MATTIA VINCO
Antonio Vivarini
in San Zanipolo a Venezia
Iconografia e nuovi documenti
Introduzione di
Andrea De Marchi
MATTIA VINCO
Antonio Vivarini
in San Zanipolo a Venezia
Iconografia e nuovi documenti
Introduzione di
Andrea De Marchi
ENRICO
FRASCIONE
ANTIQUARIO
Sommario
5
Chiarezza di Antonio Vivarini narratore
di Andrea De Marchi
13
Biografia di Antonio Vivarini
15
Antonio Vivarini in San Zanipolo a Venezia.
Iconografia e nuovi documenti
41
Catalogo delle Storie di San Pietro martire
di Antonio Vivarini (1450 circa)
48
Bibliografia
55
Summary
Chiarezza di Antonio Vivarini narratore
Andrea De Marchi
Non è facile conciliare le tavolette narrative di Antonio Vivarini, scandite in spazi tersi
e geometrici, ancorché empiricamente scorciati, attente ad individuare dettagli veri
e puntuali, e dall’altra le Madonne e i santi troneggianti nei polittici ipergotici degli
anni quaranta, frutto di una serrata collaborazione con Giovanni d’Alemagna, fra
architetture di marzapane traforate all’inverosimile da intagli carnosi e intarsi sontuosi
di velluti damascati. Lessicalmente il dolce aggetto dei volti paffuti e tondeggianti,
dei panneggi lanosi a pieghe tubolari morbidamente acciaccate, è lo stesso, fra
registro maggiore iconico e registro minore narrativo, ma la percezione d’insieme, il
clima generale sono assai diversi. Una purezza non ancora propriamente atmosferica
e una chiarezza non ancora rigorosamente prospettica, ma come un intenso presagio
che distingue Antonio Vivarini dal mondo stregato di Giambono e degli ultimi
irriducibili tardogotici, tende il suo arco verso una sorta di accorto minimalismo, che
esalta le qualità precipue del racconto, piano e disteso, gustoso in pochi dettagli,
astratto e vero al contempo, privo di asperità e di dispersioni. D’altra parte, invece,
un concetto opulento della pittura, satura e stordente di mollezze, che trionfa
torpidamente fra ori rilevati e strati gessosi metallici finemente incisi, mitrie e corone
gemmate, baculi di pastorali fogliati, vernici traslucide e lacche scintillanti, carni
soffici e turgide, luci tenui e capricciose sugli intagli incartocciati e friabili… in una
sorta di esaltata superfetazione delle superfici.
In questa obiettiva dialettica si innesta poi il problema spinoso della distinzione - se
non delle parti, almeno dei ruoli giocati - tra 1441 e 1450 (anno della morte a Padova
di Giovanni da Ulm) nell’inestricabile collaborazione fra Antonio Vivarini e il suo socio
tedesco, attestata da un numero elevato di opere firmate in maniera congiunta,
variamente datate in quel decennio. Obiettiva fu l’attrazione reciproca che i loro
linguaggi dovettero subire in quegli anni febbrili e felici. Tempo fa avevo provato
a rivendicare il ruolo non marginale e la statura di primo ordine anche di Giovanni
d’Alemagna, puntando sulla qualità del San Girolamo del Walters Art Museum
firmato da lui solo e della Madonna dell’Umiltà della collezione Pittas, strettamente
consanguinea, e ripartendo dall’attribuzione in suo favore, come già ipotizzato da
Federico Zeri, delle Storie di Sant’Apollonia divise fra Bassano del Grappa, Bergamo
(figg. I-II) e Washington. Si trattava di contestare l’idea vulgata che il socio tedesco,
più anziano e già responsabile in proprio nel 1436 di una commissione prestigiosa
5
Fig. I Giovanni d’Alemagna,
Martirio di Sant’Apollonia, 1440-1445 circa.
Bergamo, Accademia Carrara
come quella delle pitture murali nella cappella di San Massimo, nel palazzo
episcopale di Padova, su incarico del vescovo umanista Pietro Donato, avesse
svolto nel fortunato sodalizio un ruolo subordinato, quale responsabile solo degli
apparati decorativi e non della progettazione complessiva e della sostanza figurale.
All’opposto, sono sempre convinto che a Giovanni da Ulm si debba l’impronta
dominante della serie mirabile di capolavori sfornati in quel decennio, dal trittico di
Brescia alla tela della sala dell’albergo nella Scuola della Carità, dal trittico di San
Moiséai polittici di San Zaccaria. Come dipingesse Antonio Vivarini da solo dovrebbe
evincersi da opere come il polittico dell’abbazia di Praglia, ora a Brera, che pur
lambisce quel momento in cui nella sua bottega si affacciò il fratello più giovane
Bartolomeo, con cui condivise alcune esperienze decisive, una volta mancato
Giovanni d’Alemagna, come il polittico della Certosa di Bologna, nel 1450, nonché
altre opere successive (Arb/Rab 1458, Osimo 1464). In quel mitico quinto decennio,
6
Fig. II Giovanni d’Alemagna,
Martirio di Sant’Apollonia,
1440-1445 circa.
Bergamo, Accademia Carrara
obiettiva fu in Giovanni e Antonio la
tensione condivisa verso un’osmosi
dei rispettivi linguaggi, quasi come fra
Picasso e Braque nel 1911, sì da mettere
in crisi l’acribia dei conoscitori. Ciò detto,
parrebbe che Antonio si distinguesse per
volumi più netti e sodi, per una pittura
più sfrondata ed essenziale, Giovanni per
una maggiore sontuosità materica, per un
disegno più pungente e al contempo per
superfici più tenuemente sfumate.
Procedendo a ritroso, si dovrebbe
riconoscere la loro vivacissima vocazione
narrativa, al principio con esiti assai
divaricati, contrapponendo le favolose
Storie di Sant’Apollonia, lievitate in scenari
inverosimili, intarsiate di colori tenui e
sfumati, e dall’altra le Storie della Passione
nel dossale del Corpus Domini, ora alla
Galleria Giorgio Franchetti della Ca’ d’Oro
(fig. III), concentrate in scenari più saldi e
concreti, addensate da ombrosità marcate.
Lavorando a fianco del socio tedesco,
Antonio schiarì e distillò i suoi colori,
imparò ad impastarli più teneramente,
affinò l’eleganza delle sue figure cilindriche
e affusolate. Proprio nella collaborazione e
competizione con Giovanni da Ulm Antonio
Vivarini coltivò la sua squisita vocazione di
affabulatore, distinguendosi però sempre
per una spazialità più nuda e ben scandita,
clare et distincte.
Tali sono i valori unici e insuperabili di due
serie narrative agiografiche che lo tennero
impegnato nel corso del quinto decennio, con esiti sensibilmente differenziati: le
Storie di Santa Monica della chiesa eremitana di Santo Stefano a Venezia e le Storie
di San Pietro martire per cui ora Mattia Vinco, riprendendo un’intuizione di Georg
Pudelko, argomenta ulteriormente la provenienza da un altare di San Zanipolo. Se
le si mettono a confronto si riconosce nelle prime una scenografia meno ariosa,
a ridosso della scala proporzionale delle figure, nelle seconde l’esperimento
di ambienti più variati e giustapposti, con soluzioni anche assai originali,
nell’ambivalenza ad esempio fra esterni ed interni, come nel San Pietro martire che
dialoga col Crocefisso (fig. 9). Qui si affacciano ritagli di cielo atmosferico sfumati
(non compatti e residuali, come nel Matrimonio di Santa Monica delle Gallerie
dell’Accademia) (fig. IV), puri intarsiati in maniera decorativa, ad esempio al di là
degli oblò del muro di cinta del convento, nella scena citata di San Pietro martire che
dialoga col Crocefisso. Nella Visita alle tre vergini in collezione Frascione (fig. 1)
7
fa la sua timida comparsa un’ombra proiettata dal paliotto dell’altare domestico,
forse per sottolineare la luce immacolata che promana dal Crocefisso, dipinto come
fosse in carne ed ossa, e che investe e santifica lo stesso San Pietro martire, spiato
da confratelli malevoli. La data probabile della seconda serie, verso il 1450 o poco
dopo, è rivelatrice. Allora Antonio non poteva prescindere dalla grande sfida lanciata
a Padova prima dai rilievi bronzei di Donatello al Santo e poi dagli affreschi di Andrea
Mantegna e dei collaboratori
di Niccolò Pizzolo nella
cappella Ovetari agli Eremitani,
in favore di una “historia”
impalcata in ambientazioni
prospettiche e risonanti.
Antonio intelligentemente
adotta un passo ridotto a lui
consono, con esiti intensamente
poetici, proprio per la
costante ambiguità fra teatro e
quotidianità, fra scena mentale e
squarci realistici. Il prodigio più
inaudito, il diavolo che si traveste
da statua della Madonna
col Bambino, sfoderando
corna, coda ed enormi ali da
pipistrello, convive con umili
dettagli che devono dare il
senso della vita quotidiana: i
bianchi cuscini sprimacciati,
le finestre piombate da vetri
a rondelle, le voltarelle lignee
intagliate a lacunari, le seghe
e le pialle dei maestri d’ascia
appesi al muro in bottega, le
lunghe assi accatastate, i trucioli a terra, le chiodature di una rustica boiserie, la
pila dell’acquasanta col suo aspersorio sulla facciata di una chiesa minore, la sua
facciata a vento, i coppi laterizi dei tetti, i comignoli... Tali descrizioni puntuali sono
dispensate però con estrema misura, per non turbare la pulizia di quinte essenziali e
camerette nude, dei travetti lignei dei palchi ben scorciati, delle architetture colorate
e luminose stagliate contro il cielo. Un dettaglio rivela peraltro la consapevolezza
dei novissimi prototipi padovani: nella scena con Gaufredo da Como che davanti
agli eretici getta nel fuoco la veste miracolosa di San Pietro martire (fig. 4), l’infilata
di finestre intagliate nei muri poderosi, con stipiti e architravi a spigolo vivo, iterati
in maniera martellante, reagisce a modo suo al fondale architettonico del San
Giacomo che battezza Ermogene del giovane Mantegna (1451 circa) (fig. V) o a
quello del mosaico più moderno della cappella de’ Mascoli in San Marco, la Morte
della Vergine, su cartone di Niccolò Pizzolo (1448-1449 circa). L’esito è antitetico,
ispirato ad una semplicità di fondo che si contrappone alla grandiosità antiquaria dei
nuovi modelli padovani ed è funzionale all’immediatezza del racconto: nulla turba
8
Fig. III Antonio Vivarini,
Storie della Passione di Cristo,
1435-1440 circa, particolare
con l’Ultima Cena. Venezia,
Galleria Giorgio Franchetti alla
Ca’ d’Oro
Fig. IV Antonio Vivarini,
Matrimonio di Santa Monica,
1445 circa.
Venezia, Gallerie dell’Accademia
i gesti umili e gentili di San Pietro martire, i movimenti lenti con cui si inginocchia,
sosta, entra tranquillo nella cameretta delle tre vergini e si pone al loro servizio. Il
limite di astrazione di questi scenari cartonati, dai muri tenuemente sfumati e privi
di modanature, è funzionale all’atmosfera rarefatta e incantata, all’irreale purezza
che rende plausibile il racconto della santità, in maniera paragonabile forse solo
alle narrazioni angelichiane. Queste Storie di San Pietro martire sono allora il frutto
effimero e precario di una congiuntura speciale, oltre la
quale Antonio Vivarini non volle più sospingersi, tant’è
che non conosciamo suoi cicli narrativi di comparabile
importanza nei decenni seguenti.
Otto sono le Storie di San Pietro martire al momento
rintracciate, ma alcune sono riemerse solo di recente
e quindi c’è sempre speranza che si ritrovino le altre
cinque mancanti all’appello. Mattia Vinco propone
infatti che siano identificabili con le tredici storie citate
in un inventario del 1733 della Scuola di San Vincenzo
Ferrer, San Pietro Martire e Santa Caterina, presso
la basilica domenicana veneziana di San Zanipolo.
L’inventario parla di “miracoli di San Vincenzo”,
ma confusioni fra i due santi predicatori non sono
infrequenti, visto che si tratta di storie molto particolari
e non così popolari, e visto che le confraternite
intitolate ai due santi erano confluite in uno. Le tavole
erano allora segate e riquadrate da cornici nere e
dorate, di prevedibile gusto barocco veneziano. Per
ricostruire l’assetto originale giustamente Vinco evoca
le pale agiografiche dipinte fra 1467 e 1485 circa dai
fratelli Agnolo e Bartolomeo degli Erri per le cappelle
addossate al tramezzo della chiesa di San Domenico
a Modena, che anzi potrebbero imitare i modelli
veneziani di poco precedenti. In particolare quella di
San Vincenzo Ferrer aveva dodici storie disposte ai lati
della figura stante del santo, e una tredicesima più larga ai suoi piedi, la Predica ora
all’Ashmolean Museum di Oxford. Si può quindi ipotizzare che anche nell’ancona
veneziana di Antonio Vivarini vi fosse una figura centrale del santo e una storia più
orizzontale ai suoi piedi, per giustificare il numero dispari di tredici. Queste storie
erano aperte, coi loro scenari vivacissimi, al di là di arcate ogivali particolarmente
slanciate, ancora goticissime, che in molti casi sono state integrate in sede
antiquariale e collezionistica, per trasformarli in quadretti rettangolari. Il loro fascino
particolare scaturiva però dal contrasto tra una carpenteria intagliata e dorata, che
dobbiamo immaginare non meno florida dei troni cari al duo Giovanni d’Alemagna e
Antonio Vivarini, e i timidi squarci di ambiente squadernati al di là.
