurre la camlion ajntistravthgoi kai; paralabovnte~ th;n ejn toi`~ uJpaivqroi~ ejxousivan ejceivrizon kata; th;n eJauth;n gnwvmhn ta; kata; ta;~ dunavmei~. 138 Polyb. 28, 3, 1. la notizia di livio parrebbe poi confermare che essi mantennero il loro status consolare; di questo avviso anche WAlbAnk, polybius, i, 435 e JAsHemski, origins, 102 n. 102. 139 brennAn, praetorship, 640–641 pensa a una delega di imperium pretorio da parte di emilio Paullo, ma la cosa è impossibile, in quanto i due ex consoli, non essendo ancora rientrati nel pomerio, non avevano deposto la loro autorità; una concessione di imperium pretorio a qualcuno già in possesso di un potere consolare mi sembra quindi impossibile. 140 Polyb. 3, 106, 9; 109, 1; 116, 11. 141 Attilio regolo ottenne di rientrare a roma per motivi di anzianità, dove fu poi eletto triumvir mensarius (liv. 22, 40, 6; 23, 21, 6); secondo Polibio, invece, morì a canne (Polyb. 3, 114, 6; 116, 11). 142 liv. 22, 40, 6; 43, 8; 45, 8; nep. Hann. 4, 4. il proconsole era un uomo d’esperienza e sicuramente decise di sottomettersi volentieri alla richiesta del senato di collaborare con i nuovi consoli, anche se questo gli avrebbe fatto perdere la possibilità di combattere suis auspiciis. sulla sua accondiscendenza poteva aver influito anche la recente discordia tra il dittatore Q. fabio massimo e il suo magister equitum minucio rufo, che non aveva portato nessun risultato e si era risolta con il ritorno di rufo sotto gli auspici del dittatore (Polyb. 3, 103, 6–105, 11; liv. 22, 27, 8–30, 6 e supra). la battaglia di canne risultò in un disastro senza precedenti e quindi non abbiamo nessun riscontro certo di chi avesse la preminenza auspicale poiché non si celebrò alcun trionfo. nel 207 a.c. i due consoli m. livio salinatore e c. claudio nerone sconfissero insieme le armate di Asdrubale e venne loro decretato il trionfo, ma venne celebrato solamente da livio, poiché, seguendo la consueta rotazione giornaliera dei fasces tra i consoli, il giorno della battaglia si era combattuto sotto i suoi auspici (liv. 28, 9, 10). in un certo qual modo si può dire che non ci fosse mai una perfetta parità auspicale, nemmeno tra magistrati di par potestas. 11_Dalla Rosa.indd 234 13-05-2008 9:20:28 Ductu Auspicioque 235 pagna in Puglia contro Annibale sotto i loro propri auspici e furono quindi subordinati in questo senso ai consoli, senza alcuna formale diminuzione di imperium. un’ulteriore chiarificazione viene dalla vicenda della battaglia di Arausio, che vide sullo stesso campo di battaglia il proconsole Q. servilio cepione e il console cn. manlio massimo. come abbiamo visto in precedenza143, la mancata collaborazione dei due, causata dal fatto che entrambi erano dotati di imperium consulare, portò a una grave sconfitta e a una severa punizione per cepione. secondo cass. Dio 27, fr. 91, 1-4, il senato aveva mandato manlio al posto del proconsole, senza prevedere una collaborazione tra i due. Questo significava che i due avevano la medesima provincia, ma era evidente che la preminenza era del console. Questa maggiore autorità non era data da un grado più alto di imperium, ma, verosimilmente, dal fatto che il proconsole era subordinato agli auspici di manlio. Questa spiegazione è perfettamente coerente con il comportamento tenuto da cepione, che si frappose tra manlio e il nemico per evitare che quest’ultimo avesse la possibilità di iniziare la battaglia. egli sapeva perfettamente che se avessero condotto un’azione comune, la gloria sarebbe andata tutta al console e questo sarebbe stato possibile solamente in una situazione di superiorità degli auspici del magistrato su quelli del promagistrato in questione. È possibile che questa subordinazione fosse semplicemente implicita nel momento in cui il senato decise di assegnare a manlio la stessa provincia del suo predecessore, ma è evidente che un’azione comune di console e proconsole avrebbe dato solo al primo il pieno diritto al trionfo. Dati questi precedenti repubblicani appariva come una prerogativa dei consoli quella di poter ottenere che dei proconsoli attivi nella loro stessa provincia fossero subordinati ai loro auspici e quindi potessero ricevere ordini, pur avendo un imperium pari a quello consolare. l’esistenza di questi casi non dovette essere sfuggita ai consiglieri di Augusto, che si basarono su questo diritto consolare per giustificare la sottomissione dei proconsoli nominati nel biennio 6–8 d.c. agli auspici dell’imperatore, pur lasciando inalterati l’origine e il grado del loro imperium. in quest’ottica la riforma del 19 a.c. risultò fondamentale, in quanto, concedendo ad Augusto diritti consolari, gli diede anche la possibilità di sfruttare questa prerogativa, anche se con alcune importanti differenze. Augusto infatti non ricevette l’amministrazione diretta anche delle province pubbliche, 143 11_Dalla Rosa.indd 235 cfr. supra con testo di cassio Dione a n. 40. 