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San Bonaventura e il LIGNUM VITAE di Pacino da Buonaguida.pdf

SAN BONAVENTURA E LA CONCEZIONE DELL’ARTE MEDIEVALE. NOTE SUL LIGNUM VITAE DI PACINO DA BUONAGUIDA di ALESSANDRO GIOVANARDI Istituto Superiore di Scienze Religiose “Marvelli”, Rimini «Imaginatio iuvat intelligentiam» Lign. vitae, n. 1 1. «Arbor» e «Crux». Realizzato a tempera e oro su tavola, secondo le tecniche dell’antica pittura sacra cristiana, la tavola con l’Albero della Vita, opera vasta e dettagliatissima attribuita al pittore toscano Pacino da Buonaguida (fig. 1), fu commissionata agli inizi del XIV secolo dalle Clarisse del monastero di Santa Maria in Monticelli a Firenze, per essere trasportata in via de’ Malcontenti in occasione del loro trasferimento nel 1531. Intorno al 1808, in seguito alle soppressioni napoleoniche, la pala finì nel patrimonio di Montedomini: riscoperta nel 1849, fu subito trasferita alla Galleria dell’Accademia, dove tuttora è custodita. Opera entusiasmante per complessità stilistica e ricchezza di particolari, il suo significato non si può però ridurre all’indagine storico-artistica. Come scrive A. Malraux: «Un crocifisso romanico non era al suo nascere una scultura, e la Madonna di Cimabue non era da principio un quadro»1. Così il grande dipinto di Pacino, realizzato per un ordine eminentemente contemplativo e di natura claustrale, doveva possedere non solo una finalità didattica e dottrinale, ma svolgere la funzione di una solenne pala d’altare, e rappresentava «in qualche modo, la dilatazione della tavola mistica del sacrificio»2. Il tema eucaristico è, in effetti, evidente nell’immagine centrale che si schiudeva ai fedeli e al sacerdote mentre quest’ultimo, al suo cospetto, vi celebrava il sacramento: l’immolazione dell’Agnus Dei sulla Croce-Albero, sormontata dal nido del Pellicano, suggestivo emblema cristologico e sacramentale. L’animale, che secondo una fabula mystica medievale si apre il costato per resuscitare dalla morte i figli, dopo averli pianti per tre giorni, e nutrirli col proprio sangue3, trova il proprio significato cosmico-eucaristi1 A. MALRAUX, Il museo dei musei, trad. it., Milano, Mondadori 1994, p. 7. A. CHASTEL, Storia della pala d’altare nel Rinascimento italiano, trad. it., Milano, Bruno Mondadori 2006, p. 34. 3 Cfr. Bestiari medievali, a cura di L. Morini, Torino, Einaudi 1996, pp. 20-21, 232-237, 336-339, 394-397, 454-455, 513, 584-585; M. PASTOREAU, Bestiari del Medioevo, trad. it., Torino, Einaudi 2012, pp. 209-211; A. CATTABIANI, Volario. Simboli, miti e misteri degli esseri alati: uccelli, insetti, creature fantastiche, Milano, Mondadori 2000, pp. 155-162; L. CHARBONNEAU-LASSAY, Il Bestiario del Cristo. La misteriosa emblematica di Gesù Cristo, 2 160 ALESSANDRO GIOVANARDI co espresso da san Tommaso nell’Ufficio del Santo Sacramento: «Pellicano, pieno di bontà, o Signore Gesù, / lavate nel vostro sangue i nostri peccati / una goccia è sufficiente per cancellare / tutte le nefandezze del mondo»4; onde per cui Dante definisce Cristo il «nostro Pellicano»5. Prima di avventurarmi nell’interpretazione di alcuni aspetti di un testo pittorico così teologicamente denso e complesso, occorre ricordare che si tratta della più completa trascrizione visiva di un trattato di un contemporaneo di Tommaso, il Lignum Vitae di san Bonaventura da Bagnoregio, composto intorno al 1260 al fine di accendere nei fedeli il ricordo adorante della vita di Cristo e imprimere nella mente la viva memoria di tutti i passi salienti dell’esistenza del Redentore. L’intento di Bonaventura è quello di indicare un via meditativa a chi desidera conformarsi perfettamente al Salvatore universale per riuscire, attraverso ogni sforzo dell’intelligenza, a portare con sé la croce di Cristo e sentire così nella propria interiorità, nello spirito come nel corpo, la sofferenza e l’immenso amore di Gesù. La via verso la Pulchritudo divina passa attraverso la contemplazione del Redentore crocifisso formosus deformis, in cui ci si rivela la bellezza suprema del Dio che per amore umilia se stesso6. Il Lignum, un albero distribuito in dodici rami di quattro frutti ciascuno, secondo il modello della Scrittura (Ap 22,2), è un sostegno immaginativo per la contemplazione, col fine d’imprimere nella memoria del fedele «l’origine e la vita del Salvatore», rappresentata nei rami più bassi, «la passione» al centro «e alla sommità la glorificazione»7. Già un poema paleocristiano del III secolo, il Carmen de Pascha vel de Ligno Vitae, attribuito tradizionalmente a Cipriano, comincia con questa affermazione: «Vi è un luogo che noi crediamo essere il centro della terra intera. Nella lingua dei loro padri gli Ebrei lo chiamano Golgotha». E si chiude con questa: «Di lì si muove il viaggio verso il cielo, attraverso i rami di quell’alto albero. Questo è il Legno della Vita per tutti i credenti»8. Questo movimento di ascesa/ascesi dal basso verso l’alto si compie discendendo, in senso opposto, dalla gloria celeste alla terra, secondo l’invito trad. it., 2 voll., Roma, Arkeios 1994, II, pp. 123-140; H. e M. SCHMIDT, Il linguaggio delle immagini. Iconografia cristiana, trad. it., Roma, Città Nuova 1988, p. 90. 4 TOMMASO D’AQUINO, Inno eucaristico Adoro Te devote: «Pie pellicane, Ihesu domine, / me immundum munda tuo sanguine. // Cuius una stilla saluum facere, / totum mundum posset omni scelere». 5 Cfr. DANTE ALIGHIERI, Divina Commedia: Paradiso, XXV, 112-114. 6 Cfr. P. MARTINELLI, ad v. «Pulchritudo», in Dizionario bonaventuriano, a cura di E. Caroli, Padova, Editrici Francescane 2008, pp. 640-642. 7 BONAVENTURA DA BAGNOREGIO, Lign. vitae, Prol., n. 2 (OSB XIII, p. 207). 8 Cfr. ps.-CIPRIANO (Vittorino poeta), Carmen de Pascha vel de Ligno Vitae, in S. THASCI CAECILII CYPRIANI Opera omnia, recensuit et commentario critico instruxit G. Hartel (CSEL, III/III, Appendix), Vindobonae, apud C. Geroldi filium 1871, p. 305,1-2: «Est locus ex omni medius quem credimus orbe, / Golgotha Iudaei patrio cognomine dicunt»; ivi, p. 308,67-69: «Hinc iter ad ramos et dulcia poma salutis, / Inde iter ac caelum per ramos arboris altae, / Hoc lignum uitae cunctis credentibus». SAN BONAVENTURA E L ’ ARTE MEDIEVALE 161 di Bonaventura: «Delinea dunque nell’intimo della tua mente la progettata pianta, la cui radice è irrigata dalla scaturigine perenne, che pure si espande in fiume vivo e grande di quattro foci per irrigare il Paradiso di tutta la Chiesa»9. In tal senso ci troveremmo davanti all’archetipo insieme universale e cristiano dell’Albero rovesciato10. L’identità tra la Croce e l’Albero della Vita – il simbolo immemoriale e universalmente sacro che apre e chiude la Rivelazione biblica (Gn 2,9; Ap 22,2) – è antichissima e, da un punto di vista figurativo, risale almeno a bassorilievi del IX secolo e mette in luce il ruolo che il patibolo di Cristo ha avuto sul piano cosmico11. Difatti, l’Arbor Vitae è figura dell’Axis Mundi, della scala metafisica che pone in comunione tutti i piani dell’essere: gli inferi (le radici), la terra (il fusto), il cielo (la cima) e cioè i morti, i mortali, gli immortali12. Dopo il peccato originale, il sacrificio di Cristo ha ripristinato ordine nella creazione ponendo nuovamente in relazione la dimensione celeste con quella terrestre, come afferma sant’Agostino: «Il male recato dal frutto dell’Albero proibito, nell’Albero della Croce viene riparato»13. È 9 BONAVENTURA DA BAGNOREGIO, Lign. vitae, Prol., n. 3 (OSB XIII, p. 207). Cfr. DANTE ALIGHIERI, Divina Commedia: Purgatorio, XXII-XXV; A. K. COOMARASWAMY, L’albero rovesciato, in ID., Il grande brivido. Saggi di simbolica e arte, a cura di R. Limpsey, ed. it. a cura di R. Donatoni, Milano, Adelphi 1987, pp. 323-353; P. FLORENSKIJ, Le porte regali. Saggio sull’icona, ed. it. a cura di E. Zolla, Milano, Adelphi 1977, p. 31. 