La macchina complessiva di questa ancona doveva essere assai importante. La
provenienza alternativa da San Domenico a Chioggia, adombrata a partire dalla
presenza del San Pietro martire che risanala gamba di un giovane del Metropolitan
Museum nella collezione chiozzota di Giovanni Vianelli nel 1790, viene smentita da
Vinco perché nella chiesa dei predicatori a Chioggia non c’era un altare dedicato a
9
San Pietro Martire. Il valore esemplare anche per altre chiese dell’ordine, come quella
modenese, rafforza una provenienza più prestigiosa. In San Zanipolo Francesco
Sansovino nel 1581, nella sua Venetia città nobilissima, et singolare, ricordava come
la celebre pala di Tiziano con l’Uccisione di San Pietro martire sostituisse una “palla”
precedente che lui credeva di Jacobello del Fiore. A lungo si è pensato che da
questa ancona venisse la tavola della collezione Dumbarton Oaks a Washington,
raffigurante l’Uccisione di San Pietro martire, che potrebbe in effetti essere collegata
all’istituzione della Scuola a lui dedicata nel 1433, tanto più che Jacobello era legato
ai domenicani e presso il loro chiostro seppellì il padre, pure pittore, Francesco.
Come dimostra però ora Vinco quel dipinto era coronato dalla Madonna dell’Umiltà
della Staatsgalerie di Stoccarda, lunetta ricavata su un unico asse, e costituiva quindi
un’anconetta autonoma, non una pala d’altare. Viene così corroborata in maniera
decisiva l’ipotesi che Sansovino avesse fatto confusione e che l’ancona iconiconarrativa fosse quella di Antonio Vivarini, per cui ricerche ulteriori potranno forse
meglio definire la collocazione originale.
Riconsiderando organicamente queste Storie di San Pietro martire e ricollocandole
idealmente entro un’ancona particolarmente complessa, che doveva con ogni
probabilità illustrare il tempio mendicante più grandioso della città lagunare, San
Zanipolo, si recupera il loro ruolo capitale sia entro una linea di pittura narrativa dei
Predicatori, sia nello sviluppo dei cicli storici veneziani.
Sul primo punto andranno evidenziate alcune scelte non banali, specie a Venezia.
La modernità dell’ordine forse motivava alcune scelte che forzano la stessa
cultura essenzialmente tardogotica di Antonio Vivarini. Come spiegare l’edicola
classicheggiante, su pilastri e trabeazione, contesta di bianchi marmi, in cui si colloca
il Crocefisso con cui dialoga San Pietro martire? Come spiegare la pala anomala
sull’altare presso cui il giovane Pietro prende l’abito, una composizione centinata
racchiusa da una semplice riquadratura, come si vedevano nelle tele dipinte a finto
affresco, ad esempio quelle di Lorenzo Veneziano per Sant’Anastasia a Verona e
per altre chiese domenicane come quella di Santa Corona a Vicenza, indagate di
recente da Cristina Guarnieri? O ancora, come non sorprendersi della programmatica
raffigurazione di una basilica romana, con teorie di colonne architravate fra le
navate (come in San Pietro, San Paolo fuori le mura o Santa Maria Maggiore), nella
scena delle esequie del santo? Per Venezia credo fosse una novità assoluta. Che
sorprendente alternanza: dal fondaco del maestro d’ascia alla basilica romana,
dall’intimità di un’alcova alla solennità di un’abside ibrida gotico-rinascimentale!
Quale viatico migliore per la difesa delle tradizioni cattoliche dalle eresie e per
la moderna missione di predicazione urbana dei domenicani? E pure colpisce
l’assenza di troppo esplicite connotazioni architettoniche urbane lagunari, come
a secondare una dimensione piuttosto di meditazione esemplare e di preghiera
mentale, cara ad un ordine intellettuale come quello dei seguaci di San Domenico.
I confratelli modenesi, se mai reagirono a questo modello, affidandosi ai fratelli
Agnolo e Bartolomeo degli Erri privilegiarono ambientazioni altrimenti vedutistiche
in esterno e in interno, connotate da una vistosa attualizzazione all’insegna ben
riconoscibile della civiltà del cotto padano, tale da colpire il Berenson dell’articolo
“pirandelliano” Nove pitture in cerca di autore pubblicato su “Dedalo” nel 19241925, e da indirizzarlo in maniera fallace sulla città di Verona.
Sul secondo punto va riconosciuto, come già proponeva Georg Pudelko nel 1937,
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Fig. V Andrea Mantegna,
Battesimo di Ermogene, 1451 circa.
Padova, chiesa degli Eremitani,
cappella Ovetari
nell’illuminante commento qui messo in esergo, il posto capitale di questa serie, a
valle delle narrazioni di Guariento e poi di Gentile e Pisanello nella Sala del maggior
consiglio, dove trattavasi però delle storie del doge Sebastiano Ziani, di Federico
Barbarossa e di papa Alessandro III, in pieno XII secolo. Al di là delle squisite
incertezze nella padronanza dello spazio prospettico e dell’unità atmosferica, proprie
di un erede estremo della stagione gotica e internazionale, questo racconto moderno
unisce sapientemente l’amplificazione retorica e il senso di verità quotidiana, il
dettaglio spicciolo e la riflessione esemplare, i pieni e i vuoti, gli interni e gli esterni,
in un senso trascorrente della vita, fra accidenti e miracoli, fra sacro e profano.
In queste tavolette di Antonio Vivarini si individua uno snodo essenziale della
pittura narrativa veneziana, senza il quale forse non sarebbe pensabile l’evoluzione
seguente dei teleri delle Scuole veneziane, in gran parte perduti per noi, prima dei
cicli celeberrimi di San Giovanni Evangelista, di Sant’Orsola e di San Giorgio, dove
saranno protagonisti Gentile Bellini e Vittore Carpaccio.
11
“
Il confronto tra Antico e
Moderno, tra Gotico e
Rinascimento avviene senza
conflitti. Ma peculiare di
Antonio Vivarini è il fascino
dell’arte della narrazione per
la chiarezza e la semplicità,
che conferisce a queste
scene il valore esemplare di
epigramma. Antonio Vivarini ha
creato un nuovo stile narrativo
che rimase una cifra veneziana
ineguagliata fino alle leggende
di Sant’Orsola e di San Giorgio
di Carpaccio.
Pudelko 1937a, p. 285
Biografia di Antonio Vivarini
(documentato in Veneto 1440 – 1476/1484)
In origine i membri della famiglia Vivarini, documentata dalla seconda metà del
Trecento tra Murano e Padova, svolgevano la professione di vetrai. Il cognome
Vivarini deriva da un “Vivarinius vitruarius”, figlio del capostipite “ser Henricus de
Padua”, iscritto nella Mariegola della Scuola Grande di San Giovanni Battista dei
battuti a Murano nella seconda metà del XIV secolo.
Conosciamo queste informazioni grazie alle ricerche di Laudadeo Testi (1915), che
dopo aver chiarito la storia più antica della famiglia, dimostrò che le famiglie di
pittori veneziani Vivarini e Bavarini, distintesi circa alla metà del Quattrocento nella
persona di Ludovico Bavarin, figlio di Alberto Vivarini, derivavano da un unico ceppo
di maestri vetrai. Lo studioso confutava infine il malinteso che Giovanni d’Alemagna,
cognato e collaboratore di Antonio nella prima parte della sua carriera, fosse un
membro della famiglia Bavarini. L’ipotesi era basata sull’erronea interpretazione del
termine “bavaro”, ovvero nato in Baviera, appellativo che mai connota Giovanni,
chiamato alternativamente “de Alemania” e “de Ulma”, se lo si identifica con il
pittore incaricato nel 1437 dal vescovo di Padova, Pietro Donato, di affrescare la
cappella di San Massimo nel palazzo vescovile.
Di Antonio, figlio del vetraio Michele Vivarini, non è noto l’anno di nascita. La sua
prima attestazione risale alla firma e alla data 1440 apposte sul polittico della basilica
Eufrasiana di Parenzo/Poreč, che Antonio potrebbe avere spedito da Venezia. Una
serie di documenti vedono Antonio presente a Venezia in vari atti tra 1446 e 1466. È
ricordato come abitante del confinio di Santa Maria Formosa e sappiamo che ebbe
due mogli, Antonia e Luchina.
Sono però soprattutto le opere firmate e datate a permettere di seguire in modo
dettagliato la sua attività matura e tarda. Il polittico di Poreč è preziosa testimonianza
dello stile di Antonio prima che questi entrasse in società con Giovanni. Questa
collaborazione principiò con il polittico di San Girolamo per la chiesa di Santo
Stefano (ora Vienna, Kunsthistorisches Museum), firmato da entrambi e datato
1441, e terminò con la morte di Giovanni a Padova nel 1450. Lo stile espresso da
Antonio nel polittico di Parenzo/Poreč, e la lettura da parte di Federico Zeri della
firma del solo Giovanni e della data 1444 nel San Girolamo del Walters Art Museum
di Baltimora (inv. 693) hanno consentito alla critica di circoscrivere con sempre
maggiore precisione la parte dell’uno e dell’altro.
13
Protagonista della pittura veneziana in quegli anni era Jacopo Bellini al quale i
due artisti sicuramente guardarono con profonda ammirazione. Ma se Antonio si
lasciò maggiormente incuriosire dagli studi prospettici e dall’aspetto regolarizzato
dei suoi disegni, Giovanni ne sviluppò contraddizioni e idiosincrasie, dando vita a
una fioritura postrema del Tardogotico, dove citazioni archeologiche e improbabili
esperimenti prospettici convivono con tenerezze pulviscolari, raffinatezze delle
decorazioni sull’oro e colorati prati fioriti.
I due artisti condivisero molte commissioni: a Venezia i tre polittici per la cappella
di San Tarasio nella chiesa di San Zaccaria, l’Incoronazione della Vergine per la
chiesa di San Pantalon a Venezia, il trittico di San Moisé, diviso tra la chiesa di San
Tomaso Becket a Padova e la National Gallery di Londra, il trittico per la Scuola
Grande della Carità (Venezia, Gallerie dell’Accademia). A Padova, dove Antonio è
registrato nella locale fraglia dei pittori nel 1447, dipinsero assieme il polittico per
la chiesa di San Francesco (Praga, Narodni Galerie) e quello per l’Abbazia di Praglia
(Milano, Pinacoteca di Brera). In seguito alla morte di Giovanni, la compagnia si
sciolse, lasciando incompiuta la decorazione della cappella Ovetari nella chiesa degli
Eremitani a Padova (1448-1450), alla quale lavorò probabilmente il solo Giovanni.
A partire dal polittico per la Certosa di Bologna (1450) firmato e datato con
Bartolomeo Vivarini, e da un secondo polittico per San Francesco a Padova (1451),
ora diviso tra varie collezioni, iniziò per Antonio una nuova partnership artistica con il
fratello. Firmati e datati dai due fratelli sono il polittico della chiesa di San Bernardino
del monastero di Sant’Eufemia di Arbe/Rab in Croazia del 1458 e il polittico di Osimo
nel locale museo civico, già nella chiesa della SS. Annunziata, del 1464.
La bottega di Antonio e Bartolomeo Vivarini vedrà emergere già negli anni Sessanta
la figura di Alvise, figlio di Antonio, aggiornato sulle novità di Giovanni Bellini nella
sua prima opera firmata e datata (1476), il polittico per il convento francescano di
Montefiorentino, ora nella Galleria Nazionale delle Marche ad Urbino. Il successo di
questi pittori resisterà nel tempo, come testimoniano le molte opere che decorano le
chiese dei domini di terraferma della Serenissima Repubblica e della costa adriatica.
La morte di Antonio va circoscritta tra il 27 agosto 1466, quando è citato come
abitante a Santa Maria Formosa a Venezia, e il 24 aprile 1484, quando Alvise venne
ricordato come figlio del defunto Antonio.
Bibliografia
Testi 1915, pp. 316-321; Zeri 1971, pp. 40-49; A. De Marchi, in Oro 1998, pp. 58-63; Holgate 2007, pp. 9-29;
Cavalli 2016, pp- 10-129.
14
Antonio
Vivarini
in San
Zanipolo
a Venezia
Iconografia e nuovi documenti
15
1. Antonio Vivarini, San Pietro
martire nella sua cella conversa
con tre vergini (Agnese, Caterina
e Cecilia), 1450 circa.
Firenze, galleria Enrico
Frascione
L'opera è notificata
come importante bene
culturale del patrimonio
artisitico nazionale dalla
Soprintendenza di Firenze
Nel 1967 Rodolfo Pallucchini pubblicava sulla rivista “Arte Veneta” due tavole con
storie di San Pietro martire di Antonio Vivarini, parte di un dossale agiografico di cui
erano già noti altri elementi. La fortunata circostanza del ritrovamento di uno dei
due dipinti presso la Galleria Enrico Frascione offre ora lo spunto per riconsiderare
l’attività del maestro dopo la morte del suo sodale Giovanni d’Alemagna, indagare
la provenienza dell’opera sulla base di una nuova documentazione archivistica e
affrontare organicamente la questione della presenza di dossali agiografici nelle
chiese domenicane dell’Italia settentrionale. Nell’appendice, dove sono stati
schedati tutti gli elementi del complesso decorativo finora noti, è stata rivolta
una particolare attenzione alla ricca letteratura agiografica fiorita intorno al santo
con l’intento di individuare le fonti specifiche degli episodi che Vivarini scelse di
rappresentare.