13-05-2008 9:20:29 236 Alberto DAllA rosA né agì personalmente nello stesso campo di battaglia dei proconsoli. il senato dovette semplicemente attribuirgli una tutela di tutte le azioni militari dell’impero (o della sola Africa nei casi successivi), in modo che fossero assistite dalla sua felicitas e dai suoi auspici che erano risultati vittoriosi così tante volte. sappiamo che nei tre casi discussi la conduzione della guerra sotto gli auspici dell’imperatore si accompagnò anche ad una scelta del proconsole senza ricorso alla normale procedura, che veniva accantonata per lasciare posto a una nomina diretta. Questo sistema era il più adatto per affrontare situazioni di emergenza. nel caso di cosso la conferma viene dal passo di cassio Dione, mentre in quello di bleso da quello di Velleio Patercolo. Per gli auspici di galba abbiamo un indizio dato dall’undicesima acclamazione imperatoria di claudio, datata proprio al 46 e molto probabilmente da riferirsi all’Africa144. non era possibile per gli imperatori appropriarsi delle acclamazioni ottenute da generali combattenti con auspici indipendenti e quindi l’undicesima acclamazione, se relativa all’Africa, non può che implicare che galba agì sotto gli auspici di claudio. Questo potrebbe dimostrare che anche in questo caso fu l’imperatore a tutelare con i suoi auspicia l’esito della campagna militare. A riprova che si trattò di misure ad hoc e non dell’effetto di una riforma generale, sta il fatto che ci furono dei proconsoli insigniti degli ornamenti trionfali che verosimilmente non combatterono sotto gli auspici dell’imperatore. l. Passieno rufo, proconsole d’Africa intorno al 3 d.c., fu insignito degli ornamenta triumphalia e portò il titolo di imperator, ma l’unica acclamazione imperatoria assunta da Augusto tra l’8 a.c. e il 6 d.c. fu quella relativa alle campagne di c. cesare in Armenia, nel 3 d.c.145. Questo depone decisamente per un’indipendenza di Passieno rufo dagli auspici di Augusto, la cui politica in fatto di trionfi non prevedeva la concessione degli ornamenta ai suoi legati senza l’assunzione del titolo imperatorio da parte sua146. Diversa era l’attitudine di tiberio, che dopo il 16 d.c. non aumentò più il suo numero di acclamazioni imperatorie. nel 26 il suo legato Poppeo sabino ottenne gli ornamenta triumphalia per le sue operazioni nei balcani e contro i traci147, ma tiberio non volle 144 cfr. supra n. 122. su Passieno rufo cfr. Vell. 2, 116, 2; cil Viii 16456; burnett, coinage, i, n. 808; tHomAsson, Fasti, 25. sull’acclamazione imperatoria di Augusto cfr. cass. Dio 55, 10a, 7; kienAst, Kaisertabelle, 66. 146 eck, imperatorenakklamation, 223–225. 147 tac. ann. 4, 46, 1. 145 11_Dalla Rosa.indd 236 13-05-2008 9:20:29 Ductu Auspicioque 237 prendere alcun onore per sé, come nulla fece nei confronti di tre proconsoli d’Africa: m. furio camillo (procos. 17–18), l. Apronio (procos. 18–21) e Q. giunio bleso (procos. 21–23)148. tutti e tre i casi sono da riferire alla guerra contro tacfarinas e nel caso di bleso sappiamo che egli fu scelto extra sortem e agì sotto gli auspici di tiberio. non abbiamo alcuna informazione per credere che furio camillo e l. Apronio siano stati mandati extra sortem nella provincia: la proroga di Apronio e il fatto che abbiano ottenuto gli ornamenti trionfali non ci dicono nulla su una loro subordinazione agli auspici imperatorii, visto che la cosa corrisponde a due caratteristiche del principato di tiberio, quella di lasciare a lungo in provincia i governatori (fossero essi legati o proconsoli) e quella di concedere gli ornamenti trionfali senza accettare onorificenze per se stesso149. se si comportò così verso i suoi legati Poppeo sabino e giunio bleso, perché fare diversamente con dei proconsoli che, per giunta, combattevano sotto i propri auspici? tra i proconsoli, il ricorso alla subordinazione degli auspici mi sembra sia giustificabile solo per il caso di bleso. la prima ragione sta nelle circostanze della sua nomina: il senato (e sicuramente anche tiberio) era evidentemente scontento del fatto che tacfarinas fosse ancora in grado di turbare la provincia con le sue scorrerie e decise che era ora di chiudere i conti con il ribelle numida. bleso fu scelto extra sortem in quanto valido generale, ebbe a disposizione la provincia per due anni rinforzata da una legione supplementare150 e, sicuramente, la protezione degli auspici di tiberio. con dei presupposti del genere la guerra doveva essere vinta, e in effetti lo fu, o almeno così si decise di far credere. bleso riportò significative vittorie, ma non mise definitivamente fuori causa tacfarinas; ciò nonostante fu decorato con gli ornamenta triumphalia e ottenne, ultimo al di fuori della famiglia imperiale, di portare il titolo di imperator151. la seconda ragione sta nel comportamento del senato 148 Per una trattazione completa delle fonti relative cfr. Vogel-WeiDemAnn, statthalter, 69–85; tHomAsson, Fasti, 29–30. 