PIETRO GIORDANI E L’ORATORIA SACRA
IN UN CARTEGGIO CON IL P. LUIGI CARLETTI(*)
di ENRICO GARAVELLI
1. «Io amo la bontà in qualunque setta». Così dichiarava Pietro
Giordani, scrivendo da Firenze il 9 giugno 1828 al suo discusso confidente Pietro Brighenti(1). Lo slogan, sebbene formulato nell’occasione
come pezza d’appoggio per giustificare il proprio commercio epistolare
con Caterina Franceschi Ferrucci(2), era sostanzialmente veritiero; quando si consideri che il termine «setta», di indubbio valore riduttivo se
non proprio spregiativo e scelto per concedere qualcosa al corrispondente, designava in modo molto generale ogni possibile atteggiamento
ideologico, corrente ecclesiale, orientamento politico. Di fatto Giordani
strinse cordiale amicizia con molti uomini di Chiesa, dal compagno
d’infanzia don Giuseppe Veneziani(3) allo scolopio Alessandro Checcuc(*) Ringrazio di cuore fra Lauro Diogo Apolinário O.F.M.Conv, archivista della Curia
Generalizia dei Frati minori conventuali; padre Luigi Giacometti O.F.M.Conv e la dott.
Lucia Montagnini della biblioteca del Monte di Perugia; Massimo Cacciamani della
biblioteca «Sperelliana» di Gubbio; Francesca Gallòri, direttrice della Biblioteca Riccardiana di Firenze; Anna Maria D’Agostino della Biblioteca di Storia moderna e contemporanea di Roma; Cesarina Fioretti della Biblioteca «Jacobilli» di Foligno; Michele
Colombo; e padre Felice Autieri O.F.M.Conv.
(1) Lettera di P. Giordani a P. Brighenti, Firenze, 9 giugno 1828 (P. Giordani, Opere, VI, Milano, Borroni e Scotti, 1855, p. 25 [d’ora in poi semplicemente Opere, con
indicazione del volume e dell’anno di pubblicazione]); «discusso» perché, come è noto,
Brighenti fu a lungo confidente della polizia austriaca.
(2) Per la quale: Nidia Danelon Vasoli, Franceschi, Caterina, in Dizionario biografico
degli Italiani [d’ora innanzi DBI], XLIX, Roma, Istituto dell’Enciclopedia italiana, 1997,
pp. 610-613.
(3) Sul quale si veda Vittorio Anelli, Lettere inedite di Pietro Giordani a don Giuseppe
Veneziani, in «Bollettino Storico Piacentino», LXXIII, 1978, n. 1, pp. 44-52. Veneziani è,
insieme a Giuseppe Gervasi, l’unico piacentino «insigne» che Giordani ritiene degno di
essere menzionato in una lettera a Leopardi del novembre 1817 (William Spaggiari, Il
carteggio Giordani-Leopardi, in Giordani Leopardi 1998. Atti del Convegno nazionale di
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ENRICO GARAVELLI
ci(4), dall’archimandrita dei Puristi Antonio Cesari (dal quale si allontanò più per ragioni letterarie che ideologiche)(5) all’abate trevigiano
Michele Colombo(6) fino al padre Antonio Fania da Rignano(7). Il fatto
parve inquietare gli studiosi di almeno tre generazioni. Non potendosi
sospettare, in un uomo della tempra di Giordani, un ironico doppio
gioco né una calcolata ipocrisia(8), non restò che riposare su una problematica ipotesi di dissociazione tra forma (lingua, stile) e contenuto
(idee). Quando l’accento cadeva sul primo membro del dilemma, ne
sortiva il Giordani maestro di bello scrivere giustiziato da Croce, disposto a sacrificare la sostanza sull’altare dell’armonia e della sonorità
della pagina. Quando, viceversa, si sottolineava la carica dirompente
dei contenuti della sua scrittura, se ne denunciava insieme l’inadeguatezza della forma; giusta la formula di Timpanaro sul Giordani progressista, le cui idee nuove risultavano imprigionate in una forma vecchia,
e l’uomo, in definitiva, superiore allo scrittore(9).
studi, Piacenza, Palazzo Farnese, 2-4 aprile 1998, a cura di Roberto Tissoni, Piacenza,
Tip.Le.Co., 2000, pp. 405-429, a p. 413).
(4) Lettere inedite di Pietro Giordani ad Alessandro Checcucci D.S.P., [a cura di Giuseppe Manni], Firenze, Pei tipi dell’arte della stampa di S. Landi, 1891; Lettere di Pietro
Giordani al p. Alessandro Checcucci D.S.P., [a cura di Ermenegildo Pistelli], Firenze,
Barbera, 1904; Ermenegildo Pistelli, Lettere di Pietro Giordani al p. Alessandro Checcucci D.S.P., in «Miscellanea storica della Val d’Elsa», XVII, 1909, fasc. 3, pp. 135-164.
(5) Sul dissidio con Cesari, che forse meriterebbe un intervento ulteriormente chiarificatore, rimando al mio Pensieri e giudizi giordaniani sulla letteratura italiana, in Giordani
Leopardi 1998, pp. 313-378, in particolare alle pp. 330-336; e, da ultimo, a Gabriele Cingolani, L’officina di Pietro Giordani, prefazione di William Spaggiari, Piacenza, Tip.Le.Co.,
2009, pp. 96-99.
(6) Su Colombo (1747-1838), oltre all’ormai molto invecchiata voce di Francesco
Tateo in DBI, XXVII, 1982, pp. 238-241, e alla monografia di Nicoletta Agazzi, Intorno
all’abate Michele Colombo (Campo di Pietra 1747-Parma 1838). Conseguenze del ritrovamento di un ritratto, Vittorio Veneto, Kellermann, 1995, si vedano ora gli studi di
Rossella Terracciano, partic. Michele Colombo tra bibliografia ed erudizione, in I cantieri
dell’italianistica. Ricerca, didattica e organizzazione agli inizi del XXI secolo. Atti del XVIII
congresso dell’ADI – Associazione degli Italianisti (Padova, 10-13 settembre 2014), a
cura di Guido Baldassarri, Valeria Di Iasio, Giovanni Ferroni, Ester Pietrobon, Roma,
ADI editore, 2016 (pubblicazione elettronica, consultata il 24 gennaio 2019: http://www.
italianisti.it/Atti-di-Congresso?pg=cms&ext=p&cmscodsec=14&cmscodcms=776).
(7) Lettere inedite di Pietro Giordani al P. Antonio Fania da Rignano (Puglie) dei
Frati Minori, a cura del P. Francesco Sarri dello stesso ordine, Firenze, Vallecchi, 1933.
(8) Non è però mancato chi ha pensato che Giordani intendesse usare la materia
religiosa come una sorta di cavallo di Troia per la diffusione di un’educazione linguistico-retorica (Giovanni Forlini, Problemi filologici nelle lettere di Pietro Giordani a Ottavio
Gigli e di Ottavio Gigli ad Angelo Pezzana [con Nota filologica e documenti inediti], in
«Archivio Storico per le Province Parmensi», IV s., XXVIII, 1976, pp. 413-456, a p. 429;
Antonio Carrannante, Il pensiero linguistico di Giacomo Leopardi, in «La Rassegna della
Letteratura italiana», LXXXIV, 1980, nn. 1-2, pp. 179-198, a p. 191).
(9) Sebastiano Timpanaro, Le idee di Pietro Giordani, in Id., Classicismo e Illuminismo nell’Ottocento italiano. Testo critico con aggiunta di saggi e annotazioni autogra-
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Ora, in realtà, come si è tentato di dimostrare diversi anni fa(10),
una verifica sui testi restituisce un panorama assai meno lineare. Da
una parte non si può più negare che il pensiero linguistico giordaniano, maturato sugli scritti “enciclopedici” di Dumarsais e La Beauzée
e di impianto fondamentalmente condillachiano, rifiuti nella maniera
più netta la divaricazione lingua-pensiero implicita nelle formule che
si sono appena menzionate. La lingua non rispecchia affatto il pensiero, ma serve a pensare. Impossibile, dunque, separare l’una dall’altro.
In secondo luogo, questa sorta di indifferenza per le credenze
religiose dei corrispondenti sembra derivare da una concezione del
sapere come valore autonomo, non confessionale. Un’idea, verosimilmente di ascendenza illuministica, alla quale Giordani era disposto a
subordinare la sua antipatia per la metafisica, giudicata inessenziale
alla fondazione di un’etica civile. Un agnosticismo di fondo, molto
più radicato di certo compiaciuto anticlericalismo e del tutto estraneo alle intemperanze ideologiche dei chiassosi agnosticismi odierni,
nel quale l’erudizione funzionava da minimo comune denominatore,
da ponte verso l’altro, e non da muro identitario né da fattore di
discriminazione. Chi accettava di stare al suo gioco, a qualunque
«setta» appartenesse, era il benvenuto(11).
Se dunque tra i suoi corrispondenti non mancarono neppure esponenti dell’ala ecclesiale più conservatrice, è pur vero che spesso a
Giordani si accostarono religiosi inquieti, che individuavano i mali
della Chiesa nella compromissione con il Mondo, che vedevano il Papato e gli alti piani della gerarchia presi in ostaggio dall’aristocrazia,
che consideravano la ragione come un valore non alternativo alla fede
rivelata. Emblematico il caso dell’abate bassanese Giuseppe Roberti
(1817-1889), incarcerato nel 1844 e nel 1851 per le sue idee politiche
troppo liberali, e poi al centro di un duro scontro con il vescovo di
Vicenza Giovanni Antonio Farina, che lo sospese a divinis(12).
In particolare, a partire dagli anni Trenta si va consolidando nell’efe, a cura di Corrado Pestelli, saggio introduttivo di Gino Tellini, Firenze, Le Lettere,
2011, pp. 37-96.
(10) Garavelli, Pensieri e giudizi giordaniani, pp. 351-352.
(11) Come ha scritto in sintesi Gino Tellini: «per Giordani […], al di là delle petizioni di principio, contano le persone e i loro comportamenti» (Gino Tellini, Introduzione
a Timpanaro, Classicismo e Illuminismo, p. XXIII).
(12) Sulla questione: Gianni A. Cisotto, L’abate Giuseppe Roberti e il «Lunario civile italiano», in «Rassegna Storica del Risorgimento», LXI, 1974, fasc. 2, pp. 266-281.
E, più in generale, dello stesso Cisotto, Farina e l’Austria (1860-1866), in Il Vescovo
Giovanni Antonio Farina e il suo Istituto nell’Ottocento veneto. Atti del Convegno organizzato nel 150° anno di fondazione dell’Istituto (Vicenza, 23-25 gennaio 1987), a cura
di Albarosa Ines Bassani, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1988, pp. 276-329,
partic. alle pp. 318-324.
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pistolario giordaniano una rigida opposizione tra gesuiti e francescani. «I gesuiti mi fanno la guerra (e ne rido) da più di 30 anni.
Quei poveri francescani mi sono benevoli; e i capi loro mi son molto
amici», scriveva il 5 maggio 1846 ancora a Brighenti(13). Dove appena
mette conto segnalare che quel «poveri» non è un’espressione di ironico compatimento, ma evoca una delle caratteristiche più note della
spiritualità dei seguaci del poverello di Assisi. Del resto, descrivendo
anni dopo a Gussalli il suo laicissimo ascetismo, la sua rinuncia a
quanto ai suoi occhi risultasse fatuo e accidentale, Giordani non esitava a definirsi proprio un «cappuccino»(14), in nulla trovando disdicevole alla sua frugalità quel termine di paragone.
Ma i francescani(15) attiravano in quegli anni la simpatia di Giordani non solo per una spiritualità che – almeno in linea di principio
– li preservava dalle compromissioni dei gesuiti con i regimi restaurati, bensì anche per il programma di rifondazione degli studi che i
Minori dell’Osservanza perseguivano in quegli anni, soprattutto a partire dal generalato di p. Giuseppe Maria Maniscalco (1783-1855), di
cui merita di essere menzionata la lettera del 3 giugno 1833 In omni
sacrorum studiorum genere erudimini, indirizzata ai frati dell’Ordine
quando era ancora Vicario Generale per le Province cismontane. Eloquenti alcuni accenni nelle lettere al p. Antonio da Rignano (O.F.M.):
E per questo io porto non solo riverenza ma anche (mi lasci dire) affezione a
Lei e al Suo Generale; perché non abborriscono gli studi, ma li apprezzano,
e cercano di metterli in onore ed amore dei religiosi.
Io credo che i Francescani (mediante i buoni studi) potranno più di altre
congregazioni far bene vero al mondo; perché l’istituto loro è più popolare,
più amato dal popolo; non fatto odioso o sospetto dall’ambizione e arroganza
che in altri apparisce.
I Gesuiti vecchi intesero l’importanza del sapere: ebbero uomini veramente
grandi in ogni genere, e numero copioso di mediocri.
Ora all’avidità insaziabile, all’ambizione senza termini, aggiungono igno-
(13) Lettera di P. Giordani a P. Brighenti, [Parma], 5 maggio [1846], in Donato
Valli, Giordani e Brighenti, in «Giornale Storico della Letteratura Italiana», XCII, vol.
CLII, 1975, fasc. 479, pp. 400-438, a p. 437.
(14) «Ma tu, tu che sai che io ho una camera sola, da cappuccino, che ho sempre
vissuto da cappuccino, che non ho mai voluto niente di superfluo e di non necessario,
non dovevi tu disingannare tua moglie [Costanza Antivari], e persuaderla che io abborrisco i regali, e molto più i superbi e lussuriosi?» (lettera di P. Giordani ad A. Gussalli,
Parma, 26 aprile 1848; Opere, VII, 1855, pp. 214-215).
(15) Uso francescani come iperonimo, ma naturalmente va ricordato che a quella data l’ordine era diviso nelle tre famiglie dei frati minori (O.F.M., a quei tempi ulteriormente divisi in Osservanti e Riformati), conventuali (O.F.M.Conv) e cappuccini (O.F.M.Cap).
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ranza stupendissima; non vi è pretume, né fratume, né canagliume ignorante
come costoro. Che bellissima e non aspettata occasione di sorgere ai Francescani! Come sarebbe utile a loro e al mondo il vario sapere congiunto in
loro alla modestia delle voglie e de’ modi(16)!
Proprio francescano, ma conventuale (O.F.M.Conv), era il Luigi Carletti di cui si dice nel seguito: caso finora sostanzialmente sconosciuto
di quelle relazioni.
2. Scarsissime sono le informazioni relative a Carletti. Nato a Matelica nel 1809, aveva professato tra i conventuali nel 1833 e ricevuto
l’ordinazione sacerdotale l’anno seguente(17). Le sei lettere che scrisse
tra il 1836 e il 1844 ad Antonio Mezzanotte, professore di eloquenza
all’università di Perugia(18), e quella che inviò a Gratiliano Bonacci nel
1853, unitamente alle quattro di Giordani (1842-1844), tutte pubblicate
in appendice, consentono di ricostruire una pallida sinopia biografica,
e di seguire gli spostamenti del frate predicatore in giro per l’Umbria:
Amelia (1836), Terni (1837), Spello (1838), Montefalco (1839), Città
della Pieve (1842-1844). L’interesse di Carletti per la «Sacra Eloquenza»
spunta già nella prima lettera pervenutaci (App. II.1), scritta a Mezzanotte nel 1836. In essa il giovane frate, ventisettenne, non si perita di
sottoporre all’autorevole accademico un brano di predica nella quale
tuona contro la decadenza dell’oratoria sacra. Sostanzialmente Carletti
attacca la vanità dei predicatori del tempo, che cercano uno stile fiorito, concettoso e brillante, e insiste sulla priorità della mozione degli
affetti, che conduce alla conversione dei cuori, mirando più al bene
dell’assemblea dei fedeli che al successo personale, mondano dell’oratore. Carletti non esita neppure a sollecitare l’intervento di Mezzanotte
per la pubblicazione del pezzo, che avrebbe costituito il suo esordio
letterario (non so dire con certezza se la predica sia stata poi effettivamente stampata o no, ma ne dubito). Mezzanotte dovette rispondere
con imprudente cortesia, perché l’anno seguente Carletti non ebbe timore di chiedere al professore non solo una revisione linguistica, ma
addirittura un aiuto nella stesura di due panegirici destinati all’Avvento
del 1837. La collaborazione continuò anche negli anni a seguire, sebbene Mezzanotte sconsigliasse con franchezza al religioso la via della
(16) Lettere di P. Giordani ad A. Fania da Rignano, Parma, 19 luglio 1842 e Parma,
20 agosto 1843 (Lettere inedite di Pietro Giordani al P. Antonio Fania da Rignano, pp. 6369, a p. 64, e pp. 80-83, alle pp. 81 e 82; si leggano anche le importanti note del Sarri).
