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MUTO Alessandro Roccati Université de Turin My lips parted like a dumb man’s … but they made no sound (Fitzgerald, The great Gatsby, end chap. VI) Nella civiltà egizia, solitamente così loquace, tanto che consente anche ai morti di parlare e di ascoltare, si dà molta importanza al silenzio, e la qualità del silenzioso è una delle virtù. Ma a colui che è silenzioso per natura, che è muto o sordomuto, si è prestata scarsa attenzione, tanto che un lemma relativo («stumm») manca nel Lexicon der Ägyptologie.1 E tuttavia non vorrei parere poco virtuoso alla cara amica e collega che qui si festeggia se per una volta facessi parlare i muti: ỉw.f sbȝ.f ỉbb r mdt, swbȝ.f ʿnḫwy ỉd “(il faraone) insegna ai muti a parlare, apre le orecchie del sordo”. (Insegnamento di un uomo a suo iglio, § 4, 9-10)2. Muto è dunque una situazione negativa rispetto a quella di “parlante”, ed essa è facilmente correlata alla sordità, cf. il prologo dell’ Insegnamento di Ptahhotep (pPrisse 4, 4): ỉrty nḏsw, ʿnḫwy ỉmrw …r gr, n mdw.n.f “la vista è debole, l’udito sordo … la bocca tace e non riesce a parlare”. Le facoltà dei sensi sono ben note in dai tempi più antichi (tatto, vista, udito, gusto, olfatto), apparentemente considerando la vista a parte: 1. Complementare è la voce “Reden und Schweigen” di Assmann, LdÄ V, 1984, col. 195-201. 2. Fischer-Elfert 1999. Si noti l’allitterazione tra sbȝ e swbȝ. - Pyr. 788 c: PMN ỉʿy rmnwy.k, wbȝ msḏrwy.k “sono lavate le tue braccia, aperte le tue orecchie”, - Pyr. 712 a wp.n T r.f, wbȝ.n T šrt.f “Teti apre la sua bocca, apre il suo naso, - Pyr. 712 b zȝš.n T msḏrwy.f apre le sue orecchie”. - Pyr. 1673 b: M wp.ṯn n MN r.f, sšn.ṯn msḏrwy.f “aprite al faraone la sua bocca, spalancate le sue orecchie”. usando ogni volta verbi appropriati per “aprire”. Le stesse facoltà sono più tardi ancora negate ai demoni, secondo il Libro di Apopi, che risale almeno al Nuovo Regno: - pBremner-Rhind 27, 11 ỉw ḫtm.n.ỉ r.f spty.f, ỉw ḫbȝ.n.ỉ ỉbḥw.f, ỉw ḥsb.n.ỉ ns.f r ḥngg.f, ỉw ỉṯ.n.ỉ mdw.f, ỉw šp.n.ỉ ỉrty.f, ỉw nḥm.n.ỉ sḏm ỉr.f … ỉr.ỉ sw m tm wn “ho chiuso la sua bocca e le sue labbra, ho strappato i suoi denti, ho tagliato la sua lingua dalla sua gola, ho portato via la sua parola, ho accecato i suoi occhi, ho sottratto il suo udito … rendendolo inesistente”. Du Sinaï au Soudan : itinéraires d’une égyptologue Mélanges oferts au Professeur Dominique Valbelle – p. 219-223 220 • ALESSANDRO ROCCATI Nel Papiro del Processo di Torino ai rei sono amputati nasi e orecchie (fnḏw msḏrw)3 per lo stesso scopo. Vista e udito sono ancora considerati insieme: - Coin T. V 223 g (B 1 C, B 1 L) n šp.ỉ, n ỉd.ỉ “non sono cieco, non sono sordo”. è detto dal defunto, che rivendica in tal modo la sua vitalità. La vista e l’udito sono in particolare funzioni essenziali del linguaggio, la cui nomenclatura si applica ad oggetti visibili, dando ad essi un nome mediante dei suoni, che sono a loro volta ripresi dai gerogliici, una « rafigurazione parlante » del discorso. Tuttavia, benché la “bocca” esplichi diverse funzioni, per la parola occorre la lingua, un organo che non tutti gli esseri possiedono;4 difatti per gli egizi la facoltà di parola era inerente all’organo isico della lingua.5 Il fatto di non udire (il silenzio) non signiica però automaticamente sordità: - Pyr. 499 b-c n šp W d.k sw m kkw n ỉd.f tm.f sḏm ḫrw.k “Unis non è cieco, anche se lo poni nelle tenebre, e non è sordo anche se non ode la tua voce”. in contrappunto con Pyr. 259 a-b W pỉ, W mȝ, W pỉ, W ptr W pỉ sḏm, W pỉ, W wn ỉm “Unis vede, osserva, sente, esiste”. che originariamente la lettura di un documento scritto in ieratico fosse silenziosa.7 La sordità è certo una caratteristica negativa: sḫ ḥr “esser sordo di volto” (JEA 39 (1952), p. 53n) è antonimo di nfr ḥr (ZÄS 53 (1917) p. 115 nfr ḥr sinonimo di ḥtp “esser propizio: esaudire”). Il silenzio, come assenza di parola, o di risposta, può esser inteso in modo simile al nostro “fare il sordo”: - Pay. B1 211 sḏmw, n ȝ sḏm.n.k, tm.k tr sḏm ḥr m “(Tu) che devi ascoltare, ma non ascolti, perché dunque non ascolti?”