Alberto DAllA rosA
Ductu Auspicioque
Per unA riflessione sui fonDAmenti religiosi
Del Potere mAgistrAtuAle fino All’ePocA AugusteA
gli auspicia e il loro significato in connessione alla magistratura
sono uno degli argomenti più oscuri della storia romana. il loro
carattere arcaico ne rendeva ardua la comprensione anche per le
nostre fonti del i sec. a.c., tuttavia il ruolo loro dato dalla tradizione
era ancora importante e vivo. essi ebbero una posizione centrale
nella lotta politica tra patrizi e plebei, nelle competizioni per gli
onori trionfali al momento dell’espansione nel mediterraneo, nella
lotta tra fazioni negli anni 60–50 a.c. e, infine, ebbero un ruolo
anche nella definizione della posizione dell’imperatore all’inizio
del principato.
nelle fonti antiche e soprattutto in opere specialistiche della
tarda repubblica, gli auspicia sono un concetto fondante per la civitas di roma1. la legge augurale era il fondamento costituzionale
del potere dei magistrati, che veniva direttamente confermato da
giove2. nel giorno dell’entrata in carica il magistrato designato
1 Vedi cic. nat. deor. 3, 5: mihique ita persuasi Romulum auspiciis, Numam
sacris constitutis fundamenta iecisse nostrae civitatis; ancora div. 2, 33, 70:
Romulum, qui urbem auspicato condidit e in Vat. 6, 14: auspicia, quibus haec
urbs condita est, quibus omnis res publica atque imperium tenetur, contempseris.
in questi passi più che in altri si sottolinea non solo l’importanza data alla religione in ogni atto della vita pubblica, ma si accenna a essa quasi come un principio
costituzionale (gioVAnnini, Remarques, 176; per un elenco più dettagliato dei
passi riguardanti il valore degli auspici di romolo vedi cAtAlAno, contributi,
575–583). riguardo all’importanza della religione per lo stato romano vedi Polyb.
6, 56, 6–15; liv. 5, 51, 5; 5, 52, 2; 44, 1, 11; Val. max. 1, 1, 9; cil i2, 2500. risale
al periodo tardo repubblicano anche il trattato sul diritto augurale di m. Valerio
messalla rufo, cos. 53 e augure per più di cinquanta anni, di cui ci è giunto un
frammento grazie alla citazione di gell. 13, 15, 4–6.
2 riguardo alla differenza tra augurium e auspicium vedi cAtAlAno, contributi, 9–168 che ne considera dettagliatamente gli aspetti etimologici e giuridici.
Per quello che riguarda la presente trattazione basti ricordare che l’auspicium era
un’interrogazione della volontà divina con lo scopo di ottenerne l’approvazione per
l’atto che si stava per iniziare. Questo atto poteva concludersi entro poche ore, ma
anche durare per mesi (come nel caso delle campagne militari), o addirittura in perpetuo (come per le fondazioni di città). l’auspicazione poteva avere anche come
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procedeva alla solenne auspicazione sul campidoglio che sanciva
il momento dell’inizio della sua magistratura3. Questa procedura
era possibile solamente se la persona che doveva essere investita
dei poteri magistratuali era in possesso dell’auspicium, cioè della
capacità di interrogare gli dei in nome dell’intera comunità. come
alcuni studiosi hanno rimarcato4, questa doveva essere la più antica
denominazione del potere a roma, in quanto strettamente connessa
con la sfera religiosa e non adatta a esprimere né una stratificazione
né una specializzazione settoriale delle magistrature. nelle nostre
fonti gli auspici dei magistrati sono associati all’oscura lex curiata5.
l’autorità di mommsen ha fatto considerare a lungo questa legge
come una mera conferma sacrale dell’imperium già posseduto dai
magistrati in base all’elezione da parte dei comizi6. contro questa
visione largamente dominante, magdelain sostenne che la lex curiaoggetto una persona anziché un’azione, come nel caso della scelta del praetor della
lega dell’aqua Ferentina in fest. 241. riguardo a efficacia e oggetto delle auspicazioni cfr. cAtAlAno, contributi, 42–48 e mommsen, staatsrecht, i, 96–97. sullo
ius augurale va aggiunto il fondamentale studio di linDerski, Law; cfr. anche WissoWA, Augures; WissoWA, Religion, 454–460; neumAnn, Augur. molto importante
riguardo alle auspicazioni di elezione, entrata in carica e partenza lo studio, meritevole di maggiore considerazione, di mAgDelAin, Recherches, 36–42. la grande
importanza della legge augurale per tutto il periodo repubblicano è stata sottolineata
da gioVAnnini, Livres e sarà rimarcata anche nel presente studio. sulla protezione
di giove sulle assemblee convocate auspicato cfr. botsforD, Assemblies, 100–118.
3 Vedi mAgDelAin, Recherches, 5–12 per cui la conferma da parte di giove
sarebbe l’unico fondamento giuridico alla base dei poteri dei re e dei magistrati
repubblicani (cfr. anche brennAn, praetorship, 19 e infra). Questa teoria va contro
l’ipotesi per cui ogni magistratura sarebbe stata creata e trarrebbe la sua legittimità
da una legge costitutiva, richiamata poi nelle successive rogationes elettorali (cfr.
le rispettive leggi in rotonDi, Leges). Di leggi costitutive, però, per i consoli,
pretori ed edili non si trova traccia nelle fonti antiche; per i questori una legge
rogata dal primo console P. Valerio Poplicola è menzionata da Plut. publ. 12, 2,
ma quest’informazione (assai dubbia già di per sé) è contraddetta da tac. ann. 11,
22 che riferisce come i questori fossero in passato semplicemente nominati dai
consoli, di cui erano collaboratori subordinati. inaffidabili sono anche le tradizioni
su leggi costituenti per il dittatore (liv. 2, 18) e per i decemviri legibus scribundis
(liv. 3, 31, 7–8). Per una critica alla teoria delle leggi costituenti vedi anche siber,
Verfassungsrecht, 56.
4 in particolare bleicken, Amtsgewalt, 276–278.
5 non è questa la sede per una critica delle diverse teorie sulla legge curiata e
sulla nascita delle magistrature repubblicane. Per un resoconto delle varie posizioni
cfr. bleicken, Amtsgewalt, 15 n. 37.
6 l’origine di questo atto puramente confermativo sarebbe nel giuramento di
obbedienza dei cittadini verso il re. cfr. mommsen, staatsrecht, i, 609–610; coli,
scritti, i, 363; 480–82.
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ta fosse il vero e proprio atto con cui gli auspici venivano concessi
al futuro magistrato. secondo questo punto di vista, i comizi curiati
sarebbero stati un’assemblea esclusivamente patrizia e per questo
fonte degli auspicia publica populi Romani. A conferma di questo stava l’interregnum, momento in cui, per la venuta meno dei
sommi magistrati, gli auspici tornavano ai loro legittimi proprietari:
i patres7. Da loro sarebbe potuta nascere la catena di interrè che
avrebbe portato all’elezione di nuovi consoli.
in una serie di importanti articoli sulla legge augurale apparsi
nei decenni successivi, linderski fece notare che un possesso esclusivo degli auspici da parte dei patrizi non era proponibile. se così
fosse stato, il normale funzionamento della res publica si sarebbe
configurato, con la sua annuale successione di magistrati, come una
grande anomalia dal punto di vista augurale8. Al contrario, i legittimi proprietari degli auspici erano i magistrati, come i re lo erano
stati in precedenza. l’auspicium non era conferito dall’assemblea
curiata, bensì dal magistrato che presiedeva l’elezione del suo successore e che mediante la formale renuntiatio dell’eletto conferiva
anche l’auspicium9. i comizi (anche quelli curiati) non facevano
altro che conferire un’approvazione laica, mentre l’attribuzione
7 mAgDelAin, Auspicia. la teoria si basa sulla frase auspicia ad patres
redeunt, dove il verbo redire significherebbe un ritorno ai legittimi proprietari, che
procederebbero quindi alla renovatio auspiciorum (liv. 5, 31, 7; 52, 9; 6, 5, 6);
essa era già sostenuta da mommsen, staatsrecht, 647–661. Della stessa opinione
Heuss, Regierungsgewalt, 44–47; mAzzArino, Monarchia, 218; coli, scritti, i,
414–416; gioVAnnini, imperium, 53 e gioVAnnini, Magistratur, 406–436. il sostegno a questo punto di vista deriverebbe proprio dalle fonti antiche, che rispecchiavano un autentico tentativo patrizio di rivendicazione esclusiva degli auspici (cic.
leg. 3, 9: auspicia patrum sunto); per una confutazione cfr. linDerski, Auspices,
38–40.
8 linderski in eDer, staatlichkeit, 476–477.
9 linDerski, Law, 2169 in cui lo studioso rimanda a una trattazione più distesa
che però non è mai apparsa. la soluzione sembra la più probabile in quanto è più
in linea con la nomina del secondo interrè da parte del primo, con la dictio del
dittatore e, come vedremo in seguito, anche con la capacità per un console di delegare un imperium a livello pretorio. tutte queste azioni avvenivano senza bisogno
dell’intervento del popolo, se non con un atto meramente confermativo nel caso del
dittatore (la cosiddetta lex curiata de imperio) e quindi è probabile che la repubblica arcaica non desse che un ruolo di spettatore ai comizi curiati. essendo questi
ultimi la più antica, e all’inizio unica, assemblea della res publica, si dovette inevitabilmente legare con la concessione della più arcaica denominazione del potere
(auspicium) e quindi rimase in seguito tradizionalmente associata ad esso (cfr. cic.
leg. agr. 2, 27), anche quando si svilupparono nuove denominazioni, come potestas
e imperium.
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della capacità di interrogare gli dei avveniva con un atto personale.
Dopo questa designazione, il futuro magistrato provvedeva ai riti di
entrata in carica e inaugurava la sua magistratura10.
in definitiva era il dio a creare il magistrato, non il popolo: la
sfera politica e quella religiosa della città erano profondamente
intrecciate e indissolubili. ogni atto di rilevanza pubblica compiuto dai consoli si apriva innanzitutto con la presa degli auspici per
garantire a se stessi e allo stato l’approvazione della divinità riguardo a quello che avrebbero fatto come rappresentanti della res publica (per questo si parla di auspicia publica11). Dalla loro investitura
ricevevano autorità prima di tutto sul territorio cittadino compreso
all’interno del pomerium. le auspicazioni compiute entro questo
confine religioso sono appunto definite auspicia urbana12 e com10 con questa cerimonia il magistrato chiedeva a giove se gli fosse permesso
(si fas est… liv. 1, 18, 10) essere magistrato del popolo romano. Quest’auspicazione avveniva il giorno dell’entrata in carica e garantiva l’approvazione divina
per tutta la durata della magistratura. A proposito vedi: Dion. Hal. 2, 5, 1–2 con
accenno alla formulazione che romolo avrebbe usato (eu[ceto Diiv te basi
lei' kai; toi'~ a[lloi~ qeoi', ou}~ ejpoihvsato th'~ ajpoikiva~ hJgemovna~, ei;
boulomevnoi~ aujtoi'~ ejsti basileuvesqai th;n povlin uJf ejautou', shmei'a
oujravnia fanh'sqai kalav); 2, 6, 2–3 in cui si afferma che la pratica romulea fu
continuata anche dai magistrati repubblicani; fest. 276, citando l. cincio poligrafo
a proposito della nomina del praetor della lega latina, conferma che solo dopo l’auspicazione il magistrato era salutato come tale (ubi aves addixissent, militem illum,
qui a communi Latio missus esset, illum quem avem addixerant, praetorem salutare
solitum, qui eam provinciam optineret praetoris nomine); suet. Aug. 95; App. bell.
civ. 3, 94; cass. Dio 46, 46, 2; 58, 5, 6–7; Val. max. 4, 4, 1: consulatus initium
Valerius poplicola cum iunio Bruto auspicatus est; 8, 15, 8; fest. 289: renovativum
fulgur vocatur, cum ex aliquo fulgure functio fieri coepit; Ps.-Ascon. 247 stangl:
auspicari dicuntur ineuntes magistratus; cil Viii 774 relativa a un’ara, i cui lati
riportano scolpiti dei fulmini. mommsen, staatsrecht, i, 81 n. 82; mAgDelAin,
Recherches, 36–40; gioVAnnini, imperium, 51–53. Da questo tipo di auspicazione
si è poi sviluppato l’uso di auspicare col senso di ‘iniziare’, ampiamente attestato
nel latino imperiale e tardo-antico (thll ii, 1550–51).
11 in teoria non solo i magistrati potevano auspicare; secondo cAtAlAno,
contributi, 196–210 ne avevano facoltà anche i sacerdoti, i patres familias, i filii
familias, i plebei, gli stranieri e i servi. con il nome di auspicia publica (per cui
cfr. liv. 4, 2, 5) gli studiosi moderni riassumono quelli che nelle fonti vengono definiti auspicia magistratuum, auspicia populi e gli auspicia dei sacerdoti.
Per una discussione più accurata cfr. cAtAlAno, contributi, 450–451; 463–68;
mAgDelAin, Auspicia, 454 e linDerski, Auspices, 35–37. le auspicazioni private,
ancora menzionate da catone il censore, erano ormai in disuso alla fine del ii sec.
a.c. (lAtte, Religionsgeschichte, 264).
12 una chiara definizione di pomerium come limite degli auspicia urbana, e
quindi delle sfere di potere domi e militiae, è data da gell. 13, 14, 1 (pomerium est
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prendono innanzitutto quelle necessarie per la riunione del popolo
e del senato, come per tutte le altre azioni che potevano avvenire
esclusivamente all’interno del pomerio.
in quest’ultima categoria rientravano anche i noti auspici di
partenza13, che venivano solennemente presi in campidoglio prima
dell’uscita dei consoli dal pomerium, in testa alla legio, per compiere
una campagna militare. grazie a quest’atto i magistrati estendevano
oltre il pomerium la loro capacità di prendere gli auspici ed erano
investiti dell’imperium militiae. non si trattava di una semplice
cerimonia religiosa, ma di una richiesta di una nuova investitura che
avrebbe dato al magistrato la possibilità di esercitare la sua autorità
anche in campo militare14. con questo rito ricevevano dal dio la
garanzia di una protezione su tutta la stagione di guerra, finché non
fossero rientrati all’interno della città, cioè avessero di nuovo oltrepassato il pomerium15. solamente i magistrati potevano prendere gli
auspici di partenza e quindi solo loro erano i veri titolari dell’esito
delle operazioni, poiché era a loro che gli dei avevano manifestato
locus intra agrum effatum per totius urbis circuitum pone muros regionibus certeis
determinatus, qui facit finem urbani auspicii) e Varr. ling. lat. 5, 143 (postmoerium dictum †eiusque† auspicia urbana finiuntur). nel presente articolo il termine
auspicia urbana sarà inteso non come la generica capacità di auspicare all’interno
del pomerium, ma in connessione con quelle azioni che, avendo un carattere strettamente urbano, potevano essere compiute solamente (almeno in origine) all’interno
del pomerium.
13 A proposito vedi mommsen, staatsrecht, i, 63–64 la cui ricostruzione è
sempre valida; alcune puntualizzazioni in mAgDelAin, Recherches, 40; bleicken,
Amtsgewalt, 268–269.
14 nel 177 a.c. il console c. claudio Pulcro partì per una campagna militare
senza compiere i riti consueti sul campidoglio, convinto che l’imperium conferito dal popolo fosse sufficiente per la conduzione della guerra, ma fu costretto a
ritornare a roma per prendere gli auspici, visto che le sue truppe si rifiutavano di
seguirlo e gli rinfacciavano di non avere alcun potere (liv. 41, 10). similmente il
senato si rifiutò, nel 217, di considerare il console flaminio più di un semplice privato, non dotato di imperium né di auspici poiché aveva omesso di celebrare l’investitura sacra del suo potere militare sul campidoglio prima della partenza (liv.
22, 1, 5–7: ibi cum de re publica rettulisset, redintegrata in c. Flaminium inuidia
est: duos se consules creasse, unum habere; quod enim illi iustum imperium, quod
auspicium esse? Magistratus id a domo, publicis priuatisque penatibus, Latinis
feriis actis, sacrificio in monte perfecto, uotis rite in capitolio nuncupatis, secum
ferre; nec priuatum auspicia sequi nec sine auspiciis profectum in externo ea solo
noua atque integra concipere posse).
15 Questo doppio aspetto del potere militare è riassunto nella formula imperium
auspiciumque che definisce il potere del generale romano combattente suis auspiciis. Vedi cil i2 626; liv. 22, 30, 4; 28, 27, 4; 29, 27, 2; 40, 52, 5; 41, 28, 8; Plaut.
Amph. 196.
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la loro approvazione. ogni vittoria conseguita da un loro legato o
da un eventuale subordinato con imperium minore16 veniva ascritta ai magistrati titolari della spedizione, poiché la guerra veniva
combattuta sotto i loro auspici, cioè sotto la protezione divina che
questi avevano ottenuto con la presa degli auspici di partenza. se la
vittoria conseguita era di una notevole importanza, allora il senato
poteva tributare un trionfo al magistrato sotto i cui auspici si era
combattuto. ovviamente non potevano essere decretati trionfi ai
legati ed eventualmente agli altri magistrati che avevano combattuto
alle dipendenze del generale vittorioso, perché essi non combattevano sotto i propri auspici (auspiciis suis) bensì sotto quelli di un altro
(auspiciis alienis)17.
Questa situazione rispecchiava la pratica di una piccola cittàstato i cui nemici non erano troppo lontani e non richiedevano una
permanenza pluriennale dell’esercito fuori dalla città. l’uscita dei
consoli dal pomerium era un fatto straordinario e quindi ritualizzato e si presupponeva che essi dovessero rientrare entro la fine
dell’anno e, casomai, lasciare ai successori il compito di riprendere
le ostilità. la continua espansione dei domini romani portò però a
disattendere questo schema e a modificarlo in più modi con il risultato che, a secoli di distanza dalla formazione del diritto augurale,
queste regole in parte non furono più rispettate oppure furono intese
in maniera non congrua con il loro significato originario. la cosa si
riflette nella nostra documentazione che è formata da opere teoriche,
che riprendono spesso la vera natura della tradizione auspicale, e da
altre fonti che ci informano su come, nel corso della storia romana, attraverso proroghe, intercessioni alla lex curiata, magistrature
straordinarie, il ricorso ai privati cum imperio, l’attribuzione di
imperia straordinari e molti altri tipi di violazioni, si siano sistematicamente disattese, anche se con livelli di consapevolezza diversi
a seconda delle epoche, le regole che stabilivano chiaramente cosa
fosse uno iustus magistratus e uno iustum imperium.
16 Ad esempio quello dei consoli rispetto a quello del dittatore o quello dei
pretori rispetto a quello dei consoli; il principio era valido per campagne militari
condotte in comune dai due titolari di imperium. cfr. Val. max. 2, 8, 2.
17 ciò non esclude che i legati o i magistrati subordinati potessero prendere
auspici, poiché essi potevano sempre esercitare la loro personale capacità di auspicazione. Per una discussione sui requisiti tradizionali del trionfo cfr. mommsen,
staatsrecht, 126–134; lAQueur, triumph; Versnel, triumphus, 164–195; DeVelin, tradition; sul capitolo de iure triumphandi di Val. max. 2, 8 cfr. engels,
exempla e itgensHorst, pompa, 180–188.
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gli studiosi moderni si sono avvicinati alle questioni augurali sia
dal punto di vista della ricostruzione della pratica religiosa, sia da
quello istituzionale, cioè considerando quegli aspetti, quali la lex
curiata o gli auspici di partenza, che venivano visti dagli antichi
come fondanti della loro organizzazione statale, in qualche modo
‘costituzionali’18. seguendo questo secondo punto di vista, gli studi
del magdelain e le successive precisazioni di linderski ci hanno
portato ad un quadro già abbastanza chiaro delle tradizioni auspicali
che regolavano il diritto pubblico romano. tale modello formale19,
che ho tentato di riportare brevemente nelle pagine precedenti, deve
però essere giustapposto a una chiara ricostruzione dell’evoluzione
del diritto pubblico a cui si applicava la tradizione augurale. Proprio
in questo campo, la ricerca più recente ha cominciato a riconsiderare le fonti in nostro possesso, ormai arricchitesi di nuovi e importantissimi documenti, e a superare alcuni punti di vista errati che
venivano ancora accettati quasi per tradizione20.
1. la pratica della prorogatio
come si sa, la concessione della prorogatio fu sempre determinata da concrete esigenze di natura militare o dalla scarsezza del
numero dei magistrati rispetto a quello delle province21. il ricorso
18
gioVAnnini, Remarques, 176.
come ogni modello, anche quello qui proposto semplifica la realtà in modo
da ricondurla a schemi più generici che però ci consentono di interpretare anche gli
aspetti di cui siamo meno informati. se esso sembra funzionare bene per gli eventi
qui analizzati, potrebbe avere bisogno di alcuni correttivi per essere applicato ad
altre situazioni. esso comunque vuole ricostruire il sistema che doveva essere in
opera nei primi decenni della repubblica, in un momento in cui la competenza
elettorale dei comizi centuriati non si era ancora affermata (a proposito Heuss,
entwicklung, 77; mAgDelAin, Recherches, 34 e soprattutto bleicken, Lex publica,
72–99). la scarsezza delle fonti e la loro contraddittorietà, nonché la nostra quasi
totale ignoranza di ciò che di simile doveva esserci nelle altre città italiche, sono
un ostacolo forse insormontabile per il definitivo scioglimento della questione e
obbligano lo storico a un inevitabile utilizzo di un sistema principio-corollari senza
il quale non si potrebbero ottenere risultati.
20 mi riferisco soprattutto alla smentita della presunta lex cornelia che avrebbe
separato l’esercizio dell’imperium domi, riservato ai magistrati ordinari, da quello
militiae, esercitato durante la promagistratura (gioVAnnini, imperium, 73–103).
Questo fatto, come si vedrà in seguito, è essenziale per la considerazione dello statuto auspicale dei governatori provinciali nella tarda repubblica e in età imperiale.
21 A proposito mommsen, staatsrecht, ii, 646–647; JAsHemski, origins, 1–16;
DeVelin, prorogation; kloft, prorogation; lintott, constitution, 113–114.
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a questa pratica divenne quindi sempre più massiccio mano a mano
che l’ingrandimento dell’impero portava i teatri di guerra sempre
più lontano da roma, imponendo la necessità di mantenere una
certa continuità nel comando delle operazioni22. non era stato infatti sufficiente anticipare dal 15 marzo al 1° gennaio l’inizio dell’anno
consolare, né procedere, con gaio gracco, alla designazione delle
province ancora prima dell’elezione dei consoli, in modo che essi
potessero provvedere ai preparativi necessari per il reclutamento e
l’addestramento delle truppe con un largo anticipo23. la mancanza
di una riforma strutturale del sistema di governo provinciale rese
inevitabile il ricorso sistematico alla pratica della prorogatio, ma
l’utilizzo continuo di questa misura straordinaria lasciava aperti
molti problemi, soprattutto nel rapporto tra i magistrati ordinari e
quelli prorogati e sulla dignità auspicale di questi ultimi.
non sembra che il primo caso di prorogatio abbia sollevato dei
dubbi dal punto di vista del diritto augurale. secondo la tradizione
seguita da livio24, nel 327 a.c., nell’ambito delle ostilità contro
napoli, il console plebeo Q. Publilio filone era impegnato nell’assedio della città di Palepoli25 e, visto che il momento della caduta
22 si deve forse a situazioni di forte impegno militare l’introduzione dei
tribuni militum consulari potestate, ma il problema è più complesso di quanto
ci facciano intravedere le fonti antiche e va inserito nell’ampio e poco chiaro
contesto di formazione delle supreme cariche dello stato nella lunga fase di lotte
sociali tra patriziato e plebe. A proposito vedi mommsen, staatsrecht, ii, 180–192;
riDley, tribunate; cornell, Beginnings, 334–337; lA rosA, tribuni; ricHArD,
Réflexions; soHlberg, Militärtribunen.