(17) Album fratrum almae seraphicae provinciae Ordinis minorum S. Francisci Conventualium, Perusiae 1853, pp. 12-13 (si tratta di un catalogo a uso interno dell’Ordine
conservato presso l’Archivio Generale dei Frati Minori Conventuali: devo la notizia a p.
Felice Autieri O.F.M.Conv).
(18) Valerio Corvisieri, Mezzanotte, Antonio, in DBI, LXXIV, 2010, pp. 77-79.
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poesia sacra (App. II.3), che infatti, a quanto ne so, fu da lui saggiamente abbandonata. Intanto il francescano faceva concreta esperienza
del pulpito: nell’Avvento del 1840 predicò a Città di Castello, nella
Quaresima del ’44 a Trevi. Grazie all’interessamento di Mezzanotte, fu
chiamato a predicare l’Avvento del ’44 presso l’Ospedale di Santa Maria della Misericordia a Perugia. Dal 1842, se non prima, era peraltro
stabilmente allocato nel convento di S. Crispolto a Bettona(19). Nel 1845
pubblicò un’Orazione in lode di S. Benedetto recitata a Norcia (Montepulciano, tip. di Angiolo Fumi, 1845), orazione che fu favorevolmente
recensita su un modesto giornale locale(20). Un paio di anni più tardi
lo troviamo tra i protagonisti di una pubblica manifestazione di giubilo
per l’elezione al soglio papale di Pio IX sempre a Bettona. Della festa,
organizzata il 16 giugno nella sala municipale del comune umbro, si
legge un interessante resoconto sull’«Osservatore del Trasimeno»(21), dove si ricordano anche le performance degli altri oratori (il canonico don
Francesco Pennacchi, il prof. Vincenzo Locatelli di Assisi, Ubaldo Pieri
di Assisi maestro a Bettona, Domenico Lolli, il vicario Don Luigi Onofri, Francesco Cernetti, Gaetano Terenzi). A Carletti spettò suggellare la
celebrazione: «Chiuse l’accademia un eloquente discorso del molto Rev.
P. Luigi Carletti M.C. in cui toccò con molta franchezza la necessità
che incombe all’ordine sacerdotale di riguadagnare l’antico splendore con
opere di sapienza cristiana e civile» (p. 2). Nello Stato pontificio queste
manifestazioni furono accompagnate da disordini. Cernetti e Terenzi
figurano del resto di lì a poco tra i membri della direzione del Circolo
Popolare di Bettona che il I maggio 1849 firma un indirizzo Al generale
comandante la spedizione militare di Francia per tentare di scongiurare
l’intervento francese contro la Repubblica romana(22).
Un decennio più tardi, dopo la battaglia di Castelfidardo, Carletti
assunse posizioni liberali sempre più estreme. È verosimile che la
sua coscienza fosse profondamente turbata dalle stragi perugine del
giugno 1859 perpetrate dal battaglione svizzero inviato da Pio IX a
(19) Sul quale rimando a quanto ne scriveva nel 1811 Pietro Onofri nel Libro secondo di memorie (Elvio Lunghi, Memorie di Bettona di Pietro Onofri. Vita civile e religiosa di una città dell’Umbria al tempo dell’Impero napoleonico, Foligno, Il Formichiere,
2016, pp. 322-325).
(20) «L’Utile-Dulci. Foglio periodico scientifico letterario artistico in Imola diretto da
Antonio Vesi», V, n. 9, 30 marzo 1846, p. 68. Cadendo la festa del santo il 21 marzo,
sarà stata recitata nel 1844 o al più tardi nel 1845, dal momento che nel testo si allude alla traslazione di reliquie di s. Agostino da Tolone a Ippona dell’ottobre 1843.
(21) «Osservatore del Trasimeno. Gazzetta politica di Perugia», XXII, n. 51, 26 giugno 1847, pp. 1-2.
(22) Protocollo della Repubblica romana. Collezione degli atti indirizzi e proteste trasmesse all’assemblea e al governo dopo l’invasione francese, Roma, Dalla Tipografia Nazionale, 1849, pp. 55-56.
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ripristinare l’ordine(23). Di fatto il 4 novembre 1860 partecipò al plebiscito per l’annessione allo Stato sabaudo(24), incorrendo dunque nella
scomunica minacciata dal Papa fin dal breve Cum Catholica Ecclesia
del 26 marzo di quell’anno; e non contento di ciò, il 24 novembre
pubblicò – sebbene in terza persona – un’energica dichiarazione sulla
«Gazzetta Universale» di Foligno nella quale guardava con favore alla
caduta del potere temporale dei papi, che avevano governato indegnamente(25). Nel clima di tensioni e conflitti di quei mesi, finì per
gettare l’abito, nella primavera del 1861, rifugiandosi a Sassoferrato,
dove sopravvisse con un modesto sussidio del nuovo Regno(26).
Dopo poco più di un anno, però, forse per convenienza, forse
perché deluso dal decorso degli eventi postunitari, forse, perché no?,
per una sincera resipiscenza, tornò sui suoi passi, e fu accolto nel
convento romano dei SS. Dodici Apostoli, da dove firmò un’ampia
ritrattazione, datata Roma, 13 maggio 1862, che fu pubblicata sull’«Osservatore Romano» del 2 giugno di quell’anno (la trascrivo interamente in Appendice IV). La vicenda fece un certo scalpore (e non
c’è dubbio che le autorità romane sentissero il bisogno di dar fiato
alle trombe), ed è narrata, tra l’altro, in una rassegna anonima in
forma di lettera da Napoli, 28 giugno 1862 apparsa sul giornale napoletano «La Scienza e la Fede», che riassume alcuni passaggi della
ritrattazione, concludendo: «Quanti non avrebbero ad imitare il Carletti nel suo ravvedimento?»(27).
Nell’Archivio Generale della Curia Generalizia dei Frati minori conventuali, custodito a Roma presso il convento dei SS. Dodici
(23) Luigi Bonazzi, Storia di Perugia dalle origini al 1860, II. Dal 1495 al 1860, Perugia, Tipografia Boncompagni, 1879, pp. 622-630.
(24) A questo plebiscito fu eccezionalmente ammessa anche Maria Alinda Bonacci,
la poetessa e letterata figlia del già citato Gratiliano (Eleonora Marsili, Le donne e il
plebiscito del 1860: il caso di Maria Alinda Bonacci Brunamonti, in Memoria, memorie.
150 anni di Storia nelle Marche, a cura di Marco Severini, Ancona, Il lavoro editoriale,
2012, pp. 82-92, partic. pp. 88-92).
(25) «Gazzetta Universale», LXI, n. 35, 24 novembre 1860, p. 138 (riprodotta per
intero in Appendice III). Editore del giornale era allora Giovanni Tommasini, lo stesso
che aveva stampato due anni prima la raccolta di Scritti di Carletti di cui si dice nel
seguito. L’appello del frate non fu un caso isolato. Ricordo solo l’anonimo pamphlet
Ai popoli dell’Umbria e delle Marche. Quattro parole di un sacerdote, Assisi, Tipografia
Sgariglia, 1860, nel quale si negava l’ineluttabilità del potere temporale della Chiesa e
si arrivava a giustificare le leggi per la soppressione di confraternite e ordini religiosi.
Sulla stampa periodica a Foligno, si veda Angelo Messini, I giornali di Foligno, in «Il
Giornalismo», XX, 1942, nn. 1-2, pp. 41-60.
(26) Sul biennio in questione: Gabriella Santoncini, Il processo di unificazione nelle
Marche. L’attività del regio commissario generale straordinario Lorenzo Valerio (12 settembre 1860-18 gennaio 1861), Milano, Giuffrè, 2008.
(27) «La Scienza e la Fede. Raccolta religiosa scientifica letteraria artistica», XXII,
vol. XLV, 1862, pp. 485-486.
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ENRICO GARAVELLI
Apostoli, sono conservate due versioni autografe della Ritrattazione
politica del Carletti, di cui si dà conto in Appendice IV.
Un rarissimo opuscoletto di Scritti del Carletti è invece conservato presso la biblioteca «Sperelliana» di Gubbio; ne do qui di seguito
una descrizione:
Scritti | di | Luigi Carletti | minor conventuale | [fregio] | Fuligno | Tipografia
Tomassini | 1858. | 8°; 47 [1] p.
Contiene:
pp. 3-14: Brano di predica per coloro che pratticando tutte le opere del
cristiano, meno quelle di misericordia, si danno ad intendere d’esser seguaci
di Gesù Cristo con un cuore gelato d’avarizia e coperti col mantello della più
laida ipocrisia;
pp. 15-38: Orazione in lode di San Benedetto recitata a Norcia [1844?];
pp. 39-47: Orazione funebre per l’avvocato Francesco Niccoletti letta il XVII
marzo MDCCCLVII in mezzo al divino ufficio nella chiesa di S. Andrea Apostolo in Ispello.
p. [48]: varii imprimatur (fra Domenico Rambaldi lettore e vicario del S.
Officio di Foligno, per conto dell’arcivescovo Francesco Rambotti, con visto
di Francesco Marchese Bernabò per l’Apostolica delegazione di Perugia, 10
maggio 1858).
Gubbio, Biblioteca Sperelliana, II. 16. A. 19, 8(28).
I tre scritti raccolti nella pubblicazione abbracciano probabilmente
15-20 anni (il primo non è datato, ma contiene riferimenti a un’epidemia di colera che deve essere quella del 1838, l’ultimo è del 1857)(29).
Sono testi, soprattutto il primo, molto forti, che tuonano contro l’ipocrisia dei falsi cristiani, la filantropia paternalistica dei progressisti del
tempo, ma anche le aride utopie di «umanitari e comunisti» (termini
con i quali vengono designati, credo, esponenti delle idee più disparate, non esclusi i mazziniani)(30). Quella del p. Carletti è un’oratoria
(28) Un’altra copia, appartenuta al collezionista ed erudito perugino Luigi Carattoli
(1825-1894), è conservata presso la biblioteca del Monte di Perugia, alla collocazione
Mon F.C. 58.l.
(29) Per la diffusione del colera in Italia nell’Ottocento rimando a Eugenia Tognotti,
Il mostro asiatico. Storia del colera in Italia, prefazione di Giorgio Cosmacini, RomaBari, Laterza, 2000, pp. 99-139.
(30) Tommaseo definisce il lemma Comunista «Chi è del partito di coloro che vogliono il comunismo»; e Comunismo, con il tono umorale e beffardo che gli era proprio,
«Istituzione sociale, o piuttosto Sogno d’istituzione, in cui i beni materiali fossero tutti
egualmente distribuiti ad arbitrio de’ capi della società. Parola e idea esotica» (Nicolò
Tommaseo-Bernardo Bellini, Dizionario della lingua italiana […], I.1, Torino, Dalla Società l’Unione Tipografico-Editrice, 1865, p. 1572). Comunista nell’accezione di ‘settatore
del comunismo’ compare già nel Gesuita moderno di Gioberti (Losanna 1847), almeno
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che sfrutta molto l’invettiva, carica i toni, non ha paura di scandalizzare. L’armamentario retorico non è particolarmente raffinato, ma
è in fondo quello più tipico del discorso pubblico, sacro e politico.
Le strutture retoriche più amate dal frate sono di gran lunga le iterazioni (in particolare l’anafora), l’accumulatio, le sequenze incalzanti
di interrogative retoriche. Qualche esempio:
E voi, o Spirito divinissimo, che adombrando il seno di una vergine, la sostanziale parola del divin padre faceste a Lei concepire, Voi che in pioggia
di fuoco benigno scendendo sovra i discepoli di Gerosolima, donaste lor tal
parola da convertire tutto il mondo pagano; Voi oggi più che mai accendete
il mio freddo cuore, illuminate la mia mente, purificate la mia parola rozza
e inculta, affinché da me miserabile non si profani, ma pura ed illibata si
comunichi a questi fratelli che mi ascoltano […] (p. 4).
Nell’ultima calamità che afflisse tanta parte d’Europa, voglio dire del morbo
asiatico, furono forse gli umanitari e i comunisti quelli che si accostarono al
letto di quei miseri infermi straziati dai dolori e da tutti abbandonati, o non
piuttosto i seguaci di Gesù Cristo? A chi si deve l’istruzione de’ sordo-muti
se non alla pietà di quelle anime nudrite alla morale evangelica e sacre al
ministero del Signore? Quali aiuti prestò il consesso della sedicente republica
italiana al zelante e pio Assarotti quando si volse umilmente a domandarle
soccorso per que’ miseri? (p. 11).
Chi assisterà l’infermo derelitto? Chi avrà cura dei pargoli abbandonati? Chi
più verserà balsamo di consolazione o nel carcere disperato, o nel tugurio
dolente, o nel patibolo spaventoso? Chi porterà soccorso, guida e ricetto ospitale ai viandanti sulle cime nevose e nei passi difficili delle montagne? (p. 54)
L’autore più frequentemente citato (sebbene ex silentio) è, e non
sorprende, il Dante della Commedia, di cui si sfruttano sintagmi come «forte agrume» (p. 9 = Pd XVII 117) e «non timido amico del
vero» (p. 44 = Pd XVII 118). Accanto, naturalmente, alla Bibbia, letta
quasi certamente nella vulgata sisto-clementina, senza la mediazione
di volgarizzamenti («Guai però a quegli che ha occhi e non vede,
ha orecchio e non ascolta!», p. 9, che presuppone Mc 8, 18; «sepolcri dealbati», p. 12 = Mt 23, 27 [la secentesca versione di Giovanni
Diodati ha «scialbati», quella fine-settecentesca di Antonio Martini
«imbiancati»]; «Lui beato che non ebbe mai parte alle congreghe
degli empi, non camminò le vie dei peccatori, non si assise nella
cattedra di pestilenza!», che parafrasa Ps 1, 1, secondo appunto la
sisto-clementina che finisce «et in cathedra pestilentiae non sedit»).
Non mancano, ovviamente, i padri della Chiesa, specie s. Gregorio
secondo il Grande dizionario storico della lingua italiana, III, Torino, Utet, 1964, p. 448.
253
ENRICO GARAVELLI
e s. Agostino (citati espressamente alle pp. 5, 9 e 22)(31). Di qualche
interesse la ripresa di un passo di «un caldissimo propugnatore delle
glorie italiane, martire della verità» (p. 55) nell’orazione per s. Benedetto. Si tratta della tacita parafrasi di un brano del Primato morale
e civile degli Italiani di Gioberti (allora esule a Bruxelles), testo la cui
circolazione nello Stato pontificio era allora interdetta (sarà poi messo
all’Indice qualche anno più tardi)(32). Il volumetto fu tempestivamente
recensito sul «Giornale scientifico-letterario-agrario di Perugia e sua
provincia». Il recensore, che volle rimanere anonimo, lodò la «maschia eloquenza» e il «raziocinio ognor forte e stringente» del brano
di predica, giudicò «lavoro assai pregevole e dotto» l’orazione per s.
Benedetto ma non nascose qualche riserva a proposito del sermone
funebre dell’avvocato Nicoletti(33).