11 A. M. FERRARI, ad v. «Albero della vita», in R. CASTELLI, E. GUERRIERO (a cura di), Iconografia e arte cristiana. Dizionario diretto da L. Castelfranchi e M.A. Crippa, vol. I, Cinisello Balsamo (Milano), Paoline 2004, pp. 54-55; Y. CHRISTIE, ad v. «Croce», ivi, pp. 548-553; G. DE CHAMPEAUX, S. STERCKX, I simboli del Medioevo, ed. it. a cura di S. Chierici, Milano, Jaca Book 1984, pp. 279-377; O. BEIGBEDER, Lessico dei simboli medievali, trad. it., Milano, Jaca Book 1988, pp. 31-48; G. HEINZ-MOHR, Lessico di iconografia cristiana, ed. it a cura di A. Agnoletto, Milano, Istituto di Propaganda Libraria 1995, pp. 27-31; M. FEUILLET, Lessico dei simboli cristiani, trad. it., Roma, Arkeios 2007, pp. 9-10; E. URECH, Dizionario dei simboli cristiani, trad. it., Roma, Arkeios 1995, p. 22; J. BALDOCK, Simbolismo cristiano, trad. it., Milano, Mondadori 1997, pp. 43-45, 113-114; A.M. GERARD, Dizionario della Bibbia, trad. it., 2 voll., Milano, Rizzoli 1994, I, pp. 52-55; J. RIES, Il segno e il simbolismo della croce, in ID. (a cura di), I simboli nelle grandi religioni, trad. it., Milano, Jaca Book 1997, pp. 42-45; J. HANI, Il segno della croce, ivi, pp. 47-65. 12 Cfr. M. ELIADE, Trattato di storia delle religioni, ed. it. a cura di E. De Martino, Torino, Bollati Boringhieri 1954, pp. 303-311; ID., Immagini e simboli. Saggi sul simbolismo magicoreligioso, ed. it a cura di M. Giacometti, Milano, Jaca Book 1993, pp. 29-54; S. SEMINARA, Immortalità dei simboli. Da Babilonia a oggi, Milano 2006, pp. 237-247; R. GUÉNON, Simboli della scienza sacra, trad. it., Milano, Adelphi 1990, pp. 279-293; Dizionario dei Simboli. Miti, sogni, costumi, gesti, forme, figure, colori, numeri, 2 voll., a cura di J. Chevalier e A. Gheerbrant, ed. it. a cura di I. Sordi, Milano, Rizzoli 1997, I, pp. 21-35; Dizionario delle mitologie e delle religioni, 3 voll., a cura di Y. Bonnefoy, ed. it. a cura di I. Sordi, Milano, Rizzoli 1989, I, pp. 19-21; J. C. COOPER, Enciclopedia illustrata dei simboli, Milano, Muzzio 1987, pp. 17-24; H. BIEDERMANN, Enciclopedia dei simboli, ed. it. a cura di L. Felici, Milano, Garzanti 1991, pp. 15-18. 13 AGOSTINO IPP., Sermo 218/c: De passione Domini, n. 4, in ID., Opere, vol. XXXII/1. Discorsi IV/1 (184-229/v): su i Tempi liturgici, a cura di P. Bellini, F. Cruciani, V. Tarulli, Roma, Città Nuova 1984, p. 297. 10 162 ALESSANDRO GIOVANARDI un’idea già espressa negli apocrifi Atti di Andrea, secondo l’espressione con cui l’Apostolo si rivolge alla Croce: «Sei stata innalzata nel mondo per dare consistenza alle cose instabili. Parte di te si volge al cielo per annunziare il Logos celeste [τὸν ἄνϑρωπον λόγον]; parte si stende a destra e a sinistra per sbaragliare la tremenda forza avversaria e ricondurre il mondo all’unità; parte di te è ficcata in terra per raccogliere insieme con le creature celesti le terrestri e quelle dell’Ade»14. La letteratura cristiana antica ce ne offre splendide esegesi. Così scrive, ad esempio, lo Pseudo-Crisostomo (VI secolo): «Se temo Dio, quest’Albero è il mio rifugio, nei miei combattimenti mi fa da scudo, e per la mia vittoria è il mio trofeo. Eccolo il mio stretto sentiero; eccola la mia strada chiusa! Ecco la Scala di Giacobbe [Gn 28,1-22], in cui gli angeli salgono e scendono, in cima alla quale sta il Signore. Quest’Albero, che si stende lontano come il cielo, sale dalla terra ai cieli. Pianta immortale, si innalza nel centro del cielo e dalla terra: fermo sostegno dell’universo, vincolo di tutte le cose, base di tutta la terra abitata, nodo dell’intreccio cosmico, comprendente in sé tutta la varietà della natura umana. Fissato dai chiodi invisibili dello Spirito, per non vacillare nel suo accordo con il divino; toccando il cielo con la sommità del capo, rafforzante la terra con i suoi piedi, e, nello spazio intermedio, abbracciante l’atmosfera intera con le sue braccia incommensurabili. Era intero ovunque in tutte le cose e da solo lottava, nudo, contro le potenze dell’aria […]. Allora nella sua ascesa, questo divino spirito rese vita e forza a tutte le cose che tremavano e di nuovo l’universo intero divenne stabile, come se questa divina estensione e questo supplizio della croce avessero penetrato tutte le cose. O tu che sei solo tra i soli e sei tutto in tutto! I cieli abbiano il tuo spirito, e il paradiso la tua anima: ma il tuo sangue appartenga alla terra. L’Indivisibile si è diviso, perché tutto fosse salvo, e perfino gli Inferi non rimanessero privi della venuta di Dio»15. 14 Atti di Andrea: Martirio di sant’Andrea apostolo, 14, 1, in Gli Apocrifi del Nuovo Testamento, II. Atti e leggende, a cura di M. Erbetta, Casale Monf., Marietti 1966, p. 442. 15 Ps.-CRISOSTOMO, De pascha Homilia VI, (PG 59, coll. 743-744): «Haec [arbor] mihi Deum timenti tutela est, nutanti fulcrum, certanti bravium, victori tropaeum; haec mihi arcta semita, angusta via; haec scala Iacobi, angelorum ascensus et descensus, in cujus culmine stat Dominus. Haec arbor a terra usque ad caelum assurgit, immortalis planta, quae firma erigitur in medio caeli et terrae, fulcrum universi, firmamentum orbis, complexio mundi, mortalem variam substantiam continens, invisibilibus spiritus clavis confixa, ut rei divinas congruens non ultra solvatur, summus caelos contingens, pedibus vero terram firmans, multumque intermedium aeris spiritum undique immensis manibus complectens. Totus erat ubique in omnibus, et per se solum contra aerias potestatem nudus congressus est […]. Commotis enim universis et terrae motus mutantibus, metuque trementibus, ascendente divino Spiritu, vivificantis et confirmantis more, rursus stetit universus orbis, quasi scilicet illa divina extensio et crucis supplicium per omnia extensa fuissent. O sola in solis, et universa in universis! Spiritum tuum caeli habeant, animam paradisus; […] sanguinem vero, terra. Divisus est indivisibilis, ut omnia servarentur, ut ne infimus quidem locus divino adventu expers esset». Citiamo la trad. data in H. DE LUBAC, Cattolicismo. Aspetti sociali del dogma, trad. it., Milano, Jaca Book 1979 (Opera omnia, 7), pp. 399-400. Cfr. inoltre H. RAHNER, Miti greci nell’interpretazione cristiana, trad. it., Bologna, EDB 1990, pp. 85-86, con attribuzione del testo a un «imitatore di Ippolito» del III secolo. SAN BONAVENTURA E L ’ ARTE MEDIEVALE 163 Invero, nell’immagine del Christus patiens (che è il caso nostro), il sangue che discende lungo il palo verticale della croce è la linfa spirituale dell’Asse del Mondo, che cola fino alle profondità del Golgota dove sono seppellite, secondo la tradizione, le ossa di Adamo, con lo scopo di vivificarle. Si tratta di un’allusione alla discesa agli inferi di Cristo (At 2,31; 1Pt 3,18-21; Ef 4,10) – vittorioso sul male e sulla morte, distruttore delle porte dell’Ade – e alla resurrezione finale, in cui si ricongiungeranno la sfera eterna e quella temporale, la creazione e l’increato, così come nel Salvatore sono saldate senza confusione la natura divina e quella umana. Il Redentore è Nuovo Adamo in quanto vivificatore, trasformatore dell’antico progenitore dell’umanità. L’Albero della Vita eterna che fu proibito agli uomini dopo il peccato originale (Gn 3,22) è reso nuovamente accessibile dalla Crux benedicta di Cristo: «Il tuo ramo – scrive Ezzo di Bamberga (1064-1100) – porta il celeste carico. Su di te scorse il nobile sangue. Il tuo frutto è dolce e buono»16. Il senso cosmico di questa concezione si ricava da un passo tratto proprio dai Sermones dominicales di san Bonaventura: «Cristo fu mezzo promanante effetti vitali nella sua Passione, nella quale operò la salvezza stando nel mezzo della terra. Infatti come fa il cuore che è il mezzo per la trasmissione del calore vitale nei sensi e che mediante gli spiriti fa affluire la vita in tutte le membra del corpo animale, così fa Cristo crocifisso in mezzo ai ladroni: egli è il legno della vita piantato da Dio in mezzo al Paradiso [Gn 2,9] della Chiesa che mediante i sacramenti trasmette la vita a tutte le membra del Corpo mistico»17. Con l’intento di identificare