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Il Te Deum ritrovato: gli angeli musici e l'iconoteologia unionista nel ciclo pittorico lorenziano

2018, Lorenzo da Viterbo, Magister Pictor del Rinascimento italiano

«Imbambolato», «grossolano», «discontinuo», il coro degli angeli osannanti del ciclo pittorico ideato da Lorenzo da Viterbo in Santa Maria della Verità mostra «una certa inerzia ripetitoria e debolezze di fattura non imputabili al maestro» (tav. X; figg. 140-141). Per il suo tipico «tratto trascurato e rustico», per la sua «resa approssimativa e superficiale», la critica lo ha comprensibilmente liquidato quale prodotto di bottega, «espressione di un medesimo e mal ripetuto modello grafico», nel quale «è arduo scorgere un intervento diretto di Lorenzo, quanto piuttosto una trasposizione fiacca dei suoi disegni preparatori» (figg. 140-141). Ma è proprio quella ripetizione ritmica, modulare e modulante, degli ormai forse non totalmente suoi angeli musici a nascondere sorprendenti chiavi di lettura, a patto che si sollevi lo sguardo fino alla vela della vòlta corrispondente (figg. 140-141).

Il Te Deum ritrovato: gli angeli musici e l’iconoteologia unionista nel ciclo pittorico lorenziano Barbara Aniello «I mbambolato», «grossolano», «discontinuo»,1 il coro degli angeli osannanti del ciclo pittorico ideato da Lorenzo da Viterbo in Santa Maria della Verità mostra «una certa inerzia ripetitoria e debolezze di fattura non imputabili al maestro»2 (tav. X; figg. 140-141). Per il suo tipico «tratto trascurato e rustico», per la sua «resa approssimativa e superficiale»,3 la critica lo ha comprensibilmente liquidato quale prodotto di bottega, «espressione di un medesimo e mal ripetuto modello grafico»,4 nel quale «è arduo scorgere un intervento diretto di Lorenzo, quanto piuttosto una trasposizione fiacca dei suoi disegni preparatori»5 (figg. 140-141). Già uscito con ogni probabilità dal cantiere viterbese, il magister non lo controlla più, anche se nulla esclude che ne abbia originariamente progettato il programma, sul quale, in seguito, mani più incerte delle sue eseguirono gli affreschi. Sua, del resto, è certamente la Madonna in Gloria (fig. 142), assisa su un trono di nuvole e ritratta nella solenne ascesa; suoi sono gli apostoli irrigiditi nelle pose fortemente plastiche (figg. 143-144). Ma è proprio quella ripetizione ritmica, modulare e modulante, degli ormai forse non totalmente suoi angeli musici a nascondere sorprendenti chiavi di lettura, a patto che si sollevi lo sguardo fino alla vela della vòlta corrispondente (figg. 140-141). Siamo nella parete di fondo della Cappella Mazzatosta (tav. X), orientata a nord, dedicata all’Assunzione della Vergine, culmine del ciclo mariano effigiato da Lorenzo da Viterbo6. Il soggetto è il punto d’arrivo di una narrazione apparentemente discontinua: una volta varcato l’arcone d’ingresso (tav. I), lo sguardo rimbalza da una parete all’altra, alternando così la Presentazione al Tempio di Maria bambina (parete est, tav. IV), al momento dell’Annunciazione (parete ovest, tav. VII), lo Sposalizio della Vergine (parete est, tav. V) alla Natività, o meglio, come precisa il Réau,7 all’Adorazione del bambino (parete ovest, fig. tav. VIII), per poi imbattersi nell’Assunzione (parete nord, tav. X), alla presenza dei cori angelici. È come se il visitatore fosse obbligato ad un curioso andirivieni, da una parte all’altra della Cappella, ripercorrendo le storie di Maria e la sua eccezionale esistenza terrena, per meglio prepararsi alla contemplazione del suo altrettanto eccezionale transitus ultraterreno. Questo iter oculare ha una duplice direzione: orizzontale e verticale. La narrazione parte in alto a sinistra (Presentazione) e finisce in basso a destra (Natività o Adorazione), passando per i due tornanti dell’Annunciazione e dello Sposalizio e, da qui, cioè da quell’evento chiave nell’economia della salvezza dell’umanità, che è l’Incarnazione, riceve il suo slancio vitale e definitivo per approdare sulla parete di fondo (Assunzione). Il coup 245 Fig. 141 Lorenzo da Viterbo e aiuti, Assunzione, particolare con angeli oranti e musicanti, Viterbo, Chiesa di Santa Maria della Verità, Cappella Mazzatosta, parete di fondo, lato destro (per l’osservatore). Patrimonio del Fondo Edifici di Culto, amministrato dalla Direzione Centrale per l’Amministrazione del Fondo Edifici di Culto del Ministero dell’Interno. d’œil procede dal basso (Apostoli, figg. 143-144) in alto (vòlta, tav. II) e, per intermedio di angeli musici e oranti, culmina in Maria, attesa in un cielo abitato da profeti, evangelisti, dottori e padri della chiesa. La percezione visiva della parete di fondo, da contemplare dal basso in alto, è giustificata dalla sua struttura: questa è l’unica, infatti, a possedere una narrazione continua e non bipartita, come lo sono invece le pareti che la affiancano, supportando un dialogo spezzato, quasi a cori alterni. È straordinariamente rilevante rimarcare 246 che lo slancio che conduce l’osservatore all’approdo finale sia dato dall’Incarnazione in atto, ovvero dal Gesù Bambino appena nato e adorato dalla madre. La beatitudine di Maria non è dovuta, infatti, alla sua maternità divina, ma all’ascolto silenzioso del Verbo fatto carne: Mentre diceva questo, una donna alzò la voce di mezzo alla folla e disse: «Beato il ventre che ti ha portato e il seno da cui hai preso il latte!». Ma egli disse: «Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!» (Lc 11,27-28). Fig. 142 Lorenzo da Viterbo e aiuti, Assunzione, particolare con Madonna in Gloria, Viterbo, Chiesa di Santa Maria della Verità, Cappella Mazzatosta, parete di fondo Patrimonio del Fondo Edifici di Culto, amministrato dalla Direzione Centrale per l’Amministrazione del Fondo Edifici di Culto del Ministero dell’Interno. 247 Fig. 143 Lorenzo da Viterbo e aiuti, Assunzione, particolare con gli Apostoli, Viterbo, Chiesa di Santa Maria della Verità, Cappella Mazzatosta, parete di fondo, lato sinistro (per l’osservatore). Patrimonio del Fondo Edifici di Culto, amministrato dalla Direzione Centrale per l’Amministrazione del Fondo Edifici di Culto del Ministero dell’Interno. 248 Fig. 144 Lorenzo da Viterbo e aiuti, Assunzione, particolare con gli Apostoli, Viterbo, Chiesa di Santa Maria della Verità, Cappella Mazzatosta, parete di fondo, lato destro (per l’osservatore). Patrimonio del Fondo Edifici di Culto, amministrato dalla Direzione Centrale per l’Amministrazione del Fondo Edifici di Culto del Ministero dell’Interno. 249 Fig. 145 Pietro di Miniato, Natività, 1400-1405, Firenze, Santa Maria Novella, affresco della controfacciata. Patrimonio del Fondo Edifici di Culto, amministrato dalla Direzione Centrale per l’Amministrazione del Fondo Edifici di Culto del Ministero dell’Interno. Fig. 146 Lorenzo da Viterbo e aiuti, Natività o Adorazione del bambino, particolare con bue inginocchiato, Viterbo, Chiesa di Santa Maria della Verità, Cappella Mazzatosta, parete destra. Patrimonio del Fondo Edifici di Culto, amministrato dalla Direzione Centrale per l’Amministrazione del Fondo Edifici di Culto del Ministero dell’Interno. 250 In effetti, la Natività di Lorenzo da Viterbo è ascrivibile al ristretto numero di immagini appartenenti all’Adorazione del bambino da parte della Santissima Vergine Maria, il cui prototipo si trova tra gli affreschi della controfacciata di Santa Maria Novella, della fine del XIV sec., attribuiti a Pietro di Miniato (fig. 145). In particolare il Gesù bambino della Cappella Mazzatosta appartiene alla tipologia dell’infante luminoso e raggiante (fig. 169) che, lungi dall’essere un’invenzione di Correggio nella sua celebre Notte, affonda le sue radici iconografiche nelle Rivelazioni di Santa Brigida, XIV sec., e nella pittura fiamminga. A differenza dei primi esempi bizantini, in cui il bambino era illuminato dall’esterno, tramite i raggi della stella, qui la luce proviene dal suo interno e inonda gli astanti. Osservando bene, Gesù protende la destra e benedice alla latina sua Madre, con il gesto canonico del pollice, indice e medio distesi, e i suoi raggi non si devono alla luce fisica proveniente dalla bifora nella lunetta superiore, in cui è rappresentata l’Annunciazione, ma sono direttamente correlati al gesto di Dio Padre che spunta a mezzobusto da una nuvola al di sopra del messo angelico. Come nel prologo giovanneo: E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi vedemmo la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità. (Gv 1,14) Un indizio che collega Viterbo a Firenze, ovvero Lorenzo a Pietro Miniato: è l’inginocchiarsi appena visibile del bue (fig. 146), sul cui significato torneremo nelle conclusioni finali. Ma un motivo in più fa sì che, nella commistione stalla-grotta, tipica delle Natività di questo periodo, anche la Madre si inginocchi (fig. 57a). Si tratta della spiga (fig. 168), doppia, appe- Fig. 147 Lorenzo da Viterbo, Sposalizio della Vergine, particolare con le buccine del corteo nuziale, Viterbo, Chiesa di Santa Maria della Verità, Cappella Mazzatosta, parete sinistra. Patrimonio del Fondo Edifici di Culto, amministrato dalla Direzione Centrale per l’Amministrazione del Fondo Edifici di Culto del Ministero dell’Interno. na percettibile, ricamata sulla sua camorra (veste) candida8, chiaro rimando eucaristico a Gesù, posto dinnanzi a lei. Così, dietro al Verbo fatto carne, si intravede già quel panis angelicus, per mezzo del quale Cristo prometterà agli apostoli di essere con loro «tutti i giorni fino alla fine del mondo» (Mt 28,20). In un momento storico come quello che incornicia gli affreschi lorenziani, contrassegnato da un forte dibattito sulle forme e sulla sostanza della liturgia eucaristica, oscillante tra posizioni orientali e occidentali, protagonista il cardinal Bessarione, un simile rimando ci sembra degno di nota9. La decorazione della Cappella Mazzatosta segue, dunque, un preciso itinerario visivo-spirituale: dall’historia all’a-storia10, dalla vita all’eternità, dall’umano al divino. Questo forse il senso di quest’aurora consurgens inscritta nei pennacchi delle vele che si incrociano abbracciandosi nella vòlta (fig. 149): i due orizzonti, terreno e ultraterreno, si unificano, ammantando gli avvenimenti umani e sovrumani sotto un unico cielo. In sintesi, la porzione di affresco più trascurata dalla letteratura critica, che si è opportunamente concentrata per motivi stilistico-conservativi sullo Sposalizio, costituisce il vertice icono(teo)logico11 dell’intero ciclo, celando nello spicchio della vòlta corrispondente, inedite chiavi interpretative. Per capire il ruolo non secondario di questo angelicus concentus è importante partire dalla storia del miracolo, connaturata alla genesi della Cappella Mazzatosta e narrata dal cronista Niccola di Bartolomeo della Tuccia. 1446. L’8 di maggio tre mammolini andorno in S. Maria della Verità di Viterbo in mercordì su l’ora di nona, e videro su l’altare della Madonna una bella donna vestita di bianco, che cantava: poi videro un uomo vestito di sacco, a modo di frustatore, che gridava misericordia. Poi fu posta cura a quella figura su ’l viso che ci stà adesso; tutta era piena di gocce di sangue, e da quel di in qua ha fatto molti 251 Fig. 148 Lorenzo da Viterbo e aiuti, S. Agostino, S. Giovanni, S. Beda il Venerabile, Viterbo, Chiesa di Santa Maria della Verità, Cappella Mazzatosta, Volta, vela corrispondente alla parete di fondo Patrimonio del Fondo Edifici di Culto, amministrato dalla Direzione Centrale per l’Amministrazione del Fondo Edifici di Culto del Ministero dell’Interno. miracoli. E li mammoletti eran tutti d’età d’anni dieci12. Non intendo entrare nella questione dell’icona miracolosa, rimandando al saggio nel presente volume di Simonetta Angeli13, ma desidero soffermarmi sulla citazione del canto della Donna biancovestita. Oltre al profondo legame tra suono e silenzio che investe l’iconografia mariana fin dalla sua origine e che echeggia nella ritmica alternanza degli angeli musicanti e oranti14 dipinti nella Mazzatosta, è degno di nota – in questo contesto iconografico-musicale – il fatto che l’affresco commemori un’apparizione miracolosa della Madonna in cui l’elemento del canto è centrale. Maria è la Regina del silenzio, è colei che ha goduto del silenzio di Dio, lo ha conservato nel suo cuore, ha ispirato il silenzio adorante di poveri pastori e di magi intellettuali15. Maria è 252 anche la Regina del suono, è lei il soggetto che canta il Magnificat, che scioglie questo inno di incomparabile bellezza a Dio, parlando a nome di tutto il popolo di Israele, della Chiesa e dell’Umanità intera16. Nella Cappella viterbese la presenza della musica dipinta non si limita solamente ai cori angelici. La ritroviamo nelle buccine del corteo nuziale, allusive alla tradizionale pratica (fig. 147), Giotto docet, di accompagnare la sposa lungo le strade della città17; la ravvisiamo nel salterio in mano a David (fig. 153), effigiato, non a caso, nella vela della vòlta corrispondente all’Annunciazione e all’Adorazione. Non solo la presenza del profeta è connessa con la discendenza davidica di Gesù, concepito per opera dello Spirito Santo (lunetta superiore) e adorato dalla Madre (lunetta inferiore), come confermano i Vangeli (Mt 1,20; 9,27; 12,23; 15,22; 20,30.31; 21,9.15; Lc 1,69; 18,39; Fig. 149 Pennacchio tra la parete nord e la parete ovest, particolare con l’aurora, Viterbo, Chiesa di Santa Maria della Verità, Cappella Mazzatosta. Patrimonio del Fondo Edifici di Culto, amministrato dalla Direzione Centrale per l’Amministrazione del Fondo Edifici di Culto del Ministero dell’Interno. Fig. 150 Lorenzo da Viterbo e aiuti, Assunzione, particolare con la cintola, Viterbo, Santa Maria della Verità, Cappella mazzatosta, parete di fondo. 