Non è facile capire quale predica Carletti abbia inviato a Giordani
nel settembre 1842. Non risulta nulla a stampa a quella data (o almeno non sono riuscito a trovare nulla di anteriore al 1845) e i due
ultimi Scritti rimandano a due circostanze sicuramente posteriori. Il
carteggio con Mezzanotte, però, dimostra che Carletti aveva l’abitudine di trasmettere orazioni, o brani di orazioni in forma manoscritta
a prestigiosi corrispondenti. E non si può non notare che il carteggio
con Giordani si colloca precisamente nell’intervallo tra le lettere II.4 e
II.5 a Mezzanotte. Forse Carletti interpellò Giordani in un momento
in cui i rapporti con Mezzanotte si erano momentaneamente raffreddati o la sua consulenza gli era venuta a mancare per altri motivi(34).
3. Il carteggio di cui si pubblicano le reliquie consta di quattro lettere giordaniane (ignote le repliche del corrispondente), tutte
nell’originale autografo. In nessuna di esse compare il millesimo. La
datazione di II è facilitata dall’indicazione del giorno della settimana,
e ne consegue anche il millesimo di I, che la precede. III è di poco
posteriore a II, dunque dello stesso anno 1842. Più incerta la datazione di IV, che dovrebbe essere stata scritta a una certa distanza temporale dallo scambio precedente. La menzione dell’edizione Silvestri
delle opere giordaniane, pubblicizzata a partire da lettere dell’autunno
1843, fa propendere per il 1844.
Se assumiamo che l’iniziativa della corrispondenza sia venuta da
(31) Eccezionalmente si cita come maestro di retorica Cicerone («Tullio», p. 4).
(32) Francesco Traniello, Gioberti, Vincenzo, in DBI, LV, 2000, pp. 94-107, a p. 100.
(33) «Giornale scientifico-letterario-agrario di Perugia e sua provincia», n.s., III,
1858, pp. 486-487.
(34) Il sarcastico commento autografo di Mezzanotte in coda alla lettera II.3 del 9
aprile 1838, iniziando con il passato remoto «Risposi», sarà stato redatto qualche tempo
dopo, anche molti anni più tardi (comunque ante 1857, data di morte dello scrivente).
254
PIETRO GIORDANI E L’ORATORIA SACRA IN UN CARTEGGIO CON IL P. LUIGI CARLETTI
Carletti e che la lettera che dà l’avvio allo scambio epistolare sia quella
(non pervenuta) del 21 agosto 1842, si può ricostruire così lo scambio:
N. Mittente
1 Luigi Carletti
Destinatario
Pietro Giordani
I
Pietro Giordani Luigi Carletti
2
Luigi Carletti
II
Pietro Giordani Luigi Carletti
3
III
4
IV
Luigi Carletti
Pietro Giordani
Luigi Carletti
Pietro Giordani
Pietro Giordani
Pietro Giordani
Luigi Carletti
Pietro Giordani
Luigi Carletti
Da
A
[Città
Parma
della Pieve]
Parma
Città
della Pieve
[Città
[Parma]
della Pieve]
[Parma]
[Città
della Pieve]
[Bettona]
[Parma]
[Parma]
Bettona
[Bettona]
[Parma]
[Parma]
Bettona
Data
[21.8.1842]
8.9.[1842]
[16.9.1842]
25.9.-7.10.
[1842]
18.10.[1842]
8.11.[1842]
13.2.[1844?]
21.2.[1844?]
Dato che la lettera IV non esaurisce i termini della corrispondenza,
non si può escludere che essa abbia potuto continuare per qualche
tempo; ma al momento non ne ho traccia. In una lettera a Mezzanotte da Città della Pieve, 21 aprile 1844 (App. II.5), però, Carletti,
con un sussulto di orgoglio, lamenta amaramente il «severo giudizio»
sulle sue «orazioni» pronunciato da Giordani; sicché è possibile che
la corrispondenza si sia conclusa con una presa di distanza da parte
dello scrittore piacentino. L’avvio del carteggio, per contro, potrebbe
essere stato favorito dalla familiarità di Carletti con Gratiliano Bonacci, che aveva avuto uno scambio di lettere con Giordani qualche
anno prima; ma è solo un’ipotesi, bastando la sola fama di Giordani a
stimolare l’avvio di una corrispondenza. Bonacci era nato a Recanati
ed era professore di Estetica al Collegio della Sapienza di Perugia.
Dalla moglie Teresa Tarulli, nativa di Matelica come Carletti, aveva
avuto Maria Alinda (1841-1903), poi sposa del giurista e docente universitario Pietro Brunamonti, poetessa di buon nome, il cui archivio è
conservato presso la Biblioteca Augusta di Perugia(35). In appendice si
pubblicano tanto la lettera di Giordani a Bonacci del 19 maggio 1838
quanto quella di Carletti a Bonacci del 4 maggio 1853 (App. II.7).
Nella prima, abbastanza convenzionale, il letterato piacentino si
(35) Per la Bonacci si vedano: Pino Fasano, Bonacci Brunamonti, Maria Alinda, in
DBI, XI, 1969, pp. 453-454; L’archivio di Maria Alinda Bonacci Brunamonti. Inventario,
a cura di Gianluca D’Elia, coordinamento scientifico di Francesca Ciacci, Perugia, Soprintendenza archivistica dell’Umbria e delle Marche, 2015, pp. 13-15; altra bibliografia
più recente è menzionata in Manlio Pastore Stocchi, I Pensieri cristiani di Maria Alinda
Bonacci Brunamonti, in «Lettere Italiane», LXX, 2018, pp. 549-553.
255
ENRICO GARAVELLI
limita a ringraziare il corrispondente dell’invio di un suo «libro», che
non può che essere le Nozioni fondamentali di Estetica (Fuligno, Tipografia Tomassini, 1837), nelle quali a p. 87 figura una lunga citazione
dalla Lettera di un italiano ai compilatori della Biblioteca Italiana sul
discorso di Madame de Stäel. Secondo alcuni, il libro sarebbe stato
apprezzato da Giordani, ma non sono riuscito a risalire alla fonte di
questa notizia. La seconda documenta le cordiali relazioni del professore con il padre conventuale, che gli offre ospitalità in occasione
della festa di s. Crispolto.
Le cinque lettere giordaniane a Carletti e a Bonacci furono acquistate dalla Biblioteca Riccardiana di Firenze dal libraio antiquario di
Milano Renzo Rizzi nel novembre 1977, insieme ad altri materiali(36).
4. Il carteggio con Carletti contiene vari motivi di interesse. Innanzitutto colpisce la presa di distanza dal principio di imitazione,
uno dei capisaldi della cultura classicista:
Credo poi che lo scrittore non deve imitare nessuno, cioè farsi scimmia, ma
esprimere se stesso. Vero è che prima bisogna formare se stesso; cioè empirsi la testa (e molto più il cuore) di cose | degne d’esser dette, e imparare
la maniera di dirle.
Non è una posizione isolata. Torna in mente un passaggio della cosiddetta Storia dello spirito publico d’Italia: «Bembo sostenne contro il
Pico e contro il buon senso che bisogna essere imitatore d’un qualcuno; cioè non essere sé stesso»(37). È un atteggiamento del classicismo
italiano che risale per lo meno a una notissima lettera di Petrarca a
Boccaccio, dove compare anche il paragone con la scimmia («Utendum igitur ingenio alieno utendumque coloribus, abstinendum verbis;
illa enim similitudo latet, hec eminet; illa poetas facit, hec simias»,
Fam. XXIII 19)(38), similitudine ripresa da Poliziano nella disputa con
(36) La lettera di conferma dell’allora direttrice della Biblioteca Riccardiana Maria
Jole Minicucci è datata 10 novembre 1977. I dodici pezzi acquistati (oltre alle lettere
giordaniane, anche missive di Giambattista Niccolini, Andrea Maffei e Francesco Puccinotti e altri materiali) erano segnalati nel “Bollettino” n. 43 della libreria antiquaria
Rizzi, e i numeri d’ordine sono ripresi a lapis sulle lettere stesse: «61140» per la lettera
a Bonacci, «611411-4» per quelle a Carletti. La prima fu acquistata per la somma di
L. 30.000, le altre quattro per L. 140.000 complessive; che era una cifra per i tempi
ragguardevole.
(37) Pietro Giordani, Abbozzo dell’opera Storia dello spirito publico d’Italia per 600
anni considerato nelle vicende della lingua. 1811 (Opere, IX, 1856, p. 109). Pur mancando
un riscontro sistematico sugli autografi, sembra che Giordani alterni indifferentemente
la forma se stesso della tradizione grammaticale con quella sé stesso caldeggiata, fra gli
altri, da Bruno Migliorini e Luca Serianni.
(38) Francesco Petrarca, Prose, a cura di Guido Martellotti, Pier Giorgio Ricci, En-
256
PIETRO GIORDANI E L’ORATORIA SACRA IN UN CARTEGGIO CON IL P. LUIGI CARLETTI
Paolo Cortesi sullo statuto e la natura dell’imitazione artistica(39), e
poi rifluita in tanti altri autori di Antico Regime, da Caro a Baretti(40).
Un secondo motivo di rilievo, non letterario ma di cultura materiale, consiste nelle ripetute recriminazioni di Giordani per le spese di
mantenimento del commercio epistolare. Chi conosce Giordani sa che
queste lamentele spesseggiano nelle sue lettere. Giova però ricordare
che fino all’introduzione del francobollo le spese di spedizione erano
a carico del destinatario. Dalla lettera III si desume che Carletti aveva
tentato di vincere le resistenze di Giordani destinandogli addirittura
del denaro (il corrispondente naturalmente si schermì e non se la
diede per inteso). I primi francobolli, a ogni buon conto, compaiono
in Inghilterra nel 1839(41). In Italia occorre aspettare ancora un decennio, quando incominciano a circolare nei domini austro-ungarici.
Non c’è dubbio, però, che il piatto forte della corrispondenza siano le considerazioni condotte dal letterato piacentino sull’oratoria
sacra. Nella lettera I che si pubblica più sotto, Giordani confessa di
aver letto «molte centinaia di predicatori (compreso tutto l’esercito
gesuitico predicante)». Non c’è motivo di mettere in dubbio la sua
affermazione, né è necessario confinare quelle letture ai brevi anni
di S. Sisto. Al contrario, la sua attenzione per la parola del pulpito,
verosimilmente conosciuta soprattutto attraverso la stampa, è costante nel tempo(42). È probabile che il suo interesse per l’oratoria sacra
fosse dovuto al fatto che da secoli essa costituiva in Italia il «tipo di
discorso pubblico che deteneva la maggior valenza sociale»(43).
È ben noto, innanzitutto, l’apprezzamento giordaniano per Paolo
rico Carrara e Enrico Bianchi, Milano, Ricciardi, 1955, p. 1018.
(39) Prosatori latini del Quattrocento, a cura di Eugenio Garin, VII. Ermolao Barbaro, Angelo Poliziano, Marsilio Ficino, Milano, Ricciardi-Einaudi, 1977, pp. 902-911, a p.
902 («Mihi vero longe honestior tauri facies aut item leonis quam simiae videtur, quae
tamen homini similior est»).
(40) Garavelli, Pensieri e giudizi giordaniani, pp. 332-333.
(41) Armando Petrucci, Scrivere lettere. Una storia plurimillenaria, Roma-Bari, Laterza, 1997, p. 130.
(42) In generale, per l’oratoria sacra rimando a Roberto Rusconi, Predicatori e predicazione (secoli IX-XVIII), in Storia d’Italia. Annali, IV. Intellettuali e potere, a cura di
Corrado Vivanti, Torino, Einaudi, 1981, pp. 949-1035 (partic. 1012-1029); Lina Bolzoni,
Oratoria e prediche, in Letteratura Italiana, III. Le forme del testo, II. La prosa, Torino,
Einaudi, 1984, pp. 1041-1074; Giovanni Pozzi, Grammatica e retorica dei santi, Milano,
Vita e Pensiero, 1997, partic. pp. 3-46 e 261-299; Michele Colombo, Predicazione e oratoria politica, in Storia dell’italiano scritto. III. Italiano dell’uso, a cura di Giuseppe Antonelli, Matteo Motolese e Lorenzo Tomasin, Roma, Carocci, 2014, pp. 261-262; Id., Dio
in italiano. Bibbia e predicazione nell’Italia moderna, Bologna, Edizioni Dehoniane, 2014,
partic. pp. 35-76; Rita Librandi, L’italiano della Chiesa, Roma, Carocci, 2017, pp. 68-89.
(43) Colombo, Predicazione e oratoria politica, p. 263. Per la dialettica scrittura – recita – stampa delle prediche, in particolare dei Quaresimali, si veda Pozzi, Grammatica
e retorica dei santi, pp. 266-280.
257
ENRICO GARAVELLI
Segneri (1624-1694), uno dei tre «giganti» gesuiti del Seicento ripetutamente additati come modelli di scrittura dal letterato piacentino(44).
La fama di Segneri aveva dovuto superare, intorno alla metà del secolo precedente, un severo banco di prova. Il servita senese Alessandro
Bandiera (pure lui ex gesuita) aveva duramente criticato la lingua e
qualche tratto dello stile di Segneri nel trattatello I pregiudizi delle
umane lettere (1755)(45), guadagnandosi la pronta reazione di Giuseppe
Parini e Pietro Domenico Soresi (Due lettere sopra il libro intitolato
[…], In Milano, Nella Regia Ducal Corte, 1756). La polemica presto
trascese, coinvolgendo altri scritti di Bandiera e chiamando in causa
letterati minori. Se il buon nome di Segneri non ebbe troppo a soffrire dalla polemica, è però vero che la memoria di quelle schermaglie consigliò una certa cautela nei giudizi a quanti si occuparono in
seguito della sua produzione. D’altronde alcune delle osservazioni di
Bandiera erano sensate e sarebbero state riprese – surrettiziamente
– da molti critici dell’Ottocento.
La stima di Giordani per il gesuita di Nettuno non subì ripensamenti ma, come vedremo, neanche si alimentò di argomenti particolarmente originali. Una delle prime attestazioni di credito la troviamo
in una lettera a Leopardi da Milano, 10 giugno 1817. Vi compare il
paragone con Demostene destinato a tornare nel carteggio con Carletti(46). Qualche anno dopo Segneri è accolto ufficialmente nella Scelta di
prosatori italiani (lettera a Gino Capponi da Firenze, I gennaio 1825)(47).
(44) Su Segneri: Marco Leone, Segneri, Paolo, in DBI, XCI, 2018, pp. 751-754. Sul ruolo
svolto da Giordani nella fortuna, anche editoriale, di Segneri, rimando a Mario Scotti, Il
Segneri e la critica, in Daniello Bartoli, Paolo Segneri, Prose scelte, a cura di Mario Scotti,
Torino, Utet, 1967, pp. 486-494, partic. p. 489; Bolzoni, Oratoria e prediche, pp. 1067-1069;
Antonio Franceschetti, La fortuna critica del Segneri, in Paolo Segneri: un classico della
tradizione cristiana. Atti del convegno internazionale di studi su Paolo Segneri nel 300o
anniversario della morte (1694-1994), Nettuno, 9 dicembre 1994 – 18-21 maggio 1995, a
cura di Rocco Paternostro e Andrea Fedi, New York, Forum Italicum, 1999, pp. 11-45, a
p. 24; Garavelli, Pensieri e giudizi giordaniani, pp. 342, 347 e 375. Indipendentemente da
tutto, come ha ben notato Cingolani, elevando a modelli i tre grandi scrittori gesuiti del
Seicento, «pur così distanti dal suo mondo laico e austeramente anticlericale», Giordani
«contribuiva a rifondare la lettura di questo secolo, grazie a una di quelle felici infrazioni
al suo ideale classicista che rendono ancora tanto vitale e stimolante la prospettiva storiografica implicita nei suoi scritti» (Cingolani, L’officina di Pietro Giordani, p. 74).
(45) Su Bandiera (1699-1770) rimando alla voce di Claudio Mutini in DBI, V, 1963,
pp. 679-681.