Il dipinto che qui si presenta nello specifico raffigura uno dei molti episodi miracolosi
della vita di San Pietro martire, avvenuto in un monastero domenicano intitolato
a San Giovanni battista, collocato fuori dalla città di Como (fig. 1). Tre vergini di
nome Agnese, Caterina e Lucia facevano talvolta visita al santo raccolto nell’officio
della preghiera notturna. Alcuni confratelli, che non credevano alla santità di Pietro,
sentendo alcune voci femminili provenire dalla sua cella, decisero di denunciarlo
al priore del convento. Questi, interrogato Pietro, che non volle dare spiegazione
dell’accaduto, decise di punirlo trasferendolo nel convento di Jesi.
Nella tavola Frascione, ottimamente restaurata da Loredana Gallo nel 2016, Antonio
Vivarini coglie proprio il momento in cui i confratelli di San Pietro, insospettiti dalle
voci delle donne, stanno origliando fuori dalla sua cella. In particolare sul volto
del primo, dall’espressione crudele e dal profilo grifagno, prende forma la perfida
azione delatoria che sta per compiere. Di grande realismo appare inoltre l’umile
stanza del santo, descritta dal pittore in tutti i singoli dettagli: dalla bella mensa
d’altare, decorata con un paliotto verde a motivi geometrici, alla struttura lignea,
che ci consente di avere un’idea di quale fosse l’arredo di una camera alla metà
del Quattrocento. Alle spalle di San Pietro martire è collocata una bella scultura
lignea con il Crocifisso, protagonista delle sue veglie. Davanti a lui sono le tre
vergini, ognuna con un rotolo, probabilmente simbolo dei testi sacri che stanno
discutendo con lui. Da notare infine che il pittore, per rendere più evidente l’azione
dei tre frati, aveva pensato di realizzare sulla parete lignea una grata con più fori svelata chiaramente dalla riflettografia (fig. 2) - che avrebbe permesso loro la vista
dell’interno.
La vicenda critica del ciclo di San Pietro martire di cui fa parte la tavola Frascione
principia nel 1937 con un esemplare intervento di Georg Pudelko1. Fino alla
pubblicazione del suo contributo Ein Petrus-Martyr-Altar des Antonio Vivarini
nella rivista “Pantheon”, erano noti, ma con l’improbabile riferimento all’ambito
fiorentino, soltanto i due frammenti conservati nei musei statali berlinesi, provenienti
17
2. Antonio Vivarini, San Pietro
martire nella sua cella conversa
con tre vergini (Agnese,
Caterina e Cecilia), 1450 circa.
Riflettografia.
Firenze, galleria Enrico Frascione
dalla collezione Solly: San Pietro martire entra nell’ordine domenicano a Bologna
e Gaufredo da Como davanti agli eretici getta nel fuoco la veste miracolosa di San
Pietro martire (figg. 3-4)2. Con il suo intervento il grande studioso del Quattrocento
italiano giungeva alla conclusione che le due tavole facessero serie con due
frammenti venduti negli anni Venti presso l’American Art Association: San Pietro
martire guarisce un’indemoniata, ora presso l’Art Institute di Chicago (fig. 5) e San
Pietro martire risana la gamba di un giovane del Metropolitan Museum di New
York (fig. 6)3. In un primo momento, ad attirare l’attenzione degli studiosi fu però
solo quest’ultima che, nel giro di pochi anni, passò nelle mani dei più importanti
collezionisti dell’epoca come Ascher, Alessandro Contini Bonacossi e Samuel H.
Kress, dando così la possibilità ai maggiori studiosi del tempo di esaminarla. Oltre
ai pareri editi, vanno ricordate in particolare le comunicazioni orali di Roberto
Longhi e Giuseppe Fiocco, che a distanza di dieci anni dalla Lettera pittorica
(1926) riprendevano il discorso esattamente da dove lo avevano lasciato, il primo
attribuendo l’opera ad Antonio Vivarini con una datazione al 1460 circa, il secondo
assegnandola a un anonimo dell’Italia del Nord, ma con influenze toscane4.
Infine, altri accrescimenti alla serie avvennero per merito di Bernard Berenson,
che nell’edizione degli “Indici” del 1957 rendeva nota la tavoletta raffigurante Le
esequie di San Pietro martire nella basilica di San Simpliciano a Milano (fig. 7), e di
Rodolfo Pallucchini, che in un articolo integrativo alla sua monografia sui Vivarini del
18
3. Antonio Vivarini, San Pietro
martire entra nell’ordine
domenicano a Bologna, 1450 circa.
Berlino, Gemäldegalerie
4. Antonio Vivarini, Gaufredo da
Como davanti agli eretici getta
nel fuoco la veste miracolosa di
San Pietro martire, 1450 circa.
Berlino, Gemäldegalerie
1962, pubblicava con la corretta attribuzione le due tavole raffiguranti San Pietro
martire scaccia il diavolo in sembianze di Madonna col Bambino e San Pietro martire
nella sua cella nel monastero di Como conversa con tre vergini (Agnese, Caterina
e Cecilia), passate in asta a Parigi nel 1962 e nel 1963, ora rispettivamente nella
collezione Alana (Newark, Delaware) e presso la galleria Enrico Frascione di Firenze
(figg. 8, 1)5. Di recente, infine, Peter Humfrey ha ritrovato un nuovo frammento della
serie raffigurante San Pietro martire in dialogo con il Crocifisso (fig. 9).
Il ritrovamento della tavoletta ora al Metropolitan Museum of Art di New York fu
importante non solo sotto l’aspetto attributivo, ma soprattutto perché permise di
iniziare a formulare qualche ipotesi sulla provenienza e sul formato dell’intero dossale
agiografico, di cui faceva parte assieme agli altri frammenti. Un primo passo in questa
direzione fu fatto da Pudelko grazie a un’intuizione di Georg Gronau, che identificò
questo pannello con un’opera già in collezione Giovanni Vianelli a Chioggia,
descritta minuziosamente nel catalogo del 1790 come opera di Bartolomeo Vivarini6.
Ma il merito di Pudelko fu soprattutto quello di collegare le quattro storie da lui
ricomposte alla descrizione degli arredi dell’altare di San Pietro martire nella basilica
di San Zanipolo, contenuta nella Venetia città nobilissima, et singolare di Francesco
Sansovino (1581): “Entrando adunque in Chiesa per la porta maestra dalla sinistra,
si vede la Palla di S. Agostino fatta a guazzo da Luigi Vivarino; quella di San Pietro,
prima da Iacomello dal Fiore, & poi rifatta del tutto da Titiano Pittore illustre”7.
19
Con grande lucidità lo studioso berlinese riteneva da un lato un errore tollerabile
l’attribuzione di Sansovino a Jacobello del Fiore, dall’altro proponeva di leggere
i frammenti con le storie di San Pietro martire in parallelo con quelli con storie di
santa Monica; queste ultime, infatti, componevano un dossale nella chiesa di Santo
Stefano, descritto dallo stesso Sansovino come “palla di Santa Monica nella quale si
veggono diversi habiti antichi de Vinitiani, de medesimi Vivarini”, e da Carlo Ridolfi
nelle Maraviglie dell’arte (1648) come “altra [tavola] di Santa Monacha con picciole
historiette intorno della vita sua”, tra le opere di “Giovanni et Antonio Vivarini”8.
Il maggiore impedimento alla proposta di Pudelko potrebbe essere costituito
dall’esistenza di una tavola conservata nelle collezioni dell’istituto Dumbarton
Oaks di Washington, nella quale è raffigurata l'Uccisione di San Pietro martire,
opera proprio di Jacobello del Fiore9. Ma si tratta probabilmente di un dipinto non
destinato a decorare un altare collocato nell’imponente basilica domenicana, ma che,
forse commissionato lo stesso anno della fondazione della confraternita, nel 1433,
decorava l’altare della Scuola in cui si riuniva la confraternita di San Pietro martire.
Questa provenienza è del resto resa probabile dal legame tra Francesco, padre di
Jacobello, e la basilica di San Zanipolo, dove aveva voluto farsi seppellire10.
Bisogna ricordare, inoltre, che la tavola era completata in origine da una Madonna
dell’umiltà di collezione privata, dal 1982 esposta presso la Staatsgalerie di
Stoccarda, e che quindi non faceva serie con altre tavole raffiguranti episodi della
20
5. Antonio Vivarini, San Pietro
martire guarisce un’indemoniata,
1450 circa.
Chicago, Art Institute
6. Antonio Vivarini, San Pietro
martire risana la gamba di un
giovane, 1450 circa.
New York, The Metropolitan
Museum of Art
7. Antonio Vivarini, Esequie di
San Pietro martire nella basilica
di San Simpliciano a Milano,
1450 circa.
Ubicazione sconosciuta
8. Antonio Vivarini, San Pietro
martire scaccia il diavolo in
sembianze di Madonna col
Bambino, 1450 circa.
Newark (Delaware),
collezione Alana
vita del santo domenicano11. A sostegno di questa ipotesi di ricostruzione soccorre
la testimonianza di Berenson, che integrava quanto pubblicato negli “Indici” del
1957, dove le due tavole che si trovano sulla stessa pagina suggeriscono che in
origine erano parte di un’unica opera12. Questa soluzione grafica poggiava in realtà
su una diretta e prolungata conoscenza dei due dipinti da parte dello studioso, come
apprendiamo da una comunicazione del 1946 conservata nell’archivio del museo
statunitense. Berenson raccontava di aver potuto esaminare le due tavole quando
erano un’unica opera nel 1893, allorché si trovavano a Roma in collezione Sterbini con
l’erronea attribuzione a Benozzo Gozzoli. A distanza di soli tre anni Berenson poté
appurare personalmente che il dipinto era stato ridotto a due elementi dall’antiquario
operante tra Firenze e Parigi, Godefroy Brauer (1857-1923) e, da ultimo, che nel 1911
l'Uccisione di San Pietro martire era a Parigi, presso l’antiquario Steinmeyer13.
Per ritornare alla questione della provenienza delle nostre Storie di San Pietro
martire va comunque detto che la sicura presenza delle Storie di santa Monica nella
chiesa veneziana di Santo Stefano induce a credere che anche quelle qui esaminate
provenissero dalla basilica di San Zanipolo, la maggiore chiesa domenicana a
Venezia, come già ipotizzato da Pudelko14. Non può invece a mio avviso essere
considerata una valida alternativa la loro provenienza dalla pur importante chiesa di
San Domenico a Chioggia, città dove si trovava la collezione del canonico Vianelli
che, come abbiamo visto, ospitava solo uno degli elementi della serie.
21
Basilica dei Santi Giovanni e Paolo
(San Zanipolo), Venezia
Giovanni Antonio Canal,
detto il Canaletto, Venezia,
Campo Santi Giovanni e Paolo,
particolare. Dublino, National
Gallery of Ireland
La basilica di San Zanipolo (ovvero dedicata ai Santi Giovanni e Paolo)
sorge nell’omonimo campo veneziano, celebre perché ospita il
monumento equestre dedicato a Bartolomeo Colleoni, condottiero di
ventura bergamasco al servizio della Serenissima Repubblica di Venezia,
opera dello scultore fiorentino Andrea Verrocchio.
L’edificio sacro rappresenta il più importante insediamento dell’ordine
domenicano a Venezia e fu voluto dal 43° doge Jacopo Tiepolo, in
carica dal 1229 al 1249. Nel tempo mantenne questa funzione di luogo
di sepoltura privilegiato dei dogi veneziani. Quattro sono i dogi in carica
nel XIII secolo sepolti in questo luogo, ma il numero sale a otto per il XV
secolo.
La chiesa duecentesca venne ben presto ampliata in nuove e più
monumentali forme a partire dal XIV secolo, sotto la guida degli
architetti domenicani fra’ Benvenuto da Bologna e fra’ Nicolò da Imola.
Fu però consacrata solo nel secolo successivo, il 14 novembre 1430,
dal domenicano Antonio Correr, vescovo di Ceneda, nipote di papa
Gregorio XII.
Innumerevoli sono le opere d’arte che la decorano. Vanno ricordati in
particolare il monumento funebre dei tre dogi della famiglia Mocenigo,
Pietro, Giovanni e Alvise sulla controfacciata, e quelli dei dogi Tommaso
Mocenigo, Pasquale Malipiero e Nicolò Marcello sulla navata sinistra.
Tra le opere pittoriche si annoverano il trittico di San Vincenzo Ferrer di
Giovanni Bellini e l’Elemosina di Sant’Antonino Pierozzi, biografo di San
Pietro martire, di Lorenzo Lotto.
Basta infatti dare una rapida scorsa all’elenco dei dipinti che la componevano per
capire come si trattasse di una raccolta assai raffinata e eterogenea, e non di un
nucleo di testimonianze storiche locali15. Una circostanza, questa, non vincolante per
la provenienza del dossale.
Ora, invece, un fortunato rinvenimento archivistico può dare sostanza all’antica
intuizione di Pudelko. Si tratta dell’“Inventario di stabili, mobili e robbe della
Venerabile Scuola di S.S. Vicenzo, Pietro Martire e Santa Cattarina da Siena”, redatto
il 18 febbraio 1733, nel quale sono elencati, tra gli altri beni collocati “in albergo
sive scuola posta nel sagrà dietro la chiesa di S.S. Giovanni e Paulo […] Quadri con
soaze nere e dorade con li miracoli di S. Vicenzo n. 13” (figg. 10-12)16. La probabile
confusione tra i Santi Vincenzo e Pietro martire, in cui cadde l’estensore della
nota inventariale, è forse dovuta alla riunificazione delle due Scuole avvenuta nel
156517. E non è inoltre strano che queste storie vengano descritte come “miracoli”.
Va ricordato infatti che Lodovico Vedriani (1662), parafrasando Vasari, descriveva
con parole assai simili le ancone agiografiche nella chiesa di San Domenico a
Modena: “la prima è l’Altar maggiore di S. Domenico adesso trasferita nel Choro,
dove tuttavia mostra le sue bellezze, l’altre sono nel tramezzo della Chiesa, e sono
quella di S. Tomaso, di S. Pietro Martire, e di S. Vincenzo Ferrerio inquartate tutte
delle attioni, e miracoli suoi, dalle quali si conosce quanto sin dall’hora valessero
gl’ingegni Modonesi nella pittura”18.