quasi materialmente l’Arbor e la Crux, si formano, quasi a corroborare la ricchezza mistagogica delle metafore patristiche, le narrazioni della Vera Croce, autentiche fabulae mysticae, in seguito riordinate da un dotto frate domenicano, il beato Iacopo da Varazze (1228-1298), arcivescovo di Genova, autore della celebre Legenda aurea, cominciata a partire proprio dal periodo di composizione del Lignum bonaventuriano. All’origine di molti cicli pittorici francescani le narrazioni cominciano da Adamo che, prossimo a morire, invia il figlio Seth nel Paradiso terrestre per ottenere l’olio della misericordia quale potente unguento taumaturgico. L’Arcangelo Michele invece gli dona un ramoscello – o tre semi secondo altre versioni – dell’Albero della Vita (spesso identificato con l’Albero del Bene e del Male)18 che Seth, trovato il padre già morto al suo ritorno, pianta sul sepolcro di Adamo. Il ramo cresce e diviene un albero maestoso, riscoperto molti secoli dopo da Re Salomone il quale ordina che 16 EZZO VON BAMBERG, Cantilena de miraculis Christi (Ezzolied), [XXXI] 377-380, in Kleinere deutsche Gedichte des XI. und XII. Jahrhunderts, hrsg. von A. Waag, Halle a.S., Max Niemeyer 1890, p. 14: «[...] jâ truogen dîn este / dî burde himelisce. // an dich flôz daz frône pluot, / dîn wuocher ist sûzze unte guot». Citiamo la trad. it. data in M. LURKER, Dizionario delle immagini e dei simboli biblici, ed. it. a cura di G. Ravasi, Cinisello Balsamo (Milano), Paoline 1989, p. 9. 17 BONAVENTURA DA BAGNOREGIO, Serm. dom., 4, n. 6 (OSB X, p. 73). 18 Cfr. S. WEIL, Quaderni, II, a cura di G. Gaeta, Milano, Adelphi 1985, p. 339. 164 ALESSANDRO GIOVANARDI ne sia utilizzato il legno. Gli operai, tuttavia, non riescono a trovargli una collocazione perché il pilastro ricavatone risulta sempre eccessivamente lungo o corto – quasi a significare la sua non completa appartenenza al nostro mondo – e, adirati per questo, decidono di gettarlo su un fiume, affinché serva da passerella. La Regina di Saba, trovandosi a passare per il ponticello, intuisce l’origine del legno e ne profetizza il futuro impiego. Salomone, messo al corrente della profezia, decide di farlo sotterrare. Solo a seguito della condanna di Cristo la vecchia trave venne ritrovata e utilizzata per la costruzione della Croce, conficcata nel luogo di sepoltura di Adamo, il Golgota (idea, quest’ultima, vista con sospetto da Iacopo da Varazze)19. Se il Lignum vitae di san Bonaventura avrà tenuto conto non solo di tanti sicuri auctores ecclesiastici, ma anche dei documenti figurativi dell’arte sacra a lui visibili, anche Pacino da Buonaguida, pur seguendo il testo del doctor seraphicus e corrispondendo alle sue committenti, si sarà ricordato di moltissime immagini dell’Arbor e di altrettante iconografie della Crocifissione. Vi è indubbiamente un legame profondo che innesta l’opera teologica di Bonaventura nello sviluppo delle arti figurative del suo tempo. 2. San Bonaventura: teologia ed etica dell’«ars». Le molte interpretazioni grafiche, pittoriche e scultoree del Lignum Vitae, estese o sintetiche20, favorite anche dai volgarizzamenti trecenteschi come la Meditazione sopra l’arbore della Croce21, l’ispirazione immaginativa offerta dal trattato sulla Vitis mystica22, ma anche l’influenza che le Meditationes de vita Christi, considerate sommamente autorevoli proprio perché attribuite erroneamente al Doctor Seraphicus23, hanno avuto sulle arti figurative, dimostrano quanto fosse tenuta in alta considerazione l’opera di Bonaventura presso committenti e artisti a partire dal basso Medioevo24; 19 Cfr. IACOPO DA VARAZZE, Legenda aurea, a cura di A. e L. Vitale Brovarone, nuova ed. Torino, Einaudi 2007, pp. 368-369; ID., Legenda Aurea. Testo a cura di A. Levasti, 2 voll., presentazione di F. Cardini e M. Martelli, Firenze, Le Lettere 2000, p. 281; RAHNER, Miti greci nell’interpretazione cristiana, cit., pp. 77-86. 20 Cfr. L. BOLZONI, La rete delle immagini. Predicazione in volgare dalle origini a Bernardino da Siena, Torino, Einaudi 2009, pp. 78-81. 21 Cfr. Meditazione sopra l’arbore della Croce: testo di lingua citato a penna, a cura di G. Manuzzi, Milano, Silvestri 1839. 22 Cfr. C. FRUGONI, La voce delle immagini. Pillole iconografiche dal Medioevo, Torino, Einaudi 2010, p. 288. 23 Cfr. IOHANNES DE CAULIBUS, Meditaciones vite Christi olim sancti Bonaventurae attributae, ed. M. Stallings-Taney, Turnhout, Brepols 1997 (CCCM, 153); trad. it., ANONIMO FRANCESCANO DEL TRECENTO, Meditazioni sulla vita di Cristo, a cura di S. Coda, Roma, Città Nuova 1982; G. DUBY, L’arte e la società medievale, trad. it., Roma-Bari, Laterza 2003, pp. 292-293; O. NICCOLI, Vedere con gli occhi del cuore. Alle origini del potere delle immagini, Roma-Bari, Laterza 2011, p. 91. 24 Cfr. M. TOMASI, L’arte del Trecento in Europa, Torino, Einaudi 2012, p. 88, schede 5-6. SAN BONAVENTURA E L ’ ARTE MEDIEVALE 165 ma al di là dell’influsso diretto sul mondo della figurazione liturgica e devozionale, tutto il pensiero bonaventuriano esprime, in modo implicito o esplicito, una complessa concezione del bello e dell’arte; vi è in essa, come afferma giustamente Moretti Costanzi, un generale «tono estetico»25. Nel celebre opuscolo De reductione artium ad theologiam, il teologo e mistico francescano ricorda che «ogni scienza umana ripete nel suo proprio contenuto, in maniera sempre più chiara, il triplice insegnamento della Sacra Scrittura: l’eterna generazione e l’incarnazione di Cristo; l’ordine del vivere; l’unione dell’anima con Dio»26. In ogni scienza o arte è, dunque, nascosta un’allusione alla multiforme sapienza di Dio, e, in senso inverso, di ogni scienza e arte può servirsi la teologia per esprimere la verità intorno a Dio27. Bonaventura non tratta qui specificamente le arti figurative, o in modo ancor più particolare, la pittura, ma questo accade perché il suo concetto di ars è estremamente ampio comprendendo «tutte le scienze, dalle arti meccaniche alla conoscenza sensibile, alla filosofia»28. E, d’altro canto, i “depintori” del tempo di Bonaventura non pensano a se stessi come ad “artisti” nel significato odierno del termine; meglio si addice loro il titolo di maestri, di artifices, che li qualifica professionalmente alla stregua di un qualsiasi artigiano. Né i dipinti trecenteschi, come quello di Pacino, sono ritenuti opere d’arte in senso moderno, ma manufatti destinati ad assolvere un compito preciso: quello di sostenere sia le funzioni liturgiche pubbliche, sia la pratica religiosa domestica. Il ruolo dell’artista cristiano non ne risulta tuttavia umiliato; lo spiega perfettamente Coomaraswamy: «Dal punto di vista medievale l’arte era il genere di conoscenza secondo la quale l’artista immaginava la forma o l’impianto dell’opera, e grazie alla quale riproduceva quella forma nel materiale richiesto o disponibile. Il nome del prodotto risultante non era arte ma artefatto, ossia una cosa fatta ad arte, visto che l’arte è e rimane nell’artista. Né esisteva alcuna distinzione tra belle arti e arti applicate, tra arte pura e decorativa. Ogni abilità creativa era finalizzata al buon uso e confacente alla condizione. Benché gli usi a cui si applicava potessero essere nobili o umili, in ambedue i casi non cessava di essere ugualmente arte»29. Lo studioso singalese trae questa concezione proprio dallo studio del pensiero bonaventuriano, per cui l’ars è l’unica tra le speculationes intellectuales destinata alla produzione di una realtà esterna: solo con essa la 25 Cfr. T. MORETTI COSTANZI, Il tono estetico del pensiero di san Bonaventura (1966), in ID., Opere, a cura di E. Mirri e M. Moschini, Milano, Bompiani 2009, pp. 2661-2669. 26 E. BETTONI, San Bonaventura, Brescia, La scuola 1944, pp. 33-34. 27 Cfr. S. VANNI ROVIGHI, San Bonaventura, Milano, Vita e Pensiero 1974, p. 12. 28 E. CUTTINI, ad v. «Ars», in Dizionario bonaventuriano, cit., p. 206. 