(46) «Ella che ha letto Demostene e il Segneri ha notato come la maniera della loro
eloquenza è tutta la stessa, benché io credo che il buon Segneri non sapesse punto di
greco? Quel περὶ τὸν, sì frequente in Demostene, è una maniera frequente del predicatore:
e poi in tutto paiono gemelli» (lettera di P. Giordani a G. Leopardi, Milano, 10 giugno
1817, in Giacomo Leopardi, Epistolario […] raccolto e ordinato da Prospero Viani, II,
Firenze, Felice Le Monnier, 1849, pp. 291-295, a p. 293).
(47) Opere, XI, 1857, pp. 93-117, a p. 106. Sulla Scelta si veda Laura Melosi, In
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PIETRO GIORDANI E L’ORATORIA SACRA IN UN CARTEGGIO CON IL P. LUIGI CARLETTI
Un terzo pronunciamento, stavolta consegnato a un carteggio privato,
figura in una lettera ad Antonio Papadopoli da Parma, 30 agosto 1832
(data forse da correggere in 1833). L’occasione è dettata dalla ripresa
della polemica sul gesuita romano in due opuscoli dell’anno prima
inviatigli dall’amico. Ma leggiamo il passo giordaniano:
Nelle dissertazioni sul Segneri avrei amato che il Pizzoli pungesse meno il
Finazzi, e avesse più cose e più ragioni. Né l’uno né l’altro ha preso a svolgere
e stendere gl’innumerabili e grandissimi pregi di quello scrittore, che mi pare
un modello desiderabilissimo e quasi impossibile a imitare. Il Pizzoli suppone sempre nel Finazzi una voglia di deprimere il Segneri: a me non pare di
vedercela. Finazzi nota i suoi difetti; sui quali non è bisogno d’insister molto; perché facilmente appaiono a chiunque ha un poco d’intelligenza: e sono
più difetti di quel tempo che di quell’uomo: e perché quel tempo in molte
maniere è lontano da noi, quei difetti non mi paiono pericolosi. Ma le somme ed eterne bellezze di quell’unico scrittore avevano e merito e bisogno di
esser bene studiate e fatte sensibili; poiché appunto per la loro grande verità
sfuggono agli occhi meno acuti. E questa sarebbe stata la parte veramente
utile di tali discorsi: e questa doveva farla il Finazzi, almeno per cortesia; il
Pizzoli poi per giustizia, avendo assunta la persona di difensore. Ma questa
parte era di gran difficoltà; e l’han lasciata da banda l’uno e l’altro. Pare che
tu debba conoscere Pizzoli, poiché si mostra amico di Carrer. Dimmi un po’
che cosa è. Se gli sei confidente insinuagli con bel modo la legge di questo
secolo che vuole somma urbanità e dolcezza nelle dispute d’arti o di scienze,
rimosso ogni più piccolo sentore d’amaro. È prete questo Pizzoli(48)?
«Pizzoli» non era affatto prete e si chiamava in realtà Pezzoli, Luigi Pezzoli (1771-1834). Era un anziano professore, che quindici anni
prima aveva pubblicato una «Pistola» in versi Sull’abuso dell’eloquenza
sacra indirizzata al veronese Antonio Meneghelli, professore dell’università di Padova, nella quale già si menzionava, di sfuggita, Segneri
come modello di stile(49). Su una cosa Giordani non sbagliava: era
amico di Luigi Carrer, di cui era stato anzi uno dei maestri. Carrer ne
lasciò un ritratto in limine alla raccolta di Prose e poesie del burbero
toga e in camicia. Scritti e carteggi di Pietro Giordani, Lucca, Maria Pacini Fazzi editore, 2002, pp. 51-72.
(48) Lettera di P. Giordani ad A. Papadopoli, Parma, 30 agosto 1832 [1833?] (Opere,
VI, 1855, pp. 179-181, alle pp. 180-181). Sulle relazioni Giordani-Papadopoli è fondamentale il postumo Giovanni Forlini, Motivi politici e civili, culturali e autobiografici nelle lettere di Pietro Giordani ad Antonio Papadopoli, in «Bollettino Storico Piacentino», LXXXIV,
1989, pp. 1-30 e 145-176 (con un’Appendice di Vittorio Anelli, pp. 31-39). Giudizi su Segneri si leggono nell’antologia di Pensieri e giudizi di Letteratura e di Critica giordaniani
raccolti da Giosue Carducci (Opere, XIV. Appendice, 1862, pp. 373-532, alle pp. 452-453).
(49) «L’età vetusta | osò sperar di statuir ritegni | al bello, al grande. E già Segneri
stava, | stava Valsecchi per l’Italia mia, | quale al Ligure ardir Abila e Calpa» (Luigi
Pezzoli, Sull’abuso della Eloquenza sacra, Vicenza, da Tommaso Parise, 1815, p. 6).
259
ENRICO GARAVELLI
veneziano edita da Plet a Venezia negli anni 1835-1836, e per lui stese
un’epigrafe nella quale non esitò a definirlo suo «secondo padre»(50).
Finazzi era invece un giovane prete bergamasco. Aveva la metà
degli anni dell’altro, ma a quei tempi era stato appena nominato
professore al seminario di Pavia. Avrebbe poi compiuto l’intero corso della sua carriera ecclesiastica e pedagogica, talora osteggiata sia
dalle autorità del nuovo Stato nazionale che dalla Chiesa, nella città
natale(51). Sul finire del 1831 aveva dato alle stampe una «Memoria»
Sulla eloquenza delle prediche quaresimali di Paolo Segneri (Pavia, Dalla Tipografia Bizzoni, 1831) che tornava ad avanzare qualche critica a
Segneri. Pezzoli replicò con un saggio Sulla memoria del professore D.
Giovanni Finazzi intorno alla eloquenza delle prediche quaresimali di P.
Segneri, Venezia, G.B. Merlo, 1833, che ebbe una certa risonanza. Il
libretto fu recensito con favore sulla «Biblioteca Italiana», che salutò
il vecchio professore veneziano come «degno di singolar lode» e «non
diremo difensore, ma vendicatore del Segneri»(52). Ben diverso, invece,
il lapidario giudizio dell’anonimo recensore del «Nuovo Ricoglitore»,
che alcuni mesi prima aveva segnalato ai propri lettori le operette di
Finazzi e Pezzoli, più un ulteriore intervento di Giacomo Bini («Stendiamo un velo sulle Considerazioni del ch. sig. Luigi Pezzoli»)(53).
La questione non finì lì, ma fu anzi ripresa in varii opuscoli, per lo
più anonimi, dei decenni successivi. Cito, per esempio, uno scrittarello
di una ventina di pagine stampato a Lugano dalla Tipografia Veladini
nel 1845, con una breve lettera introduttiva a firma di tal Antonio Bevilacqua, forse vicentino, che ne dovrebbe essere l’autore (Alcune osservazioni intorno alla critica fatta alle prediche quaresimali del padre Paolo
Segneri dal professore Gio. Finazzi). Inutile seguire oltre queste discussioni, che lasciano traccia ovunque a partire dagli anni Quaranta(54).
(50) Leggo il discorso di commemorazione Della vita e degli scritti di Luigi Pezzoli.
Commentario letto nell’Ateneo di Venezia il 2 giugno 1834 e l’epigrafe in questione in Luigi Carrer, Prose, I, Firenze, Felice Le Monnier, 1855, pp. 33-60 e 437-438. Il giudizio di
Carrer consuona con quello giordaniano: «Alle osservazioni del professore [Finazzi], buone per la più parte, e certo meritevoli tutte di commendazione pel nobile intendimento
che le ha dettate, il Pezzoli rispose molto severamente, e, vaglia il vero, in questa prima
memoria più assai coll’agrezza dei sarcasmi, che colla solidità del discorso» (p. 56).
(51) Per Giovanni Maria Finazzi (1802-1877) rimando alla scheda di Guido Fagioli
Vercellone in DBI, XLVIII, 1997, pp. 23-25. Il suo archivio è conservato presso la biblioteca comunale “A. Mai” di Bergamo.
(52) «Biblioteca Italiana», XIX, vol. LXXV, 1834, pp. 258-260.
(53) «Il Nuovo Ricoglitore», IX, 1833, n. 106, p. 734. La recensione è siglata «X».
(54) Per esempio in Guglielmo Audisio, Lezioni di eloquenza sacra, III, Torino,
Stamperia Reale, 1841 (lezione VI), pp. 94-115 (che altrove cita i giudizi giordaniani
su Daniello Bartoli). Il manuale del «liberaleggiante e filorosminiano» Audisio (Pozzi,
Grammatica e retorica dei santi, p. 263) era il «testo più diffuso nei seminari del secolo
XIX» (Rusconi, Predicatori e predicazione, p. 1013).
260
PIETRO GIORDANI E L’ORATORIA SACRA IN UN CARTEGGIO CON IL P. LUIGI CARLETTI
Tornando a Giordani, nella lettera a Papadopoli emerge un vero e
proprio luogo comune della fortuna critica sette-ottocentesca di Segneri: la constatazione che i difetti del gesuita «sono più difetti di
quel tempo che di quell’uomo»; cioè a dire, l’apprezzamento per lo
scrittore in un contesto di persistente condanna del gusto barocco e
del parlar ingegnoso. È un teorema che, a ben guardare, risale proprio a Bandiera, e che discende in autori probabilmente noti, tutti o
in parte, a Giordani, da Giuseppe Malmusi a Girolamo Tiraboschi(55).
Particolarmente vicino agli accenti della lettera I del nostro carteggio suona infine un passo di una missiva inviata al già citato
Giuseppe Roberti il 27 aprile 1838:
S’ella vuol predicare, credo che debba leggere da capo a fondo, e anche più
volte il Segneri; modello ammirabile ed efficacissimo ed unico. Né però le
sarà affatto inutile anche leggere quegli estratti di Fra Giordano, che facevano
i suoi divoti uditori, e sono stampati come prediche di lui(56).
Anche a Roberti Giordani non trova di meglio che consigliare la lettura di Segneri, al quale questa volta vengono affiancate le reportationes
delle prediche di Giordano da Pisa.
Ad ogni buon conto, il giudizio conclusivo di Giordani sul grande
predicatore gesuita si riassume in una breve nota dettata a un amico
edita da Antonio Gussalli (che deve essere appunto l’amico) nel XIV
volume delle Opere:
Paolo Segneri, qualunque si voglia delle sue opere. Ha scritto tanto che tutto
non si leggerebbe. Nella lingua non è purissimo. Ma lo stile che varia secondo
il soggetto (cosa che pochissimi san fare) ha una franchezza invidiabile(57).
Ove si sottolinea la stretta aderenza al principio dell’aptum e la «franchezza». Non si tratta, giusta la semantica quotidiana del lessema, di
(55) Alludo a Giuseppe Malmusi, Analisi del Quaresimale del padre Paolo Segneri, In
Modena, nella stamperia di Giovanni Montanari, 1768 (poi ripetutamente ristampato).
Per Tiraboschi si vedano le varie edizioni della Storia della Letteratura italiana (prima
edizione 1772-1781).
(56) Lettera di P. Giordani a G. Roberti, Parma, 27 aprile 1838 (Opere, VI, 1855,
pp. 363-364, a p. 363). Delle Prediche di Giordano, oltre all’edizione di Domenico Maria
Manni (Firenze, Viviani, 1739) e alla ristampa bolognese «ridotta a migliore lezione ed
alla moderna ortografia» (Masi, 1820-1821), erano disponibili le auctiones di Domenico
Moreni (Firenze, Magheri, 1830-1831), di cui, verosimilmente anche per suggerimento
di Giordani, il libraio milanese Giovanni Silvestri avrebbe intrapreso l’anno dopo una
ristampa in tre volumi.
(57) Nota, con brevi giudizi, d’Opere italiane dettata di botto ad un amico da Pietro
Giordani (Opere, XIV. Appendice, 1862, pp. 367-372, a p. 371; anche a p. 372 Segneri
è definito «franchissimo»).
261
ENRICO GARAVELLI
‘sincerità’ o ‘schiettezza’, accezione altrove comune negli scritti giordaniani. Qui il termine è usato in senso tecnico e vale ‘scioltezza’, ‘disinvoltura’(58). È la capacità di evitare il vizio dell’affettazione e insieme di
perseguire, almeno in parte, quella classica perspicuitas che nel vocabolario giordaniano si declina spesso nella formula semplicità e chiarezza.
5. Ma Giordani ha anche altri due punti di riferimento costanti nel
suo canone omiletico. Il primo è il bassanese Giuseppe Barbieri (17741852). Allievo di Melchior Cesarotti, autore di un poema giovanile di un
certo successo (Le stagioni, Vicenza, nella Tipografia Paroniana, 1805),
traduttore e professore, il Barbieri approdò alla predicazione relativamente tardi, alle soglie dei cinquant’anni(59). Brillante oratore, abile, disinvolto, piacque subito al côté più liberale del cattolicesimo risorgimentale, guadagnandosi la stima di Gino Capponi, Alessandro Manzoni,
Defendente Sacchi e Raffaello Lambruschini, che nel 1833 pubblicò due
discorsi in lode del predicatore sull’«Antologia» del Vieusseux(60). Probabilmente Giordani ebbe modo di ascoltarlo di persona durante il soggiorno fiorentino, se così scrisse a Leopoldo Cicognara il 17 marzo 1828:
Barbieri predica in santa Felicita con grandissimo e giustissimo applauso. Il
raro e sommesso borbottare di qualche stolto vecchiume maligno non può
neppur farsi udire fra tanti applausi di tutta la gente(61).
Di sicuro ebbe modo di conoscerlo a Parma nel 1832, se vale una testimonianza affidata a una lettera a destinataria non nominata del 20
agosto di quell’anno(62), confermata da un’attenzione agli spostamenti
del sacerdote documentata da una lettera di un paio d’anni più tardi(63).
(58) «[…] Modo aperto, semplice e garbato, di conversare, Scioltezza di maniere accompagnata da gentilezza, Disinvoltura […] Detto figuratam. del parlare e dello scrivere, o
dello stile, vale Facilità, Naturalezza, congiunta con una certa eleganza» (Vocabolario degli
Accademici della Crusca, VI, Firenze, Tipografia Galileiana, 1889, pp. 438-439). Nel Discorso sullo stile poetico del sig. Marchese di Montrone (1807) Giordani riconosce a Leonardo
Capua e Filippo Baldinucci «purità» ma non «franchezza» (Opere, VIII, 1856, p. 195).
(59) Al vecchio Giovanni Gambarin, Barbieri, Giuseppe, in DBI, VI, 1964, pp. 230231 si aggiunga Giulia Carpino, Giuseppe Barbieri volgarizzatore delle Epystole III, 29 e
III, 32, in «Petrarchesca», V, 2017, pp. 147-152.
(60) Li leggo ristampati nel volumetto Del sacro oratore Giuseppe Barbieri e dell’eloquenza sacra italiana nel secolo XIX, Milano, Placido Maria Visaj, 1833.
(61) Lettera di P. Giordani a L. Cicognara, Firenze, 17 marzo 1826 [ma 1828] (Opere, V, 1854, pp. 406-407, a p. 407). Rettifico il millesimo perché la predicazione del
Barbieri a Firenze nel 1828 è certificata da altre fonti.
(62) «Fu qui un momento Barbieri, ed ebbi un gran piacere a vederlo, e parlare di
voi» (a destinataria non nominata [probabilmente Adelaide Calderara], Parma, 20 agosto
1832, in Opere, VI, 1855, pp. 173-174, a p. 174).
(63) «Dov’è quest’anno il Barbieri ad evangelizzare?» (ad A. Gussalli, Parma, 16
febbraio 1834, in Opere, VI, 1855, pp. 245-251, a p. 251).
262
PIETRO GIORDANI E L’ORATORIA SACRA IN UN CARTEGGIO CON IL P. LUIGI CARLETTI
Barbieri viene citato spesso da Giordani nel carteggio con Roberti;
in genere se ne biasimano i detrattori e si incoraggia il giovane abate
a seguire le orme del suo concittadino(64). Roberti, molti anni più tardi, pubblicò un discorso Giuseppe Barbieri educatore poeta ed oratore
(Bassano, Sante Pozzato, 1874), tratto da una sua opera complessiva,
il Diario critico degli illustri italiani, che, credo, rimase inedita.