23 Questa interpretazione difesa da scHulz, Herrschaft, 42–45 non esclude, a
mio avviso, anche quella tradizionale dell’impedimento di assegnazioni di province ad personam (cfr. Willems, sénat, 563; mArQuArDt, staatsverwaltung, i, 522;
steVenson, Administration, 61).
24 liv. 8, 23, 11–12: itaque cum et comitiorum dies instaret et publilium
imminentem hostium muris auocari ab spe capiendae in dies urbis haud e re
publica esset, actum cum tribunis est ad populum ferrent ut, cum q. publilius philo
consulatu abisset, pro consule rem gereret quoad debellatum cum Graecis esset.
conosciamo da Dionigi di Alicarnasso altri casi di proroga precedenti a quello
di filone (k. fabius, cos. 479 procos. 478, sp. furius cos. 481 procos. 478 e t.
Quinctius cos. 465 procos. 464 per cui vedi Dion. Hal. 9, 16, 3; 16, 4; 17, 5; 63,
2), ma abbiamo ragione di dubitarne, visto che livio e i fasti trionfali (inscrit Xiii,
1 p. 73) concordano nel fatto che filone fu primus proconsul. contra belocH,
Geschichte, 416 che ritiene improbabile l’uso della proroga in questo periodo. Per
ulteriori discussioni sull’episodio cfr. HölkeskAmP, Nobilität, 136–140; loreto,
consenso, 35–77 (in generale anche loreto, Filone); oAkley, Livy, 658–661.
25 sui problemi di identificazione della città di palaepolis e della sua possibile
confusione con napoli nelle nostre fonti cfr. oAkley, Livy, 640–645 e HoffmAnn,
Rom, 21–35.
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della città sembrava essere imminente, ottenne attraverso i tribuni
che il popolo gli permettesse di condurre pro consule le operazioni,
finché non fosse stata vinta la guerra con i greci. il fatto che una
tale decisione fosse presa allora per la prima volta ci dimostra che
l’assedio di Palepoli doveva essere considerato decisivo per le sorti
di roma, tanto che lo stesso filone ottenne il trionfo al suo ritorno
in patria. Questa eccezionalità colpì lo stesso livio che a proposito
commenta duo singularia haec ei viro primum contigere, prorogatio imperii non ante in ullo facta et acto honore triumphus26.
nessuna contestazione della validità di questo trionfo è segnalata dal nostro autore, che, però, riporta dettagliatamente la disputa
sulla conformità o meno al diritto augurale della dictio del dittatore
m. claudio marcello che avrebbe dovuto presiedere alle elezioni
consolari, visto che anche al console collega di filone era stato permesso di rimanere fuori roma alla testa del suo esercito stazionato
nel sannio. in seguito a un dubbio sulla validità di questa nomina,
il consiglio degli auguri aveva confermato, evidentemente sulla
sola base del rapporto consolare, l’esistenza di un vitium. l’anno
cominciò così con un interregno agitato dalle proteste dei tribuni
della plebe che accusavano gli auguri di non avere dati sufficienti
per dire se la procedura era stata viziata e di aver voluto invalidare
la dictio solamente perché il dittatore scelto era un plebeo27.
niente di strano però fu trovato nel fatto che qualcuno potesse
trionfare a causa di una vittoria riportata quando non era più console (acto honore), ma semplicemente provvisto dei poteri consolari.
26
liv. 8, 26, 6.
liv. 8, 23, 12–13: L. cornelio, quia ne eum quidem in samnium iam ingressum reuocari ab impetu belli placebat, litterae missae ut dictatorem comitiorum
causa diceret. dixit M. claudium Marcellum; ab eo magister equitum dictus sp.
postumius. nec tamen ab dictatore comitia sunt habita, quia uitione creatus esset
in disquisitionem uenit. consulti augures uitiosum uideri dictatorem pronuntiauerunt. eam rem tribuni suspectam infamemque criminando fecerunt: nam neque
facile fuisse id uitium nosci, cum consul oriens de nocte silentio diceret dictatorem, neque ab consule cuiquam publice priuatimue de ea re scriptum esse nec
quemquam mortalium exstare qui se uidisse aut audisse quid dicat quod auspicium
dirimeret, neque augures diuinare Romae sedentes potuisse quid in castris consuli
uitii obuenisset; cui non apparere, quod plebeius dictator sit, id uitium auguribus
uisum? haec aliaque ab tribunis nequiquam iactata; tamen ad interregnum res
redit. oAkley, Livy, 662 sottolinea giustamente che l’inclusione nella narrazione
anche delle proteste dei tribuni della plebe deve essere stata opera di livio stesso
e non delle sue fonti. Questo non toglie però che verosimilmente l’origine plebea
del dittatore scelto, come anche la sua elezione in castris, fecero sorgere una certa
diffidenza nel patriziato romano.
27
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Questo doveva sicuramente dipendere dalla natura degli auspici
bellici che, come abbiamo visto, potevano solamente essere presi da
un magistrato e valevano per tutta la durata della campagna militare.
la stessa espressione usata nella concessione della prorogatio da
parte del senato e del popolo (quoad debellatum cum Graecis esset)
potrebbe, nella sua genericità, richiamare la formula utilizzata dal
console nell’auspicazione sul campidoglio prima dell’uscita dal
pomerio. non abbiamo notizia di alcuna richiesta di un responso
da parte del collegio degli auguri e probabilmente esso non ci fu,
visto che la validità degli auspici di guerra sembrava incontestabile
e non sussisteva alcun motivo politico, a quanto pare, per contestare
il trionfo a filone. Al contrario un vizio di forma, pur non esattamente verificabile, portò all’esclusione di m. claudio marcello
dalla dittatura, probabilmente in conseguenza di forti opposizioni
dell’aristocrazia più conservatrice. Per il caso di filone furono gli
stessi tribuni a sottoporre alla ratifica popolare la questione della
sua prorogatio28. la prospettiva di un’interruzione dell’assedio e di
un rinnovo della campagna militare per l’anno successivo avrebbe
comportato un altro lungo periodo lontano dalla propria famiglia
e dai propri campi per buona parte della popolazione maschile di
roma. la particolare influenza di filone nella politica della seconda
metà del iV secolo è testimoniata dal suo cursus honorum che non
ebbe eguali tra i senatori di origine plebea prima di gaio mario. le
prime notizie che abbiamo di lui ci informano che fu console nel
339 e che nello stesso anno divenne dittatore, nominato dal suo collega; a questo consolato risale la promulgazione della lex publilia
philonis sull’accesso dei plebei alla censura, carica che egli stesso
rivestì nel 332. Primo pretore plebeo nel 337 e magister equitum
nel 335, filone rivestì altre tre volte il consolato nel 327, nel 320
e nel 315, finché non fu coinvolto nel processo contro il dittatore
c. menio e, pur assolto, uscì dalla scena politica. egli quindi era
il principale esponente della nuova nobilitas patrizio-plebea e non
dovette quindi avere difficoltà nel raccogliere attorno a sé il consenso dei plebei seduti in senato.
D’altro canto anche il patriziato si era in buona parte fatto promotore di una politica di espansione verso la campania che aveva
già compiuto tappe importanti nei decenni precedenti, basti pensare
solamente alla concessione della cittadinanza romana sine suffra28 riguardo alla procedura di concessione della prorogatio e al significato del
ruolo di senato e popolo vedi infra.
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gio a capua e cuma nel 334 e ad Acerra nel 332, tra l’altro decisa
attraverso una lex papiria e probabilmente caldeggiata dallo stesso
filone, censore nello stesso anno. la successiva guerra contro
napoli del 327–26 e il relativo foedus aequum che ne derivò sono
la diretta conseguenza di questa tendenza. come ha giustamente
notato lo Harris, «during the fourth century a traditional aristocracy
strongly oriented towards war was compelled to share power with a
group of well-to-do upstars, and the intensified political competition
which ensued encouraged regular warfare still further»29. Per questa
nuova nobilitas la vittoria riportata da filone apriva la prospettiva per un allargamento ancora maggiore della sfera di influenza
romana alla campania e alla zona meridionale della penisola a
scapito soprattutto dei sanniti30. i patrizi tendevano comunque a
conservare per sé il monopolio della vittoria e solo dal 306 il senato
cominciò a votare regolarmente trionfi anche a generali plebei, ma
la comunanza di intenti tra filone e i patrizi riguardo alla strategia
da seguire in campania e la sua rispettabilità come uomo politico
dovettero scansare ogni dubbio31. È chiaro quindi che gli evidenti
vantaggi economici derivanti dalla buona riuscita dell’assedio, la
sostanziale unanimità in politica estera della classe dirigente romana patrizio-plebea e l’appoggio dei tribuni della plebe garantirono
a Publilio filone le condizioni politiche necessarie per far accettare
il suo trionfo senza discussioni, anche se si trattava di qualcosa di
inaudito e di non conforme alla tradizione32. in definitiva, sia che
l’irregolarità non esistesse, sia che, pur esistendo, sia stata ignorata
per convenienza, il caso di filone costituì un precedente per la legalità delle operazioni militari condotte dai magistrati prorogati che
avessero preso i loro auspici di partenza prima del decorso della loro
carica urbana. infatti è fuori questione che solamente gli auspici
bellici, in quanto non delimitati da termini cronologici precisi, ma
solamente dalla conclusione della campagna militare e dal ritorno
29
HArris, Warfare, 509.
Per un’ulteriore discussione sulle possibili motivazioni economiche della
guerra contro napoli cfr. cAssolA, Gruppi, 123–124 che pone l’accento sulla
successiva monetazione romano-campana e sull’attività mercantile romana che
avrebbe ricevuto i principali benefici dalla guerra; contra HArris, Rome, 103–104
e HArris, imperialism, 58–63 preferisce sottolineare i vantaggi dell’espansione
territoriale nelle sue varie forme (tassazione, fornitura di contingenti militari da
parte degli alleati, acquisizione di ager publicus).
31 HArris, Warfare, 505.
32 kloft, prorogation, 21.
30
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a roma, potevano estendere la loro validità anche oltre la scadenza
del mandato magistratuale. la cosa non accadeva per gli auspici
urbani, che scadevano automaticamente alla fine dell’anno privando
il magistrato prorogato della capacità di compiere qualunque atto
che richiedesse un’auspicazione pubblica all’interno dei confini
cittadini, come la convocazione dei comizi o del senato33.
Questa situazione, finché fu mantenuta in questi termini di prolungamento eccezionale, non provocò particolari conflitti, ma quando l’uso della proroga divenne sistematico e venne a coinvolgere
l’intero anno successivo a quello della magistratura, cominciarono
a sorgere gravi dubbi di legittimità. Al momento della costituzione
delle due nuove province iberiche nel 196 furono creati due nuovi
pretori per mantenere il loro numero pari a quello dei territori d’oltremare34, ma già nel 192 l’affidamento ai pretori della flotta, della
macedonia e dei Bruttii rese necessaria una proroga annuale dei
governatori delle due Hispaniae35. negli anni successivi lo stesso
provvedimento fu ripreso più volte, sempre a causa dei molteplici
impegni militari che roma doveva affrontare36.
Queste circostanze portarono anche a delle rimostranze da parte
dei consoli del 187 m. emilio lepido e c. flaminio che si opposero
alla decisione del senato di spedirli in liguria e contestarono il fatto
33
non era nemmeno possibile ai magistrati prorogati convocare il senato al di
fuori del pomerium, nonostante il loro imperium non avesse alcuna differenza con
quello consolare in questo ambito. la cosa, come giustamente visto da gioVAnnini,
imperium, 43, è collegata alla mancanza degli auspici urbani, posseduti solo dai
magistrati e necessari per la convocazione del senato e dei comizi centuriati. A
proposito cfr. mommsen, staatsrecht, i, 210 n. 212 e iii, 947 n. 211 che cita una
serie di esempi in cui il senato è convocato fuori dal pomerium a beneficio di un
promagistrato, ma con un ordine di un magistrato.
34 liv. 32, 27, 6: sex praetores illo anno primum creati crescentibus iam
prouinciis et latius patescente imperio. cfr. rotonDi, Leges, 266; mommsen,
staatsrecht, 198–199.
35 in quel momento roma si trovava ad affrontare minacce armate su più fronti
e questo rese necessaria anche la proroga dell’imperium del console dell’anno
precedente Q. minucio, stazionato in liguria con il suo esercito. rimaneva un
fatto comunque eccezionale una proroga di un pretore incaricato di governare una
provincia inerme, in quanto in precedenza solo la conduzione di campagne militari
aveva giustificato l’uso di una tale pratica. A proposito cfr. liv. 35, 20; gioVAnnini, imperium, 40; per una trattazione più generale sull’uso della proroga nel periodo successivo alla guerra annibalica cfr. kloft, prorogation, 35–46. l’utilizzo
della proroga veniva anche incontro alla scarsa disponibilità del senato all’aumento
del numero dei pretori, testimoniata dalla vicenda della lex Baebia del 181 a.c.
(cfr. liv. 40, 44, 2; orf3 54; rotonDi, Leges, 271; kloft, prorogation).
36 liv. 37, 2, 1; 38, 42, 1.
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che già da un biennio, invece, i precedenti consoli m. fulvio e c.
manlio continuavano a condurre le guerre contro i macedoni e i
seleucidi, pur essendo dei semplici privati37. Questa testimonianza
ci informa dell’esistenza di una linea interpretativa rigorista per cui i
magistrati prorogati, non avendo la possibilità di auspicare all’interno
del pomerio (auspicium urbanum), non potevano essere considerati
magistrati, ma solo privati. gli auspici dei prorogati erano una stranezza e quindi non potevano essere considerati validi. i promotori di
questa linea, se tolleravano la temporanea azione pro consule di ex
magistrati per la semplice conclusione di una campagna, non ammettevano che nella regolare conduzione della guerra si eliminasse quel
principio di annualità che i padri della res publica avevano costituito
contro la possibilità di una nuova tirannide38. un’interpretazione
legittima di un aspetto non perfettamente coerente del diritto augurale aveva permesso la concessione della prima prorogatio e aveva
veicolato l’idea di una prima disgiunzione tra il potere militare
extrapomeriale e quello urbano39. restava non affrontato il problema di come comportarsi nel caso in cui un console e un proconsole
si fossero trovati a operare sul medesimo campo. l’occasione si
presentò al momendo delle guerre contro i cimbri e i teutoni.
la sconfitta di Arausio nel 105 fu causata soprattutto dal conflitto di poteri derivato dal rifiuto del proconsole Q. servilio cepione
37 liv. 38, 42, 8-10: itaque consulibus nouis, quo die de prouinciis et de re
publica rettulerunt, senatus utrisque Ligures prouinciam decreuit. Huic senatus consulto Lepidus consul intercedebat, indignum esse praedicans consules ambos in ualles Ligurum includi, M. Fuluium et cn. Manlium biennium iam, alterum in europa,
alterum in Asia, uelut pro philippo atque Antiocho substitutos regnare. si exercitus
in his terris esse placeat, consules iis potius quam priuatos praeesse oportere.
38 in senso conservatore infatti vanno la già citata lex Baebia del 181 e la lex
Villia annalis del 180 che si affiancava alla lex Genucia del 342 (spesso disattesa)
sull’intervallo decennale per la rielezione alla stessa magistratura. cfr. liv. 40, 44,
1; rotonDi, Leges, 226; 277–78; mommsen, staatsrecht, i, 505; roegler, Lex
Villia; eVAns, kleiJWegt, Lex Villia; più in generale Astin, Lex annalis.
39 certamente la differenza tra la scadenza degli auspici urbani e di quelli militari conteneva già in sé il germe della prorogatio imperii, ma non si può comunque
dire che essa fosse prevista dalla legge augurale. bisogna ricordare che secondo
il calendario romano anche la guerra era ritualizzata e aveva le sue cerimonie di
inizio nel mese di marzo con l’esposizione degli scudi di marte da parte dei salii
(1 marzo), gli equirria (14 marzo) le quinquatrus (17 marzo) e il tubilustrium;
quelle conclusive erano in ottobre e comprendevano l’october equus (15 ottobre) e
l’Armilustrium (19 ottobre), purificazione delle armi e fine delle campagne militari.
inserita in questo complesso ritualistico, anche la guerra assumeva un ciclo annuale
e quindi escludeva da sé la possibilità di prorogatio.
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di sottomettersi all’autorità del console c. manlio massimo, che
aveva ricevuto la provincia con un regolare mandato del senato40.
evidentemente il fatto che uno dei due fosse un magistrato in carica
non aveva nessuna importanza, visto che il loro imperium, considerato nei limiti della provincia in questione, non aveva alcuna differenza. servilio cepione stava combattendo sotto i propri auspici
e probabilmente non voleva accettare che le vittorie che avrebbe
potuto riportare si andassero ora a legare al nuovo comandante41. il
comportamento del proconsole fu gravemente controproducente e
contrario alla tradizionale collaborazione tra i magistrati e il senato,
ma non si può dire che sia stato incostituzionale. non vi era una
regolamentazione generale dei rapporti tra i consoli e i promagistrati alla guida delle province42. la collaborazione tra questi possessori
di imperium fu sempre gestita nel rispetto verso il mandato senatorio e nell’interesse della res publica43, ma mai con una legislazione
mirata ad introdurre una gerarchia di comando.
40
liv. per. 67; flor. 1, 38, 4; il resoconto più dettagliato è in cass. Dio
27, fr. 91, 1–4, in particolare 91, 1: o{ti oJ Serouivlio~ uJpo; tou` pro;~ to;n
sunavrconta fqovnou (ta; me;n a[lla ejx i[sou ejpetevtrapto, tw`/ de; dh;
ajxiwvmati oi\a uJpateuvonto~ aujtou` hjlattou`to) pollw`n kai; kakw`n ai[tio~
tw`/ strateuvmati ejgevneto. kai; ga;r oJ Mavllio~ meta; qavnaton Skauvrou
to;n Serouivlion metepevmyato: oJ d’ ajpekrivnato th;n eJautou` ejkavteron
dei`n fulavttein.
41 il passo di cassio Dione precisa che il console era stato mandato per sostituire servilio cepione dopo la morte del suo collega emilio scauro (oJ Mavllio~
... to;n Serouivlion metepevmyato). la collaborazione tra i due non era quindi
inizialmente prevista e il senato dovette probabilmente accettare suo malgrado la
recalcitranza del proconsole a farsi sostituire. se la situazione è rispecchiata fedelmente da cassio Dione, allora è inevitabile concludere che entrambi i generali avevano preso gli auspici di partenza chiedendo la protezione divina per la medesima
provincia, ma che a mallio spettava comunque una superiorità in quanto console. A
conferma di questa gerarchizzazione non degli imperia, ma degli auspicia ci sarebbe anche il comportamento tenuto da cepione: egli avrebbe infatti sempre cercato di
agire da solo, lontano dal console, in modo da non compiere nulla che potesse ricadere sotto i suoi auspici. Per altri esempi di una subordinazione auspicale cfr. infra.
42 È difficile separare, nel comportamento politico, ciò che era dettato da principi costituzionali quali quelli del diritto augurale e ciò che invece era fissato dalla
tradizione e che era, per sua natura, in continua evoluzione. A proposito vedi lintott, constitution, 3–8 che riporta significativi esempi sulla variabilità del mos.
43 la stessa titolatura non differenziava i magistrati prorogati da quelli titolari.
lo studio compiuto da gioVAnnini, imperium, 60–64 mostra come i governatori
provinciali, se avevano ottenuto il loro incarico durante la pretura, continuavano
a portare il titolo di praetor e che in un caso del 201 sembra che il titolare della
magistratura abbia inteso la sua proroga erroneamente come una seconda elezione
alla pretura, qualificandosi praitor iterum (cil XiV 4268).
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Questa indeterminatezza è largamente erede della concezione
arcaica che comprendeva sotto l’auspicium l’intero potere magistratuale romano e che quindi era naturalmente refrattaria a una
differenziazione sia quantitativa che qualitativa. il fatto di Arausio
mostra chiaramente che non era possibile per le istituzioni repubblicane revocare o ridefinire gerarchicamente il potere militare,
in quanto quest’ultimo non derivava da esse, ma dalla presa degli
auspici bellici e quindi non poteva cessare se non con l’attraversamento del pomerium, con una rinuncia personale o con una lex de
imperio abrogando. Quest’ultima misura, però, è attestata solamente dalla seconda guerra punica ed è già espressione della tendenza
che considerava come fondamento della magistratura la volontà
popolare e non l’approvazione divina attraverso la presa degli
auspici di investitura44.
i modi in cui veniva stabilita la proroga mostrano come le
decisioni del popolo o del senato riguardo alla permanenza di un
ex magistrato in provincia avessero la funzione di prolungamento
del mandato e di assicurazione che la presenza in provincia oltre
i termini della magistratura era ben accetta a roma45. il fatto che
in seguito si arrivasse alla concessione automatica della proroga
annuale semplicemente non inviando il successore nella provincia
in questione, dimostra che il governatore aveva già tutti i requisiti
di legittimità costituzionale per rimanere in provincia e che popolo
e senato potevano conferirgli una convalida semplicemente politica.
l’estensione del comando militare oltre la fine della magistratura
era già implicita nella natura degli auspici bellici che valevano fino
al rientro nel pomerium. modificare questi termini era impossibile,
44 A questo riguardo mommsen, staatsrecht, i, 643 pensa che sia lecito al senato togliere ogni potere al magistrato prorogato e a suo supporto invoca il principio
generale per cui «wer ein befugnis geben, sie auch wieder nehmen kann», ma esso
non può applicarsi ai casi della prorogatio imperii. se si pone alla base del potere
magistratuale la volontà popolare, allora solamente i comizi centuriati avrebbero
potuto concedere la proroga e eventualmente revocarla, in quanto assemblea elettiva dei magistrati cum imperio. il senato poteva richiamare in patria magistrati
e promagistrati, in quanto l’obbedienza al mandato senatorio era una tradizione
inderogabile della vita politica romana. in caso di insubordinazione era necessaria
un’abrogazione in toto dell’imperium della persona in questione e ci si doveva
comportare esattamente come quando si sfiduciavano i magistrati in carica, cioè
attraverso una lex de imperio abrogando. Questo era sempre dovuto allo statuto
auspicale dei promagistrati che non aveva alcuna differenza con quello dei magistrati in ambito militare e quindi doveva essere annullato nello stesso modo. Per
alcuni esempi di abrogazione cfr. mommsen, staatsrecht, i, 629 n. 624.
45 mommsen, staatsrecht, i, 636–645.
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a meno di mettere in discussione i fondamenti religiosi della repubblica46.