20,41-42) e l’Apostolo delle Genti (Rom 1,4; 2Tim 2,8), ma nella stessa Liturgia dell’Annunciazione, che la Chiesa celebra ogni 25 marzo, troviamo l’Antifona d’Ingresso, il Salmo 39 e il Vangelo nei quali l’Ecce del Figlio e l’Ecce della Madre echeggiano sottilmente l’un l’altro: Disse il Signore, quando entrò nel mondo: «Ecco, io vengo per fare, o Dio, la tua volontà» (Eb 10,5.7) Sacrificio e offerta non gradisci, gli orecchi mi hai aperto, non hai chiesto olocausto né sacrificio per il peccato. Allora ho detto: «Ecco, io vengo». «Nel rotolo del libro su di me è scritto di fare la tua volontà: mio Dio, questo io desidero; la tua legge è nel mio intimo». (Sal 39,7-9) «Ecco la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto». (Lc 1,38) Questo passaggio è di fondamentale im- portanza per via del ruolo della musica interrupta al momento dell’Annunciazione18. Tornando all’Assunzione lorenziana, gli angeli musici e i loro strumenti suonano, affiancando Maria nella sua ascesa. La presenza della musica angelica in contesti mariani non è una novità. Un dulcis concentus accompagna spesso le immagini che narrano la parentesi terrena di Maria, dalla Nascita all’Annunciazione, dallo Sposalizio alla Dormitio, dall’Assunzione all’Incoronazione. A Viterbo una rosa di rossi serafini19 contorna l’Assunta (fig. 142), posta al centro di una luminosissima mandorla, proiettando il proprio profilo, in un sottile gioco grafico-scultoreo, sul timpano dell’edicola marmorea (fig. 166), mentre due schiere di angeli musici la scortano, affiancandola specularmente20. L’apparente convenzionalità della scena nasconde una poco evidente anomalia. È proprio la presenza di San Beda il Venerabile e Sant’Agostino a fianco a San Gio- 253 Figg. 151 a-b-c-d Lippo Vanni, Angeli musicanti, 1360-70 ca., Eremo di San Leonardo al Lago, Monteriggioni (Siena), vòlta, particolare delle vele: a: Angeli oranti, suonatori di altobasso, buccine, timpani, cornetto; b: Angeli musicanti, suonatori di salterio, liuto, organo portativo, viella, ribeca; c: Angeli oranti, suonatori di tamburello, flauto doppio, buccine, timpani, flauto dritto e cimbali; d: Angeli cantori, incensieri e reggifiaccole. 254 vanni sulla vela corrispondente, a destare inedite riflessioni (fig. 148). Come è noto, la Sacra Scrittura tace riguardo a quello che sarebbe divenuto il dogma, tardivamente proclamato da Papa Pio XII, il 1° novembre del 1950, con la bolla Munificentissimus Deus, dell’Assunzione di Maria, per cui «la Madre di Dio sempre vergine Maria, terminato il corso della vita terrena, fu assunta alla gloria celeste in anima e corpo»21. Già dal IV e V secolo, tuttavia, gli scritti dei padri della Chiesa, sostenevano che il corpo di Maria rimase incorrotto dopo la morte (Efrem il Siro); che la Vergine era immortale perché il Cristo l’aveva trasferita nei luoghi della sua ascensione (Timoteo di Gerusalemme); che la Madonna quasi certamente possedeva già con la carne il regno dei cieli (Epifanio di Salamina). Anche tra gli scritti apocrifi, e in particolare nel Discorso di San Giovanni il Teologo sul riposo della Santa Teotoco, si narra del privilegio riservato alla Madre di Dio22. L’evangelista, dietro il quale si cela, in realtà, un testo del VI sec., narra del prodigioso arrivo di Giovanni a Betlemme, trasportato da una nube, la stessa nube che rapisce, a turno, tutti gli altri apostoli, in un’ora imprecisata, definita dall’autore «sul principio del giorno23». Non a caso a Viterbo troviamo proprio S. Giovanni (fig. 148), ritratto al centro della vela, mentre dal nodo dei pennacchi da cui si dipartono i costoloni della crociera spunta una stupenda aurora sorgente (fig. 149). Durante il racconto, diversi sono i momenti dedicati al canto, sia durante la veglia del corpo della Vergine dormiente, quando il Signore, rivolto a Pietro, dice «è giunto il momento di intonare l’inno24», sia quando al coro umano degli apostoli risponde quello divino degli angeli: «e quando intonò l’inno tutte le potenze del cielo risposero l’alleluia. Allora il volto della Madre del Signore divenne più splendente della luce25». Affidato sia agli apostoli, sia agli eserciti celesti, l’elemento musicale costella quasi tutti i testi apocrifi della famiglia del transitus Mariae: Il Salvatore e gli angeli erano sulle nubi a una certa distanza davanti al lettuccio inneggiando invisibili: si udiva soltanto la voce di una grande moltitudine, tanto che uscì fuori tutta Gerusalemme26. Gli apostoli camminavano salmodiando27. «Vi fu un grande chiarore e un profumo soavissimo mentre gli angeli cantavano il Cantico dei Cantici28». Cantando, persino gli Apostoli sono trasportati in cielo per deporre Maria sotto l’albero della vita: «Il Signore disse a Michele di innalzare il corpo di Maria su di una nube e trasferirlo in paradiso. Quando il corpo fu innalzato, il Signore disse agli apostoli di avvicinarsi a lui e saliti sulla nube cantavano inni angelici29». Sulla parete di fondo della cappella Mazza- Fig. 152 Lorenzo da Viterbo e aiuti, S. Beda il Venerabile, dettaglio delle lacrime, Viterbo, Chiesa di Santa Maria della Verità, Cappella Mazzatosta, vòlta, vela corrispondente alla parete di fondo. Patrimonio del Fondo Edifici di Culto, amministrato dalla Direzione Centrale per l’Amministrazione del Fondo Edifici di Culto del Ministero dell’Interno. tosta, dunque, non solo è raffigurato il passaggio dalla terra al cielo della Vergine, ma un particolare inedito apre nuovi scenari. È proprio il caso di dire con Warburg che Dio si nasconde nei dettagli, perché Gentilini e Principi, nel loro saggio dedicato a questo volume30, grazie anche all’accurata campagna fotografica eseguita da Mauro Magliani e Barbara Piovan, hanno riconosciuto la presenza di una fibbia (fig. 150) nella parte finale di una cintola, posta poco al di sopra dell’edicola, nella parte destra dell’affresco, a metà tra i due orizzonti, umano e divino. Denunciata anche dalle mani di Tommaso (fig. 138), che si protendono come ad ac- coglierla, questo accessorio vestimentario, citato dai testi apocrifi31, è il dato fondante per ipotizzare un sarcofago di Maria proprio al di sotto dell’ingombrante ciborio marmoreo32, che spartisce a sinistra e destra, secondo lo schema tradizionale, il gruppo degli apostoli divisi nel numero di cinque e sei, mancando Giuda (figg. 143-144). A sua volta il beato Tommaso, che vestiva ancora i paramenti sacerdotali, riferì loro come mentre stava cantando la messa, in India, senza che se ne avvedesse, la parola di Dio lo trasportò sul monte degli Ulivi dove vide salire in cielo il santissimo corpo della beata Maria e le chiese di 255 Fig. 153 Lorenzo da Viterbo e aiuti, Davide in atto di suonare il salterio, Viterbo, Chiesa di Santa Maria della Verità, Cappella Mazzatosta, vòlta, vela corrispondente alla parete sinistra. Patrimonio del Fondo Edifici di Culto, amministrato dalla Direzione Centrale per l’Amministrazione del Fondo Edifici di Culto del Ministero dell’Interno. dargli una benedizione, come ella avesse esaudito alla sua supplica e gli avesse gettato il cordone che la cingeva; e fece vedere il cordone a tutti33. Questo elemento iconografico della cintola è diffuso soprattutto in Toscana, per via della presenza della sacra reliquia a Prato. Pur con le opportune distinzioni tra area senese e pratese, già scandagliate da Gentilini e Principi in questa sede, non è pleonastico evidenziare come l’esempio viterbese si ponga quale sintesi tra le due proposte iconografiche, essendo la cintola lorenziana sospesa in aria, e non offerta dalle mani della Madonna, come a Siena, e di un color verde plumbeo, come a Prato34. Tuttavia, se in Occidente troviamo casi in cui il soggetto dell’ascesa di Maria Assunta in cielo è indipendente dalla citazione della sua sepoltura, in area orientale all’Assunzione si preferisce la Dormitio35. 256 L’edicola marmorea (tav. X), disinvoltamente giustapposta alla parete, non solo nasconde parzialmente il soggetto affrescato, rendendo ardua l’osservazione della parte inferiore del corpo seduto di Maria e facendo a fatica intravedere, al di là della pigna che ne sormonta il pinnacolo, le sue mani e il volto, ma cela certissimamente un sepolcreto vuoto o, come da tradizione, sigillato da quei gigli e rose con cui gli scritti apocrifi siglano la purezza dell’eccezionale evento36. Come da manuale, dunque, il coro degli angeli lorenziani si unisce a quello apostolico e quest’ultimo – almeno nella parte sinistra - in maniera quasi contrappuntistica ne replica gesti e ritmi, accompagnando la Vergine che, lasciando il proprio sepolcro vuoto in basso, solca i cieli. Nella vela della vòlta, ordinata concentricamente e attraversata da una linea-arcobaleno, Sant’Agostino e San Beda il Venerabile37 sono ritratti ai lati di S. Giovanni (fig. 148), sormontato dal suo emblema, l’aquila, e dal profeta Zaccaria con il proprio filattero. La presenza alternata di un dottore e di un padre della Chiesa che affiancano un Evangelista, ripetendosi in ciascuna delle quattro vele, si presta qui ad una lettura in chiave icono(teo)logica, scaturita proprio dal peculiare contesto musicale. L’autore del De musica, Agostino, considera l’arte dei suoni l’elemento ordinatore di tutto l’universo. Basata sul numero38, più che un’arte, la musica è una scientia bene modulandi39. Essa parla più alla ragione che ai sensi e, nonostante procuri piacere in chi ascolta, deve veicolare quell’edoné che porta all’intendimento mentale e non alla percezione uditiva, di per sé vana e transeunte. Tutta la scala dei sentimenti della nostra anima trova nella voce e nel canto il giusto temperamento e direi un’arcana, eccitante corrispondenza. Ma spesso il piacere dei sensi fisici, cui non bisogna permettere di sfibrare lo spirito, mi seduce: quando la sensazione, nell’accompagnare il pensiero, non si rassegna a rimanere seconda, ma, pur debitrice a quello di essere accolta, tenta addirittura di precederlo e guidarlo. Qui pecco senza avvedermene, e poi me ne avvedo40. Nel suo trattato, scritto in forma di dialogo tra maestro ed alunno, Agostino dichiara che suono e silenzio hanno entrambi a che vedere con il ritmo perché, anche se l’anima tace, produce comunque «qualcosa di ritmico». Il silenzio, ovvero l’astinenza dal suono, è praticabile come antidoto alla seduzione prodotta dalla musica. Contro questa tentazione, Agostino evoca il modo di pregare di Atanasio: «questi faceva recitare al lettore i Fig. 154 Antonio di Benedetto degli Aquili (noto come Antoniazzo Romano) e aiuti, Apparizione al monte Tumba, particolare con i due gruppi di frati basiliani e francescani, 1464-1468, Roma, Basilica dei SS. Apostoli, Cappella Bessarione. Patrimonio del Fondo Edifici di Culto, amministrato dalla Direzione Centrale per l’Amministrazione del Fondo Edifici di Culto del Ministero dell’Interno. salmi con una flessione della voce così lieve, da sembrare più vicina a una declamazione che a un canto41». Il salmo cantato si assottiglia talmente tanto, dunque, da divenire quasi parola, verbo declamato, pura preghiera. Tre, inoltre, sono per Agostino, i generi di ritmo: della memoria, della sensazione e del suono42. E come non vedere trasposta nella gerarchica disposizione degli angeli questa tripartizione? Non incarnano forse gli angeli musicanti e silenti del coro in basso e quelli adoranti del coro in alto questa triplice concezione di suono-silenzio-memoria? Il suono, nella tangibile concretezza degli strumenti musicali, rappresenta il livello infimo della scientia bene modulandi, mentre la pausa, ovvero il silenzio, costituisce una musica purificata, così come la memoria ne è la trasposizione mentale. La musica ha, inoltre, un ruolo preciso nella 257 Fig. 155 Antonio di Benedetto degli Aquili (noto come Antoniazzo Romano) e aiuti, Apparizione al monte Tumba, particolare dello spartito sorretto dai basiliani, 1464-1468, Roma, Basilica dei SS. Apostoli, Cappella Bessarione. Patrimonio del Fondo Edifici di Culto, amministrato dalla Direzione Centrale per l’Amministrazione del Fondo Edifici di Culto del Ministero dell’Interno. resurrezione della carne. Come ricorda Pizzani nella sua lectio augustiniana «l’umano spirito, giunto alla fase più alta della sua ascesa verso il vero, quella della visio et contemplatio veritatis, accetterà la pur controversa dottrina della resurrezione della carne, come più certa dello stesso quotidiano risorgere del sole43». Di qui il richiamo all’alba che si intravede nei pennacchi della volta che, come abbiamo detto, è cerniera tra cielo e terra44 (fig. 149). La questione della resurrezione della carne nel De musica è resa attraverso la tripartizione gerarchica che vede in cima la divinità, al centro l’anima umana e in basso il corpo. Lo stesso impianto è leggibile nella parete lorenziana, con la mandorla di luce in alto, al centro della quale Maria, ovvero l’umanità rigenerata, è trasportata, e gli apostoli in basso. Questa tensione tra i 258 due mondi, umano e divino, è spiegata dal vescovo di Ippona in altri luoghi della sua scrittura: «l’anima fa da tramite tra il creatore che la regge e il corpo che a sua volta la tiene. L’anima non può raggiungere la pienezza del suo essere priva del Signore, a cui sempre deve tendere, ma neanche si può privare del corpo, che funge da servo45». Ed è a questo punto che, citando proprio Giovanni l’evangelista, Agostino parla dell’ascesa dell’anima verso la contemplazione divina: L’anima giungerà al frutto del suo amore e dei suoi sforzi, compiuta la propria santificazione e compiuto anche il ritorno alla vita del suo corpo, ed eliminati dalla memoria i turbamenti dei fantasmi, inizierà a vivere presso Dio stesso per Dio solo, quando si sarà compiuto ciò che ci Fig. 156 Antonio di Benedetto degli Aquili (noto come Antoniazzo Romano) e aiuti, Apparizione al monte Tumba, particolare con il presunto autoritratto del pittore, 1464-1468, Roma, Basilica dei SS. Apostoli, Cappella Bessarione. Patrimonio del Fondo Edifici di Culto, amministrato dalla Direzione Centrale per l’Amministrazione del Fondo Edifici di Culto del Ministero dell’Interno. 