29 A. K. COOMARASWAMY, La natura dell’arte medievale, in ID., Come interpretare un’opera d’arte, ed. it. a cura di G. Marchianò, Milano, Rusconi 1977, pp. 120-121. 166 ALESSANDRO GIOVANARDI conoscenza si trasfonde in alcunché di estrinseco30 e Dio stesso ha quindi creato le cose alla maniera di un artista perfettissimo e fecondissimo che intende realizzare le sue concezioni ideali31. In questo senso Cristo è l’ars Patris, attraverso cui l’Altissimo chiama all’esistenza il cosmo e dà forma a ogni creatura (Gv 1,2-3; Eb 1,2): il Verbo, secondo l’insegnamento di sant’Agostino d’Ippona, è allora sede degli archetipi divini, dei modelli secondo cui tutto è stato creato32. Certo l’arte umana è solo ombra di quella celeste e vi si connette per analogia: imitatio dell’ars aeterna, non è perpetua e perdura per un periodo limitato di tempo. Ma se Dio produce il cosmo attraverso il Figlio, in cui sono raccolti e ordinati gli archetipi di tutte le cose, «le idee esemplari contenute nella mente divina, oltre a servire da modelli per l’ars aeterna, vengono infuse nella mente dell’uomo»33. Nella scrittura il modello archetipico a cui deve ispirarsi l’artista sacro è difatti, rivelato da Dio stesso: si pensi solo al Tabernacolo del deserto e ai suoi arredi sacri (Es 25,8-9; 25,40) o al Tempio di Gerusalemme (1Cr 28,19; Sap 9,8)34. Fin dalla Scrittura gli artifices «sono stati colmati da Dio di sapienza, d’intelligenza, di scienza per ogni sorta di opere, per inventare tutto quello che si può fare» (Es 35,31-32); qui inventare significa invenire e cioè «trovare», la qual cosa, in arte sacra, significa far proprio un archetipo, un modello presente in mente Dei a cui dare forma visibile35. L’artista attinge ai modelli eterni, ascendendovi dal mondo visibile, secondo l’anagogicus mos, concetto che Suger, abate di Saint-Denys, deduce da Dionigi Areopagita per il tramite di Giovanni Scoto Eriugena36, entrambi auctores assai familiari a san Bonaventura. Come il cosmo creato esce dall’Artifex divino per mezzo del Verbo eterno, il manufatto artistico esce dall’artifex umano grazie all’immagine che è nella sua mente, producendo all’esterno una forma simile al modello interno37. Potremmo parlare a tal riguardo della imaginatio recta o dell’alta fantasia di Dante Alighieri, recettore e interprete dell’opera bonaventuriana38, della quale sembra aver recepito 30 CUTTINI, ad v. «Ars», cit., p. 203. Cfr. L. IAMMARRONE, ad v. «Imago», in Dizionario bonaventuriano, cit., p. 482; BETTONI, San Bonaventura, cit., p. 74. 32 Cfr. CUTTINI, ad v. «Ars», cit., pp. 205-206. 33 Ivi, p. 206. 34 Cfr. M. ELIADE, Il mito dell’eterno ritorno, trad. it., Milano, Adelphi 1975, pp. 17-18; J. HANI, Il simbolismo del Tempio cristiano, trad. it., Roma, Arkeios 1996, pp. 23-28. 35 Il concetto platonico-cristiano, attraverso il pensiero di Antonio Rosmini, giunge fino ad A. MANZONI, Dell’invenzione. Dialogo, a cura di G. Mariani, Milano, Paoline 1961, pp. 73-84. 36 Cfr. E. PANOFSKY, Suger abate di Saint-Denis, in ID., Il significato nelle arti visive, ed. it. a cura di M. Castelnuovo e M. Ghelardi, Torino, Einaudi 1999, pp. 128-129. 37 Cfr. IAMMARRONE, ad v. «Imago», p. 482. 38 Cfr. DANTE ALIGHIERI, Divina Commedia: Paradiso, XXXIII, 142 e IAMMARRONE, ad v. «Imago», cit., p. 482; F. TATEO, ad v. «Anagogico», in Enciclopedia Dantesca, Roma, Istituto dell’Enciclopedia italiana 2005, V, pp. 378-379; S. VANNI ROVIGHI, ad v. «Bonaventura», 31 SAN BONAVENTURA E L ’ ARTE MEDIEVALE 167 il motto «imaginatio iuvat intelligentiam»39, per cui l’immaginazione aiuta la comprensione, ma soprattutto sostiene la noesis. Come scrive Coomaraswamy, «quando san Bonaventura dice che l’oratore esprime ciò che ha in sé (per sermonem exprimere quod habet apud se), ciò significa che l’oratore dà espressione a un’idea che ha accolto e fatto propria, cosicché essa può scaturire dalla sua interiorità in modo originale»40. Non si tratta del moderno espressionismo ma della identificazione dell’artifex umano con il modello divino, della piena interiorizzazione del secondo da parte del primo: «L’identificazione dell’artista con la forma o l’exemplar della cosa da fare è tanto la causa formale dell’opera stessa quanto il motivo del piacere che l’artista ne ricava; e parimenti il piacere che lo spettatore trae dall’artefatto […] dipende a sua volta da un’analoga identificazione con la sua forma essenziale»41. Tale concezione non riduce l’artista a mero esecutore impartecipe di un compito portogli dall’esterno; perché non vi è “oratore” sacro capace di persuadere se egli stesso non è scosso dall’interno, se non è capace di far rivivere in sé la forma da realizzare. Vincenzo Gheroldi, riferendosi proprio a una tavola coeva a quella di Pacino, ci ricorda che la realizzazione dell’opera pittorica doveva procedere, fin nei più delicati dettagli, in modi non dissimili da quelli utilizzati durante la pratica della preghiera, sollecitata dai particolari dell’immagine sacra stessa42. Inoltre la visione dell’ars in Bonaventura, la trattazione dell’imago mentis come visione delle rationes aeternae del Figlio, consuona profondamente, sotto molti aspetti, con la metafisica dell’icona bizantina: «Le icone sono emanazioni formali, proiezioni nel mondo sensibile dei prototipi celesti (vale a dire dei personaggi sacri che vivono ormai in eterno nel Regno dei Cieli), tramite le quali grazia e potenza sono trasmesse a chi contempla l’icona, mentre la venerazione del devoto passa, in un cerchio magico, secondo l’espressione di Otto Demus, attraverso l’icona al prototipo»43. Non diversamente dai pittori d’icone, che si situano «a metà fra i servitori del santuario e i semplici laici», cui si prescrive «una condotta seivi, VI, pp. 314-320; M. RAK, ad v. «Fantasia», ivi, VIII, pp. 634-636; A. LANCI, ad v. «Imaginare», ivi, V, pp. 117-119; M. RAK, ad v. «Imaginativa», ivi, pp. 119-120; A. LANCI, ad v. «Imaginazione», ivi, pp. 120-122; ID., ad v. «Imagine», ivi, pp. 122-126. 39 BONAVENTURA DA BAGNOREGIO, Lign. vitae, Prol., n. 2 (OSB XIII, p. 206). 40 A. K. COOMARASWAMY, Imitazione, espressione, partecipazione, in ID., Il grande brivido, cit., p. 227. Il riferimento è a BONAVENTURA DA BAGNOREGIO, Red. art., n. 4 (OSB V/1, p. 42). 41 ID., La filosofia dell’arte medievale e orientale, in ID., Il grande brivido, cit., p. 66. 42 V. GHEROLDI, Dettagli di Giuliano da Rimini, in Giuliano da Rimini: il polittico dell’incoronazione della Vergine, a cura di A. Volpe, con scritti di F. Massacesi, V. Gheroldi, A. Pompili, Rimini, Fondazione Cassa di Risparmio di Rimini 2004, p. 77. 43 J. LINDSAY OPIE, Cos’è la pittura d’icone? Tre risposte, in ID., Nel mondo delle icone. Dall’India a Bisanzio, ed. it. a cura di A. Giovanardi, Milano, Jaca Book 2014, p. 66; cfr. O. DEMUS, Byzantine Mosaic Decoration. Aspects of Monumental Art in Byzantium, London, Paul - Trench - Trubner 1948, pp. 6-7. 