Questo fattore di arretratezza, mano a mano che il sistema provinciale andava evolvendosi47, richiese una legislazione mirata a
impedire la libera iniziativa dei governatori provinciali e a sottometterli al volere del senato. un primo esempio si trova proprio
a ridosso di Arausio, nella lex de piratis persequendis (100 a.c.
ca.), in cui compare un riferimento a una lex porcia che stabiliva
l’impossibilità per i governatori di uscire dalla propria provincia e
intraprendere autonomamente spedizioni militari senza autorizzazione48. nonostante questo tentativo di limitare l’azione magistratuale al solo ambito stabilito dal senato, troviamo nel testo anche la
46 la precisazione di mommsen, staatsrecht, i, 623 e 641 riguardo alla cessazione dell’imperium di un promagistrato all’arrivo del successore nella provincia
non poggia su alcuna fonte certa. l’arrivo del successore faceva scadere il mandato
che il senato o il popolo avevano dato al governatore, ma l’imperium rimaneva
valido fino all’ingresso a roma. Parlando del suo proconsolato, cicerone definisce
sempre come annuale la durata della sua missione, come in ad Att. 6, 2, 6 (annuae
operae); 6, 4, 1 (annui muneris); 6, 5, 3 (annuum tempus), 15, 14, 5 (hanc provinciam... annuam). Questa testimonianza, tra l’altro riferita a un incarico di governo
provinciale ben definito e circoscritto, mostra come fosse presente una distinzione
tra il livello del mero potere militare, legato ancora alle arcaiche delimitazioni
pomeriali, e il mandato senatorio, che prevedeva che questo potere si esercitasse
solamente nei confini prestabiliti dall’assemblea. il caso di cicerone si riferisce
alla categoria dei privati cum imperio, ma è sicuramente erede di una tradizione
riferita alla prorogatio imperii degli ex magistrati. in quest’ottica frasi come quella di catone censore in gell. 20, 2, 1 (ne imperium sit veteri ubi novus venerit)
e quella di liv. 32, 28, 9 (t. quinctio prorogatum imperium donec successor ex
senatus consulto venisset) vanno intese nel senso di un avallo politico: il compimento della missione che t. Quinzio stava portando avanti per la res publica non
indicava la fine del suo imperium, che scadeva solo al ritorno in patria; nelle fonti
giuridiche del principato il proconsole detiene il potere dall’uscita dalla città fino
al suo rientro, anche se lo può esercitare pienamente solo nella provincia assegnatagli (Dig. 1, 16, 1: proconsul ubique quidem proconsularia insignia habet statim
atque urbem egressus est: potestatem autem non exercet nisi in ea provincia sola,
quae ei decreta est; 1, 16, 2: omnes proconsules statim quam urbem egressi fuerint
habent iurisdictionem, sed non contentiosam, sed voluntariam; 1, 16, 16: proconsul
portam Romae ingressus deponit imperium).
47 A proposito cfr. crAWforD, origini, 103–112.
48 HAssAl, crAWforD, reynolDs, provinces, 202 col. iii cnido 204–205:
kai; Ma`rko~ P[ovrkio~] Kavtwn strathgo;~ ejkuvrwse pro; hJmerw`n g’ nwnw`n
Febraivwn ejkto;~ th`~ [ej]parceiva~ e{kasto~... ejkto;~ t[h`~] ejparceiva~ h|~
aujto;n ejparceiva~ kata; tou`ton to;n novmon ei\nai dei` h] dehvsei eij mh; ajpo;
sunklhvtou gnwvmh~ poreuvesqai mhvte proagevtw eij mh; diaporeiva~ e{neken
h] dhmosivwn cavrin pragmavtwn tou`~ te eJautou` kwluvetw eijdw;~ a[neu dovlou
ponhrou`. cfr. anche gioVAnnini, grzybek, Lex, 39.
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conferma che il governatore manteneva il proprio imperium e gli
era permesso esercitare la propria iurisdictio fino al ritorno a roma
(e{w~ a]n eij~ th;n [ÔR]wvmhn ejpanevlqhi e[stw)49.
Questa legislazione mirava a introdurre delle sfumature nei poteri
dei governatori provinciali e a legarli più saldamente alle decisioni
prese a roma in modo da evitare i conflitti verificatisi in passato50.
Pur mettendo in opera una gestione più efficiente, essa non poteva
prescindere dal fondamento religioso dell’autorità magistratuale e
non faceva quindi altro che aumentare il divario tra la natura dell’imperium e il suo utilizzo politico.
2. i privati cum imperio e il loro statuto auspicale
uno dei grandi punti di forza del popolo romano era quello di
saper venire incontro alle situazioni di eccezionale pericolo con elasticità e questo riguardava anche la disponibilità a modificare alcuni
principi costituzionali. la seconda guerra punica fu il momento
di maggiore difficoltà che si dovette affrontare. la sopravvivenza
di roma dipendeva dalla capacità di mobilitazione del maggior
numero degli assidui e dalla capacità di rispondere agli attacchi del
nemico non solo respingendolo in italia, ma anche aggredendolo
in spagna. l’entrata in guerra della macedonia aggiunse un terzo
fronte alla guerra e in una situazione di tale impegno il numero
di magistrati cum imperio si rivelò decisamente inferiore a quello
necessario. non era solo la quantità a mancare; nei primi anni di
campagne in italia, i romani avevano subito una serie di sconfitte
senza precedenti e il panico si era più volte diffuso tra la popolazione. Questo rendeva necessario ricercare e promuovere al più presto
le persone con le migliori doti militari, anche attraverso canali non
tradizionali. il punto d’arrivo di questo processo fu la concessione
di un comando supremo, di rango consolare, a un privato che non
49 HAssAl, crAWforD, reynolDs, provinces, 204 col. iV cnido 32–40: eja;n
ou|t[o~] oJ strathgo;~ w|i th`~ ∆Asiva~ Makedoniva~ te ejpar[ceiv]a ejgevneto
th`~ ajrch`~ auJto;n ajpeivphi ajpeivphtai n[c. 4]n (=p[resbeuth;]n?) ejpitagh`i
ejxousiva pavntwn pragmavtwn [ejp]istroghvn te poiei`sqai kolavzein
dikaiodotei`n kreivn[ein k]rita;~ xenokrivta~ didovnai ajnadocw`n kthmavtwn
[c. 6] EARODOSEIS ajpeleuqerwvsei~ wJsauvtw~ kata; th;n [d]ikaiodosivan
e[stw kaqw;~ ejn th`i ajrch`i uJph`rcen o[u|]to~ te oJ ajnquvpato~ e{w~ touvtou
a]n eij~ th;n [ÔR]wvmhn ejpanevlqhi e[stw.
50 Per dare ancora maggiore forza all’obbedienza al mandato, una clausola
della legge prevedeva che i governatori giurassero di rispettarne le direttive (HAssAl, crAWforD, reynolDs, provinces, 205 col. iV Delfi 208–228).
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aveva mai rivestito in precedenza alcuna magistratura, P. cornelio
scipione. la nomina era qualcosa di eccezionale, ma non mancavano dei precedenti che avevano preparato la strada a questa innovazione che si rivelerà estremamente produttiva nel corso della tarda
repubblica e dell’impero.
il presupposto più importante era la capacità di delega di un
imperium di rango pretorio da parte di un console. È probabile che
quest’atto non fosse possibile fin dalle origini, ma solamente dopo
la nascita della pretura e quindi dell’imperium minus, come ha
recentemente proposto il brennan51. Qualunque fosse la sua origine, la delega venne comunque solamente usata in casi eccezionali
e prima della seconda guerra punica ne abbiamo notizia solamente
per il 295 a.c., anno in cui una formidabile coalizione di sanniti,
galli ed etruschi aveva formato un fronte antiromano mai apparso
in precedenza. in quell’anno il console Q. fabio massimo rulliano
fu richiamato a roma per consultarsi con il senato sulla conduzione
della guerra. il magistrato si trovava accampato presso clusium
con il suo esercito e al momento della partenza decise di lasciare
il comando nelle mani di l. scipione barbato (cos. 298) in qualità
di pro praetore52. il passo di livio non menziona esplicitamente
nessuna procedura di nomina, ma si limita a dire praeposito castris
L. scipione pro praetore Romam ipse (Q. fabio massimo rulliano)
ad consultandum de bello rediit. una maggiore precisione, anche se
non sufficiente per appagare gli studiosi della costituzione romana,
è offerta dal racconto della devotio di P. Decio mure, sempre nello
stesso anno. Dopo il sacrificio del generale romano, al comando
della legione troviamo il pontefice m. livio Dentre (cos. 302), cui
lictores Decius tradiderat iusseratque pro praetore esse53. nessun
accenno alla delega invece per quanto riguarda i modi della concessione dell’imperium pretorio ad altri due privati, l. Postumio
megello (cos. 305) e cn. fulvio massimo centumalo (cos. 298),
sempre nel contesto dei piani difensivi concordati in senato nel
295. Dotati di imperium pretorio (propraetores ambo) sono messi
al comando di due guarnigioni a salvaguardia della città, l’una
nell’agro falisco e l’altra nell’agro vaticano. È probabile che anche
questi due privati fossero stati forniti di imperium mediante delega
da parte dei consoli, entrambi presenti in città per via delle consultazioni con il senato. una concessione autonoma da parte del senato
51
52
53
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brennAn, praetorship, 25–78.
liv. 10, 25.
liv. 10, 29, 3.
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non mi sembra proponibile, ma è sicuramente verosimile che la
delega sia avvenuta con l’appoggio, se non su pressione, dell’alta
assemblea.
come già detto, i dettagli forniti da livio, non molto interessato
alle questioni costituzionali, sono parziali e probabilmente anche
viziati dalla confusione che lo storiografo trovava nelle sue fonti54.
Quello che appare sicuro è che tutti e quattro gli incarichi affidati
avevano una durata di al massimo qualche mese. i senatori scelti
erano tutti dei consolari, quindi uomini di fiducia ed esperienza,
anche se al momento della delega erano dei privati. l’ambito dei
loro incarichi era esclusivamente militare ed extraurbano e nemmeno nelle epoche successive si riscontra l’attività di privati con
imperium delegato all’interno del limite pomeriale. il popolo non
intervenne sicuramente nei casi di scipione barbato e di livio
Dentre, avvenuti lontano dalla città e con una tempistica che rendeva impossibile qualunque tipo di interrogazione, ed è probabile
che non sia intervenuto nemmeno negli altri due casi, pur essendo
le notizie in nostro possesso troppo scarne55. Quello che veniva
trasmesso era un imperium minus rispetto a quello consolare, ma,
a giudicare dagli incarichi assegnati ai personaggi in questione, in
tutto e per tutto identico a quello di un pretore che si trovasse fuori
dalla città. Postumio megello e fulvio centumalo combatterono
indipendentemente contro Perusini e clusini, una cosa insolita se
non fossero stati entrambi dotati di un corretto statuto auspicale. la
delega era una capacità personale del magistrato, una concessione
di imperium, inteso nel senso stretto del termine, da una persona
all’altra, con una subordinazione nel caso i due si fossero trovati ad
54 Ad esempio, l’intero racconto della disputa sulla sortitio delle province tra
i due consoli fabio massimo rulliano e Decio mure è probabilmente inventato,
come fa intendere lo stesso livio con una nota di disappunto: inuenio apud quosdam extemplo consulatu inito profectos in etruriam Fabium Deciumque sine ulla
mentione sortis prouinciarum certaminumque inter collegas quae exposui. sunt
<qui>, quibus ne haec quidem <certamina> exponere satis fuerit, adiecerint et
Appi criminationes de Fabio absente ad populum et pertinaciam aduersus praesentem consulem praetoris contentionemque aliam inter collegas tendente Decio
ut suae quisque prouinciae sortem tueretur. constare res incipit ex eo tempore quo
profecti ambo consules ad bellum sunt (10, 26, 5–7).
55 la delega di imperium pretorio da parte di un console, se limitata a missioni
brevi e di importanza relativamente marginale, non risulta avesse bisogno di ratifiche popolari. Queste si incontrano per la prima volta solo quando entra in gioco
l’imperium consolare, sia che si tratti di innalzare un possessore di imperium pretorio al rango consolare, sia che si tratti di attribuire il potere supremo a un individuo
sprovvisto di qualunque imperium. cfr. infra.
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agire nello stesso ambito. la concessione personale ricorda la dictio
del dittatore da parte del solo console e il passaggio dell’auspicium
da un interrè all’altro. contrariamente a questi due esempi però,
la delega concede un potere limitato, valido solamente in ambito
militare e senza alcun effetto all’interno del pomerium. il dittatore,
al contrario dei delegati, era però un superiore dei consoli e poteva
impartire loro degli ordini. la delega venne nuovamente utilizzata
nel corso della ii guerra punica, ma, come per i primi casi dell’inizio
del secolo, le nostre informazioni sono decisamente scarse e non
permettono di identificare nessuna innovazione in quello che doveva essere il principio alla base di quest’azione56.
nel corso della guerra si venne ad affermare un altro principio,
quello della possibilità di innalzare, con votazione popolare, un
imperium già esistente al grado più elevato. Questo accadde già nel
217, anno della sconfitta del trasimeno e della nomina a dittatore
di Q. fabio massimo cunctator. fu proprio la famosa tattica militare di questo, considerata inconcludente, a creare malcontento a
roma e a far proporre al tribuno della plebe m. metilio una rogatio
de aequando magistri equitum et dictatoris iure57. È importante
notare che minucio rufo non divenne un secondo dittatore: l’innalzamento riguardò solamente la natura del suo imperium, non della
magistratura58. la cosa non era mai successa prima e le fonti non
riferiscono di alcun dubbio di legittimità né di opposizione a questa
misura straordinaria. la stessa nomina di Q. fabio massimo era
avvenuta in maniera particolare, attraverso un’elezione comiziale
e non attraverso la dictio consolare. le motivazioni erano state
principalmente pratiche, in quanto bisognava agire con tempismo
e in quel momento il console servilio, unico sopravvissuto dopo
56
Per la discussione di alcuni di questi casi cfr. brennAn, praetorship, 340–
347.
57 liv. 22, 25, 10. successivamente, al ritorno del magister equitum Q. minucio rufo sul campo di battaglia, i due si divisero le legioni e allestirono accampamenti separati, allo stesso modo dei consoli, dotati di par potestas (liv. 22, 27).
58 basandosi su Polyb. 3, 103, 3–8 e su cil i2 607, alcuni studiosi (tra cui
mommsen, staatsrecht, ii, 148) hanno pensato che minucio fosse stato nominato
co-dittatore, ma di fatto l’iscrizione in questione si riferisce alla sua precedente
dittatura tra il 221 e il 219. gli stessi fasti non riportano alcun cambiamento della
magistratura (cfr. DegrAssi, Fasti, 44–45; 118–19) come pure lo stesso livio.
magistrature cum imperio non furono mai create dai comizi plebei, né metilio
aveva intenzione di farlo. la plebe agì su un imperium già presente e solo su quello,
lasciando invariata la carica rivestita da minucio. ulteriori fonti e bibliografia in
HArtfielD, Dictatorship, 498–499.
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la battaglia del trasimeno, si trovava lontano da roma. tra il 301
e il 217 un dittatore rei gerundae causa era stato nominato solo
un’altra volta, nel 249 e solo con grande riluttanza si arrivò alla
decisione di concedere a una persona sola un così grande potere59.
le intenzioni di limitare il potere del nuovo dittatore erano chiare e
si partì probabilmente sottraendogli il diritto di nominare il proprio
magister equitum, facendolo invece eleggere dal popolo60. minucio
rufo aveva una diversa tattica militare ed era forse legato a famiglie
rivali dei fabii61.
le tensioni con il senato non mancarono, soprattutto quando
l’alta assemblea si rifiutò di concedere al dittatore il denaro pattuito
per una restituzione di prigionieri concordata con i cartaginesi,
perché questa intesa era avvenuta senza la previa consultazione del
senato62. sommando questi attriti con lo scontento provocato dalla
tattica militare di fabio, non è difficile immaginare che la mossa
di metilio godesse di ottimi appoggi in senato e infatti Appiano e
Valerio massimo, seguendo una diversa tradizione rispetto a livio,
non citano nemmeno l’intervento del tribuno della plebe, ma fanno
ricadere tutta la responsabilità sull’alta assemblea63. il dittatore continuava però ad avere i suoi sostenitori e un’abrogazione dell’imperium, pur ventilata dai suoi oppositori64, non poteva essere messa in
pratica. i fautori di una tattica aggressiva avevano in minucio il loro
uomo65 e, non potendo farlo subentrare al posto di fabio, trovarono
la soluzione in una lex de aequando imperio. la misura era concepita come soluzione a una situazione di stallo politico all’interno del
senato, ma in tal modo un precedente era comunque stato creato per
59
liv. 22, 8, 5: itaque ad remedium iam diu neque desideratum nec adhibitum,
dictatorem dicendum, ciuitas confugit; et quia et consul aberat, a quo uno dici
posse uidebatur, nec per occupatam armis punicis italiam facile erat aut nuntium
aut litteras mitti [nec dictatorem populus creare poterat], quod nunquam ante eam
diem factum erat, dictatorem populus creauit q. Fabium Maximum et magistrum
equitum M. Minucium Rufum.
60 Per una più precisa ricostruzione del contesto della lex Metilia cfr. liPPolD,
consules, 150–158 e Dorey, Minucius, seguiti da brennAn, praetorship, 264 n. 288
e HArtfielD, Dictatorship, 496–497. in liv. 22, 25, 13 e 27, 3 è riportata l’intenzione, da parte di Q. fabio massimo, di punire il suo sottoposto per insubordinazione.
61 bleicken, Volkstribunat, 37 e münzer re XV 1958.
62 liv. 22, 23, 5–6; Plut. Fab. 7, 5–6; Val. max. 4, 8, 1–2.
63 App. Ann. 12, 52; Val. max. 3, 8, 2.
64 liv. 22, 25: quas ob res, si antiquus animus plebei Romanae esset, audaciter se laturum fuisse de abrogando q. Fabi imperio; nunc modicam rogationem
promulgaturum de aequando magistri equitum et dictatoris iure.
65 liPPolD, consules, 158.
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la modificazione, mediante intervento popolare, di un imperium già
in possesso di un magistrato.
un episodio simile e ancora una volta contornato di risvolti politici avvenne due anni dopo e vide come protagonista il pretore m.
claudio marcello. Di nascita plebea, era stato l’unico comandante
romano che, nel disastroso anno della battaglia di canne, era riuscito a infliggere una sconfitta, seppur modesta, ad Annibale. la
sua popolarità a roma era ovviamente altissima e marcello doveva
essere sufficientemente ambizioso da sfruttare nel migliore dei modi
questa fama. Alla fine dell’anno consolare 216 a.c. la situazione
sembrava decisamente preoccupante: uno dei consoli era caduto a
canne e l’altro, dopo aver effettuato la dictio del dittatore m. giunio
Pera, era ritornato in Puglia. era necessario provvedere all’elezione
dei nuovi consoli e riorganizzare le forze in campo dopo un anno
disastroso. le elezioni furono tenute dal dittatore e furono creati
consoli ti. sempronio gracco, al momento magister equitum, e l.
Postumio Albino, in absentia in quanto pretore in gallia66. non vi è
nessun accenno a una volontà di marcello di accedere al consolato
in questo momento, ma l’occasione dovette presentarsi alla notizia
della morte di Postumio, ucciso in seguito a un attacco improvviso
da parte dei galli67. A detta di livio, la città venne presa dal panico68 ed è possibile che il popolo e la nobilitas plebea richiedessero
di assegnare il consolato vacante a marcello. la cosa però non era
proponibile, in quanto si sarebbe ottenuta una coppia consolare
composta da soli plebei, fatto ancora non avvenuto e improponibile
proprio a causa della tradizione auspicale. la presenza di almeno un
console patrizio garantiva la legittimità della successione auspicale,
che, come abbiamo visto, avveniva attraverso un passaggio personale e richiedeva che almeno uno dei supremi magistrati avesse
la capacità di possedere gli auspicia. Ai plebei era stato concesso
di amministrare questi auspici, non di possederli69. ciò rendeva
marcello non eleggibile, ma il patriziato doveva egualmente fare
i conti con la popolarità del pretore e una semplice proroga non
sarebbe bastata ad appagare i suoi sostenitori.
66
liv. 23, 24, 3–4.
liv. 23, 24, 6–11.
68 liv. 23, 25, 1: Hac nuntiata clade cum per dies multos in tanto pauore
fuisset ciuitas ut tabernis clausis uelut nocturna solitudine per urbem acta senatus
aedilibus negotium daret ut urbem circumirent aperirique tabernas et maestitiae
publicae speciem urbi demi iuberent.
69 linDerski, Auspices, 41–43.
67
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il caso di minucio rufo di due anni prima aveva già fornito un
precedente per innalzare una minor potestas al grado maggiore,
senza che questo però andasse a modificare la magistratura posseduta dal beneficiato. secondo la notizia di liv. 23, 30 a marcello
sarebbe stato conferito dal popolo un imperium consolare (M.
Marcello pro consule imperium esse populus iussit, quod post
cannensem cladem unus Romanorum imperatorum in italia prospere rem gessisset). la misura è riferita all’inizio dell’anno consolare 215, subito dopo l’elenco dei magistrati regolari dell’anno, ma
è verosimile che sia stata votata prima delle idi di marzo70. se fosse
così, allora marcello avrebbe trascorso l’ultimo periodo dell’anno
come praetor pro consule, venendo poi prorogato semplicemente
come pro consule una volta terminata la magistratura cittadina71. i
patrizi non volevano che marcello arrivasse al consolato72 e tentarono di appagarlo con una promozione di imperium, visti i suoi meriti
mostrati sul campo contro Annibale. la cosa non fu sufficiente ed
egli si propose ugualmente per la magistratura, risultando facilmente vincitore; ma un prodigium, occorso durante la presa degli
auspici di entrata in carica, fece decretare agli auguri la presenza di
un vitium e marcello dovette rinunciare73.
fino a questo momento non si era ancora osato arrivare alla
concessione di un imperium consolare slegato da una magistratura.
l’elezione di un console davanti ai comizi era ancora l’unico modo
in cui poteva esser trasmesso un potere consolare da un magistrato
70 subito dopo l’elenco dei magistrati segue il resoconto della seduta del senato
delle idi di marzo e non vi è alcun cenno a una votazione sull’imperium di marcello. si fa semplicemente menzione della sua missione di condurre due legioni
urbane in un accampamento in campania (liv. 23, 31).
71 Questo è in effetti il titolo che porta in liv. 23, 31, 12–14 e 32, 2.
72 sulle pressioni per un’elezione di marcello cfr. liv. 23, 31: ubi ablegatum
uelut de industria M. Marcellum uiderunt, quem maxime consulem in eum annum
ob egregie in praetura res gestas creari uolebant, fremitus in curia ortus.
73 la più corretta interpretazione della questione è offerta da linDerski, Law,
2169. non serve pensare, come fa brennAn, praetorship, 192, che l’imperium sia
stato concesso come compensazione al mancato consolato. il timore della sua candidatura e quindi della presenza di una coppia interamente plebea, doveva essere
sorto già alla fine dell’anno precedente. la posizione del riferimento di livio alla
votazione lo conferma. non è nemmeno probabile che marcello fosse un privato al
momento della sua candidatura al consolato. i comizi centuriati si tenevano fuori
dal pomerium e quindi bastava non attraversarlo per non far decadere il proprio
imperium. una concessione di poteri consolari a un privato sarebbe prematura nel
215; il precedente di minucio era molto più attinente al caso presente e si conforma
meglio alle informazioni che abbiamo dalle fonti.