259 Figg. 157 a-b a: Antonio di Benedetto degli Aquili (noto come Antoniazzo Romano) e aiuti, Apparizione sul monte Gargano, particolare con le frecce degli arcieri, 1464-1468, Roma, Basilica dei SS. Apostoli, Cappella Bessarione; b: Lorenzo da Viterbo, Sposalizio della Vergine, particolare con le verghe spezzate, Viterbo, Chiesa di Santa Maria della Verità, Cappella Mazzatosta, parete sinistra. Patrimonio del Fondo Edifici di Culto, amministrato dalla Direzione Centrale per l’Amministrazione del Fondo Edifici di Culto del Ministero dell’Interno. è promesso per volontà divina in questo modo: Carissimi, ora siamo figli di Dio e non si è ancora manifestato che cosa saremo. Ma sappiamo che quando si manifesterà, saremo simili a lui, perché lo vedremo come è [Gv 3,2]46. Non solo il legame tra musica e resurrezione della carne, per intermedio della Sacra Scrittura e di Giovanni, è fondamentale per questo dottore della Chiesa, ma anche il nesso tra la scienza dei suoni e la Vergine Maria è strettissimo. La virtù principale di Maria, quella che sostiene tutte le altre, è per Agostino quella dell’ascolto. Per questo il vescovo di Ippona commenta il brano di Luca summenzionato (Lc 11,2728): Maria, dunque, fu più beata nell’accogliere la fede in Cristo, che nel concepire il corpo di Cristo. A quel tale che le diceva: «Beato il ventre Che ti ha portato!» [Cristo] rispose: «Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la custodiscono»47. Precedenti diretti degli angeli musici lorenziani, connessi all’iconografia musicale ispirata a S. Agostino, sono i soggetti mariani affrescati da Lippo Vanni nell’eremo di San Leonardo al Lago (figg. 151 a-bc-d), presso Santa Colomba, nel comune di Monteriggioni, in provincia di Siena. Qui, nel 1360, il pittore senese decora con una 260 straordinaria varietà organologico-strumentale le pareti del piccolo eremo sperduto nelle suggestive colline dello scomparso lago del Verano. L’ipotesi di un legame di Lorenzo da Viterbo con Siena, delineata da De Simone48, si fa ancor più allettante per il dato iconografico-vestimentario rilevato da Elisabetta Gnignera49, concernente l’esempio di drapo o drapeselo delle orazioni in mano alla Vergine Maria. Questo esemplare raro trova il più antico dei suoi precedenti nella scena dipinta da Lippo Vanni, collegando così i due Sposalizi, senese e viterbese, realizzati a cento anni di distanza. Del resto, anche per via dell’identica selezione delle scene della Presentazione, Annunciazione, Sposalizio e Assunzione il ciclo mariano di Lorenzo ricalca quello di Lippo. Quasi certamente Lorenzo è stato a Siena e dall’ambiente intellettuale senese era riconosciuto, come anche attesterebbe la predilezione nei suoi confronti del Cardinal Piccolomini50, e da quell’ambiente avrebbe mutuato una concezione ancora scolastica della musica, basata sul numerus, sulla scia di quegli insegnamenti agostiniani che sono alla base degli affreschi vanniani51. La presenza della musica angelica nell’eremo agostiniano è stata messa in relazione con gli scritti del vescovo di Ippona che, soprattutto nelle Confessioni, come abbiamo visto, cita la teoria degli stati d’animo legati alla musica52. Figg. 158 a-b Il coro degli angeli senesi, trattato come soggetto indipendente e allo stesso tempo come motivo di supporto, occupando interamente la vòlta dell’Annunciazione, riproduce, secondo Ghisi53, l’opposizione monodia-polifonia, voci-strumenti, tipica dell’Ars Nova del Trecento54. La medesima contrapposizione potrebbe ravvedersi nella duplice schiera angelica della parete viterbese, in cui i celesti spiriti si alternano tra strumentisti e cantori (coro inferiore) e si intervallano tra musici e oranti (coro superiore vs coro inferiore). Tuttavia nell’affresco di Lorenzo gli strumenti sono ridotti nel numero e nella tipologia. Mentre Lippo Vanni descrive dettagliatamente piatti, tamburino cilindrico, flautino, tamburello a cornice con sonagli, tre coppie di timpani, due coppie di trombe dritte, due cennamelle, cennamella doppia, organo portativo, salterio, due liuti e una viella55, l’organico di Lorenzo si limita al salterio, arpa, tamburello, organo portativo, flauto doppio, triangolo, cimbali, viella, liuto (figg. 140-141). Derivata dal modello di Ambrogio Lorenzetti a Montesiepi, è la finestra che bipartisce la scena, a Siena come a Viterbo. La metafora della finestra, attraverso la quale la luce dei raggi solari penetra senza offendere il vetro, è emblema, da S. Bernardo in poi, della perenne verginità mariana56. Fin qui l’affinità tra gli scritti agostiniani e l’iconografia lorenziana. Ma anche la presenza di Beda il Venerabile (fig. 148), che occupa con Sant’Agostino la stessa porzione di cielo, apre analoghi scenari. Autore di diversi commenti alle pericopi mariane, Beda sottolinea, a proposito della Visitazione, lo stretto legame tra voce e spirito, tra ascolto e movimento interiore: a: Antonio di Benedetto degli Aquili (noto come Antoniazzo Romano) e aiuti, Apparizione al monte Tumba, particolare con le conchiglie, 1464-1468, Roma, Basilica dei SS. Apostoli, Cappella Bessarione; b: Lorenzo da Viterbo e aiuti, Adorazione del Bambino o Natività, particolare con le chiocciole, Viterbo, Chiesa di Santa Maria della Verità, Cappella Mazzatosta, parete destra. Patrimonio del Fondo Edifici di Culto, amministrato dalla Direzione Centrale per l’Amministrazione del Fondo Edifici di Culto del Ministero dell’Interno. «Ecco, non appena la voce del tuo saluto è giunta alle mie orecchie, il bambino ha esultato di gioia nel mio seno». Elisabetta, nel momento stesso in cui fu ricolma della rivelazione dello Spirito, comprese qual era il senso dell’esultanza del bambino, cioè che era giunta madre di colui del quale egli sarebbe stato precursore e testimone. Davvero meraviglioso, rapidissimo fu l’intervento dello Spirito santo! Là dove lo Spirito santo è il maestro, non si frappone alcun indugio nell’apprendere. La gioia del bambino nasce contemporaneamente alla voce di colei che saluta, perché mentre la voce giunge alle orecchie del corpo, la potenza dello Spirito entra nel cuore di colei che ascolta e infiamma d’amore per il Signore che viene non soltanto la madre, ma anche il figlio57. 261 Figg. 159 a-b-c a: Antonio di Benedetto degli Aquili (noto come Antoniazzo Romano) e aiuti, Apparizione al monte Tumba, particolare con il mammolo “luce del mondo”, 14641468, Roma, Basilica dei SS. Apostoli, Cappella Bessarione; b: Lorenzo da Viterbo e aiuti, Presentazione al Tempio di Maria bambina, particolare con il mammolo “gioia del mondo”, Viterbo, Chiesa di Santa Maria della Verità, Cappella Mazzatosta, parete sinistra; c: Lorenzo da Viterbo e aiuti, parasta destra della parete di fondo, particolare con mammolini che giocano al cavalluccio, Viterbo, Chiesa di Santa Maria della Verità, Cappella Mazzatosta. Patrimonio del Fondo Edifici di Culto, amministrato dalla Direzione Centrale per l’Amministrazione del Fondo Edifici di Culto del Ministero dell’Interno. 262 Ma la presenza di questo santo e dottore della Chiesa si presta ad ulteriori, sorprendenti riflessioni. Se, come dicono i mistici, tra Dio e gli uomini c’è la distanza della preghiera, questa distanza, scrive Beda, è colmata dalla misericordia dello Spirito Santo che si incarna in diverse forme. I multiformi modi di pregare assumono gesti e circostanze diverse e ogni buona azione fa ascendere la persona davanti a Dio come il buon odore dell’incenso in divino examine instar orationum ascendit58. Mentre l’Alleluia è la preghiera di adorazione più breve offerta a Dio, riservata alla sua croce o alla sua gloria, esistono preghiere di ringraziamento, fatte con umiltà e riconoscenza, il cui scopo è unirsi alla preghiera della Gerusalemme Celeste nell’Ultimo Giorno. Lì, inter choros beatorum, l’anima può scegliere se exorare, petere o suplicare, a seconda che voglia chiedere clemenza, assistenza spirituale, sollievo dai dolori fisici oppure dimostri contrizione. Consapevole dei peccati, faglie, omissioni, essa non deve disperare e scoraggiarsi, ma supplicare l’intercessione dei santi e degli angeli, ricordandosi che questi ultimi sono impotenti se non si passa per la Madonna o Cristo. A tal proposito Beda ricorda il Salmo 33: Esultate, giusti, nel Signore; ai retti si addice la lode. Lodate il Signore con la cetra, con l’arpa a dieci corde a lui cantate. Cantate al Signore un canto nuovo, suonate la cetra con arte e acclamate. Poiché retta è la parola del Signore e fedele ogni sua opera. Egli ama il diritto e la giustizia, della sua grazia è piena la terra. Dalla parola del Signore furono fatti i cieli, dal soffio della sua bocca ogni loro schiera. Come in un otre raccoglie le acque del mare, chiude in riserve gli abissi. (Sal 33,1-7) Che sia personale o comune, vocale o mentale, la preghiera è sempre di intercessione e deve sempre passare per Mariam. Dice S. Beda che l’orazione è comunemente parlata o cantata, perché i monaci la intonano, esprimendo vocalmente o oralmente l’eterno desiderio di vedere Dio nel loro cuore. Se uno è triste, colpevole o commette ingiuria, tutti insieme bisogna cantare per espia- Fig. 160 Antonio di Benedetto degli Aquili (noto come Antoniazzo Romano) e aiuti, particolare con angelo di profilo (Virtù), 1464-1468, Roma, Basilica dei SS. Apostoli, Cappella Bessarione. Patrimonio del Fondo Edifici di Culto, amministrato dalla Direzione Centrale per l’Amministrazione del Fondo Edifici di Culto del Ministero dell’Interno. re la colpa, chiedendo in ginocchio grazie e consolazione. Ammonisce così Beda: «lasciate che la tristezza del mondo che porta la morte non inghiotta voi stessi scacciando la malattia dannosa della tristezza dal tuo cuore con frequenti dolci salmi cantati59». La preghiera mentale è invece un dulce colloquium con il Signore, occasione per riflettere e meditare sulle Scritture, ripensando alla propria vita, facendo l’esame di coscienza. Qui il silenzio non solo rinforza questo stato meditativo, ma lo accresce e Beda raccomanda vari modi per non distrarsi. Quel che stupisce è l’enfasi posta dal monaco benedettino sulla preghiera di intercessione, da fare ginocchio. Tutto questo coincide straordinariamente con la figura del Santo, ritratto da Lorenzo inginocchia- to, con gli occhi socchiusi e il libro serrato a terra, come a suggerire uno stato di contemplazione interiore, al contrario di Agostino che dall’altra parte della nuvola è effigiato seduto e scrivente. «Le membra del nostro corpo sono a servizio di Dio, le nostre mani per le opere buone e i nostri piedi diretti sulla via della pace60». Così Beda si esprime riguardo al collegamento anima-corpo. Se in piedi si mostra il gioioso spirito che prega Dio, in ginocchio, invece, si sperimenta la contrizione. Nella Settimana Santa si sta in ginocchio, ma nella Domenica di Pasqua si canta in piedi l’Alleluia. In ginocchio si prega per supplica, penitenza o lutto, così come per la conversione dei nostri nemici o persecutori, come fanno i martiri e gli apostoli. Non a caso il Santo è l’unico tra quelli che abitano la vòlta ad essere ritratto in ginocchio, pro- 263 Fig. 161 Antonio di Benedetto degli Aquili (noto come Antoniazzo Romano) e aiuti, Apparizione sul monte Gargano, particolare con la città turrita (Siponto?), 1464-1468, Roma, Basilica dei SS. Apostoli, Cappella Bessarione. Patrimonio del Fondo Edifici di Culto, amministrato dalla Direzione Centrale per l’Amministrazione del Fondo Edifici di Culto del Ministero dell’Interno. prio perché parte di un contesto iconoteologico che, come vedremo, è molto più ampio di quello che appare a prima vista. L’importanza del corpo nell’orazione per Beda si estende anche alla posizione delle mani, che sono giunte e tese verso l’alto per indicare supplica o petizione, o vengono raccolte sul petto denotando ringraziamento. Di qui le diverse pose nell’iconografia degli angeli oranti appartenenti alla schiera superiore. Inoltre le lacrime accompagnano sovente i canti, afferma Beda. Gemere, sospirare, lacrimare serve ad esprimere il sentimento della comunione tra i credenti e a stimolare la pietà nei peccatori. Allo stesso tempo, attraverso le lacrime si fa memoria del peccato originale e del conseguente sentimento di contri- 264 zione, capace di suscitare la misericordia di Dio, allontanandone l’ira. Per Beda le lacrime rappresentano la perfezione della preghiera e indicano anche che questa è in atto. Tra le pieghe della più aggiornata critica, come addita nel suo saggio Simonetta Valtieri61, è emersa l’urgenza di un doveroso restauro degli affreschi viterbesi. Questo evidenzierà ancor più la presenza di due già percettibili lacrime che spuntano dalle palpebre socchiuse di Beda (fig. 152). Così, in ginocchio, le labbra semiaperte, Beda sussurra piangendo la sua orazione, silenziosamente e perfettamente. Il legame tra Beda e la musica, in parallelo con Agostino, è provato dai suoi scritti, in particolare Musica Theorica, in cui da una parte conferma la radice di quest’arte Fig. 162 Lorenzo da Viterbo e aiuti, Presentazione al Tempio di Maria bambina, particolare con torri moresche, Viterbo, Chiesa di Santa Maria della Verità, Cappella Mazzatosta, parete sinistra. Patrimonio del Fondo Edifici di Culto, amministrato dalla Direzione Centrale per l’Amministrazione del Fondo Edifici di Culto del Ministero dell’Interno. fondata sulla ratione e sul numerus62, dall’altra individua nella ragione la forza vitale dell’anima, che resta nascosta sotto il velo del silenzio e si palesa quando fuoriesce attraverso il suono: Haec vivacitas rationis est ipsa vis rationis animse, quae sub silentio in animo latet. Tunc autem miscetur corpori, quando mirabiliter per sonos foras egreditur63. Dunque non solo nel trattato di Beda è riconoscibile l’impronta agostiniana, ma è citata quell’alternanza tra suono e silenzio manifesta negli angeli oranti e musicanti della cappella Mazzatosta. Egli conferisce, inoltre, una posizione preminente al concetto greco di θεώρημα (theórema), ovvero alla contemplazione delle regole attraverso la mente, rispetto all’esecuzione materiale delle consonanze sonore64. Tutto questo si rispecchia nella parete lorenziana e, in particolare, nella superiorità gerarchica del coro di angeli contemplativi rispetto a quello degli strumentisti-cantori che, posti su due file, rispettivamente gli uni sopra gli altri, indicano una graduale e crescente prossimità alla visio Dei (figg. 140-141). Gli angeli theoretici, essendo silenziosi, sono più vicini a Dio - termine ultimo del viaggio sovrumano che sta compiendo la Vergine rispetto a quelli sonantes, legati ancora ad una condizione sensibile e materica della musica. In altri luoghi della sua scrittura, il monaco benedettino, fa da cronista alle storie di Sant’Agostino di Canterbury e dei suoi 265 duits en grec, sur les controverses théologiques agitées entre les deux Églises. Le caractère de ce recueil sera suffisamment indiqué si j’ajoute qu’on y rencontre tour à tour les nomes et les œuvres, entre autres, de Jean Vecchus (du Concile de Lyon de 1274) de Bessarion, du Cardinal Julien Cesarini (du Concile de Florence), associés aux dissertations concernant la procession du Saint-Esprit, et aux textes grecs et latins qui l’établissent66. Fig. 163 Antonio di Benedetto degli Aquili (noto come Antoniazzo Romano), Madonna in Gloria, seconda metà del XV secolo, Viterbo, Museo Civico (proveniente dalla Chiesa di Santa Maria al Prato a Campagnano Romano – Roma). compagni. In particolare narra il momento del loro ingresso nell’isola di Thanet: Fertur autem, quia adpropinquantes civitati, more suo cum cruce sancta et imagine magni regis Domini nostri Iesu Christi, hanc laetaniam consona voce modularentur: ‘Deprecamur te, Domine, in omni misericordia tua, ut auferatur furor tuus et ira tua a ciuitate ista, et de domo sancta tua, quoniam peccauimus. Alleluia’65. 