168 ALESSANDRO GIOVANARDI mimonastica» e si richiede «di essere umili e mansueti, di mantenere la purezza sia dell’anima sia del corpo, di osservare il digiuno e la preghiera e confessarsi spesso al padre spirituale», l’artifex italiano medievale – come Pacino – partecipando «alla docenza della Chiesa»44 rivestiva un ruolo che nella sua sobrietà artigianale evocava alcunché di ascetico o di sacerdotale. Dipingere nel Medioevo, insegna G. Freuler, era un atto di devozione, attraverso il quale l’artista guardava con speranza alla felicità eterna45. Lo dimostra, in tempi assai prossimi a Pacino da Buonaguida, il Libro della Corporazione dei Pittori senesi dell’anno 1355, che testimonia l’alta consapevolezza spirituale dei maestri nella delicata missione religiosa a loro affidata, assumendo il ritmo triadico delle riflessioni bonaventuriane: «Nel cominciamento, nel mezzo et nella fine di dire et fare nostro ordine sia nel nome de lo onipotente Idio et de la sua Madre Vergine Madonna S. Maria. Amen. Impercioché noi siamo per la gratia di Dio manifestatori agli uomini grossi, che non sanno lettera, de le cose miracolose, operate per virtù et in virtù de la santa fede»46. Il testo fa eco all’insegnamento del canonico Guillaume Durand, vescovo di Mende, che fu, contemporaneo di Bonaventura: «Le pitture e gli ornamenti che si trovano nelle chiese sono le letture e le scritture dei laici […]. Quello che la Scrittura mostra a coloro che la leggono, la pittura lo insegna agli ignoranti, perché senza istruzione essi vedono in questa ciò che devono seguire e lo leggono in questi dipinti, loro che non conoscono le lettere». Ma la funzione della pittura non è solo didattica, e non si rivolge solo al popolo analfabeta; essa commuove più della parola scritta e per questo scrive Durando: «Noi non professiamo rispetto più grande per i libri che per le immagini e le pitture»; e ancora: «noi veneriamo [le immagini] tenendo a mente il ricordo dei fatti compiuti che esse rappresentano»47. Come nel Lignum vitae bonaventuriano, Scrittura e pittura si intessono, e così devozione e memoria. D’altronde per il sommo maestro francescano la memoria è la condizione previa che Dio dà all’essere umano per poter – per li rami – risalire a Lui48. Il buon operare del pittore, inoltre, non è che un riflesso della vita trinitaria e prende avvio dalla preghiera e dalla liturgia, secondo la scansione ternaria – potentia, sapientia, voluntas – che struttura la stessa riflessione filosofica e teologica del Doctor 44 FLORENSKIJ, Le porte regali, cit., p. 93 e cfr. pp. 91-94. G. FREULER, I dipinti a fondo oro e i loro creatori, in Fondi oro. Una collezione per Milano. Catalogo della mostra (Milano, 2 dicembre 1999 - 30 gennaio 2000), a cura di A. Paolucci e G. Freuler, Milano, Skira 1999, p. 15. 46 Statuti dell’Arte de’ Pittori Sanesi dell’anno mccclv, in Carteggio inedito d’Artisti dei secoli XIV, XV, XVI, t. II. 1500-1557, a cura di J.W. Gaye, Firenze, Molini 1839, p. 1. 47 G. DURAND DE MENDE, Manuale per comprendere il significato simbolico delle cattedrali e delle chiese, ed. it. a cura di R. Campagnari, Roma, Arkeios 2000, pp. 55-58. Si tratta della parte introduttiva del Rationale divinorum officiorum; cfr. I mistici dell’Occidente, I, a cura di E. Zolla, Milano, Adelphi 1997, pp. 796-801. 48 F. PORZIA, ad v. «Memoria», in Dizionario bonaventuriano, cit., p. 553. 45 SAN BONAVENTURA E L ’ ARTE MEDIEVALE 169 Seraphicus49 anche riguardo all’ars, e alle forme ideali: «[…] la fede nostra principalmente è fondata in adorare et credare uno Idio in Ternità, et in Idio et infinita potentia, et infinita sapientia, et infinito amore et clementia: et neuna cosa, quanto sia minima, può aver cominciamento o fine senza queste tre cose, cioè senza potere, senza sapere et senza con amore volere. […] Et perché le cose spirituali debbono essere e sono eccellentemente innanzi, et pretiosissimamente sopra le temporali, cominciaremo a dire come si faccia la festa nostra del venerabile et glorioso missere santo Luca, el quale fu non solamente figuratore della statura e della portatura de la gloriosa Vergine Maria, ma fu scriptore de la sua santissima vita et de suo’ santissimi costumi, unde onorata l’arte nostra»50. Una visione molto simile è espressa ancora sul crinale tra i secoli XIV e XV dal giottesco Cennino d’Andrea Cennini da Colle di Valdelsa (ca 1370-ca 1440), nel suo famoso Libro dell’arte, in cui la vita del pittore è concepita come un corso di studi in filosofia e in teologia, rafforzata da una severa pratica morale: sono infatti necessarie morigeratezza nel bere e nel mangiare come anche nel contatto con le donne, affinché la mano rimanga ferma51. Anche Cennini comincia, secondo un rigoroso ordine teologico-gerarchico, «principalmente invocando l’alto Iddio onnipotente, cioè Padre Figliuolo Spirito Santo; secondo, quella dilettissima avvocata di tutti i peccatori Vergine Maria, e di Santo Luca evangelista, primo dipintore cristiano»52. Chi avesse voluto introdursi al mestiere non doveva operare per desiderio di guadagno ma essere mosso «per amore e per gientileza»53. La concretissima realtà della bottega, dove si entrava da ragazzi per apprendere il mestiere sotto la guida di un maestro, di un artifex affermato e in cui si riceveva in eredità l’esperienza e la cultura del dipingere, assume nel Cennini un significato etico e spirituale che si colora di espressioni “stilnoviste”: «Voi, che con animo gientile sete amadori di questa virtù e principalmente all’arte venite, adornatevi prima di questo vestimento: cioè amore, timore, ubbidienza e perseveranza; e per quanto più tosto puoi, incomincia a metterti sotto la guida del maestro a imparare; e quanto più tardo puoi, dal maestro ti parti»54. Senza forzare troppo il discorso, le attitudini virtuose richieste all’apprendista artifex da Cennini, sono assimilabili a quelle che san Bonaventura ritiene necessarie al discepolo in religione, per cui la sottomissione al maestro è funzionale al progresso spirituale: «Ascoltare la verità e assentire ad essa; disprezzare e fuggire la vanità; amare e diffondere la bontà; ama49 Cfr. BONAVENTURA DA BAGNOREGIO, Brevil., I, nn. 7-9 (OSB V/2, pp. 74-85); L. MAad v. «Trinitas», in Dizionario bonaventuriano, cit., pp. 819-826. 50 Statuti dell’Arte de’ Pittori Sanesi dell’anno MCCCLV, cit., pp. 1-2. 51 Cfr. A. WEBER, Duccio, trad. it., Colonia, Konemann 2000, p. 18. 52 C. CENNINI, Il libro dell’arte, a cura di F. Frezzato, Vicenza, Neri Pozza 2009, p. 63. 53 Ibid. 54 Ivi, p. 64. THIEU, 170 ALESSANDRO GIOVANARDI re ardentemente la legge divina». In entrambi, ogni magistero deriva dal Salvatore stesso «che fu il principale legislatore e insieme il perfetto uomo terrestre e celeste, perciò Lui solo è il principale Maestro e Dottore». O meglio ancora: «Cristo è il Dottore interno, né si conosce alcuna verità se non per mezzo suo, e ciò lo compie non parlando, come facciamo noi, ma illuminando interiormente»55. Le virtù “stilnoviste”, “petrarchesche”, di Cennini, figlie dell’umiltà e dell’ubbidienza, sono una imitatio Christi, che intende l’artifex umano, quale ombra o imago di quello celeste. 3. Pacino interprete del «Lignum vitae». Nel rispondere alle esigenze liturgiche e devozionali del monastero delle Clarisse, Pacino, artifex publicus in arte pictorum, dà forma a quella che potremmo chiamare sia una potente visione liturgico-eucaristica, sia una grande icona dottrinale, straordinariamente ricca di allegorie e simboli. La stessa tecnica utilizzata dal pittore – tempera all’uovo e oro su tavola di legno – rimanda a quell’iconologia degli elementi, a quella «pansemiosi metafisica» medievale56 che corrisponde alla concezione simbolico-materica della teologia dell’icona. E così la stessa tavola di legno è anch’essa un simbolo del Lignum Vitae, posto all’origine e al termine della storia sacra, ed è al contempo memoria della Croce di Cristo la quale, rievocata nell’incruento sacrificio eucaristico, rende possibile cibarsi dei frutti di Vita eterna perduti dall’uomo dopo la caduta (Gn 3,21). L’artista, levigando e lavorando la tavola, evoca l’antica similitudine del Creatore quale falegname – Giuseppe, padre adottivo del Cristo (Mt 13,55; Mc 6,3), è difatti un carpentiere – per cui il legno simboleggia la materia prima, creata ex nihilo57 e, secondo san Bonaventura, «principio passivo e ricettivo delle forme»58. La tavola, scavata per accogliere la stuccatura, diviene memoria della culla e del sepolcro del Salvatore, del Natale e della Pasqua, della Morte e della Resurrezione; mentre la stuccatura stessa del legno lo trasforma simbolicamente in una parete, rendendo la pittura di icone simile al lavoro del frescante o del mosaicista, al fine di trasmettere alla saldezza e alla invincibilità della dottrina teologica e dell’esperienza spirituale59. Sulla tavola di legno vengono perciò stesi più strati di gesso bianco o di un amalgama d’alabastro: immagine della prima luce creata (Gn 1,3) e al tempo stesso 55 F. GAMBETTI, ad v. «Magister», in Dizionario bonaventuriano, cit., pp. 526-531. Passi tratti da BONAVENTURA DA BAGNOREGIO, Chr. unus, n. 19 (OSB VI/2, pp. 366-369) e Hexaëm., coll. II, n. 5 (OSB VI/1, pp. 72-73). 