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a un privato. Proprio per questo motivo l’elezione di P. cornelio
scipione a proconsole nel 210 riscontra molte somiglianze con una
regolare elezione magistratuale. secondo livio, una discussione in
senato aveva prodotto alcuni nomi di candidati, ma, non arrivando
a nessuna conclusione l’assemblea rimise la decisione al popolo.
la cosa era successa in precedenza e proprio riguardo al comando
delle spagne. Dopo la morte di Publio e gneo scipioni il senato
aveva deciso di incaricare i consoli di concordare con i tribuni una
convocazione dei concili plebei allo scopo di scegliere un sostituto
da mandare quanto prima74. la scelta ricadde sul pretore dell’anno
precedente c. claudio nerone, al momento ancora in possesso di
un imperium pretorio mediante proroga. non vi fu alcuna ulteriore
assegnazione di poteri, ma semplicemente una mutazione di provincia. un procedimento simile, però, non avrebbe permesso l’invio
di un generale con poteri consolari: i concilia plebis non avevano
una tale autorità. nonostante nelle fonti scipione si candidi al proconsolato solamente di fronte ai comizi, doveva essere stato deciso
ben prima di mandare il giovane e dotato figlio di Publio oltremare
e, essendo un privato e non avendo mai rivestito magistrature cum
imperio in precedenza, bisognava trovare una soluzione. Ancora
una volta la necessità politica piegò alle sue esigenze la tradizione
augurale. si tentò quindi di rendere la cosa il più simile possibile a
un’elezione magistratuale. i consoli convocarono i comizi centuriati
e scipione fu presentato come un candidato. Alla fine le centurie p.
scipioni imperium esse in Hispania iusserunt.
la procedura è simile a quella dell’elezione dei magistrati ordinari, ma presenta importanti differenze. essa riflette quelli che si
credeva che fossero i requisiti fondamentali dell’imperium alla fine
del iii sec., dopo secoli di lotte di classe e dopo i precedenti che
abbiamo analizzato sopra. innanzitutto alla base di questa concezione sta il principio per cui la capacità di conferire l’auspicium a un
magistrato sta nell’elezione popolare, concetto estraneo all’età regia
e alla primissima epoca repubblicana. il popolo, anche quando era
costituito dalle sole curie, non faceva altro che fornire al magistrato
un’investitura laica, mentre era la renuntiatio da parte del magistrato rogatore a conferire l’auspicium al suo successore75.
74 liv. 26, 2: de nulla re prius consules rettulerunt, omniumque in unum sententiae congruebant agendum cum tribunis plebis esse, primo quoque tempore ad
plebem ferrent quem cum imperio mitti placeret in Hispaniam ad eum exercitum
cui cn. scipio imperator praefuisset. ea res cum tribunis acta promulgataque est.
75 cfr. supra.
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il motore di questa innovazione furono sicuramente le lotte tra
patrizi e plebei per l’accesso alle magistrature. la loro importanza
per lo sviluppo di una competenza popolare nello stabilire norme
vincolanti per l’intera comunità è stata già sottolineata dal bleicken76
e anche in questo caso è facile vedere come l’elezione dei tribuni
della plebe, dipendente solamente dal voto dei concilia e estranea
a ogni tipo di trasmissione religiosa del potere, abbia sicuramente
influito anche sulla creazione dei magistrati. la forza rivoluzionaria
dei tribuni aveva la sua base nel giuramento di obbedienza che la
plebe aveva fatto (lex sacrata)77. Questo vincolo era garantito da
una sanzione religiosa, ma veicolava l’idea che la legittimità dell’azione dei rappresentanti della plebe si trovasse nella volontà della
classe sociale che li aveva espressi. Questo introduceva un principio
fortemente laico nella vita pubblica romana.
Al momento della nascita dei comizi centuriati, al più tardi nel
periodo delle Xii tavole, questi non divennero subito il motore delle
istanze riformatrici frutto della lotta tra patrizi e plebei78; ma dal
momento in cui i plebei furono ammessi al consolato, fu inevitabile che i comizi centuriati venissero interpretati dalla plebe come
un’ulteriore occasione per eleggere un proprio rappresentante nella
vita pubblica79. il significato del ruolo dei comizi nell’elezione
consolare venne gradualmente accostato a quello dei concilia plebis
riguardo ai tribuni e quindi si andò sviluppando poco a poco il principio per cui era il voto popolare a conferire l’imperium.
naturalmente anche il crescente ruolo dell’esercito e dell’impegno militare di roma contro le vicine popolazioni italiche fece
passare presto in secondo piano i comizi curiati. Questi vennero,
probabilmente fin dalla metà del V sec. a.c., ovvero con la nascita
dell’assemblea del popolo in armi, limitati a quelle competenze che
la tradizione aveva già fissato, diventando rapidamente un relitto
di una situazione arcaica e sorpassata. È possibile che già al tempo
della ii guerra punica le curie fossero semplicemente rappresentate
76
bleicken, Lex publica, 72–99.
cic. pro sest. 79; liv. 2, 33, 2; 3, 55, 6; cass. Dio 6, 89, 3.
78 la principale differenza introdotta fu quella di un’assemblea di carattere
chiaramente militare contro una di marca strettamente urbana. cfr. DeVelin, Lex
curiata, 52–58; bleicken, Lex publica, 78–79.
79 Questo avrebbe ancora più significato qualora si ipotizzasse, come bleicken, Amtsgewalt, 279–287, che il collegio consolare sia nato proprio con l’accostamento al magistrato patrizio di un collega plebeo con par potestas. la cosa non
è però necessaria per il ragionamento qui sviluppato.
77
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da trenta littori, come riferisce cicerone per l’anno 6380. riguardo
alle magistrature, esse continuavano, come un tempo, a essere collegate con quella che era stata la primitiva denominazione del potere
a roma, l’auspicium. la crescente complessità della società e degli
incarichi pubblici, unita a una moltiplicazione e maggiore specializzazione delle magistrature, aveva portato all’elaborazione di altre e
più duttili definizioni, come potestas e imperium81. con la nascita
delle prime magistrature minori, che non prevedevano la possibilità
di comandi militari, si delineò una competenza esclusiva dei comizi
centuriati per quanto riguardava le cariche cum imperio.
Da questo punto, però, il passaggio al conferimento diretto di un
imperium da parte del popolo non è ancora compiuto. Particolari
contrasti politici avvenuti in situazioni di emergenza per lo stato,
crearono il caso dell’equiparazione dell’imperium di minucio rufo
con quello di Q. fabio massimo, seguito da quello di m. claudio
marcello, e stabilirono la possibilità per il popolo di modificare il
grado di un potere già assegnato. il passo decisivo, compiuto con il
conferimento del proconsolato a scipione, avvenne però attraverso
la conservazione del principio della trasmissione personale dell’auspicium. la presidenza di un console in occasione dell’elezione del
futuro Africano significava in primo luogo che sarebbe stato egli
stesso a fare la renuntiatio, che era verosimilmente il modo in cui
concretamente veniva conferita la capacità di interrogare gli dei
in nome della comunità (auspicium). ugualmente solo con la partecipazione popolare era possibile per un console nominare il suo
successore e quindi trasmettere un potere che fosse pari al suo. il
potere che si intendeva attribuire era un imperium nel senso stretto
del termine, quindi limitato alla sfera extrapomeriale. il concetto
era diventato ormai comune grazie all’utilizzo della proroga e delle
deleghe. grazie alla competenza sviluppata dai comizi centuriati
per l’ambito militare fu naturale che non si sentisse l’esigenza di
una conferma anche mediante una lex curiata. Questa era ormai
legata solo per tradizione alla magistratura e quindi all’ambito
strettamente urbano; era un istituto che i romani, per prendere in
prestito un termine della linguistica, non sentivano più produttivo82,
80
cic. leg. agr. 2, 26–31; tAylor, Assemblies, 4.
bleicken, Amtsgewalt, 278–297. il percorso storico tracciato dal bleicken
è qui sostanzialmente seguito, anche se con qualche differenza riguardo a singoli
aspetti delle tre denominazioni di potere (auspicium, potestas, imperium).
82 Per chiarire: nella lingua italiana attuale tutti i verbi di nuova coniazione
ricadono nella prima coniugazione (ad es. faxare, flirtare ecc…), mentre il numero
81
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cioè capace di essere impiegato per esprimere le innovazioni che
si andavano introducendo nello stato. la lex curiata rimase quindi
confinata alle sue competenze tradizionali, legate all’auspicium e
alla magistratura83. Quella che si voleva conferire a scipione non
era una magistratura, ma un incarico puramente militare che, vista
l’importanza e la durata della missione attribuita, aveva bisogno di
una forza e di una legittimazione politica maggiore di quella di una
semplice delega di imperium e questa forza fu data attraverso l’elezione centuriata, la presidenza consolare e il senatusconsultum che
ordinava tutto il procedimento.
i requisiti per la legittimità del proconsolato di scipione erano
quindi l’affidamento dell’incarico da parte dell’assemblea che più
era considerata competente per le questioni militari e la presenza di
un magistrato di rango consolare che, mediante la renuntiatio, gli
conferisse un auspicium (militiae) che, pur valido solo per la sfera
extrapomeriale, era pur sempre la base del suo imperium84. grazie
dei verbi delle altre coniugazioni è destinato a rimanere fisso, o a diminuire con
la perdita d’uso. solamente la desinenza -are della prima coniugazione continua a
essere produttiva, cioè a essere impiegata per la costruzione di nuovi verbi, mentre
le desinenze -ere e -ire sono ormai diventate un relitto. similmente i comizi curiati
non furono più usati per il conferimento di nuove forme di potere e furono confinati
al loro uso tradizionale.
83 nonostante la lex curiata venga spesso impiegata per fornire una base
costituzionale all’imperium (da ultimo brennAn, praetorship, 646), non esiste
nessuna testimonianza del suo utilizzo se non per la magistratura. come ha giustamente notato bleicken, Lex publica, 104 «für die Wahl eines Versammlungstyps
mischten sich so erinnerungen an alte zuständigkeiten für einzelne typen und eine
gewisse beobachtung traditioneller übungen mit nüchternen überlegungen praktischer und auch praktisch-politischer opportunität». nel 210 a.c. i comizi curiati
erano solamente un fossile di un’epoca arcaica e per questo limitati ai compiti che
la tradizione aveva riservato loro. un tentativo di rivitalizzarli fu quello compiuto
da rullo nel 63 a.c. (cfr. infra), ma non possiamo basarci sul suo tentativo, frutto
di una ricostruzione antiquaria, per postulare una produttività di questa assemblea
durante la ii guerra punica.
84 scipione è l’unico che nelle nostre fonti viene chiaramente indicato come
eletto dai comizi centuriati. l’intervento dei tribuni e dei concili plebei nei casi
successivi ha fatto nascere l’idea di una competenza di questi ultimi (cfr. kloft,
prorogation, 47–56), ma analizzando le formule con cui livio presenta le votazioni si possono notare delle importanti sfumature. il secondo caso di un privato
mandato come proconsole in spagna fu c. cornelio cetego nel 200 (per il titolo
liv. 31, 49, 7). A proposito della sua nomina liv. 30, 41, 4–5: uti consules cum
tribunis agerent ut si iis uideretur plebem rogarent cui iuberent in Hispania imperium esse. stando a questa formulazione non si trattò di un semplice plebiscito,
ma di una procedura più complessa: in base a senatusconsultum i consoli furono
incaricati di far eleggere un candidato; essi, anziché convocare i comizi centuriati
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a questo, scipione poteva provvedere regolarmente all’auspicazione
(fatta al di fuori del pomerio) con cui avrebbe attivato il suo imperium, proprio come i magistrati, grazie alla designazione ricevuta il
giorno dell’elezione, auspicavano al momento della loro entrata in
carica. la mancanza della legge curiata (e quindi della magistratura)
toglieva al privato cum imperio gli auspicia urbana che erano legati
strettamente all’attività dei magistrati della città. Questo però non
impediva che scipione potesse condurre la sua campagna militare
in spagna suis auspiciis85 e al suo ritorno il trionfo gli fu negato
solamente perché non si era mai verificato in precedenza che un non
magistrato ricevesse il trionfo86, non per un vizio del suo imperium.
come nel caso di scipione, preferirono avvalersi della collaborazione dei tribuni e
far scegliere il proconsole dai concilia plebis, che non dovevano essere convocati
auspicato e richiedevano una procedura di voto meno complessa di quella dei
comizi. Dalla lex Hortensia del 287 a.c. i plebisciti erano considerati vincolanti
per l’intero popolo e quindi, in forza di questa legge e dell’auctoritas senatus
conferita mediante il decreto dell’assemblea, era possibile che anche la decisione
della plebe fosse valida per il conferimento di un imperium consulare. l’utilizzo
del verbo iubere in collegamento con la votazione sembra esserne una conferma.
la stessa collaborazione tra senato, consoli e tribuni della plebe fu messa in atto per
la nomina a proconsoli di cn. cornelio blasio e l. stertinio nel 199 (liv. 31, 50,
11: plebes cn. cornelio Lentulo [errore per Blasio] et L. stertinio pro consulibus
imperium esse in Hispania iussit); il discorso è inserito in un contesto di misure che
il senato chiede ai consoli di sottoporre alla plebe mediante i tribuni (liv. 31, 50:
consules si iis videretur cum tribunis plebis agerent uti ad plebem ferrent). Altri
casi ci sono noti con molti meno particolari e quindi non possiamo definire di fronte a quale assemblea essi fossero portati; essi sono: t. manlio torquato nel 211,
possibile precedente per scipione (liv. 23, 34, 10–15 incarico della scelta dato dal
senato al pretore urbano), m. Valerio levino nel 201 (liv. 31, 3, 2–3 scelta affidata
dal senato al console; possibile anche una semplice delega); costante invece è la
presenza di un console o di un pretore che agivano in base a senatusconsultum. non
c’era quindi nessuna competenza specifica di una particolare assemblea. ciò che
contava era che questa fosse capace di rappresentare il populus e che fosse presente
un magistrato per effettuare la renuntiatio ufficiale e conferire così l’auspicium al
privato designato. il caso di minucio rufo conferma invece che per la modifica di
un imperium già in vigore non serviva la presenza di un magistrato e quindi poteva
essere compiuta anche dai concili plebei (cfr. supra).
85 liv. 28, 16, 14; 28, 38, 1 (haec in Hispania p. scipionis ductu auspicioque
gesta).
86 liv. 28, 38: ob has res gestas magis temptata est triumphi spes quam petita
pertinaciter, quia neminem ad eam diem triumphasse qui sine magistratu res gessisset constabat. sul fatto che i tribuni militum consulari potestate non potessero
celebrare trionfi cfr. da ultimo brennAn, praetorship, 51–53. Anche nel caso della
mancata concessione delle spolia opima a licinio crasso nel 28 a.c., il motivo
ufficiale fu quello che solamente dei consoli avevano in precedenza ottenuto questo
onore. Per una trattazione più completa cfr. infra.
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Quasi quarant’anni fa magdelain portò una prova decisiva a questa interpretazione notando che la lex arae Augustae Narbonensis
mostra che il momento del conferimento dell’imperium pro praetore a ottaviano nel 43 a.c. non coincideva con il giorno in cui esso
venne inaugurato (imperium… auspicatum est)87. la seduta del
senato in cui venne presa la decisione si tenne il 2 gennaio, mentre
l’auspicazione avvenne il 7 gennaio, quando l’erede di cesare si
trovava a spoleto88. il momento della cerimonia religiosa costituiva
il vero inizio della validità dell’imperium e questo era, ancora una
volta, dettato dalla tradizione augurale. ottaviano, pur non essendo
magistrato, aveva la capacità e l’obbligo di attivare il suo imperium
mediante un’auspicazione. in secondo luogo, era naturale che questa avvenisse al di fuori del pomerium, in quanto l’auspicium di
ottaviano non era valido per il territorio cittadino.
troviamo spesso nelle narrazioni annalistiche concessioni di proroghe e di missioni con una ben precisa limitazione temporale, che
poteva essere annuale o dipendere dal compimento della missione
stessa. Abbiamo visto in precedenza che queste limitazioni riguardavano solamente la durata dell’incarico affidato, cioè fissavano politicamente dei limiti di utilizzo dell’imperium. solo il superamento
del limite del pomerio faceva cessare definitivamente il potere fino
a quel momento detenuto da magistrati prorogati o da privati in
possesso di imperium. la cosa era valida nel periodo della seconda
guerra punica89, ma rimase in vigore anche nella tarda repubblica90
87 cil Xii, 4333 (p. 845) = ils 112 = Ae 1964, 187 = 1980, 609 ln. 21–23: Vii
quoq(ue) / idus ianuar(ias) qua die primum imperium / orbis terrarum auspicatus
est. sui poteri conferiti a ottaviano vedi Res gestae 1, 2; liv. per. 118; cic. phil. 6,
3; 11, 20; App. Bell. civ. 3, 51; cass. Dio 46, 29; 46, 41. Per ulteriore discussione
cfr. mAgDelAin, Recherches, 53. sulla rassomiglianza di varie formule di questa
lex sacrata con la lex arae iovis salonitanae cfr. lAffi, Lex.
88 Plin. Nat. Hist. 11, 190.
89 cfr. in particolare liv. 28, 38 in cui si specifica chiaramente come scipione
venisse ascoltato dal senato riunito nel tempio di bellona, sito extra urbem, e che,
solamente dopo aver ricevuto il rifiuto al trionfo, entrò in città (senatu misso urbem
est ingressus).
90 il governatore rimaneva cum imperio anche dopo la scadenza del mandato,
fino al rientro in città: questo permetteva che in casi di necessità gli potesse essere
conferita un’ulteriore missione, come nei casi di Pompeo nel 71 a.c., cui venne
richiesto di aiutare m. licinio crasso nel combattere spartaco e il suo esercito
(brougHton, Magistrates, ii, 124; girArDet, pompeius, 168), e cicerone nel 49
a.c., cui fu affidato il reclutamento di truppe da mandare contro cesare (brougHton, Magistrates, ii, 264; cic. fam. 16, 11, 3; 12, 5; Att. 7, 11, 5; 14, 2; 15, 2; 8,
3, 4; 11b, 1 e 3; 11d, 5; 9, 11a, 2). entrambi erano sulla via del ritorno, ma ancora
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e durante il principato, come confermano gli escerti dal de officio
proconsulis di ulpiano91.
la perdita della narrazione liviana riguardante il periodo successivo ai primi decenni del ii sec. a.c. non ci permette di seguire,
se non a grandi linee, l’utilizzo di questo tipo di comandanti. Dalle
nostre fonti sembra chiaro che vi fu un forte ritorno alla tradizione
e una maggiore regolamentazione dell’accesso e dell’utilizzo delle
magistrature proprio in quegli anni92 ed è molto probabile che il
ritorno all’assegnazione di un imperium consulare a un privato ci
sia stato solamente con la lex sulpicia che nell’88 diede a c. mario,
al momento un privato, l’incarico di condurre la guerra contro
mitridate in Asia. Anche se subito abrogato dalla marcia su roma
da parte di silla, questo fu il primo atto che aprì la serie di comandi
straordinari del successivo cinquantennio, alcuni dei quali attribuiti
a privati. Questa situazione precaria e violentemente influenzata dal
in possesso di un imperium consulare e quindi capaci di ricevere nuovi incarichi
(provinciae) dal senato. un altro caso è fornito dalla rivendicazione della legittimità del proprio potere da parte di Appio claudio Pulcro nel 54 a.c. Questa si basava
su di una lex cornelia che gli avrebbe conferito l’imperium finché non fosse rientrato in città (cic. ad fam. 1, 9, 25: lege cornelia imperium habiturum, quoad in
urbem introisset). Questa delimitazione non riflette una formula speciale di quella
particolare legge, ma sono i limiti naturali dell’imperium militiae; qui Appio claudio voleva sottolineare il possesso di un valido imperium anche dal punto di vista
auspicale a seguito delle ben note polemiche sulla mancanza della lex curiata. in
realtà la legge in questione non faceva altro che conferirgli una provincia consolare
e non un imperium (che in quanto console aveva già). È evidente la confusione che
regnava tra gli stessi membri della classe dirigente a proposito dei fondamenti del
potere magistratuale.
91 il sistema di attribuzione dei comandi per le province senatorie si basava,
nel principato, su una legge varata nel 27 a.c. che riproponeva quelli che dovevano
essere i contenuti della famosa lex pompeia de provinciis; i proconsoli nominati in
base a questa legge erano dei privati cum imperio e dovevano essere investiti dai
comizi. ulpiano, testimone di un’epoca in cui questo sistema era ancora sostanzialmente in vigore, riporta traccia di questo relitto arcaico in Dig. 1, 16, 1 (proconsul
ubique quidem proconsularia insignia habet statim atque urbem egressus est) e in
1, 16, 16 (proconsul portam Romae ingressus deponit imperium). nel primo caso
abbiamo un riferimento chiaro all’auspicazione con cui si inaugurava l’imperium,
proprio come nel caso di ottaviano.
92 Prodotto di questa tendenza furono le varie leggi (tra cui la lex Villia annalis) e senatusconsulta che regolarono l’accesso alle magistrature e tentarono di
porre dei limiti all’ambitio di molti uomini politici per evitare che si ripetessero
casi come quello di scipione o di t. Quinzio flaminino: cfr. scullArD, politics,
173–174; grimAl, scipions, 257; HAckl, senat, 3; DeVelin, patterns, 81–85; altra
bibliografia supra n. 38.
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supporto militare a favore di alcuni uomini politici produsse alcuni
casi senza precedenti nella storia repubblicana.
il ritorno alla concessione di imperia a dei privati, attraverso
delegazione, mandato del senato o legge, l’importanza delle azioni militari da questi portate a termine e soprattutto il nuovo peso
dell’esercito nella politica della tarda repubblica fecero finalmente
cadere il divieto di assegnazione di trionfo a questa categoria di
comandanti. il trionfo di Pompeo ex Africa in un anno non meglio
precisato tra l’81 e il 79 è il primo caso sicuro e anche quello più
eclatante93. A soli 23 anni ricevette dal senato, senza aver rivestito
nessun tipo di incarico pubblico in precedenza, un imperium pro
praetore, che esercitò in sicilia e Africa, dimostrando una capacità
militare eccezionale. Acclamato imperatore e denominato ‘il grande’ dalle sue truppe in Africa, fece ritorno a roma e celebrò, pur
senza il pieno appoggio di silla, un magnifico trionfo94. Pompeo
si trovava sempre nella condizione di privatus quando ricevette un
imperium pro consule nel 77–71 (in spagna mediante senatusconsultum) e nel 67–61 (contro i pirati in base alla lex Gabinia, quindi
93
cic. Manil. 61; liv. per. 89; gran. lic. 31 f.; Plin. nat. hist. 7, 96 (eques
Romanus, id quod ante nemo, curru triumphali revectus). sul primo trionfo di
Pompeo e la sua datazione cfr. bADiAn, servilius; cAstritius, Aureus; tWymAn,
triumph; girArDet, pompeius, 163. ci potrebbero essere due trionfi precedenti a
quello di Pompeo, ma comunque sempre da inserire negli anni 80 del i sec. a.c.,
anche se non siamo bene informati sull’origine dell’imperium dei personaggi in
questione: c. Valerio flacco, cos. 93, proconsole in gallia transalpina, ottenne
un trionfo nell’81; egli fu a capo della provincia negli anni precedenti, forse già
dall’85 (cic. quinct. 28; schol. Bob. 96 stangl; caes. bell. Gall. 1, 47, 4; grueber,
coins, ii, 388–390; brougHton, Magistrates, 58; 59 n. 3) ed è possibile che sia
trascorso un certo tempo tra il suo consolato e il suo invio in provincia. l. licinio
murena era uno dei luogotenenti di silla in oriente e si distinse nell’assedio del
Pireo e come comandante dell’ala sinistra della cavalleria nella battaglia di cheronea nell’86. lasciato al comando dell’Asia nell’84, celebrò un trionfo su mitridate
nell’81 ex praetura, secondo quanto riferisce cic. Mur. 15, ma non è escluso che
il termine usato da cicerone sia di natura non tecnica (la sua pretura dovrebbe
comunque risalire all’88/87); l’ipotesi di una delegazione di imperium da parte
di silla rimane quindi possibile (titolo di imperator sig3 745; iPriene 121 linn.
40–41; brougHton, Magistrates, 62; 64; mAgie, Asia, i, 243–245).
94 cic. Manil. 61; liv. per. 89: cn. pompeius in siciliam cum imperio a senatu
missus; non è escluso che il conferimento sia avvenuto anche attraverso una legge,
ma, per la concessione di imperia pro praetore, esistono diversi precedenti dell’assegnazione solo attraverso senatusconsultum e (probabile) delegazione consolare
(cfr. supra). girArDet, pompeius, 162 pensa, erroneamente, all’intervento di una
lex curiata. sul cognome Magnus e il suo significato cfr. Plin. nat. hist. 7, 96; Plut.
pomp. 13, 4; Ae 1957, 309; crAWforD, coinage, n. 402; WeiPPert, imitatio,
56–104; eDWArDs, pompeius; mArtin, imitatio; DAHlHeim, pompeius.