Un altro ammiratore di Barbieri che spesso corrispose con Giordani fu il classicista dalmata Pier Alessandro Paravia(65), a cavallo fra
il 1839 e il 1840. I toni sono sempre gli stessi: attestazioni di stima
per l’onestà dell’uomo, compatimento per le persecuzioni subite, polemica contro i gesuiti e gli ipocriti(66).
Venuti meno gli entusiasmi dei primi anni Trenta, anche il giudizio
giordaniano finisce per temperarsi, restando comunque molto positivo:
È vero; il Segneri grandissimo, e unico, nel suo tempo, rimarrebbe grande
a tutti i tempi, se non avesse un po’ troppo di quel suo secolo. Barbieri, il
solo che non deliri in questa età, si vorrebbe che avesse un po’ più di vigore,
un po’ meno di affettazione. Ma la sua intenzione è buona e sana; è quella
di V.S. che l’apostolato cattolico mirasse a far ne’ cristiani gente buona anche per questo mondo: alla qual cosa niun predicatore pensò mai; e senza
la quale i predicatori farebbero meglio a tacere. I fracassi ciarlataneschi del
satanico (se non è ipocrita) teatino possono imporne solamente agli stolti(67).
(64) «Farà bene di onorare il Barbieri, cui onorano tutti i buoni: l’onora anche la
furiosa e calunniosa canaglia … ignorantissima» (lettera a G. Roberti, Parma, 12 aprile
1838, in Opere, VI, 1855, pp. 361-363, a p. 361; i tre puntini censori, che celano verisimilmente un «gesuitica», sono già nell’edizione Gussalli). «Certo non dev’esser buon
vivere a lei fra gli odiatori del Barbieri e di me» (a G. Roberti, Parma, 31 dicembre
1838, in Opere, VI, 1855, pp. 385-387, a p. 385). «Ebbi il libretto del Magio e la benedizione. Ella dunque vede come i preti trattano Barbieri. Quanti sono i pari a Barbieri?
quanti sono i nemici di Barbieri? [...] Sono sciocchissima impostura, le lettere ed opere
attribuite a Clemente XIV: e stupisco che Barbieri le abbia citate come legittime. Le
lettere sono invenzione del marchese Caracciolo. [...] mandi i miei saluti a monsignore
e a Barbieri» (a G. Roberti, [Parma], 15 maggio 1839, in Opere, VI, 1855, pp. 393-394).
(65) Sul quale: Francesca Brancaleoni, Paravia, Pier Alessandro, in DBI, LXXXI, 2014,
pp. 303-306.
(66) «Bello e amabil pensiero è stato di V.S. mandarmi il nobil carme del nostro Barbieri. Si può immaginare se (per quante ragioni) mi fu caro l’intendere i molti e giusti
onori, che il degno uomo ricevette costì. Fu detto ancora che verrà costì a predicare: ma
quando saremo al punto, vedrà che riusciranno a frastornare la cosa. Oh non mancheranno»; «Quali si dicono gli autori di tener lontano il Barbieri? Gesuiti e loro aderenti? o altri?
Certo si fa torto a quel bravo e dabbene uomo; ma il mondo è così»; «È assai spiacevole
la guerra che dapertutto si fa da certa gente al povero Barbieri, che è sì buono e non dà
molestia a nessuno. Ma prevale un certo zelo religioso, più da inquisitore che da apostolo;
dal quale zelo è difficile a scamparsi. Così va il mondo» (lettere a Pier Alessandro Paravia,
[Parma?], 2 agosto [1839], 4 febbraio [1840] e 10 giugno 1840, in Alcune lettere inedite di
Pietro Giordani concernenti in parte gli studi italiani e l’educazione, Genova, co’ tipi del R.I.
de’ Sordo-Muti, 1852, pp. 162-164, a p. 163; pp. 165-167, a p. 166; pp. 167-168, a p. 168).
(67) Lettera di P. Giordani al P. A. Fania da Rignano, [Parma], 20 marzo 1846 (Let-
263
ENRICO GARAVELLI
Il «satanico teatino» è l’altro piatto della bilancia giordaniana. Si tratta del siciliano Gioacchino Ventura (1792-1861), formatosi presso i
Gesuiti ma passato ai Teatini nel 1817(68). Fautore dell’ultramontanismo di Lamennais, di cui fu amico personale, Ventura prese diverse,
contrastanti posizioni nel corso della sua vita, non senza suscitare
sconcerto nei contemporanei. Ne è testimonianza un accenno in una
lettera di Giordani al p. Antonio Fania posteriore di un anno alla
precedente che si è citata:
Vedo che a V.S. piace molto il P. Ventura: ma com’è che dicono ch’egli fosse
smoderato e fanatico? S’è cambiato o non l’è mai stato(69)?
Proprio in quel torno di mesi Ventura aveva infatti maturato una
nuova “conversione”, documentata dall’Elogio funebre di Daniello
O’Connell (28-30 giugno 1847), nel quale tuonava contro «i governi
che credessero ancora di poter fare del dispotismo religioso nel secolo decimonono, dopo la grande rivoluzione che vi si è creata nelle
idee»(70). L’elezione di Pio IX del giugno 1846 aveva dato nuovo slancio alla sua attività, ed era diventato uno dei più autorevoli consiglieri del nuovo pontefice, in nome di un programma che sognava
una «Chiesa indipendente», che avrebbe «cessato di servire di scudo
al dispotismo, d’instrumento alla tirannia» e, «libera ed onorata della
fiducia e dell’amore dei popoli», avrebbe «compiuto la sua missione
divina di guidare l’umanità, pei sentieri della giustizia, dell’ordine
e del progresso, alla sua perfezione e alla sua felicità»(71). Forse il
nuovo Ventura non sarebbe dispiaciuto a Giordani, tanto più che il
discorso dal quale ho estratto le ultime frasi citate fu subito messo
all’Indice e l’autore costretto all’esilio in Francia; ma intanto Giordani era morto (la notte tra il I e il 2 settembre) e non avrebbe mai
letto quelle pagine.
7. Dal percorso che si è sommariamente delineato sopra si possono trarre tre conclusioni. Anzitutto mi sembra evidente che Giordani
tere inedite di Pietro Giordani al P. Antonio Fania da Rignano, pp. 117-118).
(68) Sul quale si vedano gli atti del seminario di Erice, 6-9 ottobre 1988 Gioacchino
Ventura e il pensiero politico d’ispirazione cristiana dell’Ottocento [...], a cura di Eugenio
Guccione, Firenze, Olschki, 1991, e, dello stesso Guccione, Gioacchino Ventura. Alle radici della Democrazia cristiana, Palermo, Centro siciliano Sturzo, 2000.
(69) Lettera di P. Giordani al P. A. Fania da Rignano, [Parma], 25 marzo 1847
(Lettere inedite di Pietro Giordani al P. Antonio Fania da Rignano, p. 146).
(70) Gioacchino Ventura, Elogio funebre di Daniello O’Connell membro del parlamento
britannico […], Roma, A spese dell’editore Filippo Cairo, 1847, p. 103.
(71) Gioacchino Ventura, Discorso funebre pei morti di Vienna recitato il giorno 27
novembre 1848 […], Roma, [Filippo Cairo, 1848], pp. 28-29.
264
PIETRO GIORDANI E L’ORATORIA SACRA IN UN CARTEGGIO CON IL P. LUIGI CARLETTI
assegnava alla predicazione un compito eminentemente morale, parenetico (che «mirasse a far ne’ cristiani gente buona anche per questo
mondo»). In questo si allineava alla tendenza sette-ottocentesca che
privilegiava l’esortazione morale, sebbene talora declinata nei termini innocui di un «galateo cristiano per gli ambienti che contano»(72),
sull’esposizione dottrinale e scritturale. Né doveva piacergli la tendenza montante negli anni centrali del secolo a trasformare l’omelia in
comizio, invettiva contro le nuove idee.
In secondo luogo, spicca, e non poco, la totale assenza di riferimenti ai grandi oratori francesi del Seicento, Bourdaloue, Nicole,
Massillon(73). Sono i maestri di Manzoni, i demiurghi della sua conversione letteraria. In Giordani nulla di ciò: tutto è ricondotto a un’autarchia che in questo caso lascia insoddisfatti.
Infine, proprio negli anni in cui si andavano fronteggiando due
scuole di pensiero, quella che privilegiava la semplicità della lingua,
dello stile e dell’actio contro quella che voleva rilanciare la retorica
del pulpito, la sonorità della lingua e la rotondità del gesto, sfruttando «l’azione convergente d’ogni mezzo comunicativo in una specie di
semiotica totalitaria»(74), Giordani scrive a Brighenti: «Circa i predicatori tutti quanti, che ingegno ed arte adoperino lo dice il fatto: quanto
ne abbisognino lo dice l’Evangelio: Nolite cogitare quomodo et quid
loquamini; dabitur enim vobis quid loquamini»(75). È un’affermazione
forte, ma di non facile interpretazione. Da una parte Giordani parrebbe accostarsi al «concetto di predicazione [di s. Francesco d’Assisi],
che è esperienza di vita piuttosto che specializzazione dottrinale e
retorica»(76), insistendo sulla credibilità dell’oratore. Dall’altro, pragmaticamente, non sembra disposto a rinunciare a ingegno ed arte, in nome di una tradizione umanistica (il «fatto») che assimilava l’eloquenza
sacra alla retorica classica. È significativo che in Barbieri ravvisasse
un vizio di affettazione, da intendersi riferito al suo stile predicatorio
(72) Bolzoni, Oratoria e prediche, p. 1070.
(73) Giordani ha però parole piene di stima per il Discours sur l’histoire universelle
di J.-B. Bossuet (lettera ad A. Gussalli, [Parma], 12 maggio 1845, in Opere, VII, 1855,
p. 103), che anche altrove cita con ammirazione.
(74) Pozzi, Grammatica e retorica dei santi, p. 298. E si veda anche Ernesto Vercesi,
L’eloquenza sacra in Italia, in Id. – Emilio Santini, L’eloquenza (dal sec. XVII ai giorni
nostri), Milano, Vallardi, 1938, pp. 70-77 (che delinea l’opposizione, già evidente, come
si è visto, in Giordani, tra la maniera di Barbieri e quella di Ventura).
(75) Il passo è citato dal Gussalli in una nota a Opere, V, 1854, p. 407. La citazione
proviene da Mt 10,19.
(76) Carlo Delcorno, «Quasi quidam cantus». Studi sulla predicazione medioevale,
a cura di Giovanni Baffetti, Giorgio Forni, Silvia Serventi e Oriana Visani, Firenze,
Olschki, 2009, p. 167.
265
ENRICO GARAVELLI
volutamente depotenziato, alla sua actio artificiosamente dimessa(77).
Giordani, in fin dei conti, non dà ricette per l’arte di predicare. Si
limita a individuare il nocciolo della questione: se la predicazione,
che è in fondo l’annuncio di un kérigma orientato a sollecitare una
metànoia, ed è dunque sostanzialmente una «realtà ecclesiale», possa
legittimamente ricorrere ai mezzi della semiotica della comunicazione per movere l’uditorio, oppure debba riposare semplicemente sulla
stultitia paolina (1 Cor 1, 21)(78). Nella lettera a Mezzanotte del 1836
(Appendice II.1) Carletti aveva già risolto, per parte sua, la questione.
Resta da capire se il seguito della sua personale esperienza testimoni
più in favore di un sincero zelo apostolico o non piuttosto di una
dissimulata e inquieta ambizione.
Università di Helsinki, settembre 2019
Criteri di trascrizione
Le trascrizioni offerte sono, come è logico, conservative e rispettano le
numerose oscillazioni ortografiche. Ho però uniformato alcuni aspetti della
cornice pragmatica delle lettere, togliendo il puntino dopo le date («8. Settembre» > «8 Settembre») e collocando le indicazioni cronotopiche prima
della cosiddetta iscrizione nelle lettere di Carletti di Appendice II.1-2 e 5-7 (in
II.6 ho invertito la posizione di iscrizione e data). Tra parentesi quadre indico integrazioni di passi rimasti pinzati nella stretta legatura dei manoscritti
dell’Augusta (Appendice II), tra parentesi aguzze alcune ulteriori integrazioni
congetturali o suggerite da ragioni di uniformità.
(77) Di «dizione modesta e naturale» e «parlata tersa» parla anche Pozzi, Grammatica e retorica dei santi, p. 278, riecheggiando un giudizio coevo di Giuseppe Compagnoni,
che esalta di Barbieri i «modi più semplici e più efficaci», lontani dal «tuono declamatorio che assorda le orecchie, e dalla concitata gesticolazione che necessariamente
consiegue a quel tuono», il «tuono placido del favellare», la «chiarezza delle espressioni» (Lettera del cav. Giuseppe Compagnoni al molto reverendo Sig. F.A.P. archidiacono di
Fabbriago […], in Saggio di sermoni sacri di Lorenzo Sterne tradotti in italiano. Con una
lettera sul metodo di predicare adottato dall’ab. Giuseppe Barbieri, Milano, Presso A. F.
Stella e figli, 1831, pp. IX-X).
(78) Sulla questione ha scritto pagine imprescindibili Pozzi, Grammatica e retorica
dei santi, pp. 281-291.
266
PIETRO GIORDANI E L’ORATORIA SACRA IN UN CARTEGGIO CON IL P. LUIGI CARLETTI
I
Pietro Giordani a Luigi Carletti, Parma, 8 settembre 1842
FONTE: Firenze, Biblioteca Riccardiana, Carteggi vari, cass. 4, ins. 3. Autografa. Fu
edita, con molte imprecisioni e qualche errore importante («piaciuto» anziché «spiaciuto», «20 agosto» anziché «21. agosto», «redato» anziché «veduto», «affetto» anziché
«affettuoso», «mancheranno» anziché «mancarono») nel «Giornale scientifico-agrarioletterario-artistico di Perugia», n.s., VI, 1861, pp. 234-236 (non registrata nella sempre
fondamentale bibliografia di Giovanni Forlini). Compilatore della rivista era Giuseppe
Bianconi (1824-1897), sindaco di Bettona e vicepresidente dell’Accademia di Belle Arti
di Perugia(79). Il suo archivio, notificato nel 2015, è depositato presso un privato ed è
dunque di accessibilità problematica. Il millesimo si desume dal timbro postale.
Al Rev.do Padre Luigi Carletti
Minor Conventuale
Civita della Pieve
Stato Papale
Parma‹,› 8 Settembre
Reverendo Padre mio cortese Signore.
Non m’imputi a villana negligenza il tardo ringraziarla della sua dei 21 agosto, che trovo qui, ritornata da una corsa in Romagna. Circa i suoi quesiti
risponderò schiettamente come penso. Penso con lei che Cicerone parrebbe
troppo pomposo sul pulpito: ma credo che può essere studiato (non dico imitato) con profitto da ogni persona, e anche dagli oratori Sacri; come parmi
che abbia fatto il Segneri. Credo che Demostene Le sarà spiaciuto nelle traduzioni: ma nella sua lingua mi creda che è pieno di finissima arte (benché
egregiamente coperta)‹,› è di eleganza semplicissima, è di vigore efficacissimo;
è vero modello: assai studiato da Cicerone, e parmi anche veduto dal Segneri.
Ma le traduzioni sfigurano ogni cosa.
Il Segneri ha veramente i difetti ch’ella dice; molti dei quali parvero pregi al
suo tempo. Ma dopo aver letto molte centinaia di predicatori (compreso tutto
l’esercito gesuitico predicante) non trovo né tra quelli che lo precedettero, né tra
gl’innumerabili che vennero dopo chi vi possa neppur da lontano paragonargli.