56 Cfr. U. ECO, Arte e bellezza nell’estetica medievale, Milano, Bompiani 1987, pp. 75-79. 57 Cfr. LINDSAY OPIE, Che cos’è l’icona?, cit., p. 63. 58 Cfr. A. PERATONER, ad v. «Materia», in Dizionario bonaventuriano, cit., p. 547. 59 Cfr. FLORENSKIJ, Le porte regali, cit., pp. 150-151. SAN BONAVENTURA E L ’ ARTE MEDIEVALE 171 della tabula rasa, o dell’alba pratàlia della pagina, sulla quale tutto sarà trasmesso; difatti, tradizionalmente si parla di “scrivere” un’immagine sacra e non di dipingerla60: concezione bizantina quanto mai calzante per il lavoro in questione di Pacino. Di norma tra il legno e la preparazione si stende anche un tessuto di lino, che, fin da epoche arcaiche, intende significare la struttura e il movimento primordiali dell’universo61. Ciascuno di questi materiali simbolici supporta anche uno specifico significato cristologico e, applicati alla tavola dipinta, ne sottolineano la funzione estensiva del mistero della incarnazione: il legno è anche la sostanza della Vergine di cui è formato il corpo di Cristo62, «dandone la materia pur rimanendo passiva riguardo alla forma»63. Tale corpo è rappresentato dal tessuto di lino, come afferma Bonaventura proprio nel Lignum vitae, chiedendo alla Madre di Dio di contemplare il corpo del Redentore morto: «Osserva quella santissima veste del tuo amato Figlio, intessuta nelle tue castissime membra dall’arte dello Spirito Santo»64. Espressione che sembra derivare dalla liturgia bizantina: «Tu sei veramente il telaio della divinità, su cui il Verbo ha tessuto l’abito del suo corpo; vestendolo ha salvato tutti coloro che ti glorificano con mente pura»65, o forse dal cistercense Giovanni di Ford († ca 1214): «La beata Madre di Dio, con l’aiuto dello Spirito Santo, ha fatto all’unico diletto del suo grembo una veste tutta intessuta dall’alto; veste d’incomparabile candore di cui non si è mai visto l’eguale sulla terra, né prima né dopo di essa; una veste che nessuna macchia può contaminare né nessuna mano rovinare»66. Questa straordinaria metafora dello Spirito quale supremo Artifex e del corpo del Salvatore come tessuto discende da un’antica e venerabile tradizione, che testimonia l’ampia conoscenza da parte di Bonaventura dei Padri greci e bizantini e dei loro scritti omiletici ed esegetici, mediati dalla cultura monastica; e si riflette meravigliosamente anche nell’opera di Pacino, soprattutto nel tondo dell’Arbor che rappresenta l’Annunciazione a Maria e la Visitazione (fig. 3): lì dove il Doctor seraphicus recepisce l’eredità patristica orientale attraverso i testi teologici e liturgici, Pacino e le sue committenti lo fanno mediante la trasmissione di immagini dipinte e dei loro prototipi67 (fig. 2). 60 Cfr. LINDSAY OPIE, Che cos’è l’icona?, cit., p. 63. Cfr. ibid. 62 Cfr. ibid. 63 S. M. CECCHIN, ad v. «Maria», in Dizionario bonaventuriano, cit., p. 536. 64 BONAVENTURA DA BAGNOREGIO, Lign. vitae, n. 31 (OSB XIII, p. 247). 65 Octoechos (Ὀκτώηχος), Tono VI, Ode VII. Canone della Madre di Dio. 66 GIOVANNI DI FORD, Sermoni sul Cantico dei Cantici, VIII, 4, in Testi mariani del secondo millennio, vol. IV. Autori medievali dell’Occidente, secoli XIII-XV, a cura di L. Gambero, Roma, Città Nuova 1996, p. 69. 67 Cfr. A. GIOVANARDI, Il sangue e la purezza. Il simbolismo della lana nell’iconografia della Madre di Dio tra Oriente e Occidente, in Sul filo della lana. Catalogo della mostra (Biella, 61 172 ALESSANDRO GIOVANARDI Riportiamo, innanzitutto, la descrizione iconografica dell’Annunciazione della Madre di Dio, secondo l’Ermeneutica della pittura, il manuale athonita dell’iconografo Dionisio da Furnà risalente alla prima metà del XVIII secolo, ma fondato su testimonianze assai antiche68, e per questo considerata fonte autorevolissima69: «Delle case. La santa Vergine in piedi davanti a uno scranno, la testa un po’ inclinata. Nella mano sinistra ha un fuso avvolto di seta; la sua mano destra è aperta e tesa verso l’arcangelo. San Gabriele è davanti a lei; egli la saluta con la mano destra e ha un’asta nella mano sinistra. Sulla casa c’è il cielo. Lo Spirito Santo appare su un raggio che si dirige sul capo della Vergine (Lc 1,26-38)»70. A parte lo scranno che non si vede, ma che ipoteticamente potrebbe essere coperto dal manto della Madonna, la descrizione combacia quasi perfettamente. Vi è in più, tuttavia, il particolare – non trascurabile e assai audace – del Figlio che, attraverso un raggio luminoso, scende, anzi si tuffa, verso la Madre per abbracciarle il collo, mentre Maria sta con l’orecchio teso in ascolto della Parola di cui Gabriele è messaggero, a ricordarci come l’Annuncio a Maria festeggiato il 25 marzo, sia contemporaneamente il concepimento di Gesù, nato il 25 di dicembre, esattamente nove mesi dopo. E, tuttavia, il Bambino già visivamente formato che si precipita verso la Vergine per stringersi a lei, se non è inteso correttamente come il destino del Verbo a incarnarsi, ad assumere ab origine la natura umana, andrebbe a contraddire la verità secondo cui la veste/carne del Salvatore viene «intessuta» nel ventre di Maria (non fuori), dallo Spirito che «a guisa di fuoco divino ne infiammò la mente e santificò la carne con perfettissima purezza»71; esattamente ciò che «il fuso avvolto», intende significare. Probabilmente era intento del pittore e delle committenti dare l’idea dello Iesus emissus coelitus con cui Bonaventura intitola nel Lignum il paragrafo dell’Annunciazione e si manteneva in loro la memoria dell’iconografia rara ma tradizionale del concepimento, significato dal Cristo infante nel ventre della Madre, unito al filo come al cordone ombelicale (fig. 3). Nella tradizione ecclesiastica, divenuta fabula, nelle scritture apocrife, fra le quali ricordiamo il Protovangelo di Giacomo, risalente, nelle redazio21 aprile - 24 luglio 2005), a cura di Ph. Daverio, Milano, Skira 2005, pp. 131-154; ID., Una tessitura di simboli. L’iconografia dell’Annunciazione nella pittura russa d’icone, in Un filo rosso tra le dita. L’Annunciazione nell’Oriente cristiano. Catalogo della mostra (Vicenza, 8 dicembre 2008 - 29 marzo 2009), a cura di A. Giovanardi e A. Zuccari, Vicenza, Terra Ferma 2008, pp. 8-25. 68 Cfr. S. BETTINI, Il «Manuale del Monte Athos» nell’ambito della trattatistica sull’arte postbizantina, introduzione a Dionisio da Furnà, Ermeneutica della pittura, a cura di G. Donato Grasso, Napoli, Fiorentino 1971, pp. VII-LXIV. 69 Cfr. FLORENSKIJ, Le porte regali, cit., pp. 100-104. 70 DIONISIO DA FURNÀ, Ermeneutica della pittura, cit., p. 115, o anche I segreti dell’iconografia bizantina. La «Guida della pittura» da un antico manoscritto, ed. it. a cura di P. L. Zoccatelli, Roma, Arkeios 2003, p. 118. 