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contro mitridate in base alla lex Manilia) e nel 57–54/53 (cura
annonae in base alla lex cornelia caecilia). nei primi due casi la
sua missione si concluse con la celebrazione di un trionfo95.
un uso massiccio dei cosiddetti privati cum imperio fu introdotto
da un’importantissima riforma di Pompeo nel 52 a.c., che metteva
definitivamente in pratica un senatusconsultum del 5396. la ricostruzione del funzionamento della lex pompeia non è facile, poiché
la legge fu messa in atto per pochi anni97 e, quando Augusto ne
95 sull’imperium consulare del 77 cfr. cic. Manil. 62; phil. 11, 18; Plut. pomp.
17, 3–4; cass. Dio 36, 25, 3; 27, 4; Val. max. 8, 15, 8 (che specifica che fu mandato
pari imperio con il proconsole cecilio metello Pio); liv. per. 91 (con la definizione, di epoca imperiale, cum imperio proconsulari). Anche se non nominata dalle
fonti, è probabile ci sia stata una ratifica popolare, visto che non ci sono precedenti
di concessioni di un imperium consulare da parte del solo senato. Da escludere
la votazione di una lex curiata (postulata da girArDet, pompeius, 167 n. 150).
sull’acclamazione imperatoria cfr. brougHton, Magistrates, iii, 165. sulla lex
Gabinia e il problema della pirateria cfr. cobbAn, senate, 123–125; PoHl, piraterie, 278–280; De souzA, piracy, 149–178; seAger, pompey, 44–52; sull’imperium
di Pompeo in relazione agli altri proconsoli cfr. tHommen, Volkstribunat, 57 (sull’imperium infinitum); Vell. Pat. 2, 31, 2; cass. Dio 36, 37, 1 e la precisa analisi
di girArDet, pompeius, 172 n.173 e 173–176 che paragona lo status di Pompeo
a quello di Agrippa nel 18–13 a.c. Per una nuova considerazione del rapporto di
Pompeo con i pretori d’Asia in base alla lex Manilia cfr. girArDet, pompeius,
178–185. sulla lex cornelia caecilia cfr. cic. Att. 4, 1, 7; liv. per. 104; cass. Dio
39, 9, 3. in questo caso si trattava di un imperium aequum. i tre trionfi riportati
da Pompeo rimanevano comunque gli unici (sicuri) celebrati da un privato prima
dell’introduzione della riforma dell’amministrazione provinciale nel 52 a.c.
96 cass. Dio 40, 56, 2–3: tov te dovgma to; mikro;n e[mprosqe genovmenon,
w{ste tou;~ a[rxonta~ ejn th`/ povlei mh; provteron ej~ ta;~ e[xw hJgemoniva~,
pri;n pevnte e[th parelqei`n, klhrou`ntai, ejpekuvrwsen. oujd᾽ hj/scuvnqe tovte
me;n toiau`ta gravya~, u{steron de; ouj pollw`/ aujtov~ te th;n ∆Iberivan ej~
pevnte a[lla e[th labwvn. cfr. anche cic. fam. 8, 8, 5–7; 8, 10, 2; caes. bell. civ.
1, 6, 5. esisteva anche una disposizione transitoria che prevedeva che, prima del
regolare utilizzo dei consolari e pretori secondo le modalità della legge, le province
fossero assegnate a quegli ex magistrati che non erano andati in provincia durante
la loro carica e il cui collegio magistratuale era il più vicino cronologicamente a
quello che sarebbe dovuto partire per la provincia (cfr. cic. fam. 8, 8, 7 riguardo ai
pretorii).
97 la legge fu approvata nel 52 a.c. e fu quindi applicata alle assegnazioni
provinciali del 51, 50 e 49, anche se in quest’ultimo anno la sortitio avvenne in un
momento di panico a causa della minaccia cesariana che aveva indotto il senato
a emettere il senatusconsultum ultimum. È però verosimile che l’assegnazione si
sia verificata in modo sostanzialmente regolare (cfr. infra). sul funzionamento
della legge cfr. crook, Giovannini, 288; girArDet, Lex iulia, 292–300 di cui qui
non si condivide la posizione a proposito dell’applicazione della legge alle sole
province pretorie, formulata per primo da gioVAnnini, imperium, 116–117; contra
ferrAry, pouvoirs, 105–108.
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rimise in vigore le norme, la funzione del popolo era ormai decisamente marginale e quindi incapace di attirare le attenzioni degli
storiografi del periodo. sappiamo che tutti i governatori provinciali
sarebbero stati scelti tra privati cittadini che avessero rivestito la
pretura o il consolato da almeno cinque anni. lo scopo di questa
legge fu disputato anche nell’antichità: la motivazione ufficiale pare
che fosse quella di impedire ai candidati al consolato di speculare
sulle ricchezze che sarebbero derivate dall’imminente governo provinciale per promuovere la propria campagna elettorale98. cesare lo
considerava un espediente per privarlo del suo comando straordinario nelle gallie, che era una diretta conseguenza del suo imperium
consulare rivestito nel 5999. tra le altre motivazioni avanzate si può
menzionare quella di rendere più flessibile il sistema di assegnazione, permettendo di fronteggiare meglio le esigenze militari100.
Questa legge però non doveva per nulla limitare il potere dei consoli
in carica al solo pomerium. essi potevano ancora essere inviati a
discrezione del senato laddove lo si ritenesse più opportuno per il
bene dello stato. essendo ora i consoli dispensati dalla routine del
governo provinciale era evidente che l’assegnazione di questi compiti non fu più anteriore ai comizi consolari né immune dal diritto
di veto dei tribuni della plebe101.
98
cass. Dio 40, 30, 1; 46, 2; 56, 1.
caes. Bell. civ. 1, 85, 9: omnia haec iam pridem contra se parari; in se
novi generis imperia constitui, ut idem ad portas urbanis praesideat rebus et duas
bellicosissimas provincias absens tot annis obtineat; in se iura magistratuum commutari, ne ex praetura et consulatu, ut semper, sed per paucos probati et electi in
provincias mittantur. tAylor, politics, 151, spiega come questo avrebbe impedito
a cesare, se eletto al consolato per il 49, di mantenere un comando provinciale,
rendendolo vulnerabile agli attacchi della parte avversaria. Per il significato di ex
praetura e ex consulatu cfr. gioVAnnini, imperium, 79–80.
100 Questa motivazione sarebbe stata influenzata dalla disfatta di carre dello
stesso anno. i problemi con Daci e Parti avrebbero, secondo ADcock, Lucca,
627–628, mostrato l’inadeguatezza del sistema di nomina graccano.
101 giustamente ferrAry, pouvoirs, 106–107 ha ribadito come le fonti non
escludano le province consolari dalla lex pompeia, ma, anzi, mostrino il contrario:
la discussione in senato del 29 settembre 51 riportata da cic. fam. 8, 8, 5–6 dimostra che la discussione de provinciis consularibus fu posteriore alle elezioni consolari e che la mancata intercessione da parte dei tribuni era dovuta semplicemente
al fatto che in quella sede si decise di rimandare l’assegnazione al marzo dell’anno
successivo. l’ostruzionismo dei tribuni della plebe nel 50 impedì al senato di inviare i successori dei due consolari cicerone e calpurnio bibulo, con il risultato che
per quell’anno cilicia e siria furono rette rispettivamente dal quaestor pro praetore
c. celio caldo (cic. fam. 2, 15, 4; Att. 6, 6, 3–4; 7, 1, 6; brougHton, Magistrates,
250) e dal legatus pro praetore fabricio Veientone (cic. Att. 7, 35, 5; 4, 17, 3;
99
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la nostra migliore fonte di informazioni sulle modalità di nomina dei nuovi governatori provinciali, ora giustamente definibili
‘proconsoli’, è l’epistolario di cicerone riguardo al suo governo in
cilicia nel 51–50 a.c., assegnato in base ai criteri della nuova legge.
l’anno in cui cicerone ricevette l’incarico doveva essere compreso
in un periodo di transizione, per cui, in attesa di avere a disposizione per la prima volta ex consoli che non avessero mai ricoperto
un governo provinciale nei cinque anni successivi alla fine della
magistratura, il senato preferì inviare quei consolari che avevano
rinunciato a partire per una provincia durante il loro mandato102.
cicerone dice di essere stato inviato in provincia in base a due provvedimenti, una lex e un senatus consultum, passati probabilmente
all’inizio dell’anno di consolato di m. claudio marcello (51 a.c.)
a cui si riferisce nella lettera che menziona i due atti103. il senatus
consultum riguardava la nomina da parte del senato che doveva
decidere quali province affidare agli ex magistrati in base alla regolamentazione della lex pompeia. soprattutto in questo periodo in
cui la legge non era ancora entrata nella sua completa funzionalità
potevano sorgere delle discussioni riguardo a chi fosse più adatto ad
essere inviato in provincia e il decreto del senato dovette riflettere
questi dibattiti. Dopo la decisione dell’assemblea era necessario che
il nuovo governatore ricevesse dal popolo l’imperium consulare e
a questo si riferisce il termine lex usato da cicerone. Anche se non
sappiamo di fronte a quale assemblea si svolse la votazione, possiamo congetturare ragionevolmente che il console marcello riunì i
brougHton, Magistrates, 253). se la lex sempronia fosse rimasta in vigore, l’assegnazione delle province consolari sarebbe rimasta inappellabile. Per il resto le
altre province furono assegnate a pretorii (provinciae, quas praetorii pro praetore
obtinerent). All’inizio del 49 un s.c. ultimum impedì ai tribuni di continuare il loro
ostruzionismo e le province furono assegnate a consolari e pretorii (cfr. caes. bell.
civ. 1, 6, 5: provinciae privatis decernuntur, duae consulares, reliquae praetoriae).
Q. cecilio metello Pio scipione nasica (cos. 52) fu mandato in siria, mentre cn.
Domizio enobarbo (cos. 54) fu mandato in gallia. Anche tra i pretorii di cui riusciamo a ricostruire la carriera si vede che la legge fu rispettata: A. Plauzio (pr.
urb. 51) andò in bitinia e Ponto, mentre la sicilia toccò a catone (pr. 54). Per le
fonti cfr. brougHton, Magistrates, 259–264. Probabilmente, vista l’emergenza, si
fece a meno del sorteggio. Per ulteriore discussione cfr. la bibliografia supra; per
la questione dei consoli e del loro imperium militiae cfr. infra.
102 cfr. supra n. 96.
103 cic. ad Fam. 15, 9, 2: unum vero si addis ad praeclarissimas res consulatus
tui, ut aut mihi succedat quam primum aliquis aut ne quid accedat temporis ad id,
quod tu mihi et senatus consulto et lege finisti, omnia me per te consecutum putabo.
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comizi centuriati per far votare una lex de imperio che dava all’Arpinate, semplice privato, il potere per governare effettivamente la
provincia104. nella legge si doveva specificare la natura, la durata e i
limiti territoriali della missione. il governatore, a seconda del rango,
riceveva un imperium pro consule o pro praetore che significava
che avrebbe governato la provincia con un potere pari a quello di
un console o di un pretore.
la riforma di Pompeo portava una grande modernizzazione a
roma, ancora abituata a impiegare le magistrature della città-stato
per governare il suo vasto impero mediterraneo. Dalla riforma sillana la pretura era stata completamente assorbita dalla presidenza
delle quaestiones giudiziarie e l’accresciuta competenza in campo
legislativo del consolato aveva costretto questi magistrati a lasciare
la città per partire per le proprie province sempre più tardi nel corso
dell’anno. consoli come cesare poi, per la necessità di controllare
la vita politica della capitale non si mossero mai e non assunsero
comandi provinciali se non dopo la conclusione del periodo di servizio. scorporare così la suprema magistratura dello stato dal governo ordinario di una provincia, affidato ora a consolari ritornati alla
vita privata da almeno cinque anni, poteva servire, tra l’altro, a dare
maggiore flessibilità e prestigio proprio al consolato. l’impiego dei
supremi magistrati sarebbe stato solamente richiesto nei momenti e
nei luoghi dove il senato avesse visto una grave necessità e quindi
non sarebbe stato più riservato all’amministrazione di province che,
pur esigendo un comandante militare, non avevano bisogno altro
che di un semplice controllo. non si escludeva quindi la possibilità
che a fianco delle tradizionali province consolari, ora affidate a
ex magistrati, si potessero creare altre provinciae particolarmente
importanti da riservare ai consoli in carica. i compiti affidati ai
consoli sarebbero per questo risultati anche più prestigiosi, visto
che quelli di routine erano affidati ai consolari e non è escluso
che Pompeo volesse restringere ai soli consoli l’assegnazione dei
cosiddetti comandi straordinari105. nell’intento di Pompeo è proba104 Questa legge non poteva essere una lex curiata, come pensa ADcock, Lucca,
629. Per l’argomentazione cfr. supra.
105 la lex pompeia non introduceva la supposta separazione, di mommseniana
memoria (mommsen, staatsrecht, ii, 94–95), tra imperium domi e militiae, né
confinava i consoli al solo ambito urbano (cfr. chiaramente girArDet, Lex iulia,
293–296; girArDet, entmachung, 91; ferrAry, pouvoirs, 102). i consoli rimanevano sempre in possesso di tutte le loro prerogative e avrebbero ancora potuto
usarle. essi avevano sempre assunto un comando provinciale in base a decreti del
senato e leggi: dispensando i magistrati dall’ordinaria amministrazione provinciale
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bile che ci fosse anche il ristabilimento dell’annualità nei governi
provinciali. la scelta dei governatori tra gli ex magistrati poteva
fornire nuove risorse umane per il superamento definitivo della
pratica della proroga, necessaria e utilizzata largamente soprattutto
durante il i sec. a.c.
Al di là quindi delle motivazioni strettamente contingenti, come
quella di evitare la corruzione oppure quella di creare degli intralci
a cesare allora in gallia, sembra che la legislazione di Pompeo si
possa ben inquadrare in quella tendenza ad ammodernare lo stato
e rendere l’amministrazione più congrua all’estensione dei domini
di roma perseguita anche in seguito da cesare. nello stesso tempo
si tentava anche di ristabilire alcuni dei principi della tradizione
repubblicana, quali la preminenza politica e militare dei consoli,
schiacciata dall’utilizzo dei comandi straordinari, e la successione
annuale dei magistrati, anche nel campo del governo provinciale.
gli studiosi che ritengono che i proconsoli nominati in questo
modo (quindi principalmente tutti quelli dell’epoca del principato)
non avessero l’auspicium, si basano soprattutto su due famosi passi
di cicerone:
div. 2, 77: bellicam rem administrari maiores nostri nisi auspicato
noluerunt; quam multi anni sunt, cum bella a proconsulibus et a propraetoribus administrantur, qui auspicia non habent.
nat. deor. 2, 9: tum enim bella gerere nostri duces incipiunt, cum auspicia posuerunt.
cicerone era un augure molto ben informato, come anche il già
citato Valerio messalla che nei suoi commentari scriveva, del tutto
coerentemente col pensiero ciceroniano, de caelo auspicari ius
era ovvio che il loro impiego diventasse un fatto più raro ed eccezionale, legato a
situazioni di particolari difficoltà. nel 50 si pensò di mandare i consoli in siria per
supplire al vuoto lasciato dalla partenza di bibulo e per scongiurare un attacco dei
Parti (cic. fam. 8, 10, 2) e nel 49 anche i consoli furono impiegati nella difesa della
repubblica contro cesare (brougHton, Magistrates, 256). Alquanto straordinario,
ma sempre conforme alla legge, il governo delle spagne rinnovato al console sine
collega Pompeo nel 52 (cass. Dio 40, 56, 2 cit. supra n. 96). se questa visione si
dimostrasse corretta si vedrebbe nell’intento di Pompeo proprio quello della formazione di una specie di principato imperniato sulla lotta politica tra un ristretto
numero di nobiles che avrebbero fondato il loro prestigio sulle azioni compiute
durante il consolato, lasciando agli altri senatori solo l’ordinario mantenimento
delle province.
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nemini sit praeter magistratum106. Da queste fonti sembrerebbe ben
attestata un’incapacità auspicale dei privati cum imperio, semplicemente ignorata dalla negligenza religiosa dei politici della tarda
repubblica. inserendo i due passi ciceroniani nel loro contesto si
vede come essi non sono che una parte delle lamentele contro la
scarsa importanza attribuita alle auspicazioni, anche sul piano semplicemente privato.
l’arpinate si fa qui rappresentante di una visione ultraconservatrice, simile a quella di messalla, ma anche a quella che espressero i
consoli del 187 a.c. m. emilio lepido e c. flaminio che, contrariati
per la proroga dei loro predecessori in grecia, li accusarono di essere dei semplici privati e quindi non legittimati a esercitare un imperium107. Poiché la loro magistratura era scaduta, essi avevano perso
la possibilità di prendere gli auspici all’interno del pomerio, cioè di
rappresentare davanti agli dei la comunità cittadina. Per l’originaria
dottrina augurale non potevano esistere deviazioni come la prorogatio, la delega o il conferimento di imperium a privati mediante
votazione popolare. l’auspicium era una capacità che era collegata
solamente con la magistratura (da qui il precetto di messalla).
D’altra parte l’originaria magistratura e il suo potere (l’auspicium)
erano altrettanto strettamente legate con l’unica assemblea popolare della repubblica primitiva: i comizi curiati. le innovazioni che
abbiamo analizzato nelle pagine precedenti mostrano come questo
legame originario si sia venuto a disfare e si sia creato un sistema
alternativo, basato su una capacità popolare di conferire i poteri e
il principio della trasmissione personale da parte dei magistrati. il
risultato di queste nuove forme di potere era qualcosa di differente dalla magistratura e quindi senza riferimento alla lex curiata.
Quest’ultima è attestata, nelle nostre fonti, sempre ed esclusivamente in collegamento con le magistrature ordinarie e il suo utilizzo per
la giustificazione di imperia diversi da quelli magistratuali rimane
solo un’ipotesi degli storici moderni 108.
106
Varr. Antiquit. rer. hum. et div. fr. 84 (non. 92, 8).
episodio già menzionato supra.
108 la connessione esclusiva che questa legge aveva con la magistratura era
ben presente anche agli esperti del diritto augurale che avevano consigliato rullo
nella sua rogatio agraria del 63, cui cicerone si oppose così duramente. il progetto
prevedeva la creazione di una nuova magistratura che, pur eletta anche con il voto
di sole 17 tribù dei concili plebei, sarebbe stata convalidata da una lex curiata. un
tale procedimento non era conforme a quello previsto per le normali magistrature
e infatti cicerone obiettò prima di tutto iam hoc inauditum et plane novum, uti
107
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i richiami di cicerone vanno intesi come riferiti agli auspici che
erano propri dei magistrati urbani. la critica è rivolta al continuo uso
della proroga e al fatto che sempre più spesso i consoli si riducevano a partire per le province loro assegnate a ridosso della scadenza
della magistratura, quando si depongono gli auspicia urbana109.
nonostante l’opinione conservatrice di cicerone, magistrati prorogati
e privati cum imperio continuavano a godere di uno statuto auspicale
perfettamente regolare. i proconsoli erano da considerare dei privati,
ma secondo cicerone. Questa era un’opinione personale, condivisa
anche da altri senatori, ma non rispecchiava la realtà costituzionale,
stabilita dai molti casi precedenti. un privato che aveva ricevuto un
imperium consolare o pretorio, per esserne in pieno possesso, non
poteva fare altro che attivarlo mediante un’auspicazione. non era possibile per nessuno, magistrato o privato, possedere un imperium senza
curiata lege magistratus detur qui nullis comitiis ante sit datus (leg. agr. 2, 26,
1). nell’ottica ciceroniana, e nella communis opinio di allora, l’elezione avveniva
davanti alle centurie o alle tribù, mentre le curie erano rimaste collegate solo con
il conferimento dell’auspicium. c’era bisogno di entrambe queste fasi, una sola
non era sufficiente. la giustificazione della proposta del tribuno, invece, doveva
fondarsi su una concezione della lex curiata come vero mezzo della creazione
della magistratura, a prescindere dall’assemblea che l’avesse designata. si trattò
di un ragionamento che tentava di estrarre dei principi costituzionali dalla pratica
elettorale della tarda repubblica, ma che non rispecchiava la realtà dell’inizio della
repubblica (cfr. per una concettualizzazione simile il capitolo de iure triumphandi
in Val. max. 2, 8). Vicino alle idee espresse da rullo doveva essere anche il già
citato augure messalla, autore della frase minoribus creatis magistratibus tributis
comitiis magistratus, sed iustus curiata datur lege (cfr. supra), mentre tra i moderni possiamo annoverare principalmente mAgDelAin, Recherches. il funzionamento
della res publica romana si basava principalmente sulla tradizione e non su principi generali e può essere pericoloso estrapolare da cic. leg. agr. 2, 30 (consuli,
si legem curiatam non habet, attingere rem mlitarem non licet) che i privati cum
imperio necessitavano di una legge curiata per trionfare. Questa affermazione va
legata solo ai consoli, perché la lex curiata riguardava solo i magistrati. ulteriori e
simili spunti sono offerti dallo scandalo di Appio claudio Pulcro e dalla questione
dell’intercessione tribunizia alla lex (cic. ad Att. 4, 18, 4; ad fam. 1, 9, 25; ad.
quint. 3, 2, 3; cfr. supra). Vedi anche il caso del tentativo del senato in esilio a
tessalonica di far eleggere i consoli prima della battaglia di farsalo, naufragato
perché i consoli del 49 non avevano ricevuto l’investitura delle curie e quindi non
si sentivano legittimati a nominare i propri successori (cass. Dio 41, 43, 3).
109 ovviamente l’auspicium dei magistrati era unico, esercitato sia all’interno,
sia all’esterno del pomerium, ma allo scadere della magistratura non era più possibile per chi avesse ricevuto una proroga (e quindi era sempre in possesso di un
auspicium) compiere quelle azioni caratteristiche della magistratura che potevano
avvenire solamente all’interno del pomerium e quindi costituivano un gruppo di
auspicazioni a sé stante. cfr. supra n. 12.
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auspicium, poiché senza l’approvazione divina, verificata mediante l’auspicazione, non era possibile esercitare nessun imperium.
molti studiosi considerano corretta l’opinione di cicerone e
desumono che nessuno, a parte i magistrati, possedesse l’auspicium.
magistrati prorogati e privati cum imperio eserciterebbero quindi il
loro potere senza il diritto di prendere gli auspici, ma questa situazione costituirebbe un’assurdità per il diritto augurale. cicerone era
un augure con un’ottima conoscenza della tradizione e quindi dobbiamo trarre tutte le conseguenze che sono contenute nelle sue parole. se solo i magistrati avevano l’auspicium, questo comportava che
le altre categorie di possessori di imperium non potevano esistere.
un’applicazione del pensiero ciceroniano avrebbe quindi riportato
la situazione presente prima del 326 a.c., ma questo era impossibile
data la vastità dell’impero e doveva essere chiaro sia a cicerone sia
ai suoi contemporanei. nella realtà, i magistrati prorogati e i privati
cum imperio avevano l’auspicium, altrimenti non avrebbero potuto
esercitare alcuna autorità. oltre alle fonti riportate nelle pagine precedenti, è la loro stessa esistenza a darne una conferma.
la lex pompeia inseriva nella regolare amministrazione dell’impero ciò che fino a quel momento era stato considerato una misura
straordinaria, creando di fatto una nuova categoria di funzionari
pubblici, con poteri del tutto equivalenti a quelli di consoli o pretori
in ambito militare e, dopo il caso dello stesso Pompeo, anche abilitati al trionfo. Questo faceva sicuramente storcere il naso ai tradizionalisti, ma i numerosi precedenti fornivano una giustificazione
accettabile e rendevano la pratica perfettamente costituzionale.