149 su questo aspetto della politica provinciale di tiberio cfr. AlfölDy, tibère, 831–833; ortH, provinzialpolitik, 71–81; leVick, tiberius, 127–128; per i governi proconsolari in particolare cfr. Vogel-WeiDemAnn, statthalter, 535–550 con indicazioni prosopografiche; per le motivazioni del rifiuto delle acclamazioni imperatorie cfr. eck, imperatorenakklamation, 225. 150 la legione iX Hispana fu mobilitata dalla Pannonia sotto il comando di P. cornelio lentulo scipione nel 20 (tac. ann. 3, 9; ciL V 4329) e fu ritirata poco dopo l’arrivo in Africa del successore di bleso, P. cornelio Dolabella (tac. ann. 4, 5; 23). 151 tac. ann. 3, 74: tiberius … Blaeso tribuit ut imperator a legionibus saluta- 11_Dalla Rosa.indd 237 13-05-2008 9:20:29 238 Alberto DAllA rosA e del principe nei confronti del successore di bleso, P. cornelio Dolabella152. Questi riuscì, con minori forze rispetto al predecessore, a eliminare tacfarinas, ma non ricevette alcun riconoscimento da tiberio. tacito dice chiaramente che questo era dovuto al fatto che bleso era zio di seiano e tiberio non avrebbe voluto diminuire la sua gloria153, ma le motivazioni coinvolsero anche altri fattori. la guerra era stata considerata chiusa con il ritorno di bleso154 e la propaganda aveva esaltato la brevità con cui il bellum Africum era stato terminato e aveva anche messo in risalto il ruolo degli auspicia imperatoris in questo buon esito155. inoltre, proprio il fatto che bleso agì sotto gli auspici di tiberio rendeva meno problematica l’attribuzione di tali e tanti onori a un proconsole. toltagli la possibilità di ottenere un trionfo egli non rappresentava alcuna minaccia per la gloria dell’imperatore, ma anzi esaltava la munificenza e la modestia di quest’ultimo, poiché si rifiutava di accettare un’acclamazione sua di diritto. Al contrario Dolabella doveva aver condotto la guerra in piena indipendenza e si vide precluso ogni riconoscimento perché avrebbe potuto rivaleggiare con le imprese compiute da bleso e, indirettamente, da tiberio stesso. un tale comportamento verso Dolabella non sarebbe stato giustificabile se anch’egli fosse stato subordinato agli auspici di tiberio, poiché, in questo caso, anche la sua vittoria avrebbe contribuito a far crescere la gloria dell’imperatore. Per l’opinione pubblica tacfarinas era stato battuto sotto gli auspici di tiberio e il comando di bleso. la guerra era iniziata e finita nell’arco di soli due anni156. retur, prisco erga duces honore qui bene gesta re publica gaudio et impetu victoris exercitus conclamabantur; erantque plures simul imperatores nec super ceterorum aequalitatem. concessit quibusdam et Augustus id vocabulum ac tunc tiberius Blaeso postremum. 152 Vogel-WeiDemAnn, statthalter, 85–92; tHomAsson, Fasti, 30. 153 tac. ann. 4, 26: Dolabellae petenti abnuit triumphalia tiberius, seiano tribuens, ne Blaesi avunculi eius laus obsolesceret. sed neque Blaesus ideo inlustrior et huic negatus honor gloriam intendit: quippe minore exercitu insignis captivos, caedem ducis bellique confecti famam deportarat. 154 tac. ann. 3, 74 definisce chiaramente che tiberio, anche se non fu preso tacfarinas, ma solo un suo fratello, considerò tutto concluso (pro confecto interpretatus). 155 l’eco di questa propaganda è rimasta in Vell. 2, 129, 4: Magni etiam terroris bellum Africum et cotidiano auctu maius auspiciis consiliisque eius brevi sepultum est. Anche la precisazione consiliis si confà perfettamente alla situazione di bleso, nominato extra sortem su proposta di tiberio. Viceversa, una tale formulazione sarebbe meno calzante se fosse riferita all’insieme dei quattro proconsoli dal 17 al 24. 156 cfr. supra n. 156. 