266 Tra questi manoscritti il Te Deum in greco si trova sotto il titolo di Ουτος Άμβροσίους ovvero “quello di Ambrogio”, il che avvalora l’ipotesi dell’origine leggendaria di cui abbiamo parlato67. Questo dossier è presente non solo nella biblioteca di Vienna, come abbiamo scoperto, ma anche in quella Marciana, facendo parte del primo nucleo della stessa, dovuto alla donazione bessarionea. Il Cardinal Bessarione, del resto, è citato espressamente da Cagin come uno dei rari possessori di questo Te Deum in greco, insieme a Giovanni il Vecchio e a Giuliano Cesarini, facente parte di un dossier contenente fonti greche e latine sulla disputa del filioque68. Questo testo era riprodotto in una doppia redazione, in modo che il lettore potesse scegliere tra le diverse alternative (figg. 170 a-b). In particolare Cagin sottolinea l’attenzione al verso numerari: Dal punto di vista liturgico e musicale questa citazione documenta l’esistenza di un antifonario tradizionale al quale i monaci latini si riferiranno in futuro. A tal proposito Cagin cita un originale greco del Te Deum: Te ergo quaesumus, tuis famulis subveni, quos pretioso sanguine redemisti. Aeterna fac cum sanctis tuis in gloria numerari. Il existe dans le fonds grec de la Bibliothèque Impériale de Vienne, un manuscrit grec du XVIe siècle, contenant toute une collection de documents grecs, et de documents du manuscrit de Vienne latins tra- Da notare che numerari è tradotto con aritmestai, in linea con la stessa idea di numerologia sacra riservata dagli antichi, Platone e Pitagora in primis, e dai cristiani, Agostino e Boezio in secundis, alla musica69. Fig. 164 Francesco del Cossa (attr.), Pala dell’Osservanza, particolare con L’Annunciazione, 1470 ca., Dresda, Gemäldegalerie. 267 Fig. 165 Francesco del Cossa (attr.), Pala dell’Osservanza, dettaglio della lumaca dalla Annunciazione, 1470 ca., Dresda, Gemäldegalerie. Del resto, una curiosa triangolazione lega la presenza di Sant’Agostino nella vòlta e la regia bessarionea negli affreschi lorenziani con questo antico canto che trae la sua origine proprio dalla conversione e dal battesimo di Sant’Agostino ad opera di Sant’Ambrogio. Devo a Elisabetta Gnignera la segnalazione di un passo dei Commentarii di papa Piccolomini che narrano che l’11 aprile del 1462, al culmine della solenne cerimonia di restituzione, dopo essere stata riportata da Patras in Italia dal despota turco Tomaso Paleologo70, della reliquia del capo di Sant’Andrea alla Chiesa di Roma, alla presenza del Papa e di tre Cardinali, tra cui in posizione di spicco il Bessarione, si intonò proprio un Te Deum: «A questo punto fu intonato a gran voce il cantico che ha inizio con le parole Te Deum laudamus e che fu composto, a quanto si ritiene, dai celebri Padri della Chiesa Ambrogio e Agostino71». Risale ad una cronaca milanese dell’XI sec., falsamente attribuita al vescovo Dacio, la leggenda per cui il Te Deum sarebbe frutto del dialogo intonato da Sant’Agostino e Sant’Ambrogio nel giorno del battesimo del primo ad opera del secondo, avvenuto a Milano nel 386. Per questo venne chiamato anche “inno ambrosiano”72. Nonostante l’importanza della solenne cerimonia romana, tale da indurre Paolo Romano ad effigiare, nel bassorilievo del 268 sepolcro del Pontefice, lo stesso Bessarione in preghiera di fronte a Enea Silvio Piccolomini, ritratto nell’atto di deporre la sacra reliquia sull’altare di San Pietro, come ricorda Ronchey73 (fig. 171), il precedente diretto per l’iconografia musicale dell’affresco viterbese, ci sembra, l’altrettanto maestosa, ma al tempo stesso fresca e popolare processione del Corpus Domini del 1462, citata negli stessi Commentarii. Tra i diversi apparati effimeri costruiti per le vie di Viterbo ad opera dei cardinali, degni di nota sono quelli del Bessarione e del Forteguerri, rispettivamente cardinale di Nicea e di Teano: «[…] veniva un altare eretto dal cardinale di Nicea, il quale aveva riunito un gruppo di fanciulli che cantavano come angeli74». Niccolò cardinale di Teano, per far piacere al pontefice, che sapeva amante delle cose singolari, fece venire da Pistoia, sua città natale, un gruppo di attori e un coro di fanciulli. […] Diciotto erano i fanciulli che nel volto, nella voce e nell’atteggiamento sembravano angeli, e cantavano dolcemente a voci alterne un canto responsorio75. Entrambi i passi citano la prova vocale affidata a fanciulli abbigliati da angeli e, nel secondo caso, essi sono interpreti di un canto di forma responsoriale. Tale notazione tecnica potrebbe essere un rimando implicito Fig. 166 Anonimo scultore del Quattrocento (Isaia da Pisa?), Cimasa ora parte dell’Altare della Madonna delle Grazie nella Cappella Mazzatosta, Viterbo, Chiesa di Santa Maria della Verità. Patrimonio del Fondo Edifici di Culto, amministrato dalla Direzione Centrale per l’Amministrazione del Fondo Edifici di Culto del Ministero dell’Interno. al Te Deum, che va eseguito, appunto, a cori alterni. Non sorprende, del resto, che proprio questo canto di ringraziamento sia stato scelto per accompagnare la processione del Corpus Domini, nel solenne allestimento viterbese, nato per scongiurare la peste che imperversava in quegli anni76. Se tra gli inni eucaristici troviamo il Pange lingua, adatto alla processione, il Lauda Sion, tipico della Messa, e il Tantum ergo, caratteristico dell’adorazione, proprio il Te Deum, il canto di ringraziamento per eccellenza, poteva essere intonato, in forma responsoriale, dall’assemblea riunita in processione per le vie di una Viterbo trasformata in una grandiosa macchina teatrale. Dal confronto tra la fonte erudita dei Com- mentarii e quella più genuina del della Tuccia, risultano le stesse evidenze: Il tratto riservato al Bessarione era quello che andava dalla chiesa di S. Quirico a S. Angelo: Di lì sino presso la chiesa di S. Chirico77 la fece coprire l’arte de’ mercanti. Di lì, sino passata la detta chiesa, la fece ornare il cardinale Niceno Greco, simile con un magnifico altare78. Mentre la zona del Forteguerri andava da S. Angelo a piazza del Comune: […] e fece inanti a S. Angelo un ricco altare. Di lì sino a piè la piazza del Comune, la fe’ ornare il cardinale di Tiano con panni di raza di ogni lato, e archi in croce 269 Fig. 167 Lorenzo da Viterbo e aiuti, Presentazione al Tempio di Maria bambina, dettaglio della Madonna che sale i gradini, Viterbo, Chiesa di Santa Maria della Verità, Cappella Mazzatosta, parete sinistra. Patrimonio del Fondo Edifici di Culto, amministrato dalla Direzione Centrale per l’Amministrazione del Fondo Edifici di Culto del Ministero dell’Interno. 270 sopra la strada tutti coperti di verdura; e fu più bell’ornamento di nessun altro, sopra coperto di panni di lana, e in mezzo la piazza fe’ fare un bel tabernacolo di legname, ove era un monimento d’archi: in piedi detta piazza due fune grossa, che gioungevano sino al monimento ove stava un giovane ben ornato come un angelo79. A questo punto, il cronista viterbese aggiunge non solo l’identità di due dei cantori, probabilmente imparentati con quel notaio che redige il testamento del Cardinal Niceno, dato anche il quartiere «dei notari» in cui Forteguerri allestisce il suo altare, ma ci tramanda anche l’ammirazione del papa che assiste al concerto: Fig. 168 Lorenzo da Viterbo e aiuti, Natività o Adorazione del bambino, dettaglio del disegno della spiga ricamato sulla camorra (veste) di Maria, Viterbo, Chiesa di Santa Maria della Verità, Cappella Mazzatosta, parete destra. Patrimonio del Fondo Edifici di Culto, amministrato dalla Direzione Centrale per l’Amministrazione del Fondo Edifici di Culto del Ministero dell’Interno. […] e dui fanciulli di ser Rosato nostro cittadino, vestiti a modo d’angeli, ogn’un da per sé, cantava versi a commendazione del papa, e sopra quell’altare erano altri putti belli, vestiti come angeli, con ale d’oro. Il papa sì fermò ad udire detti canti80. Inoltre, a suo modo e secondo le sue conoscenze, con quell’«ogn’un da per sé» ci conferma la natura dialogante e alternata del canto responsoriale da identificare, definitivamente, quindi, nel Te Deum. Non a caso è la stessa figura del cardinal Niceno, che si cela dietro ad entrambi gli allestimenti, del Corpus Domini e della traslazione della reliquia S. Andrea, ad aver a mio avviso suggerito l’iconografia musicale a Lorenzo. Dalle due cerimonie religiose, sotto la sapiente regia del Bessarione, il pittore mutua il soggetto musicale della sua parete. A conferma di questo è l’allestimento del tratto finale della processione del Corpus Domini, quello davanti alla Cattedrale, 271 Fig. 169 Lorenzo da Viterbo e aiuti, Natività o Adorazione del bambino, particolare con Gesù Bambino raggiante, Viterbo, Chiesa di Santa Maria della Verità, Cappella Mazzatosta, parete destra. Patrimonio del Fondo Edifici di Culto, amministrato dalla Direzione Centrale per l’Amministrazione del Fondo Edifici di Culto del Ministero dell’Interno. dove si svolge, con una scenotecnica degna dei prototipi fiorentini e senesi, il grandioso apparato dell’Assunzione di Maria in cielo. Il cardinale dei Santi Quattro Coronati, innalzando alte travi collegate da funi, aveva ricoperto tutta la vasta piazza che si apre davanti alla cattedrale e l’aveva decorata con addobbi e oggetti mirabili, In un luogo conveniente innalzò un altare alla cui destra collocò il trono papale ei seggi per i cardinali, ed alla sinistra, in una disposizione simile a quella del Palazzo Apostolico, collocò le anche per i vescovi, i proto notari e gli abati. Su un lato della piazza, in un punto un poco elevato, fece erigere il sepolcro della gloriosa vergine Maria e più in alto, sopra i tetti delle case, il palazzo del Re del cielo con 272 Dio seduto in maestà e i cori degli angeli e dei santi e le stelle ardenti e le gioie della gloria paradisiaca raffigurate in modi meravigliosi. Il servizio divino venne celebrato tra la devozione grandissima del popolo. Il cardinale di San Marco celebrò la messa. Il papa benedisse la folla. Quindi un fanciullo in veste di angelo con un canto dolcissimo annunciò l’imminente ascensione della Vergine. S’aperse allora il sepolcro e ne uscì una fanciulla bellissima, che, sostenuta dalle mani degli angeli, venne portata per un poco nell’aria, quindi lasciò cadere la cintura nelle mani a lei tese di un apostolo. Poi, piena di gioia, cantando dolcemente, fu assunta in cielo, dove le venne incontro suo Figlio, che è anche suo Padre e Signore, il quale baciò sulla fronte la madre e la presentò Figg. 170 a-b Paul Cagin., L’Euchologie Latine étudiée dans la tradition de ses formules et de ses formulaires. I: Te Deum ou Illatio? Contribution à l’histoire de l’euchologie latine à propos des origines du Te Deum, Abbaye de Solesmes, 1906 (Scriptorium Solesmense, I,1): a: vista della pagina 140; b: vista della pagina 141. al Padre eterno, facendola sedere alla sua destra. Cominciarono allora a cantare e schiere degli spiriti celesti, e a suonare gli strumenti, e a mostrare la loro letizia, e a esprimere la loro gioia, e a far sentire in tutto il cielo il loro gaudio, E così ebbe termine la festa81. Impossibile non ravvisare in questo passo la fonte iconografica dello spettacolare evento in cui culmina tutto il ciclo mariano effigiato nella Cappella Mazzatosta. Come spesso avviene dal Medioevo in poi, per gli artisti gli spettacoli e le feste legati alla devozione popolare divengono lo spunto visivo dal quale mutuare la propria ispirazione. Come Firenze era stata trasformata dalle macchine teatrali del Brunelleschi, che nel 1439 aveva firmato un’Annunciazione descritta dal Vasari82, reiterando la propaganda unionista in occasione del Concilio83, così Viterbo doveva apparire agli occhi di Lorenzo e dei suoi concittadini con una scenotecnica meravigliosamente paradisiaca: tutti coloro che entrarono in Viterbo in quel giorno credettero di essere entrati nella dimora degli dei e non fra le abitazioni di esseri umani e raccontarono di aver visto la patria celeste, ancor vivi in carne e ossa84. Il particolare della cintola e delle mani tese dell’apostolo non lascia adito a dubbi: la parete lorenziana trae spunto dalla festa del Corpus Domini, il cui terminus ante quem è proprio quel giovedì 17 giugno del 1462 in cui ebbe luogo. Una eco in sermo humilis a questi aulici versi dei Commentarii è riscontrabile nelle Cronache del nostro della Tuccia: Gionto poi alla piazza di S. Lorenzo, fe’ cantare la messa solenne fuor di detta chiesa dal cardinale di S. Marco; e cantata la messa, fu fatta una rappresentazione di nostra Donna quando andò in cielo; e andò sopra un ingegno da basso in alto, che pareva come il paradiso con angeli, soni e canti: o dui angeli discesero in terra cantando; e la Vergine Maria entrò in mezzo di loro, e lassò la centura a S. Tomasso, e poi se n’andò in cielo. Fatte detto cose, il papa entrò nel palazzo del Vescovato, ‘e moltissima gente andò dietro, e dette la benedizione ni popolo, che si stimò fossero circa 150 migliara di persone: e pose indulgenza di colpa e pena in quella processione. Grandissimo trionfo e onore fece il cardinale de’ Santi Quattro al papa e a tutti i cardinali e anco a tutta la corte, chè li costò ducali circa 500, con tanta splendidezza, ch’io 273 il catalogo degli scritti del Perotti, l’Oratio de Assumptione Beate Virginis86 appare particolarmente pertinente a questo contesto, non solo perché collima con il soggetto iconografico interamente ospitato nella parete di fondo della Cappella, ma proprio perché cita a mio avviso, tra le pieghe di un latino ecclesiastico quattrocentesco estremamente raffinato, la ragione teologica delle cintole ritorte ed attorcigliate. Così la SS. Vergine parla in prima persona, dirigendosi al popolo cristiano: Fig. 171 Paolo Romano, Monumento funebre a papa Pio II, Enea Silvio Piccolomini, particolare con il ritratto del Cardinal Bessarione, 14651470, Roma, Basilica di Sant’Andrea della Valle. nol potrìa narrare. Dopo desinare, il papa tornò alla rôcca, e i cardinali ognuno a loro stanzie85. Di particolare rilievo, ai fini iconografici, oltre alla citazione musicale e all’elemento della cintola, è la discesa dei due angeli, in mezzo ai quali la Madonna appare, il cui duplicato marmoreo è riscontrabile nel timpano dell’edicola della Mazzatosta, nella quale la Vergine, al centro della mandorla, è sorretta proprio da due presenze celesti (fig. 166). Se questo attributo iconografico resta seminascosto agli occhi dei più, particolare enfasi acquistano, invece, le cintole degli angeli musici dipinti intorno al trono della Vergine. Mosse e agitate come da un vento invisibile, queste si contorcono inspiegabilmente se paragonate all’assetto fisso e ieratico di chi le indossa. Scorrendo 274 Ho messo radici ― disse ― nel popolo beato e nelle parti del mio Dio è la sua eredità del mio Dio e nella pienezza dei Santi è la mia dimora». «Radicavi», vale a dire ho messo radici nel popolo beato cioè nel coro dei Serafini. Parimenti è come se dicessi che dove ha fine la perfezione di grazia e gloria di tutte creature, qui inizia la mia lode. Infatti dopo essere stata innalzata sopra i Serafini metto radici in loro; infatti attraverso me mano a mano sono illuminate quelle creature che prima non avevano in alcun modo luce da Dio. Le cintole angeliche sarebbero, dunque, la trasposizione visiva di queste radici che la Madonna dice essere il fondamento del suo trono che è nei cieli, ma dal quale la luce si irradia sulla terra, per tutte le genti. Più avanti spiega che è proprio da queste radici che si origina il frutto, ovvero Gesù, presente in corpo, anima e divinità in tutti i tabernacoli del mondo. Et in partes Dei mei herditas illius»: Qual è questa eredità? Il frutto che proviene dalla radice; questo è meritatamente la ricompensa. E infatti come un Serafino non sono appagata di avere una sola parte del mio Dio, ma tutte le parti; infatti Figg. 172 a-b Maestro di Castiglione in Teverina (Domenico Velandi?), Madonna della Cintola, fine XV secolo, Castiglione in Teverina (Viterbo), Chiesa Collegiata dei Santi Filippo e Giacomo: a: riproduzione a colori; b: riproduzione in bianco e nero. Gesù Cristo mio dolcissimo figlio e mio Dio ha tre sostanze in una sola persona così come nella divinità tre persone sono in una sola sostanza. Dunque i Serafini hanno due parti di quella. Infatti godono della sua divinità come prima sostanza e della sua stessa anima come mezzo di tutte le grazie. Io invece possiedo tutte le sue parti poiché godo della sua divinità e sono illuminata dalla sua anima e abbraccio il suo corpo. La mia anima conserva due parti di Lui, il corpo ne conserva la terza come recitava Salomone « La sua mano sinistra sotto la mia testa e la sua mano destra mi abbraccerà». E «in plenitudine sanctorum» perché io sola esulto di ogni genere di gioia nell’anima e nel corpo per la divinità per l’umanità del Figlio e del mio Dio che solo è nella pienezza dei Santi, che solo può renderli beati nell’anima e nel corpo. Questa dunque è la mia vita, questa è la mia beatitudine che non mi può essere tolta. Io mi trovo sempre presso mio Figlio, godo di Lui, con Lui dimoro, Lo prego per voi e come Egli stesso continuamente per voi mostra al padre il costato e le ferite, così io mostro il seno e le mammelle. 275 Figg. 173 a-b Lorenzo da Viterbo e aiuti, Vòlta della Cappella Mazzatosta, vele corrispondenti alla parete sinistra, Viterbo, Chiesa di Santa Maria della Verità: a: S. Gregorio Magno; b: S. Pier Damiani. Patrimonio del Fondo Edifici di Culto, amministrato dalla Direzione Centrale per l’Amministrazione del Fondo Edifici di Culto del Ministero dell’Interno. La particolare relazione Madre-Figlio, sottolineata in tutte le storie mariane viterbesi, permette a lei di godere di tutte e tre le di lui sostanze in una sola, per via dell’Incarnazione. Le cintole si muovono a sottolineare la vitalità e fecondità di questo legame tra terra e cielo, di questi frutti che, a partire dall’Incarnazione, ovvero dall’evento-chiave per la storia della Salvezza, si perpetuano fino alla fine dei tempi. Inoltre, la Madonna intercede, dall’alto dei Cieli, per la beatitudine l’Umanità intera. E lo fa attraverso il canto. Questo elemento non è secondario nell’Oratio, nella quale l’arcivescovo di Siponto fa esprimere in prima persona la lode alla Madonna nel coro dei Serafini. È una lode intessuta dei versi del canto di Salomone che esprimono l’unione tra Maria e Gesù, tra la Chiesa e Cristo. È importante sottolineare che questa Oratio, composta 276 da Perotti dieci anni prima dell’esecuzione degli affreschi, costituisce il testo fondante per spiegare le non poche anomalie ed eccezioni iconografiche. Come ribadisce Gnignera87, la presenza di personaggi di spalle, corroborerebbe la tesi per cui sulla parete dello Sposalizio ci sarebbero figure di armeni, ebrei, alemanni, greco-bizantini che hanno disatteso la causa unionista portata avanti dal Bessarione proprio in quella dieta di Mantova del 1459 che vide il Perotti pronunciare l’Oratio di fronte al papa Pio II. Effigiati sulla parete sinistra della Cappella, tali figuri girerebbero le spalle a quella stessa Madre che, dipinta nella sua ascesa al cielo, sulla parete di fondo, li esortava a combattere per l’unità dei cristiani in chiave anti-turca. È impossibile non ravvisare dietro tutti questi rimandi musicali e teologici una complessa regia che a mio avviso è attri- Figg. 174 a-b Lorenzo da Viterbo e aiuti, Vòlta della Cappella Mazzatosta, vele corrispondenti all’arcone d’ingresso, Viterbo, Chiesa di Santa Maria della Verità: a: S. Ambrogio; b: S. Giovanni Crisostomo. Patrimonio del Fondo Edifici di Culto, amministrato dalla Direzione Centrale per l’Amministrazione del Fondo Edifici di Culto del Ministero dell’Interno. buibile non solo al Perotti, seppure illustre membro del raffinato milieu umanistico romano, nonché rettore di Viterbo dal 1464 al 1469, né tantomeno alla figura di Nardo Mazzatosta, pur sempre mero mercante della città e finanziatore dell’opera, ma è da ricercare nello stesso cardinal Bessarione, fautore del dialogo tra Occidente ed Oriente e promotore di quella tesi unionista che si coglie, quasi una eco post-conciliare, tra le righe dell’iconografia dell’intera cappella. Sorprende ma non stupisce, allora, la continua esortazione da parte della Madonna al popolo di Dio per la difensa dell’unità contro gli infedeli, in straordinaria assonanza con l’insolita scelta iconografica di porre, nello Sposalizio, personaggi raffigurati di spalle, come rilevato e sottolineato da Elisabetta Gnignera nel saggio pubblicato in questa sede88. Sorprende ma non stupisce, allora, il programma iconografico effigiato nella cappella Bessarione ai SS. Apostoli, che traduce in immagini il testo di Beda e per la cui descrizione dettagliata rimandiamo al testo di Tiberia89. Nella controfacciata della cappella romana, la scena dell’Apparizione al monte Tumba ritrae il momento in cui Aubert con i suoi compagni raggiungono con inni e lodi il luogo sacro. Mi permetto di divergere dall’ipotesi di Pina Belli d’Elia90, che vuole i due gruppi di frati entrambi francescani, osservanti e conventuali per via di presunte fattezze non orientali dei secondi. Si tratta invece rispettivamente di monaci francescani, in secondo piano, e monaci basiliani, in primo, come già intuito da Tiberia, per via degli abiti (fig. 154). Nel 1446, vent’anni prima della realizza- 277 Figg. 175 a-b Lorenzo da Viterbo e aiuti, Vòlta della Cappella Mazzatosta, vele corrispondenti alla parete destra, Viterbo, Chiesa di Santa Maria della Verità: a: S. Girolamo; b: S. Bernardo. Patrimonio del Fondo Edifici di Culto, amministrato dalla Direzione Centrale per l’Amministrazione del Fondo Edifici di Culto del Ministero dell’Interno. zione degli affreschi il cardinale Bessarione riunisce un Capitolo generale a Roma, proprio ai SS. Apostoli, rivolto ai monasteri e agli ordini dei monaci basiliani di rito greco nel Regno delle Due Sicilie, per discutere sull’opportunità di aprire il campo al rito misto, abbandonando quello greco-orientale. Tra i molti passi della riforma riguardanti anche l’eucarestia, si trova una riflessione sugli abiti. Al capitolo seguì la Bolla di Eugenio IV del 14 dicembre 1446 intitolata Monachi græci Ordini S. Basilii sub Græcorum ritu vivere consueti, per cui i monaci basiliani avrebbero dovuto adottare l’abito benedettino, mantenendo unicamente l’uso orientale della barba per distinguersi dai confratelli occidentali. La mancanza della barba nell’affresco romano si deve, invece, al tentativo di uniformare, a vent’anni dal Capitolo, detti monaci basiliani alla fazione 278 occidentale, nella cappella funebre di un cardinale da sempre circondato dal sospetto di essere filo-orientale proprio per il suo aspetto “barbazzuto” 91. Questi monaci greci che intonano un prototipo del Te Deum il cui spartito è vestigio, purtroppo, di una musica ficta (fig. 155), sono gemellati con gli angeli viterbesi che eseguono un Te Deum di fatto, ringraziando la Madonna per la peste scampata e il miracolo avvenuto. Tornando a Viterbo, in assonanza con Elisabetta Gnignera, credo che un doppio motivo colleghi gli affreschi lorenziani al tema dell’ex voto, se si pensa alla loro genesi e cronologia. Si tratta del miracolo del 1446 e di quello del 1467, non a caso entrambi narrati dallo stesso cronista, Niccola della Tuccia. Accanto a quello della Madonna della Verità, summenzionato, lo storico relata la liberazione dalla peste avvenuta grazie all’intervento della Madonna della Quercia: In quel tempo era in Viterbo la moria e tucti castelli e terre datorno schifavano nostre conservationi e nullo viterbese posseva entrare in dette terre, e, quando fo palesato detto miracolo, restrinse detta moria e non ci morìo più persona […]92. Di qui il Patto d’Amore tra la Madonna e la città, per cui i viterbesi ogni anno ancora oggi il 14 Settembre si recano a piedi al Santuario, in memoria dello scampato pericolo. Non stupirebbe se, inizialmente, in attesa di un programma definitivo dedicato al ciclo mariano, fosse stato proprio quest’ultimo soggetto, quello della Madonna della Quercia, ad essere effigiato al di sotto degli affreschi lorenziani, quale primo modello della cappella di Nardo, distante pochi mesi dal miracolo di Bagnaia. Tale riscontro sarebbe auspicabile attraverso opportuni esami ad opera di attrezzature non invasive. Tornando alle analogie tra la cappella Mazzatosta e quella del Bessarione, non stupisce che Antoniazzo Romano potesse aver preso Lorenzo da Viterbo in bottega, come testimonierebbe anche la posa con le mani intrecciate di quest’ultimo, autoritratto nello sposalizio in vestina verde sovrastata da un corto lucco giovanile93, sulla scia del maestro romano, il quale si distingue dal suo corteo per la posa frontale e a mani giunte94 (figg. 123, 156). E come non notare che le frecce dei giovani arcieri, le cui fattezze ricordano i giovani pretendenti di Maria nello Sposalizio viterbese, sono poste alla stregua delle verghe spezzate a terra, in prospettico assetto (figg. 157 a-b)? E come non comparare le chioccioline sorgenti e risorgenti nella scena della Natività lorenzia- na, disseminate alla stregua delle conchiglie della spiaggia di Thanet, nella cappella bessarionea, quale segno di generazione incorrotta o rigenerazione95, parallelamente alla concezione verginale del Verbo fatto carne (figg. 158 a-b)? E come non ravvisare la sorprendente analogia tra la presenza di “mammolini” (figg. 159 a-b) che in entrambe le cappelle significano rispettivamente la luce del mondo (ravvisabile nel bambino che porta la candela nella processione romana) e la gioia nel mondo (identificabile nel fanciullo di spalle che gioca al cavalluccio nella Presentazione viterbese)96? E che dire della sorprendente assonanza tra gli angeli di profilo che circondano Cristo nella vòlta bessarionea, appartenenti alla seconda schiera, il cosiddetto coro delle Virtù, della seconda gerarchia, ovvero la Media Coelestis Hierarchia97, con quelli che circondano la Vergine della Mazzatosta, tanto stilisticamente affini agli angeli lorenziani da far supporre un intervento del magister viterbese nella cappella romana (figg. 141, 160)? Non sorprenderà allora la citazione delle torri moresche poste a difesa della città fortificata, evocatrici dell’esotica Siponto della cappella romana, se confrontate con gli edifici orientali che spuntano tra le mura viterbesi, fiancheggiando il tempio rotondo sui gradini del quale corre Maria bambina (figg. 161-162, 167). Un’ulteriore conferma stilistica lega Antoniazzo romano a Lorenzo da Viterbo: è la presenza nell’adiacente Museo Civico della Madonna in Gloria (fig. 163), in cui la firma dell’autore della cappella bessarionea è ben visibile nell’«inarcato mignolo della Vergine»98. Quest’analogia, finora sfuggita alla critica, tra la tavola di Antoniazzo proveniente dalla Chiesa di Santa Maria a Campagnano Romano99 e l’affresco lorenziano, 279 fa del primo l’antecedente iconografico diretto del secondo, mentre gli apostoli in basso, certamente autografi, sono imputabili ad altre ascendenze realistiche, per la critica fluttuanti tra memorie squarcionesche