La compagnia di Santa Caterina da Siena si era invece già unita a quella di San
Vincenzo Ferrer. Partendo dalla loro fondazione sappiamo che le tre “scuole laicali
una dall’altra separate si contavano erette nella chiesa delli Padri di SS. Giovanni
e Paolo; la prima di S. Pietro Martire, che ebbe la sua origine nel 1433; l’altra di S.
Vincenzo Ferrerio nel 1450; e la terza di S. Cattarina da Siena, di cui altre notizie non
si ha del suo principio, se non alcune concessioni che sono senza data, fatte dalli
Padri alli Confratelli della Scuola di essa Santa […]. La qual [Scuola di Santa Caterina]
la trovo poi unita a quella di S. Vincenzo Ferrerio sotto il 1531, nell’occasione che
li Padri ànno concesso alli Confratelli il poter fabbricar li scalini dell’Altar di detto
Santo, come dalla Deliberazione presa nel Consiglio di essi Padri nel predetto Anno
li 24 luglio […]”19.
Il confronto con le pale modenesi degli Erri, che rappresentano il punto di vista
privilegiato da cui osservare i frammenti di Antonio Vivarini, induce a riflettere sulla
possibilità che i domenicani avessero messo in atto nella basilica di San Zanipolo una
strategia di comunicazione analoga a quella adottata in San Domenico a Modena.
Questo avvenne all’incirca nello stesso torno d’anni, se si considera che il dossale
con Storie di San Pietro martire (Parma, Galleria Nazionale, inv. 499) è databile al
1451 circa, data di consacrazione della nuova chiesa (fig. 13). Ed anche rileggendo
la documentazione archivistica riguardante l’altare di San Pietro martire si è indotti
a credere infatti che la pala agiografica di Antonio Vivarini si trovasse in origine,
allo stesso modo delle pale modenesi, sul tramezzo della chiesa anziché sull’altare
laterale dove la vide Sansovino nel 1581.
Questa ipotesi si basa su una nota, probabilmente settecentesca, che descrive
l’altare di San Vincenzo Ferrer ai Santi Giovanni e Paolo: “Nota. Casa [= Cosa ?]
era l’altare di S. Vicenzo. Questo era un quadro grande di legno con intaglio ed
indorato [tre parole sopra il rigo illeggibili]. Nella cima del suddetto quadro ci è il
Padre Eterno per frontispizio; sotto al quale ci è dipinto Christo risorto; alli latterali
24
9. Antonio Vivarini, San Pietro
martire dialoga con il Crocifisso,
1450 circa.
Newark (Delaware), collezione
Alana
vi sono in un quadro l’Angelo Gabriele ed dall’altro lato la Vergine Annunziata. Nel
mezo l’imagine di S. Vicenzo. Nelli due lateralli della stessa grandeza vi sono due
quadri uno con S. Cristofolo, ed l’altro S. Sebastiano; di sotto varii miracoli di S.
Vicenzo. A questo quadro di legno gli fu fatto un cornissone di marmo quadrato. Ed
sì come nella nostra chiesa secondo l’uso anticho, ed sua architettura non ametteva,
né portava altri altari, se non quelli di prospetto, quali erano cinque, così col tempo
per secondar la divozione delli fedelli, si indussero
a modo di altari ancor di quelli erano latteralli.
Onde il quadro di S. Cristoforo, S. Sebestiano
essendo alto da terra ed volendolo indure a modo
d’altare 1525 [?] si esibirono i devoti di S. Vicenzo
d’ornarlo con li scalini accioché gli diino licenza di
far una sepultura”20.
Il passo non è sicuramente di facile comprensione,
ma per lo svolgimento della nostra tesi va
certamente messo in evidenza come esistesse
un “uso anticho” che non ammetteva all’interno
della basilica dei Santi Giovanni e Paolo altari
“se non di prospetto”. Inoltre va ricordato che la
collocazione nella zona presbiteriale di ancone
agiografiche simili a quella di Antonio Vivarini è
confermata da Vasari (1568). Lo storico aretino,
ben prima del Vedriani (1662), vide infatti le
“tavole” degli Erri in San Domenico a Modena
“sull’altare maggiore di San Domenico, e le altre
[tre] alle cappelle che sono nel tramezzo di quella
chiesa”21. Gli altari delle navate esistevano già nel
XV secolo, ma erano strutture mobili, predisposte
probabilmente solo a partire dagli anni Sessanta
del Quattrocento, come fanno pensare le pale
di San Vincenzo Ferrer e quella perduta di Santa
Caterina da Siena di Giovanni Bellini e il polittico
smembrato di Bartolomeo Vivarini22. In seguito,
anche questi altari vennero ammodernati e
trasformati in pietra. Quello di San Vincenzo Ferrer
dopo il 1523, e più precisamente all’altezza del
1531, come suggerisce un documento del 24 luglio di quell’anno con il quale i frati
concedevano ai confratelli della Scuola di San Vincenzo Ferrer e di Santa Caterina
da Siena il permesso di realizzare gli scalini e le sepolture presso l’altare23. L’altare di
San Pietro martire, nonostante non possiamo contare su una descrizione altrettanto
dettagliata, venne probabilmente dotato di scalini in pietra dopo il 10 maggio 1477
grazie al lascito di Zuanne Trevisan24.
Tornando al contributo di Pudelko, si deve infine ricordare che lo studioso
terminava il suo intervento ipotizzando che le Storie di San Pietro martire in origine
si disponessero verticalmente attorno alla figura stante di San Pietro martire, sul
modello della pala agiografica di santa Lucia della Pinacoteca dell’Accademia dei
Concordi di Rovigo, firmata da Quirizio da Murano e datata 146225. Lo sviluppo
25
delle singole tavolette e la venatura verticale lascia pensare che la loro disposizione
originale fosse proprio quella ipotizzata da Pudelko26. Tenendo presente l’esistenza
dei 13 “miracoli” elencati nell’inventario del 1733, sembrerebbe che il maggiore
aiuto nel ricostruire la forma originale di questa pala d’altare derivi proprio dalle
Storie di San Vincenzo Ferrer, già in San Domenico a Modena. Questa pala, di
qualche decennio più tarda, al netto della cornice, sembra si sia conservata in tutti i
suoi tredici elementi figurativi, ed è composta, come è noto, da un pannello centrale
raffigurante San Vincenzo Ferrer (Modena, Seminario Arcivescovile), da dodici
frammenti di dimensioni simili (Vienna, Kunsthistorisches Museum) e da un elemento
narrativo di dimensioni maggiori (Oxford, Ashmolean Museum) che fungeva da
predella al di sotto della figura centrale. Seguendo questo modello, nel caso
dell’opera di Antonio Vivarini, dovrebbero mancare all’appello quattro frammenti
delle stesse dimensioni degli otto superstiti, il pannello centrale con San Pietro
martire e la predella sottostante (fig. 14)27. Del resto, al di là di questi esempi illustri,
va ricordato che la scelta di commissionare pale agiografiche era una specificità
dell’ordine domenicano anche in epoca più antica. In questo senso va enfatizzata
l’esistenza di una tavoletta con la Predica di San Pietro martire del Maestro di
Roncajette in collezione privata, databile al terzo decennio del Quattrocento, che
rappresenta l’unico frammento di una pala agiografica di notevoli dimensioni, di cui
purtroppo non è nota la collocazione originale (fig. 15)28.
Irrimediabilmente perdute sono le cornici “nere e dorade” citate nell’inventario, e
di conseguenza assai complesso risulta appurare quale fosse il formato originale
di queste tavole. Inoltre, sei di esse, con l’eccezione delle due conservate a
Firenze nella galleria Enrico Frascione e al Metropolitan Museum di New York,
26
10. Copertina del volume di
atti tra il Monastero dei Santi
Giovanni e Paolo e le scuole
dei Santi Vincenzo Ferrer e
Pietro martire.
Venezia, Archivio di Stato
11. Inventario delle scuole dei
Santi Vincenzo Ferrer, Pietro
martire e Caterina da Siena, 18
febbraio 1733.
Venezia, Archivio di Stato
12. Inventario delle scuole dei
Santi Vincenzo Ferrer, Pietro
martire e Caterina da Siena, 18
febbraio 1733.
Venezia, Archivio di Stato,
particolare
vennero mimeticamente integrate per far loro assumere la forma di un “quadretto”
rettangolare; quelle berlinesi furono addirittura tagliate in forma di poligono
irregolare nella parte apicale29. L’operazione di ritocco mimetico, condotta con una
notevole finezza, deve essere stata portata a termine prima che i dipinti fossero
dispersi sul mercato antiquario, forse in seguito a nuovo utilizzo devozionale di
queste opere da parte della Compagnia di San Pietro martire e San Vincenzo Ferrer.
Al netto di queste alterazioni, se esaminate attentamente, ognuna di queste tavole
presenta nella parte sommitale un’elegante ogiva, sul cui profilo ancora emergono le
tracce degli archetti con i quali terminava la cornice applicata alla tavola.
Al di là di queste annotazioni tecniche, le recenti operazioni di restauro compiute
sui due dipinti conservati nella collezione Alana (Newark, Delaware) e su quello
in galleria Frascione da parte di Loredana Gallo hanno consentito di apprezzare
a pieno i valori stilistici di queste opere, in bilico tra delicatezze tardogotiche di
ascendenza gentiliana e slanci prospettici sperimentati dall’allievo veneziano Jacopo
Bellini, ben commentati da Pudelko: “Il confronto tra Antico e Moderno, tra Gotico
e Rinascimento avviene senza conflitti. Ma peculiare di Antonio Vivarini è il fascino
dell’arte della narrazione per la chiarezza e semplicità, che conferisce a queste scene
il valore esemplare di epigramma. Antonio Vivarini ha creato un nuovo stile narrativo
che rimase una cifra veneziana ineguagliata fino alle leggende di Sant’Orsola e di
San Giorgio di Carpaccio”30. La difficoltà di lettura di questa cultura figurativa “di
confine” si riverbera soprattutto nell’oscillazione della cronologia delle storie fino
27
San Pietro Martire da Verona
Pietro nacque a Verona tra la fine del XII e gli inizi del XIII secolo in una
famiglia vicina all’ambiente dell’eresia manichea catara. Ben presto
convertitosi, si trasformò in fiero e zelante sostenitore dell’ortodossia
studiando all’Università di Bologna ed entrando nel convento dell’ordine
dei frati predicatori di quella città verso il 1220.
La sua azione contro gli eretici si sviluppò principalmente nell’Italia
settentrionale, a Milano, Como e Vercelli. Spostatosi in seguito
nell’Italia centrale, prima a Firenze e poi a Roma, fece ritorno al nord,
dove ebbe incarichi in diverse città della Lombardia, ma anche nelle
Marche e in Romagna, operando sempre contro gli eretici. La sua
eccezionale capacità retorica fu ricordata con queste parole da fra’
Pascale, un vecchio frate del convento di Santa Maria Novella: “Tutti gli
altri predicatori a paragone con lui apparivano muti, senza eloquenza e
balbettanti”.
Molti artisti ne immortalarono le gesta, dedicando una particolare
attenzione all’episodio della sua morte cruenta, avvenuta la domenica
delle Palme del 1252. Il momento della sua uccisione è raffigurato non
solo nei rilievi dell’arca di Giovanni di Balduccio o negli affreschi di
Vincenzo Foppa nella cappella che ne custodisce il corpo, nella chiesa
milanese di Sant’Eustorgio a Milano. Per restare in ambito veneto va
ricordato che Giovanni Bellini dedicò a questo episodio due dipinti
conservati a Londra (National Gallery e The Courtauld Gallery) e Tiziano
una pala d’altare perduta, un tempo sull’altare di San Pietro martire in San
Zanipolo, che conosciamo grazie all’esistenza di numerose copie tra cui
quella ancora in situ di Niccolò Cassana.
13. Agnolo e Bartolomeo degli
Erri (?), Dossale con Storie di
San Pietro martire, 1451 circa.
Parma, Galleria nazionale.
ad ora note, datate agli anni Quaranta, agli anni Cinquanta e agli anni Sessanta, con
cambiamenti di opinione da parte degli studiosi nel corso del tempo31.
L’unico elemento di novità per dirimere la questione lo dobbiamo a Federico Zeri,
che nel 1971 restituiva al solo Giovanni d’Alemagna, “cognato, socio e diuturno
collaboratore di Antonio Vivarini”, il San Girolamo del Walters Art Museum di
Baltimora (inv. 693), firmato e datato 144432. La preziosa puntualizzazione epigrafica
su questo dipinto, per altro noto da tempo, unita alla conoscenza della data di morte
del pittore, il 1450, forniva finalmente alla critica un dato oggettivo per conoscere
lo sfuggente artista. I due pittori, infatti, come ricorda lo stesso studioso, fino a quel
momento erano considerati dalla critica “ ‘quanti’ d’incerta consistenza reciproca,
e così affini per cultura e per significato espressivo da ridursi, in senso storico, ad
una sola persona artistica, magari variegata nelle parti dell’inventore e del suo
fedelissimo esecutore”33.