11_Dalla Rosa.indd 238 13-05-2008 9:20:29 Ductu Auspicioque 239 mi sembra ragionevole concludere che gli auspici di un proconsole furono subordinati a quelli dell’imperatore solamente in seguito a decisioni ad hoc prese in senato e unitamente all’invio in provincia di governatori extra sortem. il caso delle onorificenze a l. Passieno rufo, senza che questo portasse all’assunzione di un’ulteriore acclamazione imperatoria da parte di Augusto, mi sembra una conferma della sua autonomia auspicale, poiché la politica augustea non prevedeva la possibilità di una decorazione dei subordinati senza un’acclamazione per il principe. Anche la rinuncia al trionfo da parte di Agrippa proprio nel 19 a.c. non riveste alcun significato giuridico. secondo cassio Dione egli non mandò al senato alcun rapporto sul suo operato e non accettò il trionfo già votatogli su proposta dello stesso Augusto, mostrando grande moderazione come suo solito157. Da questo racconto non si deduce minimamente che vi fu un impedimento costituzionale al trionfo di Agrippa, ma si trattò esclusivamente di una scelta politica, dettata dalle esigenze del nuovo regime che imponeva che nessuno si mettesse in concorrenza con Augusto per le onorificenze pubbliche158. la stessa cosa era avvenuta nel 38 e avvenne poi nel 14 a.c.159 e un comportamento simile fu tenuto da 157 cass. Dio 54, 11, 6: ouj mh; ou[te ejpevsteilev ti th`/ boulh`/ peri; aujtw`n, ou[te ta; ejpinivkia kaivtoi ejk th`~ tou` Aujgouvstou prostavxew~ yhfisqevn­ ta proshvkato, ajll’ e[n te touvtoi~ ejmetrivazen w{sper eijwvqei. 158 Agrippa era in possesso di un imperium pro consule indipendente da quello di Augusto dal 23 e quindi si trovava nella stessa condizione dei proconsoli, anche se, in base a Pköln Vi 249, 1, 7–11, possedeva un imperium superiore a questi ultimi nel caso si fosse recato personalmente in una provincia pubblica. Per maggiori specificazioni sul suo imperium cf koenen, Agrippa, 268–283; Ameling, Agrippa, 5–22; Hurlet, collègues, 38–61; girArDet, traditionalismus, 214–217 che però pensa a un rifiuto di Agrippa stesso in quanto privato cum imperio. un’osservazione del genere può essere pertinente nel trattare della modestia di Agrippa, ma non costituisce un fatto giuridicamente rilevante, visto che dal trionfo di Pompeo nell’81–79 era lecito trionfare anche a questa categoria di generali; cfr. supra. Per un paragone con la simile definizione dell’imperium di germanico nel senatusconsultum de cn. pisone patre cfr. eck, cAbAllos, fernánDez, senatusconsultum, 157–162; girArDet, imperium, 219–227; ferrAry, pouvoirs, 135–136. 159 cass. Dio 48, 49, 4; App. Bell. civ. 5, 92 per il caso del 38; cass. Dio 54, 24, 7 per il 14. nel 38 il rifiuto aveva avuto motivazioni ben più forti, visto che ottaviano aveva appena riportato una sconfitta navale contro sesto Pompeo che aveva fatto fallire i sogni di una rapida invasione della sicilia. la plebe di roma accolse male la notizia e cominciò a protestare contro l’erede di cesare. in questa situazione la rinuncia al trionfo da parte di Agrippa, tornato vittorioso dalla gallia, fu finalizzata a non acuire per contrasto la difficile situazione dell’amico ottaviano. 11_Dalla Rosa.indd 239 13-05-2008 9:20:29 240 Alberto DAllA rosA Augusto stesso in tre occasioni, di cui una proprio nel 19160. l’atto di Agrippa fu quindi frutto di una coerente politica del trionfo che era stata delineata dallo stesso Augusto. nulla impedì che in seguito trionfi venissero concessi senza problemi a tiberio (7 a.c. e 12 d.c.) e germanico (17 d.c.), tutti investiti di un imperium votato dal popolo, come lo era anche quello dei proconsoli, anche se il potere di questi ultimi era molto più ristretto. il trionfo fu celebrato per ragioni di politica dinastica, non a causa di una differenza tra il loro imperium e quello degli altri proconsoli: i due trionfi di tiberio furono celebrati quando questi era considerato l’erede designato di Augusto e lo stesso ragionamento vale, in seguito, per germanico, figlio adottivo di tiberio161. la monopolizzazione della vittoria e la concentrazione dei più alti onori militari nelle mani dell’imperatore e dei suoi successori fu un aspetto fondamentale per la stabilizzazione del principato e coinvolse numerosi aspetti. le possibilità di ottenere un trionfo per un governatore di una provincia senatoria furono praticamente neutralizzate da una serie di circostanze pratiche, politiche e costituzionali. il numero di province senatorie dotate di una legione scese presto da tre a una solamente, e in tre casi, forse gli unici, si ricorse alla prerogativa, fino ad allora solo consolare, di poter far combattere dei promagistrati sotto gli auspici dell’imperatore, frustrando così ogni speranza di ottenere un trionfo. ma il principale motivo fu sicuramente politico: di fronte al ripetuto rifiuto del trionfo da parte di Agrippa e dello stesso Augusto, per un proconsole non c’era la minima speranza di ottenere questo prestigioso riconoscimento. A proposito vedi syme, Revolution, 231. Al contrario nel 19 e nel 14 il principato era saldo e la celebrazione di un trionfo da parte di Agrippa non avrebbe causato il minimo danno; cfr. eck, self-Representation, 139. 