e ipotesi mantegnesche100, con rimandi perfino alla tradizione toscana101. Concludendo, è mia forte convinzione che non solo nella più volte evocata e smentita presenza di Lorenzo nel cantiere di Antoniazzo si debba propendere per la prima ipotesi, ma anche che, accanto all’accertato nome dell’arcivescovo Perotti, come possibile autore del programma iconografico viterbese, dettato a Lorenzo e finanziato da Nardo Mazzatosta, stia il cardinal Bessarione. A tal proposito un documento riesumato da Grigioni confermerebbe Lorenzo abitante a Roma, nel rione Colonna, appellato magister già nel 1462: «[…] et magister Laurentium de Viterbio pictorem de Regione columnae102». Il rione è lo stesso della Cappella del Bessarione, situata ai SS. Apostoli di cui il Cardinale è ufficiale protettore dal 10 settembre del 1463, trasferendovi l’Ordine dei Frati Minori, ma che già dal 1446 presiedeva. Che Lorenzo fosse entrato nel milieu dell’accademia bessarionea è confermato direttamente da una lettera inviata dall’allora cardinale Jacopo Ammannati Piccolomini, nel 1473, a Lorenzo il Magnifico nella quale egli raccomandava «uno maestro Lorenzo da Viterbo»103 per la pittura di alcuni fregi. Tale documento non solo è importante come terminus post quem per circoscrivere la data di morte del pittore, (cfr. Ginevra Bentivoglio)104, ma è essenziale per la comprensione dei rapporti tra il circolo bessarioneo e quello umanistico viterbese, raccolto intorno al vescovo Niccolò Perotti, residente a Viterbo quale governatore del 280 Patrimonio di San Pietro nel quinquennio 1464-1469. Da parte sua, il cardinal Bessarione, al secolo Basilio di Trebisonda, era stato mandato ― come conferma nel suo saggio Concetta Bianca105 ― come legatus a latere per garantire alla Signoria l’aiuto finanziario del papa, a Venezia, sua città d’elezione, alla quale lascia la propria ricca collezione di codici antichi, nucleo della futura Biblioteca Marciana. L’atto notarile del lascito fu rogato proprio a Viterbo il 31 maggio del 1468 dai notai Rosato e Lelio da Viterbo, presente lo stesso Bessarione ex balneis Viterbiensibus di cui era assiduo frequentatore negli anni dell’esecuzione della Cappella Mazzatosta conclusa nell’aprile del 1469. Questo dato documentario fornisce conferme iconografiche essenziali nella lettura iconologica del programma degli affreschi della Cappella Mazzatosta, incentrati sul dialogo tra Oriente e Occidente. La tesi unionista, tanto cara al cardinal Bessarione, è leggibile, infatti, nell’intero ciclo di affreschi per via della presenza dei rappresentanti della Chiesa d’Oriente (San Beda, S. Giovanni Crisostomo, S. Girolamo, S. Pier Damiani) e della Chiesa d’Occidente (S. Bernardo, S. Agostino, S. Gregorio Magno, S. Ambrogio) (figg. 148, 173a-b,174a-b,175 a-b); per la sovrapposizione del tema dell’Assunzione (occidentale) con quello della Dormitio (orientale) (tav. X); per la diversa postura di angeli musicanti che pregano alla occidentale (mani giunte) e alla orientale (mani incrociate sul petto)106 (figg. 140141); per le fogge degli abiti dei personaggi dello Sposalizio, vestiti – come insegna Elisabetta Gnignera107 – secondo la moda orientale e occidentale, affollati intorno al sacerdote le cui fattezze sembrerebbero ricalcare quelle del Bessarione stesso, cardinale “greco, barbazuto” nelle descrizioni dei suoi contemporanei108(tav. II); per la presenza anomala, nella Presentazione, di un corteo di uomini in numero di sei, forse ad indicare i sessanta prodi che seguivano le vergini portatrici di fiaccole, secondo la visione di Salomone, riportata dalle omelie Giacomo di Sarug109, iconografia, questa, di attestata radice siriaco-bizantina (fig. 112). A chiosa del presepe viterbese, inoltre, in linea con la politica di riappacificazione e di unione tra le due Chiese, appare il bue appena inginocchiato (fig. 146), in modo analogo a quello di Pietro Miniato a S. Maria Novella, cui abbiamo sopra accennato, ma anche all’affresco della Natività di Tagliacozzo (fig. 308), recentemente attribuita a Lorenzo da De Simone110. Si deve proprio a Sant’Agostino la riflessione sul Cristo appena nato, come pietra angolare dei due popoli: Poiché è detto nella Scrittura: Ecco, io pongo in Sion una pietra angolare, scelta, preziosa; colui che crede in essa non rimarrà confuso. Coloro che hanno ascoltato e obbedito vennero da ambedue le parti, si riconciliarono, terminarono le inimicizie: le primizie di ambedue furono i pastori e i magi. In essi il bue cominciò a riconoscere il suo padrone e l’asino la greppia del suo Signore. Il bue, che ha le corna, è simbolo dei Giudei perché in mezzo ad essi a Cristo furono preparati i due vertici della croce. L’asino, animale tipico per le orecchie, è simbolo dei pagani; di essi era stato predetto: Un popolo a me sconosciuto mi servì, al primo udirmi con gli orecchi si sottomise a me. Colui che era insieme padrone del bue e signore dell’asino giaceva in una mangiatoia e ad ambedue dava un medesimo cibo111. Dunque è un’adorazione in fieri, quella dipinta a Viterbo, a cominciare dal bue che per primo si inginocchia, riconosce e adora il Signore, incamminandosi sulla quella via della pace tra Ebrei e Pagani, alias tra Oriente e Occidente, tanto auspicata dal Bessarione. Tornando al tema del puer ludens, nulla impedisce, che nell’insistita citazione del gioco infantile del cavalluccio reso da canne e bastoni (in franc. dada) nel monocromo della parasta destra dell’Assunzione, nel mammolo ritratto di spalle della Presentazione e nella formella del pavimento maiolicato (figg. 122, 159 b-c) echeggi un espediente goliardico dell’artista per rievocare, in maniera faceta, l’emblema del committente, derivato dal patronimico Mazzatosta. Di più. Questo elemento, unitamente alla postura adorante della Madre e del bue nella Natività viterbese, di inequivocabile derivazione dagli affreschi fiorentini di Pietro Miniato, è da riconnettersi, a mio avviso, alle Rivelazioni di Santa Brigida di Svezia, sicura fonte iconografica di questi ultimi. In particolare, dopo la descrizione del parto verginale della Madonna, descritta nella posta dell’orante, in ginocchio verso il sole, vi è il successivo passo della reciproca benedizione tra Madre e Figlio che parrebbe l’antecedente letterario della reiterata raffigurazione della verga nella Mazzatosta: La santa vergine diceva “Sii benedetto, Figlio mio, Figlio carissimo senza inizio e senza fine! In te sono la saggezza, la potenza e la virtù”[...]. E il Figlio rispose: “Sii benedetta, tu che sei vergine e madre allo stesso tempo” Tu sei l’arca che era secon- 281 do la legge e conteneva tre oggetti, ossia la verga, la manna, la tavola. Sono state fatte tre cose con la verga: è stata tramutata in un serpente senza veleno; ha diviso le acque e infine ha fatto sgorgare l’acqua dalla pietra. Ed io, che sono restato nel tuo ventre ed ho assunto l’umanità da te, sono la rappresentazione di quella verga112”. Le Rivelazioni spiegherebbero anche la presenza del mare nella Natività viterbese. La Madre loda, infatti, l’opera del Figlio che si dispiega in tutta la sua potenza, in cielo, terra, mare, ovvero i tre livelli cosmogonici: “Hai manifestato la tua saggezza in tutto quello che si trova in cielo, sulla terra e in mare la tua potenza nella creazione del mondo, creandolo dal nulla; la tua virtù quando sei stato mandato nelle mie viscere113”. Questa raffinatezza di rimandi misticoteologici si deve indubbiamente all’erudita direzione del Bessarione, così come l’allusione al dialogo tra Oriente e Occidente. Sappiamo, grazie a Petrocchi e al suo studio basato sulla fonte del Muntz114, che uno dei soggetti che decoravano le porte lignee di San Pietro narrava proprio gli eventi del 1439 e quella tesi unionista che, a distanza di 28 anni, sarebbe poi riaffiorata a Santa Maria della Verità, sulle pareti affrescate da Lorenzo e dalla sua bottega. Curioso è che l’autore fosse sempre un viterbese, Antonio da Viterbo, la cui firma ritorna anche per le opere oggi a San Michele Arcangelo a Capena, nel Cristo in trono tra SS. Pietro e Paolo e nel trittico dell’Annunciazione. Bessarione, dotto teologo e celebre umanista, oltre a possedere una biblioteca ricchissima con titoli eruditi sulla matematica, 282 ottica, geometria, filosofia, teologia, liturgia, era anche un profondo conoscitore di manoscritti e trattati musicali, redatti sia in lingua greca che latina, tra cui il celebre testo agostiniano in pergamena115, come si evince dal catalogo del lascito alla marciana, edito da Labowsky116. Non solo. Nella formazione della sua biblioteca si preoccupava di salvare la “voce” dell’antica Grecia, proponendosi come ultimo baluardo di una cultura che, con la caduta di Costantinopoli in mano ai Turchi, rischiava di scomparire. Da quel 29 maggio del 1453, Bessarione, con varie lettere all’amico Michele Apostolio, tentava di acquisire tutti i testi greci che si trovassero a Adrianopoli, Tessalonica, Aenos, Gallipoli, Atene117. Un dato, questo, che suffraga notevolmente una così ricca e articolata direzione del programma icono(teo)logico emerso dall’analisi della parete e della cappella lorenziana, tanto più che il celebre motto che contraddistingue il cardinal Niceno, inter graecorum latinissimus e inter latinorum graecissimus118, si rispecchia nella continua alternanza di temi, abiti, pose, scene e gesti ascrivibili ai due mondi. Orare, Adorare, Glorificare: se diverse sono le lodi e le pose, unico è il coro degli angeli-musici della Cappella Mazzatosta. In pieno rinascimento italiano, l’affresco viterbese, tra suoni e silenzi, ci guarda e ci riguarda con il suo eloquente, muto, armonioso concerto. In dialogo con le tesi di una Chiesa riformata e da riunificare, Lorenzo da Viterbo e i suoi aiuti realizzano, sotto la sapiente regia del cardinal Bessarione e la scaltra orchestrazione del vescovo Perotti, un compendio di teologia mistica in bilico tra il visivo e il sonoro. NOTE 1 A. ColivA, Lorenzo da Viterbo nella cappella Mazzatosta, in Studi in onore di Giulio Carlo Argan, S. MACChioni (ed.), Scandicci (Firenze), La Nuova Italia, 1994,111. 2 i. FAldi, L’affermazione della nuova visione rinascimentale: Lorenzo da Viterbo e il suo seguito locale, in id., Pittori viterbesi di cinque secoli, Roma, Ugo Bozzi Editore, 1970, 29. 3 S. PetroCChi, Da Lorenzo da Viterbo a Piermatteo d’Amelia: ipotesi intorno a Nicolaus Pictor alias il Maestro del trittico di Chia, in «Rivista dell’istituto Nazionale di Archeologia e Storia dell’Arte», ser. III/28 (60 [2005]), 175. 4 Ivi, 176. 5 G. de SiMone, Per Lorenzo da Viterbo, dal Palazzo Orsini di Tagliacozzo alla Cappella Mazzatosta, in «Predella» 4 (2011: numero monografico a stampa, G. de SiMone – F. MArCelli (ed.), Su Lorenzo da Viterbo e Piermatteo d’Amelia. Ricerche in Abruzzo, Lazio, Marche, Umbria), 45-46. 6 Per la cronologia degli affreschi, ipoteticamente realizzati tra il 1467 e il 1469, cfr. S. AnGeli, infra, 151 e segg. 7 L. réAu, Iconographie de l’Art Crétienne, I-VI, Paris, Presse Universitaire de France, 1956, vol. 2, 226227; 230-231. Cfr. B. Aniello, infra, 300-306. 8 Per quanto riguarda la lettura vestimentaria del motivo decorativo della spiga ricamata sulla camorra della Vergine, cfr. il contributo di E. GniGnerA, infra, 201. 9 Cfr. B. Aniello, infra, 361. 10 C. CArozzi, Dalla Gerusalemme celeste alla Chiesa: testo, immagini, simboli, in e. CAStelnuovo - G. SerGi (ed.), Del vedere: pubblici, forme e funzioni, Torino, Arti e Storia nel Medioevo, 2004, 145-166. 11 La definizione di icono(teo)logia, che estende a quattro le tre fasi del metodo panovskiano (lettura pre-iconografica, iconografica e iconologica), si deve a E. MArino, Estetica, ermeneutica, critica d’arte ed iconografia-iconoteologia. Discorso sul metodo, Pistoia, Provincia romana di S. Caterina da Siena, 2005. Per Marino l’iconoteologia rappresenta la strumentazione adeguata ad una indagine che supera la religiosità vaga, per entrare nel campo di una fede artisticamente espressa dalla parola e dall’immagine. L’iconoteologia si avvale dell’iconografia e iconologia tradizionali, superandone però l’approccio formale e contenutistico, per approdare alla critica storica, esegesi letteraria, sapientia saecularis, che sono alla base dell’arte cristiana, intesa come forma-mimesi-di-Fede. Ivi, 20. 12 N. DellA tuCCiA, Cronache di Viterbo e di altre città scritte da Niccola della Tuccia in I. CIAMPI (ed.), Cronache e statuti della città di Viterbo, Firenze, G. P. Viesseux 1872, (Documenti di Storia Italiana, 5), 56. 13 S. AnGeli, infra, 313 e segg. 14 Cfr. sull’argomento I. lArrAñAGA, Il Silenzio di Maria, Roma, San Paolo, 2015. 15 Papa Francesco parla della «cura del mistero», della «nube del mistero» che copre e custodisce le grandi cose fatte dall’Onnipotente. Il Papa commentando (Lc 1,26-38) cita l’ombra con la quale la potenza dell’Altissimo copre Maria, che è simile alla nube che aveva protetto gli ebrei nel deserto. Per noi quest’ombra si traduce nel «mistero del nostro rapporto col Signore» e nel «silenzio interiore con il quale lo custodiamo». Conclude il Papa che «l’icona perfetta di questo silenzio è Maria, che nel silenzio ha custodito il mistero del rapporto con suo Figlio, fino ai piedi della Croce». PAPA FrAnCeSCo, Omelia pronunciata il 17 dicembre 2013 presso Casa Santa Marta, disponibile in: https://www.youtube.com/watch?v=8CctFP_5knI (durata 7’18’’; data emissione: 20 dicembre 2013; data ultimo accesso: 20 maggio 2018). 16 A. vAlentini, Il Magnificat, Genere letterario, struttura, esegesi, Bologna, Edizioni Dehoniane, 1987, 127-138. 17 M. e. BeCk, Giotto’s Harmony: Music and Art in Padua at the Crossroads of the Renaissance, Florence, European Press Academic Publishing, 2005, 21-23. 