Questo punto fermo nell’attività artistica di Giovanni s’inseriva nel meglio
documentato catalogo di Antonio, che principia autonomamente con il polittico
della basilica Eufrasiana di Parenzo/Porecˇ del 1440, e continua in compagnia del
socio e cognato nel polittico di San Girolamo per Santo Stefano a Venezia firmato
e datato 1441 – ora nel Kunsthistorisches Museum di Vienna (inv. 6813-6818) –
culminando nella commissione degli affreschi Ovetari della chiesa degli Eremitani
a Padova34. Fu solo con la morte di Giovanni che Antonio iniziò a collaborare con il
fratello minore, Bartolomeo, nel polittico per la certosa di Bologna firmato e datato
da entrambi 1450 – ora nella Pinacoteca Nazionale di Bologna, inv. 273 – e nel
30
14. Agnolo degli Erri, Dossale di
San Vincenzo Ferrer, 1485 circa.
Modena, Oxford, Vienna
(proposta di ricostruzione
Benati 1988)
polittico di San Francesco a Padova del 1451, ricostruito dallo stesso Zeri, diviso
tra il Kunsthistorisches Museum di Vienna (inv. 6559, 6685), la Galleria Nazionale di
Praga (inv. O-8302; O-8303; O-11949), il Worcester Art Musem nel Massachusetts
(inv. 1921.175) e la Fondazione Cavallini-Sgarbi di Ferrara35. Se questa nuova
acquisizione non consentiva a Zeri di trarre conclusioni definitive sul rapporto tra
Antonio Vivarini e Giovanni d’Alemagna – un argomento che lo studioso giustamente
riteneva meritevole di una trattazione monografica – gli permetteva quantomeno di
porre le basi per una distinzione biografica e culturale tra i due maestri che è tuttora
valida. A Giovanni d’Alemagna pittore tardogotico e antiquario, sostanzialmente mai
toccato dagli aggiornamenti rinascimentali, veniva attribuita conseguentemente la
deliziosa Madonna dell’umiltà già Carminati, ora nella collezione Pittas, che con il
San Girolamo di Baltimora condivide non solo il lussureggiante sfondo broccato oro
e cremisi, ma quella pittura luminosa e pulviscolare che è tratto distintivo a Venezia
delle opere di Jacopo Bellini, suo più prossimo riferimento36. Lo studioso poneva
in questo modo le premesse per scorporare le Storie di sant’Apollonia dal catalogo
di Antonio, assegnandole a quello di Giovanni, dando il via alla ricostruzione del
suo corpus nel quale possono essere annoverate con sicurezza la Crocifissione
della Pinacoteca Comunale di Ravenna e il San Girolamo della collezione Terruzzi a
Bordighera (Imperia)37. Nonostante questi chiarimenti, resta tuttora assai problematico
distinguere le opere della fase giovanile dei due pittori e capire, ad esempio, la parte
di Antonio e la parte di Giovanni nei frammenti di Storie di santa Monica, per Zeri da
attribuire al solo Antonio, per Boskovits frutto del lavoro di entrambi38.
31
15. Maestro di Roncajette,
Predica di San Pietro martire,
1420-1425 circa. Collezione
privata
Un caso diverso è però rappresentato dalle opere tarde, come le Storie di San
Pietro martire, dove non sono più percepibili né le delicatezze epidermiche, né
le architetture fantastiche e iperdecorate di Giovanni d’Alemagna, né emergono
i riflessi dello sperimentalismo proposto da Jacopo Bellini con i suoi album di
disegni, elaborati sotto lo “shock” prodotto dalle architetture della cappella
Ovetari. Come pure non si percepisce nulla dell’influsso dei valori ottici proposti
dal giovane Bartolomeo fin dalle sue prime opere. Per tutte queste ragioni sembra
quindi ipotizzabile una datazione delle Storie di San Pietro martire che non cada
troppo oltre l’anno 1450. Si tratta dunque, per così dire, di opere tipicissime
di Antonio Vivarini, nelle quali il maestro muranese riesce per la prima volta a
elaborare il distacco dal mondo tardogotico e a presentare la sua visione empirica,
non cerebrale, del Rinascimento, fatta di timidi scorci senza ornamento, di
minute descrizioni d’interni di ambienti feriali e di piazze racchiuse da essenziali e
coloratissimi palazzi civili ed edifici religiosi.
32
Note
1 Pudelko 1937a. Un altro considerevole risultato dell’interesse di Pudelko mostrato in quegli anni nei
confronti di Antonio Vivarini è costituito dal collegamento tra la tavola con la Madonna col Bambino della
chiesa di San Tommaso Becket a Padova e i due pannelli della National Gallery di Londra raffiguranti l’uno
i Santi Pietro e Girolamo, l’altro i Santi Marco e Francesco (NG 768, NG 1284), un tempo riuniti in trittico
nell’Oratorio dei Filippini a Padova. La pala venne descritta da Boschini nel 1664 nella chiesa di San Moisè a
Venezia. Prima di questo intervento, sulla scorta di Crowe e Cavalcaselle, che per primi misero in relazione le
tavole londinesi alla testimonianza di Boschini, si riteneva che l’elemento centrale fosse da identificare nella
Madonna in trono del Museo Poldi Pezzoli di Milano (inv. 1570) (vedi Id. 1937b, pp. 130-133). Sulla vicenda
critica di queste opere vedi da ultimo i contributi contenuti in La Madonna in trono 2014.
2 Va ricordato inoltre che Bernard Berenson nel catalogo di vendita della collezione Paolini (The Collection
1924, lot. 90) e dopo di lui Van Marle 1935, p. 49, avevano attribuito a Quirizio da Murano il San Pietro
martire guarisce un’indemoniata ora conservato nell’Art Institute of Chicago.
3 Pudelko ricordava come il collegamento tra il frammento del Metropolitan Museum of Art di New York e i
due berlinesi era stato notato anche da Ulrich Middeldorf. Al contempo lo studioso ricordava che “gleichfalls
auf Antonio Vivarini bestimmt” [ugualmente assegnato ad Antonio Vivarini] da Georg Gronau e Roberto Longhi
(Pudelko 1937a, p. 285, nota 1). Per un profilo complessivo di Pudelko rimando ai contributi di Neville Rowley
e Andrea De Marchi (2018).
4 In realtà Fiocco, che in quell’occasione poneva in relazione San Pietro martire risana la gamba di un giovane
con i Martirî di santa Apollonia, divisi tra Bassano, Museo Civico (inv. 114) e Bergamo, Accademia Carrara (inv.
1087, 1090), cambierà presto parere, accettando sia il collegamento con le altre storie raffiguranti storie di
San Pietro martire, sia l’attribuzione ad Antonio Vivarini (Fiocco 1948, pp. 20, 25). Sui Martirî di sant’Apollonia
vedi M. Boskovits, in Boskovits, Brown 2003, pp. 316-323. I pareri inediti sul pannello del Metropolitan, tra i
quali vanno ricordati anche quelli di Adolfo Venturi, Frederick Mason Perkins e Wilhelm Suida – tutti concordi
nell’avanzare il nome di Antonio Vivarini - sono resi noti da Shapley 1968, p. 32 e Zeri 1973, p. 89.
5 Pallucchini 1967, pp. 200-201.
6 Pudelko 1937a, p. 286, nota 1; Catalogo di quadri 1790, p. 28: “BARTOLOMEO VIVARINI. S. Pietro
Martire, che benedice la ferita in una gamba di un Falegname, il qual sedendo per terra si mostra al Santo
pieno di fede. Presso al ferito ecci la scure, che ne fu causa del male: ci sono due Donne con vestiti bizzarri
di que’ tempi; una in atto di compassione, l’altra si pone agli occhi piagnenti suo fazzoletto. Ancora vedi una
graziosa Puttina; e un Converso col libriccino in mano si sta sulla soglia mezzo aperta della bottega tirata
in prospettiva in tutta perfezione. Il pensiero è assai semplice, le arie belle, vivissimo e molto ben posto il
colore. Sopra l’asse: alt. p. 1. on. 6 ½, - lar. p. I. on. 1/2, con cornice dorata, e cristallo”. Sulla collezione e sul
canonico Vianelli vedi Turlon 2002, pp. 64-78. Sugli arredi della chiesa di San Domenico vedi Salvagno 1961.
7 Sansovino 1581, p. 5v; Ridolfi 1648, p. 19 ricordava che “dicessi ancora, ch’egli [Jacobello Del Fiore]
dipingesse la tavola di San Pietro Martire nella chiesa di San Giovanni, e Paolo, rinovata poscia da Titiano”. Per
35
un riepilogo della storia del celebre dipinto di Tiziano si rimanda a Humfrey 1993, pp. 314-315; Meilman 2000,
pp. 82-83; C. Corsato, S. Arroyo, in La basilica 2013, pp. 230-233, cat. 55; F. Paliaga, in La basilica 2013, 233235, cat. 56.
8 Sansovino 1581, p. 50r, Ridolfi 1648, p. 21. I due pannelli, ora conservati rispettivamente a Londra, The
Courtauld Gallery (inv. P.1947.LF.480) e Detroit, Institute of Arts (inv. 29.318) vennero attribuiti ad Antonio
Vivarini da Longhi nel 1926 e collegati alle fonti da Pudelko 1937a, p. 284, nota 1. Della stessa serie fanno
parte anche Il matrimonio di Santa Monica (Venezia, Gallerie dell’Accademia, inv. 237), Sant’Ambrogio
battezza Sant’Agostino alla presenza di Santa Monica (Bergamo, Accademia Carrara, 1866, inv. 81 LC 00019) e
Santa Monica in preghiera con Sant’Agostino fanciullo (La Spezia, Museo Lia, inv. 86).
9 Tavola, cm 58 x 48; inv. HC.P.1922.01(T).
10 Sulla fondazione della Scuola di San Pietro martire vedi Vio 2004, pp. 180-182, cat. 132. Per un riepilogo
delle vicende relative alla tomba di Francesco del Fiore in San Zanipolo, morto tra 1409 e 1411, che recava la
data 1412 vedi Guarnieri 2006, pp. 42-44. Sopravvive solo l’iscrizione nel chiostro della chiesa di Santa Maria
della Salute, apposta forse dal figlio, e recante la data 21 luglio 1433. Contestualmente la studiosa fa il punto
anche sulla vexata quaestio dell’identificazione del gruppo noto con il nome critico di Maestro della Madonna
Giovannelli, o con quello di Pseudo-Avanzi. La critica ha avanzato due proposte alternative finora, l’una in
favore di Francesco del Fiore, pittore di cui non si conoscono opere documentate, l’altra in favore dell’attività
giovanile di Jacobello.
11 Tavola, cm 29 x 48; inv. L1232.
12 Berenson 1957, I, fig. 37.
13 Devo la conoscenza di questa comunicazione conservata nell’archivio del museo a James Carder, che
ringrazio per averla condivisa con me: “I first saw your picture some 53 years ago in the Sterbini collection,
Rome. There it carried the number 748 and was catalogued as by ‘Benozzo Gozzoli’; only that then it was
topped by a rectangular composition representing the ‘Madonna of Humility’. Later I found it in the hands
of Brauer who 50 years ago was a well known dealer of both Florence and Paris. Unscrupulous as all dealers,
he has this top cut off. When in 1911 I saw the picture again, it was at Steinmeyer’s in Paris, in the condition
shown by your photo. The ‘Madonna of Humility” I have never seen again. It is a pity that it has disappeared
for it offered the proof of my attribution. It is almost identical with a figure of Our Lady in a work that before
the last war was in the Lederer Collection of Vienna, signed IACHOBELV.DA.FLORIBU.PINXIT.” Queste
notizie sono confermate anche dalle iscrizioni poste sul retro di una fotografia della Madonna dell’umiltà ora
a Stoccarda, conservata presso la fototeca di Berenson (Firenze, Villa I Tatti, The Harvard University Center
for Italian Renaissance Studies, Biblioteca Berenson, inv. 105469_2). Il disegno sul retro di una seconda
foto (inv. 111504_2) mostra come Berenson credesse giustamente che la tavola fosse in origine trilobata.
La fotografia è già stata segnalata da Minardi 2006, p. 22, nota 33. Anche Meilman 2000, p. 80 ritiene
improbabile una provenienza “pubblica” dell'Uccisione di San Pietro martire Dumbarton Oaks.
14 Dopo l’intervento di Pudelko hanno ripreso questa ipotesi Fiocco 1948, p. 20 e Humfrey 1988, p. 405,
nota 27; Id. 1993, p. 166.