160 Res gest. 4: decernente pluris triumphos mihi senatu quibus omnibus supersedi. Probabilmente Augusto si riferisce alle proposte avanzate nel 25 a.c., in seguito alle vittorie in spagna (cass. Dio 53, 26, 5; flor. 2, 33, 53–54), nel 19 a.c., di ritorno dall’oriente con le insegne di crasso restituite dai Parti (cass. Dio 54, 10, 4) e nell’8 a.c., per le vittorie di tiberio in germania (cass. Dio 55, 6, 6; ricH, settlement, 223–224). in due occasioni è menzionato il modo in cui Augusto fece ritorno a roma: egli decise di attraversare il pomerium di notte, senza aver prima annunciato il suo rientro (cass. Dio 54, 10, 4; 54, 25, 4). il suo ritorno si configurava quindi come l’opposto di quello di un trionfatore; cfr. bAlbuzA, siegesideologie, 290–291. 161 bAlbuzA, siegesideologie, 294–295. 11_Dalla Rosa.indd 240 13-05-2008 9:20:30 Ductu Auspicioque 241 4. Nota sulla posizione auspicale di Augusto dal 19 a.c. Al termine di questa lunga analisi del ruolo degli auspicia nel sistema dei poteri magistratuali e promagistratuali, possiamo concludere che con il principato non furono introdotte radicali innovazioni. la subordinazione degli auspici di un proconsole a quelli dell’imperatore fu applicata solo poche volte e i governatori delle province pubbliche non ebbero più a disposizione un significativo numero di truppe e divennero praticamente dei funzionari civili. in questo contesto poca attenzione è stata riportata finora dagli studiosi sullo statuto auspicale di Augusto al momento della sua abdicazione al consolato nel 23 a.c. e sul significato delle disposizioni del 19 su di esso. le sue province continuavano ad essere governate in base al suo imperium consulare che, da quel momento in poi, avrebbe esercitato come proconsole. Questo imperium si basava sulla carica di console che rivestiva al momento dell’assegnazione delle province nel gennaio del 27 e quindi la posizione auspicale di Augusto dal 23 fino alla sua morte fu, salvo per i pochi mesi in cui ancora rivestì il consolato, quella di un magistrato prorogato. Dal punto di vista auspicale egli si trovava quindi nella stessa situazione dei rimanenti governatori provinciali, privati cum imperio (consulari), tranne per il fatto che per Augusto l’attraversamento del pomerium non comportava più la perdita dell’imperium. Questa dispensa però non lo autorizzava a esercitare alcuna autorità in roma, ma era solamente un espediente per permettergli di partecipare alla vita pubblica della città, pur rimanendo a capo delle sue province. nell’imminenza del suo viaggio in oriente venne concesso all’imperatore anche di disporre di un imperium di grado maggiore di quello dei proconsoli nelle cui province si fosse personalmente recato162. Questo doveva essere e rimanere lo schema dei rapporti tra l’imperium di Augusto e quello dei proconsoli e la situazione non venne mutata dalle riforme del 19 se non per la possibilità di subordinazione degli auspici vista in pre- 162 Va da sé che questo avrebbe comportato, nel caso (mai verificatosi) di operazioni militari congiunte di Augusto e di un proconsole, che il trionfo sarebbe spettato al solo Augusto. non c’è dubbio che se si fosse verificato un fatto del genere Augusto avrebbe potuto appellarsi ai casi in cui a un pretore fu impedito di trionfare assieme a un console, essendo munito di un imperium minus. cfr. la questione tra il console Q. lutazio catulo e il pretore Valerio faltone in Val. max. 2, 8, 2; Versnel, triumphus, 168 spec. n. 164; engels, exempla, 160–161; itgensHorst, pompa, 181. 11_Dalla Rosa.indd 241 13-05-2008 9:20:30 242 Alberto DAllA rosA cedenza. rimane da analizzare il rapporto con i regolari magistrati. Per quanto riguarda gli auspicia urbana gli studiosi moderni sono concordi nell’ammettere che Augusto non li possedesse più una volta abbandonata la carica di console, ma la situazione rimane meno chiara al momento della concessione dell’ejxousiva tw'n uJpavtwn nel 19163. in base a questa nuova concessione, Augusto poteva avvalersi di prerogative prima riservate esclusivamente ai supremi magistrati, quale la lectio senatus, lo svolgimento del census, forse la nomina del praefectus urbi164 e la subordinazione degli auspici dei proconsoli ai suoi. essendo ormai i consoli costantemente lasciati a svolgere le loro funzioni solamente nella città di roma165, sarebbero venute a scomparire tutte le funzioni che essi compivano in collegamento con la sfera militare, in particolare lo svolgimento dei censimenti166. la riforma del 19 faceva praticamente di Augusto 163 collegamenti tra le riforme del 19 e lo statuto auspicale di Augusto vengono solamente accennati da sAlmon, principate, 472–473 e da JAcQues, scHeiD, empire, 120. Hurlet, Auspices, 172–174 che, partendo dall’assunzione che i proconsoli non erano in possesso degli auspici, pensa a una legge che regolarizzasse la posizione di Augusto nell’ambito militare. 