18 Dopo la domanda di Maria «Come è possibile, non conosco uomo» (Lc 1,34) e la risposta dell’angelo «Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell’Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio. Vedi, anche Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia, ha concepito un figlio e questo è il sesto mese per lei, che tutti dicevano sterile: nulla è impossibile a Dio» (Lc 1,35) ci fu un silenzio che precedette l’istante dell’Incarnazione, che corrisponde al verso di Lc 1,38: «Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto». Analogo a questo è il tacet dell’Ultimo Giorno «Quando l’Agnello aprì il settimo sigillo, si fece silenzio nel cielo per circa mezz’ora» (Apoc 8,1). Dal silenzio di Maria scaturisce il suo Fiat. Dal silenzio di Dio, in attesa del Fiat di Maria, scaturisce il Verbo incarnato. «Mentre un profondo silenzio avvolgeva tutte le cose, e la notte giungeva a metà del suo corso, la Tua Parola onnipotente è scesa 283 dal Cielo dal Tuo trono regale» (Sap 18,14). Non a caso, riferito all’Ultimo Giorno, questo brano un tempo si leggeva a Natale, legando così in un unico nodo il mistero dell’Incarnazione a quello dell’Apocalisse. Per questo spesso gli angeli e i pastori che accompagnano in Gloria la Natività eseguono una musica interrupta, un canto silenzioso, alludendo a ciò che esplicitamente San Giovanni della Croce cita: «Il Padre pronunciò una Parola: Suo Figlio. Questa parla sempre in un eterno silenzio e nel silenzio deve essere ascoltata dall’anima», GiovAnni dellA CroCe, Scritti minori, II Spunti d’Amore, 99, in id., Opere Complete, Roma, San Paolo, 2001, 116. 19 I Serafini. Sono il primo Coro, il più vicino a Dio, ne circondano il trono e lo contemplano, lo glorificano. Il nome deriva dall’ebraico saraph, letteralmente “bruciare, ardere”. Il significato dunque è esattamente “coloro che ardono”, ma il verbo deve essere inteso in senso transitivo e intransitivo, perché questi esseri, infiammati, a loro volta infiammano gli uomini dell’amore di Dio. La descrizione è data dal Profeta Isaia: «Sopra di lui stavano dei serafini, ognun de’ quali aveva sei ali: con due si copriva la faccia, con due si copriva i piedi, e con due volava.» Is 6,2. Dalla descrizione ricaviamo indirettamente l’indizio della somiglianza umana, per via dei dettagli anatomici. Grazie al loro grande Amore per Dio, i Serafini sono tenuti vicini al suo Trono, ma per rispetto non lo guardano e per modestia si coprono i piedi. Le ali si interpongono tra Creature e Creatore. Hanno il compito di cantare incessantemente la perfezione di Dio, il loro canto è così forte che Isaia lo assimila al grido che scuote le porte, facendole vibrare, mentre il tempio – nella sua visione – si riempie di fumo, forse per via del fuoco di “coloro che ardono”. «Vibravano gli stipiti delle porte alla voce di colui che gridava, mentre il tempio si riempiva di fumo» (Is 6,4). Hanno inoltre il compito della purificazione per mezzo del fuoco, come si può dedurre dalla descrizione della visione di Isaia (Is 6,6-7): «Allora uno dei serafini volò verso di me; teneva in mano un carbone ardente che aveva preso con le molle dall’altare. Egli mi toccò la bocca e mi disse: “Ecco, questo ha toccato le tue labbra, perciò è scomparsa la tua iniquità e il tuo peccato è espiato”». Nella Visione di Isaia, miniatura dalle Omelie di Giacomo Kokkinobaphos, XII sec. tra la sontuosa schiera di angeli, scorgiamo un serafino che tocca le labbra di Isaia col carbone ardente per purificarle, in basso, dopo di che Isaia si volge verso la sua visione. Dalla nozione di ardore, i Serafini derivano la loro caratteristica di esseri caldi. Spirito serafico è uno spirito comple- 284 tamente assorbito nell’amore di Dio. Serafico è S. Francesco, ferito da un Serafino che gli procura le stimmate. Lo Pseudo-Dionigi parla di loro come immagine del fuoco di amore. «Il nome Serafini indica chiaramente la loro incessante ed eterna rivoluzione attorno ai Principii Divini, il loro calore e ardore, l’esuberanza della loro intensa, continua, instancabile attività, e la loro tendenza ad assimilare ed elevare al proprio livello di energia tutti coloro che sono più in basso, infiammandoli e bruciandoli con il proprio calore, e purificandoli interamente con una fiamma ardente e divorante; e con una lampante, inestinguibile, inalterabile, raggiante e illuminante energia in grado di disperdere e distruggere le ombre delle tenebre.» dioniGi l’AeroPAGitA, De coelestis Hierarchia, III, 1, G. Burrini (ed.), Teramo, Trilopa, 1981. Per questo gli artisti li raffigurano di colore rosso, con uno, due o tre paia di ali infuocate. L’iconografia della fiamma deriva anche da S. Tommaso d’Aquino che nella Summa Theologiae scrive che i Serafini sono l’immagine della Carità, in quanto fiamme che tendono verso l’alto, illuminano e riscaldano. L’essere in contatto con Dio determina fervore e questo contagia anche le altre schiere, in senso discendente. Non solo il numero di ali, dunque, ma anche il colore determina la distinzione tra un serafino e un cherubino, o tra un serafino e un altro angelo. Un esempio di questo è Pietro Cavallini, che disegna intorno al trono divino la schiera dei Cherubini connotandola di rosso. Cfr. i. SPAdACini – M. StAnzione, Gli angeli e l’arte, Todi, Tau, 2010; A. Geretti – S. CAStri, Angeli: volti dell’Invisibile, Torino, Allemandi, 2010. Quelli viterbesi sono rossi, hanno 4 ali, la testa aureolata e circondano la mandorla luminosissima della Madonna che ascende al cielo, come da loro trasportata. Del resto, il tema dell’Assunzione si contrappone a quello dell’Ascensione come il passivo all’attivo: mentre Cristo sale in cielo con mezzi propri, la Vergine viene trasportata in Paradiso dalle ali degli angeli. l. réAu, Iconographie de l’Art Crétienne, vol. 2, 616. 20 Il cosiddetto Maestro di Castiglione in Teverina, sulla cui identificazione con Domenico Velandi, appartenente alla scuola di Lorenzo da Viterbo, la critica non è concorde, elabora una sintesi dello schema della Cappella Mazzatosta nella tavola della Madonna della Cintola, ubicata nella collegiata dei Santi Filippo e Giacomo di Castiglione in Teverina. Si tratta di un connubio tra il modello dell’Assunta, contornata da una mandorla abitata da angeli musici e oranti e sorretta da cherubini, e l’aggiunta di un imberbe San Tommaso inginocchiato davanti al sarcofago vuoto, con le mani alzate nell’atto di ricevere la sacra cintola. Cf. I. FAldi, Pittori Viterbesi di cinque secoli, 34 (figg. 172 a-b). 21 Pio Xii, Bolla di indizione della glorificazione di Maria con l’assunzione al cielo in anima e corpo: Munificentissimus Deus (1° Novembre 1950). 22 Sono una ventina i testi che appartengono alla famiglia del Transitus Mariae, ma nessuno di loro è un prototipo, trattandosi spesso di varianti di tipi assai più antichi. l. MorAldi (ed.), Apocrifi del Nuovo Testamento, I- III, Torino, Utet, 1994, vol. 3, 164, 226 e sgg. 23 Ivi, 231. 24 Ivi, 232. 25 Ivi, 234. 26 Ivi, 193. 27 Ivi, 216. 28 Ivi, 206. 29 Ivi, 196. 30 G. Gentilini GiAnCArlo – l. PrinCiPi, infra, 351. 31 l. MorAldi (ed.), Apocrifi del Nuovo Testamento, 226 e sgg. 32 In uno scambio avuto con Enzo Bentivoglio, nel gennaio del 2018, lo studioso ipotizzava un sarcofago al di sotto dell’Assunta, in analogia con la matrice servita della cappella. In un’altra conversazione nel febbraio del 2018 Francesco Buranelli intravedeva nell’edicola la tipologia dell’altare-sarcofago, la cui funzione, alla luce del dato iconografico della cintola emerso, sarebbe stata “assorbita” dall’affresco successivamente coperto dall’altare. 33 Ivi, 208. 34 C. Gnoni MAvArelli, L’assunta e la Cintola: exempla di una iconografia in Toscana, dal XIII al XVI secolo, in A. de MArChi – C. Gnoni MAvArelli, (ed.), Legati da una cintola. L’Assunta di Bernardo Daddi e l’identità di una città, catalogo di mostra, Prato, Museo di Palazzo Pretorio, 7 settembre 2017-14 gennaio 2018, Firenze, Mandragora, 2017, 72 e sgg. 35 L. réAu, Iconographie de l’Art Crétienne, vol. II, 616. 36 Ivi, 617-618. 37 Gli attributi vescovili, rappresentati dalla mitra e dal mantello, accomunano sia Agostino che Ambrogio, presente nella vela opposta, ma quello dal manto più ricco è da identificare con il vescovo di Ippona, mentre Ambrogio, predicatore della povertà, sarebbe ritratto in abiti più umili. S. vAltieri – e. BentivoGlio, Le pitture di Lorenzo da Viterbo nella Cappella Mazzatosta, in «Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz», XVII/1 (1973), 90. Riguardo invece al tipo di mitra indossata da S. Agostino, cito la comunicazione scritta ricevuta da Elisabetta Gnignera in data 1 Marzo 2018, che estende le sue annotazioni anche alla mitra indossata dal vescovo effigiato sulla parete bessarionea: «Con riferimento alle mitre indossate rispettivamente dal Vescovo raffigurato nella cappella bessarionea e da Sant’Agostino nella Cappella Mazzatosta, possiamo riferirle alla tipologia della mitra con scudi (punte) centrali (frontale e posteriore) che inizia a comparire in Occidente dalla metà del XII secolo. In conseguenza alla posizione frontale e posteriore degli scudi, la decorazione sarà stabilmente caratterizzata da una fascia circolare intorno alla testa (circulus), la cui decorazione sarà detta «in circulo» e da una banda verticale centrale dalla punta alla base (decorazione in titulo). Si consideri che la mitra occidentale può dividersi nelle seguenti tre tipologie: MITRA SYMPLEX: in lino o seta bianca senza decorazioni con frange bianche o rosse, usata nelle benedizioni, negli uffizi funebri nei giorni di penitenza quali il Venerdì Santo e la Candelora, nei Concili generali e anche nelle funzioni papali; MITRA AURIFREGIATA di tela d’oro e con ricami d’oro senza altro ornamento: usata per l’amministrazione dei sacramenti, per la prima parte della messa e dei vespri pontificali, durante le processioni solenni, in Avvento e Quaresima; MITRA PRETIOSA: in seta bianca con ricami dorati e pietre preziose, usata per le funzioni solenni, per la seconda parte dei Vespri, e, come la aurofregiata, durante le processioni solenni, in Avvento e Quaresima. In entrambi i casi, dunque, si può parlare con certezza di Mitre pretiose perché costellate da due decorazioni, preziose appunto, ai lati della decorazione verticale ‘in tutulo’: nel caso della Cappella Bessarionea le placche sono ovali, presupponendo una valenza ‘orientale’ della Mitra mentre nel caso di Sant’Agostino la incastonatura romboidale della gemma non può che non ricondurci agli studi di Andrzej Pikulski che alla Mitra occidentale ha dedicato una trattazione specifica, dove, in sintesi, dimostra che la mitra occidentale risente, verso la metà del XII secolo, di un modello geometrico ‘ad quadratum’ desunto dal platonismo veicolato negli ambiente di Chartres quando «in accordo con il già esistente riconoscimento della mitra come simbolo della divinità di Cristo, in cui il numero quattro svolgeva ruolo dominante, è stata creata una forma nuova della mitra stessa, servendosi della figura del quadrato, cioè dell’ espressione geometrica del numero quattro». Sulla base di ciò, e considerando il castone quadrangolare della mitra di S. Agostino ― ma l’indizio è troppo labile per essere assertivo ― le due mitre deterrebbero rispettivamente una valenza orientale per quanto riguarda la Cappella Bessarionea ed occidentale 285 per quanto riguarda la Mazzatosta. Cfr. A. PikulSki, La mitra, studio storico artistico, Firenze, Edifir, 20052, (Arte orafa arte tessile. Monografie I), 77.» 38 L’impianto medievistico edificato da Boezio nel suo De institutione musicae non implica una derivazione da Agostino, indimostrata e indimostrabile, come invece vorrebbe Corbin. AuGuStinuS, “De musica” di Agostino d’Ippona, u. PizzAni – G. MilAneSe (ed.), Palermo, Edizioni “Augustinus”, 1990, 22, 60. 39 S. Aurelii AuGuStini, De musica, Opera Omnia, PL 32, 1,2,2. La definizione non è originale di Agostino, ma è mutuata da lui per tutto il Medioevo. Forse deriva da Aristosseno o Quintiliano, anche se alcuni critici la fanno risalire a Varrone. Cfr. Aurelio AGoStino, Ordine, Musica, Bellezza, M. Betterini (ed.), Milano, Rusconi, 1992, 90, n. 11. 40 Aurelio AGoStino, Confessioni, X, 33-49, C. CArenA (trad.), Torino, Einaudi, 2000. 41 Ivi, X, 50. 42 S. Aurelii AuGuStini, De musica, VI, 6. 43 AuGuStinuS, “De musica” di Agostino d’Ippona, 77. 44 Cfr. B. Aniello, infra, 251. 45 S. Aurelii AuGuStini, De musica, VI, 5, 13. 46 S. Aurelii AuGuStini, De musica, VI, 6. 47 AGoStino, Sulla verginità, 2, 2-3, 3, in Maria. Testi teologici e spirituali dal I al XX secolo, e. BiAnChi CoMunità di BoSe (ed.), Milano, Mondadori, 2014, 193. 48 G. de SiMone, The use of Trecento sources in Antoniazzo Romano and Lorenzo da Viterbo, in «Predella» (edizione digitale), 35 (2014), 104. 49 e. GniGnerA, infra, 223. 50 Iacopo Ammannati Piccolomini raccomanda a Lorenzo il Magnifico il magister viterbese Lorenzo. Cfr. B. Aniello, infra, n. 103. 51 L’analisi delle fonti agostiniane è stata condotta da e. BorSook, The frescoes at San Leonardo al Lago, in «The Burlington magazine», 98 (1956), 351-358. Cfr. anche e. CArli, Lippo Vanni a San Leonardo al Lago, Firenze, Edam,1969 (Quaderni d’arte, 3) e A. CorniCe, Gli affreschi di Lippo Vanni: San Leonardo al lago, in C. AleSSi (ed.), Lecceto e gli eremi agostiniani in terra di Siena, Siena, Monte dei Paschi, 1990, 287-308. 52 Cfr. B. Aniello, infra, n. 38, 42. 53 F. GhiSi, Danza e strumenti musicali nella pittura senese del Trecento, in L’Ars Nova italiana del Trecento, A. GAllo (ed.), Bologna, Il Saggiatore Musicale, 1970, (Storia della Musica, II) 83-104. 54 h. MAyer Brown, Catalogus: A Corpus of Trecento Pictures with Musical Subject Matter, Part I, Instalment 3, «in Imago musicae», III (1986), 103 e sgg. 55 F. GhiSi, Danza e strumenti musicali nella pittura senese del Trecento, 83-104; l. SerrAvAlle, Angelicus 286 Concentus: gli strumenti musicali nei dipinti di area senese e grossetana dei secoli XIII – XVII, Grosseto, Biblioteca Chelliana, 2006, 34 e sgg. 56 d. ArASSe, L’annunciazione italiana. Una storia della prospettiva, Firenze, Usher Arte, 2009, 92 e cfr. B. Aniello, infra, 299. 57 BedA il venerABile, Omelia per la festa della Visitazione della beata Maria, 2, in Maria. Testi teologici e spirituali dal I al XX secolo, 560. 58 BedA venerABiliS, Cantica Canticorum, IV. 59 Ibidem. 60 BedA venerABiliS, Omelia 1,6. 61 Cfr. S. vAltieri, infra, 437. 62 «Notandum est quod omnis ars in ratione continetur. Musica quoque in ratione numerorurn consistit atque versatur.», BedA venerABiliS, Musica Theorica, P. l., oPP. Pars I., Segt. II., Dubia et Spuria, 909. 