71 BONAVENTURA DA BAGNOREGIO, Lign. vitae, n. 3 (OSB XII, p. 217). SAN BONAVENTURA E L ’ ARTE MEDIEVALE 173 ni più antiche, alla prima metà del II secolo, ci si imbatte in dettagli della vita della Madre di Dio, del tutto assenti in quelle ortodosse. In questo scritto si racconta che Maria, un tempo affidata dai genitori ai sacerdoti del Tempio di Gerusalemme, collaborò, con altre vergini della stirpe di Davide, alla filatura del materiale utilizzato per la nuova tenda del Santo dei Santi, ossia per la cortina che separa il luogo della presenza del Signore, dal resto dell’edificio di culto. La vicenda si inserisce in modo esatto fra il fidanzamento con Giuseppe, che ha introdotto la Vergine nella successione davidica (Mt 1,16; Lc 3,23-31), e la visita di Gabriele. Maria che, come narrano gli Apocrifi, ebbe in sorte la porpora e lo scarlatto, riceve l’annuncio definitivo dell’incarnazione in casa propria dove è intenta a filare la rossa matassa che, al termine dell’opera, presenterà ai sacerdoti del Tempio72. Negli Apocrifi più tardi, tutti dipendenti dal Protovangelo, Maria, secondo sua consuetudine, non fila, bensì tesse il velo per il Santuario73. Cosa significhi questo enigma ci è rivelato dal confronto coi Vangeli canonici: il velo del Tempio si squarcia alla morte di Gesù (Mt 27, 51; Mc 15, 38; Lc 23, 45). Questo perché, a guisa della tenda che proteggeva il Sancta Sanctorum del Tempio ebraico, celando il luogo della vera presenza divina, così la carne del Salvatore nasconde in sé la pienezza della divinità. Nella Lettera agli Ebrei, infatti, il Figlio di Dio riassume e illumina di nuova luce tutto il culto dell’antico Israele: «Cristo, venuto come sommo sacerdote dei beni futuri, attraverso una tenda più grande e più perfetta, non costruita da mano d’uomo, cioè non appartenente a questa creazione, entrò una volta per sempre nel santuario non con sangue di capri e di vitelli, ma con il proprio sangue» (Eb 9,11-12). O ancora: «Avendo dunque, o fratelli, la confidenza di entrare nel santuario, nel sangue di Gesù, via che egli ha inaugurato nuova e vivente attraverso il velo, cioè la sua carne, e avendo un gran sacerdote sulla casa di Dio, avviciniamoci di vero cuore» (Eb 10,19-22). Da queste avvincenti metafore si arricchisce e si infittisce la possente arte omiletica dei Padri antichi, di cui è opportuno offrire alcuni saggi, nei quali potremo ravvisare una vera propria reductio artis ad theologiam, un ricondurre l’arte della filatura, della tessitura, della tintoria al simbolismo mistico, alla potenzialità significante dell’ars. Già Ippolito Romano († 235) aveva insegnato che «il Verbo di Dio che era senza carne rivestì la santa carne dalla santa Vergine e – a guisa di sposo – se la intessé come una veste sul patibolo della croce, per salvare l’uomo che era perduto coll’unire alla sua potenza il nostro corpo mortale e associare il corruttibile all’incorruttibile, il debole al forte. La passione della croce fu dunque come il telaio del Signore; suo stame: la virtù dello Spirito Santo; il tessuto: la santa carne intessuta dallo Spirito; ordito: la 72 Cfr. Protovangelo di Giacomo, X 2, in Gli apocrifi del Nuovo Testamento, I/2. Vangeli (Infanzia e passione di Cristo, Assunzione di Maria), a cura di M. Erbetta, Casale Monferrato, Marietti 1981, p. 23. 73 Cfr. ps.-MATTEO, IX 1, p. 52; ivi, pp. 124, 128-129, 207, 211-212. 174 ALESSANDRO GIOVANARDI grazia nella carità di Cristo che stringe e unisce ambedue le cose in una sola; la spola: il Verbo; gli operai: i patriarchi e i profeti, i quali tessono la bella talare e la perfetta tunica di Cristo, attraverso le quali passando il Verbo a guisa di spola, tesse con esse tutte le opere che il Padre vuole»74. Efrem il Siro († 373), si rivolge invece direttamente a Maria: «Dal filo per la trama della stoffa che è la tua corporeità, Egli si tesserà una veste e l’indosserà»; o ancora: «in te la divinità ci ha tessuto una veste per raggiungere la salvezza»75. Andrea di Creta (660-740) gli fa eco: «Come da bagno di porpora, o Immacolata, fu intessuta con la carne nel tuo grembo la porpora spirituale dell’Emmanuele»76. Proclo di Costantinopoli († 446), strenuo difensore della dottrina mariologica sostenuta al Concilio di Efeso, fornisce agli ermeneuti di arte sacra una ricchissima serie di metafore riguardanti la filatura e la tessitura: «O Vergine, fanciulla inesperta di nozze e madre senza contaminazione di parto, donde hai preso la lana con cui preparasti il vestito che oggi indossò il Padrone del mondo? Dove hai trovato il telaio del ventre, su cui intessesti la tunica inconsutile (Gv 19,23)? Io dico che giova ascoltare la natura a favore della Vergine; ha infatti rapporto col parto verginale il suo dire: Io non so tessere il vestito di carne senza l’unione dell’uomo. Il mio telaio insozza gli indumenti (Lc 1,34). L’indossò Adamo, e ne fu denudato; e con vergogna si cinse di foglie di fico (Gn 3,7). Perciò, a riparare la tunica corrotta la stessa Sapienza indossò la tunica del corpo nella verginale officina, avendola tessuta con la spola della divina operazione»77. L’emblema della lana si lega implicitamente in Proclo di Costantinopoli alla più antica interpretazione di Maria come nuova Eva che era risuonata con forza, in Nilo di Ancira († ca 430), discepolo di Giovanni Crisostomo: «La prima donna ebbe la capacità di tessere i vestiti che noi vediamo, affinché potessimo coprire con essi la visibile nudità dei corpi. La seconda, invece, cioè la Madre di Dio, mostrò una tale capacità e conoscenza dell’arte del ricamo, da rivestire della lana dell’agnello da lei generato tutti i credenti con gli indumenti della incorruttibilità e liberarli dalla invisibile nudità»78. Sullo sfondo di una tale visione Proclo di Costantinopoli può mettere in luce il legame che la Madre di Dio ha stretto fra cielo e terra ri74 IPPOLITO ROMANO, Su Cristo e l’Anticristo, IV, in Testi mariani del primo millennio, I. Padri e altri autori greci, a cura di G. Gharib, E.M. Toniolo, L. Gambero, G. Di Nola, Roma, Città Nuova 20012, p. 183. 75 EFREM IL SIRO, Discorso I sulla Madre di Dio, in Testi mariani del primo millennio, IV. Padri e altri autori orientali, a cura di G. Gharib, E.M. Toniolo, L. Gambero, G. Di Nola, Roma, Città Nuova 1991, p. 101. 76 ANDREA DI CRETA, Grande Canone, Ode VIII. Theotokion, in Testi mariani del primo millennio, II. Padri e altri autori bizantini (secoli VI-XI), a cura di G. Gharib, E.M. Toniolo, L. Gambero, G. Di Nola, Roma, Città Nuova 1989, p. 463. 77 PROCLO DI COSTANTINOPOLI, Omelia IV sul Natale del Signore, in Testi mariani del primo millennio, vol. I, cit., p. 565. 78 NILO DI ANCIRA, Lettere, I, n. 267, in Testi mariani del primo millennio, I, cit., p. 447. SAN BONAVENTURA E L ’ ARTE MEDIEVALE 175 cucendo la ferita originaria, definendola «ancella e madre, vergine e cielo, l’unico ponte di Dio agli uomini, il tremendo telaio dell’incarnazione, sul quale fu ineffabilmente intessuta la tunica dell’unione, di cui fu tessitore lo Spirito Santo, filatrice la virtù adombrante dell’alto, lana l’antico vello di Adamo, trama la carne incontaminata della Vergine, spola l’immensa grazia di colui che assunse, artefice infine il Verbo»79. Nella retorica sapiente e finissima dei Padri, nutriti di cultura umanistica e di spiritualità monastica, si trova una densità tale d’immagini e pensieri da poterne trarre una coerente estetica cristologica applicabile come criterio ermeneutico alla pittura sacra, ma che, come la «lenta salmodia ammaliante» che accompagna i maestri della tessitura80, doveva sostenere il maestro iconografo mentre “dettava” gli schemi simbolici agli isografi, ai copisti d’immagini; allo stesso modo in cui il Lignum vitae bonaventuriano avrà accompagnato con la recita o con la lettura silenziosa la fatica di Pacino. Così, secondo l’innografo Giorgio (VII secolo), Cristo nato da Maria, «nel suo sangue tingerà in porpora la propria veste (Gn 49,8-11)»81; mentre Germano di Costantinopoli (634-733), saluta in questo modo la Madre di Dio: «ave, o tu che oggi nel tuo ingresso nel Santo dei Santi hai posto una veste purpurea veramente rivestita da Dio addosso a noi, che nell’Eden eravamo stati denudati dell’indumento glorioso e non tessuto da mano umana (Gn 3,17)»82. Davvero superba è l’immagine con cui Andrea di Creta definisce la Deipara: «La conchiglia che tinse la lana dell’inenarrabile incarnazione del Verbo»83. Teodoro Studita († 826), coraggioso difensore del culto delle immagini, si rivolge alla Vergine in questa maniera: «Ave, o porpora regale, che con il tuo sangue virgineo hai intessuto una veste purpurea [al Verbo]»84. Gli fa eco Fozio († 897), patriarca di Costantinopoli: «Bisognava che ella, la quale si era tinta col colore del suo sangue verginale, servisse da porpora al celeste imperatore»85; e ancora: «Ave, palazzo non manufatto (Eb 9,11-12), nel quale il Re della gloria ha rivestito il nostro indumento, tinto di rosso mediante il tuo sangue verginale, come 79 PROCLO DI COSTANTINOPOLI, Omelia I sulla Madre di Dio Maria, in Testi mariani del primo millennio, I, cit., p. 557. 