15 Sulla collezione Vianelli si rimanda alla bibliografia citata a nota 6. Lo studio della documentazione
relativa alla chiesa domenicana di Chioggia conservata nell’Archivio di Stato di Venezia a mio avviso conferma
questa proposta. Si trova infatti traccia di una Scuola di San Pietro martire solo a partire dal testamento di
Margarita Scarpa del 12 giugno 1458, nel quale la donna destinava la piccola somma di 5 lire, parte della
sua dote di 327 lire, alla Scuola di San Pietro martire (vedi Archivio Storico di Venezia [d’ora in poi ASVe],
Chioggia, San Domenico, busta 1, Annali del convento di San Domenico di Chioggia, c. 22) e nel testamento di
Nicolina di Maggi, dove le lire lasciate alla Scuola di San Pietro martire ammontano a 10 (c. 29). Nei numerosi
testamenti ricordati negli Annali non si menziona mai un altare di San Pietro martire, al contrario di quanto
avvenne invece per quelli dedicati alla Beata Vergine (o Madonna), a Sant’Orsola, al Santissimo Crocifisso,
a San Vincenzo Ferrer o alla cappella di Ognissanti, presenti nella documentazione risalente alla seconda
metà del Quattrocento (cc. 22-45). Se esisteva un altare di San Pietro martire nella chiesa di San Domenico
a Chioggia non doveva essere di un’importanza tale da poter ospitare una pala agiografica delle dimensioni
36
di quella che qui si sta esaminando. A questo proposito è significativo trascrivere le volontà testamentarie di
suor Cattarina Frantizara del 21 settembre 1497 che «lasciò alla scola di Santa Croce lire 5 da sborsarglisi nel
termine di anni 5 terminata però che fosse la cappella, che intendeva di fare la detta scola, e non essendo in
detto spazio di tempo terminata, dar si dovessero alla scola di San Pietro martire. Item lasciò alla Scola di San
Vincenzo lire 5 da impiegarsi nello spazio di un anno in ornamento dell’altare, o cappella, e non impiegandosi
nel detto termine, si dovessero dispensare alli fratelli bisognosi di essa scola». Ancora una volta dunque,
nessuna menzione di un altare di San Pietro martire.
16 ASVe, SS. Giovanni e Paolo, Atti, busta P., fascicolo X., n. 51.
17 ASVe, SS. Giovanni e Paolo, Atti, busta P., fascicolo X., nn. 63-64; Curti sec. XVIII, c. 40r: “1565 12 aprile
si univano nella chiesa di codesto convento le due scuole laicali di S. Pietro martire e di S. Vincenzo con certe
convenzioni”. Più in generale, sulle vicende salienti delle due confraternite si veda Vio 2004, pp. 180-182,
cat. 132.
18 Vedriani 1662, pp. 23-24 discusso in Benati 1988, p. 70. In questo contesto di committenza è opportuno
ricordare che sia il dossale dell’Accademia Carrara di Bergamo (inv. 516, legato Guglielmo Lochis, 1866)
attribuito al Maestro di Ceneda alias Lorenzo da Venezia (De Marchi 2003, p. 76), sia la pala di Quirizio da
Murano (Rovigo, Pinacoteca dell’Accademia dei Concordi, inv. 139), sia le Storie della Passione di Cristo ai lati
di una Crocifissione della Galleria Giorgio Franchetti alla Ca’ d’Oro (deposito dalle Gallerie dell’Accademia di
Venezia, inv. 1802) provengono da contesti domenicani, data la presenza di committenti o santi appartenenti
all’ordine (su quest’ultimo dipinto vedi nota 27).
19 ASVe, SS. Giovanni e Paolo, Catastico, Serie cronologica A-L, 1234 fino 1515, tomo I, cc. 53r-62v dove si
trovano trascritti tutti i documenti della Scuola di San Pietro martire e delle scuole a essa collegate citati di
seguito.
20 ASVe, SS. Giovanni e Paolo, Atti, busta P., fascicolo X., n. 146 (Zucchetta 2008, pp. 31-34) ricorda che
in realtà al centro del registro superiore si trova un Cristo in pietà e non un Cristo risorto, come erroneamente
indicato in questa descrizione. La studiosa ritiene che il documento sia cinquecentesco, ma è probabilmente
più tardo, seicentesco o settecentesco. Ringrazio Matteo Mazzalupi per l’aiuto nella trascrizione. Sugli altari “di
prospetto”, ovvero addossati al tramezzo, vedi Merotto Ghedini 2002, pp. 257-262; Franco 2013, pp. 163-170.
21 Per un elenco degli altari lungo le navate laterali bisogna attendere la descrizione di Sansovino 1581, p. 65.
Volendo dare un resoconto completo degli altari della chiesa non va dimenticata sul fianco meridionale della
chiesa la cappella di Sant’Alvise, voluta da Alvise Storlato nel suo testamento datato 7 febbraio 1458, descritta
dallo stesso Sansovino “[…] & nella Cappella di San Luigi fatta da Andrea Stornado Consigliero allora, & poi
Procurator di S. Marco, il qual morì l’anno 1478. vi dipinse il predetto Vivarino. Ma sotto al parco la cappelletta dalla sinistra fù di Iacomo Bellino” (ivi). Sulla decorazione di questi due altari con la documentazione
relativa vedi Moretti, Todesco 2008, pp. 91-95. Sulle quattro ancone degli Erri in San Domenico a Modena
vedi De Marchi 1993.
22 L. Finocchi Ghersi, in La basilica 2013, pp. 208-213, cat. 47; C. Corsato, ivi 213-218, cat. 48; D. Tosato,
ivi, pp. 218-221, cat. 50.
23 ASVe, SS. Giovanni e Paolo, Atti, busta P, fascicolo X., n. 6; Fogolari 1932, p. 390, nota 10: “Altri mutamenti si fecero nel 1531 per aggiungere gli scalini e fare presso l’altare due sepolture”. Su questo punto cfr.
Zucchetta 2008, pp. 32-33. Sull’ammodernamento dell’altare di San Vincenzo Ferrer di Giovanni Bellini e
sulla sua carpenteria originale vedi Vinco c.d.s.
24 “Secundo voglio che il corpo mio sia sepolto a San Zuanne Polo in chiesa davanti l’altar de San Piero martire, et lì mia sia fatto una sepoltura de piera tutta et per elemosina voglio sia speso in el ditto altare de ditto S.
Piero Martire per fabrica de scalini de piera viva ed la lista de piera in tuto l’altar et le colone de testa” (ASVe,
SS. Giovanni e Paolo, Atti, busta T, fascicolo VI, n. 1).
25 Sulla pala di Quirizio da Murano vedi nota 18. Pudelko 1937a, p. 286: “in der Mitte eine grosse Tafel mit
der Gestalt des Heligen, seitlich übereinander angeordnet, möglicherweise in zwei Reihen, mehrere kleinere
37
Tafeln, die die Legende des Heiligen behandelten” [nel mezzo una grande tavola con la figura di un santo e
ai lati, disposte l’una sopra l’altra, probabilmente su due registri, numerose tavole più piccole che narravano
la storia del santo]. A uno studio comparato delle venature, che corrono in senso verticale, è affidata invece
la possibilità di ricostruirne l’ordine, impresa resa assai complicata sia dalla difficoltà di stabilire un ordine
cronologico tra gli episodi raffigurati, sia dalla sostituzione del fondo originale nel caso di quello Frascione,
che dalla parchettatura di quello del Metropolitan Museum of Art.
26 Non mancano però i polittici che seguono un andamento orizzontale, come quello di Simone da Cusighe
delle Gallerie dell’Accademia di Venezia (inv. 18) e quello discusso tra Giovanni d’Alemagna e Antonio Vivarini
sempre delle Gallerie dell’Accademia di Venezia, in deposito alla Ca’ d’Oro (su questi dipinti vedi le note 18,
27, 34).
27 Un’ipotesi simile era formulata anche da Zeri 1973, p. 89 che richiamava alla memoria il polittico di
Simone da Cusighe delle Gallerie dell’Accademia di Venezia e la pala agiografica di Quirizio da Murano
dell’Accademia dei Concordi di Rovigo. Per quanto riguarda l’elemento centrale, va comunque considerata la
possibilità non vi fosse un pannello dipinto, ma una statua, come sovente succedeva nel XV secolo a Venezia
e nella terraferma veneta, e come forse accadde nel caso della pala d’altare con Storie di santa Monica.
Sulle vicende di questo complesso vedi Moschini Marconi 1955, I, pp. 35-36. In quell’occasione la studiosa
ricordava che «secondo quanto attesta una pubblicazione intorno a detta chiesa compilata in base a vecchie
memorie e alle schede lasciate dal Cicogna, sull’altare di Santa Monica si venerava una statua in legno della
santa “abbellita attorno” da tali pitture; quando nel 1733 detto altare fu dedicato a S. Stefano, la statua fu
regalata alle terziarie di Spilimbergo, mentre le tavolette andavano disperse». Sui dossali agiografici degli Erri,
e in particolare su quello di San Vincenzo Ferrer, vedi Benati 1988, pp. 135-162.
28 D. Benati, in Moretti 2003, pp. 104-109.
29 Anche la tavola rettangolare raffigurante l’Adorazione del Crocifisso si presentava completamente dipinta
prima del restauro condotto da Loredana Gallo (2014).
30 Pudelko 1937a, p. 285: “Auf friedlichem Wege erfolgt die Auseinendersetzung von Altem und Modernem,
von Gotik und Renaissance. Antonio Vivarinis Eigenstes ist aber der Charme der beschaulichen Erzählungskunst
in seiner Klarheit und Schlichtheit, die diesen Szenen das Gleichnishafte von Sinngedichten verleiht. Antonio
Vivarini hat einen neuen Erzählungsstil geschaffen, der bis zu Carpaccios Ursula- und Georgslegenden
unnachahmliches venezianisches Gut blieb”.
31 Per un riepilogo delle attribuzioni e delle proposte di datazione vedi Shapley 1968, pp. 31-32; Id. 1973, p. 389.
32 Zeri 1971, ed. 1988, p. 155.
33 Id. 1951, ed. 1988, p. 153, in polemica con Giuseppe Fiocco, si era prudentemente astenuto
dall’avventurarsi in distinguo tra i due pittori, pubblicando un nuovo pannello delle Storie di santa Monica.
34 Nel percorso di Antonio, a monte del polittico di Parenzo/Poreč, ovvero “alla fine del quarto decennio”,
è stato collocato il dossale con Storie della Passione della Galleria Giorgio Franchetti alla Ca’ d’Oro (A. De
Marchi, in Oro 1998, pp. 58-63), che invece spetta a Giovanni d’Alemagna per M. Boskovits, in Boskovits,
Brown 2003, p. 318. Sul polittico di San Girolamo vedi Planiscig 1922-1923, pp. 405-414.
35 Sul polittico di San Francesco vedi Zeri 1975, cit. 1988, pp. 161-165 e da ultimo C. Rigoni, in Mantegna
2006, pp. 168-169, cat. 13-16. Sulla crescita del giovane Bartolomeo Vivarini a fianco del fratello Antonio vedi
A. De Marchi, in Entre Tradition 2008, pp. 194-209.
36 “Antonio mostra degli accrescimenti e degli interessi di cui è vano cercar traccia nell’opera di Giovanni,
eseguita a soli sei anni prima della morte, e che resta entro i rigorosi limiti di uno stile ben definito, come è
quello che a Venezia precede i primi arrivi del Rinascimento” (Zeri 1971, cit. 1988, p. 159). Nello schedare la
Madonna dell’Umiltà Pittas si sono mossi su questa linea interpretativa A. De Marchi, in Oro 1998, pp. 58-63 e
Casu 2011, pp. 70-75, cat. 15. La tavola era stata resa nota anni prima dallo stesso Zeri, ma con l’attribuzione
ad Antonio Vivarini (Zeri 1953, cit. 1988, pp. 71-72).
38
37 Le quattro tavolette con Storie di sant’Apollonia sono conservate a Bassano, Museo Civico (inv. 114);
Bergamo, Accademia Carrara di Bergamo (inv. 58AC 00014, 58AC00015); Washington, National Gallery of
Art (inv. 1939.1.7). L’attribuzione di Zeri ha trovato un sostanziale consenso da parte critica (per un riepilogo
vedi M. Boskovits, in Boskovits, Brown 2003, pp. 316-323). Casu 2014, p. 74 propone di assegnare a Giovanni
il Vir dolorum della Pinacoteca Nazionale di Bologna (inv. 1137) e le Stimmate di San Francesco della collezione
Lia a La Spezia (inv. 271), che invece trovano collocazione più adeguata nel catalogo del giovane Bartolomeo
Vivarini, a fianco del fratello Antonio (cfr. A. De Marchi, in Entre Tradition 2008, p. 202 e De Marchi 2012, p.
23). Un’attribuzione della Crocifissione di Ravenna (inv. 341) a Giovanni era già stata prudentemente avanzata da
A. Tambini, in Pinacoteca Comunale 2001, pp. 39-40, cat. 20, che la considerava però opera di collaborazione e
avanzata con decisione da Boskovits, in Boskovits, Brown 2003, pp. 318. Il San Girolamo Terruzzi è al contrario
attribuito ad Antonio Vivarini da A. De Marchi, in La collezione Terruzzi 2007, pp. 408-409, cat. I.15.
38 Zeri 1971, cit. 1988, p. 160; M. Boskovits, in Boskovits, Brown 2003, pp. 320, 322, nota 28.
39
Catalogo delle Storie di San Pietro martire
di Antonio Vivarini (1450 circa)
Non è stato possibile formulare un’ipotesi ricostruttiva del dossale per la mancanza di cinque
elementi narrativi, oltre all’elemento centrale. Le schede sintetiche includono una voce relativa
all’iconografia con l’obiettivo di dare conto delle fonti utilizzate dal pittore. Dove non altrimenti
specificato, l’attribuzione si riferisce ad Antonio Vivarini.
41
La vita di San Pietro martire
secondo Antonio Vivarini
Numerosi sono i racconti che ci hanno tramandato la vita di San Pietro martire e
che offrirono spunti iconografici ad Antonio Vivarini per immortalare gli episodi
salienti della vita santo domenicano. Tra questi vanno ricordati gli scritti di Géraud
de Frachet (1260 circa), Jacopo da Varazze (1265 circa), Tommaso Agni da Lentino
(1270 circa), Berengarius de Landaora (ante 1316), Pietro Calo (1323-1340 circa),
Sant’Antonino da Firenze (1430 circa), Ambrogio Taegio (1500 circa) e Giovanni
Garzoni (1517). Fondamentale strumento per la ricostruzione iconografica di questo
complesso resta il volume di Donald Prudlo (2008). A questo libro e alla trattazione
di Tommaso Agni da Lentini curata e integrata da Ambrogio Taegio ed edita negli
Acta Sanctorum (1675) si rimanda per la lettura completa degli episodi raffigurati.