. Le truppe di Ramesse II nella Battaglia di Qadesh sono sorde al suo appello (§§ 115-116): - KRI II 41 wnn.ỉ ḥr sgb n.sn, bw sḏm.n n.ỉ wʿ ỉm.sn, ỉw.ỉ ḥr ʿš (n.sn) “gridavo a loro, (ma) non mi ascoltava/udiva (ness)uno di loro, mentre chiamavo”. Per converso, il non saper parlare genera la condizione di “muto”. I demoni sono muti perché non sanno parlare: - pBremner-Rhind 28, 7 nn wn … ȝḫw.sn tp-r.sn mdw.sn ỉm “non hanno formule magiche, asserzioni orali, parole”. Infatti ad essi è negata addirittura la bocca: La spiegazione di questo passo, e della sua ambiguità circa le facoltà di vista e udito, è stata data da Oleg Berlev con pertinenti osservazioni circa i testi collocati in luoghi inaccessibili dei sepolcri: “Two conclusions are inevitable. First, that the kings in their pyramids and the Blessed in their tombs read (or were supposed to) read the texts written for them …, being eternal readers for whom reading has become a form – or rather the form, the only one – of existence. And second, their reading power is not based on sight. Then it must be hearing. They should therefore have a perfect ear to hear the hieroglyphs speak.”6 La scrittura ieratica, che con il secondo millennio a.C. diviene la scrittura libraria, è invece muta rispetto ai gerogliici, che sono una “scrittura parlante”, e Thot la “fa parlare” (rdỉ mdw drf), insegnando il procedimento di lettura. Può essere 3. 4. 5. 6. Erman 1879, p. 79. Posener 1968, pp. 106-111. Sauneron 1960, pp. 31-41; cf. Roccati 2007, p. 329. Berlev 1998, p. 774-775. Cf. Roccati 1997-2000 et 2016. - pBremner-Rhind 31,5 nn ḫpr.k nn ḫpr r.k “non esisterai e non esisterà la tua bocca”. Analoga può esser la condizione del coccodrillo, considerato privo di lingua,8 il quale pertanto è collocato tra gli esseri maleici che il dio Horo calpesta nelle stele magiche. Altrimenti la bocca è chiusa, bloccata o sigillata: - M.u.K. p. 51 mỉ šrỉ.tw r, mỉ ḫtm.tw r n pȝ ʿȝ 77 wnnyw m ỉw-nsrsr “come è bloccata la bocca, come è chiusa (sigillata) la bocca dei settantasette asini che abitano nell’Isola della iamma”9. L’impossibilità di emettere suoni si traduce parimenti nell’incapacità di ascolto. Il Naufrago del celebre racconto però “non sente” perché “non 7. Contardi 2010, p. 266-267. 8. Cf. nota 4 supra. 9. Erman 1901; Yamazaki 2003. MUTO • 221 comprende” la voce del serpente. Come un sordomuto, che non comprende, perché non sente: - Nauf. 73-76 ỉw<.k> mdw.k n.ỉ, nn wỉ ḥr sḏm st “tu mi parli, (ma) io non sento/capisco”. Infatti il verbo “udire” (sḏm) è polisemico in egiziano, signiicando anche “obbedire”, e soprattutto “capire, comprendere”. Ad esempio i demoni capiscono solo il dialetto.10 Gli animali invece parlano linguaggi comprensibili, in quanto possiedono la lingua, quindi non sono muti. Il dio Aten per contro nella sua efigie solare non parla, ma si esprime con i raggi a guisa di mani. Qual è la differenza tra “muto” e “silenzioso”? Se una qualità dei dignitari è quella di fare sfoggio di eloquenza,11 c’è pure chi vanta il suo silenzio, o il suo riserbo, con un atteggiamento statico che si oppone a quello dinamico dell’oratore facondo, simile all’opposizione sopra menzionata tra il magistrato e l’oasita:12 - Leiden V.4, 9 ỉnk grw mm srw “io fui uno silenzioso (muto) tra i magistrati” (regno di Sesostri I o Amenemhat II). Nello stesso periodo il faraone lodava un suo dignitario “perché taceva”, e lo amava “perché tratteneva il calore” (del discorso, noi diremmo “tratteneva la lingua”): - Brit. Mus. 828, 11 ḥz.n w(ỉ) ḥm.f n gr, mr.n.f w(ỉ) n dȝr(.