3. Auspiciis imperatoris ductu proconsulis.
Augusto rimise in vigore la legge di Pompeo che suo padre aveva
dismesso: è quindi con questa categoria di proconsoli che il nuovo
principe collaborò nella gestione dell’impero110. essi potevano
però costituire anche una potenziale minaccia alla sua supremazia
politica, soprattutto nella fase in cui si andavano ancora elaborando
quegli assetti costituzionali che avrebbero dato una maggiore stabilità al ruolo dell’imperatore.
110 Augusto dovette promulgare una lex iulia che si ispirava quasi totalmente
a quella di Pompeo, tranne nel fatto che ora anche i governatori pretorii venivano
mandati in provincia con il titolo di proconsules. come discusso in precedenza (cfr.
supra) quest’atto non doveva restringere la sfera di attività consolare alla sola città
di roma.
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Dal punto di vista auspicale niente impediva che i proconsoli
avessero ancora la possibilità di condurre campagne suis auspiciis
come avveniva anche sotto il triumvirato111 e questo è confermato
dai trionfi riportati da m. licinio crasso e m. Valerio messalla nel
27, da sex. Appuleio nel 26, da l. sempronio Atratino nel 21 e da
l. cornelio balbo nel 19112. stando a questi fatti è da escludere che
qualcosa sia cambiato nel 23, quando Augusto, avendo rinunciato al
consolato e ai vantaggi che ne derivavano, ottenne che il suo imperium consulare fosse maggiore di quello dei governatori senatori
delle province in cui si recava e venne dispensato dalla regola del
pomerium113. la data dell’ultimo trionfo venne però a coincidere
con un altro importante avvenimento, cioè quello dell’assegnazione
ad Augusto di una non meglio definita ejxousiva tw`n uJpavtwn,
del privilegio di essere sempre accompagnato dai littori ovunque
si trovasse e di poter sedere tra i consoli in carica. lo stesso anno
Agrippa, di ritorno dalle sue campagne in Hispania (che aveva
condotto con un imperium indipendente da quello di Augusto), non
volle celebrare il trionfo che il senato e, almeno apparentemente,
111 in generale cfr. scHumAcHer, Akklamationen, che ha avuto il grande merito
di dimostrare come le acclamazioni imperatorie dei triumviri derivassero solamente da operazioni condotte da loro stessi o dai loro legati e non dai proconsoli che,
pur essendo da loro nominati, continuavano ad avere un imperium autonomo.
112 cil i2 p. 50 e 77; inscrit Xiii 1 p. 86–87 e 344–45; bAlbuzA, siegesideologie, 296–297 con elenco di trionfatori, ovantes e possessori di ornamenta triumphalia sotto Augusto.
113 Questa deduzione è effettuata da ferrAry, pouvoirs, 130–141 in base alla
posizione di germanico rispetto ai governatori delle province orientali espressa dal
senatusconsultum de cn. pisone patre (eck, cAbAllos, fernánDez, senatusconsultum, llnn. 33–36) che conferma come non esistesse ancora a quel tempo un concetto di imperium maius in senso assoluto, ma solamente in relazione ad un altro,
come esprime anche l’uso del comparativo invece del superlativo maximum. A
proposito vedi bArnes, tacitus, 144. contra girArDet, imperium, 219–227 pensa
che invece la situazione di germanico fosse un caso particolare, una concessione
fatta da tiberio stesso, il cui imperium, in teoria, era ancora senza nessuna specificazione di superiorità rispetto a quello dei proconsoli. l’opinione del ferrary è
più coerente anche con l’affermazione di cass. Dio 53, 32, 5; 54, 28, 1 riguardo
alla concessione ad Augusto di un potere maggiore di quello dei governatori
provinciali, che può essere vista come una teorizzazione a posteriori, influenzata
anche dalla situazione del iii secolo. giusta anche l’osservazione di mcfAyDen,
princeps, 36–37 che collega il provvedimento con il viaggio di Augusto in sicilia
e in oriente dal 22 al 19. il rapporto tra tiberio e germanico nel menzionato s.c.
però mostra come il potere dell’imperatore sia definito maius rispetto a quello del
figliastro in maniera generale, senza nessuna specificazione territoriale, cosa che
poi si evolverà nella definizione ulpianea praeses provinciae maius imperium in ea
provincia habet omnibus post principem (Dig. 1, 18, 4; ferrAry, pouvoirs, 137).
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anche Augusto volevano concedergli. l. cornelio balbo rimase
quindi l’ultimo trionfatore della lista fatta incidere da Augusto
sull’arco che commemorava, nel foro, la restituzione delle insegne
perse da crasso contro i Parti114.
Da quel momento solamente i membri della domus Augusta
ebbero il privilegio di trionfare, mentre proconsoli e legati dovettero
accontentarsi al massimo degli ornamenta triumphalia. un’ulteriore
innovazione sembra fu introdotta nel rapporto con i proconsoli a
capo delle province pubbliche, gli unici ancora in possesso di un
imperium autonomo e non delegato dall’imperatore. in alcuni casi
siamo informati del fatto che essi combatterono sotto gli auspici
dell’imperatore, perdendo quindi a priori la possibilità di celebrare
un trionfo. Di fronte a questa innegabile gestione quasi monopolistica della vittoria e degli onori che ne derivavano, molti storici
moderni si sono chiesti se questi fatti non rispondessero anche a
una qualche innovazione costituzionale che avrebbe per sempre
tolto ai governatori provinciali la possibilità di poter condurre delle
campagne militari suis auspiciis, riservando questa possibilità solo
all’imperatore e alla sua famiglia115.
114 il grande valore simbolico di questa lista era direttamente collegato al foro
di Augusto e alla serie di ritratti e elogia dei viri triumphales della repubblica. con
il compimento di questo grande progetto propagandistico, Augusto si poneva come
sintesi e culmine della serie dei grandi generali romani, riprendendone anzi l’origine, avendo celebrato un triplice trionfo come il fondatore della città, romolo.
tra la nutrita bibliografia sulla questione cfr. syme, Revolution, 449–450; 470–71;
DegrAssi, Virgilio; brAccesi, Fasti; zAnker, Bilder, 111–118; Hickson, triumphator, 126–127; cHioffi, elogia; sPAnnAgel, exemplaria, 245–250; kienAst,
Augustus, 408ss ; bAlbuzA, siegesideologie, 286–288; scott, Arch; itgensHorst,
Augustus, 449–457;
115 Prime tracce di un’ipotesi di monopolizzazione degli auspicia da parte dell’imperatore si trovano in gAgé, Romulus, 166–167; gAgé, Victoria, 1–35; gAgé,
théologie, 2–11 che collega il fatto al conferimento del nome di Augustus. mommsen, staatsrecht, i, 101, pur senza sviluppare una teoria monopolistica, si basa
su una cattiva interpretazione di cic. div. 2, 76 e nat. deor. 2, 9 (discussi supra) e
conclude che essi non disponessero degli auspici. similmente mAgDelAin, Recherches, 55–56 (che però mantiene una posizione inspiegabilmente intermedia); gioVAnnini, imperium, 43–44; 77–79; ricH, spolia, 102–103; itgensHorst, Augustus,
452 (solo un accenno); Hurlet, Auspices, 159–161; 169–80 che, partendo dai due
passi ciceroniani, propone per primo una completa teoria sul monopolio auspicale.
Di una ‘neutralizzazione’ degli auspici dei proconsoli parla invece in JAcQues,
scHeiD, empire, 120–121 e scHeiD, Religion, 100–101. sottolineano l’accentramento imperiale a spese dei proconsoli rüPke, Domi militiae, 241; PAni, politica,
243–244; una motivazione puramente politica è difesa da eck, self-Representation, 139 e eck, Augustus, 59. cfr. anche kneissl, siegestitulatur, 24–25.
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la risposta a questa domanda non è immediata ed è impossibile
da dare senza tenere conto della vicenda degli auspicia delineata
nelle pagine precedenti, ma innanzitutto bisogna tenere a mente
che, dopo il 19, per un proconsole le occasioni di distinguersi sul
campo di battaglia erano diventate rarissime. già nel 10 a.c. le
legioni in Pannonia e in macedonia vennero tolte ai proconsoli e
affidate a legati di Augusto: nel primo caso con il passaggio della
provincia al controllo imperiale e nel secondo con lo spostamento
delle truppe in mesia sotto il comando di un legato imperiale116. le
truppe della legione iii Augusta stanziate in Africa rimasero sotto il
controllo del senato solamente fino al 39 d.c., anno in cui caligola
le affidò a un legato di sua nomina. si vede quindi che la ragione è
prima di tutto pratica, ma comunque non è possibile ignorare il fatto
che, tra il 19 a.c. e il 39 d.c., cinque proconsoli d’Africa ottennero
gli ornamenti trionfali con azioni che, se fossero state compiute
qualche tempo prima, avrebbero probabilmente meritato un trionfo.
conviene quindi riprendere e analizzare tutte le fonti possibili per
chiarire quali aspetti costituzionali fossero collegati a questo monopolio fattuale del trionfo da parte del principe e dei suoi famigliari.
Due testimonianze ci informano sul fatto che campagne militari
in Africa furono condotte sotto gli auspici dell’imperatore e semplicemente ductu proconsulis. Questo avvenne nel bellum Gaetulicum
condotto da cosso cornelio lentulo nel 6–8 d.c. di cui ci informa
un’iscrizione di leptis magna che riporta la formula auspiciis
imp(eratoris) caesaris Aug(usti) / pontificis maxumi patris /
patriae ductu cossi Lentuli / co(n)s(ulis) XVviri sacris faciundis /
proco(n)s(ulis)117. Anche cass. Dio 55, 28, 1–5 narra della vittoria
di cosso sui getuli e la inserisce nel contesto delle rivolte che scoppiarono in varie parti dell’impero, spingendo il senato a lasciare ad
Augusto la nomina extra sortem di tutti i proconsoli, che sarebbero
rimasti in carica per il biennio successivo118. Analogamente le cam116
cass. Dio 53, 12, 7; 54, 4, 1.
irt 301 = Ae 1940, 68: Marti Augusto sacrum / auspiciis imp(eratoris)
caesaris Aug(usti) / pontificis maxumi patris / patriae ductu cossi Lentuli /
co(n)s(ulis) XVviri sacris faciundis / proco(n)s(ulis) provincia Africa / bello Gaetulico liberata / civitas Lepcitana.
118 cass. Dio 55, 28, 1–2: kajn toi`~ aujtoi`~ touvtoi~ crovnoi~ kai; povlemoi
polloi; ejgevnonto. kai; ga;r lh/stai; sucna; katevtrecon, w{ste th;n Sardw;
mhd’ a[rconta bouleuth;n e[tesiv tisi scei`n, ajlla; stratiwvtai~ te kai;
stratiavrcai~ iJppeu`sin ejpitraph`nai: kai; povlei~ oujk ojlivgai ejnewtevri
zon, w{ste kai; ejpi; duvo e[th tou;~ aujtou;~ ejn toi`~ tou` dhvmou e[qnesi, kai;
aiJretouv~ ge ajnti; tw`n klhrwtw`n, a[rxai: ta; ga;r tou` Kaivsaro~ kai; a[llw~
117
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pagne contro tacfarinas condotte da giunio bleso nel 21–23 furono
portate a termine sotto gli auspici dell’imperatore tiberio, come
tramanda Vell. 2, 129, 4 (Magni etiam terroris bellum Africum
et cotidiano auctu maius auspiciis consiliisque eius [scil. tiberii
caesaris] brevi sepultum est). il proconsole in questione era stato
scelto extra sortem, in quanto il sorteggio per la provincia d’Africa
era stato sostituito da una scelta diretta che il senato effettuò tra i due
candidati che gli erano stati proposti dall’imperatore119. in maniera
del tutto simile, nel 44–46, galba fu mandato nella stessa provincia
con poteri straordinari, anche sopra la legione iii Augusta, normalmente affidata ad un legato imperiale a quel tempo120. in suet. Gal.
7, 1 si dice chiaramente Africam pro consule biennio optinuit extra
sortem electus e la sua missione ebbe un successo tale da fargli attribuire gli ornamenti trionfali. non sappiamo se galba combattesse
sotto gli auspici di claudio, anche se la cosa rimane molto probabile, visto che in quel periodo l’imperatore guadagnò un’ulteriore
acclamazione imperatoria121.
Alcuni studiosi hanno voluto collegare questi fatti con i passi
ciceroniani riguardanti la validità degli auspicia di proconsoli e
propretori122. interpretando questi passi nel senso di un’incapacità
ejpi; pleivw crovnon toi`~ aujtoi`~ prosetavtteto. [...] kai; Gaivtouloi tw`/ te
∆Iouvba/ tw`/ basilei` ajcqovmenoi, kai; a{ma ajpaxiou`nte~ mh; ouj kai; aujtoi;
uJpo; tw`n ÔRwmaivwn a[rcesqai, ejpanevstesan aujtw`/, kai; thvn te provscwron
ejpovrqhsan kai; sucnou;~ kai; tw`n ÔRwmaivwn ejpistrateuvsantav~ sfisin
ajpevkteinan, tov te suvmpan ejpi; tosou`ton ejphuxhvqhsan w{ste Kornhvlion
Kovsson to;n katergasavmenovn sfa~ timav~ te ejpinikivou~ kai; ejpwnumivan
ajp’aujtw`n labei`n.
119 tac. ann. 3, 32–35.
120 tac. hist. 4, 48; cass. Dio 59, 20, 7.
121 kienAst, Kaisertabelle, 91; mAttingly, coinage, i, 125 nr. 116–121. non
sembra plausibile poter connettere l’acclamazione con la semplice annessione della
tracia al novero delle province romane dopo l’assassinio del re remetalce iii. A.
Didio gallo, governatore di mesia e incaricato di prendere possesso della nuova
provincia, incontrò qualche resistenza, ma nulla che giustificasse un’acclamazione
imperatoria. egli però ricevette gli ornamenti trionfali per la piccola guerra contro
il re mitridate del bosforo conclusasi con l’installazione di cotys sul trono. Questi
fatti sono posti nel 45–46, ma non sappiamo con sicurezza se non che avvennero
prima del 49, come risulta da tac. Ann. 12, 15. non sarebbe quindi azzardato ipotizzare che l’undicesima acclamazione imperatoria sia da attribuire alla spedizione
di galba in Africa, mentre la dodicesima, registrata nel 46–47, toccherebbe allora
al bellum Mithridaticum di Didio gallo. A proposito di gallo vedi Pir2 D70 e cil
iii 7247 con commento.
122 cfr. supra. bibliografia supra. n. 109.
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auspicale dei magistrati prorogati (e dei privati cum imperio anche
se non esplicitamente menzionati), hanno concluso che alla base del
loro imperium esisteva un vizio di forma e che Augusto si sarebbe
appellato a questo fatto per impedire che essi ricevessero un trionfo.
il primo utilizzo politico di questo espediente formale sarebbe stato
compiuto nei confronti del proconsole m. licinio crasso (cos. 30,
procos. 29–27), per impedirgli di depositare le spolia opima nel
tempio di giove feretrio123. in seguito, nel 19 a.c., ci sarebbe stato
un giro di vite da parte di Augusto che avrebbe, sempre sulla base
di questa mancanza di auspicia da parte dei proconsoli, fatto passare
un’interpretazione rigorista, togliendo definitivamente ai governatori delle province pubbliche la possibilità di trionfare124. egli sarebbe
rimasto, nella pratica, l’unico in grado di esercitare un comando suis
auspiciis, poiché i consoli rimanevano ormai confinati a roma per
i pochi mesi del loro incarico125. nelle pagine precedenti abbiamo
dimostrato che sia i magistrati prorogati, sia i privati cum imperio
godevano di uno statuto auspicale regolare e che i passi ciceroniani
vanno interpretati come l’espressione di un punto di vista conserva123 le spolia opima potevano essere dedicate solamente da chi avesse ucciso
in battaglia il generale nemico. nella storia di roma questo era toccato solamente
a romolo, A. cornelio cosso nel 437 a.c. e m. claudio marcello nel 222 (fonti
riguardo ai tre dedicatari in ricH, spolia, 85 n. 81). m. licinio crasso uccise con
le proprie mani Deldone, re dei bastarni, ma cass. Dio 51, 24, 4 dice che non
potè dedicare le spolia opima perché non era in possesso di un comando supremo
(ka]n ta; skuvla aujtou` tw`/ Feretrivou Dii; wJ~ kai; ojpi`ma ajnevqeken, ei[per
aujtokravtwr strategov~ ejgegovnei). Da questo passo alcuni studiosi hanno
voluto inferire che egli non avesse gli auspici (sempre in collegamento con i passi
ciceroniani sopra discussi: cfr. DessAu, Livius, 145; keHne, Drusus, 200; Hurlet,
Auspices, 164–166), ma abbiamo dimostrato che i proconsoli, in quanto privati
cum imperio, avevano gli auspicia, tanto che m. licinio crasso ottenne il trionfo
(inscrit Xiii 1, 86–87; 344–45; 571). una motivazione giuridica (sempre che se
ne debba cercare per forza una: cfr. ricH, spolia, 106–109) sarebbe piuttosto da
cercare nella notizia che fornisce liv. 4, 20, 5–7 da cui sappiamo che Augusto,
ispezionando il tempio di giove feretrio in vista di un restauro, verificò che al
momento della dedica delle spolia opima cosso era console. in quanto anche m.
claudio marcello era console al momento della dedica, Augusto avrebbe obiettato
a crasso che solo i consoli potevano ricevere questo onore; cfr. syme, Revolution,
308–310; syme, Livy, 44. Per alcuni contributi recenti alla questione cfr. licA,
Akklamation; krAfft, cossus; mAffi, opima spolia; floWer, tradition; DettenHofer, Herrschaft, 70–72; rocco, crasso.
124 cfr. in particolar modo Hurlet, Auspices, 173–174.
125 cfr. girArDet, entmachung, la sola esauriente analisi sulla questione, anche
se non se ne condivide l’ipotesi di restrizione formale dell’imperium dei consoli
alla sola sfera cittadina a partire dal 19 a.c.; cfr. infra, n. 166.
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tore, nostalgico di un rispetto della tradizione augurale scomparso
ormai da tempo. essi non possono essere utilizzati per dedurre un
vizio di forma alla base del potere dei governatori provinciali. È
quindi necessario abbandonare l’idea di una variazione definitiva in
base a una legge e pensare a delle misure ad hoc per chiarire il motivo per cui, pur godendo di una posizione di completa autonomia dal
potere imperiale, ci sono almeno due casi (probabilmente tre) in cui
il proconsole d’Africa combattè sotto gli auspici dell’imperatore,
pur senza diventare in alcun modo un suo legatus pro praetore. non
fu una riforma costituzionale a costringere cosso cornelio lentulo
a combattere sotto gli auspici di Augusto, bensì una decisione del
senato per fare fronte alla forte ondata di ribellioni che si scatenò tra
il 6 e il 9 d.c. la più grave insanguinò l’illirico e costrinse tiberio
ad abbandonare le operazioni in boemia per tornare a pacificare
la regione che lui stesso aveva soggiogato quindici anni prima.
la sardegna fu assegnata alle province dell’imperatore in seguito
a una recrudescenza degli attacchi dei corsari e ci furono, sempre
secondo cassio Dione, delle sollevazioni in varie città dell’impero,
tanto che si decise di sospendere temporaneamente i sorteggi per le
province senatorie e di inviarvi per due anni dei proconsoli scelti
extra sortem da Augusto126. l’iscrizione di cosso cornelio lentulo
corrisponde proprio a questo periodo e confermerebbe che oltre alla
nomina imperiale, il senato decise di sottomettere gli auspicia dei
proconsoli di quel periodo a quelli di Augusto, in modo da garantire
una maggiore protezione all’impero.
ci sarebbe quindi, come in tutti gli altri casi analizzati in precedenza, una concreta situazione d’emergenza alla base di quest’innovazione costituzionale destinata a essere nuovamente riapplicata.
sappiamo sicuramente che il provvedimento fu ripreso quando in
Africa fu mandato giunio bleso e probabilmente anche quando
galba fu incaricato da claudio di rimettere ordine nella provincia.
senza dubbio l’eventualità dell’esercizio di questa prerogativa non
fu prevista al momento dell’attribuzione ad Augusto dei nuovi
poteri nel 19 a.c., nel senso che l’esigenza di garantire una forma
di superiorità auspicale ad Augusto non costituì, a mio avviso, uno
dei moventi di quella riforma. ritengo, tuttavia, che la possibilità
di estendere la protezione degli auspici dell’imperatore anche alle
province non di sua competenza sia stata resa praticabile proprio in
seguito alla nuova posizione acquisita dal principe.
126
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cfr. supra, n. 119.
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È necessario perciò analizzare le riforme del 19 a.c. e vedere se
e quale influenza possono aver esercitato sul rapporto tra Augusto e
i proconsoli. cassio Dione parla della concessione al principe di un
notevole insieme di poteri, comprendenti la cura morum e la censoria potestas per cinque anni, il potere consolare a vita (ejxousiva
tw'n uJpavtwn dia bivou), compreso il diritto di essere preceduto da
dodici littori e la possibilità di sedersi tra i consoli in senato127. il
significato di queste attribuzioni è ancora oggetto di forte dibattito
tra gli studiosi128 e si è tentato di gettare maggiore luce sulla questione concentrandosi su ciò che Augusto compì negli anni successivi per tentare di capire in che misura egli si sia avvalso di questi
nuovi diritti.
nelle Res Gestae Augusto stesso dice di aver condotto tre volte
un censimento generale della popolazione nel 28 a.c. in consulatu
sexto, nell’8 a.c. e nel 14 d.c. consulari cum imperio129. non ci
127 cass. Dio 54, 10, 5: ejpimelethv~ te tw`n trovpwn ej~ pevnte <e[th>
paraklhqei;~ dh; ejceirotonhvqh, kai; th;n ejxousivan th;n me;n tw`n timhtw`n
ej~ to;n aujto;n crovnon, th;n de; tw`n uJpavtwn dia; bivou e[laben, w{ste kai;
toi`~ dwvdeka rJavbdoi~ ajei; kai; pantacou` crh`sqai kai; me;n ejn mevsw/ tw`n
ajei; uJpateuovntwn ejpi; tou` ajrcikou` divfrou kaqivzesqai.
128 l’opinione prevalente tra il XiX e il XX sec. era quella di una semplice
attribuzione delle insegne esteriori del potere, senza alcuna variazione rispetto
alla posizione del 23 (che però considerava Augusto in possesso di un imperium
proconsulare maius, esercitato da roma e valido solo nelle province): cfr. mommsen, staatsrecht, ii, 871–872; Von Premerstein, prinzipat, 237–238, ma anche
bleicken, triumvirat, 100–103; lAcey, evolution, 151; crook, History, 91–92;
DettenHofer, Herrschaft, 125–126. PelHAm, essays, 69–70 al contrario ritiene
che l’assunzione delle insegne fosse solamente un completamento di una possibilità già reale di esercitare il proprio imperium in italia e a roma dal 23. similmente
il recente contributo di cotton, yAkobson, Arcanum, 195–203 (di cui non capisco
l’idea di un’equiparazione all’imperium dei consoli se Augusto poteva, secondo i
due studiosi, esercitare il suo imperium consulare a roma e in italia già dal 23).
un’altra corrente vede una vera e propria equiparazione del suo imperium a quello
dei consoli: cfr. eck, Augustus, 57; girArDet, entmachung, 120–121; kienAst,
Augustus, 111–113; parla di un’equiparazione dell’imperium di Augusto a quello
dei consoli a roma e in italia Jones, imperium, 118; Jones, studies, 13–15 e Jones,
Augustus, 59–60; una posizione più cauta è espressa da brunt, problems, 73 che
preferisce pensare alla concessione di utilizzo dell’imperium consulare senza limiti
territoriali solo nel 19. ferrAry, pouvoirs, 124 per cui l’attribuzione delle insegne
doveva almeno comportare la concessione della giurisdizione e della coercizione
che era permessa a tutti i proconsoli al di fuori della propria provincia.