Delle tredici scene che dovevano disporsi attorno alla figura del santo stante (dipinto
dallo stesso Antonio ovvero scolpito), allo stesso modo della pala più tarda di
Agnolo degli Erri con Storie di San Vincenzo Ferrer, solo otto sono purtroppo giunte
fino a noi. L’incompletezza della serie e la mancanza di una stretta successione
cronologica tra i miracoli compiuti in vita da San Pietro martire non hanno permesso
di formulare ipotesi circa la successione originaria delle tavole.
La prima scena in ordine cronologico è certamente quella raffigurante l’Ingresso
di San Pietro martire nell’ordine dei frati predicatori (Berlino, Gemäldegalerie),
avvenuto nella basilica domenicana di Bologna verso il 1220. In prossimità dell’altare
il giovane santo inginocchiato sta per essere vestito dell’abito dei frati predicatori.
La maggior parte degli episodi è invece ambientata in Lombardia, tra Milano e
Como, e riguarda in particolare azioni compiute dal santo per contrastare l’eresia
catara. A questo proposito va ricordato che Pietro venne nominato inquisitore della
città di Cremona da papa Innocenzo IV l’8 giugno 1251 e che in precedenza la sua
predicazione avevo portato grandi risultati nella lotta contro gli eretici.
Come abbiamo già visto, a Como è ambientata la scena raffigurata nella tavola in
collezione Frascione con la visita a San Pietro martire nella sua cella da parte delle
tre vergini Agnese, Caterina e Cecilia. L’episodio con San Pietro martire dialoga con
il Crocifisso presso la collezione Alana (Newark, Delaware) trae invece ispirazione
da una veglia del santo avvenuta a Milano. Il San Pietro martire scaccia il diavolo in
sembianze di Madonna col Bambino, sempre nella Collezione Alana, rappresenta
un fatto avvenuto più genericamente nei dintorni di Milano. Narrano le fonti che
42
alcuni eretici avevano convertito al loro culto il nobiluomo che ospitava San Pietro
martire nei suoi viaggi in Lombardia. Sperando di convertire anche il santo, gli eretici
lo invitarono a visitare la loro chiesa. Questi, invece, dapprima smascherò il falso
idolo mostrando l’ostensorio, e in seguito liberò l’amico dalla falsa fede. Anche il
dipinto con Gaufredo da Como getta nel fuoco la veste miracolosa di San Pietro
martire davanti agli eretici (Berlino, Gemäldegalerie) narra un evento di lotta contro
gli eretici avvenuto in Lombardia. Vedendo che la tunica di San Pietro martire non
prese fuoco dopo essere stata gettata sul fuoco dal giovane Gaufredo, gli eretici si
convertirono e credettero al santo.
In un luogo imprecisato in Italia è invece ambientato il miracolo con cui San Pietro
risanò la gamba di un giovane (New York, The Metropolitan Museum of Art) prima
che fosse necessario amputargli la gamba, come pure quello della donna liberata dal
diavolo (Chicago, The Art Institute). Infine a Milano, nella basilica di San Simpliciano,
sono inscenate le esequie del santo, dipinte sull’unica tavola di ubicazione
sconosciuta.
Manca senz’altro all’appello in questa serie l’Uccisione di San Pietro martire,
avvenuta il 24 marzo 1252, domenica delle Palme, nel territorio di Barlassina. I due
sicari eretici Pietro da Balsamo, detto Carino, e Albertino Porro, su mandato del
loro vescovo, Daniele da Giussano, sorpresero Pietro e il suo accompagnatore fra’
Domenico sulla strada che conduce da Milano a Como. Sappiamo che Pietro morì
nell’agguato a causa di un colpo di “falcastro” in testa, da cui deriva l’attributo che
lo rende iconograficamente riconoscibile. Questo è l’episodio della vita del frate
predicatore maggiormente rappresentato dagli artisti e non poteva mancare nella
serie dipinta da Antonio Vivarini per l’altare di San Pietro martire in San Zanipolo.
Il dossale della Galleria nazionale di Parma, attribuito alla fase giovanile di Agnolo
e Bartolomeo degli Erri (De Marchi 1993), rappresenta l’unico ciclo pittorico che
descrive in modo altrettanto analitico gli episodi della vita del santo domenicano
veronese (fig. 13). Va osservato però che solo tre episodi sono comuni tra i due
cicli: l’Ingresso di San Pietro martire nell’ordine dei frati predicatori, San Pietro
martire risana la gamba di un giovane e San Pietro martire scaccia il diavolo in
sembianze di Madonna col Bambino, il che rende per ora impossibile ipotizzare
quali siano gli episodi mancanti e formulare una proposta certa sulla collocazione
dei frammenti superstiti.
43
San Pietro martire entra nell’ordine domenicano a
Bologna
Gaufredo da Como getta nel fuoco la veste
miracolosa di San Pietro martire davanti agli eretici
Tempera e oro su tavola, cm 53 x 35
Tempera e oro su tavola, cm 52 x 33
Berlino, Gemäldegalerie, inv. 67
Berlino, Gemäldegalerie, inv. 66
Provenienza:
Venezia, basilica dei Santi Giovanni e Paolo (San Zanipolo), altare di
San Pietro martire; collezione Edward Solly (1776 – 1844) ante 1821;
al museo dal 1821.
Provenienza:
Venezia, basilica dei Santi Giovanni e Paolo (San Zanipolo), altare di
San Pietro martire; collezione Edward Solly (1776 – 1844) ante 1821;
al museo dal 1821.
Fonte iconografica:
De Frachet [1260 circa] 1896; Jacopo da Varazze [1265 circa] 1988;
Tommaso Agni da Lentino [1270 circa] 1898; Taegio [1500 circa]
1675, p. 688, I.3; Prudlo 2008, p. 206.
Fonte iconografica:
Jacopo da Varazze [1265 circa] 1988; Tommaso Agni da Lentino [1270
circa] 1898; Taegio [1500 circa] 1675, p. 704, VIII.58; Prudlo 2008,
p. 233.
Bibliografia:
[I. Kunze] 1931, p. 616 (ambito fiorentino, prima metà del XV
secolo; piuttosto veneziano); Pudelko 1937a; Fiocco 1948, pp. 20,
25; Berenson 1957, p. 197, fig. 81; Pallucchini 1962, p. 98, cat. 18;
Pallucchini 1967, pp. 200-201; Shapley 1968, pp. 31-32; Zeri 1973,
pp. 88-90; Bock 1975, pp. 459-460; Kaftal 1978, col. 845; Humfrey
1993, p. 166; Gemäldegalerie Berlin 1996, p. 127; Meilman 2000, p.
16; Humfrey 2014, p. 15, nota 5.
Bibliografia:
[I. Kunze] 1931, p. 616 (ambito fiorentino, prima metà del XV
secolo; piuttosto veneziano); Pudelko 1937a; Fiocco 1948, pp. 20,
25; Berenson 1957, p. 197, fig. 81; Pallucchini 1962, p. 98, cat.
18; Pallucchini 1967, pp. 200-201; Shapley 1968, pp. 31-32; Zeri
1973, pp. 88-90; Bock 1975, pp. 459-460; Kaftal 1978, col. 845;
Gemäldegalerie Berlin 1996, p. 127; Meilman 2000, p. 16; Humfrey
2014, p. 15, nota 5.
44
Tempera e oro su tavola su tavola, cm 54,8 x 35,5; superficie dipinta,
cm 51,3 x 33,7
San Pietro martire nella sua cella nel monastero di
Como conversa con tre vergini (Agnese, Caterina e
Cecilia)
Chicago, Art Institute, inv. 1983.384
Tempera su tavola, cm 42 x 35
Provenienza:
Venezia, basilica dei Santi Giovanni e Paolo (San Zanipolo), altare
di San Pietro martire; Roma, collezione Pietro Paolini, fino al 1924;
vendita American Art Association, New York, 10-11 dicembre 1924,
lotto 90 (Quirizio da Murano); Chicago, collezione George F.
Harding dal 1924; The George F. Harding Museum; Sotheby’s, New
York, 2 dicembre 1976, lotto 28; al museo dal 1983.
Firenze, galleria Enrico Frascione
San Pietro martire guarisce un’indemoniata
Fonte iconografica:
Tommaso Agni da Lentino [1270 circa] 1898; Taegio [1500 circa]
1675, pp. 717-718, XIV.111; Prudlo 2008, pp. 259-260.
Bibliografia:
B. Berenson, in The Collection 1924, lot. 90 (Qurizio da Murano);
Van Marle 1935, XVII, p. 49 (Quirizio da Murano); Pudelko 1937a;
Salinger 1938, pp. 8-10; Fiocco 1948, pp. 20, 25; Berenson 1957, p.
200, fig. 84; Pallucchini 1962, p. 98, cat. 20; Pallucchini 1967, pp.
200-201; Shapley 1968, pp. 31-32; Fredericksen, Zeri 1972, pp. 211,
444, 572 (Antonio Vivarini and Giovanni d’Alemagna); Zeri 1973, pp.
88-90; Bock 1975, pp. 459-460 (Antonio Vivarini); Kaftal 1978, col.
845; Lloyd 1993, pp. 296, 298-299; Humfrey 2014, p. 15, nota 5.
Provenienza:
Venezia, basilica dei Santi Giovanni e Paolo (San Zanipolo), altare di
San Pietro martire; Parigi, Moratilla, aprile 1943 (Firenze, Fondazione
Roberto Longhi, fototeca, inv. 0780346); Parigi, Palais Galliera,
27 giugno 1963, lotto 216 (scuola italiana, XV secolo); Roma,
collezione Leonardo Vitetti, 1965 (Bologna, Fondazione Federico
Zeri, fototeca scheda 23660, inv. 61085); Firenze, Sotheby’s, 29
settembre 1983, lotto 203 (scuola fiorentina, metà del secolo XV).
Fonte iconografica:
Pierozzi [Sant’Antonino da Firenze] 1484; Taegio [1500 circa] 1675, p.
689, I.6; Garzoni 1517, p. 54; Prudlo 2008, pp. 207-208.
Bibliografia:
Pallucchini 1967, pp. 200-201; Shapley 1968, pp. 31–32; Shapley,
1973, p. 389; Bock 1975, pp. 459-460; Kaftal 1978, col. 845;
Humfrey 2014, p. 15, nota 5.
45
San Pietro martire scaccia il diavolo in sembianze di
Madonna col Bambino
San Pietro martire dialoga con il Crocifisso
Tempera e oro su tavola, cm 53,4 x 36
Newark (Delaware), collezione Alana
Newark (Delaware), collezione Alana
Provenienza:
Venezia, basilica dei Santi Giovanni e Paolo (San Zanipolo), altare di
San Pietro martire.
Iscrizioni:
retro: “23042/ 2[?] 99/ Carlo Crivelli Veneto/ 1430/ Scolaro [?] de
[?] Jacomello Flore”; retro, timbro: “DOGANE CEN[TRALE]; “15”;
su etichetta: “Carlo Crivelli, Venitien. Il peignit/ depuis 1412 jusqu’à
1486”; su etichetta: “N. 132”.
Provenienza:
Venezia, basilica dei Santi Giovanni e Paolo (San Zanipolo), altare di
San Pietro martire; Parigi, collezione C. Lafontaine (vedi Bologna,
Fondazione Federico Zeri, fototeca scheda 23661, inv. 61087);
Parigi, Palais Galliera, 10 aprile 1962, lotto 7.
Fonte iconografica:
Berengarius de Landora ante 1316; Calo [1323-1340 circa]; Taegio
[1500 circa] 1675, pp. 693-694, III.26-27; Prudlo 2008, pp. 217219.
Bibliografia:
Valsecchi 1962; Pallucchini 1967, pp. 200-201; Shapley 1968, pp.
31–32; Bock 1975, pp. 459-460; Kaftal 1978, col. 848; Humfrey
2014, p. 15, nota 5.
46
Tempera e oro su tavola, cm 53,8 x 33,4 (misure massime)
Fonte iconografica:
Berengarius de Landora ante 1316; Taegio [1500 circa] 1675, pp. 693,
III.24; Prudlo 2008, pp. 216-217.
Bibliografia:
Humfrey 2014.
San Pietro martire risana la gamba di un giovane
Tempera e oro su tavola parchettata, cm 53 x 33,3
Esequie di San Pietro martire nella basilica di San
Simpliciano a Milano
New York, The Metropolitan Museum of Art, inv. 37.163.4
Tempera e oro su tavola, cm 47 x 53
Provenienza:
Venezia, basilica dei Santi Giovanni e Paolo (San Zanipolo), altare
di San Pietro martire; Chioggia, collezione Giovanni Vianelli, 1790;
Milano, collezione Achillito Chiesa, fino al 1927; vendita American
Art Association, New York, 22-23 novembre 1927, lotto 109 (Jacopo
Bellini); Lucerna, F. Steinmeyer, 1927; Monaco, Julius Böhler, 19271929; Amsterdam, F. Lugts, dal 1929; Londra, Ascher, fino al 1937;
Firenze, conte Alessandro Contini Bonacossi, 1937; New York,
Samuel H. Kress, 1937; al museo dal 1937.