164 cfr. supra n. 134. 165 cfr. l’eccellente studio di girArDet, entmachung che traccia una storia del progressivo svuotamento di potere del consolato. non serve però pensare (come già ribadito supra n. 126) che dal 19 ai consoli sia stato interdetto ogni utilizzo dell’imperium militiae (cfr. girArDet, Diskussion, 218–220), in quanto gli imperatori continuarono a rivestire il consolato e nello stesso tempo a gestire le loro province, senza che ci fosse una cumulazione di imperia, ma in base a un unico imperium consulare (cfr. la descrizione della situazione di Pompeo nel 55 a.c. secondo lo stesso girArDet, pompeius, 190–191). non c’è nessuna fonte che giustifichi l’ipotesi di una limitazione legale dei poteri consolari alla sola città dopo che l’intervallo quinquennale fu reintrodotto da Augusto, come proposto invece da gioVAnnini, imperium e gioVAnnini, Kymè, 95–106; cfr. supra. Questi, come girardet, pur criticando mommsen, «restent d’une certaine manière prisonniers de ce système, dans la mesure où ils continuent à chercher la date d’une réforme fondamentale privant le consulat de son imperium militiae» (ferrAry, pouvoirs, 102). il consolato rimase sempre quello che era stato in passato, ma il principe assunse un monopolio dell’utilizzo dei suoi aspetti militari, come d’altra parte aveva fatto con il trionfo e con il comando delle legioni. come non ci fu mai una legge che toglieva ai proconsoli la possibilità di trionfare, non ce ne fu nemmeno una per privare i consoli delle loro competenze extraurbane. 166 Anche se considerati a tutti gli effetti dei magistrati, i censori non avevano la lex curiata, ma ricevevano l’investitura solamente davanti ai comizi centuriati. il loro incarico aveva un accentuato carattere militare e un collegamento strettissimo con l’ordinamento centuriato, a base censitaria. Data questa connotazione militare, e quindi extrapomeriale, era perfettamente congruente con i poteri di Augusto. cfr. mAgDelAin, Recherches, 49–51; kunkel, WittmAnn, Magistratur, 401–404. 11_Dalla Rosa.indd 242 13-05-2008 9:20:30 Ductu Auspicioque 243 un terzo console, ma con una sola, importantissima, differenza: egli non era in possesso degli auspicia urbana167. Questo spiega perché Augusto non avesse mai presieduto un’elezione consolare, né avesse mai riunito i comizi centuriati o tributi, poiché tutte queste azioni dovevano essere compiute in base a una presa degli auspici all’interno del pomerio168 e questo era un privilegio che fu sempre e solo riservato ai magistrati regolari dotati di lex curiata. Augusto aveva intenzionalmente evitato di ottenere per sé un’ulteriore magistratura, e trovò il modo di farsi assegnare i principali privilegi consolari senza assumere i tratti distintivi della magistratura, cioè quelli che richiedevano di essere compiuti auspicato all’interno del pomerium. la mancanza degli auspicia urbana portava anche un’altra importante conseguenza, perché senza di essi non si poteva esercitare un imperium domi. la cosa può sembrare strana, visto che Augusto portava le insegne del potere consolare anche all’interno del pomerio e poteva sedersi sulla sella curulis in mezzo ai consoli in carica. Dal 19 Augusto poteva far valere il suo imperium consulare militiae anche a roma e in italia e questo gli garantiva poteri giurisdizionali e coercizionali anche in questi due ambiti, prima esclusi dalla sua competenza, ma atti come la convocazione dei comizi erano espressione di un puro imperium domi e quindi non rientrarono mai nelle competenze di Augusto. Per questo motivo Augusto continuò a gestire i suoi rapporti con senato e popolo a roma in base alla sua tribunicia potestas, e questo potere rimase l’unico che gli permetteva di riunire popolo e senato, prerogative riservate solamente a tribuni della plebe e magistrati dotati di auspicia urbana. la riforma del 19 diede ad Augusto la 167 Per la loro definizione cfr. supra, n. 12. sulla necessità dell’auspicazione cfr. cic. leg. 3, 3, 9; liv. 