Mi par necessario che in tutte le sue opere sia letto, non solo dagli ecclesiastici,
ma anche dai laici, che vogliano formarsi un’idea di quello che è il Cristianesimo; non parlo dell’antico, ma del moderno: vedo che tutto è abbastanza compreso nelle sue opere; e le credo non solo da leggere, ma da studiare: non per
imitarlo; ma per considerarne quella chiara e facile ed efficace esposizione delle
cose. Credo poi che lo scrittore non deve imitare nessuno, cioè farsi scimmia;
ma esprimere se stesso. Vero è che prima bisogna formare se stesso; cioè empirsi la testa (e molto più il cuore) di cose | degne d’esser dette, e imparare la
maniera di dirle. Così consento con lei che non abbia da imitare il Barbieri;
per questa gran ragione che l’uomo dev’essere se stesso, e non altrui: ma non
per la guerra iniquissima che gli fa l’invidia e l’ipocrisia: poiché in questi tempi
(79) Lunghi, Memorie di Bettona di Pietro Onofri, p. 84 nota 1.
267
ENRICO GARAVELLI
sciagurati niuno fa meglio di lui, e i suoi nemici infinitamente peggio. E vostra
Riverenza ha ragione di voler fare altrimenti, e fare da sé. Però s’impossessi
bene di tutto quel che vuol dire; se ne scaldi bene l’anima; e poi scriva come il
cuor gli detta(80). Così faceva Dante, che fu sommissimo scrittore(81). Se io dovessi
montare in pulpito, di tutti i predicatori leggerei e rileggerei il solo Segneri:
ma per avere pura e sincera ed efficace la lingua, e quell’affettuoso che penetra
il cuore soavemente, leggerei tutti quanti mai potessi avere scrittori sacri del
trecento, sì originali, che traduttori. Sono una gran moltitudine; e in tutti è del
buono: in alcuni una soavità e una grazia proprio di paradiso.
V.R. ha gran ragione; e ci è gran bisogno di qualche buon predicatore,
né mai vi fu tanta abbondanza di pessimi; e quel che fa sdegno ‹è› vedere
stolidi o impudenti lodare ed esaltare ciarlatani ignoranti e sfacciati. Dalle
belle intenzioni di V.R. mi auguro ch’ella possa far del bene per questa via;
e già me ne congratulo con lei. Non si disanimi se incontrerà opposizioni;
che non mancarono mai alle cose buone. Ma Cristo vuole che i figli della
luce non sieno meno attivi e meno perseveranti che i figliuoli delle tenebre(82).
La riverisco di cuore; e le desidero ogni contentezza.
Suo umil.mo dev.mo Servitore
Pietro Giordani
II
Pietro Giordani a Luigi Carletti, [Parma], 25 settembre-7 ottobre [1842]
FONTE: Firenze, Biblioteca Riccardiana, Carteggi vari, cass. 4, ins. 3. Autografa e inedita.
Timbro postale assente.
Domenica 25 Sett.e
Io le domando un poco di compassione, Padre Carletti. Non so qual mio
feroce destino vuole che gran parte del mio danaro e tutto il mio tempo si
consumi in ricevere e mandar lettere; e per lo più ad ignoti. Io non sono
mendico, ma neppur ricco; e in paese povero son di continuo richiesto a
dare come se fossi ricco!
Ognuno di quelli che vogliono onorarmi di loro lettere si pensa di esser
solo, e mi crede oziosissimo: e a me non resta un momento da leggere qualche
cosa per mia consolazione. È veramente eccessivo il numero di quelli che vogliono occuparmi a legger loro o a scrivere per loro. Io vorrei servire a tutti; e
non mi basta il tempo; e talora confesso che la fatica e l’impazienza mi vince.
Io me le sento umanamente obligato per l’amorevolezza della sua lettera dei
(80) Si noti questa piccola infrazione grammaticale, con accordo ad sensum anziché
al pronome di cortesia.
(81) Si direbbe che Giordani qui riecheggi i celebri versi di Pg XXIV 52-54.
(82) Citazione, un po’ travisata, di Lc 16, 8, o forse incrociata con 1 Ts 5, 5.
268
PIETRO GIORDANI E L’ORATORIA SACRA IN UN CARTEGGIO CON IL P. LUIGI CARLETTI
16, e per l’inchiusa predica. Ma la posta, che non è gentile né affettuosa, mi
prende nove paoli per questo piacere. E da tante parti, in tanta copia me ne
vengono; che la borsa appassisce, e gli occhi e la mano si stancano. Se fossi
ricco dovrei prendere più di un segretario che leggesse e scrivesse per me. Io
son costretto a lodarmi di quelli che (senza ragione) mi odiano; perché mi
lasciano il mio tempo e il mio danaro; e io mi rido della loro mala volontà‹.›
Venerdì 7 ottobre.
Veda mio caro; sono stato interrotto; e appena oggi posso ripigliare, per finire in fretta. Mi scusi dunque; e accetti i miei ringraziamenti sinceri per la
sua amorevolezza. Ho letta con piacere la sua predica: e con gran ragione
riprende i vizi di questo tempo: ma io non credo ne abbia | colpa nessuna
filosofia; in età di tanto ozio, e prosuntuosa ignoranza; ma piuttosto una
sfacciata ipocrisia, in chi filosofica, in chi religiosa. Ella prosiegua di buon
animo nella sua onorata impresa; e mi creda sincero e affezionato, benché
troppo inutile suo servitore.
Pietro Giordani
III
Pietro Giordani a Luigi Carletti, [Parma], 8 novembre [1842]
FONTE: Firenze, Biblioteca Riccardiana, Carteggi vari, cass. 4, ins. 3. Autografa e inedita.
Timbro postale illeggibile.
Al Molto Reverendo Padre Padron Col.mo
Il Padre Luigi Carletti M.C.
Perugia
Bettonaa
Stato Papale
8 Novembre
Veda, mio riverito e caro Padre Carletti, se io non sono continuamente oppresso e frastornato dal fare ciò che più mi deve premere. Certamente e dovevo
e volevo risponder subito alla gentilissima sua dei 18 ottobre. Dico rispondere
tosto che ebbi qui la sua lettera; perché fui lungamente in Piacenza; e perciò
l’ho avuta qui più tardi. Ma sono tanti gl’impicci che m’è stato forza differire
sinora. Io la ringrazio dell’amorevolezza molta che è nella sua lettera. Non
occorreva mandarmi la moneta; perché un caso particolare non mi rovina. Ma
fummi necessario farle saper come (in generale) sia a me gravosa la posta,
per le tante e tante lettere, che mi diluviano da ogni parte: e perché le lettere
costan molto; e sono qui pesate assai sottilmente: e però bisogna scrivere in
piccoli e leggieri fogli, come fo io; perché queste poste sono una maledizione.
a
Bettona, di altra mano, per corr. su per Città della Pieve
269
ENRICO GARAVELLI
Forse nel suo paese son più discrete. Ma qui una lettera semplice e leggiera
dello Stato papale costa due paoli almeno, se il paese non è de’ più lontani.
Del resto mi sarà sempre caro ch’ella mi scriva; e specialmente quando potessi servirla di qualche cosa; come sinceramente desidero: parendomi di vedere una sincera bontà dell’animo suo. E di cuor le desidero ogni contentezza.
Suo dev.mo servo
Pietro Giordani
IV
Pietro Giordani a Luigi Carletti, [Parma], 21 febbraio [1844?]
FONTE: Firenze, Biblioteca Riccardiana, Carteggi vari, cass. 4, ins. 3. Autografa e inedita.
Nel timbro postale («PARMA | 22 FEB») il millesimo è purtroppo illeggibile.
Al Rev.do P. Luigi Carletti M.C.
Perugia
per Bettona
Stato Papale.
21 febraio
Mio caro e buon Padre Carletti.
Da tanto tempo desideravo sue nuove, e non sapevo dove con sicurezza volgermi a domandargliele; quando mi è giunta ieri la sua cara lettera dei 13.
La ringrazio del piacer che mi ha dato: e la prego a credere che io non mi
dimentico di lei; e sempre desidero che sia felice. Ma è cosa tanto difficile
in questo mondo cattivo!
Giovanni Silvestri libraio in Milano ha stampato 5 volumi di cose mie: ha
dovuto lasciarne fuori molte; tra le quali il Panegirico di Napoleone, la più
lunga delle mie scritture. Ma quella edizione è pulita, e meno scorretta, di
tutte le altre; che sono più o meno manchevoli, e scorrettissime(83).
I miei poveri scritti sono appena un’ombra dell’animo mio non vile, e in
perpetua guerra con tante feroci viltà che mi assediano, e sperano (ma invano) di opprimermi. Son grato alla benevolenza di chi mi compatisce; e alla
cortesia del mio buon padre Carletti, che riverisco di cuore.
Suo oblig.mo
Pietro Giordani
(83) In termini analoghi Giordani si esprimeva in quello stesso torno di tempo con varii
corrispondenti, per esempio con Felice Le Monnier: «La meno guasta delle tante edizioni è
quella fatta dal Silvestri a Milano in 5 volumetti: i primi 3 e il 5o nel 41, il 4o ristampato
nel 42, con aggiunte» (lettera di P. Giordani a F. Le Monnier, [Parma], 12 ottobre [1843],
in Isidoro del Lungo, I primordi della “Biblioteca Nazionale” di Felice Le Monnier in LX
lettere a lui di Pietro Giordani […], Firenze, Successori Le Monnier, 1916, pp. 3-5, a p. 4).
270
PIETRO GIORDANI E L’ORATORIA SACRA IN UN CARTEGGIO CON IL P. LUIGI CARLETTI
APPENDICE I
UNA LETTERA DI PIETRO GIORDANI A GRATILIANO BONACCI
Pietro Giordani a Gratiliano Bonacci, Parma, 19 maggio [1838]
FONTE: Firenze, Biblioteca Riccardiana, Carteggi vari, cass. 4, ins. 2. Autografa e inedita.
La camicia della lettera riporta la data 14 marzo, ma 19 maggio è lettura chiarissima.
Il millesimo si deduce dal timbro postale.
Al Chiarissimo Professore
Gratiliano Bonacci
Foligno
Stato Papale
Parma‹,› 19 maggio
Riverito Signor Professore‹.›
L’altro dì ho avuto il suo libro(84): e piacer doppio, e quindi obligo raddoppiato
di ringraziarla. Sono obligato alla cortesia che ha voluto dimostrarsi tanto
benevola al mio nome (quando io le sono ignoto di persona). E le son grato
del piacere avuto leggendo: consolandomi di vedere una parte di gioventù
italiana confidata a una mente così diritta e netta, come si dimostra V.S. nel
suo libro. Se tutte le scuole di eloquenza fossero tali, non sarebbero la prima
storpiatura e corrutela degl’intelletti, come si vedono.
Io soglio astenermi dalla presunzion di lodare, che a me pare non meno
arrogante che quella del biasimare. Ma credo che possa passare per non arrogante una sincera espressione di gratitudine. E questa accetti da me V.S.
col suo animo benevolo; e l’offerirmi a’ suoi comandi come suo
obbligato e devoto servitore
Pietro Giordani
(84) Gratiliano Bonacci, Nozioni fondamentali di Estetica, Fuligno, Tipografia Tomassini, 1837. L’opera, oggi dimenticata, meritò numerose recensioni; ricordo solo quella,
anonima, sulla «Biblioteca Italiana», XXIV, vol. XCVI, 1839, pp. 3-11; e quella siglata
C.M. sulla rivista napoletana «Il Progresso delle Scienze, Lettere ed Arti», n.s., VIII,
vol. XXIV, 1839, pp. 135-143. Bonacci aveva mandato il suo volume anche a Francesco Puccinotti (cfr. la lettera di quest’ultimo a Bonacci da Firenze, 19 agosto 1837, in
Francesco Puccinotti, Lettere scientifiche e familiari […] raccolte e illustrate dal padre
Alessandro Checcucci, Firenze, Successori Le Monnier, 1877, p. 124).
271
ENRICO GARAVELLI
APPENDICE II
LETTERE DI P. LUIGI CARLETTI AD ANTONIO MEZZANOTTE
E A GRATILIANO BONACCI
1
Luigi Carletti ad Antonio Mezzanotte, Amelia, 4 febbraio 1836
FONTE: Perugia, Biblioteca Augusta, ms. 1570, cc. 137r-138v. Autografa e inedita.
All’Ill.mo Sig.e Sig. P.ne Ch.mo
Il S.r P.e Antonio Mezzanotte
Perugia
Amelia‹,› 4 Febbrajo 1836
Pregiatissimo Sig.r Professore.
Spinto da un vivo desiderio di appagare le Sante brame di molti, che vivono smaniosi di potere una volta gustare l’antica Sacra eloquenza, di cui ora
invano se ne cercano le antiche tracce: ho io creduto fare al publico se non
utile cosa almeno non del tutto vana, accennare le vere sorgenti d’una tale
luttuosa rovina, onde scansare la possino tutti coloro che amano dedicarsi al
Sacro ministero. Mi avvedo però che tenterò invano di fare argine al vasto
torrente inondatore: ma se non riuscirò nel mio intento, avrò almeno il vanto
di potere dire essermi sgravato dal peso di un silenzio forse ingiusto. Essendo
poi questa la prima produzione, mi raccomando a Lei perché benignamente si
degni leggerla, spogliarla da quelli errori, che pure ve saranno, e farla quindi
inserire in quel giornale che meglio crederà opportuno. Se non le spiace io
la metto sotto l’ombra del suo gran nome, sperando così che acquisterà quel
pregio che non può mai avere dalla mia penna. Di grazia mi onori di un
suo riscontro: e con ogni stima me le raccomando.
D.mo um.o oss.o servitore
F. Luigi Carletti M.re Conventuale
Lo stato veramente deplorabile in cui da gran tempo si trova la Sacra eloquenza, non mi permette di starmene in alcun modo |137v| mutolo, ma anzi
mi pone nella sacra necessità di rivolgermi ricolmo di una giusta indignazione
contro quel numero quasi infinito d’indegni Sacri Oratori, che senza talenti,
senza cognizioni, ricolmi d’orgoglio, e pr[o]veduti sovente di uno scritto delle
fiamme sol degno, un tale ministero temerariamente ascensero, e domandare
loro voglio, con tutto quel zelo da cui ora infiammato mi sento, se siano
o no sazi di più abbusarsi della nostra sofferenza, e di profanare la divina
parola tanto per se stessa efficace, e da essi renduta vana, e infruttuosa. Lo
stesso io dico a quell’altra classe di pretesi sapienti, quali non sanno che
spargere rose e viole, e che vaghi solo di una pomposa apparenza, di Sacri
272
PIETRO GIORDANI E L’ORATORIA SACRA IN UN CARTEGGIO CON IL P. LUIGI CARLETTI
oratori indegnamente portano il titolo. I primi ci destano rabbia, e commiserazione; i secondi ci fanno spremere a viva forza dagli occhj il pianto. Si
fanno questi un barbaro diletto di piacere agli uomini, e no[n] a Dio, e di
essere di danno agli uomini, e a Dio. Sono di danno a Dio perché invece di
convertire assai anime, come devrebbero, le lasciano in preda al nemico; sono
di danno agli uomini perché invece di guidarli per la via del cielo li lasciano
in quella della perdizione. E ciò perché? Per andar dietro alle mode. Ma che
forse, o miserabili, l’eloquenza va soggetta alle mode? Consiste ella forse in
lambiccati concetti, nei quinci e quindi, in uno stile tutto florido e bizzaro,
in una stentata ricercatezza, e vano giro di parole che ad altro non serve
che a spargere t[e]nebre dove dovrebbe essere luce? Consiste forse in sublimi
filosofici insegnamenti, atti solo a destare negli ignoranti la meraviglia, e che
sono inutili per loro; o non piuttosto consiste in un modo di dire chiaro,
forte, energico, persuasivo‹,› commovente, atto a atterare e vincere le menti le
più ardite, ed i cuori più duri come è appunto quello di Tullio, di Demostene
e di tanti altri eloquentissimi scrittori, che a noi servire debbono di modello,
e di guida, |138r| e che voi perché privi di sano gusto, e niente interessati per
la salute delle anime, tenete in non cale? E se non vi è a cuore la salute
de’ poveri peccatori, quale mai altro interesse vi muove a salire sui pergami?