Ubicazione sconosciuta
Fonte iconografica:
Berengarius de Landora ante 1316; Calo [1323-1340 circa]; Taegio
[1500 circa] 1675, p. 693, III.23; Prudlo 2008, p. 216.
Fonte iconografica:
Jacopo da Varazze [1265 circa] 1988; Tommaso Agni da Lentino [1270
circa] 1898; Taegio [1500 circa] 1675, p. 689, V.39; Prudlo 2008,
pp. 226-227.
Bibliografia:
Catalogo di quadri 1790, p. 28 (Bartolomeo Vivarini); Pudelko 1937a;
Salinger 1938; Wehle, 1940, pp. 173-174, fig.; Longhi 1946, cit. 1978,
p. 51, fig. 27; Fiocco 1948, pp. 20, 25; Coletti 1953, p. XXIX, fig.
52b; Berenson 1957, p. 198, fig. 83; Pallucchini 1962, p. 98, cat.
21; Pallucchini 1967, pp. 200-201; Shapley 1968, pp. 31-32, fig. 71;
Fredericksen, Zeri 1972, pp. 211, 444, 607 (Antonio Vivarini and
Giovanni d’Alemagna); Zeri 1973, pp. 88-90; Bock 1975, 459-460;
Kaftal 1978, col. 848; Bisacca, Kanter 1990, p. 19, fig. 11; Meilman
2000, p. 16; Humfrey 2014, p. 15, nota 5.
Provenienza:
Venezia, basilica dei Santi Giovanni e Paolo (San Zanipolo), altare
di San Pietro martire; Milano, collezione Mario Crespi, 1957-1962;
Milano, Elvira Leonardi Bouyeure (1906 – 1999); Milano, Finarte, 18
dicembre 2003, lotto 69; Milano, Porro & C., vendita collezione
Elvira Leonardi Bouyeure, in arte Biki, 12 ottobre 2004, lotto 47;
Milano, Porro & C., 31 maggio 2011, lotto 104; Milano, Porro & C.,
29 maggio 2014, lotto 28.
Bibliografia:
Berenson 1957, p. 198, fig. 85; Pallucchini 1962, p. 98, cat. 21;
Shapley 1968, pp. 31–32; Zeri 1973, pp. 89-90; Bock 1975, pp. 459460; Kaftal 1978, col. 849; Humfrey 2014, p. 15, nota 5.
47
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G. de Frachet, O.P., Vitae Fratrum Ordinis Praedicatorum [1260 circa], Monumenta Ordinis
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Jacopo da Varazze [1265 circa] 1988
Jacopo da Varazze, Legenda Aurea [1265 circa], ed. a cura di G.P. Maggioni, 2 voll., Firenze
1988
Tommaso Agni da Lentino [1270 circa] 1898
Vita Tommaso Agni da Lentino, Vita [1270 circa], Bibliotheca Hagiographica Latina 6723,
Bruxelles 1898
Berengarius de Landora ante 1316
Berengarius de Landora, O.P., Miracula Collecta de Mandato Berengarii Magistri Ordinis, ante
1316
Calo [1323-1340 circa] 1898
P. Calo, O.P., St. Petrus Martyr, in Magnus Legendarius [1323-1340 circa], Venezia, Biblioteca
Marciana Ms. Lat. IX 17, Bibliotheca Hagiographica Latina 9039, Bruxelles 1898
Pierozzi 1484
A. Pierozzi [Sant’Antonino da Firenze], Chronicon seu Opus Historiarum 1430 circa,
Nuremburg, Anton Koberger 1484
Taegio [1500 circa] 1675
A. Taegio, O.P., Legenda Beatissimi Petri Martiris [1500 circa], in Acta Sanctorum. Aprilis, a cura
di G. Henschen e D. van Papenbroeck, 3 voll., Antwerp 1675, III, pp. 686-727
Garzoni 1517
J. Garzoni, Divi Petri veronensis Vita, in L. Alberti, De viris illustribus, Bologna 1517
Curti sec. XVIII
R. Curti, Cronaca della chiesa e convento dei RR. PP. Predicatori dei Santi Giovanni e Paolo di
Venezia, Vicenza, Biblioteca Bertoliana, ms. G.3.4.9 (= 1305) sec. XVIII
Sansovino 1581
F. Sansovino, Venetia città nobilissima, et singolare, Venezia 1581
Ridolfi 1648
C. Ridolfi, Le maraviglie dell’arte, Venezia 1648
48
Vedriani 1662
L. Vedriani, Raccolta de’ Pittori, Scultori ed Architettori Modenesi più celebri, Modena 1662
Catalogo di quadri 1790
Catalogo di Quadri esistenti in casa il Signor D.n Giovanni D.r Vianelli Canonico della
Cattedrale di Chioggia, Venezia 1790
Testi 1915
L. Testi, La storia della pittura veneziana. Parte seconda. Il divenire, Bergamo 1915, pp. 316-321
Planiscig 1922-1923
L. Planiscig, La pala di San Girolamo già a Santo Stefano in Venezia, opera di Antonio Vivarini,
“Bollettino d’Arte del Ministero della Pubblica Istruzione”, 2, 1922-1923, pp. 405-414
The Collection 1924
The Collection of Professor Pietro Paolini Rome, Italy, a cura di American Art Galleries, New
York 1924
[I. Kunze] 1931
[I. Kunze] Beschreibendes Verzeichnis der Gemälde im Kaiser-Friedrich-Museum und
deutschen Museum, Berlin 1931
Fogolari 1932
G. Fogolari, Disegni per gioco e incunaboli pittorici del Giambellino, “Dedalo”, XII, 1932, 1,
pp. 360-390
Van Marle 1935
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und Sammler der Kunst”, XX, 1937, pp. 283-286
Pudelko 1937b
Pudelko, The Altarpiece by Antonio Vivarini and Giovanni d’Allemagna, Once in San Moisè at
Venice’, “The Burlington Magazine for Connoisseurs”, LXXI, 1937, 414, pp. 130-133
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M.M. Salinger, A Gift of Two Italian Paintings, “Metropolitan Museum Art Bullettin”, 33, 1938,
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49
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Zeri 1953
F. Zeri, Antonio Vivarini: una “Madonna dell’Umiltà”, “Paragone”, 4, 1953, 41, pp. 36-37, cit.
F. Zeri, Giorno per giorno nella pittura. Scritti sull’arte dell’Italia Settentrionale dal Trecento al
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giorno nella pittura. Scritti sull’arte dell’Italia Settentrionale dal Trecento al primo Cinquecento,
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sull’arte dell’Italia Settentrionale dal Trecento al primo Cinquecento, Torino 1988, pp. 161-165
50
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G. Kaftal, Saints in Italian Art, 4 voll., Florence 1952-1985, vol. 3, Iconography of the Saints in
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51
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Moretti. Da Ambrogio Lorenzetti a Sandro Botticelli, catalogo della mostra (Firenze, 2003),
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G. Vio, Le Scuole Piccole nella Venezia dei Dogi. Note d’archivio per la storia delle
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M. Minardi, Pittura veneta fra Tre e Quattrocento nelle Marche. Note in calce a una mostra,
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I. Holgate, Giovanni d’Alemagna, Antonio Vivarini and the Early History of the Ovetari Chapel,
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La collezione Terruzzi. I capolavori, catalogo della mostra (Roma 2007), Milano 2007
Entre Tradition 2008
Entre Tradition et Modernité. Peinture italienne des XIVe- XVe siècles. G. Sarti, exhibition
catalogue (Parigi-Vienna 2008-2009), Paris 2008
Moretti, Todesco 2008
S. Moretti, M.T. Todesco, Il cantiere della cappella di Sant’Alvise nella chiesa dei santi Giovanni
e Paolo a Venezia (1458-1499), “Annali di architettura. Rivista del Centro internazionale di
Studi di Architettura Andrea Palladio di Vicenza”, XX, 2008, pp. 83-108.
Zucchetta 2008
E. Zucchetta, Chiesa dei Santi Giovanni e Paolo. Il Polittico di San Vincenzo Ferrer, in Bellini
a Venezia. Sette opere indagate nel loro contesto, catalogo della mostra (Roma 2008-2009) a
cura di G. Poldi e G.C.F. Villa, Cinisello Balsamo (Milano) 2008, pp. 31-51
Prudlo 2008
D. Prudlo, The Martyred Inquisitor: the Life and Cult of Peter of Verona (1252), Aldershot 2008
Casu 2011
S.G. Casu, The Pittas Collection. Early Italian Paintings (1200-1530), Firenze 2011
De Marchi 2011
A. De Marchi, Im Laufe der Zeit: la “Pietà” di Giovanni Bellini, in Giovanni Bellini dall’icona alla
storia, catalogo della mostra (Milano, 2012-2013) a cura di A. De Marchi, A. Di Lorenzo, L. Galli
Michero, Torino 2011
La basilica 2013
La basilica dei Santi Giovanni e Paolo. Pantheon della Serenissima, a cura di G. Pavanello,
Venezia 2013
52
T. Franco 2013
T. Franco, “Item in piscibus pro magistris qui aptaverunt pontem”: note sul tramezzo dei
Santi Giovanni e Paolo a Venezia, in Sotto la superficie del visibile. Scritti in onore di Franco
Bernabei, a cura di M. Nezzo e G. Tomasella, Treviso 2013, pp. 163-170.
Humfrey 2014
P. Humfrey, A new Panel by Antonio Vivarini from the “St Peter Martyr” Polyptich, “Venezia
Cinquecento”, 24, 2014, 48, pp. 5-15
La Madonna in trono 2014
La Madonna in trono di Antonio Vivarini e Giovanni d’Alemagna. Storia e restauro, catalogo
della mostra (Padova 2014-2015) a cura di C. Cavalli e A. Nante, Verona 2014
De Marchi 2018
A. De Marchi, Vedere il Quattrocento con occhi nuovi: Georg Pudelko (1905-1972) tra gli
studi a Firenze e la Parigi dei surrealisti - I, in I conoscitori tedeschi tra Otto e Novecento,
atti del convegno del convegno in memoria di Miklós Boskovits e Luciano Bellosi, Firenze,
Kunsthistorisches Institut (Max-Planck-Institut), 11-13 ottobre 2013, a cura di F. Caglioti, A. De
Marchi, A. Nova, Milano 2018, pp. 431-44
Rowley 2018
N. Rowley, Vedere il Quattrocento con occhi nuovi: Georg Pudelko (1905-1972) tra gli
studi a Firenze e la Parigi dei surrealisti - II, in I conoscitori tedeschi tra Otto e Novecento,
atti del convegno del convegno in memoria di Miklós Boskovits e Luciano Bellosi, Firenze,
Kunsthistorisches Institut (Max-Planck-Institut), 11-13 ottobre 2013, a cura di F. Caglioti, A. De
Marchi, A. Nova, Milano 2018, pp. 425-430
Vinco c.d.s
M. Vinco, Frammenti innovativi. Le prime pale d’altare di Giovanni Bellini a Venezia,
in Giovanni Bellini “… il migliore nella pittura”, atti del convegno internazionale (Venezia,
Fondazione Giorgio Cini, 27-28 ottobre) c.d.s.
53
Summary
In 1937 Georg Pudelko published four paintings on wood panel representing
Stories of Saint Peter Martyr, from a dismembered altarpiece, fragments of which
are now housed in the Gemäldegalerie in Berlin, the Metropolitan Museum of Art
in New York and the Art Institute of Chicago. The German art historian perceptively
suggested that these works formed part of the eponymous altar once in the
Dominican Basilica of San Zanipolo (Santi Giovanni e Paolo) in Venice. Subsequently,
Bernard Berenson (1957) and Rodolfo Pallucchini (1967) published three other pieces
from the same group, and its composition has recently been enhanced by a new
fragment (the eighth), published by Peter Humfrey in 2014.
The study of the painting in Enrico Frascione's gallery, a Saint Peter Martyr in his
cell in the convent in Como, in conversation with three virgins (Agnes, Catherine
and Cecilia) casts new light on this altarpiece. Firstly, it is now possible to provide
a precise iconography for all the known paintings in the series, based on a careful
reading of the sources regarding the Dominican saint. Furthermore, archival
documentation establishes that Pudelko was correct in proposing that the panels
came from the altar of Saint Peter Martyr in San Zanipolo. In conclusion, this data
allows us for the first time to formulate a hypothesis about the original form of the
altarpiece, based on the scheme adopted for the one dedicated to Saint Vincent
Ferrer, formerly in the church of San Domenico in Modena and now divided between
the Seminario Arcivescovile in Modena, the Ashmolean Museum in Oxford and the
Kunsthistorisches Museum in Vienna.
55
In copertina:
Antonio Vivarini, San Pietro martire nella sua cella conversa con tre
vergini (Agnese, Caterina e Cecilia), 1450 circa.
Firenze, galleria Enrico Frascione
Autore
Mattia Vinco
Realizzazione
De Stijl Art Publishing, Firenze 2018
www.destijlpublishing.it
Traduzione in inglese
Frank Dabell
Crediti fotografici
Fig. 3-4 Gemäldegalerie der Staatlichen Museen zu Berlin - Stiftung Preußischer Kulturbesitz
Fig. 5 Chicago, Art Institute
Fig. 6 The Metropolitan Museum of Art, Gift of Samuel H. Kress Foundation, 1937 (37.163.4)
Image © The Metropolitan Museum of Art
Figg. 10-12 Foto dell’autore
ISBN 9788890445163
© Enrico Frascione - Frascione Arte 2018
Via dei Fossi 61/r - 50123 Firenze
T +39 055 294087 - C +39 335 7057740
enricofrascioneantiquario@gmail.com - enrico@frascionearte.com