6, 41, 6; 8, 23, 15. Per quanto riguarda le elezioni consolari c’era prima di tutto una forte questione di tradizione, che imponeva che i consoli fossero eletti dai predecessori, da un dittatore o da un interrex. la tradizione imponeva però anche che, prima di attraversare il torrente petronia e recarsi nel campo marzio fuori dal pomerium, il magistrato compisse un’auspicazione, che presupponeva il possesso degli auspicia urbana. le competenze legislative dei comizi centuriati erano però già entrate in disuso alla fine del iii sec. e in pratica venivano riuniti solo in caso di elezioni. i comizi tributi, eccetto quando eleggevano i magistrati minori, si tenevano all’interno del pomerio, nel foro o nell’area capitolina, e quindi richiedevano esclusivamente gli auspicia urbana. Ad Augusto rimaneva preclusa anche qualunque azione richiedesse la presidenza dei comizi curiati (ad es. la lex curiata che ratificava le adozioni). cfr. botsforD, Assemblies, 101–118; tAylor, Assemblies, 1–8; anche la convocazione del senato da parte di un magistrato avveniva auspicato: cfr. Varrone in gell. 14, 7, 4, 8. 168 11_Dalla Rosa.indd 243 13-05-2008 9:20:30 244 Alberto DAllA rosA possibilità di utilizzare il suo imperium consulare militiae anche in ambiti riservati ai consoli e tradizionalmente esclusi da quelli di un promagistrato. Questo dava ad Augusto una posizione senza precedenti dal punto di vista auspicale, poiché, superando la vecchia barriera pomeriale, egli era in possesso di un imperium militiae basato su un auspicium con valore originariamente extrapomeriale, effettivo ora (con le debite differenze tra roma, l’italia e le province169) sia all’esterno che all’interno del pomerium. Questa uniformità auspicale è la più profonda e la più incisiva innovazione del principato e fu il passo fondamentale per il superamento definitivo dell’arcaico sistema di potere basato sull’auspicium e sulla separazione religiosa tra il mondo esterno e ostile e la città. non è questa la sede per riprendere l’intera questione della posizione di Augusto all’interno della res publica, ma mi sembra evidente che una tale indagine non possa essere compiuta ignorando il ruolo degli auspicia come fondamento dell’imperium. la questione dell’equiparazione del suo imperium a quello dei consoli, nelle varie forme che essa ha assunto nelle ipotesi avanzate dai diversi studiosi, non può essere affrontata senza riconoscere che, pur essendo l’imperium consolare unico, esso trovava la propria giustificazione in due auspicazioni distinte. Queste erano, per l’ambito domi, quella di entrata in carica e, per l’ambito militiae, quella (sul campidoglio) precedente alla partenza per la guerra. Questo punto di vista risulta fondamentale per capire il significato delle innovazioni introdotte nel 19 e definire meglio i confini dell’ejxousiva tw`n uJpavtwn che venne conferita all’imperatore. la vicenda degli auspicia rappresenta uno degli aspetti più importanti e meno considerati tra quelli relativi alle magistrature e alla gestione del potere a roma. tentare di capirne il funzionamento e il ruolo nelle fasi più arcaiche ha imposto di utilizzare modelli interpretativi che non sono del tutto compatibili con le fonti della tarda repubblica. Questo comporta il rischio di basare tutta l’inter169 il potere dell’imperatore veniva esercitato, pro consule, nella sua pienezza solamente nelle province a lui assegnate, come dimostra il fatto che Augusto porti il titolo di procos. nell’editto scoperto di recente a el bierzo (testo in costAbile, licAnDro, tessera; AlfölDy, edikt). Questo documento fu emesso nel febbraio del 15 a.c. quando l’imperatore si trovava a Narbo Martius, ma negli editti di cirene e negli altri editti riguardanti le province orientali trasmessi dalle fonti letterarie il titolo non compare, poiché furono emessi a roma. similmente eck, suffektkonsuln, 236–239 ha dimostrato, sulla base della titolatura di Adriano ricavabile dai diplomi militari, che questo imperatore fece uso del titolo di procos. nelle sue costituzioni solamente quando si trovava lontano dall’italia. 