80 Cfr. C. CAMPO, Il flauto e il tappeto, in ID., Gli imperdonabili, a cura di M. Pieracci Harwell e G. Ceronetti, Milano, Adelphi 1987, p. 115; DURAND DE MENDE, Manuale…, cit., pp. 66-67, 71-73. 81 GIORGIO INNOGRAFO, Kondákion per la Presentazione di Maria al Tempio, 12, in Testi mariani del primo millennio, II, cit., p. 302. 82 GERMANO DI COSTANTINOPOLI, Omelia I per l’Ingresso della Santissima Madre di Dio, 13, in Testi mariani del primo millennio, II, cit., p. 328. 83 ANDREA DI CRETA, Canone della Festa della Concezione, Ode IX, Theotokion, in Testi mariani del primo millennio, II, cit., p. 474. 84 TEODORO STUDITA, Sulla natività della Signora nostra Madre di Dio: Lodi ispirate al Cantico dei Cantici, in Testi mariani per il primo millennio, II, cit., p. 647. 85 FOZIO, Omelia I sull’Annunciazione, 10, in Testi mariani del primo millennio, II, cit., p. 825. 176 ALESSANDRO GIOVANARDI se fosse una porpora imperiale»86. Reso elastico dal tessuto, sullo strato bianco della tavola stuccata si disegnano, anzi si incidono, i contorni della composizione pittorica, affinché rimangano indelebili durante la stesura del colore. Sono le forme delle cose che saranno rappresentate, ma esistenti, tuttavia, ancora solo in potenza, non manifestate ma riposanti nella luce, nella volontà creativa di Dio. Questa luce divina si materializza nel fondo oro dell’icona, steso subito dopo il disegno preliminare. Nell’oro si raccolgono tutte le figure così come nella luce divina tutte le cose sono, si muovono e respirano, secondo quanto insegna san Paolo (At 17,28). Dopo aver ricoperto il fondo con sottilissime foglie d’oro, si procede alla stesura pittorica vera e propria che comincia con la rottura di un uovo e con l’isolamento del tuorlo in cui verranno disciolti i pigmenti naturali. L’uovo cosmico è metafora pressoché comune dell’universo materiale come totalità, dal cui guscio esce il mondo nella sua compiutezza87. Con l’oro della grazia creatrice incomincia perciò la pittura sacra cristiana, e con l’oro della grazia santificante, cioè con le sottolineature auree delle vesti e degli oggetti, la crisografia, si conclude. La pittura di ogni singola tavola sacra si compie come una liturgia cosmogonica che ripercorre i gradi fondamentali della creazione divina, dall’Origine sfolgorante del Verbo, luce del mondo, alla Nuova Gerusalemme, al creato santificato in cui Dio è tutto in tutte le cose (1Cor 15,28)88. Anche per san Bonaventura, come per i Padri greci e per i teologi dell’icona, la luce prima di essere una realtà fisica è senz’altro e fondamentalmente realtà metafisica: «La luce è la natura comune che si trova in ogni corpo, sia celeste, sia terrestre […]. La luce è la forma sostanziale dei corpi, che possiedono più realmente e degnamente l’essere quanto più partecipano di essa»89. Ogni dettaglio del dipinto di Pacino apre spazi meditativi nuovi al testo del Doctor seraphicus arricchendone gli intenti cristologici, moltiplicandone i sensi e i significati. San Bonaventura, come il teschio di Adamo nelle coeve crocifissioni, dimora in una grotta ai piedi dell’Arbor, sullo stesso orizzonte del racconto della creazione e della caduta (fig. 4); regge in mano 86 ID., Omelia II sull’Annunciazione, 7, in Testi mariani del primo millennio, II, cit., p. 841. 87 Cfr. LINDSAY OPIE, Che cos’è l’icona?, cit., pp. 63-65. Cfr. FLORENSKIJ, Le porte regali, pp. 134-135; cfr. N. GRAMMACINI, T. RAFF, Iconologia delle materie, in Arti e storia nel Medioevo, II. Del costruire: tecniche, artisti, artigiani, committenti, a cura di A. Castelnuovo e G. Sergi, con la collaborazione di F. Crivello, Torino, Einaudi 2003, pp. 3495-3416. 89 BONAVENTURA DA BAGNOREGIO, II Sent., d. 12, a. 2, q. 1, n. 4 (II, p. 302b): «lux est natura communis, reperta in omnibus corporis tam caelestibus quam terrestribus»; ivi, d. 13, a. 2, q. 2 co (p. 320b): «lux est forma substantialis corporum, secundum cuius maiorem et minorem participationem corpora habent verius et dignius esse in genere entium». Cfr. V.C. BIGI, Studi sul pensiero di san Bonaventura, Assisi, Porziuncola 1988, pp. 103-142 («La dottrina della luce»); ECO, Arte e bellezza nell’estetica medievale, cit., pp. 63-65; G. DUBY, Storia artistica del Medioevo, trad. it., Roma-Bari, Laterza 1995, p. 80. 88 SAN BONAVENTURA E L ’ ARTE MEDIEVALE 177 un cartiglio illeggibile e ha il volto cancellato (una damnatio memoriae?). La grotta è il luogo monastico dell’eremitaggio, «antico e quasi universale equivalente simbolico del cuore e del ventre»90, per il monachesimo orientale così come per il francescanesimo. Nel luogo più basso della mortificatio, alchemica e ascetica, lì dove si riceve il sangue vivificante del Salvatore, figura del descensus ad inferos, comincia l’ascensus, l’itinerarium, attraverso il Lignum crucis, verso Dio che «abita in una luce inaccessibile» (1Tm 1,16). RIASSUNTO: Partendo dalla celebre tavola dell’Albero della Vita di Pacino da Buonaguida, la più dettagliata interpretazione pittorica dell’omonimo trattato di san Bonaventura si è inteso cogliere l’occasione per misurare l’influenza del pensiero bonaventuriano sull’arte del suo tempo, valutando alcuni aspetti impliciti nel suo pensiero teoretico, riflessi espressamente o in modo più nascosto nella cultura figurativa del basso Medioevo; ma anche considerando il valore normativo che i suoi scritti devozionali hanno esercitato sulla figurazione sacra del XIV secolo. Gli archetipi universali accolti e innestati nell’arte sacra cristiana dimostrano, inoltre, di svolgere un ruolo importante sia sullo stesso pensiero di san Bonaventura, sia sui pittori che ne interpretano gli scritti, rivelando una comunione senza confusione tra i due ambiti, attraverso la mediazione dei committenti. Si è scelto, infine, di tentare un’interpretazione dell’immagine dell’Annunciazione, che, sia in alcuni passaggi del testo bonaventuriano, sia in alcuni dettagli della pittura paciniana dimostra un’attinenza fascinosa coi testi poetici e figurativi della tradizione iconica e liturgica bizantina. SUMMARY: Starting from the celebrated panel of the Albero della Vita by Pacino da Buonaguida, the most detailed colourful interpretation havingthe same name as that treated by St. Bonaventure, it is intended to take advantage of the situation to measure the influence of Bonaventurian thinking on the art of the time, evaluating some aspects implicit in his theoretical thinking, reflected openly or more hidden in the figurative culture of the Middle Ages, but also considering the regulatory value that his devotional writings exercised on the sacred figuration of the fourteenth century. Moreover, the universal archetypes obtained and introduced into sacred Christian art demonstrated the carrying out of an important role both on the thinking of St. Bonaventure itself and on the painters who interpreted the writings, revealing a communion without confusion between the two environmernts by means of the mediation of the purchaser. Finally, an interpretatino of the image of the Annunciation was chosen which, both in some passages of the Bonaventurian text and in some details of Pacinian painting demonstrates a fascinating relevance with the poetic and figurative texts of the iconic and liturgical Byzantine tradition. 90 LINDSAY OPIE, L’icona e l’eremita, in ID., Nel mondo delle icone, cit., p. 150. 178 ALESSANDRO GIOVANARDI Fig. 1. – PACINO DA BUONAGUIDA, Lignum vitae, 1305-1310 ca, tempera e oro su tavola, (Firenze, Galleria dell’Accademia). SAN BONAVENTURA E L ’ ARTE MEDIEVALE 179 Fig. 2. – MAESTRO RUSSO, Annunciazione di Ust’jug (Novgorod, XII secolo), tempera e oro su tavola (Mosca, Galleria Tret’jakov). 180 ALESSANDRO GIOVANARDI Fig. 3. – PACINO DA BUONAGUIDA, Lignum vitae, particolare: Annunciazione e Visitazione. Fig. 4. – PACINO DA BUONAGUIDA, Lignum vitae, particolare: San Bonaventura (?).