129 Res Gestae 8, 2–4: senatum ter legi, et in consulatu sexto censum populi
conlega M. Agrippa egi. Lustrum post annum alterum et quadragensimum feci, quo
lustro civium Romanorum censa sunt capita quadragiens centum millia et sexagin-
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sono dubbi che nel 28 ottaviano, in quanto console, potesse farsi
affidare dal senato e dal popolo i poteri censori, come era avvenuto
in precedenza in assenza dei magistrati specifici130, ma nelle due
successive occasioni egli non poteva più avvalersi della carica di
console, che aveva smesso di rivestire in maniera continuativa dal
23 a.c. Per affrontare il problema però è necessario comprendere
bene il significato dell’espressione consulari cum imperio che va
intesa semplicemente come ‘quando ero in possesso di un imperium
consulare’ e non ‘in virtù di un imperium consulare’131. il consulare
imperium posseduto da Augusto doveva permettergli di ricevere dal
senato e dal popolo i poteri censori e quindi di far compiere il censimento generale e la lectio senatus. Questo consulare imperium non
era altro che quello già posseduto da Augusto dal 27 e modificato
nel 23 in modo che esso potesse valere anche all’interno del pomerium132. nel 19 era stato accordato al principe di poter avere anche
all’interno della città le insegne di questo potere, cosa che non faceva di lui un console, ma che doveva lasciare diverse ambiguità, visto
che egli, oltre ai semplici ornamenti esteriori, poteva ora esercitare
un concreto potere coercizionale anche a roma e in italia.
ta tria millia. tum iterum consulari cum imperio lustrum solus feci c. censorino
et c. Asinio cos., quo lustro censa sunt civium Romanorum capita quadragiens
centum millia et ducenta triginta tria millia. et tertium consulari cum imperio
lustrum conlega tib. caesare filio meo feci sex. pompeio et sex. Appuleio cos.,
quo lustro censa sunt civium Romanorum capitum quadragiens centum millia et
nongenta triginta et septem millia.
130 Questo avvenne nel 75 a.c. come sappiamo da cic. Verr. 2, 1, 130 e 2, 3,
18–19 (prudentissimi viri summa auctoritate praediti, quibus senatus legum dicendarum in locandis vectigalibus omnem potestatem permiserat populusque Romanus idem iusserat), anche se non si trattò di un censimento, ma della locazione dei
vectigalia per la sicilia. Questa operazione divenne competenza dei consoli anche
per la provincia d’Asia, come riporta la lex portorii del 73. era sempre possibile,
mediante decreto senatorio o voto popolare, conferire temporaneamente ai consoli
degli incarichi, come la conduzione del census, che un tempo dovevano appartenere alla suprema magistratura, ma che in seguito erano state scorporate da essa
e affidate a nuovi funzionari; a proposito cfr. kunkel, WittmAnn, Magistratur,
329–330. la necessità che il compito debba essere ratificato da senato e popolo
rende dubbioso il fatto che i compiti censori fossero normalmente inclusi nell’imperium consolare nella tarda repubblica, come invece pensano HArDy, Lectio, 45
e DettenHofer, Herrschaft, 65 n. 33.
131 ferrAry, pouvoirs, 126 con n. 99. gli esempi di questa interpretazione sono
numerosissimi in formule come cum imperio esse, o con verbi di moto del tipo cum
imperio ire, adire, venire o con mittere.
132 cass. Dio 53, 32, 5; ferrAry, pouvoirs, 116–117; eck, Augustus, 54–55.
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una tale situazione, già profilatasi di fatto dal 23, trovò il suo
compimento nel 19, quando la posizione del principe si fece sempre
più simile a quella di un magistrato che a quella di un promagistrato. l’abolizione del limite pomeriale per i poteri di Augusto tolse
l’ultima superiorità territoriale che i magistrati ordinari avevano
avuto nei confronti del principe, anche se con la concessione della
potestà tribunizia si era già provvisto a garantire un efficacie strumento di controllo politico dell’attività del senato e del popolo.
l’attribuzione delle insegne consolari e dei dodici littori dava ora ad
Augusto una posizione di diritto del tutto simile a quella dei consoli,
tanto che era ora possibile affidargli compiti, quali la lectio senatus
e il census, che erano sempre state appannaggio dei supremi magistrati133. Questi compiti esulavano da quelli che aveva esercitato
finora come proconsole, visto che riguardavano la repubblica nella
sua totalità e non solo le province di sua competenza. nel 19 egli
ritrovava gran parte di quello che aveva perduto abdicando al consolato, ma forse proprio l’uscita dalla magistratura più importante
gli permise di sviluppare un potere e un’influenza del tutto simili a
quelli dei consoli, ma più incisivi e anche più flessibili. il senato fu
senza dubbio partecipe di questa modificazione, visto che propose
addirittura una speciale curatio legum et morum summa potestate,
che Augusto rifiutò. si cercava di trovare una base costituzionale
per l’intervento dell’imperatore in tutti i campi dell’organizzazione statale; una forma di potere che racchiudesse una competenza
che andasse oltre le province assegnategli e allo stesso tempo non
richiedesse il conferimento di una magistratura. la concessione di
quella che cassio Dione chiama hJ ejxousiva hJ de; tw`n uJpavtwn
non dava ad Augusto alcun nuovo imperium, bensì la capacità di
ricevere, per senatusconsultum o voto popolare, incarichi e competenze tradizionalmente riservate ai consoli, quindi senza limiti
territoriali. egli poi avrebbe svolto tali compiti sulla base dei poteri
(vastissimi) di cui era già in possesso (l’imperium consulare e la tribunicia potestas)134. Questa soluzione eliminava la necessità della
133 Per i problemi relativi all’inclusione nei privilegi consolari della nomina del
praefectus urbi cfr. brunt, problems, 70.
134 Augusto possedeva già un imperium qualitativamente uguale ai consoli,
anche se limitato alle province assegnategli dal mandato di senato e popolo. non
mancavano precedenti di assegnazioni di incarichi a promagistrati nel territorio
italico: nel 49 a.c. fu affidato al proconsole cicerone l’incarico di reclutare delle
truppe per la difesa della regione di capua, un compito normalmente solo affidato
ai consoli (cic. fam. 16, 11, 3; 12, 5; Att. 7, 11, 15; 14, 2; 15, 2; 8, 3, 4; 11b, 1
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continua approvazione di nuove leggi per concedere singolarmente
questi poteri all’imperatore. in questa prospettiva si può interpretare
in maniera più precisa anche la questione del presunto monopolio
auspicale.
Al momento delle insurrezioni degli anni 6–9 d.c. era necessario un notevole sforzo militare in molte parti dell’impero, anche
in quelle non governate direttamente dall’imperatore. Per assicurare un’adeguata protezione alle campagne militari che dovevano
essere condotte sarebbe stato opportuno far agire sotto gli auspici
di Augusto anche le truppe poste sotto il comando dei proconsoli.
una soluzione sarebbe stata quella di passare momentaneamente
tutte le province sotto il controllo imperiale, ma la cosa non era
praticabile, in quanto Augusto sarebbe diventato l’equivalente di un
monarca assoluto. sfruttando l’equiparazione con i consoli garantita dalle riforme del 19 a.c. si decise di subordinare gli auspici
dei proconsoli a quelli dell’imperatore, lasciando però salvo il loro
grado di imperium. non era una decisione del tutto innovativa e dei
precedenti repubblicani mostravano che essa era una prerogativa
consolare135.
Abbiamo visto come a volte fosse stato necessario far agire un
console e un proconsole sullo stesso campo e questo non successe
mai senza una decisione del senato volta a chiarire un’eventuale
subordinazione136. All’inizio del 216 a.c. i consoli dell’anno precedente (cn. servilio gemino e il suffetto Attilio regolo) furono
prorogati e lasciati in Puglia a tenere sotto controllo i movimenti
di Annibale in attesa dell’arrivo dei consoli. Questi ultimi si occuparono di reclutare e addestrare nuove forze prima di giungere,
probabilmente solo all’inizio dell’estate, presso canne. livio nota
solamente che servilio e regolo furono prorogati, ma Polibio dice
che furono nominati ajntistravthgoi dal console emilio Paullo137.
e 3; 11D, 5; 9, 11A, 2). l’incarico era straordinario, ma possibile per il fatto che
l’imperium di cicerone era valido fino al rientro nel pomerium (cfr. supra sulla
questione della posizione dei promagistrati durante il ritorno dalla provincia). non
era quindi in vista di un singolo incarico che Augusto mirava ad ottenere i poteri
consolari. egli voleva questa posizione per essere in grado di governare la res
publica assieme al senato, come facevano i consoli, ma senza rivestire continuamente la magistratura.
135 Augusto disponeva sicuramente dell’auctoritas adeguata per far applicare
dei precedenti repubblicani, anche isolati, alla sua persona: cfr. brunt, problems,
71.
136 Vedi l’episodio di Arausio nel 105 a.c. descritto supra.
137 liv. 22, 34, 1; Polyb. 3, 106, 2: proceirisqevnte~ uJpo; tw`n peri; Aijmiv
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il termine usato dallo storico greco non costringe a pensare che il
loro imperium fosse abbassato al livello pretorio, in quanto il titolo
è utilizzato anche riguardo ai consoli durante la loro proroga138.
Durante la seconda guerra punica abbiamo notizia solo di innalzamenti del livello di imperium e sempre in base a una votazione
popolare139. il termine usato da Polibio parrebbe però esprimere una
subordinazione in questo contesto, visto che in seguito lo storico
conferma che servilio eseguì gli ordini dei consoli e fu sicuramente
sottoposto a essi al momento della battaglia di canne140. le fonti
latine, invece, continuano a chiamare servilio, l’unico dei due a
essere rimasto a canne141, semplicemente prioris anni consul, pur
presentando uno scenario in cui sono i due consoli titolari ad avere
il comando142. la soluzione può essere quella di una subordinazione
agli auspici dei consoli in carica. servilio gemino e Attilio regolo,
accettando di collaborare, persero la possibilità di condurre la camlion ajntistravthgoi kai; paralabovnte~ th;n ejn toi`~ uJpaivqroi~ ejxousivan
ejceivrizon kata; th;n eJauth;n gnwvmhn ta; kata; ta;~ dunavmei~.
138 Polyb. 28, 3, 1. la notizia di livio parrebbe poi confermare che essi mantennero il loro status consolare; di questo avviso anche WAlbAnk, polybius, i, 435
e JAsHemski, origins, 102 n. 102.
139 brennAn, praetorship, 640–641 pensa a una delega di imperium pretorio
da parte di emilio Paullo, ma la cosa è impossibile, in quanto i due ex consoli, non
essendo ancora rientrati nel pomerio, non avevano deposto la loro autorità; una
concessione di imperium pretorio a qualcuno già in possesso di un potere consolare
mi sembra quindi impossibile.
140 Polyb. 3, 106, 9; 109, 1; 116, 11.
141 Attilio regolo ottenne di rientrare a roma per motivi di anzianità, dove fu
poi eletto triumvir mensarius (liv. 22, 40, 6; 23, 21, 6); secondo Polibio, invece,
morì a canne (Polyb. 3, 114, 6; 116, 11).
142 liv. 22, 40, 6; 43, 8; 45, 8; nep. Hann. 4, 4. il proconsole era un uomo
d’esperienza e sicuramente decise di sottomettersi volentieri alla richiesta del
senato di collaborare con i nuovi consoli, anche se questo gli avrebbe fatto perdere la possibilità di combattere suis auspiciis. sulla sua accondiscendenza poteva
aver influito anche la recente discordia tra il dittatore Q. fabio massimo e il suo
magister equitum minucio rufo, che non aveva portato nessun risultato e si era
risolta con il ritorno di rufo sotto gli auspici del dittatore (Polyb. 3, 103, 6–105,
11; liv. 22, 27, 8–30, 6 e supra). la battaglia di canne risultò in un disastro senza
precedenti e quindi non abbiamo nessun riscontro certo di chi avesse la preminenza
auspicale poiché non si celebrò alcun trionfo. nel 207 a.c. i due consoli m. livio
salinatore e c. claudio nerone sconfissero insieme le armate di Asdrubale e venne
loro decretato il trionfo, ma venne celebrato solamente da livio, poiché, seguendo
la consueta rotazione giornaliera dei fasces tra i consoli, il giorno della battaglia si
era combattuto sotto i suoi auspici (liv. 28, 9, 10). in un certo qual modo si può
dire che non ci fosse mai una perfetta parità auspicale, nemmeno tra magistrati di
par potestas.
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pagna in Puglia contro Annibale sotto i loro propri auspici e furono
quindi subordinati in questo senso ai consoli, senza alcuna formale
diminuzione di imperium.
un’ulteriore chiarificazione viene dalla vicenda della battaglia di
Arausio, che vide sullo stesso campo di battaglia il proconsole Q.
servilio cepione e il console cn. manlio massimo. come abbiamo
visto in precedenza143, la mancata collaborazione dei due, causata
dal fatto che entrambi erano dotati di imperium consulare, portò a
una grave sconfitta e a una severa punizione per cepione. secondo
cass. Dio 27, fr. 91, 1-4, il senato aveva mandato manlio al posto
del proconsole, senza prevedere una collaborazione tra i due. Questo
significava che i due avevano la medesima provincia, ma era evidente che la preminenza era del console. Questa maggiore autorità
non era data da un grado più alto di imperium, ma, verosimilmente,
dal fatto che il proconsole era subordinato agli auspici di manlio.
Questa spiegazione è perfettamente coerente con il comportamento
tenuto da cepione, che si frappose tra manlio e il nemico per evitare
che quest’ultimo avesse la possibilità di iniziare la battaglia. egli
sapeva perfettamente che se avessero condotto un’azione comune,
la gloria sarebbe andata tutta al console e questo sarebbe stato possibile solamente in una situazione di superiorità degli auspici del
magistrato su quelli del promagistrato in questione. È possibile che
questa subordinazione fosse semplicemente implicita nel momento
in cui il senato decise di assegnare a manlio la stessa provincia del
suo predecessore, ma è evidente che un’azione comune di console e
proconsole avrebbe dato solo al primo il pieno diritto al trionfo.
Dati questi precedenti repubblicani appariva come una prerogativa dei consoli quella di poter ottenere che dei proconsoli attivi nella
loro stessa provincia fossero subordinati ai loro auspici e quindi
potessero ricevere ordini, pur avendo un imperium pari a quello
consolare. l’esistenza di questi casi non dovette essere sfuggita ai
consiglieri di Augusto, che si basarono su questo diritto consolare
per giustificare la sottomissione dei proconsoli nominati nel biennio
6–8 d.c. agli auspici dell’imperatore, pur lasciando inalterati l’origine e il grado del loro imperium. in quest’ottica la riforma del 19
a.c. risultò fondamentale, in quanto, concedendo ad Augusto diritti
consolari, gli diede anche la possibilità di sfruttare questa prerogativa, anche se con alcune importanti differenze. Augusto infatti non
ricevette l’amministrazione diretta anche delle province pubbliche,
143
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cfr. supra con testo di cassio Dione a n. 40.
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né agì personalmente nello stesso campo di battaglia dei proconsoli.
il senato dovette semplicemente attribuirgli una tutela di tutte le
azioni militari dell’impero (o della sola Africa nei casi successivi),
in modo che fossero assistite dalla sua felicitas e dai suoi auspici che
erano risultati vittoriosi così tante volte.
sappiamo che nei tre casi discussi la conduzione della guerra
sotto gli auspici dell’imperatore si accompagnò anche ad una scelta
del proconsole senza ricorso alla normale procedura, che veniva
accantonata per lasciare posto a una nomina diretta. Questo sistema
era il più adatto per affrontare situazioni di emergenza. nel caso di
cosso la conferma viene dal passo di cassio Dione, mentre in quello di bleso da quello di Velleio Patercolo. Per gli auspici di galba
abbiamo un indizio dato dall’undicesima acclamazione imperatoria
di claudio, datata proprio al 46 e molto probabilmente da riferirsi
all’Africa144. non era possibile per gli imperatori appropriarsi delle
acclamazioni ottenute da generali combattenti con auspici indipendenti e quindi l’undicesima acclamazione, se relativa all’Africa, non
può che implicare che galba agì sotto gli auspici di claudio. Questo
potrebbe dimostrare che anche in questo caso fu l’imperatore a tutelare con i suoi auspicia l’esito della campagna militare.
A riprova che si trattò di misure ad hoc e non dell’effetto di una
riforma generale, sta il fatto che ci furono dei proconsoli insigniti
degli ornamenti trionfali che verosimilmente non combatterono
sotto gli auspici dell’imperatore. l. Passieno rufo, proconsole
d’Africa intorno al 3 d.c., fu insignito degli ornamenta triumphalia
e portò il titolo di imperator, ma l’unica acclamazione imperatoria
assunta da Augusto tra l’8 a.c. e il 6 d.c. fu quella relativa alle
campagne di c. cesare in Armenia, nel 3 d.c.145. Questo depone
decisamente per un’indipendenza di Passieno rufo dagli auspici di
Augusto, la cui politica in fatto di trionfi non prevedeva la concessione degli ornamenta ai suoi legati senza l’assunzione del titolo
imperatorio da parte sua146.
Diversa era l’attitudine di tiberio, che dopo il 16 d.c. non
aumentò più il suo numero di acclamazioni imperatorie. nel 26 il
suo legato Poppeo sabino ottenne gli ornamenta triumphalia per le
sue operazioni nei balcani e contro i traci147, ma tiberio non volle
144
cfr. supra n. 122.
su Passieno rufo cfr. Vell. 2, 116, 2; cil Viii 16456; burnett, coinage, i,
n. 808; tHomAsson, Fasti, 25. sull’acclamazione imperatoria di Augusto cfr. cass.
Dio 55, 10a, 7; kienAst, Kaisertabelle, 66.
146 eck, imperatorenakklamation, 223–225.
147 tac. ann. 4, 46, 1.
145
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prendere alcun onore per sé, come nulla fece nei confronti di tre
proconsoli d’Africa: m. furio camillo (procos. 17–18), l. Apronio
(procos. 18–21) e Q. giunio bleso (procos. 21–23)148. tutti e tre
i casi sono da riferire alla guerra contro tacfarinas e nel caso di
bleso sappiamo che egli fu scelto extra sortem e agì sotto gli auspici di tiberio. non abbiamo alcuna informazione per credere che
furio camillo e l. Apronio siano stati mandati extra sortem nella
provincia: la proroga di Apronio e il fatto che abbiano ottenuto gli
ornamenti trionfali non ci dicono nulla su una loro subordinazione
agli auspici imperatorii, visto che la cosa corrisponde a due caratteristiche del principato di tiberio, quella di lasciare a lungo in
provincia i governatori (fossero essi legati o proconsoli) e quella di
concedere gli ornamenti trionfali senza accettare onorificenze per se
stesso149. se si comportò così verso i suoi legati Poppeo sabino e
giunio bleso, perché fare diversamente con dei proconsoli che, per
giunta, combattevano sotto i propri auspici?
tra i proconsoli, il ricorso alla subordinazione degli auspici mi
sembra sia giustificabile solo per il caso di bleso. la prima ragione sta nelle circostanze della sua nomina: il senato (e sicuramente
anche tiberio) era evidentemente scontento del fatto che tacfarinas
fosse ancora in grado di turbare la provincia con le sue scorrerie e
decise che era ora di chiudere i conti con il ribelle numida. bleso fu
scelto extra sortem in quanto valido generale, ebbe a disposizione
la provincia per due anni rinforzata da una legione supplementare150 e, sicuramente, la protezione degli auspici di tiberio. con dei
presupposti del genere la guerra doveva essere vinta, e in effetti lo
fu, o almeno così si decise di far credere. bleso riportò significative
vittorie, ma non mise definitivamente fuori causa tacfarinas; ciò
nonostante fu decorato con gli ornamenta triumphalia e ottenne,
ultimo al di fuori della famiglia imperiale, di portare il titolo di
imperator151. la seconda ragione sta nel comportamento del senato
148 Per una trattazione completa delle fonti relative cfr. Vogel-WeiDemAnn,
statthalter, 69–85; tHomAsson, Fasti, 29–30.
149 su questo aspetto della politica provinciale di tiberio cfr. AlfölDy, tibère,
831–833; ortH, provinzialpolitik, 71–81; leVick, tiberius, 127–128; per i governi proconsolari in particolare cfr. Vogel-WeiDemAnn, statthalter, 535–550 con
indicazioni prosopografiche; per le motivazioni del rifiuto delle acclamazioni
imperatorie cfr. eck, imperatorenakklamation, 225.
150 la legione iX Hispana fu mobilitata dalla Pannonia sotto il comando di P.
cornelio lentulo scipione nel 20 (tac. ann. 3, 9; ciL V 4329) e fu ritirata poco
dopo l’arrivo in Africa del successore di bleso, P. cornelio Dolabella (tac. ann. 4,
5; 23).
151 tac. ann. 3, 74: tiberius … Blaeso tribuit ut imperator a legionibus saluta-
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e del principe nei confronti del successore di bleso, P. cornelio
Dolabella152. Questi riuscì, con minori forze rispetto al predecessore, a eliminare tacfarinas, ma non ricevette alcun riconoscimento
da tiberio. tacito dice chiaramente che questo era dovuto al fatto
che bleso era zio di seiano e tiberio non avrebbe voluto diminuire
la sua gloria153, ma le motivazioni coinvolsero anche altri fattori.
la guerra era stata considerata chiusa con il ritorno di bleso154 e
la propaganda aveva esaltato la brevità con cui il bellum Africum
era stato terminato e aveva anche messo in risalto il ruolo degli
auspicia imperatoris in questo buon esito155. inoltre, proprio il fatto
che bleso agì sotto gli auspici di tiberio rendeva meno problematica l’attribuzione di tali e tanti onori a un proconsole. toltagli
la possibilità di ottenere un trionfo egli non rappresentava alcuna
minaccia per la gloria dell’imperatore, ma anzi esaltava la munificenza e la modestia di quest’ultimo, poiché si rifiutava di accettare
un’acclamazione sua di diritto. Al contrario Dolabella doveva aver
condotto la guerra in piena indipendenza e si vide precluso ogni
riconoscimento perché avrebbe potuto rivaleggiare con le imprese
compiute da bleso e, indirettamente, da tiberio stesso. un tale
comportamento verso Dolabella non sarebbe stato giustificabile se
anch’egli fosse stato subordinato agli auspici di tiberio, poiché, in
questo caso, anche la sua vittoria avrebbe contribuito a far crescere
la gloria dell’imperatore. Per l’opinione pubblica tacfarinas era
stato battuto sotto gli auspici di tiberio e il comando di bleso. la
guerra era iniziata e finita nell’arco di soli due anni156.
retur, prisco erga duces honore qui bene gesta re publica gaudio et impetu victoris
exercitus conclamabantur; erantque plures simul imperatores nec super ceterorum
aequalitatem. concessit quibusdam et Augustus id vocabulum ac tunc tiberius
Blaeso postremum.
152 Vogel-WeiDemAnn, statthalter, 85–92; tHomAsson, Fasti, 30.
153 tac. ann. 4, 26: Dolabellae petenti abnuit triumphalia tiberius, seiano tribuens, ne Blaesi avunculi eius laus obsolesceret. sed neque Blaesus ideo inlustrior
et huic negatus honor gloriam intendit: quippe minore exercitu insignis captivos,
caedem ducis bellique confecti famam deportarat.