11_Dalla Rosa.indd 244 13-05-2008 9:20:30 Ductu Auspicioque 245 pretazione su un’ipotesi, nel caso specifico quella della trasmissione personale degli auspicia da magistrato a magistrato avanzata da linderski, che potrebbe rivelarsi infondata o semplificare troppo una situazione ben più complessa. Da un altro punto di vista mi sembra che la bontà di questa idea si sia dimostrata in quanto riesce a spiegare coerentemente tutti i diversi modi in cui, nel corso dei secoli, gli auspici furono passati da un possessore a un altro, sia attraverso l’elezione di fronte alle diverse assemblee, sia attraverso la delegazione, sia attraverso rituali molto particolari e arcaici come quello della dictio del dittatore o della nomina dell’interrex. È stato necessario abbandonare lo schema dell’annalistica romana per cui la repubblica funzionò allo stesso modo dalla cacciata dei re per i cinque secoli successivi e immaginare, a seconda dei vari stadi evolutivi, un contesto diverso e mano a mano più elaborato. Questo procedimento è importantissimo, poiché la pratica costituzionale romana si fondava prima di tutto sulla tradizione e sugli exempla delle generazioni passate, ma in alcune opere tardorepubblicane si assiste a una vera e propria rilettura dei casi principali costituenti il mos con un tentativo di razionalizzarli e di organizzarli in un sistema coerente, come in una carta costituzionale. il capitolo De iure triumphandi nell’opera di Valerio massimo e lo scontro tra rullo e cicerone sull’utilizzo della lex curiata riportato nel De lege agraria ne sono esempi chiarissimi e vanno intesi innanzitutto come un mezzo per capire in che modo alcuni istituti repubblicani erano percepiti al momento di redazione di quelle opere. Questa percezione poteva non essere uguale per tutti e proprio riguardo alla lex curiata sappiamo che tra gli anni 60 e 50 del i sec. a.c. circolavano ben tre opinioni: quella tradizionale e rappresentata da cicerone, per cui un magistrato aveva bisogno sia dell’elezione centuriata o tributa che di quella curiata; quella di rullo e dell’augure messalla, per cui il vero atto che conferiva la magistratura era proprio quello davanti alle curie e quindi metteva in secondo piano l’elezione centuriata o tributa; quella del console Appio claudio, per cui la legge curiata non era indispensabile, in quanto era il popolo, coi comizi centuriati, a conferire l’imperium al magistrato. ognuna delle tre interpretazioni aveva sottolineato alcuni singoli aspetti all’interno della vicenda degli auspicia e, decontestualizzandoli, ne aveva tratto dei principi di funzionamento che, però, possono portare fuori strada lo studioso moderno. il diritto augurale, se mai aveva avuto una qualche sistematicità in epoche più remote, si era poi arricchito di molte altre regole e decisioni ad hoc che spesso 11_Dalla Rosa.indd 245 13-05-2008 9:20:30 246 Alberto DAllA rosA derogavano da quella che era stata la pratica fino a quel momento, ma contemporaneamente ponevano le basi per una nuova tradizione. Questo è il caso soprattutto della principale innovazione portata dall’epoca repubblicana: la possibilità che una persona potesse avere un auspicium valido solamente per l’ambito militare. la divisione tra sfera domi e militiae era arcaica quanto l’auspicium stesso, ma distingueva i due mondi in cui i magistrati erano autorizzati a esercitare la loro autorità, che si basava sempre su una sola e unica capacità di auspicazione. il successivo sviluppo del ruolo popolare produsse alcune varianti nella concessione dell’auspicium/imperium ma, pur introducendo un forte elemento laico nei fondamenti del potere romano, non ne modificò i principi religiosi. solamente la mossa del 19 a.c. fece progressivamente diminuire l’importanza degli auspicia in quanto il superamento dei limiti territoriali per Augusto cancellava in maniera definitiva il principio costituzionale più importante della res publica. la divisione tra ambito cittadino, in cui agivano solo i magistrati, e sfera militare fu alla base della definizione di ogni forma di potere fin dall’epoca più arcaica. Pur non possedendo gli auspicia urbana, ottaviano poteva disporre di un potere praticamente uguale a quello dei consoli, a parte alcune operazioni che potevano svolgersi solamente auspicato all’interno del pomerium, ma che in quel tempo sembravano solamente di ordinaria amministrazione. in secondo luogo, con il confinamento dei consoli in città e la sottrazione di tutte le legioni ai proconsoli era ormai impossibile una qualunque concorrenza tra generali combattenti auspiciis suis. ormai ogni azione militare era condotta auspiciis imperatoris e ogni comando militare derivava da una delegazione personale dell’imperatore. non erano più gli auspicia il fondamento del proprio potere, ma la concessione monarchica. gli auspicia potevano prendere posto tra i relitti arcaici e perdere ogni valore se non meramente ritualistico. un grande principio della tradizione romana era stato sovvertito a vantaggio del nuovo regime. opere citate ADcock, Lucca = f. e. 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