Io lo taccio per non farvi arrossire, e pregovi solo di divenire una volta più
saggi, e meno ambiziosi. Altri poi di me più valenti riusciranno nell’intento
di fare rivivere se sia possibile la Sacra eloquenza, quale ora per opera vostra
langue sepolta fra le sue rovine, e che implora pietà. Si taccino per poco
in voi le muse, o insigni benemeriti figli della italiana nostra letteratura, e
meco degnatevi di venire collaboratori in un’opera, che è tutta degna di voi.
2
Luigi Carletti ad Antonio Mezzanotte, Terni, 20 aprile 1837
FONTE: Perugia, Biblioteca Augusta, ms. 1570, cc. 328r-329v. Autografa e inedita. Nella
sovrascritta: «Franca». Timbro postale «21 APRILE», «AFFRANCATA» e «TERNI».
All’Ill.mo Sig.e S. P.ne Ch.mo
Sig.e Prof.e Ant.o Mezzanotte
Perugia
Di Terni‹,› li 20 Aprile del 1837
Pregiatissimo Sig.r Professore‹.›
Perdoni il ritardo di mia risposta in vista delle molte, e serie occasioni alle
quali mi hanno sottoposto l’assunto impegno della predicazione del futuro
Avvento. Discretissima, e più che ragionevole si è la domanda ch’Ella mi ha
fatta per ciascuno dei Panegirici, quali non sono più tre ma bensì due, della
Concezione cioè, e del Beato Amato(85), di cui non ho potuto fin qui trovarne
(85) Il francescano Amato Ronconi (XIII sec.), beatificato da Pio VI nel 1776 e il
cui processo di canonizzazione si è concluso recentemente (2014), sotto papa Francesco.
273
ENRICO GARAVELLI
la vita(86). Potrà però intanto occuparsi del primo; e a tale oggetto le trascrivo
in fine della presente una breve traccia quale ho desunta dal Panegirico di
Segneri(87) per non essermi mai dato allo studio della Teologia, quale sempre
mi è sembrato nojoso, antipatico, e del tutto opposto alle debolissime intellettuali mie forze che ad altri più ameni, ebbri(88) studii mi pare che inclinino.
Segneri con un modo di esso degno ha trattato un tale Panegirico, ed Ella
sulle sue tracce, dopo che avrà osservato le di Lei dommatiche ragioni, potrà tesserne un’altra degna di Lei, dandogli quell’aspetto di novità che meglio
crederà opportuno, e che saprà suggerirle il suo bel genio.
Pregola a volersi degnare di leggere l’Esordio che qui le trascrivo e d’onorarlo poscia del suo giudizio. Avrei di bisogno che tutta mi rivedesse la
Predica, ma non avendo attualmente a chi poterla |328v| consegnare, uopo è
che me ne astenga riservandomi di fare ciò alla prima favorevole occasione,
che mi si presenterà. Intanto con piena stima mi pregio ripetermi
suo d.mo u.mo oss.mo S.re
F. Luigi Carletti M.C.
P.S. Rileggendo dal Pan.o del Seg.ri ho desunto che la Santa Sede ha data piena facoltà di potere ragionare e scrivere sul mistero dell’Immacolato
Concepimento di Maria, e che ha espressamente proib[ito] di ragionarne e
scriverne contro, non proibendosi però punto di potere senza veruna [colpa]
sentire l’opposto. Tutti i Sacri Oratori difendono che Maria è stata vergine.
Per s[co]starsi da un sì battuto sentiero non mi spiacerebbe ch’Ella trattasse
un tal Pan[egi]rico in un modo del tutto nuovo, cioè toccando per figura
di preterizione l’imma[cola]to concepimento di Maria, provando poi che la
rimembranza di esso è oggetto di somma rabbia, ed [ira] all’inferno, che
venne debbellato, e vinto, ed è oggetto di so[mmo] gaudio a tutta l’umanità dovendo in quel felice momento ripetere la su[a] salvezza. Nella seconda
parte, se crede, potrà dire qual essere deve la nostra gratitudine verso una
sì benefica Sig.ra e verso Dio che si compiacque al mondo donarla. Intorno
poi la concezione ecco infine alc[uni] cenni.
Traccia
Per concezione intendono i Teologi quel primo istante in cui viene infusa
l’anima dentro il corpo. Avendoci la Chiesa lasciati in libertà di poter pensare pro o contra di un tale immacolato co(ncepimento) altro con ciò non
ha fatto che aprirci una via come renderci più meritevoli di grazie presso
(86) Probabilmente Carletti allude alla biografia che del santo aveva redatto Domenico Antonio Fronzoni (Della vita, delle virtù e de’ miracoli del Beato Amato Ronconi di
Saludecio, Bologna, nella Tipografia de’ Franceschi alla Colomba, 18182).
(87) Paolo Segneri, L’origine tanto più gloriosa, quanto più occulta. Panegirico per
l’Immacolata Concezione di Maria Vergine detto in Ravenna, in Id., Panegirici sacri […]
Parte prima, In Firenze, Per Pietro Matini, 1684, pp. 35-65.
(88) Se la strana lezione, di lettura dubbia, è originale, si dovrebbe pensare a un
uso figurato del termine (‘studi che trasmettono ebbrezza, piacevoli’).
274
PIETRO GIORDANI E L’ORATORIA SACRA IN UN CARTEGGIO CON IL P. LUIGI CARLETTI
di Lei prottegendo cioè ec.(89) Maria ci d[ice] per bocca dell’Ecclesiastico: qui
elucidant me vitam aeternam habebunt(90). Pro[va] è questa valevole a provare
il suo immac(olato) co(ncepimento) e quanto sarà efficace la sua protezione
in coloro che son grati può dirsi con Segn.ri. Ma in qual modo potremo noi
dilucidarla? Non nel suo nascimento perch’è di fede ch’ella fu santa; non nel
parto, perch’è di fede che fu verginale; non nella vita perché è di fede ch’ella
fu gloriosa. Altro dunque ec[ci] che confessare ec. Nestorio ardì asserire che
Maria non è Madre di Dio. Contro costui ed i suoi seguaci si potrebbe a
questo luogo fare un’acre invettiva ecc.
De la dilezione dei Nemici ‹.› Esordio
Al solo pensiero di dovere quest’oggi parlare contro l’abominevole, e brutale
vizio della vendetta, io già mi smarrisco, e confondo non potendo in alcun
modo sperare di potere riuscire vittorioso in una lotta così difficile ove tanti,
e tanti insigni oratori ci fecero, e ci fanno tuttora miseramente naufragio.
Mi confor|329r|ta non di meno, ed alcun poco mi ricrea la pietà, e la saggezza
vostra, o miei riveriti ascoltanti, punto persuader non potendomi che tra voi
trovar si possa alcuno così mentecatto, ed empio, che nulla [c]urando i presenti vantaggi, e gli eterni voglia oggi mostrarsi sordo, e crudo sprezzatore di
quell’ego autem dico vobis diligite inimicos vestros(91), che tante volte, sempre
però senza frutto, ci è stato a nome di Dio per bocca de’ suoi Ministri inculcato. Ma se per lo passato, per inavvedutezza forse, mostraste di fare poco, o
quasi nessun conto di un tale suo divino comando, mi lusingo peraltro che
oggi, dalla sua grazia assistiti, verrete con tutta lena a dimostrarvi in faccia
al mondo per veri Cristiani, e seguaci veri del suo S. Vangelo accordando
ai vostri offensori la pace tanto da loro desiderata, e che Cristo med.o dopo
averla, come uomo, pratticata qui in terra lasciolla a noi scritta. Ego autem
ec(92). Questa è la legge che Dio vi comanda d’osservare; e questa è la legge,
o offesi, o offensori innanzi a cui tutti dovete depositare i vostri rancori, e
giurare dovete pace, ma pace vera verso chiunque, ed in qualsivoglia modo
vi ha offeso. Che poi ciò sia per voi doverosa cosa, e vi torni contro o no
tocca ora a me il dimostrarvelo. Incomincio.
Non vi date già a credere, Sign.ri‹,› che io stamane vi voglia qu[i] lungamente trattenere con farvi un lungo, e forse nojoso rag[iona]mento intorno la
necessità, l’utilità, e la possibilità della legge d[el] perdono, quantunque ben
sappia esser quasi infinito il numero di quelli che temerariamente contro di
essa bestemmiano tacciandola d’ingiusta, e persino alle nostre umane forze
superiore, quasi che Dio capace fosse di pretendere da noi l’impossibile. No,
io non dirò che la legge che Dio ci ha data di perdonare i nostri nemici è
(89) Passo di difficile lettura (come anche più sotto «son grati» è lettura congetturale). L’argomentazione è comunque chiara, e riprende questo passo di Segneri: «Il contraccambio sarà, che la Vergine difenda noi nell’ora della nostra morte, come noi difendiamo lei nel punto della sua Concezione» (Segneri, L’origine tanto più gloriosa, p. 59).
(90) Eccl. 24, 31 (già citato da Segneri).
(91) Mt 5, 44.
(92) La martellante ripetizione della citazione evangelica è un tratto tipico dell’oratoria sacra, ed è particolarmente frequente in Segneri.
275
ENRICO GARAVELLI
quella legge sì provvida, che regge, e governa la società con un ordine del
tutto maraviglioso, e divino, e che qualora o infranta, o abolita fosse tosto
ved‹r›emmo cangiata ecc.
3
Luigi Carletti ad Antonio Mezzanotte, Spello, 9 aprile 1838
FONTE: Perugia, Biblioteca Augusta, ms. 1570, cc. 38r-39v. Autografa e inedita. A c. 39v,
commento del Mezzanotte, cursorio e sintatticamente un po’ sconnesso: «Risposi a questo frate in modo da persuaderlo esser versi opera meritoria il consigliarlo a tacere per
sempre: vietando così per parte di tal garrulo corvo ulteriori profanazioni della divina
Italiana Poesia». Il tema del componimento, inedito, in quartine di senari abab (tronchi
i versi pari), si spiega ricordando che durante i riti del Venerdì santo, all’interno della
preghiera universale che precede lo scoprimento e l’adorazione della croce, si proclama
una speciale intenzione per la conversione del popolo ebraico (VI petizione). L’orazione,
nota e discussa (Oremus et pro perfidis Judaeis), fu modificata prima da Giovanni XXIII
e più recentemente da Benedetto XVI (2008). Il componimento di Carletti trae i propri
umori anche dal clima di pacificazione che spingerà Pio IX a ordinare l’abbattimento
delle mura del ghetto di Roma il 17 aprile 1848.
Spello‹,› 9 Aprile 1838
Ill.mo Sig.r dottore.
Essendo la fama del suo gran nome meritamente volata, quasi sarei per dire,
per ogni dove, ed essendo Lei da tutti i dotti decantato, e riconosciuto per
quel gran letterato, che è, e sapendo eziandio aver altri gentilmente onorato
de’ suoi sani, ed irreprensibili giudizi in punto di letteratura; so dirgli che da
sì belle, e rare sue qualità d’animo essendone ancor io divenuto ammiratore,
astenere ora non mi posso dal vivamente pregarla d’onorarmi d’una letta il
qui infrascritto componimento, quale avrei deciso recitarlo nell’accademia che
qua si terrà il più imminente Venerdì Santo. Lei bene lo consideri, e poi si
degni compatirmi l’altro onore di farmi saper se meriti, o no di comparire in
un’accademia. Di ciò poi tanto più vivamente lo prego e scongiuro perché in
caso affermativo avrei in mano un’arme forte e sicura per rintuzzare il vano
orgoglio, nonché per ribattere i puerili colpi, anche in stampa se la necessità
lo richieda, di alcuni temerarj, e presuntuosi, quali senza conoscere ciò ch’è
bello, ed in che questo consista, e senza avere mai letto un classico italiano,
o almeno senza averne mai capito alcuno, ardiscono | criticare tutto, e di tutti
prima ancora di averne uditi i componimenti. Ecco quali sono i due motivi
che mi hanno indotto ad incommodarlo con la presente. Io poi essendo sicuro
che come altri favoriti ha in tal genere di cose, così sarà anche per onorar
me, in attensione de’ suoi fortunati caratteri, mi fo ora suo proprio in dirmi
di Lei
d.mo Um.o oss.mo Serv.re
F. Luigi Carletti Minore Conventuale
276
PIETRO GIORDANI E L’ORATORIA SACRA IN UN CARTEGGIO CON IL P. LUIGI CARLETTI
Uno della Sinagoga, che passa alla Fede di Cristo
Vere Filius Dei erat iste [Mt 27, 54]
Mi date la cetra
io voglio cantar
un inno che a l’etra
dovrà risuonar.
Del giusto, del Santo
chi il sangue tradì(93)
confessi col canto
che al Mondo apparì.
Si squarci quel velo
che l’alma oscurò:
si rompa quel gelo
che il cuore agghiaggiò.
Oh! giorno funesto
d’altissimo duol!
Il giorno egli è questo
che pianse anco il Sol!
Eppure l’ingrato
Giudeo si ristè
e baldo, e spietato
né un gemito diè.
S’ostina, s’indura
più sempre fellon;
minacce non cura
non cura perdon.
Commesso è il misfatto
non vuole crudel |
sembrare, e s’è fatto
per questo infedel.
Al vero si ceda;
non vinca il rossor;
al Santo si rieda
Pietoso Signor.
Se vide un tal giorno
la mia crudeltà,
pur vegga che torno
a senno, e pietà.
Paventa del tuono
chi ascolta il fragor:
chi brama perdono
confessa l’error.
Segnati, marcati
di grave empietà
erriamo sbandati
né regno più s’ha.
Che erranti, dispersi
li accolga nel sen!
Fra gl’Indi, fra i Persi
restasseci almen
asilo, od il Tempio
d’alzar il poter
de’ tristi ad esempio
dannati, e a tacer.
Vediam le stagioni,
gl’imperi cangiar,
gli scettri, ed i troni
spossarsi, crollar.
Ma in tanta vicenda
o Giuda per te
che t’alzi, e difenda
qual sorge mai Re?
La grave minaccia
predetta già un dì
ci stringe, ci allaccia
ci opprime così.
È questo il Giordano!
Qui Solima fu!
Passava il Romano,
e cadde; né più
fra tanta ruina
un segno restò
che d’ira divina
qual più vi piombò.
Ritorna, o Giudeo
a sano pensier:
chi tanto ti feo |
nemico del ver?
(93) Eco del v. 48 della Passione di Manzoni («e s’accorge che sangue tradì»).
277
ENRICO GARAVELLI
Il tempo segnato
con lungo predir
del Giusto aspettato
con tanti sospir
Al vero si ceda;
non vinca il rossor;
al Santo si rieda
Pietoso Signor.
che il gran Danïele
distinse anche il dì
a termin fedele
pervenne, e finì.
Se i Padri peccaro
ne ammendi il peccar
de’ figli l’amaro
singulto, e plorar.
Partì col Giudeo
lo scettro, e passò
in un Idumeo,
né più vi tornò.
La voce pietosa
che chiede per me
perdono, e amorosa
m’implora mercé
Gli oracoli tutti
se in Cristo troviam
a fine condutti
che più ci restiam?
d’un Padre è la voce
d’un Dio Redentor...
Adoro la Croce
e ’l mio Salvator.
4
Luigi Carletti ad Antonio Mezzanotte, Montefalco, 8 ottobre 1839
FONTE: Perugia, Biblioteca Augusta, ms. 1571, cc. 340r e 341v. Autografa e inedita.
Fuori, sulla sovrascritta: «Franca».