154 tac. ann. 3, 74 definisce chiaramente che tiberio, anche se non fu preso
tacfarinas, ma solo un suo fratello, considerò tutto concluso (pro confecto interpretatus).
155 l’eco di questa propaganda è rimasta in Vell. 2, 129, 4: Magni etiam terroris
bellum Africum et cotidiano auctu maius auspiciis consiliisque eius brevi sepultum
est. Anche la precisazione consiliis si confà perfettamente alla situazione di bleso,
nominato extra sortem su proposta di tiberio. Viceversa, una tale formulazione sarebbe meno calzante se fosse riferita all’insieme dei quattro proconsoli dal 17 al 24.
156 cfr. supra n. 156.
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mi sembra ragionevole concludere che gli auspici di un proconsole furono subordinati a quelli dell’imperatore solamente in
seguito a decisioni ad hoc prese in senato e unitamente all’invio in
provincia di governatori extra sortem. il caso delle onorificenze a l.
Passieno rufo, senza che questo portasse all’assunzione di un’ulteriore acclamazione imperatoria da parte di Augusto, mi sembra una
conferma della sua autonomia auspicale, poiché la politica augustea
non prevedeva la possibilità di una decorazione dei subordinati
senza un’acclamazione per il principe.
Anche la rinuncia al trionfo da parte di Agrippa proprio nel 19
a.c. non riveste alcun significato giuridico. secondo cassio Dione
egli non mandò al senato alcun rapporto sul suo operato e non
accettò il trionfo già votatogli su proposta dello stesso Augusto,
mostrando grande moderazione come suo solito157. Da questo
racconto non si deduce minimamente che vi fu un impedimento
costituzionale al trionfo di Agrippa, ma si trattò esclusivamente
di una scelta politica, dettata dalle esigenze del nuovo regime che
imponeva che nessuno si mettesse in concorrenza con Augusto per
le onorificenze pubbliche158. la stessa cosa era avvenuta nel 38 e
avvenne poi nel 14 a.c.159 e un comportamento simile fu tenuto da
157 cass. Dio 54, 11, 6: ouj mh; ou[te ejpevsteilev ti th`/ boulh`/ peri; aujtw`n,
ou[te ta; ejpinivkia kaivtoi ejk th`~ tou` Aujgouvstou prostavxew~ yhfisqevn
ta proshvkato, ajll’ e[n te touvtoi~ ejmetrivazen w{sper eijwvqei.
158 Agrippa era in possesso di un imperium pro consule indipendente da quello
di Augusto dal 23 e quindi si trovava nella stessa condizione dei proconsoli, anche
se, in base a Pköln Vi 249, 1, 7–11, possedeva un imperium superiore a questi ultimi nel caso si fosse recato personalmente in una provincia pubblica. Per maggiori
specificazioni sul suo imperium cf koenen, Agrippa, 268–283; Ameling, Agrippa,
5–22; Hurlet, collègues, 38–61; girArDet, traditionalismus, 214–217 che però
pensa a un rifiuto di Agrippa stesso in quanto privato cum imperio. un’osservazione del genere può essere pertinente nel trattare della modestia di Agrippa, ma
non costituisce un fatto giuridicamente rilevante, visto che dal trionfo di Pompeo
nell’81–79 era lecito trionfare anche a questa categoria di generali; cfr. supra. Per
un paragone con la simile definizione dell’imperium di germanico nel senatusconsultum de cn. pisone patre cfr. eck, cAbAllos, fernánDez, senatusconsultum,
157–162; girArDet, imperium, 219–227; ferrAry, pouvoirs, 135–136.
159 cass. Dio 48, 49, 4; App. Bell. civ. 5, 92 per il caso del 38; cass. Dio 54, 24,
7 per il 14. nel 38 il rifiuto aveva avuto motivazioni ben più forti, visto che ottaviano aveva appena riportato una sconfitta navale contro sesto Pompeo che aveva
fatto fallire i sogni di una rapida invasione della sicilia. la plebe di roma accolse
male la notizia e cominciò a protestare contro l’erede di cesare. in questa situazione la rinuncia al trionfo da parte di Agrippa, tornato vittorioso dalla gallia, fu
finalizzata a non acuire per contrasto la difficile situazione dell’amico ottaviano.
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Augusto stesso in tre occasioni, di cui una proprio nel 19160. l’atto
di Agrippa fu quindi frutto di una coerente politica del trionfo che
era stata delineata dallo stesso Augusto. nulla impedì che in seguito trionfi venissero concessi senza problemi a tiberio (7 a.c. e 12
d.c.) e germanico (17 d.c.), tutti investiti di un imperium votato
dal popolo, come lo era anche quello dei proconsoli, anche se il
potere di questi ultimi era molto più ristretto. il trionfo fu celebrato
per ragioni di politica dinastica, non a causa di una differenza tra il
loro imperium e quello degli altri proconsoli: i due trionfi di tiberio
furono celebrati quando questi era considerato l’erede designato di
Augusto e lo stesso ragionamento vale, in seguito, per germanico,
figlio adottivo di tiberio161.
la monopolizzazione della vittoria e la concentrazione dei più
alti onori militari nelle mani dell’imperatore e dei suoi successori
fu un aspetto fondamentale per la stabilizzazione del principato
e coinvolse numerosi aspetti. le possibilità di ottenere un trionfo
per un governatore di una provincia senatoria furono praticamente
neutralizzate da una serie di circostanze pratiche, politiche e costituzionali. il numero di province senatorie dotate di una legione scese
presto da tre a una solamente, e in tre casi, forse gli unici, si ricorse
alla prerogativa, fino ad allora solo consolare, di poter far combattere dei promagistrati sotto gli auspici dell’imperatore, frustrando
così ogni speranza di ottenere un trionfo. ma il principale motivo fu
sicuramente politico: di fronte al ripetuto rifiuto del trionfo da parte
di Agrippa e dello stesso Augusto, per un proconsole non c’era la
minima speranza di ottenere questo prestigioso riconoscimento.
A proposito vedi syme, Revolution, 231. Al contrario nel 19 e nel 14 il principato
era saldo e la celebrazione di un trionfo da parte di Agrippa non avrebbe causato il
minimo danno; cfr. eck, self-Representation, 139.
160 Res gest. 4: decernente pluris triumphos mihi senatu quibus omnibus
supersedi. Probabilmente Augusto si riferisce alle proposte avanzate nel 25 a.c.,
in seguito alle vittorie in spagna (cass. Dio 53, 26, 5; flor. 2, 33, 53–54), nel 19
a.c., di ritorno dall’oriente con le insegne di crasso restituite dai Parti (cass. Dio
54, 10, 4) e nell’8 a.c., per le vittorie di tiberio in germania (cass. Dio 55, 6, 6;
ricH, settlement, 223–224). in due occasioni è menzionato il modo in cui Augusto
fece ritorno a roma: egli decise di attraversare il pomerium di notte, senza aver
prima annunciato il suo rientro (cass. Dio 54, 10, 4; 54, 25, 4). il suo ritorno si
configurava quindi come l’opposto di quello di un trionfatore; cfr. bAlbuzA, siegesideologie, 290–291.
161 bAlbuzA, siegesideologie, 294–295.
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4. Nota sulla posizione auspicale di Augusto dal 19 a.c.
Al termine di questa lunga analisi del ruolo degli auspicia nel
sistema dei poteri magistratuali e promagistratuali, possiamo concludere che con il principato non furono introdotte radicali innovazioni. la subordinazione degli auspici di un proconsole a quelli
dell’imperatore fu applicata solo poche volte e i governatori delle
province pubbliche non ebbero più a disposizione un significativo
numero di truppe e divennero praticamente dei funzionari civili. in
questo contesto poca attenzione è stata riportata finora dagli studiosi
sullo statuto auspicale di Augusto al momento della sua abdicazione
al consolato nel 23 a.c. e sul significato delle disposizioni del 19
su di esso.
le sue province continuavano ad essere governate in base al suo
imperium consulare che, da quel momento in poi, avrebbe esercitato
come proconsole. Questo imperium si basava sulla carica di console
che rivestiva al momento dell’assegnazione delle province nel gennaio del 27 e quindi la posizione auspicale di Augusto dal 23 fino alla
sua morte fu, salvo per i pochi mesi in cui ancora rivestì il consolato,
quella di un magistrato prorogato. Dal punto di vista auspicale egli
si trovava quindi nella stessa situazione dei rimanenti governatori
provinciali, privati cum imperio (consulari), tranne per il fatto che
per Augusto l’attraversamento del pomerium non comportava più
la perdita dell’imperium. Questa dispensa però non lo autorizzava
a esercitare alcuna autorità in roma, ma era solamente un espediente per permettergli di partecipare alla vita pubblica della città,
pur rimanendo a capo delle sue province. nell’imminenza del suo
viaggio in oriente venne concesso all’imperatore anche di disporre
di un imperium di grado maggiore di quello dei proconsoli nelle cui
province si fosse personalmente recato162. Questo doveva essere e
rimanere lo schema dei rapporti tra l’imperium di Augusto e quello
dei proconsoli e la situazione non venne mutata dalle riforme del 19
se non per la possibilità di subordinazione degli auspici vista in pre-
162 Va da sé che questo avrebbe comportato, nel caso (mai verificatosi) di
operazioni militari congiunte di Augusto e di un proconsole, che il trionfo sarebbe
spettato al solo Augusto. non c’è dubbio che se si fosse verificato un fatto del
genere Augusto avrebbe potuto appellarsi ai casi in cui a un pretore fu impedito
di trionfare assieme a un console, essendo munito di un imperium minus. cfr. la
questione tra il console Q. lutazio catulo e il pretore Valerio faltone in Val. max.
2, 8, 2; Versnel, triumphus, 168 spec. n. 164; engels, exempla, 160–161; itgensHorst, pompa, 181.
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cedenza. rimane da analizzare il rapporto con i regolari magistrati.
Per quanto riguarda gli auspicia urbana gli studiosi moderni
sono concordi nell’ammettere che Augusto non li possedesse più
una volta abbandonata la carica di console, ma la situazione rimane meno chiara al momento della concessione dell’ejxousiva tw'n
uJpavtwn nel 19163. in base a questa nuova concessione, Augusto
poteva avvalersi di prerogative prima riservate esclusivamente ai
supremi magistrati, quale la lectio senatus, lo svolgimento del census, forse la nomina del praefectus urbi164 e la subordinazione degli
auspici dei proconsoli ai suoi. essendo ormai i consoli costantemente
lasciati a svolgere le loro funzioni solamente nella città di roma165,
sarebbero venute a scomparire tutte le funzioni che essi compivano
in collegamento con la sfera militare, in particolare lo svolgimento
dei censimenti166. la riforma del 19 faceva praticamente di Augusto
163
collegamenti tra le riforme del 19 e lo statuto auspicale di Augusto vengono
solamente accennati da sAlmon, principate, 472–473 e da JAcQues, scHeiD, empire, 120. Hurlet, Auspices, 172–174 che, partendo dall’assunzione che i proconsoli
non erano in possesso degli auspici, pensa a una legge che regolarizzasse la posizione di Augusto nell’ambito militare.
164 cfr. supra n. 134.
165 cfr. l’eccellente studio di girArDet, entmachung che traccia una storia
del progressivo svuotamento di potere del consolato. non serve però pensare
(come già ribadito supra n. 126) che dal 19 ai consoli sia stato interdetto ogni
utilizzo dell’imperium militiae (cfr. girArDet, Diskussion, 218–220), in quanto
gli imperatori continuarono a rivestire il consolato e nello stesso tempo a gestire
le loro province, senza che ci fosse una cumulazione di imperia, ma in base a un
unico imperium consulare (cfr. la descrizione della situazione di Pompeo nel 55
a.c. secondo lo stesso girArDet, pompeius, 190–191). non c’è nessuna fonte che
giustifichi l’ipotesi di una limitazione legale dei poteri consolari alla sola città dopo
che l’intervallo quinquennale fu reintrodotto da Augusto, come proposto invece
da gioVAnnini, imperium e gioVAnnini, Kymè, 95–106; cfr. supra. Questi, come
girardet, pur criticando mommsen, «restent d’une certaine manière prisonniers de
ce système, dans la mesure où ils continuent à chercher la date d’une réforme fondamentale privant le consulat de son imperium militiae» (ferrAry, pouvoirs, 102).
il consolato rimase sempre quello che era stato in passato, ma il principe assunse
un monopolio dell’utilizzo dei suoi aspetti militari, come d’altra parte aveva fatto
con il trionfo e con il comando delle legioni. come non ci fu mai una legge che
toglieva ai proconsoli la possibilità di trionfare, non ce ne fu nemmeno una per
privare i consoli delle loro competenze extraurbane.
166 Anche se considerati a tutti gli effetti dei magistrati, i censori non avevano
la lex curiata, ma ricevevano l’investitura solamente davanti ai comizi centuriati. il
loro incarico aveva un accentuato carattere militare e un collegamento strettissimo
con l’ordinamento centuriato, a base censitaria. Data questa connotazione militare,
e quindi extrapomeriale, era perfettamente congruente con i poteri di Augusto. cfr.
mAgDelAin, Recherches, 49–51; kunkel, WittmAnn, Magistratur, 401–404.
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un terzo console, ma con una sola, importantissima, differenza: egli
non era in possesso degli auspicia urbana167.
Questo spiega perché Augusto non avesse mai presieduto un’elezione consolare, né avesse mai riunito i comizi centuriati o tributi,
poiché tutte queste azioni dovevano essere compiute in base a una
presa degli auspici all’interno del pomerio168 e questo era un privilegio che fu sempre e solo riservato ai magistrati regolari dotati
di lex curiata. Augusto aveva intenzionalmente evitato di ottenere
per sé un’ulteriore magistratura, e trovò il modo di farsi assegnare i
principali privilegi consolari senza assumere i tratti distintivi della
magistratura, cioè quelli che richiedevano di essere compiuti auspicato all’interno del pomerium. la mancanza degli auspicia urbana
portava anche un’altra importante conseguenza, perché senza di essi
non si poteva esercitare un imperium domi. la cosa può sembrare
strana, visto che Augusto portava le insegne del potere consolare
anche all’interno del pomerio e poteva sedersi sulla sella curulis in
mezzo ai consoli in carica. Dal 19 Augusto poteva far valere il suo
imperium consulare militiae anche a roma e in italia e questo gli
garantiva poteri giurisdizionali e coercizionali anche in questi due
ambiti, prima esclusi dalla sua competenza, ma atti come la convocazione dei comizi erano espressione di un puro imperium domi e
quindi non rientrarono mai nelle competenze di Augusto.
Per questo motivo Augusto continuò a gestire i suoi rapporti con
senato e popolo a roma in base alla sua tribunicia potestas, e questo
potere rimase l’unico che gli permetteva di riunire popolo e senato,
prerogative riservate solamente a tribuni della plebe e magistrati
dotati di auspicia urbana. la riforma del 19 diede ad Augusto la
167
Per la loro definizione cfr. supra, n. 12.
sulla necessità dell’auspicazione cfr. cic. leg. 3, 3, 9; liv. 6, 41, 6; 8, 23, 15.
Per quanto riguarda le elezioni consolari c’era prima di tutto una forte questione di
tradizione, che imponeva che i consoli fossero eletti dai predecessori, da un dittatore o da un interrex. la tradizione imponeva però anche che, prima di attraversare
il torrente petronia e recarsi nel campo marzio fuori dal pomerium, il magistrato
compisse un’auspicazione, che presupponeva il possesso degli auspicia urbana. le
competenze legislative dei comizi centuriati erano però già entrate in disuso alla
fine del iii sec. e in pratica venivano riuniti solo in caso di elezioni. i comizi tributi,
eccetto quando eleggevano i magistrati minori, si tenevano all’interno del pomerio,
nel foro o nell’area capitolina, e quindi richiedevano esclusivamente gli auspicia
urbana. Ad Augusto rimaneva preclusa anche qualunque azione richiedesse la
presidenza dei comizi curiati (ad es. la lex curiata che ratificava le adozioni). cfr.
botsforD, Assemblies, 101–118; tAylor, Assemblies, 1–8; anche la convocazione
del senato da parte di un magistrato avveniva auspicato: cfr. Varrone in gell. 14,
7, 4, 8.
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possibilità di utilizzare il suo imperium consulare militiae anche
in ambiti riservati ai consoli e tradizionalmente esclusi da quelli
di un promagistrato. Questo dava ad Augusto una posizione senza
precedenti dal punto di vista auspicale, poiché, superando la vecchia
barriera pomeriale, egli era in possesso di un imperium militiae
basato su un auspicium con valore originariamente extrapomeriale,
effettivo ora (con le debite differenze tra roma, l’italia e le province169) sia all’esterno che all’interno del pomerium. Questa uniformità auspicale è la più profonda e la più incisiva innovazione del
principato e fu il passo fondamentale per il superamento definitivo
dell’arcaico sistema di potere basato sull’auspicium e sulla separazione religiosa tra il mondo esterno e ostile e la città.
non è questa la sede per riprendere l’intera questione della posizione di Augusto all’interno della res publica, ma mi sembra evidente che una tale indagine non possa essere compiuta ignorando il
ruolo degli auspicia come fondamento dell’imperium. la questione
dell’equiparazione del suo imperium a quello dei consoli, nelle varie
forme che essa ha assunto nelle ipotesi avanzate dai diversi studiosi,
non può essere affrontata senza riconoscere che, pur essendo l’imperium consolare unico, esso trovava la propria giustificazione in
due auspicazioni distinte. Queste erano, per l’ambito domi, quella
di entrata in carica e, per l’ambito militiae, quella (sul campidoglio)
precedente alla partenza per la guerra. Questo punto di vista risulta
fondamentale per capire il significato delle innovazioni introdotte
nel 19 e definire meglio i confini dell’ejxousiva tw`n uJpavtwn che
venne conferita all’imperatore.
la vicenda degli auspicia rappresenta uno degli aspetti più
importanti e meno considerati tra quelli relativi alle magistrature e
alla gestione del potere a roma. tentare di capirne il funzionamento
e il ruolo nelle fasi più arcaiche ha imposto di utilizzare modelli
interpretativi che non sono del tutto compatibili con le fonti della
tarda repubblica. Questo comporta il rischio di basare tutta l’inter169 il potere dell’imperatore veniva esercitato, pro consule, nella sua pienezza
solamente nelle province a lui assegnate, come dimostra il fatto che Augusto porti
il titolo di procos. nell’editto scoperto di recente a el bierzo (testo in costAbile,
licAnDro, tessera; AlfölDy, edikt). Questo documento fu emesso nel febbraio
del 15 a.c. quando l’imperatore si trovava a Narbo Martius, ma negli editti di cirene e negli altri editti riguardanti le province orientali trasmessi dalle fonti letterarie
il titolo non compare, poiché furono emessi a roma. similmente eck, suffektkonsuln, 236–239 ha dimostrato, sulla base della titolatura di Adriano ricavabile dai
diplomi militari, che questo imperatore fece uso del titolo di procos. nelle sue
costituzioni solamente quando si trovava lontano dall’italia.
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pretazione su un’ipotesi, nel caso specifico quella della trasmissione
personale degli auspicia da magistrato a magistrato avanzata da
linderski, che potrebbe rivelarsi infondata o semplificare troppo
una situazione ben più complessa. Da un altro punto di vista mi
sembra che la bontà di questa idea si sia dimostrata in quanto riesce
a spiegare coerentemente tutti i diversi modi in cui, nel corso dei
secoli, gli auspici furono passati da un possessore a un altro, sia
attraverso l’elezione di fronte alle diverse assemblee, sia attraverso
la delegazione, sia attraverso rituali molto particolari e arcaici come
quello della dictio del dittatore o della nomina dell’interrex.
È stato necessario abbandonare lo schema dell’annalistica romana per cui la repubblica funzionò allo stesso modo dalla cacciata dei
re per i cinque secoli successivi e immaginare, a seconda dei vari
stadi evolutivi, un contesto diverso e mano a mano più elaborato.
Questo procedimento è importantissimo, poiché la pratica costituzionale romana si fondava prima di tutto sulla tradizione e sugli
exempla delle generazioni passate, ma in alcune opere tardorepubblicane si assiste a una vera e propria rilettura dei casi principali
costituenti il mos con un tentativo di razionalizzarli e di organizzarli
in un sistema coerente, come in una carta costituzionale. il capitolo
De iure triumphandi nell’opera di Valerio massimo e lo scontro tra
rullo e cicerone sull’utilizzo della lex curiata riportato nel De lege
agraria ne sono esempi chiarissimi e vanno intesi innanzitutto come
un mezzo per capire in che modo alcuni istituti repubblicani erano
percepiti al momento di redazione di quelle opere. Questa percezione poteva non essere uguale per tutti e proprio riguardo alla lex
curiata sappiamo che tra gli anni 60 e 50 del i sec. a.c. circolavano
ben tre opinioni: quella tradizionale e rappresentata da cicerone,
per cui un magistrato aveva bisogno sia dell’elezione centuriata o
tributa che di quella curiata; quella di rullo e dell’augure messalla,
per cui il vero atto che conferiva la magistratura era proprio quello
davanti alle curie e quindi metteva in secondo piano l’elezione centuriata o tributa; quella del console Appio claudio, per cui la legge
curiata non era indispensabile, in quanto era il popolo, coi comizi
centuriati, a conferire l’imperium al magistrato.
ognuna delle tre interpretazioni aveva sottolineato alcuni singoli
aspetti all’interno della vicenda degli auspicia e, decontestualizzandoli, ne aveva tratto dei principi di funzionamento che, però, possono portare fuori strada lo studioso moderno. il diritto augurale, se
mai aveva avuto una qualche sistematicità in epoche più remote, si
era poi arricchito di molte altre regole e decisioni ad hoc che spesso
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derogavano da quella che era stata la pratica fino a quel momento,
ma contemporaneamente ponevano le basi per una nuova tradizione. Questo è il caso soprattutto della principale innovazione portata
dall’epoca repubblicana: la possibilità che una persona potesse
avere un auspicium valido solamente per l’ambito militare. la divisione tra sfera domi e militiae era arcaica quanto l’auspicium stesso,
ma distingueva i due mondi in cui i magistrati erano autorizzati a
esercitare la loro autorità, che si basava sempre su una sola e unica
capacità di auspicazione. il successivo sviluppo del ruolo popolare
produsse alcune varianti nella concessione dell’auspicium/imperium ma, pur introducendo un forte elemento laico nei fondamenti
del potere romano, non ne modificò i principi religiosi.
solamente la mossa del 19 a.c. fece progressivamente diminuire l’importanza degli auspicia in quanto il superamento dei limiti
territoriali per Augusto cancellava in maniera definitiva il principio
costituzionale più importante della res publica. la divisione tra
ambito cittadino, in cui agivano solo i magistrati, e sfera militare fu
alla base della definizione di ogni forma di potere fin dall’epoca più
arcaica. Pur non possedendo gli auspicia urbana, ottaviano poteva
disporre di un potere praticamente uguale a quello dei consoli, a
parte alcune operazioni che potevano svolgersi solamente auspicato all’interno del pomerium, ma che in quel tempo sembravano
solamente di ordinaria amministrazione. in secondo luogo, con il
confinamento dei consoli in città e la sottrazione di tutte le legioni
ai proconsoli era ormai impossibile una qualunque concorrenza
tra generali combattenti auspiciis suis. ormai ogni azione militare
era condotta auspiciis imperatoris e ogni comando militare derivava da una delegazione personale dell’imperatore. non erano più
gli auspicia il fondamento del proprio potere, ma la concessione
monarchica. gli auspicia potevano prendere posto tra i relitti arcaici e perdere ogni valore se non meramente ritualistico. un grande
principio della tradizione romana era stato sovvertito a vantaggio
del nuovo regime.
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