ỉ) srf Ciò si conforma a quanto raccomandato nell’antichissimo e sempre osservato Insegnamento di Ptahhotep (pPrisse 16, 4-16, 13), dove un lungo passo elogia la qualità del tacere e del sapere ascoltare, in un mondo in cui le parole erano considerate alla stregua di proiettili: nfr sḏm nfr mdt sḏmw nb ȝḫt ȝḫ sḏm n sḏmw nfr sḏm r ntt nbt ḫpr mrwt nfrt nfr-wy šzp zȝ ḏd ỉt.f ḫpr n.f ỉȝwt ẖr.s mrrw nṯr pw sḏm 10. Roccati 2011, p. 94. 11. Idem 2000. 12. Pay. B1 211, e cf. nota 16. n sḏm.n msddw nṯr ỉn ỉb sḫpr nb.f m sḏm m tm sḏm ʿnḫ wḏȝ snb n z ỉb.f ỉn sḏmw sḏm ḏd mrr sḏm pw ỉr ḏdt nfr-wy sḏm zȝ n ỉt.f rš-wy ḏddy n.f nn zȝ ʿn.f m nb sḏm sḏmw ḏdw n.f st mnḫ.f m ẖt ỉmȝḫy ḫr ỉt.f ỉw sḫȝ.f m r n ʿnḫw ntw tp tȝ wnnt.sn “Chi è eficace ad ascoltare è eficace a parlare, chi è ascoltato è in vantaggio, (ma) utile è ascoltare (anche) per chi è ascoltato,13 (perché) l’ascolto è più eficace di tutto, (e) si produce l’amore effettivo; quanto è buono che un iglio riceva il dire di suo padre, per cui gli è avvenuto di invecchiare. Chi ascolta è uno amato dal dio, chi il dio detesta è incapace di ascoltare. Il cuore (la mente) plasma il suo possessore come uno che ascolta o uno che non ascolta: vita, prosperità, salute è il cuore di un uomo. Chi è ascoltato è uno che ascolta e parla, è amato chi ascolta e pratica ciò che è detto. È eficace che un iglio ascolti (obbedisca a) suo padre, è felice colui cui si dice ciò, un figlio si illustra come possessore di ascolto (intelligenza). È uno che è ascoltato cui si dice ciò: egli è eficace nel pensiero (ventre), un onorato presso suo padre. Il suo ricordo è nella bocca dei vivi: quelli che sono sulla terra e futuri”. Questo passo fu certamente chiosato e ampliato più tardi, ma in esso ricorron tutte le espressioni che riappaiono nelle iscrizioni autobiograiche private già dalla XI dinastia, ciò che fornisce un terminus ante per l’esistenza dei precetti. Siccome i manoscritti che lo riportano risalgono probabilmente ad un archetipo che fu redatto al principio della XII dinastia, ciò signiica che in quel contesto culturale si veriicarono per la prima volta le premesse per una “codiicazione” scritta di un’opera, analogamente a quante altre composizioni possiamo 13. Cf. Urk. VII 32, 13 sḏmw n.f sḏmw “(uno) che ascoltano quelli che ascoltano (i giudici).” 222 • ALESSANDRO ROCCATI attribuire alla stessa iniziativa redazionale. Per di più nel passo citato non si fa menzione di scrittura: esso è tutto teso alla promozione dell’ascolto attivo come premessa dell’apprendimento di una parola eficace. La parola deve essere usata con circospezione, allora sarà energica quanto un’azione.14 Con pari prudenza si sarà dovuto, a quel tempo, fare uso della scrittura. Joris Borghouts nota come la caratterizzazione del “silenzioso” non sia talmente concepita in termini etici quanto rispetto a norme di comportamento sociale nella vita quotidiana, in una comunità dove una certa eguaglianza tra gli appar- tenenti ad un certo livello abbia richiesto una simile distinzione.15 Certamente un cambiamento si operò nel passaggio dal periodo in cui la scrittura non era ancora divenuta di dominio generale,16 a quello in cui la facoltà di “uditore” si trasformò in quella di “lettore”, e il “silenzioso” acquisì connotazioni legate non solo all’atteggiamento, ma altresì al comportamento.17 In realtà la “loquacità” della civiltà egizia fu l’esito di un lungo processo, e non certo, per lo meno a livello documentario, un fatto iniziale.18 Per dirla con Dante (Paradiso IX 4) “Taci, e lascia volger gli anni.” BiBliographie Assmann (J.) 1984 “Reden und Schweigen” (LÄ, V), Wiesbaden, col. 195-201. 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