63 Ibid. 64 «Contemplatio regularum ex mente, quae Graece θεώρημα dicitur», Ivi, 911. 65 BedA venerABiliS, Hist. Ecc., lib. I, c. XXV, Migne, Pat. Lat., t. XCV, 56. 66 P. CAGin, L’Euchologie Latine étudiée dans la tradition de ses formules et de ses formulaires. I : Te Deum ou Illatio? Contribution à l’histoire de l’euchologie latine à propos des origines du Te Deum, Abbaye de Solesmes, 1906 (Scriptorium Solesmense, I,1), 140141. 67 Ivi, 140. 68 Il Te Deum, talvolta indicato come Himnus ambrosianus o come Hymnus in honorem sanctae trinitatis, o ancora come Hymnus in die dominica, è tradizionalmente attribuito al dialogo tra Ambrogio ed Agostino al momento del battesimo di quest’ultimo. Tale leggenda risale all’859 quando l’arcivescovo di Reims, Hincmar (806-882) pubblicò questo testo: «A maioribus nostris audivimus tempore baptismatis sancti Augustini hunc hymnum beatus Ambrosius fecit et idem Augustinus cum eo confecit.» A conferma della tradizione nella Historia Mediolanensis di Landolfo Senior del secolo XI troviamo: «in quibus fontibus prout Spiritus sanctus dabat eloqui eis Te Deum Laudamus decantantes, cunctis qui aderant audientibus et videntibus simulque mirantibus, in posteris ediderunt quod ab universa ecclesia Catholica usque ad hodie tenetur et religiose decantatur.». La datazione della sua composizione risalirebbe al 400-450. Il giorno di Pasqua, Agostino ricevette il battesimo insieme all’amico Alipio, convertito dalle prediche di S. Ambrogio, e a Adeodato, figlio dello stesso Agostino. Allora S. Ambrogio, secondo quello che lui stesso dice, gridò: Te Deum laudamus e S. Agostino rispose: Te Dominum con- fitemur. E in tal modo, rispondendosi, composero quest’inno, come riporta Onorio in Lo specchio della Chiesa. In realtà l’origine è incerta. Certamente anteriore al V secolo, fu forse composto da S. Nicetas (340-414), vescovo di Remesiana, alla fine del IV. DEUMM (Dizionario Enciclopedico Universale della Musica e dei Musicisti), Lessico, I- IV, Torino, Utet, 1983-1984, 508. 69 Indubbiamente il principio che la musica sia legata agli affetti e che influisca sull’animo deriva da Boezio, il quale a sua volta lo mutua da Pitagora, che parla del principio di creazione e di de-creazione nella natura, paragonabili alla musica e al silenzio che insieme si fondono. 70 Alla cerimonia Bessarione non solo prende parte, ma occupa una posizione di spicco, consegnando lui stesso al papa lo scrigno con il sacro cranio e pronunciando, il giorno seguente, il sermone in S. Pietro, per invocare la protezione degli apostoli Pietro e Andrea contro i Turchi. 71 eneA Silvio PiCColoMini. PAPA Pio ii, I Commentarii, I-II, l. totAro (ed.), Milano, Adelphi 2008vol. 2, 1517, 1601-1609. 72 Cfr. B. Aniello, infra, n. 45. 73 S. ronChey, Volti di Bessarione, in A. riGo – A. BABuin – M. trizio (ed.), Vie per Bisanzio, Atti del VII Congresso Nazionale dell’Associazione Italiana di Studi Bizantini, Venezia, 25-28 novembre 2009, Bari, Edizioni di Pagina, 2013, 537, n. 3. 74 eneA Silvio PiCColoMini, PAPA Pio Xii, I Commentarii, vol. 2, 1601. 75 IvI, 1603-1605. 76 Mentre la peste imperversava a Roma, Papa Piccolomini venne a visitare Viterbo, ospite a San Francesco alla Rocca e, secondo le Cronache del della Tuccia, si faceva portare «a sollazzo» per la città, «per provare le acque del bullicame in Faule». Trovatosi lì con 17 cardinali, ordinò di fare una solenne processione del Corpus Domini a Viterbo che della Tuccia colloca nel 1462 e Iuzzo nel 1463. n. dellA tuCCiA, Cronache di Viterbo e di altre città, 87, n. 1. 77 S. Quirico corrisponde all’attuale Chiesa del Suffragio, come conferma S. Valtieri che ringrazio per la segnalazione. 78 n. dellA tuCCiA, Cronache di Viterbo e di altre città, 85. 79 Ivi, 85-86. 80 Ivi, 86. 81 eneA Silvio PiCColoMini, PAPA Pio Xii, I Commentarii, vol. 2, 1609. 82 G. vASAri, Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori ed architettori. Con nuove annotazioni e commenti, I-IX, G. MilAneSi (ed.), Firenze, Sansoni, 1906, vol. 2, 327-394. 83 P. ventrone, La propaganda unionista negli spettacoli fiorentini per il Concilio del 1439, in La stella e la Porpora. Il coreto di Benozzo e l’enigma del Virgilio Riccardiano, G. Lazzi e G. Wolf (ed.), Firenze, Polistampa, 2009, 23-48. 84 eneA Silvio PiCColoMini, PAPA Pio Xii, I Commentarii, vol. 2, 1613. 85 n. dellA tuCCiA, Cronache di Viterbo e di altre città, 87. 86 La Oratio de assumptione Beatae Virginis, pronunciata dal Perotti a Mantova il 15 agosto del 1459, è contenuta nel seguente testo dove però si riporta erroneamente la data del 15 agosto 1458: J.Hankis, Humanism and Platonism in the Italian Renaissance, I-II, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2003, vol. 1 (Raccolta di Studi e Testi, 235), 411415. Riportiamo interamente in appendice la traduzione italiana con testo latino a fronte, a cura di Claudia Falcioni, dalla quale sono tratti i due brani citati a seguire nel testo. . 87 Cfr. e. GniGnerA, infra, 212. 88 Ibid. 89 v. tiBeriA, Antoniazzo Romano per il Cardinale Bessarione a Roma, Todi, Ediart, 1992, 29 e sgg. 90 P. Belli d’eliA, Il toro, la montagna, il vescovo: considerazioni su un tema iconografico, in C. CArletti – G. otrAnto (ed.), Culto e insediamenti micaelici nell’Italia meridionale fra tarda antichità e medioevo, Atti del Convegno Internazionale, Monte Sant’Angelo 18-21 novembre 1992, Bari, Edipuglia, 1994, 575602. 91 Ringrazio Elisabetta Gnignera per avermi fornito la seguente indicazione bibliografica riguardante questo indizio vestimentario che si è rivelata cruciale per l’identificazione dei monaci basiliani: Pietro PoMPilio rodotà, Dell’origine, progresso e stato presente del rito greco in Italia osservato dai greci, monaci basiliani, e albanesi, II, 1760, Roma, Giovanni Generoso Salomoni, 230-233. Ripropongo inoltre la annotazione di Elisabetta Gnignera inviata alla sottoscrìtta con comunicazione scritta del 27 febbraio 2018: «I monaci basiliani adottarono l’abito dei benedettini, ma serbando alcuni inizialmente la folta barba alla orientale quale memento e signo della loro origine e a differenza degli ordini occidentali privi di barba e con tonsura del capo, come si osserva negli affreschi della cappella bessarionea (1464-1468) dove sono evidentemente raffigurati monaci basiliani ormai perfettamente ‘allineati’ alle comunità monastiche occidentali in quanto a vesti e acconciature. Il Cardinale Niceno rimase fedele alla sua cultura, serbando la folta barba per tutta la vita». 92 n. dellA tuCCiA, Cronache di Viterbo e di altre città, 87. 287 93 Cfr. e. GniGnerA, infra, 211. Ibid. 95 Risale all’antichità la credenza che le lumache nascessero per generazione spontanea dalla rugiada e questo le rende uno degli emblemi della maternità verginale di Maria. Cfr. h. ettlinGer, The Virgin Snail, in «Journal of the Warburg and Courtland Institutes», XLI (1978), 316. Una chiocciolina attraversa la soglia tra l’osservatore e la scena dell’Annunciazione nella Pala dell’Osservanza di Francesco del Cossa, datata 1470 e conservata alla nella Gemäldegalerie a Dresda. Nella predella dell’angelica confabulazione contempliamo una Natività che appartiene alla tipologia dell’Adorazione del bambino da parte della Vergine. La curiosa assonanza tra il bambino supino e benedicente alla latina, la Vergine adorante e la citazione della lumaca come emblema della generazione verginale, apre futuri campi di indagine sui rapporti intercorsi tra Francesco del Cossa e Lorenzo da Viterbo. Per il ribaltamento paradossalmente prospettico dell’estrema visibilità del piccolo animale ritratto in primo piano e della quasi invisibilità di Dio Padre tra le nuvole lontane, proprio come a Viterbo (figg.164-166). Cfr. d. ArASSe, L’annunciazione italiana. Una storia della prospettiva, 212-214, 363. Per il dibattito critico sul misterioso apprendistato di Lorenzo da Viterbo e per l’accenno a Francesco del Cossa cfr. S. PetroCChi, Artisti Viterbesi del Quattrocento a Roma: da Antonio a Lorenzo da Viterbo, in «Studi Romani», LV/3-4 (2007[2009]), 372-373. 96 Quest’intuizione nasce da uno scambio tra dati iconografici e ludico-vestimentari con Elisabetta Gnignera, come da nostra conversazione il 13 febbraio 2018, cfr. e. GniGnerA, infra, 207. Per l’iconografia del gioco cfr. P. BirAl, Puer ludens: giochi infantili nell’iconografia dal XIV al XVI secolo, Venezia, Editoria Universitaria, 2005, 43-44. 97 Secondo lo Pseudo-Dionigi l’Aeropagita tre sono le gerarchie degli spiriti celesti: Suprema Coelestis Hierarchia, Media Coelestis Hierarchia, Infima Coelestis Hierarchia. Ciascuna di esse è a sua volta divisa in tre cori. Partendo dall’alto troviamo: Serafini, Cherubini, Troni (Suprema); Dominazioni, Virtù, Potestà (Media); Principati, Arcangeli, Angeli (Infima). S. Pietro e S. Paolo nominano questo coro celeste delle Virtù. Dionigi dice che «indicano un certo potente e forte coraggio che scaturisce da tutte le loro energie simili a Dio». Hanno la funzione di precedere gli uomini, ricoprendoli di virtù. Aiutano gli eroi a compiere la lotta per il Bene, danno il dono dei miracoli. Sarebbero “angeli zodiacali” nel senso che presiedono al movimento dei corpi celesti. Presiedono alle qualità del Creato 94 288 stabilendo le caratteristiche di forma, profumo, colore, dimensione, temperatura. L’Iconografia è incerta: raffigurato con gigli o rose, questo coro spesso è ritratto nell’atto di aiutare le anime. Nel caso specifico, ipotizziamo, per analogie stilistiche con la Mazzatosta, Lorenzo da Viterbo autore, nel cantiere di Antoniazzo, di questi angeli cantori dalle labbra aperte, vestiti di una tunica di colore bruno, dipinti di profilo, con le braccia incrociate sul petto. Cfr. dioniGi l’AeroPAGitA, De coelestis Hierarchia, III, 1. 98 r. BuSCAroli, Melozzo e il Melozzismo, Bologna, Athena, 1955, 146. 99 S. rinAldi, I dipinti del Museo Civico di Viterbo. Censimento conservativo in omaggio a Michele Cordaro, Todi, Ediart 2004, 91. 100 C. StrinAti, Lorenzo da Viterbo, in R. CAnnAtà-C. StrinAti (ed.), Il Quattrocento a Viterbo, catalogo di mostra, Viterbo, Museo Civico 11 giugno – 10 settembre 1983, Roma, De Luca Editore, 1983, (Il Quattrocento a Roma e nel Lazio, 6), 188. 101 S. vAltieri – e. BentivoGlio, Le pitture di Lorenzo da Viterbo nella Cappella Mazzatosta, 99. 102 C. GriGioni, Un documento romano sul pittore Lorenzo da Viterbo, in «l’Arte», XXXI (1928), 115. Anche in S. vAltieri – e. BentivoGlio, Le pitture di Lorenzo da Viterbo nella Cappella Mazzatosta, 89 e S. PetroCChi, Artisti viterbesi del Quattrocento, 368. 103 iACoPo AMMAnnAti PiCColoMini, Lettere (14441479), I-III, P. CheruBini (ed.), Ministero per i beni culturali e ambientali, Ufficio centrale per i beni archivistici, Roma, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, 1997, (Fonti XXV), vol. 3, 1742-1743; 1782. 104 Cfr. G. BentivoGlio, infra, 92, n. 5. 105 Cfr. C. BiAnCA, infra, 151. 106 Questa doppia gestualità nel pregare, la presenza del Redentore e il forte scorcio dal basso, adottati da Antoniazzo Romano, hanno influenzato Melozzo da Forlì nella decorazione dell’abside dei SS. Apostoli. Quest’ultimo, insieme a Lorenzo da Viterbo, avrebbe partecipato al cantiere della cappella bessarionea, creando poi, nel 1472, i celebri angeli musicanti, i cui lacerti sono oggi presenti ai Musei Vaticani. Cfr. e. Sidoni, L’Ascensione di Cristo e gli Angeli Musicanti di Melozzo da Forlì: una rilettura alla lucedell’iconografia musicale, in B. Aniello (ed.), L’arte dei suoni dipinti. Il concerto angelico e la sua iconografia tra il XV e il XVII secolo, Napoli, Il Pozzo di Giacobbe, 2018, 48-49. 107 Cfr. e. GniGnerA, infra, 212 e segg. 108 Ivi, 216. 109 Per l’inusuale iconografia ci appoggiamo a quanto riferito da L. réAu, Iconographie de l’Art Crétienne, vol. 2, 165. Per l’analisi abbigliamentaria a suffragio della tesi cfr. e. GniGnerA, infra, 229. Si tratta della terza omelia di Giacomo di Sarug, dedicata alla Presentazione al tempio: «La Vergine, seguita dai sessanta forti (angeli) della Cantica armati di lance e scudi, sui quali è dipinta una croce; da coro di donzelle con le fiaccole; e i genitori della Vergine, seguiti da molti altri.» GiACoMo di SAruG, Omelia sulla Natività di Nostro Signore, in C. vonA, Omelie Mariologiche di S. Giacomo di Sarug: introduzione, traduzione dal siriaco e commento, Roma, Fac. Theol. Pont. Athenaei Lateranensis, 1953, 255. 110 Per una completa trattazione della recente attribuzione e analisi degli affreschi di palazzo Orsini a Tagliacozzo si rimanda a: G. de SiMone, Per Lorenzo da Viterbo, 29-79. 111 S. AGoStino, Epifania del Signore, 204, 3 in id., Discorsi, IV/1, Sui tempi liturgici, P. Bellini– F. CruCiAni– v. tArulli (trad.), Roma, Città Nuova, 1984, 133. Ringrazio Suor Maria Teresa Fraternità della SS. Vergine Maria, per avermi messo sulle tracce di Sant’Agostino. 112 SAntA BriGidA, Liber coelestium revelationum dominae Birgittae de Svetia VII,21; IV,88 e VI,1 e 58, in www.chiesa-cattolica.net consultato in data 23 giugno 2018. 113 Ibidem. S. PetroCChi, Artisti viterbesi del Quattrocento a Rom, 355, n. 2. 115 Item musica sancti Augustini, in pergameno B 353 è la dicitura con la quale viene indicata l’opera musicale agostiniana. l. lABowSky, Bessarion’s library and the Biblioteca Marciana, six early inventories, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1979 (Sussidi Eruditi, 31). 116 Negli inventari redatti da Labowsky numerosi sono i titoli riguardanti la musica, dai trattati teorici ai manoscritti. Ivi, 52, 67, 166-167, 185, 187, 197, 201, 218, 222, 245-246, 291-292, 303, 330, 333, 337, 345, 362-363, 375-377, 379, 386, 388, 406, 413, 418, 421. 117 e. Mioni, La formazione della biblioteca greca di Bessarione, in G. FiACCAdori (ed.), Bessarione e l’Umanesimo, catalogo di Mostra (Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana, 27 aprile -31 maggio 1994), Napoli, Vivarium, 1994, (Istituto italiano per gli studi filosofici. Saggi e ricerche 1), 236-238. 118 C. Märtl-C. kAiSer-t. riCklin (ed.), “Inter graecos latinissimus, inter latinos graecissimus”: Bessarion zwischen den Kulturen, Berlin, De Gruyter, 2013. 114 289 290