All’Ill.mo S.e S. P.ne Ch.mo
Sig.r Professore Antonio Mezzanotte(93)
Perugia
Fuligno per Montefalco‹,› 8 Ot.bre 1839
Preg.t.mo S.r Professore‹.›
In quella fine del mese di 7bre consegnai ad un religioso mio amico un plico
a Lei diretto; a quel che sento recasselo direttamente in Città di Castello, senza
aver memoria di lasciarlo costì. Ora mi scrive che debba farne; ed io gli ho risposto che glielo respinga subito franco per la posta, ed a quest’ora forse sarà
in sue mani. Posto ciò, parmi che possa sapere di vanità(94) venirle a narrare
le cose già da me dette; quel che desidero sapere si è se per i 20 del presente
mese possa o no completare il Panegirico della Concezione, poiché in tal caso
verrei io stesso a prenderlo, e le consegnerei personalmente il denaro. In tale
favorevole opportunità mi dò il pregio di conoscerla davvicino, ed avere utili insegnamenti dalla bontà, e sapienza molta di lei, quale io terrò mai sempre per
norma infallibile in tutto quello di cui è capace la debolezza dell’ingegno mio.
Con questo alla sua grazia mi raccomando
d.mo u.mo oss.mo s.re
F. Luigi Carletti M.C.
(93) (94) Sapere di vanità. ‘Avere il sapore della vanità, essere vano’.
278
PIETRO GIORDANI E L’ORATORIA SACRA IN UN CARTEGGIO CON IL P. LUIGI CARLETTI
5
Luigi Carletti ad Antonio Mezzanotte, Città della Pieve, 21 aprile 1844
FONTE: Perugia, Biblioteca Augusta, ms. 1572, cc. 233r e 234v. Autografa e inedita.
Fuori, sulla sovrascritta: «Franca».
Al Chiarissimo
Sig.r Professore Antonio Mezzanotte
Perugia
Di Città della Pieve‹,› li 21 Aprile 1844
Chiarissimo Signore Professore‹.›
La molta gentilezza e umanità che la Signoria Vostra ha mostrato di avere verso di me tutte le volte ho avuto di bisogno dell’opera sua, mi è oggi
di sprone a scriverle questa mia lettera, la quale confido che non sarà da
me fatta invano. Io ho desiderio di predicare la quaresima del futuro anno
1845 in cotesta chiesa dello Spedale(95): e tal mio desiderio faccio palese alla
somma sua gentilezza nella quale sommamente confido, che anzi tengo per
fermo che l’aiuterà di molto e coronerà con l’autorevole opera sua. Frattanto
mi basterà lo accennarle avere io nel 1840 predicato l’avvento nel duomo di
Città di Castello, e la quaresima passata nella Città di Trevi, da dove ne ho
riportato un’onorevolissima patente in bianco. Sento assai bene quanto sia
fiacco l’ingegno mio nell’arte difficilissima dello scrivere; ma se io manco
d’industria e d’ingegno, non manco peraltro di buon volere, e ciò che più
mi consola, securo mi sento da pazzo orgoglio: ed è per questo che ho sottomesse sempre al giudizio altrui le povere cose mie, ed ho voluto e vorrò
sempre vederle corrette da bravi ingegni: ed è per questo eziandio che se
le mie orazioni non saranno ancora tali quali le vorrebbe il severo giudizio
di un Giordani; oso peraltro dire con tutta verità che saranno sempre delle
migliori che si sentono tutto dì. E in attenzione di un qualche suo riscontro,
mi pregio segnarmi pieno di verace stima.
Umilissimo devotissimo servitore
F. Luigi Carletti M.C.
(95) L’Ospedale di Santa Maria della Misericordia a Perugia.
279
ENRICO GARAVELLI
6
Luigi Carletti ad Antonio Mezzanotte, Città della Pieve, 4 giugno 1844
FONTE: Perugia, Biblioteca Augusta, ms. 1572, cc. 286r e 287v. Autografa e inedita.
Fuori, sulla sovrascritta: «Franca».
Al Chiarissimo
Sig. Professore Antonio Mezzanotte
Perugia
Città della Pieve‹,› 4 giugno 1844
Chiarissimo S. Professore‹.›
r
Le son grato gratissimo della efficacissima raccomandazione usata verso di
me, e ne le giuro eterna la memoria. Con somma mia soddisfazione riceverò
la patente di cotesto classico pulpito dell’Ospedale di S.M. della Misericordia
per l’anno 1844, la quale aiuterà moltissimo il mio desiderio, che si è quello
di procacciarmene anche un’onorevole nella quaresima del futuro anno 1845a.
Intanto mi piace di accennarle che verso la metà del futuro mese riceverà
un bariletto di olio, in attestato di mia verace gratitudine. Si [a]ccuserà(96)
sempre più sano e robusto, e mi creda a tutte prove
Suo obbligatissimo Servitore
F. Luigi Carletti M.C.
a
1843 ms.
7
Luigi Carletti a Gratiliano Bonacci, [Bettona], 4 maggio 1853
FONTE: Perugia, Biblioteca Augusta, Archivio Brunamonti, b. 5, c. 245r-246v. Autografa
e inedita. Le cc. 245v-246v contengono minute di poesie, verosimilmente di mano di
Maria Alinda Bonacci Brunamonti (la «Linda» del testo).
Al chiarissimo
Prof. Gratiliano Bonacci
Perugia
4 Maggio 1853
Mio stim.o S.r Prof.
Ringrazio caramente Linda della bella e affettuosa letterina, e Lei del crocifisso e delle bottiglie, delle quali bramo sapere il prezzo. Se può farmi avere
altri sei bicchieri di vetro migliori di quelli avuti, l’avrei molto a caro.
Noi desideriamo averla per S. Crispolto(97), e le abbiamo già assegnato
(96) Forse nel significato di ‘appalesarsi’: ma è lett. dubbia.
(97) Cioè per la festa del santo, che si celebrava, e si celebra tuttora, il 12 maggio.
A s. Crispolto è dedicato anche il convento adiacente alla collegiata di Santa Maria
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PIETRO GIORDANI E L’ORATORIA SACRA IN UN CARTEGGIO CON IL P. LUIGI CARLETTI
questo letto della Provincia. Se in tale circostanza il Convento non sarà povero di forestieri è però vero che quest’anno abbiamo due camere da dormire
di più degli anni scorsi, e non sarà mai possibile che abbiano a mancarci i
letti, perché sappiamo benissimo tutte le persone che dovremo ospitare. Via
dunque ogni effimero ostacolo e faccia fin da ora la santa risoluzione di venirsene qua mercoldì a sera dopo la scuola con la Linda. Faccia Iddio che
la Pia e la signora Teresina(98) abbiano parole efficaci d’indurlo a farci questa
consolazione. Io l’aspetto con impazienza, e l’abbraccio con tutta l’anima.
L’affe.mo S.re
F. Luigi Carletti
APPENDICE III
PROFESSIONE DI FEDE POLITICA DI P. LUIGI CARLETTI,
FOLIGNO, 24 NOVEMBRE 1860
FONTE: «Gazzetta Universale» [di Foligno], LXI, n. 35, 24 novembre 1860, p. 138.
Professione di fede politica d’un frate francescano
Il Padre Luigi Carletti Minor Conv. nell’Umbria in Bettona, vuol che si sappia
che Egli trovandosi per caso a Recanati il giorno 4 Novembre ha solennemente
posto nell’Urna elettorale il suo voto, non solo senza scrupolo alcuno di coscienza, ma per un ben sentito dovere di giustizia e di patria carità. Vuol che
si sappia ch’Egli è intimamente persuaso che la spada non debba essere unita
al pastorale, poiché lo spirito del Vangelo, a chi ben l’intende, non consente il
regno di questo mondo al Vicario di G.C. Che se anche glielo avesse concesso,
èa manifesto che ora gliel toglie per non aver saputo regnare. Il governo della
S. Sede dovrebbe essere stato il più giusto, il più santo, il più paterno, il più
grande dei governi, perché ha per Codice il Vangelo, e per Capo G.C.; ma egli
è troppo manifesto che non è più governo di S. Sede, allorché diviene ingiusto, tirannico da sofferirsi appena nei più tenebrosi secoli di barbarie, e perciò
a ragione abborrito e distrutto. L’autorità è rispettabile quando è potenza di
bene, quando crea e mantiene l’ordine, il benessere, la prosperità de’ governati; ma quando diviene istrumento di male, l’autorità non è più autorità, per
conseguenza è detestabile, la società si corrompe, si sfascia‹,› agonizza, more.
Tale era lo stato del Papa governato non da Lui, ma dalla stessa iniquità,
dalla ingiustizia, dalla tirannia animata. Che tale fosse lo si può dimostrare
con mille e mille prove, che a scriver tutte non basterebbero interi volumi.
Egli adunque il P. Carletti, convinto che al Pontefice o non convenga il
dominio temporale, o convenendogli, col pessimo governare siasi esautorato,
convinto di far cosa grata a Dio e di soddisfare a un sacrosanto debito verso
Maggiore a Bettona.
(98) Teresa Marulli, moglie del Bonacci. La «Pia» deve essere Assunta Pia Bonacci,
sorella di Maria Alinda.
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ENRICO GARAVELLI
la Patria, riconosce e venera Vittorio Emanuele II come il messo di Dio per
la redenzione della nostra cara e sventurata Italia a cui molti anni di oppressione, di schiavitù, di tenebre e di dolori meritarono la gloria de’ suoi trionfi.
Viva Italia! Viva Vittorio Emanuele! Viva la Religione santa non de’ Gesuiti, ma de’ nostri Padri! Viva il Pontefice, ma non re!
a
e Gazzetta
APPENDICE IV
RITRATTAZIONE DI P. LUIGI CARLETTI, ROMA, 15 MAGGIO 1862
FONTE: Roma, Archivio Generale dell’Ordine dei Frati minori conventuali, Archivio storico. L’Archivio Storico in questione conserva due versioni autografe di Carletti. La prima (A1) è datata «Roma 30 aprile 1862» (l’archivista vi annotò la collocazione a penna
«XIX.15.B [3]); la seconda (A2) reca la sottoscrizione «Roma dal Convento dei SS. XII
Apostoli 15 maggio 1862» (in calce la collocazione «XIX.15.B [4]). Quest’ultima versione
è quasi esattamente conforme alla redazione a stampa apparsa sull’«Osservatore Romano», II, 8 giugno 1862, p. 492 (OR); ove la lettera di Carletti, senza titolo, segue questa
nota redazionale: «Ci vien comunicata la seguente ritrattazione politica e protesta di
fede cattolica del P. Luigi Carletti Min. Conv.». Seguo il testo di A2, annotando le poche varianti di OR. Dal momento che A1 è strutturalmente molto diversa e rielaborata
nel dettato, mi limito ad indicare in nota alcune varianti contenutisticamente rilevanti.
Ritrattazione politica e protesta di fede cattolica del P. Luigi Carletti Min. Conv.
Il solo desiderio di uscire dal sepolcro delle mie iniquità, e di provvedere
efficacemente all’affare rilevantissimo della mia eterna salute, mi fece conoscere e sentire molto eloquentemente il bisogno che avevo di potere, però senza
timor di morte o di prigionia, confessare pubblicamente di avere errato: e
allora fu, il 17 di Marzo, che aa Sassoferrato presi la deliberazione di scrivere
e di là muovere per Roma, ove non posso in alcun modo significare a parole
la sovrana generosità e clemenza di un Pontefice sì grande e glorioso, qual
è Pio IX, che sempre benignamente accoglie e perdona qualsiasi de’ suoi più
ingrati figli, che a lui di vero cuore pentito faccia ritorno, e il raro paternale
affetto del mio padre R.d.mo Generale Salvatore Calì(99), che sebbene mi vedesse spoglio di quel sacro abito, che arbitrariamente deposto avevo nel maggio
del 1861, e sapesse che, poi il suob ben meritato castigo della sospensione a
divinis, osato anche avevo di accettare dal governo del sedicente Re d’Italia(100)
il mensile sussidio di lire sessanta, il premio voglio dire della mia iniquità; tuttavia degnossi assai di buona voglia di annoverarmi tra figli suoi nei conventi
di queste Provincie, e ricolmarmi d’ogni sorta di gentilezze. | E qui voglio che
(99) Il Calì (1802-1864) era stato eletto Generale dell’Ordine dei minori conventuali il 3
giugno 1857. Su di lui: Francesco Costa, San Francesco all’Immacolata di Catania. Guida storico-artistica, Palermo, Biblioteca Francescana – Officina di studi medievali, 2007, pp. 65-89.
(100) «dal governo di Torino» A1.
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innanzi cosac si sappia che se io nel momento che ben si vedeva la prosperità
menzognera dell’Europa sul pendio d’un abisso, piuttosto che alzare la voce
contro il vizio e did procurare, per quanto era da me, che gli uomini facessero ritorno a quella fede, che sola può sostenere la civiltà vacillante, perché fu
il principio onde nacque, e di propugnare la necessità del dominio temporale
della S. Sede (come ha detto molto arcisapientissimamente un Pontefice di
cuore veramente angelico, il quale se oggi per le molte e gravi ingratitudini de’
figli suoi, nell’amarezza del suo cuore beve il calice delle sventure, presto però
sarà in festa di gran godimento) onde reggere la combattuta nave e condurla
a diritto segno, ho in vece dato scandaloe colle mie quanto vere e seducenti in
apparenza, altrettanto bugiarde, sacrileghe e illogiche dottrine in sostanza, che
pur troppo saranno state causa che altri, dietro le mie orme la diritta via della
salute abbia smarrita; e per questof che(101) per soddisfare un sacrosanto debito
di coscienza dichiaro e protesto di ritrattare annullare distruggere solennemente
e pubblicamente la mia professione di fede politica che scrissi e stampai nel
foglio di Fuligno il 24 9bre 1860, ove, con tanto scandalo e malo esempio dei
buoni e devoti cattolici, dissi che trovandomi per caso a Recanati | il giorno 4
9bre solennemente posi nell’urna elettorale il mio voto senza scrupolo alcuno di
coscienza, e molte e molte altre (però senza convincimento alcuno) sofistiche ed
empie parole contro il dominio temporale della S. Sede, che fu e sarà sempre
il più giusto, il più santo, il più paterno, il più grande de’ governi, perché ha
per Codice il Vangelo, e per Capo il Vicario di Gesù Cristo(102). Sì‹,› lo confesso con quella ingenuità che m’ispira un profondo e vero pentimento: io fui
sedotto da una bugiarda e iniqua illusione, e applaudii mio malgrado e contro
coscienza alla espoliazioneg deih sacrosanti diritti del Pontefice e Re gloria del
mondo e speranza e salute delle misere e mal capitate Provincie rapite al sacro
scettro e alla veneranda dominazione papale. Quel doloroso inganno or cessò,
e resto pentito e confuso e col più vivo desiderio di riparare al mal fatto. Il
Dio delle Misericordie voglia accettare il mio pentimento, e i buoni prestare
compatimento e perdono al mio enorme e gravissimo fallo per cui detestare
non mi bastanoi la voce e le parole. Prometto di ritornare al materno seno
della divina madre e maestra infallibile la chiesa cattolica apostolica romana
rappresentata dal | supremo vicario di Gesù Cristo Pio IX. Prometto di esser
soggetto e obbediente ai voleri, ai consigli, ai comandi di questa maestra di
verità. Prometto, con l’aiuto della divina grazia, di riparare per l’avvenire nel
miglior modo che mi è possibile il cattivo esempio che ho dato, e prego che il
mio dolore, la mia confusione sia olocausto di espiazione a Dio, e agli uomini
che avessi offeso con le mie sconvenevoli e sacrileghe parole.
Roma dal Convento dei SS. XII Apostoli‹,› 15 maggio 1862
a
per corr. su da A2; b poi il suo] dopo il OR; c innanzi tutto OR; d di om. OR; e
dato scandalo agg. interl. A2; f per questo] quindi OR; g spogliazione OR; h dai A2; i
basta A1 A2.
(101) La versione della ritrattazione datata 30 aprile (A1) iniziava qua; i paragrafi
che in A2 precedono erano variamente rimaneggiati nel seguito.
(102) «e per Capo Gesù Cristo», con «il Vicario di» aggiunto in interlinea, A1. L’addizione è notevole, e dato anche il riscontro con la professione del 1860, certamente
eterodiretta, benché autografa.
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